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LA NIGERIA IN AFRICA E LA POLITICA DELL’ITALIA A cura di Gian Paolo Calchi Novati e Marta Montanini Hanno collaborato: Alberto Brambilla Giovanni Carbone Francesco Carchedi Godwin Chukwu Elisa Meligrani Giulia Pellegrini Caterina Roggero Olabisi Shoaga Rapporto ISPI per il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Ottobre 2014

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LA NIGERIA IN AFRICA E

LA POLITICA DELL’ITALIA

A cura di Gian Paolo Calchi Novati e Marta Montanini  

Hanno collaborato:

Alberto Brambilla Giovanni Carbone Francesco Carchedi Godwin Chukwu Elisa Meligrani Giulia Pellegrini

Caterina Roggero Olabisi Shoaga

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rapporto ISPI per il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

Ottobre 2014

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Indice

Introduzione 3

Executive Summary 4

1. Una potenza alla ricerca di un ruolo 7

2. La politica del federalismo: un caso di frammentazione senza disintegrazione 13

2.1 Un sentimento nazionale in stallo 16

2.2 Gli “inconvenienti” della democrazia 17

3. Quattro repubbliche tra civili e militari 20

3.1 Il protagonismo delle forze armate 20

3.2 Le debolezze dell’ordinamento istituzionale 21

3.3 La controversia sul principio dell’alternanza 25

4. Il nuovo gigante economico dell’Africa 28

4.1 Il quadro macroeconomico 28

4.2 L’obiettivo di Vision 20:2020 31

4.3 Riforme e ostacoli 34

4.4 La funzione del settore petrolifero 35

4.5 Le riforme fiscali per sostenere gli investimenti 36

4.6 Le prospettive per i paesi terzi 37

5. Un accordo particolare con l’Unione europea 40

6. La politicizzazione dell’islam e l’emergenza Boko Haram 44

6.1 Il fondatore, Mohammed Yusuf 46

6.2 Il successore, Muhamed Shekau 47

6.3 Fazioni e tecniche di reclutamento 48

6.4 Il dibattito sull’applicazione della shari’a 50

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Conclusioni 52

7. Le attività criminali: narcotraffico e pirateria 54

7.1 La debolezza delle élites 56

7.2 Contrasto alla pirateria: dal Golfo di Aden al Golfo di Guinea? 58

7.3 L’impatto economico del traffico di stupefacenti 59

8. Alcuni aspetti dell’immigrazione nigeriana in Italia 62

8.1 I dati di base 63

8.2 Stato civile e struttura per età 63

8.3 I permessi di soggiorno 64

8.4 Origine “etnica” 65

9. Opportunità e strategie per le imprese italiane 67

9.1 I settori trainanti 68

9.2 Una nuova fase 70

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Introduzione

La Nigeria nuova potenza economica africana e le opportunità per l’Italia

La Nigeria ha recentemente affiancato al suo noto e storico potenziale demografico un rilevante peso economico. Questo nuovo status le permette di sfidare con più possibilità il Sud Africa, paese leader a livello continentale dagli anni Novanta e portavoce degli interessi africani nei rapporti con il resto del mondo. Com’è dimostrato dalle vicende attinenti all’elezione dell’ultimo presidente della Commissione dell’Unione africana, non sempre la Nigeria è riuscita ad avere la meglio sul Sud Africa, ma la coscienza della sua forza a livello economico le consente di sviluppare un attivismo politico anche internazionale che potrà dare i suoi frutti nel prossimo futuro.

I vantaggi della massa d’urto assicurata dalle sue dimensioni costituiscono il collante necessario alla Nigeria per far sì che il suo sistema politico e giuridico a carattere federale resista alle spinte centrifughe da sempre in atto. Nel Rapporto si parla della Nigeria come di un caso di “frammentazione senza disintegrazione”.

Le ambizioni che Abuja si pone sul piano economico sono ben rappresentate dal piano Vision 20:2020. Elaborato durante la presidenza di Obasanjo e in fase di piena attuazione sotto l’attuale amministrazione Jonathan, il piano mira a rendere la Nigeria una delle economie più forti e concorrenziali a livello mondiale entro il 2020.

In ogni caso, ciò potrà accadere solo a patto che si riesca a dare una risposta efficace agli ostacoli frapposti dalla corruzione diffusa nonché dalle attività criminali organizzate come la pirateria e il narcotraffico.

Ancora più importante è il rafforzamento della politica di contrasto, militare ma anche in termini politici, al ribellismo del movimento jihadista di Boko Haram, che sfrutta ai suoi fini la disaffezione di vasti strati della popolazione del Nord per una condizione di povertà e di abbandono. Il Sud gode di un grado maggiore di sviluppo e modernità che evidenzia il distacco dal Nord. Il modello è, a sua volta, percepito come una forma di alienazione rispetto all’identità fortemente segnata dall’islam che fa da sfondo alle vicende storiche della Nigeria.

Delle potenzialità della Nigeria sembrano essersi accorti due paesi appartenenti al gruppo Brics: Cina e, soprattutto, Brasile. Anche l’Unione europea riconosce un ruolo di primo piano al paese, sia considerandolo in un’ottica a sé stante che nel quadro dell’Ecowas, l’organizzazione regionale dell’Africa occidentale.

In questo contesto, s’inserisce l’analisi dei rapporti tra Italia e Nigeria contenuta nelle sezioni conclusive del Rapporto. Partendo dalle interazioni già esistenti tra i due paesi, comprese le potenzialità inerenti alla diaspora nigeriana sul suolo italiano, si delinea una prospettiva di attuazione delle strategie che le imprese italiane potrebbero perseguire in Nigeria, identificando i settori più propizi accanto alla presenza collaudata dell’Eni nel campo energetico. L’obiettivo è sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla poderosa crescita economica dell’aspirante “gigante” africano.

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Executive Summary

Il QUADRO DI RIFERIMENTO: il balzo economico attualmente in atto, unito al tradizionale peso demografico, fa della Nigeria la prima potenza africana?

Una nuova metodologia di valutazione ha permesso – a cominciare dal 2013 – di promuovere la Nigeria a prima economia dell’Africa, superando il Sud Africa. Alle dimensioni demografiche e geografiche la Nigeria, così, ha aggiunto anche quest’altro primato. Il volume del Pil non impedisce, però, che la Nigeria continui a presentare deficienze, anche rispetto ad altri paesi africani, circa il reddito pro capite e l’aspettativa di vita alla nascita.

La Nigeria non mancherà di far pesare il “sorpasso” del Sud Africa, sia nella politica regionale sia nella politica internazionale. Per il momento, tuttavia, il Sud Africa, oltre a essere l’unico membro africano del G20, vanta la partecipazione ai Brics, consesso portavoce del Sud nella politica e nell’economia mondiale, ed è riuscito nel 2012 a far eleggere l’ex-moglie del suo presidente, Nkosazana Dlamini-Zuma, a presidente della Commissione dell’Unione africana.

Non sono mancate, in effetti, disparità di giudizio e di azione fra i due “colossi” della politica africana nelle crisi continentali degli ultimi tempi. La Nigeria si è mostrata meno ostile alle intrusioni delle potenze extra-africane. La sensibilità della Nigeria alla recrudescenza della violenza originata dal jihadismo spiega la maggiore disponibilità di Abuja a collaborare con le potenze occidentali.

Il federalismo continua a rappresentare il punto di forza della Nigeria, sia sullo scenario continentale sia su quello internazionale. Le alte sfere della politica e i poteri forti attivi in ambito economico sono i principali difensori del mantenimento della struttura federale dello Stato, che garantisce le diversità etniche, religiose e comunitarie. Solo così il paese può continuare a sperare di svolgere stabilmente il ruolo di leader continentale e d’interlocutore africano privilegiato della comunità internazionale.

La Nigeria, dunque, dimostra una buona capacità di far fronte ai rischi di disgregazione. Gli interessi sia di carattere ideale sia di carattere economico a mantenere un grande Stato unito, benché nella pluralità, prevalgono sulle tentazioni secessionistiche di singoli stati o di grandi regioni (com’è avvenuto negli anni Sessanta da parte del Sud-Est, ribattezzato Biafra).

Tornata alla democrazia rappresentativa nel 1999, la Nigeria offre uno scenario politico-istituzionale complesso, caratterizzato da molteplici frizioni interne.

Il governo federale possiede ampi poteri in tema di sicurezza e di gestione della rendita petrolifera. Le autorità dei 36 stati federati hanno spesso manifestato le loro rimostranze per una redistribuzione delle risorse considerata non equa.

Anche al vertice si profila una fase critica per l’eventuale ricandidatura del presidente Goodluck Jonathan alle elezioni del 2015, con poco rispetto per il principio dell’alternanza fra un presidente musulmano del Nord e uno cristiano del Sud.

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La RINNOVATA CRESCITA ECONOMICA: quali le basi e quali le prospettive future?

Il Rapporto evidenzia, settore per settore, il quadro macroeconomico nigeriano, soffermandosi in particolare sul piano di sviluppo Vision 20:2020, attraverso il quale la Nigeria aspira a diventare una delle venti economie più grandi del mondo entro il 2020.

Il piano Vision 20:2020 ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo del paese sulla base di una crescita economica sostenibile e del rafforzamento delle istituzioni democratiche. Pensata nell’ultimo periodo delle amministrazioni Obasanjo (1999-2007) con il progetto “Needs” e strutturata durante l’amministrazione Yar’Adua (2007-2010), la strategia amalgama diversi piani di sviluppo e, recentemente, è servita da base per l’innesto della Transformation Agenda dell’attuale presidente, Goodluck Jonathan.

Viene, inoltre, messo in evidenza quanto l’economia nigeriana non sia più così dominata dall’estrazione del petrolio come in passato, e come in parte erroneamente si credeva. Soprattutto grazie alle riforme approvate in materia fiscale al fine di sostenere gli investimenti diretti esteri, sono emersi nuovi spazi per i players esterni di cui può approfittare anche l’Italia.

Nonostante lo sviluppo economico in atto, permangono tuttavia delle criticità. L’esempio più evidente è quello della mancanza di una solida base infrastrutturale, con ripercussioni sul grado di competitività del paese.

L’Unione europea, dal canto suo, ha selezionato la Nigeria come un paese prioritario, anche nella sua veste di pilastro dell’organizzazione regionale dell’Africa occidentale (Ecowas). Naturalmente, Bruxelles non sottovaluta le difficoltà e i rischi di una simile scelta.

Da parte sua, la Nigeria avanza riserve sulla natura del rapporto con l’Europa, dopo l’abolizione delle preferenze di cui godevano i paesi africani, nel timore di un’eccessiva invadenza di merci europee.

Gli OSTACOLI ALLA CRESCITA ECONOMICA: quale il peso effettivo della politicizzazione dell’islam e delle attività criminali in atto?

La destabilizzazione diffusa in tutta la fascia settentrionale del paese dai fenomeni terroristici che fanno capo a Boko Haram accentua una divisione fra Nord e Sud che non è stata mai completamente sdrammatizzata.

Il Rapporto esamina lo sviluppo storico di Boko Haram, concentrandosi sull’analisi delle due diverse leadership che ne hanno definito le caratteristiche essenziali: prima quella, più politica, del fondatore Mohammed Yusuf, poi quella, decisamente militarizzata, del successore Muhamed Shekau.

Ampio spazio viene dedicato anche alle diverse fazioni interne che si sono progressivamente sviluppate, oltre che alle tecniche di proselitismo e di combattimento che Boko Haram impiega per il raggiungimento dei suoi scopi, tenendo sempre presente il dibattito interno sull’applicazione della shari’a.

Sui metodi di contrasto è in atto in Nigeria e nelle stesse Forze armate un dibattito fra la soluzione strettamente militare e una strategia più articolata che cerchi di affrontare anche i motivi politici del fenomeno.

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Il movimento travalica i confini della Nigeria e investe sempre di più il Niger e il Camerun minacciando in prospettiva anche il Ciad, principale alleato della Francia nella regione.

Il Rapporto dedica, inoltre, la dovuta attenzione alle forme di criminalità organizzata più diffuse in Nigeria, molto spesso fomentate dalle élite al potere ai fini della lotta interna. La pirateria sembra aver attecchito anche nel Golfo di Guinea, dopo essersi sviluppata nella culla del Golfo di Aden. Una certa attenzione merita anche il traffico di stupefacenti in transito dai paesi di produzione ai mercati in Europa e America, piaga comune anche ad altri paesi africani.

Si tratta di fenomeni che costituiscono un ostacolo ulteriore, oltre a quello del terrorismo di matrice islamica e comunque alle tensioni inter-religiose, per lo sviluppo delle attività economiche, rappresentando anche una possibile minaccia per la stabilità, la pace e la sicurezza.

NIGERIA E ITALIA: dal “monopolio” del petrolio a nuove possibilità d’investimento per le imprese italiane?

Non ci sono particolari motivi storici o di prossimità a favore di un rapporto privilegiato tra Italia e Nigeria. Ci sono, in compenso, molti motivi di stringente attualità che riguardano sia la geopolitica sia l’economia.

Quantitativamente, la Nigeria è già un partner importante per l’Italia, ma l’Italia non figura ai primi posti nella classifica dei partner della Nigeria. Solo nel campo petrolifero spicca la presenza dell’Eni, che sta peraltro abbandonando i giacimenti on-shore per i più “sicuri” giacimenti nelle acque profonde.

Il made in Italy gode di un’attrazione virtuale maggiore dei risultati fin qui conseguiti. Il formato delle nostre imprese si adatta apparentemente alle esigenze del mercato nigeriano, in rapida e tumultuosa crescita in settori come l’industria manifatturiera, l’edilizia, e in genere le infrastrutture, ecc. D’altro canto, le asperità consigliano di studiare con molta attenzione il momento e le modalità di ogni intervento.

In Italia sono presenti fra 50 e 70 mila cittadini nigeriani, più o meno integrati, come dimostra il Rapporto sulla base delle statistiche quantitative e delle occupazioni. I dati sono stati analizzati tenendo conto di alcune categorie: stato civile; struttura per età; permessi di soggiorno; origine “etnica”. In passato, il governo nigeriano tentò di dare una maggiore organicità al rapporto con l’Italia attraverso la diaspora. L’iniziativa non ha sortito molto successo, ma potrebbe essere ripresa da parte italiana proprio in vista di una partnership paritaria e pluri-dimensionale con il “gigante” dell’Africa.

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1. Una potenza alla ricerca di un ruolo

Nel duello a distanza con il Sud Africa per la leadership a livello continentale la Nigeria è partita svantaggiata. Del carisma che si meritò Nelson Mandela per com’è stata vinta la lotta contro l’apartheid ha goduto di riflesso tutto il Sud Africa. Ma il Sud Africa non può competere con la Nigeria né per le dimensioni né quanto a “negrità”. La forza della Nigeria sta nei numeri, anche se il paese non ha sempre avuto con essi un buon rapporto. Per molto tempo, a fin di bene, i nigeriani preferirono non contarsi. Ogni censimento rischiava, infatti, di aprire un contenzioso perché sui numeri era stato edificato il sistema politico-istituzionale con, all’interno della Federazione, tre grandi regioni, in senso lato mono-etniche: la maggioranza nel parlamento federale rispecchiava il peso demografico e siccome nelle tre regioni agiva un partito dominante, la maggioranza e la minoranza erano decise di fatto dai censimenti. Dopo le prime diatribe si preferì l’approssimazione all’esattezza, che avrebbe potuto rimettere tutto in discussione.

Il gap in termini di popolazione fra Nigeria e Sud Africa non lascia dubbi. Ciò nonostante, fu il Sud Africa e non la Nigeria a essere cooptato nel 2011 dai Bric, il “cartello” del Sud globale con Brasile, Russia, India e Cina, e per l’occasione rinominato Brics. Il Sud Africa ha meno di 50 milioni di abitanti e le sue proporzioni non sono all’altezza di quelle degli altri Stati membri. La popolazione della Nigeria è fra i 170 e i 180 milioni di abitanti, più della Russia, e potrebbe raddoppiare in 20-25 anni. Il confronto fra Nigeria e Sud Africa potrebbe riproporsi se in un Consiglio di Sicurezza dell’Onu riformato ci fosse un seggio permanente riservato a uno stato africano.

La superiorità del Sud Africa trovava comunque una convalida da dati economici quali il volume del Prodotto interno lordo e la capacità di attrarre investimenti dall’estero. Il “sorpasso” da parte della Nigeria si riteneva sarebbe stato possibile solo verso il 2025-2030 e a condizione che il tasso di crescita dei due paesi restasse lo stesso (7% in Nigeria contro il 4% in Sud Africa). Nel 2014, invece, con l’adozione di criteri di valutazione diversi, dando per esempio il giusto spazio al settore delle telecomunicazioni, si è preso atto che la Nigeria già nel 2013 aveva superato di slancio il Sud Africa (510 miliardi di dollari contro i 370 del Sud Africa). Ormai anche l’economia e non solo la demografia dice Nigeria. Il reddito pro capite però è ancora tre volte più alto in Sud Africa. Anche il dato riguardante l’aspettativa di vita alla nascita, che in Nigeria è di 52 anni, stando ai dati della Banca mondiale, vede il “gigante” indietro di 10 anni rispetto al vicino e, per certi versi, rivale Ghana. Milioni di nigeriani vivono al di sotto della soglia di povertà con stime che possono andare da un minimo di 30 a un massimo del 90%, mentre il dato che si ricava spesso dalle fonti semi-ufficiali si aggira attorno al 40-50%.

Anche così, la competizione fra Nigeria e Sud Africa per il primato resta aperta. Nel 2012 il Sud Africa, deciso a imporre il proprio candidato alla testa della Commissione dell’Unione africana, ingaggiò una battaglia all’ultimo voto. La Nigeria, che non presentava un suo candidato, non voleva però concedere tale vantaggio alla potenza rivale. Nell’aria c’era anche un accordo non scritto che impegnava

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i Grandi a non proporsi per i posti di vertice nell’UA. Fu così che la Nigeria, dimenticando i molti motivi di frizione, si accodò alla cordata francofona nel sostenere la rielezione del gabonese Jean Ping, sebbene da molte parti si ritenesse giunto il momento per un presidente espresso dall’Africa anglofona.

Il candidato sudafricano aveva il vantaggio di essere una donna, ma il suo nome di famiglia non era affatto gradito alla Nigeria, trattandosi della moglie, sia pure divorziata, del presidente del Sud Africa. Nkosazana Dlamini-Zuma alla fine fu eletta il 15 luglio 2012, dopo molti scrutini, e la Nigeria dovette accettare la sconfitta. Il governo sudafricano sperò di soddisfare in un’altra sede le aspettative della Nigeria appoggiando il suo candidato, anche in questo caso una candidata, alla presidenza della Banca mondiale. Gli Stati Uniti, non erano pronti a rinunciare alla consuetudine che riserva loro quel posto, nella votazione decisiva, infatti, Ngozi Okonjo-Iweala, ministra delle Finanze della Nigeria, venne sconfitta.

L’estensione geografica della Nigeria, tanto più rilevante dal momento che questo “gigante” si trova in una regione, l’Africa occidentale, molto spezzettata, fa sì che essa detenga quasi naturalmente una posizione di preminenza a livello geopolitico1. È con tutta evidenza la potenza leader dell’organizzazione regionale per l’Africa occidentale, l’Ecowas, e ha spesso forzato l’agenda di un’associazione eminentemente economica utilizzandola in operazioni di sicurezza: ciò è avvenuto in Liberia e Sierra Leone, due paesi anglofoni ancorché sui generis, perché entrambi si sono formati dall’insediamento di schiavi liberati. Non è detto che una simile sovraesposizione della Nigeria, che capitanò sia l’una sia l’altra forza d’intervento, passò indenne, ma diverso sarebbe stato se l’intervento si fosse verificato in un paese francofono. Al tempo della guerra nel Sud-Est della Nigeria, innescata dall’auto-proclamazione dell’indipendenza del Biafra con capitale Enugu, la Francia dimostrò in vario modo di voler sostenere la causa dei secessionisti (anche in chiave petrolifera) e indusse fra l’altro due governi a essa molto fedeli a riconoscere ufficialmente il Biafra: la Costa d’Avorio e il Gabon (in aggiunta a Tanzania e Zambia, che avevano altri moventi). Così, quando nel gennaio 2013 Hollande anticipò la formazione dell’“armata africana” prevista dalla risoluzione dell’Onu per far fronte alla crisi in Mali e schierò le truppe francesi con il sostegno anzitutto del Ciad, allora potrebbe aver giocato proprio l’intento di sottrarre alla Nigeria la più che probabile direzione dell’intera operazione.

L’esercizio effettivo delle capacità di leadership della Nigeria sul piano africano – pensando alle politiche dell’Unione africana, ma soprattutto all’azione delle potenze sia tradizionali sia emergenti, che convergono sull’Africa – dipende essenzialmente da due questioni: l’energia e il sovversivismo di matrice islamico-radicale. In entrambe, nel bene o nel male, la Nigeria è direttamente implicata.

La Nigeria uno dei grandi bacini petroliferi dell’Africa, insieme ad Angola, Sudan e forse prossimamente Mozambico, si presenterà sempre più come una zona calda dell’ormai avviato Scramble for Oil: uno scenario inquietante per uno stato che presenta di per sé «quelle condizioni d’instabilità politica, alterazione sociale e fragilità economica capaci di spinger[lo] sul declivio della violenza»2. La correlazione fra petrolio e stabilità in Nigeria è decisamente sbilanciata: una conflittualità creata e alimentata più o meno pretestuosamente dall’attività petrolifera, la principale fonte di reddito a livello di Federazione e nel contempo prova stridente di una grande ineguaglianza sociale. I benefici della rendita ne risultano oscurati. La sua redistribuzione costituisce uno dei punti dolenti delle relazioni fra gli stati e il governo federale nonché fra il potere nell’accezione onnicomprensiva e la popolazione.

                                                            1 La “balcanizzazione”, contrastata a lungo da Senghor, non trovò rimedio al momento della decolonizzazione perché la Francia mantenne ferma una frammentazione ritenuta funzionale ai suoi residui disegni di egemonia (il famoso stilema del “neo-colonialismo” è nato proprio in quel contesto). 2 A. Fabbiano, Idrocarburi e geopolitica in Africa subsahariana. Il caso della Nigeria, Conferenza di Studi africanistici, Napoli 2010.

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Non vale in Nigeria la relativa “esternalità” del petrolio perché è cominciato solo da poco il graduale spostamento dell’esplorazione e della produzione dall’on-shore all’off-shore. Il petrolio ha trasformato ormai in una landa bituminosa una regione nevralgica come il Delta del Niger. Di recente, sono stati scoperti campi sottomarini, molto allettanti, non certo per i costi di gestione, molto alti, quanto per la sicurezza, più facile da garantire in mare che sulla terraferma benché si siano registrati attacchi anche alle piattaforme nell’oceano.

