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LA NUOVA DISCIPLINA DEL CONFLITTO DI INTERESSI DEI PUBBLICI FUNZIONARI di Carlo Buonauro, magistrato amminsitrativo Il principio di imparzialità è esplicitamente affermato nell’art. 97 della Costituzione italiana. Esso rappresenta il principio fondamentale che deve guidare la pubblica amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni. In particolare, ai sensi del secondo comma di tale articolo “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.”. 1 Il combinato disposto degli artt. 3 e 97 Cost. disegna un preciso obbligo per la pubblica amministrazione di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia, evitando ogni discriminazione e arbitrio nell’attuazione dell’interesse pubblico. Il principio di imparzialità si esplicita, dunque, sia sul piano dell’organizzazione sia su quello dell’attività; diventa principio generale che guida l’intera vita amministrativa, dal reclutamento del personale attraverso il meccanismo concorsuale, alla definizione delle sfere di competenza, al rapporto tra organi e uffici, alle modalità di svolgimento della stessa funzione pubblica. Dal precetto costituzionale di imparzialità derivano: l’ammissione di tutti i soggetti, indiscriminatamente, al godimento dei servizi pubblici; il divieto di qualsiasi favoritismo e l’illegittimità degli atti amministrativi emanati senza previa valutazione di tutti gli interessi, pubblici e privati; l’obbligo per i funzionari (e il correlativo diritto di 1 Il primo comma secondo cui “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico” è stato aggiunto dall'art. 2 della L. cost. 20 aprile 2012 n. 1, che ha recepito nella Costituzione l'obbligo europeo di introduzione del pareggio di bilancio. 1

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LA NUOVA DISCIPLINA DEL CONFLITTO DI INTERESSI DEI

PUBBLICI FUNZIONARI di Carlo Buonauro, magistrato amminsitrativo

Il principio di imparzialità è esplicitamente affermato nell’art. 97 della Costituzione italiana. Esso rappresenta il principio fondamentale che deve guidare la pubblica amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni.

In particolare, ai sensi del secondo comma di tale articolo “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.”.1

Il combinato disposto degli artt. 3 e 97 Cost. disegna un preciso obbligo per la pubblica amministrazione di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia, evitando ogni discriminazione e arbitrio nell’attuazione dell’interesse pubblico.

Il principio di imparzialità si esplicita, dunque, sia sul piano dell’organizzazione sia su quello dell’attività; diventa principio generale che guida l’intera vita amministrativa, dal reclutamento del personale attraverso il meccanismo concorsuale, alla definizione delle sfere di competenza, al rapporto tra organi e uffici, alle modalità di svolgimento della stessa funzione pubblica. 

Dal precetto costituzionale di imparzialità derivano: l’ammissione di tutti i soggetti, indiscriminatamente, al godimento dei servizi pubblici; il divieto di qualsiasi favoritismo e l’illegittimità degli atti amministrativi emanati senza previa valutazione di tutti gli interessi, pubblici e privati; l’obbligo per i funzionari (e il correlativo diritto di ricusazione per i cittadini) di astenersi dal partecipare a quegli atti in cui essi abbiano, direttamente o per interposta persona, un qualche interesse; la prevalenza dell’elemento tecnico su quello politico nella composizione delle commissioni giudicatrici di concorsi e gare pubbliche (Corte cost., sentenza n. 453/1990).

La giurisprudenza amministrativa prima, e il legislatore poi, hanno tratto ulteriori applicazioni del principio di imparzialità, fra cui: le norme sull’ineleggibilità e sull’incompatibilità; l’obbligo dell’amministrazione di esaminare in modo completo, accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie (come affermato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee); l’obbligo di compiere in modo oggettivo un esame comparativo degli interessi da valutare e di tenere conto dei relativi risultati (per es., nei concorsi per l’assunzione di persone).

Il principio di imparzialità trova completa esplicazione nel procedimento amministrativo – preordinato a garantire integrità del contraddittorio, completezza dell’istruttoria, motivazione degli atti e loro pubblicità – e impone che la decisione dell’amministrazione sia preceduta da una sequenza di atti attraverso cui accertare l’esistenza di presupposti di fatto e valutare i contrapposti interessi in gioco. Il procedimento diventa così la forma obbligata dell’azione amministrativa autoritativa: solo in questo modo i portatori di interessi che sono coinvolti, in modo favorevole o restrittivo, dalla decisione finale, diventano parti verso le quali l’amministrazione deve comportarsi in maniera imparziale.  1Il primo comma secondo cui “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico” è stato aggiunto dall'art. 2 della L. cost. 20 aprile 2012 n. 1, che ha recepito nella Costituzione l'obbligo europeo di introduzione del pareggio di bilancio.

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Dunque tra le applicazioni del principio di imparzialità vanno anzitutto menzionati i pubblici concorsi per titoli, laddove la predeterminazione dei criteri di massima vale a garantire che i titoli concretamente prodotti dai candidati siano valutati in modo imparziale. Assolvono alla stessa funzione gli standard urbanistici, in quanto regole astratte, stabilite con provvedimento amministrativo, che devono essere osservate nella formazione degli strumenti urbanistici. Allo stesso modo è informato a tale principio l’obbligo di astensione in capo ai pubblici funzionari in caso di conflitto di interessi. Inoltre nel richiedere la motivazione dell’atto amministrativo, il principio di imparzialità tende a sottrarre alla decisione amministrativa ogni carattere di arbitrarietà.

- Par. 1.2. Il principio di imparzialità ex art. 1 Legge n. 241/1990

Il principio di imparzialità è poi sancito dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”) che,a seguito delle modifiche apportate dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivitànonché in materia di processo civile”,così dispone: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario.”.

Il legislatore delle riforme del 2005 aveva ritenuto superflua la menzione dei principi di imparzialità, di adeguatezza dell’istruttoria, di legittimo affidamento e di efficienza. Ciò nonostante, la dottrina e la giurisprudenza hanno continuato a farne applicazione, come se questi principi fossero stati “implicitamente” adottati dalla legge stessa. Evidentemente, però, anche in ossequio al dettato dell’art. 97 Cost. e, forse per una ragione più formale che sostanziale, il legislatore del 2009 ha avvertito l’esigenza di inserire nella enumerazione anche il principio di imparzialità.

Imparzialità vuol dire assenza di indebite interferenze, ma ciò non significa che l’amministrazione sia priva di orientamento di fondo. Infatti, come sottolineato da illustre dottrina2, l’amministrazione è certamente parziale, nel senso che l’interesse pubblico affidatole dalla legge rappresenta la direzione obbligata verso la quale muovere, senza che ciò smentisca il principio di cui in commento.

Il rispetto dell’imparzialità impone, in primo luogo, un assetto organizzativo dell’amministrazione avulso da pressioni di parte, perché un’amministrazione parziale difficilmente potrebbe realizzare un assetto imparziale di interessi.

Analizzare il principio di imparzialità significa riflettere sul modo in cui è concepito il rapporto tra il Governo e la Pubblica Amministrazione. I costituenti non avevano l’intenzione di neutralizzare l’influenza del Governo sull’amministrazione, nel senso di creare un’amministrazione acefala ed apolitica, quanto piuttosto di evitare che essa si traducesse in mero apparato strumentale a servizio della maggioranza, ponendola in posizione subalterna alla politica.Alcune norme costituzionali sono espressive di questo delicato equilibrio, secondo cui la P.A. non è né “impermeabile”, né subordinata alla politica.Da una parte l’art. 95 Cost. che, affidando al Governo il compito di determinare e mantenere l’unità di indirizzo politico-amministrativo, esprime la necessità che la P.A. recepisca e traduca in atti concreti le direttive dell’organo politico, escludendo che essa possa agire in via del tutto autonoma dal potere esecutivo. D’altra parte gli artt. 97 e 98 Cost. i quali stabilendo che agli impieghi nella Pubblica Amministrazione si accede mediante concorso e che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, mirano ad evitare che

2Cfr. M. NIGRO, voce Amministrazione Pubblica, in Enc. giur. Treccani, vol. II, Roma, 1988; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, 2005, p. 47.

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la nomina politica dei funzionari possa inficiare la selezione dei meritevoli e determinare una burocrazia politicizzata.

Per quanto attiene all’imparzialità dell’attività amministrativa, va in primo luogo ricordato l’art. 12, legge n. 241/1990 il quale impone alla P.A. di predeterminare e pubblicare criteri e modalità cui le amministrazioni devono attenersi nella concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari. L’intento della norma è quello di evitare che la P.A. favorisca indebitamente un soggetto, creando così un’ingiustificata disparità di trattamento. Per le stesse ragioni è previsto che nell’espletamento dei concorsi la valutazione dei candidati sia preceduta dalla predeterminazione dei criteri cui la commissione si atterrà.

Certamente l’ambito nel quale si manifesta tutta l’importanza dell’imparzialità è il procedimento. L’istruttoria, in particolare, fase volta all’accertamento dei fatti e dei presupposti, nonché all’acquisizione e valutazione degli interessi, è il momento più “esposto” ad ingiustificate ed indebite interferenze. In questo contesto imparzialità non implica semplicemente di evitare disparità di trattamento, ma anche e soprattutto «congruità delle valutazioni finali edelle modalità di azione prescelte».

Imparzialità significa, inoltre, realizzazione dell’interesse pubblico, tenendo in giusta considerazione gli ulteriori interessi coinvolti dall’esercizio del potere. Essa comporta la predeterminazione di una regola la quale non fa altro che proiettare sul piano concreto il principio di uguaglianza. Così come l’uguaglianza in senso sostanziale implica che la legge si applichi nei confronti di tutti e che tutti siano uguali di fronte alla legge, allo stesso modo l’imparzialità obbliga la P.A. a prendere in considerazione e valutare tutti gli interessi coinvolti.

- Par. 2.1. Il conflitto di interessi: definizione

Il conflitto di interessi viene dai più definito come una circostanza in cui un interesse secondario (privato o personale) interferisce, ovvero potrebbe tendenzialmente interferire (o appare avere la potenzialità di interferire), con l’abilità di una persona ad agire in conformità con l’interesse primario di un’altra parte (es. interesse della collettività nel caso di un pubblico ufficiale, interesse dell’assistito nel caso di un avvocato), assumendo che tale persona abbia un dovere derivante dalla legge, da un contratto o da regole di correttezza professionale nel fare ciò.

