La “nuova” L. 241/1990 secondo la giurisprudenza Premessa · sancito dalla legge 241/90,...

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1 La “nuova” L. 241/1990 secondo la giurisprudenza (Gioia Maria Scipio – Adriana Caroselli) Premessa A distanza di quindici anni dalla sua approvazione, nel 2005 (legge 11 febbraio 2005, n.15 e decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni con legge 14 maggio 2005, n.80) la legge 241/1990 è stata oggetto di un processo di riforma volto ridisegnarne i principali istituti e principi. In molti casi sono stati tradotti in disposizioni normative indirizzi già elaborati dalla giurisprudenza; in altri, sono state effettivamente introdotte innovazioni sostanziali e procedurali. Il presente lavoro costituisce il primo di una serie di numeri che, con cadenza semestrale, verranno dedicati all’analisi della “nuova” L.241/1990. Questa prima riflessione persegue lo scopo di evidenziare gli orientamenti della giurisprudenza che vanno emergendo all’indomani dell’approvazione della legge di riforma. In tale sede verrà omessa l’analisi delle disposizioni per le quali non si registrano sentenze interessanti da segnalare. Con riferimento agli istituti ed ai principi di elaborazione giurisprudenziale, si tenterà di comprendere se le prime pronunce emerse ne riflettano la posizione tradizionale, ovvero se stiano emergendo letture nuove. Quanto, infine, alle novità procedurali e sostanziali, ne sarà esaminata l’interpretazione giurisprudenziale al fine di evidenziare come tali nuove disposizioni vadano a collocarsi all’interno del vigente quadro normativo. Le successive uscite avranno una diversa finalità e saranno dedicate a particolari problematiche che la L. 241/1990 continua a porre all’esame della dottrina e della giurisprudenza. Obbligo di provvedere e termini del procedimento Nell’art.2 (co.1, 2, 3 e 4) della legge 241/1990 viene sancito il principio della certezza temporale della conclusione del procedimento. Le modifiche legislative del 2005 hanno inciso sulla disposizione richiamata, limitatamente alla modifica del termine residuale per la conclusione dei procedimenti, che è stato portato a 90 giorni ma, soprattutto, sembrerebbero aver ristretto la portata precettiva della norma alle sole amministrazioni statali,

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1

La “nuova” L. 241/1990

secondo la giurisprudenza

(Gioia Maria Scipio – Adriana Caroselli)

Premessa

A distanza di quindici anni dalla sua approvazione, nel 2005 (legge 11

febbraio 2005, n.15 e decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con

modificazioni con legge 14 maggio 2005, n.80) la legge 241/1990 è stata oggetto

di un processo di riforma volto ridisegnarne i principali istituti e principi.

In molti casi sono stati tradotti in disposizioni normative indirizzi già

elaborati dalla giurisprudenza; in altri, sono state effettivamente introdotte

innovazioni sostanziali e procedurali.

Il presente lavoro costituisce il primo di una serie di numeri che, con

cadenza semestrale, verranno dedicati all’analisi della “nuova” L.241/1990.

Questa prima riflessione persegue lo scopo di evidenziare gli orientamenti

della giurisprudenza che vanno emergendo all’indomani dell’approvazione della

legge di riforma. In tale sede verrà omessa l’analisi delle disposizioni per le quali

non si registrano sentenze interessanti da segnalare. Con riferimento agli istituti ed

ai principi di elaborazione giurisprudenziale, si tenterà di comprendere se le prime

pronunce emerse ne riflettano la posizione tradizionale, ovvero se stiano

emergendo letture nuove. Quanto, infine, alle novità procedurali e sostanziali, ne

sarà esaminata l’interpretazione giurisprudenziale al fine di evidenziare come tali

nuove disposizioni vadano a collocarsi all’interno del vigente quadro normativo.

Le successive uscite avranno una diversa finalità e saranno dedicate a

particolari problematiche che la L. 241/1990 continua a porre all’esame della

dottrina e della giurisprudenza.

Obbligo di provvedere e termini del procedimento

Nell’art.2 (co.1, 2, 3 e 4) della legge 241/1990 viene sancito il principio della

certezza temporale della conclusione del procedimento.

Le modifiche legislative del 2005 hanno inciso sulla disposizione richiamata,

limitatamente alla modifica del termine residuale per la conclusione dei

procedimenti, che è stato portato a 90 giorni ma, soprattutto, sembrerebbero aver

ristretto la portata precettiva della norma alle sole amministrazioni statali,

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escludendone l’operatività, quanto alle modalità di individuazione del termine finale,

ad esempio, per le amministrazioni locali e regionali.

In tema di termine per la conclusione del procedimento, si segnala un

orientamento giurisprudenziale, tendenzialmente prevalente, che ha affrontato il

problema relativo alla legittimità del provvedimento emanato dall’Amministrazione

successivamente alla scadenza del termine fissato per la conclusione del

procedimento1, concludendo per la legittimità dello stesso in quanto

l’Amministrazione non perde, comunque, il potere di provvedere.

L’unica conseguenza che può derivare da tale comportamento è la

formazione dell’inadempimento procedimentale, impugnabile dall’interessato

attraverso la formalizzazione del cd. silenzio-rifiuto, ovvero un’eventuale ipotesi di

responsabilità della PA da ritardo.

Il silenzio-rifiuto

L’istituto del silenzio, così come previsto dalla nuova formulazione dell’art.2

comma 5 della legge 241/90, si collega al dovere dell’amministrazione di

concludere il procedimento con un provvedimento espresso, manifestandosi come

inadempimento rispetto all’obbligo di provvedere2.

Un primo ordine di problemi, che la giurisprudenza si è posta, è stato quello

di individuare le situazioni concrete in cui sia ravvisabile, in capo

all’amministrazione, un obbligo giuridico di provvedere, anche al di fuori dei casi in

cui vi sia una norma ad hoc che imponga tale obbligo3.

Una volta riscontrato l’obbligo di provvedere4, il silenzio serbato

dall’amministrazione configura un inadempimento, rispetto al quale il privato può

tutelarsi, ricorrendo in sede giurisdizionale contro il cd. silenzio-rifiuto della pubblica

amministrazione.

In proposito, la disposizione esaminata introduce una norma di carattere

processuale, relativamente al rito speciale avverso il silenzio-rifiuto (o

inadempimento) dell’amministrazione, la quale non provveda nei termini assegnati.

1 T.A.R. Lazio, sez. II, 14 giugno 2005 n. 4876. 2 Cons. Stato, Ad. Plen., 9 gennaio 2002 n.1. 3 Cons. Stato, sez. IV, 14 dicembre 2004, n. 7975 (fattispecie particolari in cui ragioni di giustizia ed equità impongono l’adozione di un provvedimento). In materia di repressione di abusi edilizi si vedano Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 2004, n. 677; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I quater, 26 gennaio 2005 n. 578; TA.R. Liguria, 28 gennaio 2004 n. 104. 4Cons. Stato, sez. VI, 7 agosto 2002, n.4135 esclude l’obbligo di provvedere per le istanze volte ad ottenere il riesame, da parte dell’amministrazione, di un atto autoritativo, non impugnato tempestivamente.

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Le principali questioni giuridiche che si sono poste nel dibattito

giurisprudenziale sulla tutela del privato contro l’inerzia non qualificata della PA,

prima dell’intervento di riforma del legislatore, hanno avuto riguardo alle seguenti

problematiche.

Innanzi tutto, è stata affrontata la questione circa la necessità della diffida

formale all’amministrazione per la formazione del silenzio, in analogia al

procedimento previsto dall’art. 25 T.U. Impiegati Civili dello Stato n. 3/1957,

ovvero alla possibilità di fare riferimento al semplice decorso del termine finale del

provvedimento per la formazione del silenzio-rifiuto5.

In tal senso, il legislatore del 2005 ha chiarito definitivamente che il ricorso

avverso il silenzio-rifiuto può essere proposto anche senza necessità di una previa

diffida all’amministrazione inadempiente6.

Secondariamente, la giurisprudenza maggioritaria, prima della modifica

legislativa, era propensa a ritenere che il privato dovesse proporre ricorso

giurisdizionale avverso il silenzio-rifiuto, nel termine decadenziale di 60 giorni7.

Nel nuovo testo della norma, è stato chiarito anche questo punto, nel senso

di permettere all’interessato di proporre ricorso fintanto che perduri

l’inadempimento dell’amministrazione e, comunque, entro un anno dalla scadenza

dei termini finali fissati per la conclusione del procedimento amministrativo;

decorso tale periodo al privato è consentito solo riproporre l’istanza originaria,

dando vita ad un nuovo procedimento8.

Infine, la giurisprudenza si è occupata di chiarire l’estensione e l’oggetto del

sindacato del Giudice Amministrativo nel ricorso contro il silenzio-rifiuto.

Sul tema si sono alternati due orientamenti: uno, maggioritario, più

restrittivo, che circoscriveva la cognizione del GA esclusivamente alla verifica

dell’esistenza di un obbligo giuridico di provvedere in capo all’amministrazione

rimasto inadempiuto, senza consentire l’esame del merito dell’istanza originaria9;

l’altro, più estensivo e più risalente, che ipotizzava la facoltà del GA di estendere il

5 La giurisprudenza prevalente, prima della riforma legislativa, aveva accolto la tesi della necessaria diffida preventiva all’amministrazione, sulla scorta della risalente pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Coniglio di Stato n. 10/1978: Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 2001 n. 6415; sez. V, 10 aprile 2002, n. 1870; sez. V, 4 febbraio 2004 n. 376; sez. VI, 6 luglio 2004 n. 5020. Contra: T.A.R. Lazio, sez. II, 17 marzo 2000 n. 1970; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 10 febbraio 2001 n. 293; T.A.R. Campania, Salerno, 13 marzo 2001 n. 247. 6 T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 11 luglio 2005 n. 5586. 7 Cons. Stato, 17 ottobre 2000, n. 5565; Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 1998, n. 315. 8 T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 6 settembre 2005 n. 3801. 9 Cons. Stato, Ad. Plen., 9 gennaio 2002, n.1; T.A.R. Catania, sez. II, 10 febbraio 2001 n. 293; T.A.R. Veneto, sez. II, 2 marzo 2001 n. 467.

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proprio sindacato anche sulla fondatezza della pretesa azionata dal privato,

specialmente nei casi di attività vincolata della PA10.

Anche sul punto la riforma del 2005 ha messo fine all’alternanza

giurisprudenziale, prescrivendo espressamente che il Giudice Amministrativo, nei

giudizi contro il silenzio-rifiuto, “può conoscere della fondatezza dell’istanza”11.

Infine, dal comma 1 dell’art. 2 legge 241/1990 si evince, inequivocabilmente

(in conformità peraltro all’art.117 Cost.), che le disposizioni di carattere processuale

della citata legge si applicano anche a regioni ed enti locali, sicché non vi è dubbio

che l’art. 2 comma 5 si applichi, per quanto attiene alla disciplina della domanda

avverso il silenzio, anche nei confronti di dette amministrazioni12.