La Cina ha aumentato decisamente la sua presenza in Nigeria, ma è ancora lontana dalle posizioni che si è conquistata nel settore petrolifero in alcune aree del Sudan o dell’Angola. Proprio all’inizio del 2014 un’impresa cinese ha annunciato un investimento di 10 miliardi di dollari nel settore oil and gas nello stato del Niger, suscitando molti favori in un momento in cui si assiste a un certo disinvestimento da parte di altre nazioni o compagnie. A Lagos dal 2004 esiste una Chinatown, con tanto di arco trionfale che inneggia all’amicizia fra Nigeria e Cina, ma molti negozi al dettaglio si trovano oggi in serie difficoltà economiche. Più successo fa registrare l’impegno commerciale in settori come l’high tech. Ufficialmente i cinesi residenti in Nigeria sarebbero 17 mila, ma la cifra è sicuramente sottostimata. Dal 2009 all’Università di Lagos è attivo l’Istituto Confucio.

La formula “energia contro infrastrutture” su cui si fonda l’attività della Cina nel campo del petrolio fatica a imporsi in Nigeria, più interessata al trasferimento di tecnologia e soprattutto di mezzi per la sicurezza interna che le forniscono più volentieri e con più dovizia i paesi occidentali. Da qualche anno ha fatto la sua comparsa, soprattutto nel settore del gas, anche la Russia, offrendo finanziamenti e know how per lo sfruttamento e il trasporto. La produzione nel Golfo di Guinea avviene di norma attraverso joint venture con imprese straniere che si assumono l’onere delle operazioni di ricerca, estrazione e commercializzazione. Non si è estesa qui finora la tendenza nazionalizzatrice che prevale altrove.

Intorno al petrolio si combatte una guerra in parte politica e in parte di pura speculazione. Il Mend (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger) ha messo in pericolo con la guerriglia la prosecuzione delle perforazioni. Nonostante un accordo, con tregua annessa, raggiunto fra il governo e il Mend, che ha esaudito alcune delle richieste degli stati produttori e ha avviato un programma di reinserimento in attività lecite dei combattenti, la questione del Delta incombe sempre come una bomba a orologeria, compromettendo oggettivamente lo status della Federazione sul piano della politica internazionale. Qui è il Sud a rappresentare la parte di chi rivendica, accusando il Nord (in realtà un potere identificato comunque con il Nord e il ceto dominante che prospera sulla rendita) di sfruttare a suo esclusivo profitto una risorsa che si trova nel Sud e che lo ha contaminato in misura irrimediabile, tanto da equiparare lo stanziamento di una quota più alta di royalties a un risarcimento.

Il quadro d’insieme può sembrare contraddittorio. Molti dirigenti del governo centrale (quasi tutti fino all’era Obasanjo) sono arrivati dal Nord, dove sono situate le città che hanno fatto la storia della statualità hausa-fulani e le Università sedi del sapere islamico. Ma sono nel Sud i centri del commercio con il mondo extra-africano e le fondamenta dell’economia di tratta dall’oil (olio di palma) all’oil (petrolio). Qui nasce, fra yoruba e igbo, il pensiero e movimento nazionale che trova origine dal modello europeo. Secondo la storiografia nigeriana fondata da J.F.A. Ajayi, il dominio europeo ha interrotto ed espropriato il processo di centralizzazione e in ultima analisi di modernizzazione ispirato dall’esperienza islamica culminata nell’impero di Sokoto. Con l’avvento del colonialismo, il fulcro del progresso politico e dello sviluppo economico si è spostato verso le regioni meridionali aprendo un contenzioso che ha avvelenato le vicende della Nigeria indipendente. Anche oggi la “modernità” viene declinata piuttosto sulla lunghezza d’onda dell’economia e della società del Sud, che è indubbiamente

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quella più segnata anche esteriormente dall’influenza alienante del mondo coloniale-occidentale, offrendo una giustificazione apparente alla lotta e alle esasperazioni del movimento islamista.

La religione è l’altro tema incendiario per la vita associata del “gigante nero”. L’azione di Boko Haram trascende ormai il quadro strettamente nazionale e proietta la Nigeria verso tematiche transnazionali. Intanto, contagia direttamente i paesi confinanti, soprattutto nella regione saheliana, e prolunga fino in Nigeria l’emergenza jihadista con le implicazioni internazionali seguite alla war on terror indetta da George W. Bush nel 2001 e proseguita con altri criteri da Barack Obama. Il bersaglio di Boko Haram più minacciato è il Camerun, dove l’attività terroristica beneficia sicuramente di vaste complicità. Il governo camerunese è corso ai ripari, creando una nuova regione militare sul confine e lanciando contemporaneamente un piano d’urgenza per sviluppare il Grande Nord. Nel Niger i jihadisti trovano rifugio dopo le incursioni, ma il paese nel suo nucleo istituzionale resiste bene. Una novità, con una possibile modifica dei rapporti di forza, sarebbe un coinvolgimento diretto del Ciad, l’alleato più prezioso per la Francia nella regione e sicuramente il paese militarmente più dotato fra i paesi francofoni adiacenti.

Il capo di Boko Haram, chiunque egli sia (in settembre è stata annunciata la morte in uno scontro a fuoco che sarebbe avvenuto fra Camerun e Nigeria di Muhamed Shekau, succeduto al fondatore del movimento, Mohammed Yusuf, riprendendo una notizia affiorata più volte anche in passato senza conferme sicure), è il solo leader della galassia islamista ad aver fatto pervenire la propria solidarietà e quasi un riconoscimento al fondatore del cosiddetto Califfato creato fra Tigri ed Eufrate. Ma in Nigeria l’islam politico non è un sotto-prodotto di ciò che è avvenuto nel Grande Medio Oriente. Un impulso a rilanciare il jihadismo ottocentesco come alternativa di sistema più ancora che di governo è venuto se mai dalla rivoluzione di Khomeini.

Il governo nigeriano è solito dissociarsi dalla preconcetta opposizione – propria invece del Sud Africa – alla gestione extra-africana delle crisi nazionali. Per la sua posizione geografica e per la virulenza dell’attacco di Boko Haram, la Nigeria è ovviamente più esposta alle cause in cui figuri la questione islamica. Nel 2011 non fu così intransigente come Zuma contro la guerra in Libia, che interruppe comunque i rapporti dell’Unione africana con la Nato, e contro l’intervento francese ad Abidjan per imporre la presidenza di Ouattara. Passata la prima sorpresa, anche nella vicenda del Mali ha reagito all’Operazione Serval con più collaborazione che malumore. Le autorità di Abuja hanno anche accettato di partecipare a una riunione di consultazione a Parigi con la Francia e alcuni paesi della regione saheliana per coordinare l’azione contro Boko Haram. Non si può sapere quanto l’iniziativa presa dalla Francia sia stata ben ispirata: a parte le maggiori o minori gelosie dei governi, l’interferenza di Stati terzi, e tanto più della Francia per la sensibilità dei nigeriani, diventa un’arma in più per una forza come Boko Haram che sbandiera argomenti come patriottismo e buon governo.

La reazione tutta e solo “militare” dello stato alla sfida di Boko Haram è al centro del dibattito pubblico in Nigeria3. Un quinto del bilancio dello stato serve a finanziare il sistema di sicurezza. Nei comandi dell’esercito sarebbe in atto una faida fra i fautori del Security First e gli ufficiali che credono di più in una strategia politica. Il nuovo consigliere militare del presidente, il colonnello Sambo Dasuki, si propone come primo obiettivo di prendere tutte le misure opportune affinché «la nostra gente non si dedichi al terrorismo». Di per sé, l’esercito ha fama di essere un’istituzione “nazionale” al di là dell’etnia

                                                            3 ‘Sans la brutalité de l’état, nous n’en serions pas là’, questions a Marc-Antoine Pérouse de Montclos, “Jeune Afrique”, 22-28 janvier 2012, p. 28.

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degli alti quadri, ma da molte parti viene accusato di brutalità controproducenti4. Il partito di governo e quelli di opposizione si rinfacciano a vicenda di speculare sul “pericolo Boko Haram” a fini elettorali e a spese dei civili.

In Nigeria l’islam ha un posto di assoluto spicco, specialmente nel Nord, per i suoi trascorsi storici e perché pratica forme di assistenza surrogando le carenze dello stato. Nelle espressioni estreme, integralismo islamico e integralismo cristiano veicolano due concezioni opposte della società: mentre l’islam si fa interprete di una sorta di “teologia della liberazione” in soccorso dei più poveri, le Chiese pentecostali promuovono una “teologia dell’opulenza”, esaltando il capitalismo, il consumismo e l’affermazione personale. Al punto in cui è arrivata l’offensiva di una setta armata il cui nome significa “Bando alla cultura occidentale”, è la stessa idea di Nigeria a essere in bilico. Il Premio Nobel per la letteratura, Wole Soyinka, ha lanciato un grido d’allarme. Un motivo di preoccupazione in più è rappresentato dai collegamenti internazionali di Boko Haram con al-Qaida e il movimento gemello nel Maghreb (al-Qaida dans le Maghreb islamique, Aqmi) e persino con gli estremisti somali di Shabaab5. La Nigeria è uno dei membri della Trans-Saharan Counter-Terrorism Partnership creata dagli Stati Uniti, che prevede come minimo forme di collaborazione a livello di intelligence militare, nel quadro della chiamata alle armi contro l’islam politico.

Una spaccatura irreparabile fra Nord e Sud, oltre a ferire a morte la Nigeria e l’intera Africa, sarebbe l’inizio di una catastrofe umanitaria: se è vero, infatti, che in maggioranza i musulmani vivono negli stati settentrionali e i cristiani negli stati del sud, l’habitat dei fedeli delle due religioni risulta abbastanza promiscuo in tutto il territorio nigeriano, con la moschea e la chiesa vicine, non solo come si è fatto di proposito nel centro della nuova capitale Abuja con intenti dimostrativi, ma anche nello stesso quartiere delle città in tumultuosa crescita e nei villaggi.

La Nigeria sa che le sue mire di potenza e influenza presuppongono un cambio di profilo politico che, dopo il danno non solo d’immagine per causa dei molti generali in guanti neri, è tutt’altro che irreprensibile: un multipartitismo debole e frequenti contestazioni elettorali, la corruzione della pubblica amministrazione, la violenza inter-religiosa, ecc. In un contesto a basso o bassissimo indice di fiducia lo stile di condotta della dirigenza politico-amministrativa è determinante e in Nigeria i vertici al potere, troppo insicuri di sé per fidarsi della via della persuasione, sono portati troppo spesso a usare la forza o la frode6. Tutta la regione in cui il paese esercita un innegabile primato è attraversata del resto da spinte destabilizzanti. Almeno fino agli ultimi pogrom di Boko Haram, che ha comunque una genesi diversa dalla belligeranza diffusa nella fascia sahelo-sahariana, non si aveva notizia di sequestri o episodi di violenza di matrice qaidista in Nigeria. L’epicentro di questa guerra non dichiarata – in cui s’infiltra la criminalità comune, contrarissima agli apparati di controllo che intralciano i traffici leciti o illeciti (il contrabbando ha costituito per decenni una risorsa insostituibile per l’economia regionale) – si trova più a nord, fra Mali, Niger, Mauritania e Algeria7. La dispersione nel Sahel di uomini armati e addestrati alla guerra in fuga dalla Libia è stata un’altra fonte di violenza che ricade suo malgrado sulla Nigeria, che da soggetto diventa oggetto.

                                                            4 Lo stesso fondatore di Boko Haram, Mohamed Yusuf, è morto nel luglio 2009 mentre era detenuto nei locali della polizia (N. Norbrook, Le Nigeria est-il gouvernable?, “Jeune Afrique”, 22-28 janvier 2012, p. 24). 5 J. Herskovits, Au Nigeria, Boko Haram a le dos large, “Jeune Afrique”, 15-21 janvier 2012, p. 34. 6 L’intenzione di procedere con la forza per debellare le milizie di Boko Haram domina l’intervista al generale Owoye Andrew Azazi, allora consigliere per la sicurezza nazionale (‘We can’t go back to 1966’, “The Africa Report”, February 2012, pp. 30-33). Il riferimento al 1966 richiama i precedenti della guerra del Biafra, evocata come un incubo ricorrente in un discorso dello stesso presidente Goodluck Jonathan. 7 W. Lacher, Organized Crime and Terrorism in the Sahel, “Swp Comments”, Stiftung Wissenschaft und Politik, Berlin 2011.

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La Nigeria ha portato a termine con relativo successo il processo di ri-costituzionalizzazione, ponendo termine al lungo periodo in cui spadroneggiavano i militari, spesso in guerra fra loro, ma le istituzioni sono ancora precarie sia nella dimensione stato federale-stati federati sia in quella musulmani-cristiani. Quest’ultima relazione si confonde per certi versi con la dualità fra il Nord e il Sud in cui, per motivi storici, ma anche per una consuetudine classificatoria al limite della semplificazione, si usa dividere la più popolosa nazione africana. In effetti, la Costituzione statuisce un’appartenenza di tipo civico, paritaria, come la vera qualificazione ai fini del godimento dei diritti8. In numerosi stati del Nord è stata adottata la legge coranica (shari’a) e questo basta a introdurre un fattore di discriminazione cui non sempre il potere centrale riesce a porre rimedio.

È così che viene vissuta la disputa a proposito della possibile candidatura del presidente in carica, Goodluck Jonathan, alle prossime elezioni. Agli occhi della popolazione, Jonathan non gode di una legittimazione a tutta prova per la forzatura che oggettivamente è intervenuta rispetto all’alternanza fra un capo di stato musulmano del Nord e un capo di stato cristiano del Sud. Originario del Delta del Niger, Jonathan è a tutti gli effetti un uomo del Sud. È quasi automatico così spiegare la crisi di consenso con il disagio e l’insoddisfazione delle genti del Nord, già insofferenti per le loro condizioni di maggior povertà. Jonathan divenne vice-presidente (cristiano) nel ticket con a capo il musulmano Umaru Musa Yar’Adua che si impose nelle elezioni del 2007, ma morì quando era a metà del primo mandato. La successione di Jonathan fino al compimento del mandato avvenne in piena osservanza delle leggi e del fair play: non altrettanto può dirsi, almeno per il fair play, quando Jonathan ha chiesto e ottenuto l’investitura nel 2011 come candidato alla presidenza del suo partito, maggioritario nel paese e nel parlamento, ed è quindi stato eletto alla massima carica frustrando l’aspettativa dei musulmani per un mandato a cui credevano di aver diritto. I dubbi si moltiplicano mentre ci si avvicina al 2015.

                                                            8 Una causa costante di attriti che rischiano sempre di tingersi di tonalità religiose è il principio secondo cui la proprietà della terra nei vari stati spetta ai residenti per così dire autoctoni.

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2. La politica del federalismo: un caso di frammentazione senza disintegrazione

Il tema dell’indivisibilità e indissolubilità della Nigeria come nazione è uno degli argomenti di cui è stato formalmente vietato parlare in seno alla Conferenza nazionale, che si è svolta dal 17 marzo al 21 agosto 2014. Nonostante il divieto, questo tema continua a porsi alla base di una delle preoccupazioni politiche di maggior peso. La Nigeria, lo stato più popoloso dell’Africa e principale produttore di petrolio continentale1, racchiude in sé una società fortemente pluralistica. La popolazione nigeriana, comprendente più di 170 milioni di persone, è suddivisa quasi in egual misura fra cristiani e musulmani. Il paese è composto da più di 250 gruppi etnici e la diversità culturale è spesso considerata come il tallone d’Achille che potrebbe, in ultima analisi, causarne la disintegrazione.

Ancor prima che la Nigeria divenisse indipendente nel 1960, era già stato messo in evidenza come le comunità etno-linguistiche entrate a far parte di questo nuovo stato avessero poco in comune al di là della contiguità geografica e di un periodo coloniale comune. Già nel 1947, Obafemi Awolowo, storica figura chiave del movimento d’indipendenza, aveva pubblicamente dichiarato di vedere la Nigeria non come una nazione, ma come una mera espressione geografica (citando, forse senza volere, ciò che si è detto anche dell’Italia). L’anno seguente, Alhaji Sir Abubakar Tafawa Balewa, futuro primo ministro della Nigeria, similmente, si era riferito all’unità nigeriana come a una mera invenzione britannica.

Tali dichiarazioni non furono smentite e continuarono a essere veridiche anche nei quindici anni successivi all’indipendenza, quando, alla fine degli anni Sessanta, una dura guerra civile ebbe luogo e scoppiarono numerosi altri conflitti etnici, religiosi, tribali e socio-economici. Nonostante simili accadimenti, è oggi profondamente accettata l’idea che ogni tentativo di dissoluzione dell’unità dello stato sia antipatriottico e configuri il reato di alto tradimento2. Vi è, inoltre, consenso generale sul fatto che l’attuale sistema politico nigeriano lasci molto a desiderare. Solo una Conferenza nazionale sovrana poteva, dunque, costituire il forum più idoneo in cui dibattere della questione3.

La Nigeria, formalmente uno stato federale, è in realtà uno stato unitario con una forte componente di decentralizzazione e una struttura politica notevolmente frammentata4. Il governo è l’istituzione preposta al consolidamento dell’unità nazionale attraverso l’integrazione dei gruppi politicamente più rilevanti, la protezione degli interessi delle minoranze, la rappresentanza proporzionale e l’autonomia segmentaria sulla base di un’organizzazione federale (definita “consociazionale”). Il governo è dunque articolato in una struttura a tre livelli: federale, statale (36 stati) e locale (774 consigli governativi locali).

                                                            1 Bbc, Nigeria Becomes Africa’s Biggest Economy, 6 April 2014. 2 C. Oji, Call for Nigeria’s Dissolution Treasonable. Ohanaeze Youths Tell Northern Counterparts, “The Nation”, 29 July 2014. 3 S. Aborisade, Senate President Backs National Conference, “Punch”, 18 September 2013. 4 D. C. Bach, Inching towards a Country without a State: Prebendalism, Violence and State Betrayal in Nigeria, in C. Clapham, J. Herbst, G. Mills (eds.), Big African States, Wits University Press, Johannesburg 2006, pp. 63-96.

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Nonostante l’adozione di una simile struttura istituzionale, con un graduale e sempre crescente aumento del numero degli stati, fino agli attuali 36, partendo da tre grandi regioni, pensata al fine di proteggere gli interessi delle c.d. minoranze (alcune sono più numerose della popolazione di interi stati africani), i governi – sia quello federale che quelli dei 36 stati federati – rimangono essenzialmente dominati da una triade costituita dai tre gruppi geograficamente ed etnicamente prevalenti: gli hausa-fulani, gli igbo o ibo e gli yoruba. Dunque, la Nigeria va più opportunamente descritta come una federazione di differenti regioni. Essa è formata da sei principali regioni geopolitiche: il Sud-Est, il Sud-Sud, il Sud-Ovest, il Centro-Nord, il Nord-Est e il Nord-Ovest.

Questa suddivisione schematica ha contribuito alla creazione di un compromesso per la ripartizione del potere e delle risorse tra le diverse élites politiche del paese, ma ha avuto scarso successo in tema di riduzione delle spaccature interne. Queste ultime ruotano attorno a variabili etniche, religiose, geografiche, socio-economiche e politiche. Esse si esprimono soprattutto attraverso la violenza localistica associata alla strumentalizzazione dell’etnicità o della religione, conducendo, a ogni occasione, a non indifferenti perdite di vite umane e di proprietà materiali. Una conseguenza correlata a tutto ciò è rappresentata dal simultaneo incremento della diffidenza reciproca e della disunità.

I conflitti etnici e locali sono generalmente alimentati dalle diversità culturali e dalle differenze socio-economiche e politiche. Queste si sono talvolta fuse nel contesto dell’esacerbata discriminazione insita nella dicotomia indigeni-colonizzatori. Ai sensi della Costituzione nigeriana, gli indigeni o autoctoni, vivendo nelle loro ancestrali terre d’origine, beneficiano dei privilegi derivanti dallo ius sanguinis applicato alla terra di effettiva residenza5. Essi detengono un diritto di prelazione sulle risorse economiche, politiche e sociali associate alla cittadinanza e, in particolare, alla terra. Dall’altro lato, i coloni, gli immigrati e i discendenti degli immigrati provenienti da altre aree del paese sono ritenuti meri residenti senza diritto di cittadinanza dello stato, indipendentemente dalle modalità di assimilazione nei nuovi territori. Il fallimento nel rispetto dei costumi e delle tradizioni locali, la competizione per l’accesso e lo sfruttamento delle risorse economiche – inclusa l’acqua, le terre, i posti di lavoro, gli incarichi politici – e i conseguenti guadagni costituiscono le cause sottostanti alle tensioni tra indigeni e non indigeni.

Molti conflitti presentano una dimensione religiosa. Il Nord della Nigeria è in prevalenza musulmano, mentre il Sud è principalmente cristiano. Tuttavia, vi sono delle sovrapposizioni tra le due religioni e molti insediamenti umani a religione mista. Il Sud-Est è diviso tra cristiani e musulmani. Minoranze etniche cristiane sono presenti nel Nord a maggioranza musulmana, mentre alcuni gruppi etnici e tribù si collocano a metà fra le due religioni. L’attenzione internazionale, attualmente, si concentra sull’insurrezione guidata da Boko Haram6, ma esiste una lunga storia di radicalismo islamico e di violenza nel Nord del paese. Il fondamentalismo religioso ha ottenuto una nuova spinta fra fine anni Settanta e primi anni Ottanta.

Alcuni leader politici sono consapevoli della potenziale minaccia all’attuale sistema di governo rappresentata dai gruppi religiosi radicali e sono state pertanto prese alcune misure atte a prevenirne l’azione distruttiva. Dal 2000 dodici stati del Nord adottano la shari’a, il codice giuridico islamico. Ciò è accaduto alcuni mesi dopo l’avvio della Quarta Repubblica, con a capo un presidente non musulmano originario del Sud-Ovest, Obasanjo. L’imposizione della shari’a da parte dei governatori di questi dodici

                                                            5 La Sezione 318(1) della Costituzione della Repubblica Federale di Nigeria del 1999 favorisce i diritti degli indigeni, ponendosi però in contraddizione con le Sezioni 17(2) e 42 che accordano eguali diritti a ogni cittadino nigeriano, indipendentemente dal suo luogo d’origine. 6 Boko Haram è anche noto come Jama’at Ahl al-Sunna li al-Da’awat wa al-Jihad.