Il codice civile disciplina il conflitto di interessi in vari articoli (1394, 2368, 3273, 2391, 2391 bis, 2475 ter, 2629 bis, 2634) che, in taluni casi lo richiamano espressamente mentre in altri il riferimento è solo implicito. Tali norme, tuttavia, dettano essenzialmente regole di condotta per i soggetti che potrebbero trovarsi in situazioni di conflitto, ma nessuno dei richiamati riferimenti normativi ne fornisce esplicitamente una definizione3.

In generale, in ambito privatistico, l’espressione “conflitto di interessi” indica una serie di situazioni accomunate dalla circostanza per cui ad un medesimo soggetto è riconosciuta la titolarità sia di poteri giuridici da esercitarsi a tutela di interessi propri, sia di poteri giuridici da spendersi nell’interesse di altri soggetti4.

In altre parole, nel diritto privato come nel diritto commerciale, con tale espressione si descrive la situazione di contrasto reale o potenziale che può verificarsi allorquando l'ordinamento consegna al medesimo soggetto il potere di agire nell'interesse di altri (persone fisiche o giuridiche)

3Cfr. E. DI CARLO, Conflitti di interessi nelle organizzazioni produttive, in “Rivista di politica economica”, Luglio-Settembre 2011, p. 425.4 Cfr. G. COLAVITTI, Il trattamento del conflitto di interessi tra ragionevolezza ed imparzialità, in Nomos, 2002 fascicolo 1, p. 67.

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non limitando la capacità d'agire anche nell'interesse proprio. Si pensi al mandato, alla tutela e alla curatela, ma soprattutto, nel campo del diritto commerciale, alla posizione dell'amministratore rispetto all'interesse della società: il titolo V del libro V del codice civile conosce una norma espressamente rubricata con il titolo "conflitto di interessi" (art. 2391 c.c.5).

Questi fenomeni sono radicalmente diversi da quello invece ricorrente in ambito pubblicistico. La diversità attiene ad entrambi i termini dell'espressione. Attiene al termine "interesse", perché mentre nei casi di cui sopra, pur in presenza di significative diversità di misura e di gradazione della tutela e della protezione accordata dall'ordinamento, gli interessi coinvolti presentano carattere omogeneo, in quanto di natura privatistica (tutt'al più indirettamente collegati ad interessi pubblici, come nel caso della tutela dell'incapace), allorquando ci si riferisce al titolare di un incarico di governo il genere di interesse che viene in considerazione è evidentemente quello pubblico, il che cagiona una immediata e palese disomogeneità rispetto all'interesse privato del medesimo soggetto. La diversità attiene però anche al concetto di "conflitto". Se infatti questo termine nel diritto privato conserva una precisa capacità descrittiva di una situazione di netta contrapposizione tra un interesse (privato) ed un altro interesse (privato), tale da identificare una fattispecie astratta per cui la tutela di uno degli interessi rechi un danno o si mostri incompatibile con la tutela dell'altro (il conflitto non rileva giuridicamente se l'amministratore compie determinati atti nell'interesse sia della società che suoi personali), il termine "conflitto" non pare indicare con analoga precisione tutte le molteplici fattispecie di interferenza o collegamento tra l'interesse pubblico e gli interessi privati del titolare di una carica di governo che la realtà può presentare. Il disagio con il quale l'osservatore può guardare all'adozione di provvedimenti normativi od amministrativi assunti da un titolare di un incarico di governo che versi nella situazione in parola può profilarsi anche in casi dove di "conflitto", in termini giuridici, non è dato parlare. Forse anche per questi motivi, tra i primi ad occuparsi del tema vi sono stati studiosi di diritto commerciale, che pure opportunamente hanno parlato di "commistione", piuttosto che di conflitto (A. Guaccero, L. Santoro).

Se però è ormai invalso l'uso dell'espressione "conflitto di interessi" ciò è dipeso non tanto (o non solo) dalle approssimazioni giornalistiche, quanto dalle scelte del legislatore che non ha mancato di rubricare proprio con questa intitolazione la maggior parte delle proposte di legge in materia avanzate dalla XII legislatura ad oggi.

Dunque, in ambito pubblicistico, possiamo definire il conflitto di interessi come la situazione in cui un interesse privatointerferisce, ovvero potrebbe tendenzialmente interferire (o appare avere la potenzialità di interferire), con la capacità di un funzionario pubblico ad agire in conformità ai suoi doveri e responsabilità che sintetizzano l’interesse primario da realizzare.

Appare necessario, a questo punto, operare una distinzione tra conflitto di interessi e corruzione. L’essere in conflitto di interessi ed abusare effettivamente della propria posizione, facendo prevalere l’interesse secondario su quello primario, restano due aspetti distinti: una persona in conflitto di interessi, infatti, potrebbe non agire mai in modo improprio.Dunque, il conflitto di interessi non è un evento (come la corruzione), ma una situazione, un insieme di circostanze che creano o aumentano il rischio che gli interessi primari possano essere compromessi dall’inseguimento di quelli secondari. La corruzione è, invece, la degenerazione di un conflitto di interessi, in quanto c’è sempre il prevalere di un interesse secondario su uno primario. Il conflitto di interessi, invece, segnala solo la presenza di interessi in conflitto (anche solo in modo potenziale o apparente).Il conflitto di interessi, a differenza della corruzione, è caratterizzato da una portata ben più ampia di relazioni sociali ed economiche, la maggior parte delle quali non è classificata come

5 “L'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile.”.

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reato, nonostante la sua presenza possa tendenzialmente violare l’equilibro socialmente accettabile tra l’interesse privato e i doveri e le responsabilità di un individuo.6

È possibile distinguere tre diverse fattispecie di conflitto di interessi:

- il conflitto di interessi “reale” (o attuale) èquello che si manifesta durante il processo decisionale dell’agente (giudizio professionale o manifestazione della volontà). In altri termini, proprio nel momento in cui è richiesto all’agente di agire in modo indipendente, senza interferenze, l’interesse secondario tende a interferire con quello primario.

- il conflitto di interessi“potenziale” ricorre quando l’agente ha un interesse secondario, normalmente a seguito del verificarsi di un certo evento o per il fatto di avere relazioni sociali e/o finanziarie con individui o organizzazioni, interesse che “potrebbe potenzialmente tendere a interferire”, quindi in un momento successivo, con un interesse primario, portando l’agente stesso in una situazione di conflitto di interessi reale (o attuale). Il conflitto di interessi potenziale può essere, dunque, definito come la situazione in cui l’interesse secondario (finanziario o non finanziario) di una persona potrebbe potenzialmente tendere a interferire con l’interesse primario di un’altra parte, verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità. Nel conflitto potenziale, dunque, ci sono interessi rilevanti, ma i compiti attuali dell’agente non sono compromessi da quegli interessi. Tra i rimedi per gestire tale conflitto vi è quello di rendere noti tutti gli interessi finanziari e non finanziari che potrebbero interferire con i doveri e le responsabilità dell'agente.

- ilconflitto di interessi“apparente” (o percepito) è la situazione che si verifica qualora una persona di buon senso può pensare che l’interesse primario in capo all’agente possa venire compromesso da interessi secondari di varia natura (es. sociali e d'affari). Il conflitto di interessi apparente può, dunque, essere definito come la situazione in cui l’interesse secondario (finanziario o non finanziario) di una persona può apparentemente tendere a interferire, agli occhi di osservatori esterni, con l’interesse primario di un’altra parte, verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità.Nel conflitto apparente, quindi, la situazione è tale da poter danneggiare seriamente la reputazione dell’agente e quella dell’organizzazione in cui opera, anche quando l’interesse privato dell’agente – che deve essere comunque presente per poter parlare di conflitto di interessi – non ha alcuna interferenza sugli interessi primari del principale, potendo addirittura essere ad esso allineato. Il rischio reputazionale è importante in quanto se anche solo uno degli agenti si trova in una situazione di conflitto di interessi non gestita, i soggetti esterni potrebbero ritenere che l’intera organizzazione è indulgente rispetto a tali pratiche. In tal senso, l’interferenza dell’interesse secondario appare agli osservatori esterni, anche se non è detto che tale interferenza sia realmente presente nell’agente. Pertanto, tutti i conflitti di interessi potenziali e reali sono anche sempre apparenti, in quanto entrambi vedono l’esistenza di interessi secondari in capo all’agente. Si può anche affermare che il conflitto potenziale e reale guardano all’aspetto soggettivo, mentre quello

6Trale definizioni di “confitto di interessi” in letteraturaCfr. A. ARGANDOÑA, Conflicts of interest: the ethical viewpoint, Published by the Chair of the Economics and Ethics, WP No 552,March 2004, secondo cui “…conflict of interest arises in any situation in which an interest interferes, or has the potential to interfere, with a person, organization or institution’s ability to act in accordance with the interest of another party, assuming that the person, organization or institution has a (legal, conventional or fiduciary) obligation to do so”;Sulla distinzionetraconflitto di interessi e corruzioneCfr. Recommendation of the Council on OECD Guidelines for Managing Conflict of Interest in the Public Service, 28 May 2003 - C(2003)107http://acts.oecd.org/Instruments/ShowInstrumentView.aspx?InstrumentID=130&Lang=en&Book=Falsesecondo cui “While a conflict of interest is not ipso facto corruption, there is increasing recognition that conflicts between the private interests and public duties of public officials, if inadequately managed, can result in corruption. The proper objective of an effective Conflict of Interest policy is not the simple prohibition of all private-capacity interests on the part of public officials, even if such an approach were conceivable. The immediate objective should be to maintain the integrity of official policy and administrative decisions, and of public management generally, recognising that an unresolved conflict of interest may result in abuse of public office.”.

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apparente all’aspetto oggettivo. Ad esempio è in conflitto di interessi apparente l’amministratore di una società che chiede un servizio di consulenza ad uno studio legale in cui lavora un suo familiare, anche se per tale servizio la società paga un prezzo più basso rispetto a quello di mercato, oppure il servizio ricevuto è di qualità migliore rispetto a quello ottenibile da controparti esterne non correlate all’amministratore. Se l’amministratore non scegliesse lo studio legale correlato, la scelta non sarebbe in apparente conflitto di interesse, ma arrecherebbe un danno alla società (prezzo più alto o qualità del servizio più scadente). Per tale motivo, nella scelta dello studio legale del suo familiare, l’amministratore presenta una convergenza di interessi, ossia i suoi interessi personali coincidono con quelli dell’azienda, anche se all’esterno potrebbe apparire un conflitto, ossia una interferenza negativa nel giudizio dell’agente. Il problema, però, è che solo gli attori coinvolti nella transazione sono a conoscenza dei reali interessi in gioco e dell’eventuale interferenza dell’interesse personale su quello primario da tutelare. In altri termini gli osservatori esterni, che interpretano la scelta dell’amministratore – il quale sceglie un suo familiare anziché una controparte esterna indipendente – non avendo partecipato al processo decisionale che ha portato a tale soluzione, non possono che considerarla come una scelta inficiata da conflitto di interessi, anche se in questo caso, visto la convergenza di interessi, il conflitto è solo apparente. Uno dei rimedi più utilizzati per gestire il conflitto di interessi apparente è quello di richiedere la massima trasparenza sull’operazione effettuata (es. motivazione della decisione, prezzo contrattato, impatto sulla situazione economica e finanziaria dell’azienda).

