“La notte del gatto nero”, noir palermitano di Antonio ... Pagliaro/La notte... · cittadino...

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R2 CULTURA 50 GIOVEDÌ 24 MAGGIO 2012 la Repubblica CULTURA P erché da noi è così difficile rispettare le regole? Potrà sor- prendere, ma la questione non è estranea alla psicoanalisi, perché questo fuggi fuggi generale da ogni responsabilità, nel privato e nel pubblico, dipende anche da una serie di processi mentali consci e soprattutto inconsci, normali e soprattutto perversi. È di questo che tratterà il congresso della So- cietà psicoanalitica italiana, intitolato “Realtà psichica e regole so- ciali”, in programma da domani a domenica alla Sapienza di Roma. Ne parla Stefano Bolognini, alla guida della Società da tre anni e primo presidente italiano dell’Ipa, l’International Psychoanalytical Association, che riunisce i freudiani di tutto il mondo: «Per la prima volta affrontiamo in modo esplicito il rapporto tra l’interno e l’ester- no, tra la vita più intima e scabrosa degli individui e l’osservanza o il rifiuto delle condotte richieste da ogni comunità. Di irrituale non c’è solo il tema del congresso, perché gli interventi in programma sa- ranno brevi e puntiamo invece su un dialogo improvvisato tra noi analisti e i personaggi del mondo del lavoro e della cultura, nostri ospiti: da Susanna Camusso a Alessandro Profumo, da Silvana Bo- rutti a Valerio Magrelli… Non mi piaceva l’idea della solita passerel- la in cui ognuno canta la sua canzone, saluta e se ne va». Pensa che “i feticisti di Freud” saranno entusiasti di tanta spregiudicatezza? «Non si tratta di essere spre- giudicati, ma dell’esigenza di una discussione libera da stec- cati scolastici sulle ragioni che stanno sgretolando il senso profondo dell’identità e la no- zione di bene comune. Da più parti si avverte il bisogno di sfon- dare il lessico sociologico e della filosofia politica aprendolo an- che al contributo del linguaggio psicoanalitico. E comunque sin dall’inizio è stato proprio Freud a tenere in gran conto la realtà collettiva: pensi a Il disagio della civiltà, a quell’analisi del prezzo che si pagava in termini di re- pressione degli istinti a favore della convivenza sociale. Un se- colo fa le regole erano molto rigi- de e il lavoro degli analisti tende- va a liberare gli individui da im- perativi interni troppo oppri- menti, da un Super-Io castran- te». Oggi la situazione si è ribalta- ta? «Oggi c’è una patologia diffu- sa della perdita di ogni limite, tanto che qualcuno dovrebbe scrivere “Il disagio dell’inci- viltà”. Non è solo una battuta, vi- sto che ormai il lavoro analitico è soprattutto rivolto a ricostituire dei confini, un senso minimo della realtà, a ridurre questa on- data di narcisismo sempre più asociale». Saremmo tutti vittime di un desolante smarrimento dei “garanti metapsichici e meta- sociali”. A cosa allude quest’e- spressione di René Kaes tanto in voga tra voi analisti? «Dal nostro punto di vista, gli esseri umani hanno bisogno di contenitori psichici e sociali dentro cui far vivere il rapporto con se stessi e con gli altri. E in- vece tutto sembra scricchiolare, non abbiamo più appigli solidi, rischiamo di diventare bambini capricciosi senza genitori consi- stenti in famiglia e senza “equi- valenti genitoriali” nelle istitu- zioni e nelle comunità sociali. Eccezioni ce ne sono, ma evi- dentemente non bastano, e al congresso è di questo che parle- remo: delle ragioni profonde che rendono intollerabili le in- certezze del mutamento, della rarefazione dei contatti reali, dell’assenza fisica che caratte- rizza il nostro universo relazio- nale». L’opacità, se non lo spegni- mento delle coscienze, si lega a una specie di infantilizzazione del vivere comune? «Una volta il “fuori” si riflette- va moltissimo sul “dentro”, mentre oggi ci illudiamo di poter adeguare l’ordine esterno ai no- stri desideri onnipotenti. In que- sto clima psichico, che definirei di individualismo asociale, gli Altri così poco tollerati eppure decisivi per la nostra vita deter- minano un sentimento di di- sconferma e di frustrazione, con una inevitabile tendenza de- pressiva». Secondo lei, che sta succe- dendo di fronte a un avveni- mento traumatico come la cri- si? «Che la rabbia esplode anche contro di sé. L’ondata di suicidi e le tensioni diffuse hanno ragioni senz’altro complesse, ma si pos- sono “leggere” anche così, come l’inaccettabilità di riconoscere quello che si è e soprattutto quel- la che in ogni caso è la condizio- ne umana: sempre terribilmen- te fragile, incerta, dipendente… Se fino a qualche tempo fa si po- teva dire spavaldamente “Sono IL DISAGIO DELL’ Intervista a Stefano Bolognini, presidente dell’associazione che riunisce i freudiani del