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stati potrebbe essere interpretata come una strategia politica finalizzata all’acquisizione di legittimazione attraverso la delegittimazione del governo centrale. Si tratta, peraltro, di una pubblica dimostrazione della distanza che i leader del Nord intendono interporre tra loro stessi e la corruzione, l’impunità e altri atteggiamenti impopolari connessi con un governo federale allora non islamico.

L’attivismo delle milizie etniche a partire dal ritorno del paese alla democrazia nel 1999 ha esacerbato la crisi della governance. C’è stata una proliferazione di gruppi militanti subnazionalisti come l’Oodua People’s Congress (negli stati yoruba del Sud-Ovest), l’Arewa Peoples’ Congress (nel Nord musulmano), il Movement for the Actualization of the Sovereign State of Biafra (nel Sud-Est) e lo Ijaw Youth Council (nella regione del Delta del Niger). Questi gruppi militanti hanno come obiettivo di cambiare le regole dell’amministrazione, ma sono stati altresì coinvolti in attacchi e contrattacchi rivolti ad altri gruppi militanti ed etnici.

Queste milizie sono anche la dimostrazione e la conseguenza dell’assenza dello stato. Esse, insieme ad alcuni gruppi armati, come i Bakassi Boys e gli Egbesu Boys of Africa, forniscono servizi di sicurezza a basso costo e mezzi di risoluzione alternativa delle controversie. Mentre il governo federale formalmente considera illegali le milizie etniche, i politici le hanno spesso strumentalizzate durante le loro campagne elettorali al fine di risvegliare le rivalità interetniche e sobillare azioni violente. Simili atteggiamenti contribuiscono ulteriormente a minare l’unità nazionale e la stabilità.

La distribuzione fortemente irregolare dei dividendi associati alle rendite petrolifere opera come incentivo addizionale alla frammentazione. Nel Sud la popolazione dei cinque stati ricchi di petrolio della regione del Delta del Niger patisce sofferenze spropositate a causa dell’avverso impatto ambientale derivante dall’estrazione di petrolio, sebbene poi le rendite provenienti da tale attività aiutino a sostenere l’intera nazione. Vi è il sentore, tuttavia, che i nigeriani del Nord siano economicamente molto più svantaggiati di quelli che vivono nel Sud. Il tasso di povertà nel Nord-Est (dove Boko Haram ha stabilito la sua base) è stimato al 52%, mentre si ferma soltanto al 16% nel Sud-Ovest.

La ridefinizione del prodotto interno lordo (Pil) nell’aprile 2014 potrebbe aver reso la Nigeria la più grande economia africana, sebbene sia stato allo stesso tempo confermato che circa un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà7. Una delle maggiori sfide del paese è dunque questo immenso divario di ricchezza che sussiste e, addirittura, aumenta, malgrado un tasso di crescita medio del 6% nell’ultimo decennio. Ngozi Okonjo-Iweala, ministra delle Finanze (già vice-presidente della Banca mondiale e sfortunata candidata alla presidenza della stessa Banca), ha messo in evidenza il problema alla fine del 2013, stigmatizzando come il 90% dei nigeriani sia stato escluso dal fenomeno della crescita economica8.

Il tasso di disoccupazione permane ad alti livelli, soprattutto per i giovani, con stime che vanno dal 38 all’80%9. Le infrastrutture di base sono sottosviluppate e, in qualche caso, neanche esistono. L’accesso ai beni sociali fondamentali, come l’acqua potabile, l’elettricità, la sicurezza e le strade, spesso dipende dalla capacità degli utenti nel saperseli procurare da sé. L’ineguaglianza economica, in più, genera risentimento e incrementa la possibilità di disordini civili, che a loro volta contribuiscono al declino economico.

                                                            7 World Bank: Only a Third of Nigerians Are Poor, Says North is Poorer, “Daily Times”, 23 July 2014. 8 F. Asu, Nigeria’s Economy Faces Danger as Inequality Rises, “Business Day”, 10 December 2013. 9 B. Bakare, Addressing Youth Employment in Nigeria, “Business Day”, 19 November 2013.

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2.1 Un sentimento nazionale in stallo

I tentativi volti a far diminuire le divisioni interne, il più delle volte, le hanno esacerbate. L’adozione del principio federalista, che mirava a incoraggiare l’unità nazionale, evitando che alcuni stati federati o gruppi etnici fossero rappresentati in maniera sproporzionata nel governo, è stata solo limitatamente coronata da successo10. La creazione di più stati federati ha permesso ai rappresentanti dei vari gruppi etnici di partecipare al governo, specialmente a livello locale, ma non sempre anche a livello statale o federale.

A questi due ultimi livelli, sono state le élites dominanti in ciascuno stato a beneficiare maggiormente del sistema a quote corrispondente all’applicazione del principio federalista. Peraltro, l’applicazione del federalismo non tiene necessariamente in considerazione fattori come il merito, l’etnicità e la religione. Conseguentemente, è possibile che i membri dello stesso gruppo etnico o religioso provenienti da stati diversi rappresentino i loro rispettivi stati federati di provenienza a livello federale. L’applicazione di questo principio, inoltre, ha favorito l’inefficienza della pubblica amministrazione, poiché il merito e le qualifiche rilevanti non sempre rientrano nei criteri di selezione.

L’istituzione di più stati e la progressiva estensione del principio del federalismo a un numero crescente di territori costituiscono soluzioni permeate dalla logica di creare maggiori opportunità per la redistribuzione delle risorse nazionali, ma non sono caratterizzate da azioni positive. Anzi, esse hanno contribuito alla diffusione di una maggiore competizione per l’accaparramento delle risorse, piuttosto che incentivare l’inclusività e il nation-building. Durante la Conferenza nazionale già citata, alcuni delegati hanno in realtà proposto l’istituzione di 18 nuovi stati, aggiuntivi ai 36 già esistenti, sostenendo che ciò consentirebbe una maggiore rappresentanza delle minoranze etniche. Per di più, una distribuzione paritaria di stati federati nelle sei regioni geopolitiche faciliterebbe la rotazione tra di esse per la presidenza federale. Tale proposta attesta eloquentemente l’inadeguatezza della struttura federale attuale in tema di rappresentanza delle minoranze.

L’urbanizzazione e le migrazioni interne non hanno sicuramente contribuito alla costruzione di un’identità nazionale. Le città e i centri urbani, anziché costituire dei melting pots, sono piuttosto dei mosaici di diverse etnicità, culture e religioni. Più di 50 anni dopo l’indipendenza, alcune città nel Nord e nel Sud hanno ancora dei quartieri per stranieri – Sabon Gari – riservati ai nigeriani provenienti da altre zone del paese. L’identità indigena continua a frustrare ogni tentativo d’integrazione dei migranti interni, giacché a questi ultimi sono negati molti diritti legati alla cittadinanza. Spesso è loro fatto divieto di prestare servizio nella pubblica amministrazione degli stati in cui risiedono. Inoltre, non possono beneficiare del sistema di welfare locale e dei programmi di riduzione della povertà. Avere la cittadinanza di uno stato federato è ancora oggi più importante rispetto all’avere la cittadinanza nigeriana a causa della natura distributiva del sistema politico.

Ogni sembianza di positiva coabitazione tra gruppi etnici diversi nelle città e nelle aree urbane degenera facilmente in rappresaglie tra differenti comunità ogniqualvolta insorge una controversia coinvolgente membri di diverse etnie o religioni. Le città sono i punti focali del subnazionalismo, giacché i migranti appartenenti a diversi gruppi etnici tendono a organizzarsi in associazioni patriottiche che scoraggiano la costruzione di un’identità nazionale. Queste associazioni assistono i migranti nell’affrontare le necessità dell’integrazione e dell’accesso alle risorse in situazioni in cui le connessioni personali costituiscono, talvolta, il possedimento di maggiore valore che un individuo possa detenere.

                                                            10 Il principio federalista è stabilito nelle Sezioni 14(3) e 16(2) della Costituzione, le quali vietano che poche persone o un singolo gruppo abbiano la predominanza sul governo e sulle risorse economiche.

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In generale, molte delle lacune presenti nella società nigeriana sono state colmate dal bisogno di supplire a uno stato in massima parte assente e incapace. Per decenni, i nigeriani si sono basati sulle loro organizzazioni etniche, tribali, locali, sociali, economiche, politiche e religiose per riuscire a risolvere i fallimenti dello stato in parecchi ambiti. Essi fanno affidamento a simili alternative non statali per il welfare, l’accesso a opportunità politiche ed economiche, la protezione fisica e la risoluzione delle controversie. L’identificazione in diverse associazioni in una società fortemente pluralistica è divenuta il mezzo per sviluppare un senso di appartenenza. È diventata un demarcatore di cittadinanza in un sistema politico in cui ogni individuo si sentirebbe altrimenti politicamente ed economicamente escluso e privato dei propri diritti civili.

2.2 Gli “inconvenienti” della democrazia

Il ritorno della Nigeria al governo civile nel 1999, dopo quasi tre decenni di governi militari, ha portato certamente a una maggiore libertà e partecipazione politica, ma è stato fatto poco per incentivare la coesione e la formazione di una coscienza nazionale. Le riforme politiche ed economiche intraprese sono apparse spesso simboliche, essendosi rivelate di scarso impatto sulla vita dei cittadini. Tali riforme includono un programma contro la corruzione, la diversificazione economica, una maggiore disciplina fiscale e più trasparenza, oltre a riforme della pubblica amministrazione predisposte per migliorare la fornitura dei servizi pubblici.

La positiva attuazione di queste riforme avrebbe potuto aiutare a mitigare le cause della frammentazione e avallare il processo di nation-building. La politica e la governance si sono, però, rivelate troppo condizionate dagli affari. Le politiche riformiste si sono ridotte così alla suddivisione della “torta” rappresentata dalla rendita petrolifera, dando vita a una competizione sfrenata a spese della costruzione nazionale. Fa difetto la responsabilità politica e vi è una sottesa cultura dell’impunità. L’indigeneità ha ancora la precedenza sulla cittadinanza, anche perché i politici continuano a manipolare le divisioni fra i diversi gruppi per perseguire i loro obiettivi personali.

L’incremento della partecipazione della società alla vita politica non ha avuto effetti corrispondenti sul processo politico di decision-making, giacché persistono relazioni ancora deboli fra lo stato e la società. Il carattere rappresentativo della governance ha ancora un valore limitato, in quanto i nigeriani percepiscono i loro interessi come maggiormente tutelati dai governi subnazionali e dalle lobbies economiche e politiche. Il ritorno al governo civile è stato contrassegnato dall’ascesa di godfathers politici molto potenti 11. La loro funzione non è soltanto quella di catalizzatori di voti per i politici, ma anche di riuscire a ottenere una porzione delle risorse nazionali a vantaggio dei loro clienti. Uno dei primi atti di alcuni delegati alla Conferenza nazionale del 2014 è stato, infatti, d’istituire dei segretariati per le loro zone geopolitiche di appartenenza12. Ciò dimostra l’importanza accordata alle varie aree del paese nella questione dell’adeguata rappresentanza degli interessi delle parti.

Alcune delle questioni ricorrenti nel corso dei dibattiti in seno alla Conferenza nazionale attestano, inoltre, sfiducia e disincanto nei confronti dello stato e del sistema federale di governo. Tali questioni includono: il controllo e la revisione della formula di redistribuzione delle risorse nazionali; la ristrutturazione del sistema federale attraverso la creazione di nuovi stati e governi regionali; la rotazione della presidenza federale fra Nord e Sud; la richiesta di una nuova Costituzione; il ritorno al precedente inno nazionale; l’istituzione di una Commissione per i reati elettorali.

                                                            11 I. O. Albert, Explaining “Godfatherism” in Nigerian Politics, “African Sociological Review”, vol. 9, n. 2, 2005, pp. 79-105. 12 C. Ndujihe, Delegates Set up Zonal Secretariats, “Premium Times”, 21 March 2014.

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Le minoranze etniche si sentono ancora marginalizzate e sottorappresentate a livello governativo. La competizione per il potere politico rimane subordinata al clientelismo, anziché far leva sulla capacità di ottenere un vero consenso a livello nazionale. Gli interessi politici acquisiti continuano, inoltre, a ostacolare ogni genuino tentativo di riforma. Nel giugno 2014 Kayode Fayemi, governatore di Ekiti, uno stato del Sud-Ovest, ha perso le elezioni politiche contro Ayo Fayose, nel corso di una tornata elettorale generalmente considerata corretta e regolare. Fayose era già stato governatore di quello stesso stato (2003-2006), ma era stato messo sotto accusa per appropriazione indebita. Al contrario, durante il suo mandato quadriennale, Fayemi aveva utilizzato i capitali disponibili al fine di costruire uno stato moderno: nuove strade, miglioramento delle infrastrutture per l’istruzione, creazione di più posti di lavoro e di un sistema di welfare per gli anziani, introduzione della meritocrazia per le assunzioni al lavoro e lotta alla corruzione. Ma, pur con questi buoni risultati, egli deve aver pestato i piedi a coloro da cui dipendeva la sua eventuale rielezione.

Vi sono, tuttavia, dei segnali che vanno nella direzione di far ritenere che i meccanismi offerti dalle affiliazioni etniche, religiose, economiche, sociali e politiche non potranno essere sufficienti ancora a lungo per colmare le crepe della struttura statale. Una peculiarità fondamentale della Quarta Repubblica è l’incremento dei movimenti di critica nei confronti dell’establishment al potere. Proteste civili come quelle di Occupy Nigeria13 e Bring Back Our Girls14 sono le cartine di tornasole del malcontento nei confronti della classe politica dominante. Campagne del genere, volte a richiedere al governo di rendere pubbliche le proprie azioni, hanno attirato la partecipazione di nigeriani di ogni ceto sociale. I nigeriani, infatti, non accettano più di dover dipendere dalle alternative non statali, né sono più disponibili a continuare a ignorare lo stato andando avanti come se non esistesse.

Anche le attività delle organizzazioni militanti stanno mettendo in luce le carenze dell’attuale struttura socio-economica e politica. L’insurrezione di Boko Haram è indicativa dell’insufficienza del settarismo come attenuante dei limiti dello stato. Non è certamente un caso che le prime sommosse siano scoppiate nel Nord-Est, la regione più povera del paese. Boko Haram dovrebbe teoricamente basarsi su un’ideologia teocratica radicale, ma le caratteristiche tipiche dei suoi attacchi, volti a colpire i nigeriani appartenenti a qualsiasi classe sociale nel tentativo di imporre uno stato islamico, mostrano che le reali motivazioni di questo gruppo vanno ben oltre le questioni politiche e religiose.

Sin dal 2009 la tormentata regione del Delta del Niger, ricca di petrolio, sta sperimentando un periodo di relativa calma, conseguenza dell’attuazione di un programma di amnistia basato sulla cooptazione dei ribelli in diverse occupazioni. Tuttavia, le cause dell’instabilità sono rimaste per la maggior parte irrisolte. Ciò ha dato luogo a una situazione che si può definire di “calma turbolenta” che potrebbe andare in pezzi in qualsiasi momento. La militanza, specialmente la militanza armata provocata dal formarsi di aree non governabili, è riuscita a esporre i limiti e le fragilità di uno stato che, per lungo tempo, ha protetto e incluso i pochi anziché i molti.

Dopo il fallito tentativo di secessione degli anni Sessanta, la Nigeria ha evitato lo spettro dello smembramento formale. La Federazione è strutturata in maniera tale da assicurare che la maggior parte degli stati, dei governi locali e degli attori politici principali rimangano fortemente dipendenti dal governo federale e dalle sue entrate petrolifere. Inoltre, il ruolo della Nigeria sullo scenario internazionale dipende dai vantaggi associati allo status di Repubblica federale. Tali vantaggi includono le dimensioni, gigantesche per le medie africane, della popolazione, la ricchezza economica e il relativo

                                                            13 E. Flock, Occupy Nigeria: Police, Protesters Clash as Nationwide Strike Paralyzes the Country, “Washington Post”, 1 September 2012. 14 www.bringbackourgirls.org.

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peso politico nella macro-regione africana di appartenenza (Ecowas). Sarebbe difficile per la Nigeria avere un ruolo significativo nelle relazioni internazionali qualora si dissolvesse in stati autonomi piccoli o molto piccoli. L’indivisibilità del paese, dunque, comporta numerosi vantaggi ed è inevitabile per l’interesse nazionale dello stato.

In ogni caso, la Nigeria rimane un paese frammentato, a causa dell’incapacità dello stato a sviluppare una coscienza nazionale e della scarsa coscienza delle sue responsabilità verso la popolazione. La costruzione, manipolazione e politicizzazione delle identità pluralistiche è stata istituzionalizzata, non soltanto in modo da rimediare ai fallimenti del governo, ma anche per perseguire ambizioni politiche. Subito dopo le elezioni del 2011, la manipolazione delle identità etniche e religiose a opera degli uomini politici portò allo scoppio di violenze nel Nord, con circa 800 morti e 17 mila rifugiati interni15.

La frammentazione indebolisce l’unità della Nigeria. Essa porta con sé una forza disgregatrice che minaccia l’esistenza stessa dello stato. La creazione di enti politici dotati di maggiore autonomia non rappresenta una soluzione per i problemi che affliggono il paese. Ciò non aiuterà i gruppi pluralistici ad andare oltre le loro differenze al fine di forgiare una reale identità nazionale. Né tale soluzione porrà fine all’arretratezza della governance, alla povertà, all’intolleranza religiosa, alla radicata cultura dell’impunità, alla mancanza di responsabilità politica, alla corruzione diffusa, al sottosviluppo, all’esclusione politica, al fallimento del disegno federalista e all’indifferenza nei confronti degli interessi pubblici. Sono queste le questioni che dovrebbero essere affrontate al fine di creare un vero stato nazionale, e non un’entità politica meramente basata sul consenso manipolato delle élites. La concretizzazione di un ordinamento politico nigeriano “indivisibile e indissolubile” dipende, non soltanto dal suo radicamento nel diritto positivo, ma anche dalla riduzione delle divisioni e tensioni che sono alla base della frammentazione.

I risultati della Conferenza nazionale sul futuro dell’ordinamento politico nigeriano potranno essere meglio verificati nel tempo ora che la Conferenza ha chiuso i lavori. Le prossime elezioni del febbraio 2015 rappresentano un ulteriore test per il processo di democratizzazione avviato nel 1999. Se si prendono ad esempio i risultati delle recenti elezioni dei governatori degli stati meridionali di Edo, Ekiti e Osun16, le indicazioni che se ne ricavano fanno pensare che le prossime elezioni non basteranno a portare la tanto necessaria trasformazione della politica nei suoi rapporti con le politiche reali ai vari livelli. L’identità settaria continuerà, pertanto, a giocare un ruolo importante nella definizione della cittadinanza per molti nigeriani, riducendo così ogni possibilità di costruzione di una vera identità nazionale. La Nigeria continuerà a essere, in ogni caso, un paese formalmente unito, la cui crescita e stabilità verranno mantenute, non foss’altro che per ragioni demografiche, rimanendo soggetta sia ai rischi che alle opportunità di tutta l’Africa sub-sahariana.

                                                            15 Human Rights Watch, Nigeria: Post-Election Violence Killed 800, 17 May 2011; Cnn, Widespread Election Violence Erupts in Nigeria, 19 April 2011. 16 A. Adeleye, Osun Guber Election: What Next?, “Vanguard”, 15 August 2014.

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3. Quattro repubbliche tra civili e militari

La politica nigeriana riflette la complessa e travagliata storia del paese. La transizione democratica non è un tassello a sé, ma si colloca in un continuum tuttora in divenire. Gli strappi dei regimi militari e le ricuciture dei governi civili non hanno provocato veri e propri ribaltamenti. Hanno contribuito a determinare una cultura politica in cui il presidio dei posti di potere e il mantenimento di una relativa stabilità sono prioritari rispetto a un profondo confronto su temi controversi come la corruzione o la redistribuzione delle risorse.

Il ruolo che l’esercito ha svolto e svolge nell’arena politica, l’ordinamento istituzionale per certi aspetti contraddittorio, frutto della necessità di riconsegnare il prima possibile il paese a un governo civile, e il patto di alternanza al potere (zoning) sono tre elementi ricorrenti nel dibattito, nonché fra i principali motivi di discussione e disaccordo fra gli attori della politica e della società civile.

Dal 1960, data dell’indipendenza, a oggi la Nigeria ha vissuto ventotto anni di regime militare (dal 1966 al 1979 e dal 1983 al 1998) e ventisei anni di regime civile, di cui quindici ininterrotti dal 1999. Il primo colpo di stato si è verificato nel 1966. La presenza dei regimi militari non ha significato l’esclusione completa dei civili dall’arena politica e allo stesso modo oggi il regime civile non è né esente né depurato del tutto dall’influenza e dal protagonismo di personalità provenienti dalle Forze armate1.

3.1 Il protagonismo delle Forze armate

In Nigeria i militari hanno svolto un vero e proprio ruolo di risolutori delle controversie politiche, reclamando il potere quando ritenevano che i civili non fossero in grado di amministrarlo. Le leadership militari si sono quindi auto-rappresentate come la più grande forza unificante della nazione, in grado di contrastare le tendenze alla frammentazione insite nella compresenza delle differenti etnie, identità e culture. Questa percezione del ruolo dell’esercito risale probabilmente all’epoca della colonizzazione britannica, quando le Forze armate nigeriane furono create nel tentativo di contenere le spinte centrifughe delle varie popolazioni da cui era composto il paese. In realtà, anche all’interno dell’esercito sono stati frequenti i contrasti e le divisioni che hanno fatto leva sulle appartenenze regionali dei soldati e degli ufficiali.

La visione dell’esercito come reale garante della stabilità della nazione e attore per eccellenza del ripristino dell’ordine, anche morale, del paese si è andata via via dissolvendo a causa del progressivo inasprimento della dittatura militare, che, sotto il regime di Sani Abacha (1993-1998), ha probabilmente raggiunto il suo apice negativo. La repressione della stampa e soprattutto l’assassinio di oppositori, culminato nell’impiccagione dello scrittore e attivista ogoni Ken-Saro Wiwa, hanno contribuito a svelare all’opinione pubblica interna e internazionale il vero volto di un regime che aveva esaurito ogni possibilità auto-assolutoria. Abacha, inoltre, è riuscito a inimicarsi diversi leader dello stesso esercito.

                                                            1 È molto significativo a questo proposito il titolo di un articolo di Marc-Antoine Perouse de Montoclos: La transition démocratique au Nigeria: militaires civilisés ou civiles militarisés?, “Autrepart”, vol. 3, n. 27, 2003.