- Par. 2.2. La nuova disciplina del conflitto di interessi dei pubblici dipendenti ex art. 6 bis L. 241/1990

La legge anticorruzione n. 190 del 6 novembre 2012 recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, pubblicata in G. U. del 13 novembre 2012 ed entrata in vigore il 28 novembre 2012, è sostanzialmente composta da un solo articolo di 83 commi epuò essere suddivisa in due macrogruppi di disposizioni rispettivamente finalizzate:

- all'opera di prevenzione e contrasto dei fenomeni di corruzione, nel cui ambitoè prevista la disciplina del Piano triennale anticorruzione (è bene subito precisare che questo gruppo di norme viene ad articolarsi nelle disposizioni che direttamente pongono in essere quello che si potrebbe indicare come il Sistema nazionale e territoriale anticorruzione, nonché in una serie di disposizioni che intervengono sulla tematica della trasparenza e in alcune modifiche a preesistenti normative - L. 241/90; D.lgs. 165/2001, con particolare riguardo alla disciplina sulle incompatibilità, gli incarichi dirigenziali e gli illeciti e sanzioni disciplinari; D.lgs. 163/2006; L. 20/1994, sì da rendere la pubblica amministrazione meglio attrezzata per prevenire l'attecchire della corruzione);

- alla introduzione di modifiche al titolo II del Codice Penale (Dei delitti contro la pubblica amministrazione), che ha riguardato i reati di corruzione e concussione, modifiche alle pene edittali dei reati di peculato e abuso d'ufficio nonché la previsione delle due nuove ipotesi di reato di “Traffico di influenze illecite” (346 bis c.p.) e di “Corruzione fra privati” (2635 c.c.), completandosi, infine, tale gruppo di disposizioni con le modificazioni connesse e conseguenziali alle normative che abbiano attinenza con tali reati.

Una rilevante modifica apportata alla L. 241/1990 dalla legge anticorruzione del 2012, in particolare dal comma 41 dell’art. 1, riguarda l’introduzione del nuovo articolo 6 bis, secondo cui: “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le

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valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

La norma, in particolare, prevede due prescrizioni:

1) è stabilito l’obbligo di astensione per il responsabile del procedimento, il titolare dell’ufficio competente ad adottare il provvedimento finale ed i titolari degli uffici competenti ad adottare atti endoprocedimentali nel caso di conflitto di interessi anche solo potenziali;

2) è previsto un dovere di segnalazione a carico dei medesimi soggetti.

Si tratta di un dovere di astensione assoluto, che coinvolge non soltanto la fase decisoria, ma anche quella istruttoria (valutazioni tecniche ed atti endoprocedimentali) e tutti i soggetti comunque chiamati anche ad esprimere solo pareri.Quindi sia nella fase istruttoria che decisoria e sia in caso di conflitto reale che potenziale.

Inoltre il dovere non è solo di natura passiva, ma anche attiva: ciascuno dei soggetti coinvolti, responsabile del procedimento e dirigente o qualsiasi altro soggetto titolare del potere decisionale, debbono segnalare la situazione anche solo eventuale di conflitto di interessi, in modo che l’amministrazione possa adottare per tempo strumenti per sostituirli.

Il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA)7 ha precisato che la norma persegue una finalità di prevenzione che si realizza mediante l’astensione dalla partecipazione alla decisione (sia essa endoprocedimentale o meno) del titolare dell’interesse, che potrebbe porsi in conflitto con l’interesse perseguito mediante l’esercizio della funzione e/o con l’interesse di cui sono portatori il destinatario del procedimento, gli altri interessati e controinteressati.

La disposizione di cui all’art. 6 bis L. 241/1990 va letta in maniera coordinata con il secondo comma dell’art. 6 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 628 (pubblicato in G.U. del 4 giugno 2013) che recita “Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interesse con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi potenza, anche non patrimoniali, come quello derivante dall’intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici”9.

Inoltre ai sensi dell’art. 7 d.P.R. 62/2013: “Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza.”.

7http://www.funzionepubblica.gov.it/media/1092881/p_n_a.pdf Elaborato dal Dipartimento della funzione pubblica ed approvato dalla C.i.V.I.T. (Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche), Autorità nazionale anticorruzione, con delibera n. 72/2013.8L’art. 54 del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dall’art. 1, comma 44, della l. n. 190/2012 , assegna al Governo il compito di definire un Codice di comportamento dei pubblici dipendenti “al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico.”. In attuazione della delega il Governo ha approvato il d.P.R. n. 62 del 2013, recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici che sostituisce in tutti i suoi elementi il “Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni” adottato con decreto del Ministro della funzione pubblica del 28 novembre 2000.9Allegato A- B6- p. 44 ss.

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Tale disposizione contiene una tipizzazione delle relazioni personali o professionali sintomatiche del possibile conflitto di interesse. Essa contiene anche una clausola di carattere generale in riferimento a tutte le ipotesi in cui si manifestino “gravi ragioni di convenienza”.

La segnalazione del conflitto, come precisato nel PNA, deve essere indirizzata al dirigente, il quale, esaminate le circostanze, valuta se la situazione realizza un conflitto di interesse idoneo a ledere l’imparzialità dell’agire amministrativo. Il dirigente destinatario della segnalazione deve valutare espressamente la situazione sottoposta alla sua attenzione e deve rispondere per iscritto al dipendente medesimo sollevandolo dall’incarico oppure motivando espressamente le ragioni che consentono comunque l’espletamento dell’attività da parte di quel dipendente. Nel caso in cui sia necessario sollevare il dipendente dall’incarico esso dovrà essere affidato dal dirigente ad altro dipendente ovvero, in carenza di dipendenti professionalmente idonei, il dirigente dovrà avocare a sé ogni compito relativo a quel procedimento. Qualora il conflitto riguardi il dirigente a valutare le iniziative da assumere sarà il responsabile per la prevenzione.

Parte della dottrina ha osservato che obblighi di astensione e di esternazione in presenza dei conflitti di interessi facevano parte del bagaglio ordinario dei doveri di ogni dipendente pubblico già prima della legge n. 190/2012 per cui la riaffermazione di tali obblighi con riferimento ai titolari di uffici pubblici determinati costituisce una specificazione che, anche in mancanza di una norma dedicata, sarebbe stata ricavabile direttamente dalla disciplina generale10.

Inoltre l’esegesi dell’art. 6 bis, a prima vista agevole, lascia tuttavia aperti una serie di interrogativi.

In primo luogo, si tratta di stabilire l’ambito soggettivo di applicazione della disposizione, apparentemente rivolta soltanto al responsabile del procedimento e ai titolari degli uffici: quid iuris con riferimento a tutti gli altri soggetti che a vario titolo siano coinvolti nel procedimento?Una lettura costituzionalmente orientata della norma dovrebbe far propendere per un’interpretazione rigorosa, nel senso di ritenere quantomeno estensibile l’obbligo di segnalazione nei confronti di tutti i funzionari pubblici che, nell’ambito del procedimento, prestino la propria attività e siano in grado di incidere direttamente o indirettamente sul contenuto del provvedimento.

In secondo luogo, la disposizione non chiarisce se la situazione di conflitto debba essere valutata in astratto o in concreto.La soluzione preferibile parrebbe essere la prima, perché il riferimento testuale alle situazioni di conflitto, anche solo “potenziale”, contenuto nell’art. 6 bis sembrerebbe alludere ad una ponderazione ex ante in astratto.

Da ultimo, occorre indagare quali siano gli effetti della violazione degli obblighi di astensione e di segnalazione da parte del funzionario . Sul punto si rinvia al par. 2 del Capitolo 3.

Par. 2.3. Il conflitto di interessi come elemento costitutivo del reato di abuso d’ufficio

Ai sensi dell’art. 323 c.p. (Abuso d’ufficio),come modificato dalla legge 234 del 199711,“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a

10Cfr. B.G. MATTARELLA, M. PELISSERO, La legge anticorruzione: prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, p. 162.11Nella sua precedente formulazione l’art. 323 c.p. che puniva il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che abusasse del suo ufficio al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio, patrimoniale o non, o per arrecare ad altri un danno ingiusto, aveva dato luogo a numerose inchieste, arresti e processi, conclusisi poi, in un’alta percentuale di casi, in assoluzioni.

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quattro anni12. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità”.

Tra gli elementi oggettivi della fattispecie tipica vi è, quindi, “la violazione di legge o di regolamento”.

Secondo il primo filone interpretativo, la nozione di “violazione di legge”, come pure quella di “regolamento”, andrebbero intese in senso rigoroso, cioè con esclusivo riferimento alla violazione di tutte quelle norme che della legge e del regolamento abbiano anche i requisiti formali.

Così, ad es., con sentenzan. 20282 del 24 aprile 2001,la VI sezione penale della Suprema Corte ha statuito che “In tema di abuso d'ufficio, per "norme di legge o di regolamento" devono intendersi quelle che abbiano i caratteri formali e il regime giuridico della legge e del regolamento. In particolare, per quanto riguarda le norme di regolamento, deve farsi riferimento alle norme emanate nell'esercizio della potestà regolamentare dal Governo (art. 17 l. 23 agosto 1988, n. 400) o dalle province e comuni (art. 5 l. 8 giugno 1990, n. 142, ora art. 7 d.lg. 18 agosto 2000, n. 267)”.

Relativamente all’impossibilità di considerare “legge” l’art. 97 Cost., la stessa sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 35108 dell’ 8 maggio 2003, ha affermato che“In tema di abuso d'ufficio, la norma di cui al primo comma dell'art. 97 della Costituzione, secondo la quale i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo da assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, non ha carattere precettivo ed ha valore meramente programmatico, sicché tali principi per il carattere generale che li distingue non sono idonei a costituire oggetto della violazione che può dar luogo alla integrazione del reato previsto dall'art. 323 cod. pen.”.