mondo alla vigilia del Congresso della Società psicoanalitica tativo di reagire all’ingiustizia che gli sconvolge la vita, viene ri- succhiato dal gorgo dove finisce per perdere tutto: lavoro, soldi, moglie e soprattutto se stesso. Perché lascia turbati questa vicenda? Perché racconta degli ordinari soprusi che si consu- mano ogni giorno nel nostro paese. Per dire, la situazione nel- le carceri, fatta di taciute violen- ze quotidiane, guardie corrotte, boss che spadroneggiano. O l’errore giudiziario che lascia il cittadino comune inerme nelle mani di un meccanismo indiffe- rente e micidiale. Il romanzo di Pagliaro ci conduce per mano a vedere da vicino come una per- sona semplice può rimanerne stritolata senza remissione. A conferma della teoria che vede il noir come l’unico genere lette- rario oggi capace di descrivere la società così com’è, con uno sguardo realistico, senza ideolo- gismi consolatori. Ma la “denuncia sociale”, che pure c’è, e potente, non esauri- sce la forza della storia. Giovan- ni Ribaudo, il protagonista, da- vanti all’assurda iniquità che lo priva dell’unico figlio, inizia a trasformarsi. Ha subito per tutta una vita, accettato sempre quel- lo che veniva. Ora non è più pos- sibile. A cambiare tutto è l’in- contro con un amico d’infanzia, diventato boss mafioso. Il crimi- nale è legato al professore da un vecchio debito di riconoscenza, vuole aiutarlo, lo convince a vendicarsi. Giovanni attraversa il confine della legalità, entra in un mondo che non è il suo, quel- lo della violenza, diventa a poco a poco un “mostro”. Il percorso psicologico, l’uo- mo della strada che diventa “fu- ria assassina” per la perdita del figlio innocente, ricorda molto da vicino Il borghese piccolo pic- colo, romanzo degli anni Settan- ta di Vincenzo Cerami, poi di- ventato un film diretto da Mario Monicelli con una sbalorditiva interpretazione di Alberto Sordi in una rara evasione dai suoi abi- tuali registri comici. L’obiettivo di Cerami, però, era più “politi- co”: fare del suo personaggio (anche lui si chiamava Giovan- ni) il rappresentante tipico di quella piccola borghesia appa- rentemente bonaria, ma capace di inaudite esplosioni di ferocia. Niente di tutto questo nel ro- manzo di Pagliaro che segue il suo personaggio con una lingua asciutta, tutta azione e dialoghi, senza mai cedere alla tentazione di giudicare. Ancora, la reazione del “borghese” scattava quando la morte del figlio spezzava tutto il suo sogno di padre che ne ave- va disegnato e preparato nei det- tagli la carriera e tutto il percorso di vita. Nella Palermo di Giovan- ni Ribaudo, invece, il male ir- rompe a travolgere vite che non hanno mai avuto prospettive, nemmeno “piccole piccole”. È per questo che La notte del gatto nero disturba: perché ci parla di un tempo, il nostro, che ha perso la speranza. È un romanzo perturbante, questo La notte del gatto nero di Antonio Pagliaro (Guanda). Una storia scura, dove nessuno si salva, che non lascia spiragli per far filtrare la luce del ri- scatto, della possibilità di resistere al male. Siamo a Palermo, oggi. Salvatore, diciannove anni, non è rientra- to a casa, ha passato la notte fuori. È la prima volta. Giovanni, suo pa- dre, spera ancora che si tratti di una bravata da ragazzi, ma l’ango- scia non lo molla, il cellulare non risponde. La polizia non può cer- carlo, «ci fate solo perdere tempo, vi siete litigati in famiglia?». Quan- do finalmente arrivano notizie, sono drammatiche. Salvatore è sta- to arrestato, in macchina portava un grosso carico di droga. La vita di Giovanni, la sua routine di semplice insegnante, è travolta. La disce- sa all’inferno comincia con l’avvocato, che non prende la vicenda a cuore come meriterebbe, ma consuma lo stesso tutti i risparmi del professore. Poi arriva la tragedia e, senza anticipare troppo della tra- ma, perché pur sempre di un poliziesco si tratta, Giovanni, nel ten- “La notte del gatto nero”, noir palermitano di Antonio Pagliaro LA RABBIA DI UN UOMO PICCOLO PICCOLO IL LIBRO “La notte del gatto nero” di Antonio Pagliaro (Guanda, pagg. 210, euro 14,50) Nel romanzo sono raccontati gli ordinari soprusi che schiacciano i cittadini comuni © RIPRODUZIONE RISERVATA “Oggi ci illudiamo di poter adeguare l’ordine esterno ai nostri desideri onnipotenti” LUCIANA SICA “RISCOPRIAMO LE REGOLE CONTRO I NARCISISTI ASOCIALI” LEOPOLDO FABIANI Lo psicoanalista Stefano Bolognini è presidente dell’Ipa, l’associazione internazionale degli psicoanalisti. Da domani a domenica si tiene alla Sapienza di Roma il XVI Congresso della Società Psicoanalitica Italiana SUL “VENERDÌ” Sul “Venerdì” in edicola domani con Repubblica un servizio di Novelli su lettere e testi inediti di Natalia Ginzburg al marito e a Cesare Pavese INCIVILTÀ