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La morte di Abacha nel 1998, avvenuta in circostanze oscure, ha segnato la fine della dittatura militare ma non della partecipazione dell’esercito alla vita politica. Il successore di Abacha, il generale Abdulsalam Abubakar, ha garantito l’organizzazione di elezioni politiche, che sono state vinte da Olusegun Obasanjo, un ex-militare di origine yoruba passato alla vita civile dopo aver partecipato a sua volta a un atto di forza, che si presentava come l’uomo del consenso, potendo contare anche sulla fiducia del Nord. Obasanjo ha inaugurato la consuetudine del coinvolgimento nell’amministrazione statale degli ufficiali in pensione o in smobilitazione: anche oggi non meno di 130 ex-ufficiali sono membri del People’s Democratic Party (Pdp)2 e il colonnello David Mark, presidente del Senato, ne è un valido rappresentante. Gli alti gradi dell’esercito vengono promossi, resi pensionabili o rimossi dall’incarico con una velocità e una frequenza sorprendente, incoraggiandoli di fatto a riciclarsi nella carriera politica. Nel 2014 lo stesso presidente Goodluck Jonathan ha sollevato dall’incarico alcuni ufficiali con la motivazione formale che non si erano mostrati in grado di contrastare Boko Haram, anche se probabilmente la scelta del presidente è stata guidata dalla volontà di arginare eventuali oppositori a una sua ricandidatura nel 2015.

L’impunità pressoché totale, lo scarso rispetto dei diritti umani, l’assenza di dialogo politico, il controllo e l’accentramento delle risorse, l’accumulazione di ricchezza a fini personali e l’appropriazione indebita sono tutte caratteristiche peculiari dei regimi militari che si sono succeduti nel tempo, le cui leadership, una volta sospesa la Costituzione, non avevano altra limitazione che quella imposta dalla necessità di accontentare gli alleati e screditare, o eliminare, i detrattori. Le distorsioni della governance sono sopravvissute ben oltre la fine dei regimi autoritari, pesando ulteriormente su una transizione democratica carica comunque d’incognite e problemi.

3.2 Le debolezze dell’ordinamento istituzionale

La Costituzione corrente data dal 19993 quando il generale Abdusalam Abubakar era al potere con il mandato d’indire le elezioni e affidare il paese a un governo civile. La Carta costituzionale è quindi caratterizzata da elementi riconducibili al governo militare, incentrato sull’unità della nazione e il mantenimento dell’ordine, e poco incline a devolvere poteri agli stati e ampliare il campo della legislazione concorrente. La Federazione nigeriana, costruita sulla falsariga dell’ordinamento degli Stati Uniti d’America, fa capo a un presidente eletto a suffragio universale e vede la netta prevalenza dell’Assemblea nazionale sul potere legislativo degli stati e un sistema fiscale votato al mantenimento di una sorta di dipendenza degli stati dal governo federale, soprattutto per quello che riguarda i proventi del petrolio.

La Nigeria è suddivisa in 36 stati più un Federal Capital Territory (Abuja)4. A livello federale, l’organo legislativo è rappresentato dalla National Assembly, di cui fa parte un Senato di 109 membri (3 senatori per ogni stato più uno per la capitale) e l’House of Representatives, composta da 360 membri eletti in altrettante circoscrizioni, ognuna della quali corrisponde a un seggio. Il numero dei membri per ogni stato è proporzionale alla grandezza dello stato. L’Assemblea nazionale ha competenza esclusiva su 66 materie disciplinate attraverso un vero e proprio elenco detto Exclusive legislative list (fra cui l’assegnazione della cittadinanza, la rappresentanza diplomatica, commerciale e consolare, l’estradizione). L’Assemblea nazionale ha inoltre potere concorrente su leggi che garantiscono la pace,                                                             2 D. Oguntola, Zoning and the Pdp Crisis, “The Guardian”, 17 September 2010. 3 Nel 2011 il presidente ha firmato alcuni emendamenti, che sono diventati legge, e che non riguardano però i temi qui trattati. 4 Abia, Adamawa, Akwa Ibom, Anambra, Bauchi, Bayelsa, Benue, Borno, Cross River, Delta, Ebonyi, Edo, Ekiti, Enugu, Federal Capital Territory, Gombe, Imo, Jigawa, Kaduna, Kano, Katsina, Kebbi, Kogi, Kwara, Lagos, Nasarawa, Niger, Ogun, Ondo, Osun, Oyo, Plateau, Rivers, Sokoto, Taraba, Yobe, Zamfara.

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l’ordine e il buon governo e può prendere decisioni valide anche per gli stati quando l’House of Assembly degli stati non è ritenuta in grado di farlo. Nell’Exclusive legislative list si trovano anche materie che dovrebbero essere di comune competenza con gli stati, come i monopoli industriali e commerciali e l’amministrazione delle forze di polizia.

La National Assembly supera il veto del presidente con i due terzi dei voti e può metterlo in impeachment con una mozione approvata da un terzo più uno degli aventi diritto. Può anche rimuovere il presidente se, ad esempio, le sue condizioni di salute rendono impossibile l’assolvimento delle sue funzioni, attraverso una mozione sottoscritta da due terzi dei membri (questa possibilità non venne però utilizzata con Yar’adua, deceduto nell’esercizio delle sue funzioni dopo una malattia che lo portò per un lungo periodo di degenza all’estero).

Il presidente è eletto direttamente, ha un mandato di quattro anni e può stare in carica per un massimo di due mandati. Per vincere le elezioni un candidato deve avere ottenuto il maggior numero di voti e avere ricevuto almeno il 25% dei voti nei due terzi degli stati. Il presidente è il capo delle Forze armate e, con il consenso del Senato, nomina i ministri che entrano a fare parte del Federal Executive Council e i presidenti delle Commissioni (quali, ad esempio, il National Judicial Council, il National Security Council, la Commissione elettorale nazionale, ecc.). Appannaggio esclusivo del presidente sono il potere di grazia, la dichiarazione dello stato d’emergenza, la determinazione dell’utilizzo operativo delle Forze armate e la rimozione del capo dell’esercito, l’indizione del censimento, la revoca della cittadinanza e altre materie disciplinate nell’Exclusive legislative list.

Il potere giudiziario a livello federale è rappresentato dalle più alte corti di giudizio: Supreme Court of Nigeria, Court of Appeal, Federal High Court e National Industrial Court. Il presidente della Corte d’appello, della Corte federale e il Giudice capo possono essere rimossi dall’incarico solo con un’istanza appoggiata dai due terzi del Senato.

TABELLA 3.1 - ORDINAMENTO ISTITUZIONALE NIGERIANO

Repubblica federale Stati Amministrazioni localiLocal Government Areas (Lga)

Legislativo National Assembly Composta da

Senate 109 membri, 3 senatori per ogni stato, 1 per il Federal Capital Territory (Abuja)

House of Representatives 360 membri, proporzionali alla popolazione di ogni stato.

House of Assembly Il numero di membri non può essere meno di 24 e più di 40. È proporzionale alla popolazione di ogni stato.

Local Government Council

Esecutivo President È anche comandante in capo delle Forze armate

Governor Chairman

Giudiziario Supreme Court of Nigeria

Court of Appeal

Federal High Court

National Industrial Court

High Court

Sharia Court of Appeal (se presente)

Customary Court of Appeal (per il diritto consuetudinario)

A livello degli stati, il potere legislativo è affidato a una House of Assembly per ogni stato, il cui numero di membri varia in base alla dimensione demografica, fermo restando che i deputati non possono essere più di 40 e meno di 24. Di norma la Commissione elettorale dovrebbe rivedere il

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numero dei seggi ogni dieci anni in corrispondenza delle variazioni demografiche, ma finora non vi sono state modifiche nel numero dei seggi assegnati.

Alla House of Assembly spetta il compito di stabilire la struttura e la composizione dei Local Councils, cioè i consigli a capo delle 744 amministrazioni locali (Local Government Areas), oltre che di assegnare i fondi distribuiti dal governo federale. Tecnicamente le House of Assembly sono competenti in tutte le materie escluse dall’Exclusive Legislation Act. La Costituzione esplicita i principali ambiti: legislazione su monumenti e archivi; riscossione tasse e tributi; legge elettorale; energia elettrica; sviluppo industriale, commerciale e agricolo; università e istruzione post-primaria. Questi campi, tuttavia, non sono esclusivo appannaggio delle House of Assembly e, ove presente, la legislazione federale prevale su quella nazionale. I Local Councils hanno facoltà di fare raccomandazioni alla Commissione per lo sviluppo economico, oltre che di legiferare direttamente su diversi tipi di licenze, di provvedere al mantenimento delle strade e delle infrastrutture logistiche, di garantire il funzionamento dell’anagrafe, di assicurare i servizi alla salute. I Local Councils hanno il diritto d’imporre tasse comunali.

I governatori, anch’essi eletti direttamente, e dove possibile in contemporanea agli scrutini presidenziali e per gli organi legislativi, hanno un mandato di quattro anni. Similmente al presidente, un governatore per essere eletto deve ottenere il più alto numero di voti e il 25% dei voti nei due terzi delle amministrazione locali. Anche i governatori sono soggetti a impeachment (è accaduto nel 2014 con il governatore dell’Adamawa, Murtala Nyako)5. Nella storia politica nigeriana è abbastanza frequente che i governatori siano sostituiti in seguito alla verifica d’irregolarità nelle elezioni o per gravi casi di corruzione.

A livello degli stati, gli organi giudiziari sono la High Court, la Customary Court of Appeal e la Sharia Court of Appeal per gli stati che hanno deciso di adottare la shari‘a. La Customary Court è competente per tutto quello che riguarda il diritto consuetudinario (acquisizione di terreni, unioni matrimoniali, eredità, ecc.) e allo stesso modo la Sharia Court è competente per le questioni di diritto individuale che concernono il diritto islamico (unioni matrimoniali, mantenimento dei figli, ecc.). L’introduzione della shari‘a fu oggetto di ampio dibattito fin dalla nascita della nuova Costituzione. L’art. 10, infatti, proibisce l’adozione di una religione come religione di stato (sia a livello federale che negli stati), ma gli stati favorevoli all’introduzione della shari‘a si sono appellati ad atri articoli, come quello sulla competenza degli stati in materia penale o, appunto, al diritto di libertà religiosa6. Il giudice capo di uno stato, il presidente della Corte d’appello per il diritto consuetudinario e il gran kadi (giudice per il diritto islamico) possono essere rimossi dal governatore solo attraverso una mozione con il voto di due terzi dei membri della House of Assembly.

Il presidente, il vice-presidente, il governatore e il vice-governatore godono di un’immunità quasi assoluta. Il presidente e i governatori si riuniscono nello State Council.

Una delle ragioni di maggiore unità, ma anche di discordia nella Federazione nigeriana è rappresentata dal Federation Account, nella quale convergono sia le imposte riscosse dagli stati che i profitti della vendita del petrolio. I ricavi sono redistribuiti secondo la formula: 56% al governo federale, 25% agli stati e 20% ai governi locali. La Costituzione prevede anche che, per quanto riguarda i ricavi ottenuti dall’attività petrolifera, si tenga conto del principio di derivazione, secondo il quale una quota non inferiore al 13% dei ricavi generati dalla vendita del petrolio proveniente da uno stato deve ritornare in quello stato (su questa quota non vengono calcolati i proventi provenienti dalla vendita del petrolio off-shore). Il principio di derivazione era stato introdotto nella Costituzione nel tentativo di                                                             5 I detrattori di Jonathan, fra cui l’ex-presidente Buhari, lo accusano di utilizzare l’impeachment dei governatori per indebolire l’opposizione in preparazione delle elezioni del 2015. 6 E. Nwauche, Nigeria country report, Institute for International and Comparative Law in Africa, Pretoria, 2010.

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cooptare i leader delle rivolte delle comunità che ospitano gli impianti petroliferi del Delta del Niger e compiacere le élites locali, ma più tardi proprio la quota del 13% è diventata uno dei più grandi oggetti del contendere per movimenti come il Mend (Movement for the Emancipation of the Niger Delta), di cui una delle rivendicazioni è sempre stata il passaggio da quota 13 a quota 25% (e progressivamente fino al 50%)7.

La relazione tra presidente e governatori riflette le tensioni di un sistema che mantiene le questioni di sicurezza come una prerogativa del governo federale e un federalismo fiscale che concentrando le risorse a livello federale, lascia agli stati poco margine di manovra. Non è raro che i governatori critichino aspramente il presidente, seppure dello stesso partito. Nel 2013 sette governatori degli stati del Nord hanno cercato di creare una corrente alternativa all’interno del Pdp e cinque sono infine passati all’Apc (All Progressives Congress).

Per comprendere meglio il complesso quadro del sistema politico nigeriano bisogna ricordare che nel paese sono presenti anche diverse forme di leadership tradizionale e, indipendentemente dal fatto che la loro autorità derivi da un periodo antecedente la colonizzazione o che sia stata costruita e potenziata dal regime di indirect rule, il posto che esse continuano a occupare negli stati della Repubblica federale contemporanea non deve essere sottovalutato. Nel Nord del paese, nei territori hausa-fulani, le figure degli emiri e del sultano rimandano al Califfato di Sokoto (1809-1903), mentre nel Sud-Ovest, presso gli yoruba, gli oba (re, notabili) sono i discendenti delle monarchie che governarono i vari regni prima della colonizzazione britannica. Mentre il Nord e il Sud-Ovest del paese avevano forme di governo fortemente centralizzate, nel Sud-Est il potere era meno accentrato ed era frammentato fra varie autorità che lo esercitavano ai diversi livelli tanto che in alcuni casi le autorità coloniali si trovarono costrette a “inventare” i chiefs cui delegare le facoltà previste dal sistema di amministrazione indiretta.

I vari regimi civili e militari che si alternarono fino al 1999 cercarono di affidare alle élites tradizionali un ruolo meramente consultivo, sottraendo loro il potere esecutivo che avevano precedentemente avuto e incarnato. Le leadership tradizionali hanno accettato con non poche remore il posto offerto loro dalla Nigeria democratica. Dal 1999 a oggi non sono mancati casi in cui le autorità tradizionali di diversi stati hanno protestato contro il fatto di essere state emarginate dalla scena politica, pur essendo ancora figure di riferimento per la popolazione locale. L’influenza politica reale di queste autorità all’interno dei diversi stati varia caso per caso, ma è indubbio che la loro partecipazione nelle assemblee dei Local Councils e il fatto che il 5% degli introiti dei governi locali deve essere destinato al finanziamento dei Consigli tradizionali, in modo da garantirne l’esistenza, rendono la presenza di questi attori assolutamente non trascurabile8. A riprova, nel 2014 la nomina dell’ex-governatore della Banca centrale a emiro di Kano è stata oggetto di proteste sfociate in violenti disordini. Sicuramente alcune di queste élites godono di un particolare accesso a reti relazionali e di finanziamento che le rendono prossime al potere nella sua espressione più alta.

                                                            7 C. Obi, Nigeria’s Niger Delta: Understanding the Complex Drivers of Violent Oil-related Conflict, “Africa Development”, vol. XXXIV, n. 2, 2009, pp. 103-112. 8 D. Adetoritse Tonwe and O. Osemwota, Traditional Rulers and Local Government in Nigeria: a Pathway to Resolving the Challenge, “Commonwealth Journal of Local Governance”, n. 13/14, November 2013. 

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FIGURA 3.1 - DISTRIBUZIONE DEI GRUPPI ETNICI SUL TERRITORIO

 

3.3 La controversia sul principio dell’alternanza

Lo zoning è un vero e proprio accordo non scritto, almeno fino al 1999, quando è stato esplicitamente inserito nel regolamento del Pdp9, secondo il quale la presidenza della Repubblica deve essere affidata alternativamente a un rappresentante del Nord musulmano e a uno del Sud cristiano o animista al massimo per due mandati ciascuno (8 anni consecutivi). Questo accordo, in realtà, non abbraccia soltanto la massima carica dello stato, ma anche le più importanti posizioni istituzionali, come il presidente del Senato, lo speaker della Camera, il segretario di Stato, ecc. Sulla base di questo accordo la presidenza fu affidata a Obasanjo, uno yoruba del Sud-Ovest, nel 1999 e nel 2003, per poi passare al musulmano hausa Yar’Adua nel 2007. Yar’Adua è però deceduto nel 2010, a seguito di una malattia o di un possibile avvelenamento, e Goodluck Jonathan, vice-presidente e uomo del Sud, l’ha sostituito. Nel 2011, nonostante il patto dello zoning, Jonathan non ha ceduto il passo a un leader musulmano e ha sfidato alle primarie del partito il candidato Atiku Abubakar. All’interno del Pdp Jonathan ha effettivamente raccolto i consensi per potersi affermare come il candidato del maggiore partito nigeriano. Prima delle elezioni, Jonathan si era recato presso il Northern Political Leaders Forum, cercando di ottenere il sostegno degli stati del Nord, ma i colloqui non hanno avuto seguito poiché il Foro comunicò a Jonathan che l’avrebbe appoggiato solo in cambio dell’impegno che nel 2015 non si sarebbe ricandidato alla presidenza10. Jonathan dovette così cercare altre organizzazioni su cui appoggiarsi negli stati del Nord e comunque il Nord votò in massa per Muhammadu Buhari, candidato dell’All Nigeria People’s Party (Anpp).

                                                            9 “In pursuance of the principle of equity, justice and fairness, the party shall adhere to the policy of rotation and zoning of party and public elective offices, and it shall be enforced by the appropriate executive committee at all levels” (Pdp Constitution, 1999). 10 A. Awopeju, O. Adelusi and A. Oluwashakin, Zoning Formula and the Party Politics in Nigerian Democracy: a Crossroad for Pdp in 2015 Presidential Election, “Research on Humanities and Social Sciences”, Iiste, vol. 2, n. 4, 2012.

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La vittoria elettorale di Jonathan coincise con violenti scontri nella parte settentrionale del paese. Come scrisse il Guardian con un gioco di parole la Nigeria “zoned out”11: per la prima volta la Federazione si è trovata a dover fare i conti con la possibilità che il patto di alternanza (zoning) non venisse rispettato.

FIGURA 3.2 - APPARTENENZA POLITICA DEI GOVERNATORI DEGLI STATI

FIGURA 3.3 - COMPORTAMENTO DI VOTO DEGLI STATI NELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI 2011

                                                            11 Nigeria zoned out, “The Guardian”, 19 April 2011.

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L’opinione pubblica nigeriana guarda con preoccupazione al 2015, poiché la probabile ricandidatura di Jonathan potrebbe far scoppiare un conflitto latente già dal 2011. Per giunta, altre comunità si sentono legittimate a reclamare la presidenza, come gli igbo, che effettivamente non hanno mai avuto la leadership (anche per effetto della rottura avvenuta quando nel 1967 un governatore igbo proclamò la Repubblica del Biafra). Al di là della presidenza, anche all’interno degli stati e per quanto riguarda la carica di governatore, si moltiplicano le richieste di chiarimento all’interno del Pdp, mentre le minoranze esprimono il loro sconcerto in merito alla possibilità che il non rispetto dello zoning non garantisca loro alcun posto di prestigio.

TABELLA 3.2 - “ZONING” RIGUARDANTE LE PIÙ ALTE CARICHE DELLO STATO (1999-2014)

Governo Obasanjo (1999-2007)

Governo Yar’Adua(2007-2010)

Governo Jonathan (2010- 2011)

Governo Jonathan(2011-2014)

President Sud-Ovest

Nord-Ovest Sud-Sud Sud-Sud

Vice-President Nord-Est Sud-Sud Nord-Ovest Nord-Ovest

Senate President Sud-Est Centro-Nord Centro-Nord Centro-Nord

Speaker Nord-Ovest Sud-Ovest Sud-Ovest Nord-Est

SGF* Sud-Sud Nord-Est Nord-Est Sud-Est Head of Services

Centro-Nord

Sud-Est

Sud-Est

Sud-Ovest

*Secretary of the Government of Federation

Lo zoning viene guardato con sempre maggiore sospetto dai partiti e dall’opinione pubblica. I suoi detrattori sostengono che è un meccanismo che non favorisce la selezione degli individui più adatti a governare e più meritevoli, poiché tiene troppo conto della provenienza e dell’identità delle personalità candidate, sorvolando sulla loro reale esperienza e riducendosi a una fitta rete di accordi oscuri con la compravendita dei voti. Per giunta, è possibile che membri dello stesso gruppo etnico, ma provenienti da stati diversi, possano rappresentare i loro stati a livello federale, aggirando di fatto l’equilibrio fra gruppi etnici al potere. I promotori dell’alternanza, invece, continuano a difendere questa pratica come uno strumento necessario alla delicata democrazia nigeriana, aggiungendo che non è impossibile fare una selezione che si basi sulla meritocrazia, anche all’interno di una comunità. Questa peculiare forma di alternanza, in ogni caso, presenta indubbie fragilità e, sicuramente, genera un numero crescente di scontenti che, in ultima istanza, vedono nello zoning la tattica attraverso la quale il People’s Democratic Party è riuscito a mantenersi indisturbato al potere.

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4. Il nuovo gigante economico dell’Africa

Dopo un susseguirsi di dittature militari per quasi trent’anni, la Nigeria è tornata alla vita democratica con l’elezione del presidente Olusegun Obasanjo nel 1999. Le due amministrazioni Obasanjo (1999-2003 e 2003-2007) hanno introdotto riforme economiche che hanno stabilizzato il quadro macroeconomico, facendo ripartire la crescita dopo un decennio di stagnazione e di aumento della povertà. Queste riforme hanno permesso all’economia di registrare elevati tassi di crescita reale già a partire dai primi anni Duemila e hanno anche permesso il conseguimento di importanti risultati quali il controllo dell’inflazione, la stabilizzazione della valuta e la cancellazione del debito verso i creditori del Club di Parigi – tra i quali l’Italia – e del Club di Londra. La Nigeria grazie a questi profondi cambiamenti relativi al suo assetto economico e politico è riuscita a venir fuori dal periodo più buio della sua storia: gli anni Novanta di Babangida e Abacha, la sospensione dal Commonwealth e la percezione del paese come uno stato paria. Più recentemente, essa si è riproposta sulla scena internazionale come un mercato di grande interesse sia per le sue risorse naturali sia per le sue potenzialità commerciali. Si è inoltre distinta come interlocutore politico per l’impegno profuso nella risoluzione di situazioni di crisi nel continente africano.