Inoltre, con riferimento a contratti collettivi stipulati prima della c.d. privatizzazione del pubblico impiego, si è affermata in giurisprudenza la loro natura regolamentare, in relazione al fatto che erano approvati con decreto del Presidente della Repubblica13.

Il dover fare riferimento alle violazioni di legge e di regolamento in senso stretto ha condotto la VI sezione penale della Suprema Corte all’assoluzione di un magistrato che aveva abusato dell’auto di servizio, in violazione del principio di imparzialità e buon andamento, e ad affermare, con sentenza n. 27007 del 20 giugno 2003, che “le disposizioni contenute nelle circolari ministeriali atte a regolamentare l'uso delle auto di servizio non assumono né il carattere formale e sostanziale di cogenza autonoma uti universi, tipicizzante le norme di legge, né quello del regolamento, per difetto di contenuto di efficacia primaria o secondaria "erga omnes", risolvendosi in disposizioni regolamentanti il funzionamento interno dell'ufficio e, come tali, correttamente qualificabili come normativa ad efficacia interna che non può essere ricompresa nella sfera di tipica violazione di legge e regolamento di cui all'art. 323 c.p.”.

Analogamente, per la III sezione penale (sentenzan. 13795 del 19 ottobre 1999),“la violazione di norme di leggi o di regolamenti contemplata dalla fattispecie di cui all'art. 323 c.p. non può essere integrata dall'inosservanza delle disposizioni inserite nel bando di concorso il quale è atto amministrativo e, quindi, fonte normativa non riconducibile a quelle tassativamente indicate dal succitato art. 323”.

A sostegno di tale filone interpretativo la Corte costituzionale14ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità del nuovo art. 323 c.p., in riferimento agli articoli 3 e 97 Cost., sollevata sul rilievo che tale nuovo testo lascerebbe sprovviste di sanzione penale condotte altrettanto o più gravemente riprovevoli dal punto di vista sociale, e lesive dei principi di imparzialità e buon

12L'art. 1 della l. 6 novembre 2012, n. 190 ha comportato un aggravamento di pena, prima prevista nei limiti edittali di sei mesi e tre anni.13Vedi, ad es., Cass. pen., Sez. VI, n. 5779 del 18 maggio 2000.14Cfr. Corte Cost., n. 447 del 28 dicembre 1998.

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andamento della pubblica amministrazione, con violazione degli art. 3 e 97 della Costituzione. La Corte ha affermato che “la mancanza della base legale – costituzionalmente necessaria – dell'incriminazione, cioè della scelta legislativa di considerare certe condotte come penalmente perseguibili, preclude radicalmente la possibilità di prospettare una estensione ad esse delle fattispecie incriminatrici attraverso una pronuncia di illegittimità costituzionale”15, e che non è possibile “invocare, in contrario, l'ipotetico pregiudizio che potrebbe discendere a beni costituzionalmente tutelati, quali, nella specie, l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione”. La conclusione è motivata con il rilievo che tali principi sarebbero “evocati dall'art. 97 della Costituzione solo in relazione alla organizzazione dei pubblici uffici”.

Questo è l’argomento più spesso utilizzato da quella parte di giurisprudenza e dottrina che afferma che l’art. 97 Cost., secondo cui “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”, "non sembra prescrivere specifici comportamenti ai singoli soggetti"16, “ed ha valore meramente programmatico, sicché tali principi per il carattere generale che li distingue non sono idonei a costituire oggetto della violazione che può dar luogo alla integrazione del reato previsto dall'art. 323 c.p.”17.

Viceversa, in base al secondo filone interpretativo e largamente maggioritario della Suprema Corte, il requisito della violazione di norme di legge richiesto dall’art. 323 c.p. ai fini della configurazione del reato di abuso di ufficio ben può essere integrato anche solo dall'inosservanza del principio costituzionale di imparzialità della Pubblica Amministrazione, per la parte in cui esprime il divieto di ingiustificate preferenze o di favoritismi ed impone al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione18.

15La Corte afferma anche che “solo il legislatore…può, nel rispetto dei principi della Costituzione, individuare i beni da tutelare mediante la sanzione penale, e le condotte, lesive di tali beni, da assoggettare a pena, nonché stabilire qualità e quantità delle relative pene edittali”. Tali considerazioni sono state poi ribadite da Corte Cost., 28 giugno 2006 n. 251, che ha nuovamente dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità dell’art. 323, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.16Così Cass.pen., sez. II,n. 11204 del 4 dicembre 1997; Cass.pen., sez. VI, n. 12238 del 30 settembre 1998.17Così Cass. pen., sez. VI, n. 35108 del 4 settembre 2003. Nell’ambito della dottrina penalistica, v. C. BENUSSI, Trattato di diritto penale, parte speciale, I delitti contro la pubblica amministrazione , vol. I, tomo I, diretto da Marinucci-Dolcini, 2001, p. 585 ss.; G.IADECOLA, in AA.VV., I delitti contro la pubblica amministrazione (a cura di F. S. FORTUNA), 2002, p. 114 ss.; M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione, 2002, p. 258 ss.. Nell’ambito della dottrina amministrativistica M. NIGRO, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966, p. 67, sosteneva che tale norma riguardi soltanto l'organizzazione amministrativa nel senso che il precetto costituzionale è soddisfatto dalla predisposizione di organi siffatti che il loro agire sia imparziale e funzionale. Cfr. Cass. pen., sez. VI, n. 6837 del 10 gennaio 2001, secondo cui “per la sussistenza del reato di cui all'art. 323 c.p., non è sufficiente che il soggetto ponga in essere un comportamento contrario ai doveri di imparzialità cui devono essere informati gli atti della p.a., ma è anche necessario che la sua condotta si risolva nella violazione di un obbligo determinato imposto dalla legge o da un regolamento da cui derivi un ingiusto vantaggio e che detta violazione sia posta in essere nell'esercizio del potere proprio del pubblico ufficiale”. Vale a dire che, secondo questo orientamento, la Costituzione, e le disposizioni in essa raccolte, non rientrano nella categoria di "norme di legge" contemplata nell'art. 323 c.p., perché quelle disposizioni hanno carattere generalissimo o di principio o comunque sono di carattere organizzativo, e non prescrivono specifici e concreti comportamenti a singoli soggetti, bensì si rivolgono precipuamente ad organi dello Stato, ed in particolare al legislatore, cui compete la loro attuazione: cfr. T. PADOVANI, Commento alla modifica dell’art. 323 c.p., in Legislazione penale, 1997, p. 3. Si sottolinea inoltre che se si accogliesse la tesi che nel concetto di "violazione di legge" di cui all’art. 323 si facesse rientrare anche la violazione dell’art. 97 Cost., “il magistrato penale si sentirebbe autorizzato a sindacare, sotto il profilo della violazione di legge (costituzionale), la corrispondenza del comportamento del pubblico funzionario al principio di buon andamento e dell'imparzialità, con il risultato possibile di dilatare il campo della rilevanza penale entro confini forse ancora più estesi di quelli precedenti”: cfr. G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale –Parte speciale, Bologna, 1998, p.242.18Sulla diretta applicabilità del principio di imparzialità ex art. 97 cost. si è espressa soprattutto la VI sezione penale della Corte di Cassazione, sentenza n.25162 del 19 giugno 2008; sentenza n. 13097 del 18 febbraio 2009; sentenza n. 27453 del 17 febbraio 2011; sentenza n. 25180 del 12 giugno 2012; ma anche la II sezione penale, sentenza n. 35048

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In particolare, i Giudici di legittimità hanno osservato che nell'art. 97 Cost., che pur detta principi di natura programmatica, è individuabile un residuale significato precettivo relativo all'imparzialità dell'azione amministrativa e, quindi, un parametro di riferimento per il reato di abuso d'ufficio. L'imparzialità a cui fa riferimento l'art. 97 Cost. consiste, infatti, nel divieto di favoritismi, nell'obbligo cioè per la Pubblica Amministrazione di trattare tutti i soggetti portatori di interessi tutelati alla stessa maniera, conformando logicamente i criteri oggettivi di valutazione alle differenziate posizioni soggettive. In sostanza, il principio d'imparzialità, se riferito all'aspetto organizzativo della Pubblica Amministrazione, ha certamente una portata programmatica e non rileva ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio, in quanto detto principio generale deve necessariamente essere mediato dalla legge di attuazione; lo stesso principio, invece, se riferito all'attività concreta della Pubblica Amministrazione, che ha l'obbligo di non porre in essere favoritismi e di non privilegiare situazioni personali che confliggono con l'interesse generale della collettività, assume i caratteri e i contenuti precettivi richiesti dalla norma incriminatrice, in quanto impone al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico  sevizio una precisa regola di comportamento di immediata applicazione. 

Tale orientamento ha trovato espresso riconoscimento nella legge anticorruzione del 2012 che, come visto, ha introdotto l’art. 6 bis alla Legge 241/1990 il quale, sancendo il duplice dovere, di astensione e di segnalazione, per il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale, che si trovino in una situazione di conflitto di interessi, consente di integrare in modo più “agevole” il requisito della violazione di legge, attraverso l’inosservanza di detta, nuova, norma di legge.

In altre parole, avendo il legislatore consacrato in una norma ad hoc il principio sul conflitto di interessi, ogni violazione della stessa potrà essere valutata utilmente ai fini della sussistenza del reato di abuso d’ufficio. Ipotesi che prima dell’introduzione dell’art. 6 bis sarebbe sfuggita, se non per i casi disciplinati da norme puntuali quali, ad es., l’art. 78 T.U. Enti Locali, ad un simile destino.

Par. 2.4. Il conflitto di interessi nelle varie norme dell’ordinamento giuridico italiano

Con l’introduzione dell’art. 6 bis L. 241/1990 la tematica del conflitto di interessi – topos della tradizione civilistica (si v. in proposito gli artt. 320 e 347 c.c., in tema di rapporti di famiglia; l’art. 1394 c.c. in tema di rappresentanza; gli artt. 2373, 2391, 2475 ter e 2634 c.c. nei rapporti di diritto societario) – travalica i confini del diritto privato per assurgere a paradigma dell’azione amministrativa19.