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GIOVEDÌ 24 MAGGIO 2012

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Perché da noi è così difficile rispettare le regole? Potrà sor-prendere, ma la questione non è estranea alla psicoanalisi,perché questo fuggi fuggi generale da ogni responsabilità,nel privato e nel pubblico, dipende anche da una serie diprocessi mentali consci e soprattutto inconsci, normali e

soprattutto perversi. È di questo che tratterà il congresso della So-cietà psicoanalitica italiana, intitolato “Realtà psichica e regole so-ciali”, in programma da domani a domenica alla Sapienza di Roma.

Ne parla Stefano Bolognini, alla guida della Società da tre anni eprimo presidente italiano dell’Ipa, l’International PsychoanalyticalAssociation, che riunisce i freudiani di tutto il mondo: «Per la primavolta affrontiamo in modo esplicito il rapporto tra l’interno e l’ester-no, tra la vita più intima e scabrosa degli individui e l’osservanza o ilrifiuto delle condotte richieste da ogni comunità. Di irrituale non c’èsolo il tema del congresso, perché gli interventi in programma sa-ranno brevi e puntiamo invece su un dialogo improvvisato tra noianalisti e i personaggi del mondo del lavoro e della cultura, nostriospiti: da Susanna Camusso a Alessandro Profumo, da Silvana Bo-rutti a Valerio Magrelli… Non mi piaceva l’idea della solita passerel-la in cui ognuno canta la sua canzone, saluta e se ne va».

Pensa che “i feticisti di Freud”saranno entusiasti di tantaspregiudicatezza?

«Non si tratta di essere spre-giudicati, ma dell’esigenza diuna discussione libera da stec-cati scolastici sulle ragioni chestanno sgretolando il sensoprofondo dell’identità e la no-zione di bene comune. Da piùparti si avverte il bisogno di sfon-dare il lessico sociologico e dellafilosofia politica aprendolo an-che al contributo del linguaggiopsicoanalitico. E comunque sindall’inizio è stato proprio Freuda tenere in gran conto la realtàcollettiva: pensi a Il disagio dellaciviltà, a quell’analisi del prezzoche si pagava in termini di re-pressione degli istinti a favoredella convivenza sociale. Un se-colo fa le regole erano molto rigi-de e il lavoro degli analisti tende-va a liberare gli individui da im-perativi interni troppo oppri-menti, da un Super-Io castran-te».