4.1 Il quadro macroeconomico

Negli ultimi cinque anni, la Nigeria ha registrato un tasso di crescita economica reale medio del 6%. È interessante notare come questa crescita non sia stata trainata dal settore petrolifero, come ci si aspetterebbe da un produttore Opec in un commodities super-cycle, ma dai settori più disparati. Le riforme del settore delle telecomunicazioni e di quello finanziario hanno scatenato la cosiddetta mobile revolution con la diffusione di oltre 127 milioni di linee di telefonia mobile al 2013 (dalle 25 mila del 1999) e portato alla rinascita del settore bancario, che per sofisticazione si colloca dietro al solo Sud Africa sul continente sub-sahariano e che Global Competitiveness Report, 2014-15 (Gcr) del World Economic Forum (Wef) colloca per competitività al 67° posto al mondo su 144 economie. Inoltre, l’abbattimento del tasso d’inflazione e di altre barriere burocratiche ha fatto sì che il settore dei servizi divenisse il più importante dell’economia (53% del Pil), un peso analogo a quello registrato in mercati “emergenti” più che di “frontiera”, come viene solitamente catalogata la Nigeria. Al contrario, la crescita agricola si è attestata in media sul 4% negli ultimi tre anni, mentre il potenziale dell’industria è rimasto in larga parte ostaggio dei problemi chiave dell’economia: la mancanza di elettricità, d’infrastrutture e di competitività.

La crescita è stata sostenuta da un quadro macroeconomico più stabile. Anche se, con la crisi finanziaria globale, con il crollo del prezzo del petrolio nel 2008 prima e con una politica fiscale meno disciplinata poi, la Nigeria è tornata a registrare deficit fiscali, che sono rimasti comunque al di sotto del 3% del Pil imposto dalla legge sulla Responsabilità fiscale (2007). Questo è stato possibile anche grazie all’introduzione di una regola (oil price based fiscal rule) che impone l’accantonamento dei profitti derivanti dall’esportazione di petrolio al di sopra di una soglia prestabilita annualmente nel documento di

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programmazione finanziaria. Questa regola limita il rischio dell’alternarsi di periodi di crescita e contrazione (boom and bust), separando l’andamento della spesa pubblica da quello del prezzo internazionale del greggio. Dopo la cancellazione della maggior parte del debito estero, la Nigeria ha inoltre sviluppato il mercato interno di obbligazioni statali, pur mantenendo il debito pubblico federale a un livello sostenibile pari al 12% del Pil. Una politica fiscale più oculata ha consentito un aumento più moderato del debito e ha creato una base più solida per la crescita economica. La ristrutturazione della Banca centrale in un organismo indipendente dalle interferenze della politica ha reso possibile il proseguimento di una politica monetaria votata al controllo dell’inflazione che da due anni è ben al di sotto del 10%. Tuttavia, la bassa percentuale di entrate pubbliche non derivanti dal petrolio (4% del Pil) e il conto corrente della bilancia dei pagamenti, che rimane in attivo ma è in diminuzione (2,3% del Pil), sono indicatori che richiederebbero più attenzione da parte del governo.

FIGURA 4.1 - CRESCITA REALE. PIL ANNUALE

0%

5%

10%

15%

20%

25%

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Fonte: National Bureau of Statistics.

FIGURA 4.2 - CRESCITA REALE ANNUALE. SETTORI PRINCIPALI

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

2011 2012 2013

Agricoltura Industria Servizi

Fonte: National Bureau of Statistics.

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FIGURA 4.3 - CRESCITA REALE ANNUALE. SETTORI SELEZIONATI

‐20%

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

2011 2012 2013

Petrolio e gas Cemento

Costruzioni Vendita all'ingrosso e al dettaglio

Tessile Prodotti farmaceutici

Telecomunicazioni Ristorazione e hotel

Fonte: National Bureau of Statistics.

FIGURA 4.4 - CRESCITA SPESA PUBBLICA E INFLAZIONE

0%

2%

4%

6%

8%

10%

12%

14%

16%

18%

20%

‐40%

‐20%

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Crescita spesa pubblica  Inflazione

Fonte: Banca Centrale della Nigeria, Ufficio del Bilancio.

Da più di trent’anni la Nigeria è indicata come il classico esempio di economia affetta dalla “sindrome olandese” e dalla “maledizione delle risorse”: sono termini che gli economisti usano per descrivere come la presenza di ingenti risorse naturali spesso sia la causa di una progressiva perdita di competitività degli altri settori, a beneficio in questo caso di quello petrolifero, ma anche di un certo degrado istituzionale con la formazione di oligarchie clientelari e il progressivo sfaldamento del rapporto cittadino-stato. La forte crescita del settore petrolifero in Nigeria dall’indipendenza in poi ha portato all’emersione di queste due patologie. Nell’ultimo decennio, però, la crescita del settore petrolifero è stata piuttosto debole, a causa degli ingenti tagli alla produzione che il settore ha subito nel periodo 2004-2008 per le attività del gruppo secessionista Mend (Movement for the Emancipation of the Niger Delta) e altri affini e, negli ultimi due anni, per via di furti e contrabbando di greggio da parte soprattutto della criminalità organizzata. Al picco delle perdite, nella primavera del 2013, si registrava la perdita per minor produttività di circa mezzo milione di barili al giorno di produzione. La produzione si aggira attualmente attorno ai 2,2-2,3 milioni di barili di greggio al giorno, a fronte di quella a pieno

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regime di 2,5 milioni e a un potenziale di quasi 3 milioni. Il settore ha così registrato un tasso di crescita reale negativo dall’ultimo trimestre del 2011 in poi. Il primo contributo positivo si è registrato nel secondo trimestre di quest’anno, ma è ancora presto per parlare di un cambio di tendenza. Contribuendo al 14% del Pil, il settore ha avuto un impatto negativo sulla crescita dell’economia.

4.2 L’obiettivo di Vision 20:2020

Con il piano di sviluppo Vision 20:2020 la Nigeria aspira a diventare una delle venti economie più grandi del mondo entro il 2020. La Vision 20:2020 ha l’obiettivo di favorire lo sviluppo del paese sulla base di una crescita economica sostenibile e del rafforzamento delle istituzioni democratiche. Pensata nell’ultimo periodo delle amministrazioni Obasanjo (1999-2007) con il piano “Needs” e strutturata durante l’amministrazione Yar’Adua (2007-2010), la strategia amalgama questi piani di sviluppo e, recentemente, è servita da base per l’innesto della Transformation Agenda dell’attuale presidente Jonathan. Nella sua preparazione, la Commissione Vision 20:2020 ha fissato alcuni traguardi specifici da raggiungere a livello nazionale come un Pil di almeno 900 miliardi di dollari per l’anno 2020 e un Pil pro capite di 4 mila dollari, ma ha lasciato ampia libertà d’azione ai vari ministeri ed enti coinvolti, seppur all’interno di certe linee guida. Conseguentemente, alcune istituzioni, più lungimiranti e guidate da leader competenti, hanno generato strategie di settore con piani di azione ben definiti. È il caso, ad esempio, della Financial Sector Strategy 2020 della Banca centrale o della Firs 2020 Strategy dell’Agenzia federale delle Entrate. Altre istituzioni invece hanno generato strategie meno delineate e spesso pensate senza coordinamento con gli enti interessati. Questo fa sì che, per alcuni settori, il raggiungimento degli obiettivi prefissati sia più a rischio, come ad esempio lo sviluppo di un settore manifatturiero che apporti almeno il 40% del Pil a fronte del contributo attuale del 7,5 oppure l’aumento dell’aspettativa di vita a 70 anni, a fronte degli attuali 52.

La Nigeria, da poco diventata ufficialmente la più grande economia africana, è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di un Pil di 900 miliardi di dollari entro il 2020. Una recente revisione dei conti nazionali fatta dall’Istituto nazionale di statistica (Nbs) ha rivelato che nel 2013 il Pil era di 509 miliardi di dollari, il 90% superiore alla stima basata secondo il metodo precedente. Questo ha portato la Nigeria a superare il Sud Africa per dimensioni, diventando l’economia più grande del continente africano e la 26a nel mondo. Le nuove stime hanno portato alla luce un’economia che è ancor più diversificata e complessa di quanto si pensasse in precedenza. Si può notare un contributo crescente – seppur sempre limitato – del settore manifatturiero alla crescita economica degli ultimi anni e un peso sempre più significativo del settore dei servizi che, come già detto, è diventato il più importante dell’economia, contribuendo al 53% del Pil, contro il 26% prima della revisione. Come previsto, il settore agricolo è diminuito d’importanza e ora costituisce il 20% del Pil, a fronte del precedente 33%. Anche il peso del settore industriale si è ridotto scendendo dal 41 al 27% del Pil. Sebbene sostanziali, queste revisioni sono più che plausibili e da attribuirsi ai grandi cambiamenti politici ed economici che il paese ha attraversato negli ultimi vent’anni. In aggiunta, se la Nigeria riuscirà a mantenere un tasso di crescita reale del 6% e un’inflazione attestata al 6-9% raggiungerà l’obiettivo della Vision 20:2020 di un Pil nazionale superiore ai 900 miliardi di dollari e di un Pil pro capite di 4 mila dollari entro il 2020.

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FIGURA 4.5 - SUDDIVISIONE SETTORIALE DEL PIL

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%100%

Nigeria pre‐

revision

e

Nigeria post‐

revision

e

Sud Africa

Brasile

India

Indon

esia

Agricoltura Industria Servizi

Fonte: National Bureau of Statistics, Banca mondiale.

Un mercato di 174 milioni di persone e una maggiore apertura ai capitali internazionali ha convinto un numero crescente d’investitori stranieri a puntare sulla Nigeria. La Nigeria è lo stato più popoloso dell’Africa sub-sahariana, seguita a distanza da Etiopia (92 milioni) e Repubblica Democratica del Congo (66 milioni). I suoi abitanti hanno un reddito pro capite di 2.258 dollari, a fronte di meno di 1.000 dollari degli altri due paesi. Con una popolazione in crescita del 3% annuo e un Pil superiore a 500 miliardi di dollari, la Nigeria può contare sul mercato domestico più grande del continente. Il Gcr la colloca al 33° posto al mondo per grandezza del mercato domestico. Tutto ciò ha permesso alla crescita economica di ripartire proprio dall’interno. La liberalizzazione delle telecomunicazioni, quella più recente dell’energia e l’apertura del settore commerciale, soprattutto nell’area della grande distribuzione e del settore alberghiero, hanno favorito l’arrivo di grandi gruppi industriali sudafricani e l’ulteriore espansione di produttori internazionali già presenti.

Sempre più multinazionali hanno intenzione di operare in Nigeria nel prossimo futuro, considerato che il paese offre un potenziale di giovani consumatori (il 44% della popolazione ha meno di 15 anni) con un potere di acquisto in crescita. Nella Nigeria, paese partner dell’Economic Community of West African States (Ecowas), che raggruppa 15 paesi, queste imprese vedono anche un trampolino di lancio e un accesso facilitato agli altri mercati della comunità economica dell’Africa occidentale.

Poter trarre beneficio dal “dividendo demografico” sarà possibile solo con il potenziamento delle infrastrutture, soprattutto nelle zone urbane. Per rispondere al meglio alla domanda di un ceto medio in crescita che richiede sempre più quantità e qualità sia riguardo ai servizi che ai beni di consumo, la penetrazione delle multinazionali straniere si è concentrata nelle grandi metropoli di Lagos, Kano, Abuja e Port Harcourt e, più in generale, nelle zone economicamente più dinamiche e densamente popolate del Sud-Ovest e Sud-Est, dove già è insediata la maggior parte delle attività industriali e commerciali del paese. Tutto ciò ha comportato un’intensificazione dei flussi migratori interni verso queste aree che hanno messo sotto pressione infrastrutture urbane indebolite da anni di mancata manutenzione e investimenti insufficienti. È così scaturita una serie di problemi – da quelli sanitari a quelli di ordine pubblico – tipici dei grandi conglomerati urbani di Paesi in via di sviluppo. Un Habitat calcola che, nel 2025, Lagos e Kano saranno rispettivamente la prima e la decima città per numero di abitanti in Africa. Al momento, il 16% della popolazione vive in metropoli con più di un

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milione di abitanti (a fronte del 26% a livello mondiale, secondo la Banca mondiale) ma questa percentuale è destinata a salire con l’intensificarsi della migrazione interna. Sarà quindi fondamentale dotare queste metropoli delle necessarie infrastrutture e questo creerà non poche opportunità commerciali e d’investimento diretto – dai trasporti, alla sanità, ai beni di consumo, ecc.

Se le nuove stime dei conti nazionali confermano un paese in cui il livello di povertà è inferiore a quello che si pensava in precedenza, esse mostrano anche un paese i cui squilibri regionali sono ancora più forti. La revisione del Pil e nuove indagini sul livello di povertà indicano che nel 2009-2010 il 35% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà nazionale invece del 62% precedentemente stimato. Nel 2012-2013 la percentuale della popolazione sotto tale soglia è scesa ulteriormente al 33%. Stando alle nuove statistiche la riduzione della povertà sarebbe un fenomeno prettamente urbano, mentre le zone rurali mostrano ancora un’alta incidenza della stessa. Le nuove statistiche permettono così di riconciliare l’apparente contrasto del messaggio lanciato dai vecchi numeri che vedevano un aumento dell’incidenza della povertà rurale affiancata a stime di crescita del settore agricolo di circa il 6% annuo. Le stime attuali indicano come la crescita agricola sia stata di circa il 4% nel periodo 2011-2013 a fronte di una crescita della popolazione di quasi il 3%, limitando così l’impatto potenziale sulla riduzione della povertà rurale. A causa della rapida crescita della popolazione, il numero di nigeriani che vivono sotto la soglia della povertà rimane ancora attorno ai 58 milioni.

I contrasti più forti sono quelli tra Nord e Sud. A livello nazionale, la diseguaglianza è aumentata marginalmente negli ultimi tre anni, con l’indice Gini cresciuto dallo 0,33 allo 0,34. È anche interessante notare come la metà della popolazione abbia un reddito pro capite che si aggira attorno alla linea di povertà, aumentando così il livello di vulnerabilità di una gran parte della popolazione.

FIGURA 4.6 - PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE SOTTO LA SOGLIA DI POVERTÀ (2012-2013)

0

10

20

30

40

50

60

Nazionale

Rurale

Urbana

Nord‐Centro

Nord‐Est

Nord‐Ovest

Sud‐Est

Sud‐Sud

Sud‐Ovest

Nazionale Rurale Urbana Nord‐Centro Nord‐Est

Nord‐Ovest Sud‐Est Sud‐Sud Sud‐Ovest

Fonte: Banca mondiale.

Le nuove stime dimostrano che la divisione Nord-Sud sarebbe molto più profonda di quanto

risultasse dai vecchi numeri. Il Nord presenta livelli di povertà molto più elevati. A eccezione della regione Nord-Centro, il tasso di povertà sarebbe addirittura aumentato al Nord dal ritorno della democrazia in poi. Mentre il Sud-Ovest, nella regione intorno a Lagos, registra il livello di povertà più basso con il 16%, il Nord-Est ha il primato nazionale con oltre il 50% della popolazione sotto tale

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soglia. Questo crea terreno fertile per il reclutamento di nuovi adepti da parte del gruppo terrorista Boko Haram la cui attività si concentra proprio in questa zona.

4.3 Riforme e ostacoli

La mancanza di una solida base d’infrastrutture ha forti ripercussioni sulla competitività del paese. Il Gcr mette la Nigeria al 127° posto su 144 economie per competitività dell’economia in generale e al 134° posto per le infrastrutture. Il paese, con i suoi 910.770 kmq, può contare su una rete di strade di circa 200.000 km, dei quali solo il 25% è asfaltato, con un aggravio dei costi di trasporto e delle probabilità di furto e/o danneggiamento delle merci, poiché il trasporto su gomma rimane il più comune, vista la carenza di linee ferroviarie. Ingenti investimenti sono stati fatti negli ultimi due anni con l’avvio del programma di riattivazione di alcune vecchie linee ferroviarie, cadute in completo disuso. La Nigeria è pertanto sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo di 8.000 km di linee ferroviarie entro il 2020, a fronte dei 3.500 km del 2012 (cifra che era rimasta stabile per oltre quarant’anni).

La recente privatizzazione del settore elettrico produrrà dividendi solo tra qualche anno. La Nigeria soffre di una cronica mancanza di elettricità per investimenti mai realizzati e che nel corso degli ultimi trent’anni hanno portato la disponibilità di energia a scendere ai 3.300 MW circa del 2013. Forse il traguardo più importante dell’amministrazione Jonathan, la privatizzazione del settore elettrico, portata avanti negli ultimi due anni, ha dissolto la vecchia compagnia di stato, la Power Holding Company of Nigeria (Phcn), e l’ha smembrata in 18 entità: 6 addette alla produzione di energia, 11 addette alla sua distribuzione e una addetta alla trasmissione. A parte quest’ultima, il cui management è stato affidato a una società canadese del settore, ma che rimane di proprietà pubblica, tutte le altre sono state privatizzate e acquistate da consorzi che raggruppano sia imprese locali sia straniere. Nonostante presunti casi di corruzione, il processo di privatizzazione sembra essere andato a buon fine. È ora iniziata la delicata fase della ristrutturazione e/o costruzione degli impianti e con essa sono emerse le prime difficoltà, che il governo sta cercando di risolvere. Stime ufficiali indicano un fabbisogno di circa 40 mila MW e si calcola che ci vorranno circa due o tre anni perché le infrastrutture siano in grado di produrre almeno un terzo di questa cifra. A fronte dei 4.604 kWh di cui può beneficiare un sudafricano, il nigeriano medio dovrà consumare i 149 kWh attuali ancora per un po’; e le aziende del paese dovranno continuare a utilizzare costosi generatori privati per soddisfare il loro fabbisogno di corrente elettrica.

Oltre alle infrastrutture, una serie di altri ostacoli rendono il “fare business” ancora piuttosto difficile. Il 2014 Doing Business Report (Dbr) della Banca mondiale colloca la Nigeria al 147° posto su 189 stati per facilità di “fare business”, nove posizioni più in basso dell’anno precedente, sotto il Sud Africa (41), il Kenya (129) e la media regionale dell’Africa sub-sahariana (142). Non sorprende che tra le più grandi difficoltà a fare business ci siano la scarsa disponibilità di elettricità e la difficoltà di poter registrare un atto di proprietà. Rispetto a questi indicatori, la Nigeria si colloca al 185° posto su 189. È inoltre difficile far rispettare i contratti (136) e ottenere permessi di costruzione (151), mentre gli indicatori che meglio posizionano la Nigeria sono la disponibilità di credito per le aziende (13), a seguito delle riforme del sistema finanziario dal 2009 in poi, e la protezione degli investitori stranieri (65).

Logistica, proprietà della terra e diritti di proprietà intellettuale sono impedimenti che non sempre sono presi in considerazione. Spedizioni, sdoganamento e trasporto merci sono ostacoli significativi alla penetrazione commerciale nel vasto territorio nigeriano, di cui pochi operatori internazionali hanno una buona conoscenza. Favorire partenariati con operatori locali può spesso

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risultare difficile visti i livelli diversi di affidabilità che l’offerta locale presenta. Sarà importante potenziare il supporto logistico alle imprese che vogliono effettuare esportazioni in Nigeria. Catene di distribuzione all’ingrosso e al dettaglio già presenti potrebbero essere un’ottima base d’appoggio per nuove imprese esportatrici. Sarà inoltre decisamente apprezzabile l’aiuto che potrà essere offerto nelle trattative per atti di proprietà, viste la burocrazia e le difficoltà in cui un investitore può incappare. Secondo la Costituzione nigeriana, la maggior parte della terra è di proprietà dello stato della Federazione in cui essa si trova. Il governatore di quello stato può darla in affitto (lease, secondo il common law britannico) per periodi di varia durata, anche secolare. Questo ha portato a volte a soluzioni meno trasparenti e ad hoc, a seconda dello stato, contribuendo a creare incertezze e un ulteriore ostacolo per i potenziali investitori. Da ultimo, permane la difficoltà di tutelare i diritti della proprietà intellettuale e commerciale, estremamente importanti per il made in Italy.

4.4 La funzione del settore petrolifero

Pur con un 14% del Pil, il settore petrolifero è il motore che muove gli ingranaggi di tutta l’economia nigeriana. Le esportazioni di greggio e gas costituiscono oltre il 95% del valore complessivo dell’export nigeriano. Inoltre, lo stato ricava più dell’85% delle sue entrate dal settore petrolifero. Il rimanente 15%, costituito soprattutto da imposte sulle società e Iva, viene comunque influenzato indirettamente dal settore, sia perché alcune di queste società forniscono servizi a operatori del settore, sia perché la distribuzione delle entrate statali da parte del governo federale è essenzialmente ciò che tiene in moto gli ingranaggi dell’economia. Seguendo una rigida formula per la condivisione delle entrate, lo stato federale conferisce a stati e autorità locali (rispettivamente il secondo e terzo livello di autorità nella federazione nigeriana) ciò che spetta loro. Mentre per stati con economie locali molto dinamiche, quali ad esempio lo stato di Lagos, questi introiti rappresentano meno del 20% delle entrate mensili totali, molti altri stati, soprattutto al Nord, sono essenzialmente dipendenti dalle entrate derivanti dal petrolio, distribuite da Abuja. Di conseguenza, un calo della produzione e/o del prezzo del greggio, ha forti ripercussioni sul livello di introiti su cui i singoli stati possono contare. Nella maggior parte del paese, soprattutto negli stati meno sviluppati e al Nord, i governi statali e locali sono i maggiori acquirenti di beni e servizi e quindi anche i principali generatori, diretti o indiretti, della domanda interna su cui poi si sviluppa l’attività privata.

Poco successo hanno avuto gli sforzi del governo nella riduzione delle perdite di produzione petrolifera registratisi dalla fine del 2012 in poi. Criminalità organizzata e delinquenti comuni intervengono nelle centinaia di chilometri di oleodotti presenti lungo tutto il Delta del Niger sottraendo greggio che viene poi trafugato via mare o terra oltre confine. Questo impone spesso alle compagnie petrolifere di cessare il passaggio di greggio per interi tratti di oleodotti e trattenere la produzione a monte, causando quindi una perdita totale – tra furti e fermi alla produzione – dai 200 mila ai 500 mila barili al giorno, nel momento di maggior espansione del problema nella primavera del 2013. Le compagnie petrolifere puntano il dito sugli sforzi governativi considerati troppo modesti, mentre il governo fa loro notare la mancanza di risorse di cui soffre il paese e la necessità di monitorare centinaia di chilometri di oleodotti nascosti tra le mangrovie del Delta. Poiché quella del furto del greggio è un’attività molto lucrativa, la criminalità organizzata ha approfittato della carenza di strutture di controllo per prendere in mano un’attività illecita che proseguiva da anni anche se su scala minore e che era ormai istituzionalizzata. Si è spesso scoperto il coinvolgimento di esponenti delle forze dell’ordine mandati a pattugliare gli oleodotti, mentre in tempi più recenti l’opposizione ha lanciato accuse quali il

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presunto coinvolgimento di alcuni membri del partito al potere allo scopo di reperire fondi, soprattutto in vista delle elezioni politiche di febbraio 2015.