È tuttavia doveroso precisare che una parziale osmosi tra ordinamento pubblicistico e privatistico si era già realizzata per effetto sia della legge 20 luglio 2004, n. 215, recante norme in materia di risoluzione del conflitto di interessi da parte dei titolari di cariche di governo, sia del “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici” introdotto con d.m. 28 novembre 2000.20

del 10 giugno 2008.19Cfr. G. CASARTELLI, A. PAPI ROSSI, Le misure anticorruzione: Legge 6 novembre 2012, n. 190, Torino, 2013, p. 75.20Pubblicato in Gazzetta Ufficiale 14 aprile 2001, n. 84. In particolare l’art. 2, comma 2, prevede che “Il dipendente mantiene una posizione di indipendenza, al fine di evitare di prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni, anche solo apparenti, di conflitto di interessi. Egli non svolge alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti d'ufficio e si impegna ad evitare situazioni e comportamenti che possano nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione.”. L’art. 5, comma 2, del Codice prevede inoltre che “Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunica all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri

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Non sono poi mancati interventi legislativi specifici contemplanti ipotesi di astensione di funzionari pubblici, in quei settori sensibili dell’ordinamento pubblicistico nei quali risulta cruciale la prevenzione di situazioni anche potenziali di conflitto di interessi.

Le norme in materia di conflitto di interessi costituiscono numerusclausus in quanto, comprimendo l’esercizio di pubblici poteri, devono intendersi come tassative, e il conflitto di interessi, anche potenziale, che il legislatore tende ad eliminare all’origine è quello che ricorre qualora l’organo, in occasione od a causa dell’espletamento di una specifica funzione, si viene a trovare in situazione di conflitto con una persona direttamente interessata al risultato della funzione o rispetto ad una condizione ambientale o strumentale su cui poi si rifletterà l’azione dell’organo.

Segnatamente il conflitto di interessi trova la sua disciplina in varie norme dell’ordinamento giuridico italianoche possono così sintetizzarsi:

- l’art. 1, comma 58 bis, della legge n. 662 del 199621, che stabilisce: “Ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casidi conflitto di interesse, le amministrazioni provvedono, con decretodel Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzionepubblica, ad indicare le attività che in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite aidipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazionelavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno.”22

- l’art. 78, comma 2, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 26723che dispone l’astensionedegli amministratori di cui all'articolo 77, comma 224, dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino alquarto grado. L'obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell'amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado25.

interessi finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti entro il quarto grado o affini entro il secondo, o conviventi che esercitano attività politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l'ufficio che egli dovrà dirigere o che siano coinvolte nelle decisioni o nelle attività inerenti all'ufficio.”. Infine l’art. 6 stabilisce che “Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri ovvero: di suoi parenti entro il quarto grado o conviventi; di individui od organizzazioni con cui egli stesso o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito; di individui od organizzazioni di cui egli sia tutore, curatore, procuratore o agente; di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui egli sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il dirigente dell'ufficio.”.21 Recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” (G.U. n. 303 del 28 dicembre 1996 - Suppl. Ordinario n. 233 entrata in vigore: 1 gennaio 1997).22

La legge 27 dicembre 1997 n. 449, con l'art. 39, comma 25, ha disposto che i decreti di cui all'articolo 1, comma 58-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, introdotto dall'articolo 6 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, devono essere emanati entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge23

Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (pubblicato in G.U. n.227 del 28 settembre 2000 ed entrato in vigore il 13 ottobre 2000)..24Ovvero i sindaci, anche metropolitani, i presidenti delle province, i consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, i componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, i presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali, i presidenti, i consiglieri e gli assessori delle comunità montane, i componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché i componenti degli organi di decentramento.25Per un’applicazione concreta della disposizione si v. TAR Sardegna Cagliari, sez. II, 27 maggio 2009, n. 785 secondo cui “L’obbligo di astensione del titolare di un pubblico ufficio dal procedimento di adozione di atti nei quali sia interessato egli stesso od un suo parente od affine entro il quarto grado, previsto per gli enti locali dall’art. 19, comma 1, legge 3 agosto 1999 n. 265 (ora art. 78, comma 2, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267) è espressione di una regola generale

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- l‘art. 53 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 16526, modificato dall’art. 1, commi 39-40 e 42-43 legge 190/201227. Il particolare il comma 42lett. a)-i)della leggeanticorruzione,in materia di incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, è intervenutocon diverse misure volte a promuovere la trasparenza circa lo svolgimento di incarichi extra-funzionali da parte dei dipendenti pubblici. Ed infatti,il cumulo di incarichi conferiti dall’amministrazione in capo ad un medesimo dirigente o funzionario può comportare il rischio di un’eccessiva concentrazione di potere su un unico centro decisionale. La concentrazione del potere decisionale aumenta il rischio che l’attività amministrativa possa essere indirizzata verso fini privati o impropri determinati dalla volontà del dirigente o funzionario stesso. Inoltre, lo svolgimento di incarichi, soprattutto se extra-istituzionali, da parte del dirigente o del funzionario può realizzare situazioni di conflitto di interessi che possono compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa, ponendosi altresì come sintomo

dell’ordinamento giuridico che trova il proprio fondamento nei principi di legalità, imparzialità e trasparenza che debbono caratterizzare l’azione amministrativa ai sensi dell’art. 97 Cost.; tale obbligo, pertanto, non ammette deroghe e opera per il solo fatto che l’amministratore risulti portatore di interessi personali, che lo pongono in conflitto o anche solo in posizione di divergenza, con quello generale affidato alle cure dell’organo di cui fa parte, ed a prescindere dall’applicazione della cosiddetta prova di resistenza”.26Testo unico sul Pubblico Impiego (G.U. del 9 maggio.2001).2739. Al fine di garantire l'esercizio imparziale delle funzioni amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi, le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché' le aziende e le società partecipate dallo Stato e dagli altri enti pubblici, in occasione del monitoraggio posto in essere ai fini dell'articolo 36, comma 3, del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni, comunicano al Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite degli organismi indipendenti di valutazione, tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuatediscrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione. I dati forniti confluiscono nella relazione annuale al Parlamento di cui al citato articolo 36, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e vengono trasmessi alla Commissione per le finalità di cui ai commi da 1 a 14 del presente articolo. 40. I titoli e i curricula riferiti ai soggetti di cui al comma 39 si intendono parte integrante dei dati comunicati al Dipartimento della funzione pubblica. 42. All'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il comma 3 è inserito il seguente: «3-bis. Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2»; b) al comma 5 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente»; c) al comma 7 e al comma 9, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi»; d) dopo il comma 7 è inserito il seguente: «7-bis. L'omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti»; e) il comma 11 è sostituito dal seguente: «11. Entro quindici giorni dall'erogazione del compenso per gli incarichi di cui al comma 6, i soggetti pubblici o privati comunicano all'amministrazione di appartenenza l'ammontare dei compensi erogati ai dipendenti pubblici»; f) al comma 12, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri dipendenti comunicano in via telematica, nel termine di quindici giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto»; al medesimo comma 12, al secondo periodo, le parole: «L'elenco è accompagnato» sono sostituite dalle seguenti: «La comunicazione è accompagnata» e, al terzo periodo, le parole: «Nello stesso termine» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 30 giugno di ciascun anno»; g) al comma 13, le parole: «Entro lo stesso termine di cui al comma 12» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 30 giugno di ciascun anno»; h) al comma 14, secondo periodo, dopo le parole: «l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico» sono aggiunte le seguenti: «nonché l'attestazione dell'avvenuta verifica dell'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi»; i) al comma 14, dopo il secondo periodo sono inseriti i seguenti: «Le informazioni relative a consulenze e incarichi comunicate dalle amministrazioni al Dipartimento della funzione pubblica, nonché' le informazioni pubblicate dalle stesse nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica ai sensi del presente articolo, sono trasmesse e pubblicate in tabelle riassuntive rese liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto che consenta di analizzare e rielaborare, anche a fini statistici, i dati informatici. Entro il 31

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dell’evenienza di fatti corruttivi. Per tali ragioni, l’art. 42 l. 190/2012 ha modificato il regime dello svolgimento degli incarichi da parte dei dipendenti pubblici contenuto nell’art. 53 del d.lgs. 165/2001, in particolare prevedendo, all’art. 3 bis28, che degli appositi regolamenti (adottati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988) debbono individuare, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 200129; analoga previsione è contenuta nel comma 3 dell’art. 53 del citato decreto per il personale della magistratura e per gli avvocati e procuratori dello Stato. Inoltrele amministrazioni debbono adottare dei criteri generali per disciplinare i criteri di conferimento e i criteri di autorizzazione degli incarichi extra-istituzionali; infatti, l’art. 53, comma 5, d.lgs. 165/2001 prevede che “In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgono attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondocriteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale dellefunzioni attribuite al dipendente”. Ed ancora, in sede di autorizzazione allo svolgimento di incarichi extra-istituzionali, secondo quanto previsto dall’art. 53, comma 7, del d.lgs. n 165 del 2001, le amministrazioni debbono valutare tutti i profili di conflitto di interesse, anche quelli potenziali; l’istruttoria circa il rilascio dell’autorizzazione va condotta in maniera molto accurata, tenendo presente che talvolta lo svolgimento di incarichi extra-istituzionali costituisce per il dipendente un’opportunità, in special modo se dirigente, di arricchimento professionale utile a determinare una positiva ricaduta nell’attività istituzionale ordinaria; ne consegue che, al di là della formazione di una black listdi attività precluse, la possibilità di svolgere incarichi va attentamente valutata anche in ragione dei criteri di crescita professionale, culturale e scientifica nonché di valorizzazione di un’opportunità personale che potrebbe avere ricadute positive sullo svolgimento

dicembre di ciascun anno il Dipartimento della funzione pubblica trasmette alla Corte dei conti l'elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni di cui al terzo periodo del presente comma in formato digitale standard aperto»; l) dopo il comma 16-bis è aggiunto il seguente: «16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto dellepubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti». 43. Le disposizioni di cui all'articolo 53, comma 16-ter, secondo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, introdotto dal comma 42, lettera l), non si applicano ai contratti già sottoscritti alla data di entrata in vigore della presente legge. 28 “Ai fini previsti dal comma 2, con appositi regolamenti emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri interessati, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, sono individuati, secondo criteri differenziati in rapporto alle diverse qualifiche e ruoli professionali, gli incarichi vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2.”.29 “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI.”.