Oggi la situazione si è ribalta-ta?

«Oggi c’è una patologia diffu-sa della perdita di ogni limite,tanto che qualcuno dovrebbe

scrivere “Il disagio dell’inci-viltà”. Non è solo una battuta, vi-sto che ormai il lavoro analitico èsoprattutto rivolto a ricostituiredei confini, un senso minimodella realtà, a ridurre questa on-data di narcisismo sempre piùasociale».

Saremmo tutti vittime di undesolante smarrimento dei“garanti metapsichici e meta-sociali”. A cosa allude quest’e-spressione di René Kaes tanto invoga tra voi analisti?

«Dal nostro punto di vista, gli

esseri umani hanno bisogno dicontenitori psichici e socialidentro cui far vivere il rapportocon se stessi e con gli altri. E in-vece tutto sembra scricchiolare,non abbiamo più appigli solidi,rischiamo di diventare bambinicapricciosi senza genitori consi-stenti in famiglia e senza “equi-valenti genitoriali” nelle istitu-zioni e nelle comunità sociali.Eccezioni ce ne sono, ma evi-dentemente non bastano, e alcongresso è di questo che parle-remo: delle ragioni profondeche rendono intollerabili le in-certezze del mutamento, dellararefazione dei contatti reali,dell’assenza fisica che caratte-rizza il nostro universo relazio-nale».

L’opacità, se non lo spegni-mento delle coscienze, si lega auna specie di infantilizzazionedel vivere comune?

«Una volta il “fuori” si riflette-va moltissimo sul “dentro”,mentre oggi ci illudiamo di poteradeguare l’ordine esterno ai no-stri desideri onnipotenti. In que-sto clima psichico, che definireidi individualismo asociale, gli

Altri così poco tollerati eppuredecisivi per la nostra vita deter-minano un sentimento di di-sconferma e di frustrazione, conuna inevitabile tendenza de-pressiva».

Secondo lei, che sta succe-dendo di fronte a un avveni-mento traumatico come la cri-si?

«Che la rabbia esplode anchecontro di sé. L’ondata di suicidi ele tensioni diffuse hanno ragionisenz’altro complesse, ma si pos-sono “leggere” anche così, comel’inaccettabilità di riconoscere

quello che si è e soprattutto quel-la che in ogni caso è la condizio-ne umana: sempre terribilmen-te fragile, incerta, dipendente…Se fino a qualche tempo fa si po-teva dire spavaldamente “Sono

IL DISAGIO DELL’

Intervista a Stefano Bolognini, presidentedell’associazione che riunisce i freudiani del mondoalla vigilia del Congresso della Società psicoanalitica

tativo di reagire all’ingiustiziache gli sconvolge la vita, viene ri-succhiato dal gorgo dove finisceper perdere tutto: lavoro, soldi,moglie e soprattutto se stesso.

Perché lascia turbati questavicenda? Perché racconta degliordinari soprusi che si consu-mano ogni giorno nel nostropaese. Per dire, la situazione nel-le carceri, fatta di taciute violen-ze quotidiane, guardie corrotte,boss che spadroneggiano. Ol’errore giudiziario che lascia ilcittadino comune inerme nellemani di un meccanismo indiffe-rente e micidiale. Il romanzo diPagliaro ci conduce per mano avedere da vicino come una per-

sona semplice può rimanernestritolata senza remissione. Aconferma della teoria che vede ilnoir come l’unico genere lette-rario oggi capace di descrivere lasocietà così com’è, con unosguardo realistico, senza ideolo-gismi consolatori.