La mancata approvazione della nuova legge sul settore petrolifero ha generato un clima d’incertezza con una conseguente riduzione degli investimenti da parte delle grandi compagnie petrolifere straniere. Il Petroleum Industry Bill è in discussione in parlamento sotto varie forme e revisioni da ormai un decennio. Il testo all’esame in parlamento include misure come la revisione delle condizioni per nuovi contratti tra le compagnie petrolifere e lo stato: cambi al sistema di tassazione; aumento della partecipazione di compagnie locali a nuovi progetti di estrazione, ecc. Soprattutto per quest’ultima norma, alcune delle più grandi compagnie petrolifere, operanti pozzi petroliferi nel paese, hanno cominciato da un paio d’anni a vendere alcuni dei contratti che avevano in appalto. Si tratta molto spesso di pozzi on-shore o shallow off-shore, dove, per queste compagnie, le attività di esplorazione e/o estrazione sono residuali o inesistenti. In alcuni casi, la cessione di questi contratti da parte delle compagnie petrolifere rientra non solo nell’intento di anticipare alcuni cambiamenti che la nuova legge dovrebbe introdurre, ma anche nel dimostrare la loro volontà di collaborare con il governo. Nonostante le attuali incertezze generate dai cambiamenti prospettati dalla legge petrolifera in discussione, la Nigeria è destinata a rimanere un mercato di idrocarburi di grande rilevanza, con riserve che superano i 37 miliardi di barili di greggio che la collocano al secondo posto dopo la Libia nel continente africano, e al decimo posto al mondo con 2.800 chilometri cubici di gas naturale.

4.5 Le riforme fiscali per sostenere gli investimenti

Il risparmio di risorse pubbliche, ottenuto grazie alle riforme messe in atto nell’ultimo decennio, può sostenere gli investimenti. A seguito dell’introduzione della regola fiscale basata sul prezzo del petrolio di cui si è parlato sopra, il governo ha creato anche un fondo per il risparmio dei proventi derivanti dalle esportazioni petrolifere, denominato Excess Crude Account (Eca). Al momento, questo fondo ha una dotazione di 4,1 miliardi di dollari che vengono utilizzati per sopperire al deficit di entrate statali, quando queste sono al di sotto della soglia prevista dalla manovra finanziaria. L’Eca viene anche utilizzato per il pagamento dei sussidi governativi al prezzo della benzina e per realizzare progetti di infrastrutture specifici. Il saldo nell’Eca rimane tuttavia troppo modesto per costituire realmente un cuscinetto sul quale il paese possa appoggiarsi in momenti di crisi, come è successo nel 2008-2009. Nel 2012 a seguito di violente proteste, il sussidio per la benzina, che il presidente Jonathan aveva annunciato di voler eliminare, è stato solo dimezzato; i soldi così risparmiati sono stati destinati a programmi per migliorare la salute di donne incinte, per il trasporto pubblico e per altri programmi d’assistenza. L’Eca è soggetto a frequenti richieste di prelievi ad hoc da parte dei governatori dei singoli stati. Per proteggere questa riserva finanziaria da continue richieste, il governo ha istituito un fondo sovrano, la Nigeria Sovereign Investment Authority (Nsia), in cui sono stati trasferiti 1,55 miliardi di dollari. Il governo conta di poter trasferire il saldo dell’Eca nella Nsia, una volta accordatosi con i governatori sulle condizioni. Sembra comunque poco probabile che si raggiunga un accordo prima dell’insediamento del nuovo governo, che si avrà soltanto dopo le elezioni del febbraio 2015. Compito del fondo sovrano, oltre a preservare ricchezza per le generazioni future, è d’investire in infrastrutture. In questo senso, esso si è già attivato con la partecipazione in progetti nel settore del gas, dell’edilizia e di altre infrastrutture (ponti e strade in particolare). Pertanto, continuare a risparmiare, non solo per proteggere il bilancio dalle oscillazioni del prezzo del greggio sul mercato internazionale, ma anche per sostenere gli investimenti nelle infrastrutture, sarà importantissimo per migliorare la competitività dell’economia.

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La riforma del sistema pensionistico e un nuovo mercato di obbligazioni statali costituiscono le fondamenta a sostegno di ulteriori investimenti. Dal 2005 la Nigeria è passata a un sistema pensionistico di defined contribution, abbandonando il vecchio sistema di defined benefit, con l’intento di sanare i conti del vecchio ente pensionistico e istituendone uno nuovo preposto a regolamentare il settore delle pensioni. In questo modo si è favorita la nascita di un settore più trasparente, con 21 operatori privati. Il settore attualmente gestisce all’incirca 24 miliardi di dollari di risparmi, raccolti in meno di dieci anni, con 17 milioni dei potenziali 50 milioni di risparmiatori inseriti nel nuovo sistema. Un tale potenziale di crescita può costituire una fonte significativa per investimenti in infrastrutture o obbligazioni statali, i cui proventi possono poi essere destinati a tale uso. Anche il mercato di titoli statali ha visto un rapido sviluppo, raggiungendo i 45 miliardi di dollari circa e diventando il secondo per liquidità e dinamicità dell’Africa sub-sahariana, grazie all’istituzione di un organismo statale, l’Ufficio per la gestione del debito (Debt Management Office) e la promozione attiva di questo mercato attraverso una serie di riforme. La creazione di una yield curve sovrana da utilizzare come riferimento ha permesso a un numero sempre maggiore di stati nigeriani e di aziende locali di approcciare il mercato per raccogliere capitali per espandere le loro attività.

4.6 Le prospettive per i paesi terzi In quanto a popolazione e Pil, come si è già visto, la Nigeria, che presenta anche grandi prospettive di crescita nella politica commerciale, è il paese africano che offre di gran lunga le prospettive più interessanti tanto da poter attrarre anche paesi, come l’Italia, che non hanno un legame storico precostituito o una dimestichezza di relazioni sperimentata. Il paese è in grado di mantenere tassi di crescita economica reale superiori al 6% allo stato attuale e una migliore disponibilità di energia elettrica, grazie alle riforme in atto, potrebbe aumentare il potenziale di crescita fino all’8-10%. Esso presenta un mercato interno che da solo fa da rivale, ad esempio, all’intera Eastern African Community (Eac). Inoltre, il mercato comune Ecowas, di cui la Nigeria è il paese membro più eminente, fa a gara con la Southern Africa Development Community (Sadc), dominata dal Sud Africa, per Pil e numero di abitanti. Purtroppo, però, in Nigeria persistono problemi di sicurezza e stabilità determinati da un’elevata complessità etnica e religiosa presente in un grande stato che ospita più di 250 etnie che parlano più di 350 lingue e dialetti diversi. Circa il 60% della popolazione è musulmana e il rimanente è in prevalenza cristiana. Nonostante questa complessità e i ripetuti episodi di violenza etnico-religiosa, soprattutto nel Nord-Est, la Nigeria è riuscita a mantenere un certo livello di stabilità politica dal ritorno della democrazia in poi. Tutto ciò è stato frutto di amministrazioni che si sono impegnate a riformare il paese e della presenza di un forte ceto imprenditoriale che ha imparato a operare senza farsi troppo condizionare dall’andamento della politica nazionale.

Molteplici sono i settori su cui l’Italia potrebbe puntare nella sua politica commerciale con la Nigeria. Per quanto riguarda gli scambi commerciali, molto interessanti sono il settore alimentare e del pellame, quello dei beni di consumo, delle risorse naturali (petrolio, gas e minerali) e della promozione turistica. Per quanto riguarda gli investimenti diretti, settori particolarmente promettenti sono quelli dell’agribusiness o delle costruzioni (commerciale e non), delle infrastrutture, della sanità, e delle risorse petrolifere, di gas e minerarie.

Secondo la Banca mondiale, con il 40% della terra potenzialmente coltivabile e con solo il 3,5% sotto coltivazione effettiva, il potenziale agricolo della Nigeria è notevole. In uno studio del 2009, l’istituzione internazionale identificò la Nigeria come uno dei granai dell’Africa, assieme a Mozambico e Zambia. Negli ultimi anni la crescita del settore agricolo è stata trainata da un aumento della superficie

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messa a coltivazione, piuttosto che da un aumento del rendimento di quella già coltivata. Il basso rendimento delle coltivazioni (1.363 kg per ettaro) è dovuto a un limitato utilizzo di fertilizzante e di macchinari agricoli. Negli ultimi anni fenomeni migratori particolari, come lo spostamento di imprenditori agricoli bianchi dello Zimbabwe, del Kenya o del Medio Oriente a seguito di agevolazioni finanziare, hanno permesso la nascita di un certo numero di aziende agricole che, per il momento, servono soprattutto il mercato locale. Il trasporto di prodotti agricoli per l’export è reso ancora più difficoltoso dal cattivo stato delle reti stradali che porta alla perdita di quantità ingenti di prodotto. Nonostante ciò, le opportunità rimangono significative e questo vale anche per le importazioni di prodotti alimentari italiani per soddisfare un ceto medio con un potere d’acquisto in crescita che predilige fare acquisti nei nuovi centri commerciali che possono mantenere intatta la qualità dei prodotti con le dovute infrastrutture.

Altro settore di nicchia, ma con grandi potenzialità, è quello del pellame. Negli ultimi quindici anni l’Italia si è classificata al primo o al secondo posto per l’export di pellami grezzi e semi-lavorati nigeriani, provenienti dall’industria di base a Kano, nel Nord del paese. Recenti problemi di sicurezza hanno portato peraltro alcuni di questi laboratori a chiudere.

Con la crescita economica aumenterà anche la capacità di spesa delle famiglie e con essa la domanda di beni di consumo e servizi. Il presupposto per entrare in questo mercato è di offrire inizialmente prodotti adatti a fasce di consumatori con capacità di spesa ancora medio-basse in previsione di stabilire una presenza sul mercato che permetterà in un futuro di allargare l’offerta a prodotti con più alto margine. È importante per gli operatori stranieri appoggiarsi a catene di distribuzione della vendita all’ingrosso e al dettaglio, viste le difficoltà logistiche. L’ingresso nel mercato deve avvenire attraverso le metropoli più grandi (Lagos, Kano, Abuja e Port Harcourt), con una previsione di espansione concentrata nelle zone più dinamiche del Sud.

Il settore dell’edilizia è cresciuto in media del 20% l’anno negli ultimi tre anni. Oltre a costruzioni di tipo commerciale, con la nascita di alcuni centri commerciali e complessi di uffici, anche questo settore (costruzioni residenziali) ha risentito di un forte sviluppo. Come in altri stati africani, la classe media che sta crescendo in Nigeria richiede condizioni abitative migliori ed è in grado di pagare per servizi adeguati. Si sono così sviluppate intere zone con “villaggi” di caseggiati a schiera, spesso costruiti nei primi sobborghi appena fuori dalle più costose metropoli, e con un costo di progettazione e costruzione più contenuto, ma che fornisce servizi essenziali come la corrente elettrica e l’acqua corrente, ecc. La mancanza di un mercato dei mutui ha rallentato lo sviluppo di questo settore, vista la difficoltà per una famiglia, anche se di professionisti o impiegati, di risparmiare abbastanza per l’acquisto di una casa. La Nigeria Mortgage Refinance Company, recentemente istituita dal governo con l’assistenza della Banca mondiale, si prefigge di colmare questo vuoto e sostenere l’acquisto della casa da parte del ceto medio. Nel suo primo mese di attività, l’istituzione ha ricevuto circa 70 mila domande. Stime ufficiali indicano che per soddisfare la domanda attuale di abitazioni sono necessarie almeno 17 milioni di unità.

Il settore delle infrastrutture offre grandi opportunità visto l’interesse del governo a migliorarne la qualità per stimolare la crescita economica del paese. L’attenzione del governo si è finora focalizzata sul rimodernamento e l’ampliamento della rete ferroviaria oltre ad alcuni tratti della rete stradale, la costruzione del secondo ponte sul Niger a Onitsha, sede del più grande mercato dell’Africa sub-sahariana, e l’estensione dei gasdotti per incrementare la produzione di energia elettrica. Indipendentemente dall’esito delle elezioni politiche di febbraio 2015, le richieste sempre più pressanti da parte della popolazione – soprattutto per un miglioramento dei trasporti e dell’elettricità –

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imporranno alla nuova amministrazione di concentrarsi sulle infrastrutture. È importante segnalare che, nonostante l’istituzione di un Public Procurement Office e sistemi di controllo più rigorosi, il problema della corruzione rimane rilevante nel settore.

Un altro settore che nel corso degli anni di dittatura ha perso in qualità per la “fuga di cervelli” verso l’America e l’Europa e per i mancati investimenti è la sanità. Secondo stime governative circa 4 mila medici nigeriani lavorano nel solo Regno Unito e oltre 5 mila negli Stati Uniti, a fronte dei 27 mila attualmente impiegati in Nigeria. La mancanza di strutture adeguate porta migliaia di nigeriani a cercare cure mediche all’estero. Il “turismo sanitario” ha raggiunto un valore che si aggira intorno a 1,6 miliardi di dollari l’anno e interessa le destinazioni più disparate, tra le quali spiccano gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania e l’India. L’Italia è stata fino a ora meno favorita a causa della “lingua”. Sul territorio nigeriano sono anche presenti alcune multinazionali del settore farmaceutico che servono il mercato locale. Negli ultimi quindici anni, grazie all’impegno della National Agency for Food and Drug Administration and Control (Nafdac) incentrato soprattutto sul controllo qualità dei medicinali in commercio, la fiducia del pubblico verso l’offerta di medicinali prodotti in loco è di gran lunga migliorata facendo registrare tassi di crescita molto elevati (+63% di media nel 2011-2013) nel settore farmaceutico.

Con riserve superiori ai 37 miliardi di barili di greggio e 2.800 chilometri cubici di gas naturale, la Nigeria rimarrà uno dei paesi chiave nel settore energetico a livello mondiale per molti anni a venire. L’Italia è presente in Nigeria da decenni con l’Eni, che ha recentemente cominciato a cedere alcuni pozzi petroliferi, come altre compagnie petrolifere internazionali, probabilmente in previsione dei cambiamenti che verranno introdotti con la nuova legge petrolifera. Tra le altre disposizioni, essa renderà più stringente la necessità di siglare accordi con imprese locali ma, pur in presenza di probabili difficoltà iniziali, questo cambiamento dovrebbe essere visto come un’opportunità che permetterà di penetrare settori finora non considerati, come ad esempio la fornitura di servizi accessori nel settore petrolifero e del gas.

Parlando più in generale delle risorse naturali, opportunità al momento si presentano soprattutto nell’esplorazione. Studi di settore hanno evidenziato una presenza significativa di giacimenti di carbone, bauxite, oro, calcare, ferro, zinco, piombo, fosfato, marmo, uranio e pietre preziose varie. Tradizionalmente, le multinazionali delle risorse naturali si sono focalizzate su petrolio e gas naturale, a scapito dell’esplorazione di depositi minerari, rimasta appannaggio di aziende locali, senza quei mezzi necessari per l’estrazione su scala industriale e destinata all’export. Nonostante le potenzialità e un rinnovato interesse, il settore dell’estrazione non viene ancora considerato una priorità nazionale. E ciò potrebbe rendere più difficoltosa l’entrata di nuove aziende interessate al settore.

Alla stessa stregua dei ceti medi dei paesi emergenti in Asia, la presenza di turisti nigeriani nel mondo andrà sempre più crescendo nel prossimo futuro. Tradizionalmente vista come meta turistica per i più abbienti, l’Italia è spesso rimasta fuori dagli itinerari internazionali del turista nigeriano che, in genere, preferisce Regno Unito e Stati Uniti per lingua, tradizioni, ecc. Il turismo nigeriano è spesso turismo “per fare shopping” e la scelta della meta è spesso dettata dalla necessità di acquistare prodotti non disponibili nel paese.

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5. Un accordo particolare con l’Unione europea

Le relazioni tra l’Unione europea e la Nigeria si sono intensificate negli ultimi anni, andando di pari passo con la costante e progressiva crescita, cui si assiste da più di un decennio, del prodotto interno lordo del più popoloso paese africano. Nel 2014, l’economia della Nigeria è stata classificata dal Fondo monetario internazionale come la maggiore del continente africano, superando il primato detenuto ormai di default dal Sud Africa; nei prossimi anni, riducendo le voragini di povertà e quindi aumentando le possibilità di un enorme mercato interno, il paese potrà essere annoverato tra le prime 20 economie mondiali (oggi è al 26° posto). Alle incoraggianti performances macroeconomiche è da aggiungere il ruolo chiave a livello regionale della Repubblica federale nigeriana nel campo della sicurezza e nella gestione delle problematiche migratorie: tutti fattori che fanno sì che l’Unione europea guardi oggi a questo paese come a un partner indispensabile non solo per gli scambi commerciali, ma anche per stabilizzare e quindi rendere ancora più fruttuose le relazioni con tutta l’Africa occidentale.

La cooperazione economica (scambi commerciali e sostegno allo sviluppo) e politica tra l’Europa e la Nigeria ha come quadro di riferimento l’Accordo di Partnership di Cotonou tra l’Ue e 79 paesi in via di sviluppo di Africa, Caraibi e Pacifico (i cosiddetti paesi del gruppo Acp). L’accordo è conosciuto anche come Acp-Eu Partnership Agreement). Firmato nel 2000, è stato rivisto nel 2005 e, infine, nel 2010.

L’Unione europea rappresenta il principale partner commerciale della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas/Cedeao, acronimo rispettivamente inglese e francese). La Nigeria ricopre anche qui un ruolo da protagonista, dato che circa la metà delle esportazioni europee sono a essa indirizzate e visto che da qui provengono circa il 70% delle importazioni totali dall’Ecowas.

Se è inevitabile che la parte più consistente delle importazioni sia costituita dal petrolio (la Nigeria è il dodicesimo produttore al mondo), è da segnalare che l’Unione europea importa anche più del 50% dei prodotti non estrattivi del paese africano. Nell’ottica di liberalizzazione del commercio tra Europa e paesi Acp, il 10 luglio 2014, dopo ben dieci anni di negoziati, è stato firmato dai 16 capi di Stato e di governo dei paesi dell’Ecowas l’Economic Partnership Agreement (Epa), inteso come una prosecuzione (e sostanzialmente un superamento) del Cotonou Agreement. L’Ecowas è la prima tra le comunità economiche regionali dell’Africa sub-sahariana ad aver siglato tale accordo, che è stato molto osteggiato dai paesi africani e dalla stessa Unione africana a causa dell’abolizione del trattamento tariffario preferenziale. L’accordo prevede la soppressione del 75% delle tariffe doganali dell’Africa occidentale per i prodotti provenienti dall’Ue. La ratifica e attuazione dell’Epa a livello nazionale, da parte del governo nigeriano, non sono tuttavia assolutamente scontate, considerando le reticenze più volte espresse anche dal governo di Abuja a proposito delle probabili e consistenti perdite stimate per la produzione manifatturiera locale a causa dell’afflusso di merci europee.

Dal 2009, l’Ue punta a una collaborazione ancora più stretta con la Nigeria a livello bilaterale: nel Nigeria-Eu Joint Way Forward si afferma che Nigeria e Unione europea si considerano

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vicendevolmente come partner “naturali e forti”, che condividono gli ideali di pace, sicurezza, uguaglianza, democrazia e tolleranza. La strada da seguire per un rafforzamento della cooperazione tra le due parti è basata su un’intensificazione del dialogo e un rafforzamento della cooperazione che, secondo gli intenti enunciati, riguardi non solo il settore economico e commerciale (inteso anche come scambio integrato a livello regionale), ma anche altri ambiti come “pace e sicurezza”, “governance e diritti umani”, “energia” e “sostenibilità ambientale e cambiamento climatico”1. Queste sono le “priorità strategiche” per lo sviluppo della Nigeria, individuate dall’Ue per il periodo 2008-2013 così come risultano nel Country Strategy Paper, il documento sul quale si basa il finanziamento di circa 700 milioni di euro (parte del 10° European Development Fund-Edf) per l’attuazione di interventi di riforma in questi settori2. Nei primi tre anni il dialogo si è concentrato su diritti umani, immigrazione e sviluppo. Rappresentanti del governo nigeriano e del Consiglio europeo si sono incontrati, secondo il modello della troika, nel 2012 e nel 2013, per discutere dell’andamento della cooperazione reciproca e, a livello informale o in separate sedi, per affrontare tematiche specifiche. Per quanto riguarda il controllo e la gestione dell’immigrazione clandestina, la Nigeria, che ha ottenuto un certo credito dall’Europa grazie alle competenze delle sue forze di polizia (in particolare la National Agency for the Preventing of trafficking in Persons), è l’unico paese africano ad aver firmato un accordo con Frontex (gennaio 2012). Secondo l’accordo preparatorio, l’agenzia per il controllo delle frontiere europee ha assunto l’impegno di trasmettere competenze nella gestione dei porosi confini nigeriani nel Nord e nel Sahel3.

La questione “pace e sicurezza”, dal 2013, è divenuta centrale nella cooperazione tra le due parti: nell’incontro ministeriale tenutosi a Bruxelles il 16 maggio 2013, la minaccia terroristica è stata definita più preoccupante rispetto all’anno precedente. È stato chiesto dall’Ue che il governo nigeriano, elogiato per l’attività di intelligence anti-terroristica, si impegni a mantenere un “approccio globale” nel Nord-Est del paese, dove vige lo stato d’emergenza proclamato dalla Repubblica federale nei tre stati di Yobe, Borno e Adamawa, per contrastare l’insurrezione guidata da Boko Haram. In particolare, “le due parti hanno enfatizzato la primaria importanza di evitare risposte sproporzionate per contrastare il terrorismo” incoraggiando, per contro, il rafforzamento di una good governance e di strategie per lo sviluppo, quali deterrenti alla radicalizzazione4. In tal senso, nel marzo 2014 l’Ue ha stanziato 10 milioni di euro per la promozione dell’impegno delle donne in questa regione destinati a favorire la partecipazione delle donne nella “prevenzione dei conflitti” e nel “peace building”, sviluppare strumenti e meccanismi per mitigare l’impatto dei conflitti sulle donne con particolare attenzione alle nuove generazioni. Nel maggio 2014, inoltre sono stati destinati 9,9 milioni di euro dai fondi europei dell’Instrument for Stability (Ifs), per l’assistenza tecnica al National Security Advisor nigeriano in operazioni di contro-terrorismo e nel miglioramento della comunicazione strategica. Infine, Gran Bretagna e Francia hanno patrocinato il dialogo inter-regionale, che ha portato, nel luglio 2014, Niger, Ciad e Camerun – i tre Stati confinanti con la Nigeria maggiormente coinvolti oggi dalle conseguenze

                                                            1 Nigeria-Eu Joint Way Forward, 2009, www.eeas.europa.eu/delegations/nigeria/documents/eu_nigeria/ the_nigeriaeu_joint_way_forward_en.pdf 2 European Community-Federal Republic of Nigeria, Country Strategy Paper and National Indicative Programme. For the period 2008-2013, Brussels, November 2009. 3 Joint Report of the 5th Meeting of the Nigeria-Eu Dialogue on Migration and Development, Abuja, January 2012, http://eeas.europa.eu/delegations/nigeria/documents/eu_nigeria/conclusion_migration_and_development_final_en.pdf; Working Arrangement establishing operational cooperation between the European Agency for the Management of Operational Cooperation at the External Borders of the Member States of the European Union (Frontex) and the Nigerian Immigration Service, http://www.statewatch.org/observatories_files/frontex_observatory/WA%20Nigeria%20%2019%2001%202012.pdf. 4 Fourth Nigeria-European Union Ministerial Meeting, Brussels, 16 May 2013, http://eeas.europa.eu/ nigeria/docs/joint_communique_eu-nigeria_signed_16.5.2013.pdf.