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delle funzioni istituzionali ordinarie da parte del dipendente; il dipendente è tenuto a comunicare formalmente all’amministrazione anche l’attribuzione di incarichi gratuiti (comma 12); in questi casi, l’amministrazione - pur non essendo necessario il rilascio di una formale autorizzazione - deve comunque valutare tempestivamente (entro 5 giorni dalla comunicazione, salvo motivate esigenze istruttorie) l’eventuale sussistenza di situazioni di conflitto di interesse anche potenziale e, se del caso, comunicare al dipendente il diniego allo svolgimento dell’incarico; gli incarichi a titolo gratuito da comunicareall’amministrazione sono solo quelli che il dipendente è chiamato a svolgere in considerazione della professionalità che lo caratterizza all’interno dell’amministrazione di appartenenza (quindi, atitolo di esempio, non deve essere oggetto di comunicazione all’amministrazione lo svolgimento di unincarico gratuito di docenza in una scuola di danza da parte di un funzionario amministrativo di un ministero, poiché tale attività è svolta a tempo libero e non è connessa in nessun modo con la sua professionalità di funzionario); continua comunque a rimanere estraneo al regime delle autorizzazioni e comunicazioni l’espletamento degli incarichi espressamente menzionati nelle lettere da a) ad f-bis) del comma 6 dell’art. 53 del d.lgs. 165/200130,per i quali il legislatore ha compiuto a priori una valutazione di non incompatibilità; essi, pertanto, non debbono essere autorizzati né comunicatiall’amministrazione. A queste nuove previsioni si aggiungono le prescrizioni contenute nella normativa già vigente. Inoltre ai sensi del comma 7 l’inosservanza del divieto posto a carico dei dipendenti pubblici di svolgere incarichi retribuiti non conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza., salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, comporta la conseguenza che il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. L'omissionedel versamento del compensoda parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti (comma 7 bis).

- la legge 20 luglio 2004, n. 215 recante "Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi" (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 193 del 18 agosto 2004) il cui art. 1, comma 1, stabilisce che i titolari di cariche di governo31nell'esercizio delle lorofunzioni, si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e si astengono dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto d'interessi. La legge, all’art. 3, precisa che sussiste situazione di conflitto di interessi quando il titolare di cariche di governo partecipa all'adozione di un atto, anche formulando la proposta, o omette un atto dovuto, trovandosi in situazione di incompatibilità ai sensi dell'articolo 2, comma 132, ovvero quando l'atto o l'omissione

30a) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; b) utilizzazione economica da parte dell'autore o inventore di opere dell'ingegno e di invenzioni industriali; c) partecipazione a convegni e seminari; d) incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; e) incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o fuori ruolo; f) incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita; f-bis) attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione.31Ovvero, ai sensi dell’art. 1 comma 2, il Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri, i Vice Ministri, i sottosegretari di Stato e i commissari straordinari del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400.321. Il titolare di cariche di governo, nello svolgimento del proprio incarico, non può: a) ricoprire cariche o uffici pubblici diversi dal mandato parlamentare e da quelli previsti dall'articolo 1 e non inerenti alle medesime funzioni, ad esclusione delle cariche di cui all'articolo 1, secondo comma, della legge 13 febbraio 1953, n. 60;b) ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate in enti di diritto pubblico, anche economici;c) ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate ovvero esercitare compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale;d) esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati; in ragione di tali attività il titolare di cariche di governo può percepire unicamente i proventi per le prestazioni svolte prima dell'assunzione della carica; inoltre, non può ricoprire cariche o uffici, o svolgere altre funzioni comunque denominate, né compiere atti di gestione in associazioni o società tra professionisti;e) esercitare qualsiasi tipo di impiego o lavoro

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ha un'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, secondo quando previsto dall'articolo 7 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, con danno per l'interesse pubblico.L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai sensi dell’art. 6 Legge 215/2004, accerta la sussistenza delle situazioni di incompatibilità di cui all'articolo 2, comma 1, vigila sul rispetto dei divieti conseguenti e promuove nei casi di inosservanza: a) la rimozione o la decadenza dalla carica o dall'ufficio ad opera dell'Amministrazione competente o di quella vigilante l'ente o l'impresa; b) la sospensione del rapporto di impiego o di lavoro pubblico o privato; c) la sospensione dall'iscrizione in albi e registri professionali, che deve essere richiesta agli ordini professionali per gli atti di loro competenza. Inoltre l’AGCM al fine di accertare la sussistenza di situazioni di conflitto di interessi esamina, controlla e verifica gli effetti dell'azione del titolare di cariche di governo con riguardo alla eventuale incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare di cariche di governo, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, secondo quanto previsto dall'articolo 7 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, con danno per l'interesse pubblico. (denunziando i fatti alla competente Autorità giudiziaria quando gli stessi abbiano rilievo penale). L'Autorità, valutate preventivamente e specificatamente le condizioni di proponibilità ed ammissibilità della questione, procede d'ufficio alle verifiche di competenza. A tale fine, corrisponde e collabora con gli organi delle Amministrazioni, acquisisce i pareri delle altre Autorità amministrative indipendenti competenti e le informazioni necessarie per l'espletamento dei compiti previsti dalla presente legge, con i limiti opponibili all'autorità giudiziaria. Nello svolgimento del procedimento è garantita la partecipazione procedimentale dell'interessato ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 14, comma 3, della legge 10 ottobre 1990, n. 28733. Inoltre, quando l'impresa facente capo al titolare di cariche di governo, al coniuge o ai parenti entro il secondo grado, ovvero le imprese o società da essi controllate, secondo quanto previsto dall'articolo 7 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, pongono in essere comportamenti diretti a trarre vantaggio da atti adottati in conflitto di interessi, e vi è prova che chi ha agito conosceva tale situazione di conflitto, l'Autorità diffida l'impresa ad astenersi da qualsiasi comportamento diretto ad avvalersi dell'atto medesimo ovvero a porre in essere azioni idonee a far cessare la violazione o, se possibile, misure correttive. In caso di inottemperanza entro il termine assegnato, l'Autorità infligge all'impresa una sanzione pecuniaria correlata alla gravità del comportamento e commisurata nel massimo al vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dall'impresa stessa. Infine a seguito degli accertamenti o della eventuale irrogazione delle sanzioni, l’AGCM riferisce al Parlamento con comunicazione motivata diretta ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, indicando i contenuti della situazione di privilegio, gli effetti distorsivi realizzatisi sul mercato e, in generale, le conseguenze di tale situazione di privilegio, nonché le eventuali sanzioni inflitte alle imprese. In merito all’applicazione di detta legge in materia di risoluzione dei conflitti di interessi (c.d. Legge Frattini), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha più volte, in passato, sollecitato al legislatore incisive modifiche alla disciplina stessa al fine di renderla conforme alle raccomandazioni OCSE, in base alle quali l’azione di contrasto non può che reggersi su misure a carattere preventivo. Ed invero, investita di un ruolo di notarile verifica di adempimenti previsti da una normativa debole nei presupposti, l’AGCM non ha potuto che limitarsi a pochi e scarsamente incisivi interventi: la disciplina le attribuisce il ruolo di accertamento di situazioni di incompatibilità

pubblico;f) esercitare qualsiasi tipo di impiego o lavoro privato.

33Recante “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”, pubblicata in G.U. n. 240 del 13 ottobre 1990 ed entrata in vigore il 14 ottobre 1990.

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dei titolari di cariche di governo, sulla base delle dichiarazioni ricevute dagli stessi nel termine di 30 giorni dall’assunzione della carica, e di conflitto di interessi ai sensi della peculiare nozione recepita dall’art. 3: da quest’ultima previsione l’insorgenza di un conflitto di interessi è infatti ricondotta al ricorrere di due circostanze da verificare ex post, ovvero, da un lato, l’”incidenza specifica e preferenziale” di un atto o omissione sul patrimonio del titolare della carica di governo o del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese sottoposte a loro controllo ai sensi della L. 287/90; dall’altro, un correlato “danno per l’interesse pubblico”, che nell’interpretazione dell’AGCM è integrato solo laddove la determinazione assunta in conflitto di interessi sia idonea ad alterare il corretto funzionamento del mercato.La debolezza dell’impianto normativo in termini di contrasto efficace alle situazioni di conflitto d’interessi e alle relative perniciose ricadute sulle dinamiche di sviluppo e crescita del paese, e l’inconsistenza delle attribuzioni dallo stesso demandate all’AGCM sono emerse da subito con chiarezza: sotto il primo profilo rileva, in parte, che l’incompatibilità sia ricondotta al dato formale della detenzione di cariche o uffici in enti locali o enti di diritto pubblico o ruoli di gestione in società aventi fini di lucro, a prescindere dalla dimensione e rilevanza delle stesse; e soprattutto, più significativamente, che il conflitto di interessi sussista solo laddove sia adottato o omesso un atto che, secondo una valutazione ex poste oltremodo onerosa, incida sugli assetti patrimoniali del titolare di cariche governative o dei suoi congiunti ed al contempo cagioni detrimento all’interesse pubblico inficiando il funzionamento del mercato. Se il concetto di incompatibilità così declinato può apparire formalmente conforme alle normative applicate nei principali Paesi europei, la scelta del legislatore italiano sulla definizione e ricorrenza del conflitto di interessi è un unicum rispetto agli altri ordinamenti: è esclusa in radice la rilevanza del semplice pericolo e danno derivante dalla titolarità di beni e situazioni patrimoniali in potenziale contrasto con il neutrale svolgimento delle funzioni di governo.Sotto il secondo profilo, quello relativo al debole potere dell’AGCM, la lacunosa attitudine deterrente della disciplina è tutta nella previsione per la quale, anche laddove ravvisi gli estremi di un conflitto di interessi, non può colpire la carica, ma semplicemente diffidare l’impresa o le imprese, facenti capo al titolare della stessa, che abbiano tratto vantaggio dalle determinazioni assunte in conflitto di interessi; solo in caso di inottemperanza ad una tale diffida, l’AGCM sarebbe legittimata ad irrogare all’impresa una sanzione pecuniaria, la cui quantificazione è rimessa con vaghezza alla gravità del comportamento e al massimo vantaggio patrimoniale conseguito.Ma, a parte queste ultime considerazioni, una valutazione generale della disciplina che si è per sommi capi descritta non può che essere fortemente critica. E ciò per una serie di ragioni. Innanzitutto, è lo stesso impianto generale della legge che risulta parziale e debole: esso si presenta essenzialmente orientato a colpire fenomeni destinati ad incidere nella sfera dei rapporti economici (indebiti vantaggi ad un’impresa, con conseguente alterazioni dei principi di un libero mercato), piuttosto che guardare agli stessi fenomeni dal punto di vista dell’etica pubblica, della salvaguardia della corretta gestione della cosa pubblica. Persa di vista questa finalità fondamentale, anche la successiva articolazione delle soluzioni adottate dal legislatore italiano mostrano tutta la loro debolezza e i loro limiti.