Ma la “denuncia sociale”, chepure c’è, e potente, non esauri-sce la forza della storia. Giovan-ni Ribaudo, il protagonista, da-vanti all’assurda iniquità che lopriva dell’unico figlio, inizia atrasformarsi. Ha subito per tuttauna vita, accettato sempre quel-lo che veniva. Ora non è più pos-sibile. A cambiare tutto è l’in-contro con un amico d’infanzia,diventato boss mafioso. Il crimi-nale è legato al professore da unvecchio debito di riconoscenza,vuole aiutarlo, lo convince avendicarsi. Giovanni attraversail confine della legalità, entra inun mondo che non è il suo, quel-

lo della violenza, diventa a pocoa poco un “mostro”.

Il percorso psicologico, l’uo-mo della strada che diventa “fu-ria assassina” per la perdita delfiglio innocente, ricorda moltoda vicino Il borghese piccolo pic-colo, romanzo degli anni Settan-ta di Vincenzo Cerami, poi di-ventato un film diretto da MarioMonicelli con una sbalorditivainterpretazione di Alberto Sordiin una rara evasione dai suoi abi-tuali registri comici. L’obiettivodi Cerami, però, era più “politi-co”: fare del suo personaggio(anche lui si chiamava Giovan-ni) il rappresentante tipico diquella piccola borghesia appa-rentemente bonaria, ma capacedi inaudite esplosioni di ferocia.Niente di tutto questo nel ro-manzo di Pagliaro che segue ilsuo personaggio con una linguaasciutta, tutta azione e dialoghi,senza mai cedere alla tentazionedi giudicare. Ancora, la reazionedel “borghese” scattava quandola morte del figlio spezzava tuttoil suo sogno di padre che ne ave-va disegnato e preparato nei det-tagli la carriera e tutto il percorsodi vita. Nella Palermo di Giovan-ni Ribaudo, invece, il male ir-rompe a travolgere vite che nonhanno mai avuto prospettive,nemmeno “piccole piccole”. Èper questo che La notte del gattonero disturba: perché ci parla diun tempo, il nostro, che ha persola speranza.

Èun romanzo perturbante, questo La notte del gatto nero diAntonio Pagliaro (Guanda). Una storia scura, dove nessunosi salva, che non lascia spiragli per far filtrare la luce del ri-scatto, della possibilità di resistere al male.

Siamo a Palermo, oggi. Salvatore, diciannove anni, non è rientra-to a casa, ha passato la notte fuori. È la prima volta. Giovanni, suo pa-dre, spera ancora che si tratti di una bravata da ragazzi, ma l’ango-scia non lo molla, il cellulare non risponde. La polizia non può cer-carlo, «ci fate solo perdere tempo, vi siete litigati in famiglia?». Quan-do finalmente arrivano notizie, sono drammatiche. Salvatore è sta-to arrestato, in macchina portava un grosso carico di droga. La vita diGiovanni, la sua routine di semplice insegnante, è travolta. La disce-sa all’inferno comincia con l’avvocato, che non prende la vicenda acuore come meriterebbe, ma consuma lo stesso tutti i risparmi delprofessore. Poi arriva la tragedia e, senza anticipare troppo della tra-ma, perché pur sempre di un poliziesco si tratta, Giovanni, nel ten-

“La notte del gatto nero”, noir palermitano di Antonio Pagliaro

LA RABBIA DI UN UOMOPICCOLO PICCOLO

IL LIBRO“La notte delgatto nero”di AntonioPagliaro(Guanda,pagg. 210,euro 14,50)

Nel romanzo sonoraccontati gliordinari soprusiche schiaccianoi cittadini comuni

© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Oggi ci illudiamodi poter adeguarel’ordine esternoai nostri desiderionnipotenti”

LUCIANA SICA

“RISCOPRIAMO LE REGOLECONTRO I NARCISISTI ASOCIALI”

LEOPOLDO FABIANI

Lo psicoanalista

Stefano Bolognini èpresidente dell’Ipa,l’associazione internazionaledegli psicoanalisti. Da domani a domenica si tiene allaSapienza di Roma il XVICongresso della SocietàPsicoanalitica Italiana

SUL “VENERDÌ”Sul “Venerdì” in edicoladomani con Repubblica unservizio di Novelli su lettere etesti inediti di Natalia Ginzburgal marito e a Cesare Pavese

INCIVILTÀ