L’obbligo di motivazione del provvedimento

L’art.3 della L.241/1990 prescrive un generalizzato obbligo di motivazione

dei provvedimenti amministrativi che incombe sulle amministrazioni, con riguardo

ad ogni tipologia provvedimentale, eccezion fatta per gli atti normativi e i

provvedimenti a contenuto generale13.

Pur individuando la norma i contenuti minimi necessari per la corretta

motivazione dei provvedimenti, la giurisprudenza insiste sulla inesistenza di uno

schema predefinito di motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2004 n. 1047),

sulla necessità di motivazione anche per gli atti vincolati (Cons. Stato, sez. VI, 4

luglio 2000 n. 3669), per quelli di alta amministrazione e per i provvedimenti in

materia di concorsi ed esami (Cons. Stato, sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7189;

Tar Puglia, Lecce, sez. I, 28 settembre 2005 n. 1105, Cons. Stato, sez. VI, 17

febbraio 2004 n. 659, Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2000 n. 2915)

Il legislatore recepisce, inoltre, la tecnica della motivazione “per relationem”,

consentendo di motivare il provvedimento attraverso il rinvio ad un altro atto,

richiamato nel medesimo e reso disponibile per l’interessato14.

10 Cons. Stato, Ad. Plen., 10 marzo 1978 n. 10; Cons Stato, Sez. VI, 1 febbraio 1999, n. 201.11 Nei giudizi contro il silenzio, pur sussistendo in astratto l’inadempimento formale dell’amministrazione all’obbligo di provvedere, il ricorso deve essere respinto se il giudice adito ritiene assolutamente e manifestamente infondata la pretesa fatta valere (T.A.R. Lazio, sez. III, 19 ottobre 2005, n. 9034). Il giudizio speciale sul silenzio inadempimento non è compatibile con le controversie che hanno un oggetto ulteriore rispetto alla situazione di inerzia. Non è quindi ammissibile la domanda – proposta davanti al GA – con la quale si richiede il risarcimento del danno congiuntamente ad un ricorso avverso il silenzio della PA (T.A.R. Lazio, sez. II, 9 settembre 2005, n. 6786). 12 T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 6 settembre 2005 n. 3801. 13 Cons. Stato, sez. VI, 28 gennaio 2004 n. 255, sull’obbligo di motivazione anche per i provvedimenti riguardanti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento di pubblici concorsi e il personale. Cons. Stato, sez. V, 11 ottobre 2005 n. 5479; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 22 settembre 2005 n. 1431. 14 T.A.R. Lazio, sez. II, 2 settembre 2005 n. 6537; T.A.R. Lazio, sez. II, 2 settembre 2005 n. 6534; T.A.R. Liguria, sez. I, 10 giugno 2005 n. 884; T.A.R. Lazio, sez. II, 1 luglio 2005 n. 5414; Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 2005 n. 435; Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5823.

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Ancora, la riforma del 2005 ha introdotto, nel sistema procedimentale

sancito dalla legge 241/90, l’istituto della cd. “motivazione anticipata” o “preavviso

di rigetto”, di cui all’art. 10 bis.

Infine, altra problematica emersa a seguito della riforma della legge 241/90,

è quella relativa alla possibilità o meno, da parte dell’amministrazione, di integrare

ex post la motivazione di un provvedimento amministrativo che sia stato

impugnato.

Anche sul punto, la giurisprudenza precedente la riforma seguiva due

orientamenti contrapposti: il maggioritario, secondo cui era impossibile per la PA

sanare la mancanza o il difetto di motivazione nel corso del giudizio amministrativo

sulla legittimità del provvedimento15.

Un orientamento minoritario, invece, che riteneva ammissibile l’integrazione

postuma della motivazione del provvedimento, nel corso del giudizio, mediante

l’emanazione di provvedimenti ulteriori16.

Con l’introduzione della nuova norma contenuta nell’art. 21 octies, comma 2,

della legge 241/9017, relativamente alle ipotesi di annullabilità del provvedimento

amministrativo, la rilevanza della motivazione dei provvedimenti si presta a nuove

interpretazioni.

La giurisprudenza più recente sembra accogliere una lettura del testo

normativo citato, orientata secondo il principio del “raggiungimento dello scopo”

dell’atto, in base al quale l’invalidità dell’atto viene considerata irrilevante, purché si

riesca a dimostrare in giudizio che il provvedimento abbia raggiunto il suo scopo,

pur in presenza del vizio. Ciò che deve risultare “palese” è, infatti, che, se l’atto non

fosse stato affetto dal vizio motivazionale lamentato, la decisione in esso contenuta

sarebbe comunque stata la medesima18.

Il responsabile del procedimento

Gli articoli 4, 5 e 6 legge 241/1990 trattano della figura del responsabile del

procedimento e dei suoi compiti, cioè di quel soggetto individuato dalla

giurisprudenza come leading authority in ogni procedimento amministrativo19.

15 Cons. Stato, sez. VI, 26 giugno 2003, n. 3849; Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2002, n. 2281. 16 T.A.R. Lazio, sez. II, 28 gennaio 2004 n. 824. 17 La norma esclude che i provvedimenti possano essere annullati per violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il loro contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. 18 In tal senso, T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 4 maggio 2005 n, 760; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 22 settembre 2005 n. 506. 19 T.A.R. Lazio, sez. II, 1 luglio 2005, n. 5414; Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2005 n. 964; Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 2004, n. 695; T.A.R. Lazio, sez. III, 31 gennaio 2004 n. 917.

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La legge 15/2005, parzialmente modificando le disposizioni in esame, ha

accentuato il ruolo del responsabile del procedimento, attribuendo al medesimo,

oltre ai tradizionali compiti istruttori, anche un ruolo, per così dire, pre-decisionale,

attraverso il riferimento al neo-introdotto istituto del cd. preavviso di rigetto.

La comunicazione di avvio del procedimento

La legge del 2005, con l’intento di rafforzare gli istituti partecipativi al

procedimento amministrativo, sembrerebbe chiarire che la comunicazione di avvio

del procedimento sia necessaria anche nei procedimenti intrapresi su istanza di

parte tanto che, in tali casi, la comunicazione dovrebbe contenere, espressamente,

l’indicazione della data di presentazione della relativa istanza20.

In proposito, tuttavia, si segnala un recentissimo intervento

giurisprudenziale del Tar Campania, che offre una particolare interpretazione

dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento intrapreso su istanza di parte21.

L’organo giudicante, infatti, esclude che “gravi a carico dell’amministrazione

l’obbligo di inoltrare la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art.

7…, anche nei confronti di colui che ha presentato l’istanza”.

Ad avviso del collegio, il fatto che l’art. 8 della legge 241, alla lett. c-ter,

abbia aggiunto al contenuto della comunicazione “la data di presentazione

dell’istanza”, non può essere letto nell’ottica di imporre un onere di aggravamento

all’amministrazione, costretta ad inviare la comunicazione di avvio al soggetto che,

materialmente, abbia iniziato il procedimento.

Con la decisione in oggetto si vuole, quindi, sottolineare come il contenuto

dell’obbligo di comunicazione, esteso anche alla data di presentazione dell’istanza,

debba necessariamente essere rivolto ai soggetti controinteressati, cioè “terzi”

rispetto a colui che ha attivato il procedimento22.

Si configura, comunque, un obbligo generalizzato di comunicazione in capo

all’amministrazione, a prescindere dalla tipologia procedimentale cui si accede, sia

essa ad istanza di parte o per iniziativa d’ufficio, sia essa vincolata o discrezionale23.

20 Art. 8, comma 2, lett.c) ter, legge 241/90. T.A.R. Lazio, sez. II, 25 ottobre 2005, n. 9804; Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005 n. 7592; Cons. Stato, sez. V, 7 dicembre 2005 n. 6990. 21 T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, sent. N. 651/2006. 22 Nella citata sentenza si legge: “…nell’applicazione della normativa, generale e di dettaglio, sul procedimento amministrativo, occorre sempre tener conto della imprescindibile esigenza di evitare che possano essere imposti adempimenti a carico degli amministratori che non siano essenziali al corretto svolgimento della procedura e per la piena salvaguardia degli interessi pubblici e privati in essa coinvolti….”. 23 Esclude la necessaria comunicazione di avvio del procedimento per repressione di abuso edilizio T.A.R. Toscana, sez. III, 22 settembre 2005 n. 4531; di contrario avviso, per gli atti vincolati, Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2005 n. 4836.

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La norma esclude dall’operatività dell’istituto le ipotesi in cui “particolari

esigenze di celerità” impediscano la comunicazione e, in tal senso, la giurisprudenza

si è preoccupata di precisare che le ragioni di tale impedimento, lungi

dall’individuare una categoria predeterminata di provvedimenti esclusi

dall’operatività della norma, devono risultare, di volta in volta, dalla motivazione del

provvedimento finale24.

Resta salva la possibilità, riconosciuta all’amministrazione, di adottare

provvedimenti cautelari, prima di comunicare l’avvio del procedimento25.

Quanto ai destinatari della comunicazione, la norma in esame individua le

categorie di soggetti ai quali la comunicazione deve essere diretta e la

giurisprudenza segue pedissequamente il dettato normativo26.

Proseguendo nella lettura del nuovo testo della legge 241/90, la novità forse

più rilevante sul tema della comunicazione di avvio del procedimento, è data

dall’introduzione dell’art. 21 octies.

Sul punto, già prima della riforma, la giurisprudenza, abbandonando

posizioni rigidamente formalistiche legate alla pura e semplice violazione di legge,

aveva aderito ad una interpretazione, per così dire, finalistica dell’obbligo di

comunicazione27.

Infatti, molte pronunce hanno fatto riferimento, anche per la comunicazione

di avvio del procedimento, al principio del cd. “raggiungimento dello scopo”

dell’atto, optando per la legittimità del provvedimento, in tutti i casi in cui fosse

dimostrato che il destinatario della comunicazione avesse avuto notizia, aliunde, del

procedimento amministrativo e fosse stato, comunque, in condizione di esercitare le

facoltà partecipative che la legge gli riconosce28.

Altre, invece, al fine di evitare una pronuncia di illegittimità del

provvedimento per omessa comunicazione di avvio del procedimento, hanno aderito

all’orientamento basato sulla valutazione, nei singoli casi, dell’utilità della

comunicazione stessa e della conseguente partecipazione procedimentale

dell’interessato29.

24 T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 26 luglio 2005 n. 10387 (esclude la comunicazione per le ordinanze sindacali contingibili ed urgenti) contra Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2006 n. 29; T.A.R. Lombardia, Brescia, 25 luglio 2005 n. 786; T.A.R. Liguria, sez. I, 7 luglio 2005 n. 1026. 25 In realtà la giurisprudenza, anche nel caso di provvedimenti cautelari, propende per la necessità della comunicazione di avvio, salvo il caso di provvedimenti vincolati: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 agosto 2002, n. 4181. 26 T.A.R. Piemonte, sez. II, 17 settembre 2005 n. 2831; Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2005 n. 3733. 27 Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2004, n. 1969. 28 Cons. Stato, sez. VI, 12 agosto 2002, n. 4153; Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 2002, n. 1031; Cons Stato, sez. VI, 15 marzo 2004, n. 1272. 29 Cons. Stato, sez. VI, 10 gennaio 2005 n. 11; Cons. Stato, sez. VI, 26 febbraio 2005, n. 232.