- l’art. 84, comma 7, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 16334 che prevede l’estensione ai componenti della commissione giudicatrice (quando il criterio di aggiudicazione di una gara è quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa) delle cause di astensione previste per il giudice civile dall’art. 51 c.p.c.35;

34Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 100 del 2 maggio 2006 - Supplemento Ordinario n. 107.35Il giudice ha l'obbligo di astenersi: 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno,

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- l’art. 7 del d.P.R. 62/2013 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 16536) che, come visto, stabilisce che i dipendenti pubblici si debbono astenere dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di loro parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbiano rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni concui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia orapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti odorganizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente,ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente odirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cuiesistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide ilresponsabile dell'ufficio di appartenenza.

- l'art. 323 del codice penale con l'espressione "…omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti…" ha stabilito un dovere generale di astensione in ipotesi che configurino oggettivamente un conflitto, anche solo potenziale, di interessi;

- l’art. 36 c.p.p.37 in ordine all’obbligo di astensione del Giudice penale;

procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre,  è amministratore o gerente di un ente, di un' associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi; quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio, l'autorizzazione è chiesta al capo dell'ufficio superiore.

361.  Il Governo definisce un codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico. Il codice contiene una specifica sezione dedicata ai doveri dei dirigenti, articolati in relazione alle funzioni attribuite, e comunque prevede per tutti i dipendenti pubblici il divieto di chiedere o di accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità, in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, fatti salvi i regali d'uso, purché di modico valore e nei limiti delle normali relazioni di cortesia. 2.  Il codice, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, previa intesa in sede di Conferenza unificata, è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che lo sottoscrive all'atto dell'assunzione.3.  La violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, compresi quelli relativi all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare. La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi o reiterate del codice comportano l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 55-quater, comma 1.4.  Per ciascuna magistratura e per l'Avvocatura dello Stato, gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico a cui devono aderire gli appartenenti alla magistratura interessata. In caso di inerzia, il codice è adottato dall'organo di autogoverno.5.  Ciascuna pubblica amministrazione definisce, con procedura aperta alla partecipazione e previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione, un proprio codice di comportamento che integra e specifica il codice di comportamento di cui al comma 1. Al codice di comportamento di cui al presente comma si applicano le disposizioni del comma 3. A tali fini, la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) definisce criteri, linee guida e modelli uniformi per singoli settori o tipologie di amministrazione. 6.   Sull'applicazione dei codici di cui al presente articolo vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici di disciplina.7.  Le pubbliche amministrazioni verificano annualmente lo stato di applicazione dei codici e organizzano attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi.37Il giudice ha l'obbligo di astenersi: a) se ha interesse nel procedimento o se alcuna delle parti private o un difensore è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli; b) se è tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore, procuratore o curatore di una di dette parti è prossimo congiunto di lui o del coniuge; c) se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie; d) se vi è inimicizia grave fra lui o un suo prossimo congiunto e una delle parti private; e) se alcuno dei prossimi congiunti di lui o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o parte privata; f) se un prossimo congiunto di lui o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero; g) se si trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario; h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza. I motivi di astensione indicati nel comma 1 lettera b) seconda ipotesi e lettera e) o derivanti da incompatibilità per ragioni di coniugio o affinità, sussistono anche dopo l'annullamento, lo scioglimento o la cessazione

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- l’art. 51 c.p.c.38 in ordine all’obbligo di astensione del Giudice civile

Par. 3.1. La responsabilità disciplinare del pubblico dipendente

La violazione sostanziale della norme in materia di conflitto di interessi, che si realizza con il compimento di un atto illegittimo, dà luogo anzitutto a responsabilità disciplinare del dipendente, suscettibile di essere sanzionata con l’irrogazione di sanzioni all’esito del relativo procedimento.

In particolare il pubblico dipendente nell’esercizio delle proprie funzioni, può astrattamente incorrere in cinque fondamentali responsabilità: quella civile (se arreca danni a terzi, intranei o estranei all’amministrazione, o alla stessa amministrazione), penale (se pone in essere comportamenti qualificati dalla legge come reato), amministrativo-contabile (se arreca un danno erariale all’amministrazione di appartenenza o ad altra amministrazione), disciplinare (se viola obblighi previsti dalla contrattazione collettiva, dalla legge o dal codice di comportamento) e dirigenziale (per il solo personale dirigenziale, che non raggiunga i risultati posti dal vertice politico o si discosti dalle direttive dell’organo politico).

La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego ha ex novo regolamentato la responsabilità disciplinare (art.55 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) e la responsabilità dirigenziale (art. 21 del medesimo D.lgs. n. 165), mentre non ha innovato la previgente disciplina sulle tre restanti responsabilità, ovvero quella civile, penale ed amministrativo-contabile, per le quali viene testualmente richiamata la relativa disciplina legislativa di settore ad opera dell’art.55, comma 2 del D.lgs. n. 165.

Giova premettere che tali cinque responsabilità non sono tra loro incompatibili o alternative, in quanto spesso la medesima condotta illecita viola diversi precetti legislativi o contrattuali, originando concorrenti reazioni ad opera dell’ordinamento. Si pensi al caso di un dipendente che accetti tangenti per aggiudicare una gara ad una ditta “amica”: tale comportamento configura un reato (corruzione ex art.319 c.p.), un illecito civile verso le imprese partecipanti non vincitrici danneggiate (art.2043 c.c.), un illecito amministrativo-contabile (danno erariale da tangente e danno all’immagine dell’amministrazione), un illecito disciplinare. Si pensi ancora al dipendente, che, dopo aver timbrato il badge di ingresso, si allontana dall’ufficio per ore per motivi personali: oltre ai risvolti penali (delitto di false attestazioni e certificazioni; delitto di truffa) e disciplinari, si configura anche un illecito amministrativo-contabile (danno da erogazione di retribuzione da parte della p.a. senza fruire di controprestazione).

Al contrario, talune condotte, che assumono valenza di illecito penale potrebbero non avere rilevanza civile o disciplinare e viceversa, in quanto i presupposti di ciascun illecito non sono sempre coincidenti: si pensi alla commissione di un illecito civile che non assuma valenza penale in assenza di dolo, oppure alla commissione di un reato che non abbia però arrecato alcun danno patrimoniale a terzi o alla pubblica amministrazione.

La responsabilità disciplinare è quella forma di responsabilità, aggiuntiva rispetto a quella penale, civile, amministrativo-contabile e dirigenziale, in cui incorre il lavoratore, che non osserva obblighi contrattualmente assunti, fissati nella contrattazione collettiva e recepiti nel contratto individuale, dalla legge o dal codice di comportamento. Tale responsabilità comporta l’applicazione da parte del datore di lavoro di sanzioni conservative (richiamo, multa, sospensione dal servizio e dalla retribuzione) o espulsive (licenziamento con o senza preavviso). La natura giuridica del relativo procedimento punitivo e delle sanzioni inflitte è, in un sistema ormai “depubblicizzato”, di natura privatistica: quello disciplinare non è più, dunque, un “procedimento amministrativo”

degli effetti civili del matrimonio. La dichiarazione di astensione è presentata al presidente della corte o del tribunale, che decide con decreto senza formalità di procedura. Sulla dichiarazione di astensione del presidente del tribunale decide il presidente della corte di appello; su quella del presidente della corte di appello decide il presidente della corte di cassazione.38Vedi nota 31.

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espressivo di “supremazia speciale” dell’amministrazione nei confronti dei suoi dipendenti, ma una reazione pattiziamente concordata tra datore e lavoratore, a fronte di inadempimenti contrattuali del dipendente.

Il procedimento disciplinare nel pubblico impiego si fonda su alcuni basilari principi, così schematizzabili:

a) L’obbligatorietà dell’azione disciplinare. A differenza di quanto previsto nell’impiego privato, dove la scelta datoriale di sanzionare o meno il lavoratore è discrezionale (nei limiti del divieto di discriminazioni e del rispetto della parità di trattamento) in quanto espressiva di prerogative manageriali (c.d. valutazione costi-benefici), nell’impiego presso la p.a. l’azione disciplinare è obbligatoria, in quanto rispondente ai principi costituzionali di buon andamento della p.a. e di legittimità dell’azione amministrativa, al cui doveroso perseguimento è ostativa la impunita tolleranza di fenomeni di illegalità all’interno dell’apparato pubblico. La mancata attivazione di procedimenti disciplinari (per buonismo, per indolenza, o addirittura per dolo) o il loro immotivato abbandono è causa di responsabilità disciplinari, amministrativo-contabili e penali in capo all’inerte (o collusa) dirigenza;

b) La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi. Tale regola, valevole per tutto il diritto punitivo (sanzioni penali, amministrative ex art.11 della l. n. 689 del 1981, etc.), è trasfusa per l’illecito disciplinare nell’art. 2106 c.c.39, richiamato dall’art.55, comma 2 del D.lgs. n. 165 del 2001;

c) La tempestività dell’azione disciplinare. Come nell’impiego privato, anche in quello pubblico l’attivazione e la conclusione del procedimento disciplinare deve essere tempestiva, e cioè immediata per garantire sia l'effettività del diritto di difesa dell'incolpato (dal momento che, minore è il lasso di tempo tra la commissione della presunta infrazione ed il procedimento disciplinare, maggiore è la possibilità per l'incolpato di reperire valide argomentazioni difensive e prove di supporto), sia l'interesse del datore ad una reazione congrua ed esemplare per gli altri lavoratori (la tardività della contestazione potrebbe essere sintomo di comportamenti distorti o discriminatori);

d) La tassatività delle sanzioni disciplinari. Comein altri rami del “diritto punitivo” (es. diritto penale, sanzioni amministrative), anche in quello disciplinare le misure datoriali comminabili al lavoratore sono un numerusclausus, per esigenze di certezza e, in un regime ormai privatizzato, in ossequio alla libera determinazione delle parti negoziali che hanno liberamente concordato un numero tassativo di sanzioni infliggibili. Queste ultime sono: rimprovero verbale; rimprovero scritto (censura); multa di importo variabile fino ad un massimo di quattro ore di retribuzione; sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni; sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da undici giorni fino ad un massimo di sei mesi; licenziamento con preavviso; licenziamento senza preavviso. Sanzioni inflitte al di fuori di tale elenco tipico sono illegittime: ne consegue che l’uso “paradisciplinare” ed atipico di misure gestionali, quali il trasferimento per incompatibilità ambientale del lavoratore, si presta a censure in ambito giurisdizionale;

e) La gradualità sanzionatoria. Il sistema sanzionatorio disciplinare deve ispirarsi alla progressiva e graduale crescita delle sanzioni comminabili a fronte di comportamenti

39L’art. 2106 c.c. prevede l’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione, per il prestatore d’opera che non osserva le disposizioni di cui agli artt. 2104 e 2015 c.c. In base alla prima il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. La seconda disposizione sancisce l’obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro che non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.