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della turbolenza jihadista (rifugiati e instabilità) – a impegnarsi nella formazione di una Joint Regional Force per fronteggiare l’insurrezione terroristica5.

Attualmente, il governo nigeriano si trova sotto attacco, internamente ed esternamente, e si sta rivelando in estrema difficoltà nel porre un freno all’avanzata di Boko Haram: mal equipaggiando l’esercito, permettendo ai suoi uomini azioni indiscriminate e lesive dei diritti umani, o lasciando spazio a brigate paramilitari improvvisate. Anche l’impegno europeo potrebbe superare i provvedimenti estemporanei in un’ottica d’incoraggiamento del dialogo interetnico e inter-religioso nazionale e collegando la gestione della sicurezza nei tre stati settentrionali della Federazione nigeriana a quella dell’intera area saheliana6.

Il prossimo meeting ministeriale tra Europa e Nigeria si terrà nel novembre 2014: si presume che la possibile azione europea nel campo della pace e sicurezza sarà valutata attentamente, vista la criticità del momento. Intanto, nel giugno 2014 la Commissione europea e il governo nigeriano hanno firmato il National Indicative Programme (Nip), parte dell’11° European Development Fund. Nel preambolo si legge quello che, alla luce dei fatti, pare essere un auspicio più che una constatazione dell’effettivo ruolo avuto negli ultimi mesi dal paese africano: “L’accresciuto ruolo strategico della Nigeria nelle questioni regionali e internazionali è stato un importante contributo alla pace e alla sicurezza dell’Africa occidentale”. L’interesse economico resta comunque quello principale: “In quanto paese tra i principali produttori di petrolio e più grande economia dell’Africa, la Nigeria è di un’importanza strategica per l’Unione europea”. Tale relazione non potrà, tuttavia, essere effettivamente utile all’Unione europea, se prima non saranno eliminati alcuni impedimenti strutturali allo sviluppo come “la debole governance economica, le fragili e complesse istituzioni democratiche, le ingenti diseguaglianze e il limitato accesso per la maggioranza della popolazione ai servizi di base”.

Le linee generali della cooperazione allo sviluppo dell’Ue in Nigeria non subiscono particolari mutamenti, rispetto al programma dei cinque anni appena passati: nel documento si sostiene l’importanza di “pianificare partendo dalle lezioni apprese dal precedente Edf”, senza tuttavia fornire lo status del raggiungimento degli obiettivi dei progetti intrapresi dal 2009 a oggi (l’ultima valutazione dell’aiuto europeo in Nigeria riguarda il periodo 1999-2008)7. I fondi verso la Nigeria sono diminuiti rispetto al precedente quinquennio, ammontando a circa 500 milioni di euro, e i settori specifici, individuati come prioritari dal Nip, sono Salute, nutrizione e resilienza (240 milioni); Energia sostenibile e accesso all’elettricità (150 milioni); Rule of law, governance e democrazia (90 milioni); Misure in favore della società civile (indicativamente 15 milioni)8.

Approfondendo e intensificando i rapporti con la Nigeria, l’Unione europea ha colto le opportunità di una relazione bilaterale con il paese africano, che dal 1999 è retto da governi civili e non più militari. Il potenziamento dei rapporti commerciali ha subito tuttavia più di un rallentamento come registrato anche con le reticenze nigeriane sull’Epa, che hanno costretto l’Unione europea a confrontarsi sia con le profonde fragilità strutturali della Nigeria, soprattutto nella parte settentrionale,

                                                            5 Directorate-General for the External Policies, European Parliament-Policy Department, Insecurity in Context: The rise of Boko Haram in Nigeria, In-Depth Analysis, July 2014, www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/note/join/2014/536393/EXPO-AFET_NT(2014)536393_EN.pdf. 6 Cfr. O. Bello, Nigeria’s Boko Haram Threat: How the Eu should act, Policy Brief, Fride-A European Think Thank for Global Action, n° 123, April 2012, www.fride.org/descarga/PB_123_Nigeria_Boko_Haram_Threat.pdf. 7 Evaluation of the Commission’s Support to Nigeria – ref. 1276, http://ec.europa.eu/europeaid/ how/evaluation/evaluation_reports/evinfo/2010/1276_ev_en.pdf. 8 European Union-Federal Republic of Nigeria, National Indicative Programme, for the period 2014-2020, http://eeas.europa.eu/development-cooperation/docs/national-indicative-programme_2014-2020/2014-2020_national-indicative-programme_nigeria_en.pdf.

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sia con le difficoltà di coabitazione dei principali gruppi etnici e religiosi. Lo sviluppo e la pacificazione del paese risultano ora quanto mai centrali per l’Europa, oltre che per i nigeriani stessi, affinché questa potenza emergente possa svolgere un ruolo di leadership nell’Africa occidentale, in un’ottica di stabilizzazione dell’intera area.

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6. La politicizzazione dell’islam e l’emergenza Boko Haram

Gli attentati dei Boko Haram hanno interessato, nel corso degli ultimi anni, molti stati federali del Nord e del Centro-Nord della Nigeria come Adamawa, Yobe, Gombe, Bauchi, Jigawa, e, ancora, gli stati di Kaduna, Kano, Kogi, Niger e Plateau, oltre naturalmente al Borno1. Tutta l’economia del Nord è stata influenzata negativamente da questa serie infinita di attacchi terroristici. Gli investimenti locali come internazionali sono ormai stagnanti, la maggior parte delle strutture familiari rurali è stata polverizzata, le migrazioni forzate all’interno della Nigeria come nei paesi confinanti si sono accentuate a dismisura. In particolare, Kano sembra essere la città più colpita insieme a Maiduguri, la capitale del Borno ed epicentro originario dell’insurrezione dei Boko Haram. Se, poi, le industrie tessili hanno chiuso da tempo, a Kano persino le attività commerciali, un tempo floride, sono ormai in netto declino2. La Nigeria settentrionale conosce da decenni un processo drammatico di pauperizzazione, divenuto strutturale dal 19863. Si aggiunga a tutto ciò un tasso vertiginoso di disoccupazione giovanile ancora più grave in un contesto etnico hausa-fulani segnato da una rigida stratificazione sociale4. Paradossalmente, in un paese potenzialmente ricco, grazie ai proventi del petrolio, ben il 90% della popolazione nigeriana è costretta a vivere sotto la soglia della povertà5. Senza alcun dubbio il gap economico fra il Nord e il Sud di stampo coloniale e post-coloniale si è venuto aggravando sempre più6. E in generale ne è colpita l’economia di tutta la Nigeria.

Nella Repubblica federale di Nigeria la politica si è sempre rivelata molto competitiva e pluralistica ma appare profondamente legata al carisma personale dei vari protagonisti. Tra tutti emergono sulla scena pubblica i governatori dei 36 stati federati, che godono di una larghissima autonomia. Il Nigeria Governor’s Forum, istituito nel 2007, detiene, non a caso, un eccezionale potere di influenza sul presidente della Repubblica. Il partito al governo, il People’s Democratic Party (Pdp), ha vinto tutte le elezioni dal 1999; tuttavia nel corso degli ultimi anni aveva preso quota l’Action Congress of Nigeria (Acn). L’All Nigeria People’s Party (Anpp), creato nel 1999, è il tradizionale partito di opposizione del Nord dove domina in molti stati. Recentemente, il Pdp ha subito una crisi interna che ha dato luogo nel febbraio del 2013 a un nuovo partito, l’All Progressives Congress (Apc), nel quale sono confluite personalità di spicco.

                                                            1 F. Onuoha, The Islamist Challenge: Nigeria’s Boko Haram Crisis Explained, “African Security Review”, vol. 19, n. 2, 2010, p. 170. 2 M. Last, La Charia dans le Nord Nigeria, “Politique Africaine”, n. 106, 2000, p. 147; S.M. O’Brien, La Charia contestée: démocratie débat et diversité musulmane dans les “États Charia” du Nigeria, “Politique Africaine”, n. 106, 2007, p. 54. 3 L. Sanusi, Politics and Shari’a in Northern Nigeria, in R. Otayek, B. Soares (eds.), Islam and Muslim Politics in Africa, Palgrave Macmillan, London 2007, p. 183. 4 A. Adesoji, The Boko Haram Uprising and Islamic Revivalism in Nigeria, “Africa Spectrum”, vol. 42, n. 2, 2010, p. 98. 5 Sanusi, Politics and Shari’a, cit., p. 183. 6 A. Higazi, Les origines et la transformation de l’insurrection de Boko Haram dans le Nord du Nigeria, “Politique Africaine”, n. 130, pp. 138-139; M.-A. Pérouse de Montclos, Boko Haram and Politics: from Insurgency to Terrorism, in M.-A. Pérouse de Montclos (ed.), Boko Haram: Islamism, Politics, Security and the State in Nigeria, Asc-Ifra-Nigeria, Leiden 2014, p. 151.

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I tre partiti d’opposizione che sfidano apertamente l’egemonia del Pdp sono l’All Nigeria People’s Party, l’Action Congress of Nigeria e il Congress for Progressive Change, il partito che era di Muhammad Buhari, che ha partecipato come sfidante anche alle ultime elezioni presidenziali. In previsione delle elezioni del febbraio 2015, Goodluck Jonathan ha costretto alle dimissioni il direttore della Central Bank of Nigeria, un economista stimato e rispettato quale Lamido Sanusi, che aveva contestato le modalità d’impiego delle royalties petrolifere. Un evento recente che ha ancor più suscitato sorpresa e inquietudine popolare è stata la nomina dello stesso Lamido Sanusi a emiro di Kano. Scontri fra i suoi partigiani e i fedelissimi di Ado Bayero, figlio del precedente emiro, si sono susseguiti nelle vie di Kano. Sono seguite ancora epurazioni nell’ambito delle forze armate e numerosi ministri hanno dovuto lasciare il loro posto. Chiaramente la protesta armata dei Boko Haram renderà molto difficile lo svolgimento di elezioni pacifiche e trasparenti nel Nord-Est e ciò potrà sollevare non poche questioni di carattere costituzionale7.

La violenza è stata il filo conduttore della politica nigeriana per decenni durante le dittature di Abacha come di Babangida8. Già nel lontano 2002, Marc-Antoine Pérouse de Montclos analizzava la violenza diffusa nelle grandi città nigeriane quali Lagos, Ibadan, Port Harcourt e Kano. Una violenza che non è unicamente appannaggio del potere statuale ma anche dei numerosi gruppi dissidenti fino a quell’uso e abuso della violenza che in molti casi finisce per essere il sostrato stesso della società9. Da qui anche la profusione delle security agencies, numerosissime su tutto il territorio nazionale10.

La Nigeria ha, poi, sempre sofferto di un tasso altissimo di corruzione, una corruzione sistemica che pervade tutti i livelli governativi e tutta l’amministrazione pubblica. Si pensi solamente che durante i due mandati presidenziali di Obasanjo ben 31 su 36 governatori federali sono stati inquisiti per corruzione e malversazioni finanziarie. Proprio Olusegun Obasanjo, fin dall’inizio del suo primo mandato nel 1999, che veniva a coincidere con la svolta democratica tanto attesa, farà della lotta contro la corruzione una delle priorità della sua politica interna. La corruzione è strettamente legata a un’istituzione tipica della politica nigeriana: il godfatherism, il potere quasi assoluto degli oga, i big men. Un rapporto di Human Rights Watch del 2007 esamina in dettaglio le interrelazioni fra godfatherism, corruzione, politica e violenza. Il godfather, grande manipolatore, abile diplomatico e infaticabile tessitore di reti clientelari appare insieme sintomo e causa della violenza e della corruzione che permeano la dialettica politica della Nigeria. Sono i big men a formare l’entourage che circonda le élites al potere11. Il potere politico si converte in potere economico e i vantaggi economici collegati al potere politico sono stati in Nigeria innumerevoli. Le conseguenze politiche della ricchezza derivata dal petrolio si sono tramutate in autoritarismo, centralismo del potere, sistema di tassazione diseguale e fluttuante nonché sviluppo a dismisura del neo-patrimonialismo, della dimensione clientelare e dell’etno-nazionalismo12. Inoltre, politici, governatori, ministri, parlamentari, militari, uomini d’affari influenti e autorità varie hanno tutti le loro milizie private sia per la difesa personale sia, soprattutto, per intimidire i propri avversari politici. Per i delinquenti comuni come i ladri non è per nulla difficile entrare a far parte di questi gruppi di vigilantes privati così come nelle Law Enforcement Agencies13. Di conseguenza, i reati commessi non risultano più perseguibili e trionfa la cosiddetta cultura dell’impunità. Indubbiamente,

                                                            7 International Crisis Group, Nigeria Faltering Federal Experiment, “Africa Report”, n. 119, October 2006. 8 M. Emiliani, Petrolio, forze armate e democrazia. Il caso Nigeria, Carocci, Roma 2004. 9 P. Chabal, J-P. Daloz, Africa Works: Disorder As Political Instrument, Indiana University Press, 1999. 10 International Crisis Group, Curbing Violence in Nigeria (II): The Boko Haram Insurgency, “Africa Report”, n. 216, April 2014, p. 5. 11 I. Amundsen, Who rules Nigeria?, “Noref Report”, November 2012, pp. 3-4. 12 K. Olayode, Self Determination, Ethnonationalism and Conflicts in Nigeria, Ifra-Nigeria, Zaria 2009. 13 Perspectives on Vigilantism in Nigeria, “Africa (Iai)”, vol. 78, n.1, 2008.

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come nota Roland Marchal, nella Nigeria settentrionale non solo vige una poor governance ma è anche diffuso un poor respect for the rule of law14.

Le regioni del Far North hanno conosciuto fin dall’inizio del XIX secolo un processo d’intensa politicizzazione dell’islam sia per quanto concerne gli ordini sufi sia per quanto concerne i movimenti fondamentalisti diffusi in quest’area. In sintesi stringata abbiamo le due grandi confraternite della Qadiriyya sotto la guida di Nasiru Kabara e della Tijaniyya riformata il cui leader è Dahirou Bauchi. Dalle Università del Nord si dipaneranno, sotto l’influenza della rivoluzione iraniana del 1979, movimenti fondamentalisti a carattere intellettuale quali la Da’wa, la Umma e la Hodaybiyya, mentre dilagherà nel corso degli anni Ottanta-Novanta un movimento neo-hanbalita e wahhabita, gli Yan Izala, che influenzerà profondamente le relazioni fra politica e islam nella Nigeria centro-settentrionale. Un pathos religioso effervescente, dunque, che molto deve all’opera e ancor di più al ricordo al Califfato di Sokoto fondato nel 1804 e all’affabulazione che lo ha mitizzato quale modello impareggiabile di buon governo.

A sua volta la Christian Association of Nigeria (Can), diretta dal vescovo Ayo Oritsejafor, svolge un ruolo centrale di coordinamento e di controllo delle innumerevoli Chiese cristiane sparse in tutto il territorio nazionale, pentecostali, evangeliche, battiste e metodiste15. Da notare la recente straordinaria espansione delle Chiese evangeliche nel Far North e la conseguente accesa competizione fra proselitismo islamico e cristiano in territori da sempre dominati dall’islam. D’altronde il conflitto fra musulmani e cristiani così come viene postulato dai Boko Haram è, in primo luogo, politico e ha una portata nazionale, tanto che dal Nord-Est la sua azione si è spostata fino a raggiungere con singoli attentati il Middle Belt, Abuja, Lagos e il Delta.

6.1 Il fondatore, Mohammed Yusuf

Pur essendo un movimento ormai decentralizzato e frammentato, i Boko Haram, o Yusufiyya, hanno avuto nel passato un leader carismatico indiscusso e mai dimenticato nella persona di Mohammed Yusuf. Abu Yusuf Mohammed Yusuf è nato il 23 gennaio 1970 nel villaggio di Girigiri nello stato di Yobe nel Nord-Est della Nigeria. Studente di Shaykh Gumi, il fondatore del movimento riformista izala, si dimostrava un devoto discepolo influenzato dal pensiero e dalla dottrina radicale di Ibn Taimiyya, teologo del jihad come bellum iustum da condurre a oltranza contro gli infedeli come contro i musulmani sincretici, i mukhallitun16. Yusuf faceva parte durante gli anni Novanta di un gruppo di giovani islamisti radicali della moschea Al-Hajj Muhammadu Ndimi di Maiduguri, la capitale dello stato del Borno.

Nel 1999 Yusuf romperà con l’entourage izala a causa di profondi disaccordi dottrinali. Possiamo considerare Mohammed Yusuf un vero polemista sulla falsariga dei giureconsulti del Medioevo come Ibn Taimiyya, il suo modello ideale di riferimento17. Invano due rinomati shaykh izala, quali lo stesso Jafaar e Adam Albany si erano preoccupati di sensibilizzare il governo locale sul pericolo rappresentato dall’estremismo di Yusuf. Incessantemente nei suoi sermoni denunciava la corruzione dell’élite al potere,

                                                            14 R. Marchal, Boko Haram and the Resilience of Militant Islam in Northern Nigeria, Norwegian Peacebuilding Resource Centre, Noref, Nordic International Support, June 2012, pp. 2-5. 15 L. Fourchard, A. Mary, R. Otayek (eds.), Entreprises religieuses transnationales en Afrique de l’Ouest, Ibadan, Ifra, Karthala, Paris 2005; A. Piga, F. Carletti, Riconfigurazioni politiche nelle aree di conflitto a sud del Sahara. Nigeria, Sud Sudan e Mali, Aracne, Roma 2013, pp. 37-41. 16 P. Manduchi, Il gihad con la penna: i teorici del radicalismo islamico, in P. Manduchi (a cura di) Dalla penna al mouse. Gli strumenti di diffusione del concetto di gihad, Franco Angeli, Milano 2006, pp. 113-158; N. Melis, Il concetto di gihad, in ivi, pp. 23-54. 17 H. Laoust, Le traité de droit public d’Ibn Taimiya, Institut Française de Damas, Beirut 1948; A. Piga, L’islam in Africa. Sufismo e jihad fra storia e antropologia, Bollati Boringhieri, Torino 2003.

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l’impunità e i fallimenti governativi a livello regionale18. Per Mohammed Yusuf ogni aspetto dell’istruzione occidentale che contraddica gli insegnamenti del Corano non deve essere accettato. Yusuf non era contrario al progresso occidentale, ma voleva islamizzare la modernità19. I Boko Haram usano senza problemi la tecnologia moderna, internet, cellulari e sono in grado di fabbricare esplosivi diversi20. In particolare, la polemica di Mohammed Yusuf è concentrata contro gli intellettuali nigeriani filo-occidentali designati collettivamente Yan Boko: costoro costituivano e costituiscono l’élite moderna al potere e hanno acquisito un’istruzione secondaria squisitamente occidentale. Secondo Yusuf questo sistema non ha nulla d’islamico ma è secolare. Tuttavia due dei suoi figli erano iscritti al College Al-Kanemi di Maiduguri, istituto scolastico pubblico21.

Mohammed Yusuf, pur contestando aspramente il governo federale nigeriano, non disdegnava di partecipare alla gestione degli affari politici nell’ambito del governo locale. Infatti intratteneva rapporti con le autorità politiche del Borno tanto da accettare nel 2000 di partecipare a un comitato governativo sulla shari’a. Il suo intento era quello di rendere più rigide e coercitive le normative sciaraitiche. Inoltre, Yusuf era molto presente nei dibattiti radiofonici su tutte le tematiche riguardanti l’islam. Era riuscito nel 2003 perfino a far nominare un suo discepolo, Buji Foi, quale ministro regionale degli Affari religiosi. La nomina nel 2003 di un membro dei Boko Haram a un’importante carica politica dello stato del Borno è stata possibile solo grazie alla complicità e connivenza dell’allora governatore del Borno, Ali Modu Sheriff, lo stesso che paradossalmente sarebbe stato poi responsabile del suo assassinio22. Ovviamente, Sheriff in futuro avrebbe decisamente negato ogni complicità con Yusuf e avrebbe accusato un partito rivale di aver creato i Boko Haram. Tutto ciò è legato alla dinamica altalenante fra esponenti politici dell’Anpp, il partito di opposizione, e membri del partito al governo, il Pdp.

Yusuf fu più volte arrestato e interrogato dallo State Security Service (Sss). Nel dicembre del 2008 il governo del Borno accusò Yusuf di terrorismo davanti all’Alta corte federale di Abuja. Fu poi rilasciato a causa dell’intervento di membri influenti del Pdp: quattro deputati cristiani firmarono per il suo rilascio e ciò contribuì alla teoria di una cospirazione cristiana tesa a indebolire i leader settentrionali islamici. Il rapporto dell’International Crisis Group del 2014 giunge fino ad affermare: “Yusuf si comportava da politico, che voleva un governo islamico ma non violento”23. Solo molto più tardi e, soprattutto dopo la brutale repressione del 2009 e la sua morte, avvenuta per mano della polizia in quello stesso anno, i Boko Haram scivoleranno nel terrorismo vero e proprio.