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Con l’introduzione dell’art. 21 octies, comma 2, viene introdotto il concetto

per cui le violazioni formali o procedimentali determinano l’invalidità del

provvedimento solo ove i loro effetti si riverberino direttamente sul contenuto

decisorio dell’atto30.

La giurisprudenza successiva alla riforma ha dato immediata applicazione

alla norma citata, ritenendola norma di carattere processuale e, come tale,

applicabile anche ai giudizi già in corso al momento della sua entrata in vigore31.

Sostanzialmente, le pronunce giurisdizionali32 hanno tutte optato per

un’interpretazione delle norme sulla partecipazione procedimentale legata

all’effettivo apporto istruttorio del privato nell’ambito del procedimento, affermando

che il provvedimento non può essere annullato (per omessa comunicazione di

avvio) quando, da un lato, risulti che il provvedimento conclusivo non avrebbe

potuto avere contenuto diverso33, dall’altro, che l’interessato ha comunque

esercitato le proprie facoltà partecipative, per cui l’annullamento determinerebbe

un’inutile ripetizione del procedimento, con aggravio sia per l’amministrazione sia

per l’interessato34.

Ciò posto ed in applicazione dei principi fin qui elaborati, si ravvisano anche

pronunce giurisprudenziali molto garantiste nei confronti della partecipazione

procedimentale dei privati, nel senso di richiedere all’amministrazione una prova

particolarmente pregnante e significativa sul contenuto del provvedimento,

soprattutto ove trattasi di provvedimento discrezionale35.

D’altro canto, numerose sentenze hanno dato un’applicazione della norma

molto estensiva e generale, determinando, sostanzialmente, un orientamento

particolarmente favorevole per l’amministrazione36.

Altre, ancora, si sono spinte fino a prevedere una sorta di inversione

dell’onere della prova, nel senso di imporre al privato la dimostrazione in giudizio

30 Ai sensi della disposizione in esame, “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto annullato”. 31 T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, n.789/05; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, n. 849/05. 32 Cons. Stato, sez. VI, 6 ottobre 2005, n.5436; T.A.R. Sardegna, sez. II, 21 settembre 2005 n. 1916; T.A.R. Lazio, sez. II, 5 luglio 2005 n. 5481; T.A.R. Lazio, sez. II, 9 settembre 2005 n. 6785; T.A.R. Toscana, sez. I, 1 settembre 2005 n. 4287. 33 Cons. Stato, sez. IV; 14 giugno 2005, n. 3124. 34 T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 21 febbraio 2005, n. 686. 35 T.A.R. Sardegna, sez. II, n. 483/2005; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, n. 5226/2005; T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, n. 1332/2005; T.A.R. Liguria, sez. I, n. 392/05; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, n. 1158/2005 e n. 1180/2005; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, n. 2913/2005. Sulla necessità del doppio requisito della costituzione in giudizio dell’amministrazione e della prova dell’impossibilità di dare al provvedimento un contenuto diverso si veda T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 13 dicembre 2005 n. 20227. 36 T.A.R. Veneto, sez. II, n. 935/2005; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, n. 789/2005; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, n. 765/2005; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, n. 941/2005.

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che un eventuale suo intervento nel procedimento avrebbe potuto modificare la

decisione assunta dalla PA37.

La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza

L’art.10 bis legge 241/1990 introduce nel sistema il cd. preavviso di rigetto.

La norma sembra avere una portata generale, con esclusione, prevista ope

legis, delle sole procedure concorsuali e di quelle in materia previdenziale, azionate

su istanza di parte e gestite dagli enti previdenziali38.

Il nodo giurisprudenziale più rilevante riguarda le conseguenze, in termini di

annullabilità o meno del provvedimento finale, nei casi in cui l’amministrazione

ometta di comunicare all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

Parte della giurisprudenza è propensa a ritenere che l’omissione del

preavviso di rigetto non sempre renda annullabile il provvedimento finale, attesa la

necessità di verificare, in concreto, l’utilità della partecipazione del privato al

procedimento in oggetto39, così come avviene per il meccanismo introdotto dall’art.

21 octies con riguardo all’omessa comunicazione di avvio del procedimento40.

Si legge, infatti, in una recentissima pronuncia che “le norme in materia di

partecipazione al procedimento amministrativo 7, 8 e 10 l.7 agosto 1990, n. 24,

non vanno applicate meccanicamente e formalisticamente, nel senso che è

necessario annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, ma

vanno interpretate nel senso che non sono annullabili i procedimenti che hanno,

comunque, raggiunto lo scopo al quale la comunicazione di avvio tende … ed ora del

preavviso di rigetto… in quanto, in caso contrario, si farebbe luogo ad una inutile

ripetizione del procedimento, con aggravio sia per l’amministrazione sia per

l’interessato…”41.

Altro orientamento, invece, ritiene che la violazione dell’art.10 bis, determini

automaticamente l’annullabilità del provvedimento finale per violazione di legge,

essendo compromesso il diritto alla partecipazione al procedimento e non potendosi

applicare, al caso di specie, il rimedio di cui all’art. 21 octies42.

37 T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, n. 671/2005; T.A.R. Emilia Romagna, Parma, n.291/2005; T.A.R. Lazio, sez. I ter, n.4269/2005. 38 T.A.R. Veneto, sez. I, 13 ottobre 2005 n. 3663; esclude la natura tassativa dell’elencazione dei procedimenti per i quali è escluso il preavviso di rigetto T.A.R. Veneto, sez. II, 13 settembre 2005 n. 3418; sulla applicabilità del preavviso di rigetto anche ai procedimenti in corso, T.A.R. Piemonte, sez. I, 14 giugno 2006 n. 2487. 39 T.A.R. Puglia, Lecce, 5 dicembre 2005 n. 5633; T.A.R. Veneto, sez. II, 13 settembre 2005 n. 3421 e 3430; T.A.R. Toscana, sez. I, 29 luglio 2005 n. 3817. 40 T.A.R. Piemonte, sez. I, 14 giugno 2006 n. 2487. 41 Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2006 n. 3608. 42 T.A.R. Piemonte, sez. I, 26 ottobre 2005 n. 3296; T.A.R. Lazio, sez. III ter, 8 settembre 2005 n. 6618; T.A.R. Campania, Napoli, sez.VII, 4 luglio 2005 n. 9369; T.A.R. Veneto, sez. II, 1 giugno 2005 n. 2358; T.A.R. Lazio, sez. II, 18 maggio 2005 n. 3921.

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Gli Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento

Sulla materia, la giurisprudenza prevalente si è interessata soprattutto della

giurisdizione, relativamente alle controversie nascenti dalla formazione, conclusione

ed esecuzione degli accordi, demandata, per espressa previsione legislativa, al

Giudice Amministrativo43, limitatamente, però, alla tutela delle posizioni delle parti

dell’accordo.

La Conferenza di servizi

La L.15/2005 ha apportato alcune modifiche all’istituto della conferenza di

servizi.

In particolare, sono state inserite alcune norme volte ad incentivare e

semplificare il ricorso a detto istituto, introducendo una tempistica finalizzata

all’accelerazione dell’iter procedurale e, quindi, della conclusione dei lavori.

Nell’art. 14 quater il legislatore si è preoccupato che alle regioni e agli enti

locali venga assicurato, anche all’interno della conferenza di servizi, il ruolo

istituzionale riconosciuto dalla legge costituzionale 3/200144.

E’ stato, infine, previsto un articolo ad hoc sulla conferenza di servizi in

materia di finanza di progetto.

Le questioni inerenti l’istituto in esame, nel testo previgente alla legge del 2005,

rinvenute con maggior frequenza nella giurisprudenza, erano relative alla natura e

alla finalità dell’istituto45; alle modalità di acquisizione dell’assenso delle

43 T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 11 ottobre 2005, n. 1591; T.A.R. Lombardia, Brescia, 29 settembre

2005, n. 903; Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2005, n. 3345.

44 Il comma 3 dell’art.14 quater, eliminando il riferimento agli organi collegiali esecutivi degli enti territoriali, prevede che, se il dissenso in sede di conferenza di servizi sia espresso da un’amministrazione non statale preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall’amministrazione procedente: - alla Conferenza Stato-regioni, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra amministrazioni regionali, - alla Conferenza unificata, di cui al D.Lgs.281/1997, se il dissenso è tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. A tali soggetti l’amministrazione procedente rimetterà la decisione anche se il motivato dissenso sia stato espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza. Solo qualora, entro i termini previsti, la Conferenza Stato – regioni e la Conferenza unificata non provveda, la decisione, su iniziativa del Ministro per gli affari regionali, è rimessa al Consiglio dei Ministri se la materia è di competenza statale. Diversamente, la decisione sostitutiva è adottata dalla Giunta regionale, ovvero dalle Giunte delle province autonome e, solo in caso di ulteriore loro inerzia, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri alla cui deliberazione sono chiamati a partecipare anche i Presidenti delle regioni interessate. Qualora le regioni tra cui è intervenuto il dissenso siano pervenute a delle intese, ratificate con propria legge, non trovano applicazione le disposizioni sulla decisione sostitutiva adottata dalla Conferenza Stato-regioni. 45 Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2004, n. 316 (la conferenza di servizi, anche dopo la riforma Bassanini l. 15 maggio 1997 n. 127 e D.P.R. 24 novembre 2000 n. 340, non ha natura di organo collegiale, ma di modalità di semplificazione dell'azione amministrativa, finalizzata, nella sua accezione decisoria, alla più celere formazione di atti complessi, ossia di atti per la cui formazione è necessario il concorso di volontà di più amministrazioni); T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 25 ottobre 2002, n. 540;

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amministrazioni assenti e ai modi di espressione del dissenso 46; al ruolo assolto in

concreto dalle amministrazioni partecipanti47; alla modalità di adozione delle

determinazioni finali48; alla partecipazione dei privati49; al valore delle

determinazioni assunte dalla conferenza50; alla convocazione ed i relativi vizi

procedurali51; alla distinzione tra la previsione contenuta nella L.241/1990 e quanto

disposto eventualmente dalle normative di settore52; alla legittimazione

processuale53.

Ferme restando le già indicate questioni giurisprudenziali, allo stato non si

rinvengono pronunce rilevanti inerenti le novità introdotte dalla L. 15/2005.

La dichiarazione di inizio attività

Il procedimento semplificato e accelerato, introdotto dall'art. 19 legge

241/90, relativo alla c.d. denuncia di inizio attività, è un istituto del tutto peculiare

che prescinde dall'emanazione di un provvedimento amministrativo.

Esso impone la sostituzione del regime autorizzatorio, per le attività

economiche private, con dichiarazioni sostitutive da parte degli interessati.