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progressivamente più gravi e tale ascesa punitiva non deve prevedere salti logici tra una sanzione e l’altra.

f) Il contraddittorio procedimentale. Un basilare principio, sostanziale e processuale, che caratterizza ogni procedimento punitivo, e, dunque, anche quello disciplinare, è dato dal contraddittorio, ossia il diritto dell’incolpato di potersi difendere, venendo sentito o producendo prove e documenti, prima che l’organo titolare di potestà sanzionatoria adotti misure afflittive.

La complessa stratificazione normativa e di diffusa incertezza su questioni nodali della materia disciplinare è stato (ed è a tutt’oggi) senz’altro concausa del cattivo funzionamento della “macchina disciplinare” nell’impiego pubblico e nell’impiego pubblico privatizzato, crudamente riscontrato e stigmatizzato, in sede di controllo gestionale, dalla Corte dei conti in alcuni eloquenti referti sulla pessima gestione del procedimento punitivo all’interno della p.a.40, le cui concorrenti cause vanno ricercate sia nel diffuso tollerante comportamento “buonista” della dirigenza nei confronti di micro e macro illegalità all’interno dell’amministrazione, sia nel non lusinghiero funzionamento dei collegi arbitrali di disciplina (c.d. CAD), troppo spesso propensi (forse a causa della loro composizione eccessivamente sindacale), da un lato, a formalistici approcci alla materia disciplinare, destinati a portare all’invalidazione delle sanzioni comminate sulla scorta di discutibili vizi procedurali dell’iter sanzionatorio, e, dall’altro, ad un perdonismo ingiustificato, che ha condotto a sorprendenti derubricazioni delle sanzioni comminate (spesso dal licenziamento alla sospensione dal servizio e retribuzione sino a 10 giorni) nei confronti di autori di gravissimi illeciti sulla scorta di singolari motivazioni. La dirigenza andrebbe, inoltre, resa maggiormente consapevole dei devastanti riflessi gestionali che possono derivare dalla tolleranzadi fenomeni di illegalità all’interno della p.a.: si pensi al possibile riflesso emulativo che alcune condotte illecite non punite possono avere in un ambiente di lavoro, o ai costi economici sopportati dall’amministrazione a seguito di stravaganti decisioni arbitrali demolitorie di sanzioni (spesso espulsive) per discutibili vizi formali e tradottesi, a catena, in onerose restitutionesinintegrum stipendiali a favore di autori di gravi illeciti (anche penali ed amministrativo-contabili).

In realtà l’azione disciplinare, ove correttamente utilizzata, come nell’impiego privato, ossia per ottenere non una gretta osservanza di regole, ma l’efficienza dell’azione datoriale, non dovrebbe essere relegata ad un marginale istituto, da attivare solo a fronte di macroscopici illeciti di valenza penale confluiti in giudicati di condanna che, in quanto tali, non possono essere trascurati, ma deve divenire un ordinario strumento gestionale volto al miglioramento dell’azione amministrativa.

Ai sensi dell’art. 54 d.lgs. 165/2001 - modificato dall’art. 1, comma 44, L. 192/2012 - comma 3 la violazione dei doveri contenuti nel codice di comportamento, sulla cui applicazione vigilano i dirigenti responsabili di ciascuna struttura, le strutture di controllo interno e gli uffici di disciplina,e dei doveri relativi all'attuazione del Piano di prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare. La violazione dei doveri è altresì rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile ogniqualvolta le stesse responsabilità siano collegate alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Violazioni gravi o reiterate del codice comportano l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 55-quater, comma 141.Inoltre ai sensi dell’art. 16 40Le eloquenti delibere della Corte dei conti sul reale funzionamento del sistema disciplinare e cautelare nell'impiego pubblico negli ultimi anni, adottate ai sensi dell'art.3, comma 4 della l. 14 gennaio 1994, n. 20, sono edite integralmente in V. TENORE, Gliillecitidisciplinarideipubblicidipendenti, Roma, 2007, 99 ss,41 1. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:a) falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia;b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell'arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall'amministrazione;c) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall'amministrazione per motivate esigenze di servizio;d) falsità

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d.P.R. 62/2013 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici)la violazione degli obblighi previsti dal Codice integrando comportamenti contrari ai doveri d'ufficio, nonché dei doveri e degli obblighi previsti dal piano di prevenzione della corruzione, oltre a dar eventualmente luogo anche a responsabilità penale, civile, amministrativa o contabile del pubblico dipendente, è anzitutto fonte di responsabilità disciplinare accertata all'esito del procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni.

Inoltre per il comma 2 della disposizione in esameper determinare il tipo e l'entità della sanzione disciplinare concretamente applicabile, la violazione vavalutata con riguardo alla gravità del comportamento e all'entità del pregiudizio, anche morale, derivatone al decoro o al prestigio dell'amministrazione di appartenenza. Le sanzioni applicabili sono quelle previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi, incluse quelle espulsiveche possono essere applicate esclusivamente nei casi, da valutare in relazione alla gravità, di violazione delle disposizioni di cui all’art. 4 (Regali, compensi e altre utilità42), qualora concorrano la non modicità del valore del regalo o delle altre utilità e l'immediata correlazione di questi ultimi con il compimento di un atto o di un'attività tipici dell'ufficio; all’art. 5, comma 243; 14, comma 2, primo periodo, valutata ai sensi del primo periodo44.Inoltre le sanzioni disciplinari espulsive sono applicabili nei casi di recidiva negli illeciti di cui all’art. 4, comma 645; art. 6, comma 2 (esclusi i conflitti meramente potenziali)46e

documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera;e) reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui;f) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l'estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro.

42 1. Il dipendente non chiede, ne' sollecita, per se' o per altri, regali o altre utilità. 2. Il dipendente non accetta, per se' o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore effettuati occasionalmente nell'ambito delle normali relazioni di cortesia e nell'ambito delle consuetudini internazionali. In ogni caso, indipendentemente dalla circostanza che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per se' o per altri, regali o altre utilità. neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all'ufficio, ne' da soggetti nei cui confronti e' o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell'ufficio ricoperto.3. Il dipendente non accetta, per se' o per altri, da un proprio subordinato, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità, salvo quelli d'uso di modico valore. Il dipendente non offre, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità a un proprio sovraordinato, salvo quelli d'uso di modico valore. 4. I regali e le altre utilità comunque ricevuti fuori dai casi consentiti dal presente articolo, a cura dello stesso dipendente cui siano pervenuti, sono immediatamente messi a disposizione dell'Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali.5. Ai fini del presente articolo, per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto. I codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni possono prevedere limiti inferiori, anche fino all'esclusione della possibilità di riceverli, in relazione alle caratteristiche dell'ente e alla tipologia delle mansioni.6. Il dipendente non accetta incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all'ufficio di appartenenza.7. Al fine di preservare il prestigio e l'imparzialità dell'amministrazione, il responsabile dell'ufficio vigila sulla corretta applicazione del presente articolo.43Il pubblico dipendente non costringe altri dipendenti ad aderire ad associazioni od organizzazioni, nè esercita pressioni a tale fine, promettendo vantaggi o prospettando svantaggi di carriera.442. Il dipendente non conclude, per conto dell'amministrazione, contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o assicurazione con imprese con le quali abbia stipulato contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente, ad eccezione di quelli conclusi ai sensi dell'articolo 1342 del codice civile. Nel caso in cui l'amministrazione concluda contratti di appalto, fornitura, servizio, finanziamento o assicurazione, con imprese con le quali il dipendente abbia concluso contratti a titolo privato o ricevuto altre utilità nel biennio precedente, questi si astiene dal partecipare all'adozione delle decisioni ed alle attività relative all'esecuzione del contratto, redigendo verbale scritto di tale astensione da conservare agli atti dell'ufficio.456. Il dipendente non accetta incarichi di collaborazione da soggetti privati che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico significativo in decisioni o attività inerenti all'ufficio di appartenenza.

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art. 13, comma 9, primo periodo,d.P.R. 62/201347. I contratti collettivi possono prevedere ulteriori criteri di individuazione delle sanzioni applicabili in relazione alle tipologie di violazione del presente codice. Restano fermi la comminazione del licenziamento senza preavviso per i casi già previsti dalla legge, dai regolamenti e dai contratti collettivi e gli ulteriori obblighi e le conseguenti ipotesi di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti previsti da norme di legge, di regolamento o dai contratti collettivi.

Par. 3.2. L’atto emanato in violazione dell’obbligo di astensione e di segnalazione di situazioni di conflitto di interessi

Inoltre l’inosservanza delle norme in materia di conflitto di interesse può costituire fonte di illegittimità del procedimento e del provvedimento conclusivo dello stesso, non più quale sintomo di eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento della funzione tipica dell’azione amministrativa, ma quale conseguenza di violazione di legge.In altre parole l’atto posto in essere dal soggetto che versa in stato di conflitto di interessi si deve valutare come viziato da illegittimità e, quindi, annullabile non più per eccesso di potere ma per violazione di legge48. Non pare possa dubitarsi del fatto che la conseguenza di siffatta violazione sia costituita dall’illegittimità del provvedimento finale per violazione di legge. Ed invero, la tesi  che considera nullo siffatto provvedimento non è  condividibile in ragione della natura tassativa dell’art. 21 septies della legge 241/1990, disposizione  che consacra come ipotesi di nullità unicamente  la mancanza degli elementi essenziali, il difetto assoluto di attribuzione, la violazione o elusione del giudicato e altri casi espressamente previsti dalla legge: l’art. 6 bis non ha esplicitamente incluso il suo mancato rispetto nella categoria delle nullità e, pertanto, il provvedimento viziato per conflitto di interessi è annullabile per via giudiziaria, di autotutela o previo ricorso amministrativo.

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462. Il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado. Il conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli derivanti dall'intento di voler assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici.479. Il dirigente, nei limiti delle sue possibilità, evita che notizie non rispondenti al vero quanto all'organizzazione, all'attività e ai dipendenti pubblici possano diffondersi.48Cfr. A MASARACCHIA, “Sentenza breve” anche in campo amministrativo, in Guida al diritto, 2012, p.85

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