Cons.Stato, sez. V, 1 marzo 2000, n. 1078 e Consiglio Stato, sez. V, 5 novembre 1997, n. 1622 (in materia urbanistica). 46 Cons. Stato, sez. VI, 23 dicembre 2005, n. 7387 (ai sensi dell'art. 14 ter comma 7, l. 241 del 1990, si deve considerare acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non abbia partecipato alla Conferenza di servizi ancorché convocato, ovvero non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata e non abbia notificato all'amministrazione procedente, entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della determinazione di conclusione del procedimento, il proprio motivato dissenso, ovvero, ancora, nello stesso termine non abbia impugnato la determinazioneconclusiva della Conferenza di servizi). Cfr., altresì, T.A.R. Liguria, sez. I, 3 giugno 2005, n. 803, Cons.o Stato, sez. V, 5 aprile 2005, n. 1543; Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2005, n. 1013; T.A.R. Toscana, sez. I, 1 marzo 2005, n. 978; T.A.R. Toscana, sez. III, 16 aprile 2004, n. 1162; Consiglio Stato, sez. VI, 30 gennaio 2004, n. 316; Cons. Stato, sez. VI, 7 agosto 2003, n. 4568 (ai fini del rispetto dell'art. 74 ter, l. 7 agosto 1990 n. 241, ciò che rileva è che la manifestazione finale di volontà di ciascun ente partecipante alla conferenza di servizi sia imputabile ad un unico rappresentante, risultato che non è inficiato dalla presenza di più rappresentanti per taluni enti, giustificabile per ragioni istruttorie); T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 10 aprile 2003, n. 630. 47 T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 23 novembre 2004, n. 8188 (la "ratio" dell'art. 14 quater l. 7 agosto 1990 n. 241 non è quella di imporre alla PA di indicare sempre e comunque soluzioni alla vicenda sottopostale, ma quella di intervenire nella stessa con una graduazione di suggerimenti, la cui pregnanza è correlata alla ampiezza delle opportunità offerte all'operatore privato); Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2003, n. 847 e Cons.Stato, sez. VI, 14 febbraio 2002, n. 847 (sulla Conferenza Stato Regioni) 48 T.A.R. Lazio, sez. III, 14 giugno 2004, n. 5706 (stante la stretta correlazione logica tra l'art. 14 bis,commi 2 e 5, e l'art. 14 ter, comma 3, l. n. 241 del 1990, e quindi tra la valutazione sui progetti preliminari di opere di interesse pubblico e l'approvazione del progetto definitivo, la Conferenza di servizi deve assumere le determinazioni in base al principio generale maggioritario -maggioranza semplice-, proprio di tutti i corpi collegiali a carattere deliberante). 49 T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 7 novembre 2003, n. 13382; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 4 febbraio 2003, n. 359. 50 T.A.R. Molise, 18 settembre 2003, n. 673 (ai sensi degli art. 14 ss., l. 7 agosto 1990 n. 241 e 34 t.u. 18 agosto 2000 n. 267, la determinazione della conferenza di servizi su un progetto pubblico o di pubblica utilità costituisce, quando vi è anche l'assenso della regione, variante sulla quale è sufficiente che si pronunci, in via definitiva, il Consiglio comunale) 51 T.A.R. Toscana, sez. III, 11 aprile 2003, n. 1387. 52 Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2004, n. 3505 e Cons. Stato, sez. VI, 6 marzo 2001, n. 1529 (in materia di rifiuti); Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2004, n. 3502 (in materia di energia). 53 TAR Puglia, II, 19 aprile 1994 n.570; TAR Veneto, I, 9 dicembre 1992 n.565.

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Questi, infatti, comunicano all’Amministrazione che, ad una certa data,

inizieranno una delle attività per le quali era previsto un atto autorizzativo, il cui

rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei presupposti e requisiti di

legge.

Si tratta, quindi, di particolari attività il cui esercizio non richiede da parte

della PA lo svolgimento di alcuna discrezionalità.

Se, nel termine fissato, l’amministrazione nulla comunica, l'attività può

essere iniziata, fatta salva la possibilità per la PA di vietarne la prosecuzione e di

rimuovere gli effetti prodotti, nel caso venga riscontrata la mancanza originaria o

sopravvenuta dei requisiti necessari.

Ne discende che per i provvedimenti di tal specie non vi è necessità di

comunicare l'avvio del procedimento all'interessato, in quanto si verifica una sorta

di inversione procedimentale, essendo il privato a comunicare all'amministrazione

l'inizio di una determinata attività e, pertanto, della procedura prevista ai fini della

stessa 54.

Con riferimento al potere di controllo in capo alla PA, la giurisprudenza ha

affermato che esso non è riconducibile al potere di autotutela, poiché l’attività

dell’amministrazione in tal caso non consegue ad un provvedimento amministrativo

ma ad una dichiarazione del privato cittadino55.

Tale potere, peraltro, poteva essere esercitato dalla PA anche decorsi i

termini previsti in sede regolamentare 56.

La legge del 2005, oltre ad ampliare notevolmente il campo di azione di

questo istituto, impone all’interessato di intraprendere l’attività, oggetto di D.I.A.,

solo decorsi 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione.

Qualora la denuncia o la domanda del privato non siano regolari o complete,

l'Amministrazione ne dà comunicazione al richiedente indicando le cause di

irregolarità o di incompletezza. In tali casi, i termini che, generalmente, decorrono

dalla data di ricevimento della denuncia o della domanda del privato, decorrono

invece dal ricevimento della denuncia o dalla domanda regolari57.

La PA è tenuta ad esercitare i poteri di controllo nel termine di trenta giorni

dal ricevimento della comunicazione (fatta salva la possibilità per il privato di

54 Cons. Stato, sez. VI, 23 dicembre 2005, n.7359. 55 Cons.Stato, sez.IV, 4 settembre 2002, n. 4453. 56 Cass. Civ. sez. I, 24 luglio 2003, n.11478, T.A.R. Veneto, sez. III, 24 agosto 2002, n.4760 (per cui il decorso dei termini non impedisce alla PA di esercitare i propri poteri, ma le impone di comunicare all’interessato l’avvio del procedimento), T.A.R. Palermo, sez.II, 7 settembre 1999, n.1706, T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 5 luglio 1999, n. 691 (secondo il quale, decorsi il termine perentorio previsto dall’art.2, co.2, DPR 342/1994, la PA può comunque annullare, esercitando il generale potere di autotutela, l’autorizzazione ormai rilasciata). 57 Tar Lazio, sez. II, 12 ottobre 2005, n.8363.

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conformare la propria attività alla normativa), decorso il quale il 3 comma

dell’art.19 le riconosce comunque il potere di assumere determinazioni in via di

autotutela, ex artt. 21-quinquies e 21-nonies L.241/1990.

Infine, viene radicata definitivamente la giurisdizione in capo al Giudice

Amministrativo, come giurisdizione esclusiva58.

La giurisprudenza formatasi all’indomani della modifica legislativa ha

evidenziato le innovazioni introdotte.

In particolare, è stato affermato che il riferimento espresso agli istituti

dell’autotutela decisoria induce a ritenere che il legislatore abbia voluto assumere

una posizione specifica in ordine alla vexata questio della natura giuridica della

d.i.a.. La previsione dell’adottabilità di provvedimenti di secondo grado sottende,

cioè, “la qualifica dell’istituto in esame come atto abilitativo tacito formatosi a

seguito della denuncia del privato e del conseguente comportamento inerte

dell’amministrazione”59 .

Il silenzio assenso

L’articolo è stato riformulato dal D.L.14 marzo 2005, conv. con L. 14 maggio

2005, n.80 (art.3, comma 6 ter).

La novità più rilevante consiste nell’affermazione del silenzio assenso quale

istituto di carattere generale, non più limitato alle particolari ipotesi indicate nel

regolamento governativo cui rinviava il precedente art.20.

E’, infatti, previsto che per tutti i procedimenti ad istanza di parte il silenzio

serbato dall’Amministrazione equivale ad accoglimento della richiesta, purché la PA

non comunichi, nei termini di legge, il provvedimento di diniego ovvero indica una

conferenza di servizi.

Le previsioni in materia di silenzio assenso non si applicano agli atti e

procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la

difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica

incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di

provvedimenti formali, alle ipotesi qualificate dalla legge come di silenzio rigetto

(oltre ad altri casi da individuarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei

ministri).

58 Sul tema, la giurisprudenza ha individuato l’oggetto della cognizione del GA in uno scorretto esercizio della funzione pubblica di controllo e vigilanza; in altri termini, il GA è chiamato ad esprimersi sull’inerzia serbata dalla PA sulla DIA, cfr. Tar Piemonte, sez. I, 4 maggio 2005, n.1369. Contra Tar Lombardia, Milano, 6 luglio 2006, n. 3230. 59 T.A.R. Piemonte, sez.II, 19 aprile 2006, n.1885.

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Nell’ambito del procedimento per la formazione del silenzio assenso si

prevede l’applicazione dell’istituto della sospensione dei termini procedimentali in

caso di richiesta di valutazioni tecniche e di informazioni/certificazioni non in

possesso della PA procedente, né direttamente acquisibili presso altre

amministrazioni e della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento

dell'istanza ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241/1990.

E’ comunque fatta salva la possibilità per l’amministrazione di revocare o

annullare i provvedimenti taciti di accoglimento60.

L’istituto del silenzio assenso esce, pertanto, dilatato dalla riforma legislativa

del 2005.

In particolare, rispetto al precedente quadro normativo e giurisprudenziale,

risulta invertito il rapporto tra regola ed eccezione.

Infatti, nella vigenza del precedente testo, la giurisprudenza era dell’avviso

che l'istituto avesse natura eccezionale, perché derogatorio rispetto al generale

principio della manifestazione con provvedimento espresso della volontà

dell'amministrazione e, quindi, non estensibile oltre i casi espressamente previsti

dalla legge.

Si riteneva, cioè, che le diverse ipotesi di silenzio assenso fossero soltanto

quelle espressamente previste in via normativa dagli specifici e risalenti

ordinamenti settoriali oppure, in via generale dall'art. 20 L.241/1990 e dai

regolamenti dettati per la sua attuazione 61.

Inoltre, a parere della giurisprudenza, l’istituto poteva trovare applicazione

solo in caso di procedimenti che non richiedessero l’esercizio da parte

dell’amministrazione di un’attività discrezionale62.

60 T.A.R. Veneto, sez. I, 7 luglio 1998, n. 1326 (ai sensi dell'art. 20, l. 7 agosto 1990 n. 241, in caso di assenso formatosi per inutile decorso del termine prefissato dalla presentazione dell'istanza, la PA competente può annullare tale autorizzazione tacita ove la ritenga formata illegittimamente solo dopo aver assegnato un termine all'interessato per sanare i vizi dell'atto), cfr., però, Consiglio Stato, sez. II, 22 febbraio 1995, n. 2013. 61 T.A.R. Lazio, sez. II, 12 ottobre 2005, n. 8367. Cfr., altresì, TAR Lombardia, Milano, III, 28 aprile 2004, n.1523; T.A.R. Basilicata, 26 giugno 1997, n. 212. Sul rapporto tra art.20 L.241/1990 e competenza regionale: T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 1 febbraio 1996, n. 41 (L'art. 20 l. 7 agosto 1990 n. 241, per il suo carattere di norma in bianco, può trovare attuazione solo in base a disposizioni regolamentari che stabiliscano in quali casi e termini possano assentirsi autorizzazioni, licenze ecc. per silenzio assenso. Tali disposizioni, per il loro carattere di normativa di dettaglio e non di principio, non possono, ai sensi dell'art. 29, l. n. 241 del 1990, attuarsi direttamente in materie di competenza regionale, ove la regione abbia già concretamente esercitato la propria competenza legislativa, fino alla modifica della legge regionale vigente); T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 1 febbraio 1996, n. 41; Corte costituzionale, 13 dicembre 1991, n. 465. 62 C.Conti, sez. contr., 8 luglio 1996, n. 100 (le ipotesi di silenzio assenso previste dall'ordinamento hanno carattere assolutamente eccezionale, avendo, di regola, l'amministrazione l'obbligo di concludere il procedimento con una espressa manifestazione di volontà e non potendo, in ogni caso il predetto istituto essere applicato a fattispecie in cui sia fondamentale la concreta ponderazione da parte dell'amministrazione degli interessi coinvolti nel procedimento).

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La formulazione attuale della norma sembrerebbe ampliare, anche sotto tale

profilo, le ipotesi di silenzio assenso che, infatti, sembra assurgere a forma di

manifestazione generale dell’attività amministrativa intrapresa ad istanza di parte.

Le poche pronunce inerenti la specifica ipotesi del silenzio assenso, a seguito

della riforma, hanno ribadito profili dell’istituto già evidenziati nel vigore della

precedente normativa.

Tra queste risultano le sentenze che hanno evidenziato l’autonomia della

figura di silenzio assenso contemplata in materia urbanistica, rispetto all’ipotesi

generale di cui all’art.20 legge 241/199063 e la differenza tra l’istituto in esame e la

d.i.a. 64.

Efficacia, esecutività, esecutorietà e sospensione del provvedimento

Vengono disciplinati per la prima volta istituti fondamentali per il diritto

amministrativo, quali l’efficacia (art.21 – bis), l’esecutività (art.21-bis e art. 21 –

quater, co.1), l’esecutorietà (art.21-ter), la sospensione (art.21 –quater, co.2) del

provvedimento amministrativo.

E’ stabilito che tutti gli atti amministrativi sono immediatamente efficaci, con

eccezione di quelli ablatori (se non hanno carattere cautelare ed urgente, nel qual

caso anch’essi sono immediatamente efficaci) e sanzionatori.

I provvedimenti efficaci sono immediatamente eseguiti, salvo che sia

stabilito diversamente dalla legge o dal provvedimento stesso.

Le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l’adempimento

degli obblighi nei loro confronti solo se tale potere è riconosciuto dalla legge che ne

deve disciplinare le relative modalità.

Infine, il comma 2 dell’art. 21 quater disciplina il potere generale di

sospensione degli atti amministrativi, che fa capo allo stesso organo che ha

emanato l’atto, ovvero ad altro indicato dalla legge.

Il potere è riconosciuto purché ricorrano due condizioni: esistano gravi

ragioni e la sospensione sia disposta per il tempo strettamente necessario.

A quest’ultimo proposito la norma recepisce quanto già affermato in materia

dalla giurisprudenza65, precisando ulteriormente la necessaria temporaneità del

63 TAR Lazio, Latina, 24 febbraio 2006 n.249. 64 Sulla differenza tra silenzio assenso e d.i.a., di recente, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005 n. 3498. 65 T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 3 maggio 2004, n. 347. Sul potere generale di sospensione, explurimis, T.A.R. Abruzzo, Pescara, 3 marzo 2005, n.92, Cons. Stato, sez.V, 9 ottobre 2003, n. 6038, Cons. Stato, sez.IV, n.350/1995

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provvedimento di sospensione, nonché la necessaria indicazione del termine di

sospensione.

Una recente pronuncia attiene al potere amministrativo di sospensione66.

In essa il giudice amministrativo ribadisce la necessaria temporaneità del

provvedimento di sospensione, affermando che “una sospensione senza termine, o

legata ad una circostanza di apprezzamento non controllabile, si risolve in una

revoca sostanziale e, in ogni caso, non esonera la P.A. dall’adozione delle misure

necessarie ad impedire il pregiudizio dell’amministrato”.

La revoca del provvedimento

L’art. 21 – quinquies legge 241/1990 disciplina l’istituto generale della

revoca degli atti amministrativi ad efficacia durevole.

Secondo parte della giurisprudenza, tale norma avrebbe ampliato la nozione

di revoca del provvedimento amministrativo, ricomprendendo in essa sia il potere

(ius poenitendi) della P.A. di ritirare gli atti ad efficacia durevole, sulla base di

sopravvenuti motivi di interesse generale ovvero di mutamenti della situazione di

fatto, sia quello di rivedere il proprio operato (in corso di svolgimento) e di

modificarlo in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico

originario 67.

Secondo altra giurisprudenza, la norma, attraverso la puntuale

regolamentazione del potere di revoca provvedimentale, ne avrebbe, invece,

definito con rigore i presupposti e le condizioni per il relativo legittimo esercizio,

nonché i conseguenti effetti.

Sul piano dell’attività amministrativa, si determina, infatti, l’inidoneità del

provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti; sul piano della tutela

patrimoniale dei privati, viene introdotto il principio che impone l’obbligo generale di

indennizzo delle situazioni di pregiudizio arrecate ai soggetti direttamente

interessati, in conseguenza della revoca68.

La giurisprudenza ribadisce, inoltre, che il provvedimento di revoca, al pari

dell’annullamento, deve essere motivato con riguardo alle concrete ed attuali

ragioni di interesse pubblico che lo hanno determinato 69.

66 C.Stato, sez.V, 16 marzo 2005, n.1067. 67 T.A.R. Puglia, Lecce, 22 novembre 2005, n.5236. Cfr, altresì, TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 14 giugno 2006, n.744. 68 T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 1794/2006. 69 T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 9 giugno 2006, n.410. In materia, cfr., altresì, Cons. Stato, sez. V, 24 ottobre 1996 n. 1263 e sez. VI, 29 marzo 1996 n. 518, 30 aprile 1994 n. 652 e 16 novembre 1987 n. 890; nonché T.A.R. Campania, Napoli, 20 ottobre 1998 n. 3261.

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Le controversie relative alla determinazione e alla corresponsione

dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo.

La nullità del provvedimento

Con la riforma della legge 241, sulla scia dell’elaborazione giurisprudenziale

precedente, viene introdotto espressamente nell’ordinamento amministrativo

l’istituto della nullità dell’atto amministrativo.

La giurisprudenza formatasi all’indomani dell’introduzione nel testo della

legge 241/1990 dell’art.21 septies ha evidenziato i seguenti aspetti.

a) Distinzione tra nullità/inesistenza e illegittimità.

Viene ribadita la sostanziale equivalenza tra la figura della nullità e quella

dell’inesistenza. Le due figure sono distinte dall’illegittimità 70.

b) Il carattere procedimentale e non processuale della norma.

Si evidenzia come la norma introdotta abbia carattere procedimentale e non

processuale: ne consegue l’immediata applicazione della stessa ai procedimenti in

corso e non ancora definiti71.

c) La distinzione tra carenza di potere in astratto e in concreto.

Si afferma che l'art. 21 septies, nell'introdurre, per la prima volta in via

generale, la categoria normativa della nullità del provvedimento amministrativo, ha

ricondotto a tale radicale patologia solo il difetto assoluto di attribuzione, che evoca

la c.d. “carenza in astratto del potere” (cioè la mancanza in astratto della norma

giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo). In

questo modo fa implicitamente rientrare nell'area della annullabilità, per violazione

di legge, la categoria della c.d. “nullità per carenza di potere in concreto”, elaborata

dalla Cassazione con riferimento ai procedimenti espropriativi, nei quali

l’amministrazione abbia omesso di fissare i termini di cui all'art. 13 della legge n.

2359 del 186572.

d) L’esclusione dalle ipotesi di nullità relativa alla violazione o elusione di giudicato

delle misure cautelari.

Secondo il giudice amministrativo, le previsioni sulla nullità per violazione o

elusione di giudicato non possono estendersi alle misure cautelari concesse dal

giudice amministrativo che, pertanto, vanno impugnate negli ordinari termini

decadenziali.

70 Cons. Stato, 6023/2005, che richiama Cons. Stato, sez.VI, n. 948/99 e sez.V n. 166/98; sez.IV n. 1091/94; n. 990/92, n. 805/91 e n. 343/91. 71 Cons. Stato, 12 aprile 2005, n.6023 72 T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 28 aprile 2005, n. 5025

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Infatti, “tale assimilazione, oltre a porsi in contrasto con la chiara lettera

della legge, …trova un ostacolo insormontabile nei caratteri tipici del giudicato, i

quali sono affatto estranei alle misure cautelari. Focalizzando l’attenzione

esclusivamente sugli effetti, può richiamarsi il carattere definitivo ed incontestabile

del giudicato, il quale è impermeabile finanche alle pronunce di incostituzionalità,

per loro natura connotate da retroattività. Tali caratteri sono estranei alle misure

cautelari, le quali sono naturalmente munite di un’efficacia interinale e provvisoria,

destinata a cessare con la pronuncia di merito, anche di primo grado. E di tali

differenze ha avuto piena contezza lo stesso legislatore che, nel disciplinare un

procedimento speciale per l’attuazione coattiva delle misure cautelari concesse dal

giudice amministrativo (art. 21, 14° comma, l. n. 1034/71, introdotto dalla legge n.

205/2000), non ha inteso estendere l’ambito applicativo del giudizio di

ottemperanza, ma ha preferito limitarsi ad attribuire al giudice della cautela i soli

poteri esercitati in sede di ottemperanza ex art. 27, 1° comma, n. 4) del Testo

unico n. 1054/1924)”73.

L’annullabilità del provvedimento

La legge del 2005 riproduce all’interno della legge 241/1990 quanto già

previsto dall’art.26 T.U. delle leggi sul Consiglio di Stato.

In passato, la problematica delle violazioni formali dell’atto amministrativo è

stata oggetto di molteplici pronunce della giurisprudenza, la quale ha rilevato e

qualificato come tali sostanzialmente tre ipotesi di invalidità minori: le mere

irregolarità, le violazioni formali inidonee ad alterare lo scopo del provvedimento e

quelle inidonee a modificarne il contenuto dispositivo.

Sono state qualificate come mere irregolarità le imperfezioni di forma o

procedura che non abbiano inciso sugli elementi essenziali dell’atto, né sulla

formazione della decisione74.

73 T.A.R. Calabria, Catanzaro, 26 luglio 2005, n.1397. 74 Cons. Stato, sez.VI, 597/1999 (sull’omessa indicazione del responsabile del procedimento); di recente, T.A.R. Lazio, sez. II, 9 settembre 2005, n.6785 (L'omessa indicazione dell'autorità a cui ricorrere e del termine utile per proporre gravame costituiscono mere irregolarità, in grado di consentire, tutt'al più, la scusabilità dell'errore e la conseguente rimessione in termini del ricorrente; in materia, cfr. Cass. Civ., sez.I, 30 agosto 2005, n.17485;, T.A.R. Liguria, sez.I, 1 aprile 2005, n.413; T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 24 maggio 2004; Cons. Stato, sez. III, 2 dicembre 2003, n. 560); T.A.R. Toscana, sez. III, 4 ottobre 2004, n. 4101 (la mancata allegazione degli atti richiamati nella motivazione non rende illegittimo il provvedimento motivato "ob relationem", rilevando piuttosto come mera irregolarità, nel senso di "impedire il decorso del termine per ricorrere";T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 27 giugno 2002 n. 3155; o, in termini sostanzialmente identici, comporta "una mera procrastinazione del termine iniziale per l'impugnazione del provvedimento stesso"; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 7 marzo 2003 n. 738; cioè a dire che il destinatario dell’atto "non acquisisce la conoscenza della lesività e che il termine di impugnazione non inizia a decorrere"; Cons. Stato, sez. VI, 25 settembre 2002 n. 4879).

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Con riferimento alle violazioni formali inidonee ad alterare lo scopo o ad

incidere sulla formazione del provvedimento, la giurisprudenza è per lo più ricorsa

al principio di “strumentalità delle forme”.75

In particolare, sono stati ricondotti a tali due categorie di vizi formali le

violazioni inerenti la comunicazione di avvio del procedimento76, il difetto o la

mancanza di motivazione nei casi di provvedimenti vincolati, oltre ad ipotesi di vizi

inerenti i procedimenti elettorali.

L’art. 21 octies, in esame, è stato oggetto di molteplici pronunce

giurisprudenziali, attesa l’immediata applicabilità della norma anche ai procedimenti

in corso.

Vari gli aspetti evidenziati.

a) Individuazione delle violazioni delle norme sul procedimento o sulla forma degli

atti che, per la natura vincolata del provvedimento, non determinano l’annullabilità

dello stesso, qualora ricorrano le condizioni previste dal co.2, primo capoverso,

art.21 octies.

Tra gli elementi esaminati rilevano: il difetto della motivazione77 e la

mancata fissazione dei termini per presentare osservazioni78.

b) Carattere procedimentale e non processuale della norma.

In modo analogo all’art.21 septies, si ritiene che anche l’art. 21 octies non

assuma carattere processuale, ma procedimentale e, pertanto, sia applicabile anche

ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge

15/2005 79.

c) Differenze tra atto amministrativo irregolare e sanatoria ex art. 21 octies.

Sempre secondo la giurisprudenza, l’art.21 octies non degrada un vizio di

legittimità a mera irregolarità, ma fa sì che l’illegittimità procedimentale non

75T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 25 febbraio 1998, n. 707 (In base ai principi generali di conservazione degli atti giuridici e di strumentalità delle forme, l'omessa indicazione in calce al provvedimento dell'autorità alla quale è possibile ricorrere contro di esso, come prescritto dall'art. 3 comma 4 l. 7 agosto 1990 n. 241, non determina nè l'invalidità nè l'inefficacia del provvedimento stesso, ma costituisce mera irregolarità improduttiva di effetti allorché non si siano verificate in concreto conseguenze pregiudizievoli per i destinatari ed impedimenti al raggiungimento dello scopo cui è preordinata la prevista formalità). 76 T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, n. 466/2004. 77 T.A.R. Abruzzo, Pescara, 7 aprile 2005, n. 185: “ Ai sensi dell'art. 21 octies l. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dall'art. 14 l. 11 febbraio 2005 n. 15, non può pronunciarsi l'annullamento per difetto di motivazione, di un diniego del permesso di costruire qualora dall'esame degli atti di causa sia palese il fatto che l'amministrazione non avrebbe mai potuto assentire il richiesto permesso in quanto la destinazione che si vorrebbe attribuire al manufatto da realizzare non è compatibile con le destinazioni previste nella zona in questione dallo strumento urbanistico”. Più recentemente, Cons. Stato, sez. VI, 5969/2006. 78 Cons. Stato, sez.VI, 16 maggio 2006, n.2673. Secondo il Consiglio di Stato, nell’ambito di un procedimento amministrativo, la mancata fissazione del termine per presentare le osservazioni costituisce un’anormalità dallo schema normativo astratto, di minor conto e quindi innocua, che non comporta vizio e non conduce ad invalidare l’atto finale, qualora gli interessati abbiano comunque avuto modo di partecipare al procedimento. 79 Cons. Stato, sez.VI, 16 maggio 2006, n.2673; T.A.R. Basilicata, Potenza, sez.I, 30 maggio 2005.

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comporti l’annullabilità dell’atto sulla base di valutazioni attinenti il contenuto del

provvedimento, effettuate ex post dal giudice.

Diversamente dall’illegittimità, che opera ex ante e in astratto, il

provvedimento amministrativo affetto da vizio formale minore è un atto ab origine

meramente irregolare.

Ciò comporta che l’entrata in vigore dell’art.21 octies non ha inciso sulla

categoria dell’irregolarità dell’atto amministrativo, come già definita da dottrina e

giurisprudenza. In realtà, la riforma ha codificato preesistenti tendenze

giurisprudenziali, tese a valutare l’interesse a ricorrere, negato ove il ricorrente non

possa attendersi, dalla rinnovazione del procedimento, una decisione diversa da

quella già adottata.

In particolare, sulla base dell’art.21 octies, il provvedimento non è passibile

di annullamento, per il solo fatto di avere un contenuto tale da non poter essere

modificato. Tale circostanza priva il ricorrente dell’interesse a coltivare un giudizio,

da cui non potrebbe ricavare alcuna concreta utilità80.

d) Irrilevanza della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

In armonia con la posizione della dottrina, anche secondo la giurisprudenza il

secondo capoverso del comma 2 dell’art.21 octies si applica sia agli atti vincolati

che agli atti discrezionali.

Si ritiene, inoltre, che la disciplina debba applicarsi anche nell’ambito

dell’omessa comunicazione dell’avvio di quella particolare sequenza procedimentale

prevista dall’art.10 bis legge 214/1990, come novellata nel 2005.

Infatti, anche in tale ipotesi l’amministrazione procedente è tenuta ad

iniziare un contraddittorio con il destinatario dell’emanando provvedimento, al fine

di raccoglierne il contributo istruttorio, indispensabile per addivenire ad una

compiuta disamina di quegli elementi di fatto e di diritto che risulteranno decisivi

per la determinazione da assumere.81

Dall’esame delle prime pronunce giurisprudenziali in materia emerge,

tuttavia, una duplice esigenza: evitare interpretazioni estensive della norma, che

possano comportare il rischio di ingiustificate limitazioni al diritto d’azione del

cittadino e richiedere all’amministrazione di fornire in giudizio elementi di prova

oggettivamente verificabili.

In particolare, l'amministrazione è tenuta ad esibire nel giudizio elementi di

fatto, prevalentemente di natura tecnica ed oggettivamente verificabili, che siano

80 T.A.R. Sardegna, 27 maggio 2005, n.1272. 81 T.A.R. Veneto, 7 settembre 2005.

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idonei a dimostrare in concreto che, in nessun altro modo, non lesivo per la

posizione del ricorrente, si sarebbe potuto raggiungere lo scopo. 82

In sostanza, ogni ulteriore elemento conoscitivo, che l'interessato avrebbe

potuto evidenziare, non sarebbe idoneo a scongiurare la lesione lamentata, proprio

per l'oggettiva impossibilità di addivenire ad una decisione diversa.

Ne consegue che con l’art.21 octies è stata introdotta una autonoma fase

nel processo amministrativo, diretta specificamente alla verifica dei presupposti che

potrebbero rendere il provvedimento, in origine illegittimo, non più annullabile

perché sanato83.

Tale fase del procedimento giurisdizionale, avendo il fine di conciliare il

criterio dell'efficienza amministrativa (art. 3-bis della 241/90) con quello della

garanzia, impone, inoltre, che al privato sia data la possibilità di controdedurre a

sua volta sugli elementi di prova esibiti, in modo da assicurare in giudizio quella

tutela che consenta di ritenere sanato il vizio originario.

In realtà, l’amministrazione costituitasi in giudizio, invocando l’art.21 octies,

finisce per proporre al giudice un’istanza che assume consistenza e caratteristiche

molto simili, se non proprie, a quelle di una domanda di tipo riconvenzionale.

Questa amplia (se non addirittura muta, in parte qua) il thema decidendum del

giudizio impugnatorio che, nato come giudizio sull'atto, si trasforma in un giudizio

di merito sul contenuto dispositivo del provvedimento.

Riprova ne è che il giudice, investito del relativo petitum, dovrà trattare

prioritariamente, con un'inversione processuale, la domanda del convenuto rispetto

ai dedotti motivi di ricorso.

Ne conseguirà che, ove accolta l'istanza processuale, il ricorrente, rispetto al

dedotto vizio (violazione art. 7, legge n. 241/90), paleserà un difetto d'interesse

alla sua proposizione e/o coltivazione, atteso che il provvedimento non avrebbe

potuto scontare, in parte qua, un esito diverso da quello licenziato.

“Non è, si badi, che il vizio non esiste più o non rileva, come per il caso di

attività vincolata; semplicemente, che l'inversione processuale di trattazione dei

petita finisce, in caso di accoglimento dell'istanza di parte resistente, con l'incidere

negativamente sull'interesse stesso ad agire, in parte qua, del ricorrente”84.

82 T.A.R. Campania, Napoli, sez.II, 29 aprile 2005, n. 5226; T.A.R. Piemonte, sez.II, 22 ottobre 2005, n.3278; T.A.R. Basilicata, 15 marzo 2005, n.139 e T.A.R. Campania, Napoli, 3 marzo 2005, n.1672; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez.I, 26 aprile 2005, n.211. 83 T.A.R. Sardegna, sez. II, 27 maggio 2005, n. 1272. Cfr., altresì, T.A.R. Sardegna, 21 settembre 2005, n.1917. 84 T.A.R. Lazio, Latina, sez.I 10 giugno 2005, n.534.

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L’annullabilità d’ufficio

Prima della recente normativa, l’istituto dell’annullamento d’ufficio era stato

identificato e definito solo dalla giurisprudenza.

In particolare, essa aveva determinato i limiti, i presupposti e le condizioni di

legittimità dell’annullamento d’ufficio e chiarito come questo non potesse fondarsi

sulla mera esigenza di ripristino della legalità violata, ma dovesse sussistere un

interesse pubblico, concreto ed attuale, alla rimozione dell’atto, di cui

l’amministrazione era chiamata a dare conto nella motivazione85.

Ciò in quanto l’esercizio dello ius poenitendi da parte dell’amministrazione

incontrava un limite insuperabile: la necessità di salvaguardare le situazioni dei

soggetti privati che, trascorso un notevole lasso di tempo nel silenzio

dell’amministrazione, confidavano nella legittimità dell’atto, da cui acquisivano il

consolidamento delle rispettive posizioni di vantaggio86.

L’art.21 nonies introduce nell’ordinamento una disciplina generale sul potere

amministrativo di annullamento d’ufficio e prevede la possibilità di convalida del

provvedimento annullabile.

L’istituto, la cui nozione risulta in parte coincidente con quanto affermato

sino ad ora dalla giurisprudenza 87, esce sostanzialmente arricchito dalla nuova

legge.

In particolare, l’art. 21 nonies pone l’annullamento d’ufficio in linea con

l’orientamento del giudice comunitario in materia di tutela dell’affidamento e di

certezza del diritto, in quanto prevede che il potere dell’amministrazione possa

essere esercitato, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, entro un termine

ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati 88.

Quanto alla convalida, il secondo comma dell’art.21 nonies riconosce in capo

all’amministrazione un potere generale, purché, anche in tal caso, questo sia

esercitato entro un termine ragionevole e sussistano ragioni di pubblico interesse89.

Il problema più spinoso che la giurisprudenza ha affrontato relativamente al

potere di convalida attiene all’applicazione dell’art.6 legge 18 marzo 1968, n.249,

85 Ex multis, cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 marzo 2003, n.1150. 86 Cons. Stato, sez. V, 24 settembre 2003, n.5444; Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 2004, n.53. 87 Con riferimento ai presupposti dell’illegittimità dell’atto e della sussistenza di ragioni di pubblico interesse. Cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 20 dicembre 1999, n.51; Cons. Stato, sez.V, 13 febbraio 1998, n.158; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Venezia, 14 aprile 1987, n.116. Contra, cfr. C.Giust. Amm. Sicilia, sez, giurisd., 29 novembre 1999, n.620. Quanto al fattore tempo, oltre a Cons. Stato, sez.IV, 20 marzo 1992, n.314; Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 1991, n. 472. Contra, di recente, Cons. Stato, sez. IV, 6956/2004, che afferma, invece, l’irrilevanza del fattore tempo. 88 C.di Giustizia, 17 dicembre 1998, causa Embassy Limuousines & Services/Parlamento europeo, per cui il legittimo affidamento si estende a chiunque si trovi in una situazione nella quale risulti che l’Amministrazione gli abbia suscitato legittime aspettative.89 Cons. Stato, sez.VI, 20 aprile 2006, n.2198; Cons. Stato, sez.V, 30 maggio 2006, n.3281; Cons. Stato, sez. V, 30 maggio 2006, n.3280.

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secondo cui alla convalida degli atti viziati di incompetenza può provvedersi anche

in pendenza di gravame in sede amministrativa e giurisdizionale90.

In merito non si registra un’uniformità di vedute. Se parte della

giurisprudenza riconosce in capo all’amministrazione il potere di convalidare in

corso di giudizio anche gli atti colpiti da vizi diversi dall’incompetenza, purché questi

assumano carattere formale e non attengano al contenuto dispositivo91, altra parte

ritiene vigenti le disposizioni del citato art.9 legge 249/1968 92.

Dall’esame della giurisprudenza93 formatasi all’indomani della legge 15/2005

è possibile trarre le seguenti riflessioni.

a) Competenza nell’emanazione del provvedimento di annullamento d’ufficio.

Una recente sentenza del giudice di primo grado ha esaminato il potere di

annullamento d’ufficio all’interno delle amministrazioni locali.

In particolare, si è ritenuto che, in esse, stante il principio di separazione tra

poteri d’indirizzo, di spettanza degli organi politici, e poteri gestionali, di

competenza dirigenziale, nel silenzio del legislatore, non possono essere annullati

dal sindaco gli atti dei dirigenti, anche se il provvedimento di annullamento

sindacale venga controfirmato dal segretario comunale94.

b) L’annullamento d’ufficio del provvedimento di aggiudicazione provvisoria.

L’art.21 nonies pone come presupposto indefettibile per l’esercizio del potere

di annullamento la previa ponderazione di tutti gli interessi coinvolti e prescinde, in

una certa misura, dal consolidamento di quelli privati, i quali devono essere,

comunque, considerati nell’apprezzamento globale.

Nelle procedure di evidenza pubblica, i principi di concorrenzialità e

trasparenza dell’azione amministrativa, nonché l’esigenza di perseguire economicità

e funzionalità, impongono un’attenta comparazione tra il ripristino della legalità e

gli interessi pubblici o privati, che da tale ripristino risultino eventualmente

sacrificati.

90 Secondo V.Cerulli Irelli, l’introduzione nell’ordinamento dell’art.21 octies renderebbe superflua la convalida anche in corso di giudizio. 91 T.A.R. Lazio, sez.I, 398/2002; Cons. Stato, sez.VI, 1054/2003. 92 T.A.R. Lombardia, Milano, sez.III, 11 ottobre 2004, n.5521, secondo cui: “La questione attinente alla sussistenza del potere, per la p.a., di convalidare un atto amministrativo viziato, in pendenza di un giudizio proposto avverso l’atto della cui convalida si tratta, è risolta a livello normativo solo con riguardo al vizio di incompetenza, di carattere meramente formale, ai sensi dell'art. 6, l. 18 marzo 1968 n. 249; nel silenzio della legge, pertanto, tale potere non è concesso nel caso di vizio di difetto di motivazione, di carattere non meramente formale, dovendo la motivazione precedere e non seguire il provvedimento amministrativo, posto che altrimenti l'Autorità finirebbe con l'eludere le garanzie che sono predisposte a tutela del cittadino leso dal provvedimento e frustrerebbe l'interesse del ricorrente ad ottenere una decisione di annullamento del provvedimento viziato”.93 Per una riflessione generale sul potere di annullamento, Cons. Stato, sez.IV, 14 febbraio 2006, n.564. Recentissima, in materia, Cons. Stato, sez.V, 19 giugno 2006, n.3576. 94 T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, VI, 23/05/2006, n.2006.

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Quanto rilevato vale anche nelle ipotesi di aggiudicazione provvisoria. Infatti,

se è vero che tale provvisorietà preclude, in via di principio, il consolidarsi di

posizioni di interesse privato, non per questo la stazione appaltante può ritenersi

assolta dall’obbligo di valutare adeguatamente se sussista, in relazione allo

specifico vizio riscontrato, un interesse alla conservazione degli atti compiuti.

Inoltre, la PA dovrà comunque valutare se detto interesse sia prevalente rispetto

all’interesse all’annullamento degli atti, ove non risultino pregiudicati i fondamentali

principi del rispetto delle regole di gara e della correlata par condicio che tale

rispetto garantisce95.

L’accesso ai documenti amministrativi

Natura giuridica del cd. diritto di accesso

La prima questione che occorre trattare in tema di diritto di accesso e che è

stata più volte trattata dalla giurisprudenza è quella della qualificazione della natura

giuridica della facoltà riconosciuta ai cittadini di accedere ai documenti detenuti

dalla pubblica amministrazione.

Il quesito che si è posto è se trattasi di una posizione di diritto soggettivo o

di interesse legittimo.

In tal senso, un copioso orientamento giurisprudenziale propendeva per la

qualificazione dell’accesso in termini di interesse legittimo96, atteso il termine

perentorio previsto per il ricorso giurisdizionale avverso le determinazioni della PA

in tema di accesso.

Tuttavia, nonostante il precedente illustre, si sono avute pronunce tendenti a

qualificare l’accesso come vero e proprio diritto soggettivo97.

Con la riforma del 2005, la modifica incisiva sulle disposizioni relative

all’accesso ha spinto il Consiglio di Stato ha riportare alla ribalta la questione della

natura del cd. diritto di acceso, propendendo per la qualificazione in termini di

diritto soggettivo98.

Sul punto è stata, quindi, adita l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato99 la

quale, argomentando circa lo scarso rilievo del problema, ha ritenuto detta facoltà

meramente strumentale alla tutela della posizione giuridica sottostante,

95 Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2006, n.846. 96 Cons. Stato, Ad. Plen. 24 giugno 1999, n.16; Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2004 n. 1969. 97 Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2005, n. 1679; Cons. Stato, sez. VI, 27 maggio 2003 n. 2938. 98 Cons. Stato, sez. VI, ordinanza 9 settembre 2005 n. 4686 e ordinanza 7 giugno 2005 n. 2954. 99 Cons. Stato, Ad. Plen., 18 aprile 2006 n.6; Ad. Plen. 20 aprile 2006, n.7.

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riconoscendo, quindi, all’accesso la caratteristica di offrire al titolare dell’interesse

poteri di natura squisitamente procedimentali.

Le recenti decisioni menzionate si soffermano anche sul termine previsto per

l’impugnazione del diniego di accesso “da ritenere necessariamente posto a pena di

decadenza”100.

Nozione di pubblica amministrazione nei cui confronti è esercitabile l’accesso

Altro punto focale su cui sono intervenute le modifiche legislative del 2005,

riguarda il novero dei soggetti nei confronti dei quali è possibile esercitare il diritto

di accesso e la nozione di documento amministrativo oggetto di accesso.

Sul punto, la giurisprudenza aveva riconosciuto la facoltà dell’accesso nei

confronti di soggetti privati esercenti attività rilevanti dal punto di vista

dell’interesse pubblico, già prima della riforma da ultimo intervenuta101.

Con la formalizzazione di detta facoltà nel nuovo testo legislativo, le

decisioni successive si sono, quindi, allineate all’orientamento già ampiamente

dominante102.

Legittimazione attiva ad esercitare l’accesso

A livello normativo, i caratteri dell’interesse sotteso all’accesso si

sostanziano, oggi, nella attualità dell’interesse, nella personalità e nella

concretezza103.

In proposito, la giurisprudenza esclude la possibilità per il cittadino di

esercitare l’accesso al fine di un controllo generalizzato e indistinto sull’operato

dell’amministrazione. L'accesso, infatti, non può essere esercitato attraverso

l'acquisizione di una vastissima massa documentale riguardante l'intera attività

gestionale svolta da un apparato pubblico. Ciò, infatti, concreterebbe una modalità

di controllo generico sull'operato della PA che, comunque, non può essere attuato

nelle forme procedimentalizzate ed assistite dalla tutela giurisdizionale

dell'accesso104.

100 La conseguenza di detta qualificazione è data dall’inammissibilità del ricorso avverso un provvedimento di diniego meramente confermativo di un precedente non impugnato nei termini. 101 T.A.R. Lazio, sez. II ter, 13 settembre 2002, n. 7961; Cons. Stato, sez. VI, 7 agosto 2002 n. 4152; Cons. Stato, sez. VI, 19 luglio 2002 n. 4009; Cons. Stato, Ad. Plen., nn. 4-5/1999. 102 Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2005 n. 3417; Tar Campania, Salerno, sez. II, 21 giugno 2005, n. 915; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 10 marzo 2005, n. 1685. 103 Art. 22, lett. b) legge 241/90. T.A.R. Marche, 19 luglio 2005, n. 934; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 11 luglio 2005, n. 1165; T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 22 giugno 2005, n. 1045; T.A.R. Lazio, sez. III, 3 marzo 2005, n. 1627; Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2004, n.6581. 104 T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 25 maggio 2005, n. 1076; T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 13 luglio 2005, n. 1416; Cons.Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7412.

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Per quanto riguarda l’esercizio del diritto di accesso da parte di soggetti

portatori di interessi diffusi e pubblici, la giurisprudenza ha specificato che

l’esercizio del diritto di accesso da parte di questi soggetti è legittimo, in presenza

delle seguenti condizioni: che sia sussistente una posizione giuridicamente rilevante

e un interesse specifico alla cura di detta situazione; che vi sia la capacità

dell’associazione di rappresentare l’interesse diffuso. Si afferma, poi, che gli enti

associativi sono legittimati ad esercitare il diritto di accesso solo per la tutela

dell’interesse differenziato della categoria rappresentata e non per la tutela degli

interessi propri dei singoli associati105.

Requisiti della domanda di accesso ai documenti amministrativi

Sul punto, la sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato, n. 555/2006,

riportandosi anche alla giurisprudenza precedente, individua tutti i requisiti

necessari affinché la domanda di accesso possa ritenersi legittima ed essere,

conseguentemente, accolta.

Come primo requisito, si specifica che la domanda di accesso deve avere un

oggetto determinato o quanto meno determinabile, e non può essere generica.

La stessa deve riferirsi a specifici documenti e non può pertanto comportare

la necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario

della richiesta106.

La domanda di accesso deve, poi, essere finalizzata alla tutela di uno

specifico interesse giuridico di cui il richiedente è portatore e, come già specificato,

non può essere uno strumento di controllo generalizzato dell’operato della pubblica

amministrazione ovvero del gestore di pubblico servizio nei cui confronti l’accesso

viene esercitato.

Inoltre, la richiesta di accesso alla documentazione amministrativa non può

essere un mezzo per compiere una indagine o un controllo ispettivo, cui sono

ordinariamente preposti organi pubblici, perché in tal caso nella domanda di

105 Cons. Stato, sez. VI, n.2959/2006; Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2006, n. 555/2006, che afferma che “anche alle associazioni di tutela dei consumatori si applica l’art. 22, l. n. 241/1990, che consente l’accesso non come forma di azione popolare, bensì a tutela di “situazioni giuridicamente rilevanti”, e dunque anche per dette associazioni occorre verificare la sussistenza di un interesse concreto e attuale

all’accesso”; Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2004, n. 127; T.A.R. Lazio, sez. II, 11 gennaio 2005, n. 168. 106 Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2004 n. 3271; Cons. Stato, sez. VI, 10 aprile 2003, n. 1925. Esclude l’accesso per atti non ancora formalmente adottati o non ancora formalizzati in un supporto T.A.R. Lazio, sez. II, 9 maggio 2001 n. 4025.

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accesso risulterebbe assente un diretto collegamento con specifiche situazioni

giuridicamente rilevanti107.

Proprio per questo, l’interesse sotteso alla domanda di accesso non può

essere negato a priori, ma va dimostrato, di volta in volta, dalla pubblica

amministrazione, attraverso la considerazione puntuale di tutti i concreti profili della

richiesta. Pertanto, anche se il diritto di accesso è volto ad assicurare la trasparenza

dell'attività amministrativa e a favorirne lo svolgimento imparziale (come recita

l'art. 22, l. n. 241/1990), rimane fermo che l'accesso è consentito soltanto a coloro

ai quali gli atti stessi, direttamente o indirettamente, si rivolgono e che se ne

possano eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva.

Detta posizione, anche se non deve assumere necessariamente la

consistenza del diritto soggettivo o dell'interesse legittimo, deve essere però

giuridicamente tutelata, non potendo identificarsi con il generico ed indistinto

interesse di ogni cittadino al buon andamento dell' attività amministrativa108.

Ancora, secondo il supremo Consesso, la domanda di accesso va valutata

con riguardo al momento in cui venga formulata e portata all’attenzione

dell’amministrazione.

In tale quadro si inserisce la riforma legislativa del 2005 che, riscrivendo

tutto il capo V della legge 241/90 sul diritto di accesso, non fa che codificare il

diritto giurisprudenziale già esistente.

I limiti al diritto di accesso.

La giurisprudenza afferma che i casi di esclusione dell’accesso individuati

dalla legge sono basati su un giudizio legislativo astratto di pericolosità dell’accesso

a determinate categorie di documenti (Cons. Stato, sez. IV, 23 marzo 2004, n.

1475). Esistono peraltro anche cd. limiti facoltativi, rimessi cioè al discrezionale

apprezzamento delle amministrazioni che, con proprie determinazioni,

individueranno i casi di differimento o diniego dell’accesso.

La risposta dell’amministrazione

A fronte di una domanda di accesso inoltrata da un soggetto interessato,

l’amministrazione può accogliere la richiesta, concedendo all’istante un congruo

107 T.A.R. Lazio, sez. II, 22 luglio 1998, n. 1201, resa sulla domanda di accesso del CODACONS mirante a prendere conoscenza di tutto il materiale - reclami, denunce, provvedimenti disciplinari, spese per risarcimento - inerente a casi di smarrimento o furto verificatisi in occasione di spedizioni postali nell’arco di più anni. 108 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 555/2006, cit.

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termine, comunque non inferiore a 15 giorni, per la visione e l’estrazione di copia

dei documenti richiesti.

In caso contrario, l’amministrazione può determinarsi nel respingere la

domanda, ovvero nel differirla, ovvero ancora nel limitarla, purchè tali esiti vengano

opportunamente motivati109.

Un’ultima ipotesi è, comunque, prevista dalla legge, laddove si prevede il

caso del cd. silenzio-rigetto; in altri termini, laddove l’amministrazione non adotti

alcun provvedimento in ordine all’istanza di accesso, la stessa si intende respinta,

decorsi 30 giorni dalla data di presentazione 110.

Rapporti tra diritto di accesso e tutela della riservatezza

Tendenzialmente, la giurisprudenza sul punto, fin dalla decisione

dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 1997111, ha sposato la tesi della

prevalenza del diritto di accesso sulla tutela della riservatezza, soprattutto nei casi

in cui l’accesso sia preordinato alla cura o alla difesa di interessi giuridici112.

Infatti, si precisa che il diritto di accesso prevale sull'esigenza di riservatezza

del terzo ogniqualvolta l'accesso venga in rilievo per la cura o la difesa di interessi

giuridici del richiedente, salvo che non si tratti di dati personali (dati c.d. sensibili),

cioè di atti idonei a rivelare l'origine razziale etnica, le convinzioni religiose,

politiche, lo stato di salute o la vita sessuale di terzi. In questi casi, l'art. 16 comma

2 d.lg. 11 maggio 1999 n. 135 (ora art. 60 d.lg. n. 196 del 2003) prescrive che

l'accesso è possibile solo se il diritto che il richiedente deve far valere o difendere è

di rango almeno pari a quello della persona cui si riferiscono i dati stessi113.

La riforma del 2005, proprio allo scopo di conciliare le esigenze di

trasparenza dell’azione amministrativa con il diritto alla riservatezza, ha dato

109 Art. 25, comma 3, legge 241/90. 109 Art. 25, comma 3, legge 241/90; cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, 4 luglio 2002, n. 6127; T.A.R. Lazio

Latina, 26 settembre 2005, n. 835; T.A.R. Lazio, sez. II, 2 maggio 2005, n. 3224.110 Art. 25, comma 4, legge 241/90; cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005 n. 7624, laddove si afferma che, ai fini dell’impugnazione giurisdizionale del silenzio serbato dalla PA, deve essere applicato il termine di 30 giorni sia in caso di impugnazione di un espresso provvedimento di diniego della richiesta di accesso agli atti, sia in caso di silenzio dell'amministrazione equiparato a provvedimento di rigetto, senza che in tale ultima ipotesi siano applicabili le diverse norme introdotte per contestare il silenzio della p.a. non qualificato dal legislatore. 111 Cons. Stato, Ad. Plen. 4 febbraio 1997, n.5. 112 Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2000, n. 1916; Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2004, n. 14.113 Cons. Stato, sez. VI, 26 aprile 2005 n.1896; conforme T.A.R. Campania, sez. II, 20 aprile 2006 n. 3809; significativa anche la decisione T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 8 giugno 2005, n. 1010 secondo cui “La domanda di accesso agli atti prevista dall'art. 25 l. 7 agosto 1990 n. 241 prevale sull'esigenze di riservatezza dei terzi quando sia concretamente collegato alle specifiche esigenze del richiedente, di carattere serio e non emulativo, allorché il documento è indispensabile o utile ai fini della tutela processuale, purché tale esigenza non possa essere altrimenti soddisfatta; pertanto, è inammissibile la domanda volta ad ottenere l'esibizione e l'estrazione di una notevole quantità di documenti senza la puntuale dimostrazione dell'utilità specifica per l'interessato, se non un generico riferimento all'onere della prova nel procedimento giurisdizionale in atto”.

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particolare rilievo alla figura del cd. controinteressato, soprattutto nell’ambito

dell’eventuale ricorso giurisdizionale avverso determinazioni in materia di

accesso114.

Se ne deduce che il ricorso ex art. 25 l. n. 241 del 1990 risulta

inammissibile, allorché sia omessa la notifica ad almeno uno dei controinteressati,

intesi quali soggetti determinati cui si riferiscono i documenti richiesti con la

domanda di accesso. Questi devono essere posti in grado di difendersi ed esporre le

loro ragioni che possano far ritenere prevalente le loro esigenze rispetto alle

pretese del ricorrente115.

La tutela giurisdizionale dell’accesso

La materia del diritto di accesso ai documenti amministrativi è riservata

dall'art. 25, comma 5, della legge 241/90, alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo, senza che rilevi la distinzione, ai fini della giurisdizione, tra accesso

"partecipativo" o procedimentale ed accesso "informativo" ai sensi degli artt.22 sg.

legge 241/90116.

Sempre l'art. 25 introduce una disciplina processuale che, con disposizione

eccezionale e perciò di stretta interpretazione, impone un termine abbreviato per la

proposizione del ricorso di primo grado e di quello di appello, nulla disponendo

relativamente agli altri termini processuali quali, ad esempio, quello per il deposito

del ricorso o dell'atto di appello o dell'appello incidentale117.

Il giudizio sull’accesso si presenta, poi, come un giudizio di accertamento,

nonostante la natura impugnatoria dell’atto introduttivo. La stessa riforma del

2005, infatti, specifica che il Giudice non debba limitarsi all’annullamento dell’atto

impugnato ma, ove ne sussistano i presupposti, possa ordinare all’amministrazione

di esibire i documenti richiesti, condannando quindi la PA ad un comportamento

positivo118.

114 T.A.R.Lazio, sez. I, 12 maggio 2005 n. 3730; cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 9 maggio 2005, n. 3466. 115 T.A.R. Veneto, sez. III, 20 aprile 2005, n.1635; Tar Lazio, sez. I, 16 giugno 2005, n. 5044116 Cass. Civ., SS.UU., 28 giugno 2005, n.13832. 117 T.A.R. Lazio, sez. III, 25 ottobre 2005, n. 9805. 118 Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2004, n.2866