6.2 Il successore, Muhamed Shekau

Alla morte di Yusuf gli succedette Muhamed Shekau, un kanuri proveniente dall’omonimo villaggio di Shekau, al confine con il Niger nello stato di Yobe. Nel 1990 si stabilì nel quartiere di Mafoni a Maiduguri prima di essere ammesso al Bocolis, cioè al Borno State College of Legal and Islamic Studies. Mamman Nur, considerato il più colto e il più equilibrato fra i discepoli di Yusuf, era il successore designato, ma la scelta cadde su Shekau ritenuto più intransigente e più determinato. Il suo nome di

                                                            18 International Crisis Group, Curbing Violence in Nigeria (II), cit., p. 10. 19 Marchal, Boko Haram, cit., p. 3. 20 A. Higazi, Insurgency and Counter-Insurgency in North-East Nigeria, Ceri-Sciences Po, Paris 2013, p. 2; F. Onuoha, Boko Haram and the Evolving Salafi Jihadist Threat in Nigeria, in Pérouse de Montclos (ed.), Boko Haram: Islamism, Politics, cit., p. 161. 21 M.-A. Pérouse de Montclos, Boko Haram et le terrorisme islamiste au Nigeria: insurrection religieuse, contestation politique ou protestation sociale?, “Questions de Recherche”, n. 40, juin 2012, p. 6; F. Onuoha, Boko Haram, cit., p. 167. 22 Pérouse de Montclos, Boko Haram et le terrorisme, cit., p. 6; p. 13. 23 International Crisis Group, Curbing Violence in Nigeria (II), cit., p. 9.

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battaglia sarà Imam Abu Mohammed Abubakar bin Muhamed Shekau. Sotto la sua leadership, i Boko Haram diverranno sempre più violenti, xenofobi, iconoclasti e sempre meno propensi al dialogo. Shekau parla hausa, arabo e kanuri, ma non sembra conoscere la lingua inglese. Grazie ai suoi viaggi incessanti nel Niger come nel Camerun, i legami fra i Boko Haram del Borno e dello Yobe con le fazioni Boko Haram disseminate lungo la frontiera con il Niger meridionale e con i gruppi sparsi rifugiati nei monti Mandara si intensificheranno sempre più. Secondo alcuni Shekau sarebbe nato nel Niger e d’altra parte il suo presente è circondato da un alone di mistero tanto che ripetutamente fonti non confermate annunciano la sua morte.

L’intervento delle forze di sicurezza nel corso del 2012 spingerà Shekau a rifugiarsi nel Nord del Mali a Gao. Secondo Marc-Antoine Pérouse de Montclos, Shekau non si sarebbe mai imposto veramente su tutte le diverse fazioni Boko Haram24. Tuttavia, secondo l’International Crisis Group dell’aprile 2014 Shekau sarebbe (o sarebbe stato) il leader della fazione più importante e violenta dei Boko Haram25. Sembra che proprio Shekau abbia stabilito un collegamento con gli Al-Shabaab somali, con gli islamisti del Ciad, dell’Afghanistan e dell’Al Qaida au Maghreb islamique (Aqmi) nel Sahara-Sahel.

6.3 Fazioni e tecniche di reclutamento

La fazione più importante dei Boko Haram concentrata nel Nord-Est è considerata responsabile di molti attentati durante il 2014. Segue per importanza la fazione di Mamman Nur, che gode di molti contatti con l’Aqmi e gli Al Shabaab; tuttavia questa fazione si è dissociata dai metodi ultra-violenti ed estremisti di Shekau. La terza fazione è sotto la leadership di Aminu Tashen-Ilimi. Costui, un drop-out dell’Università di Maiduguri, è originario di Bama nel Nord del Borno. La fazione più sofisticata, cioè gli Ansare, era guidata da Khalid Barnawi. Comprende molti membri che hanno ricevuto un’istruzione anche universitaria di tipo occidentale. Detti anche Yan Sahara, gli Ansaru sono legatissimi all’Aqmi e a loro vengono addebitati numerosi rapimenti26. Un quinto gruppo è quello sotto l’egida di Abdullahi Damasak, conosciuto anche come Mohammed Marwan. La sesta e meno conosciuta fazione ha base nella città di Bauchi ed è diretta da un ingegnere, Abubakar Shehu, alias Abu Sumayya.

Talora il reclutamento di giovani leve sembra addirittura forzato in alcune aree più isolate. In particolare, i Boko Haram reclutano fra gli immigrati che vivono una situazione di grave precarietà economica a causa del collasso del settore industriale nel Nord-Est27. Un nutrito gruppo di Boko Haram proviene, invece, dalle file dei ragazzi che abbandonano i corsi scolastici. Un terzo consistente gruppo di Boko Haram è formato da almajirai, cioè da studenti coranici dediti alla mendicità28. Costoro sono indubbiamente molto più facili da indottrinare nella misura in cui quasi sempre non hanno potuto frequentare le scuole primarie pubbliche; sono del tutto subalterni nella società hausa-fulani del Nord della Nigeria e molto vulnerabili date le condizioni di estrema povertà in cui vivono. L’attuale mendicità degli studenti coranici ricalca una pratica antica. Uno studio del Ministerial Committee on Almajiri Education del 2010 rivela un dato impressionante: sarebbero ben 9,5 milioni gli almajirai in tutta la Nigeria e di loro più del 70% è concentrato nel Nord. Questa prassi religiosa è stata oggetto di molte critiche a causa dei suoi collegamenti con il radicalismo islamico. Questo numero elevatissimo di fanciulli in età scolare, tutti e solo maschi, che segue la pedagogia coranica tradizionale e che non

                                                            24 Pérouse de Montclos, Boko Haram et le terrorisme, cit., p. 17. 25 International Crisis Group, Curbing Violence in Nigeria (II), cit., p. 19. 26 Onuoha, Boko Haram, cit., pp. 182-183. 27 Marchal, Boko Haram, cit., p. 4. 28 Onuoha, Boko Haram, cit., pp. 161-162.

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frequenta parallelamente nessuna istituzione scolastica ufficiale rappresenta un problema sociale drammatico nella Nigeria di oggi. La frustrazione e l’alienazione nel vedersi relegati ai più bassi livelli della società fa sì che, a loro volta, gli studenti coranici mostrino disprezzo e derisione verso coloro che frequentano le scuole occidentali29.

Dal 2010 il movimento Boko Haram è caratterizzato da una grande mobilità, dall’uso di tattiche tipiche della guerriglia e dall’attacco reiterato contro obiettivi strategici. Nel mirino dei Boko Haram sono soprattutto le postazioni delle forze armate, gli uffici governativi e le scuole pubbliche. La mobilità di cui danno prova i militanti Boko Haram è impressionante. Le frontiere dei paesi vicini sono più che porose: migranti, trafficanti di armi, corrieri della droga, gruppi dissidenti armati si spostano con grandissima facilità da uno Stato all’altro. Si tratta dunque, nel caso dei Boko Haram, di un movimento squisitamente transfrontaliero soprattutto nei confronti di Niger e Camerun.

Una filiazione molto significativa è quella dal movimento neo-wahhabita Yan Izala, Movimento per la soppressione dell’innovazione e la restaurazione dell’ortodossia, diretto a lungo da Abubakar Gumi. Gli Yan Izala nascono verso il 1978 sulla scia della predicazione infiammata di Gumi, che riteneva le confraternite il maggior ostacolo per l’unità di tutti i musulmani nella Nigeria settentrionale. Per decenni, gli Yan Izala di matrice neo-hanbalita si sono scagliati in ogni modo soprattutto contro i discepoli della Tijaniyya riformata nell’ambito di una dinamica anti-sufista che ha profondamente segnato l’islam in tutta la Nigeria settentrionale30. Questo movimento fondamentalista, sia intellettuale che popolare, ha contribuito non poco a svalutare il capitale simbolico tradizionale degli ordini sufi. Ogni forma di sincretismo doveva essere bandita e ogni “innovazione biasimevole” rifiutata31. Il fondamentalismo izala, pur segnato da un proselitismo aggressivo e violento, può tuttavia essere considerato un movimento di emancipazione sociale sia per i giovani che per le donne e gli immigrati, del tutto subalterni nella società hausa-fulani del Nord. Hanno anche promosso l’istruzione femminile e l’empowerment sociale e culturale delle donne hausa, non di rado marginalizzate dalle rigide norme consuetudinarie32. Inoltre, Abubakar Gumi sosteneva pubblicamente l’importanza della partecipazione politica e si spingeva fino ad affermare che la politica era più importante della stessa preghiera33. I membri izala istruiti nelle Università anglofone partecipavano e partecipano con successo al governo locale.

Sono molte le differenze significative fra i Boko Haram e gli izala. In primo luogo, gli izala non contestano la legittimità dello Stato federale, anzi intendono partecipare dall’interno alla gestione della cosa pubblica. Gli izala erano famosi per le loro campagne contro il mondo dell’occulto in senso lato, mentre sembra che i Boko Haram non disdegnino pratiche magiche eterodosse rispetto all’islam canonico34. Infine, i Boko Haram, diversamente dagli Yan Izala, hanno una visione retriva e restrittiva dell’universo femminile, molto simile a quella dei talebani in Afghanistan.

                                                            29 M.T. Aluaigba, Circumventing or Superimposing Poverty on the African Child? The Almajiri Syndrome in Northern Nigeria, “Childhood in Africa”, vol. 1, n. 1, The Institute for the African Child, Ohio State University, Columbus 2009. 30 O. Kane, Muslim Modernity in post-Colonial Nigeria. A Study of the Society for the Removal of Innovation and Reinstatement of Transition, Brill, Leiden-Boston 2009. 31 M.-A. Pérouse de Montclos, Vertus et malheurs de l’islam politique au Nigeria depuis 1803, in M. Gomez-Perez (éd.), L’Islam politique au Sud du Sahara: identités discours et enjeux, Karthala, Paris 2005, p. 536. 32 C. Coles, B. Mack (eds.), Hausa Women in the Twentieth Century, University of Wisconsin Press, 1991. 33 R. Loimeier, Islamic Reform and Political Change: The Example of Abubakar Gumi and the Yan Izala Movement in Northern Nigeria, in E. Evers Rosander, D. Westerlund (eds), African Islam and Islam in Africa. Encounters between Sufis and Islamists, Hurst, London 1997. 34 R. Loimeier, Nigeria: the Quest for a Viable Religious Option, in W. Miles (ed), Political Islam in West Africa. State Societies Relations Transformed, Lynne-Rienner, Boulder 2007, p. 52.

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Il populismo, la xenofobia, la demagogia anti-occidentale e l’uso indiscriminato della violenza ricollegano immediatamente i Boko Haram al movimento detto Maitatsine, nato dalla predicazione anarchica e nichilista del profeta Maitatsine: Muhammadu Marwa del Nord Camerun. A Kano, metropoli del Nord, esploderà all’inizio degli anni Ottanta un’insurrezione armata a opera dei fanatici seguaci di Maitatsine. Radicalmente contrari a ogni forma di occidentalizzazione come a qualsiasi forma di progresso, i Maitatsine hanno terrorizzato l’intera città per la violenza iconoclasta dettata da un millenarismo farneticante35. Kano è città venata da una miscela esplosiva di occidentalizzazione convulsa unita a un islamismo integralista sempre più intollerante e politicizzato36. La predicazione di Maitatsine colpiva i nuovi ricchi, la classe dirigente che si era formata nelle Università occidentali e li additava come i veri responsabili della corruzione delle élites al potere, mentre le masse popolari del Nord, marginalizzate, erano oppresse da una disoccupazione senza pari e soggette alle vessazioni di bande criminali. I seguaci di Maitatsine erano per lo più poveri immigrati provenienti dal Ciad, dal Niger e dal Camerun, disprezzati dalla società hausa-fulani come barbari. I legami fra il movimento dei Boko Haram e la ribellione dei Matatsine appaiono evidenti sia in termini ideologici che dal punto di vista degli obiettivi.

Uno dei fattori che hanno provocato la diffusione del fondamentalismo islamico, sia intellettuale che popolare, nel Nord della Nigeria è da collegarsi alla rivoluzione iraniana del 1979. Non solo diversi giornali iraniani hanno iniziato a circolare nei centri urbani della Nigeria settentrionale, non solo Khomeini ha rappresentato la possibilità concreta di instaurare una vera teocrazia islamica, ma anche numerosi intellettuali nigeriani si sono recati personalmente in Iran. Si è cosi amplificato a dismisura il mito del governo degli ayatollah a Kano come a Katsina, le due città sante dell’islam nigeriano, a Maiduguri come a Zamfara.

A livello intellettuale il movimento più vicino al nuovo Iran è stato, senza dubbio, il movimento Yan Shia, detto anche Yan Iran, Islamic Movement o Islamic Society of Nigeria, con sede a Zaria, nello stato di Kaduna. Il leader riconosciuto da tutti senza eccezioni era ed è Ibrahim el-Zakzaky. L’intento era di stabilire uno Stato islamico governato dalla shari’a. La polemica nei confronti dello Stato federale assumerà toni sempre più aspri: per gli sciiti tutto ciò che, in qualche modo, s’identifica con le istituzioni dello Stato federale non può che essere opera di Satana. Zakzaky ha sempre invitato i fedeli musulmani del Nord a non partecipare ai processi elettorali, a praticare cioè l’astensionismo elettorale e la disobbedienza civile nella misura in cui l’Islamic Movement non riconosceva la legittimità del governo nigeriano né la stessa Costituzione federale.

6.4 Il dibattito sull’applicazione della shari’a

Dal lontano 1961 fino a tutti gli anni 2000 ha imperversato in tutta la Nigeria un dibattito acceso sulla cosiddetta Shari’a Question37. L’adozione della shari’a in 12 stati del Nord ha implicato la reintroduzione del diritto penale islamico per i soli cittadini musulmani e, parallelamente, sulla falsariga del Pakistan e del Sudan, l’istituzione di tribunali islamici ad hoc38. Sono questi i cosiddetti stati-shari’a nel Nord del paese: Zamfara, Bauchi, Borno, Gombe, Jigawa, Kaduna, Kano, Katsina, Kebbi, Niger, Yobe e Sokoto. In tutto 12 stati su un totale di 19 stati della Nigeria centro-settentrionale. Fu il governatore di Zamfara,

                                                            35 P. M. Lubeck, Islamic Protest under Semi-Industrial Capitalism Yan Tatsine Explained, “Africa (Iai)”, vol. LV, n. 4, 1985. 36 P. M. Lubeck, Islam and Urban Labour in Northern Nigeria. The Making of a Muslim Working Class, Cambridge University Press, Cambridge 1986. 37 R. T. Suberu, Continuity and Change in Nigeria Sharia Debates, in M. Gomez-Perez (éd.), L’Islam politique, cit. 38 A. Dekker, P. Ostien, L’application du droit pénal islamique dans le Nord-Nigeria, “Afrique Contemporaine”, vol. 3, n. 231, 2009, p. 245.

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Ahmad Sani Yerima del partito di opposizione, l’Anpp, ad adottare per primo il codice penale islamico il 27 ottobre 1999. La sua decisione suscitò un irrefrenabile entusiasmo popolare, che spinse altri governatori a seguire il suo esempio. Yerima fu osannato come un eroe per aver ristabilito la legge islamica circa 100 anni dopo la fine del Califfato di Sokoto nel 1903.

A favore della shari’a troviamo, in prima fila, le élites politiche del Far North, fra cui ex-presidenti come Muhammad Buhari e Shehu Shagari, e Alhaji Lateef Adegbite, segretario generale del Nigerian Supreme Council of Islamic Affairs. Non tutte le autorità islamiche, però, accolsero con favore l’imposizione della shari’a: ad esempio, si dimostrò contrariato Dahirou Bauchi, massimo leader spirituale della Tijaniyya, mentre lo stesso sultano di Sokoto, Alhaji Muhammad Maccido, scelse di rimanere neutrale e non si pronunciò se non per invitare alla moderazione. Contrari si dissero anche svariate associazioni della società civile e i movimenti femministi. Persino un noto islamista radicale quale Ibrahim Zakzaky criticò l’adozione della shari’a considerandola un’illusione e un’impostura in uno Stato pur sempre secolare.

In realtà, adottare la normativa sciaraitica implicava una decolonizzazione del sistema giuridico e un ritorno verso l’hakimiyya, la sovranità di Dio, concetto centrale nel fondamentalismo islamico. Nulla più della shari’a avrebbe potuto combattere la corruzione, il malgoverno, l’immoralità diffusa: le norme sciaraitiche avrebbero messo un freno alla delinquenza dilagante come alla corruzione endemica in seno alla funzione pubblica39. Uno dei principali obiettivi dell’attuazione della shari’a era la moralizzazione della società hausa-fulani dopo un lungo periodo di disordine sociale e politico. Un’affabulazione popolare, talora sapientemente orchestrata, ma talora del tutto spontanea, ha esaltato la shari’a come l’epitome stessa dell’islam e il simbolo del ritorno tanto agognato al buon governo40. In questo preciso contesto, nulla più del Califfato di Sokoto, frutto del jihad del 1804 condotto da Uthman dan Fodio, poteva rappresentare un modello perfetto. La speranza in una nuova giustizia sociale da parte delle masse popolari del Nord era fortissima alla fine degli anni Novanta in coincidenza con l’inizio del processo di democratizzazione sotto Olusegun Obasanjo41.

La shari’a, imposta in un delirio collettivo di entusiasmo popolare, invece di ristabilire la giustizia sociale, ha penalizzato, ancora una volta, le frazioni più vulnerabili della società hausa-fulani42. Così si viene a sfatare il mito di quella giustizia sociale che la shari’a avrebbe dovuto immediatamente realizzare. L’euforia iniziale si è ben presto trasformata in una cocente disillusione. Sorprendentemente la corruzione, malgrado la severità della shari’a a questo proposito, non è stata sradicata e la cultura dell’impunità di cui godono i big men è rimasta quasi intatta. Le masse popolari del Nord che soffrono la fame e la disoccupazione sono sempre più consapevoli della corruzione delle loro élites. La shari’a è stata persino strumentalizzata da alcuni governatori del Nord per conservare o rafforzare il proprio potere politico.

Dal 2005 le sentenze più severe sono state applicate sempre più di rado, anche grazie alle pressioni della comunità internazionale43. Si cerca di edulcorare le leggi penali sciaraitiche anche se i politici del Nord continuano a considerare la shari’a uno strumento prezioso per accrescere la propria legittimità politica. La tendenza, ormai, è verso una modernizzazione del sistema giuridico penale. La shari’a, divenuta il simbolo dell’identità islamica nordista, è anche il simbolo di una resistenza culturale

                                                            39 Dekker, Ostien, L’application du droit pénal islamique, cit., pp. 247-248. 40 Suberu, Continuity and Change, cit., p. 210. 41 Piga, Carletti, Riconfigurazioni politiche, cit., pp. 22-24. 42 Dekker, Ostien, L’application du droit pénal islamique, cit., p. 259; Sanusi, Politics and Shari’a, cit., p. 185. 43 Sanusi, Politics and Shari’a, cit., p. 185; Dekker, Ostien, L’application du droit pénal islamique, cit., pp. 252-253.

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verso l’occidentalizzazione forzata nel Nord. Non sono indifferenti alcune conseguenze positive dell’adozione della shari’a come l’aver rivitalizzato un dibattito pubblico vivace e democratico che ha visto confrontarsi le opinioni più disparate in un contesto intellettuale tutto islamico44.

Conclusioni

Pur senza essere un movimento di massa, i Boko Haram dispongono di una base sociale che non è stata eliminata dalla repressione militare governativa. Nel 2009 la violenza della repressione ha trasformato il movimento e lo ha radicalizzato. All’epoca, le forze armate distrussero l’intero compound dei Boko Haram, comprese tutte le infrastrutture educative e la loro moschea. Poi, come noto, un’esecuzione extra-giudiziale mise fine alla vita del loro indiscusso leader Yusuf, facendone un martire. All’unanimità, gli studiosi del fenomeno Boko Haram sostengono che la repressione del 2009, ma soprattutto l’uccisione di Mohamed Yusuf, si sono rivelate un grave errore strategico. Le vessazioni subite dalla popolazione civile da parte dell’esercito suscitarono simpatie verso i Boko Haram superstiti.

Tra le conseguenze di maggior rilievo ci fu la trasformazione quasi immediata della setta in una rete di cellule sotterranee con una leadership nascosta, tanto che dal 2009 i Boko Haram si sono rifugiati nella clandestinità più totale. L’internazionalizzazione progressiva del movimento come il passaggio al terrorismo islamico globale sembrano proprio essere stati provocati dalla brutalità dei raid armati governativi45. Il 29 novembre 2012 Shekau diffuse un video di 39 minuti sui siti estremisti nel quale rivolgeva un saluto ai combattenti per un jihad globale e nel quale esprimeva pubblicamente la solidarietà dei Boko Haram verso i militanti di Al Qaida. Ciò ha costituito un atto senza precedenti in assoluta rottura nei confronti del movimento originario creato da Mohammed Yusuf. I legami dei Boko Haram con l’Aqmi e con gli Al Shabaab sembrano ormai assodati. Anche per questo motivo i Boko Haram non possono essere definiti un movimento etnico. Pertanto, anche se numericamente i kanuri sono numerosi nelle fila dei Boko Haram, le loro rivendicazioni nulla hanno a che vedere con l’etnicità kanuri: piuttosto si tratta di un’insurrezione a carattere locale, regionale, che è nata e si è sviluppata nel contesto peculiare dello stato del Borno.

In una fase iniziale, i Boko Haram non colpivano i kafirun, gli infedeli, i cristiani, bensì le loro vittime erano musulmani non fondamentalisti, e, in particolare, le autorità islamiche tradizionali sufi e non, da sempre avverse ai principi del radicalismo. Erano dunque una setta islamica dissidente come tante, volta a marginalizzare i musulmani non ortodossi46. Secondo la recente analisi di Marc-Antoine Pérouse de Montclos, i Boko Haram evocano più che altro una rivolta basata su una “teologia della liberazione” a favore della giustizia sociale47. I suoi militanti si considerano e sono considerati gli esclusi dallo sviluppo economico. E infatti i seguaci di Yusuf erano quasi sempre poveri. Paradossalmente non sembra che i Boko Haram abbiano sfruttato in loro favore le pesanti stratificazioni sociali tipiche dell’area culturale hausa-fulani nel Nord della Nigeria. Sarà Roland Marchal a offrirci nel 2012 un’interpretazione convincente: i Boko Haram, nella loro attuale configurazione, verrebbero a costituire uno strumento imprescindibile per operare pressioni su un governo federale che ignora, deliberatamente o non, molte delle legittime rivendicazioni espresse dalle élites del Nord48. In realtà, la classe politica musulmana della Nigeria settentrionale lamenta di non essere abbastanza rappresentata nell’entourage del presidente cristiano Goodluck Jonathan. Queste stesse élites islamiche del Nord, oltre a

                                                            44 Sanusi, Politics and Shari’a, cit., pp. 185-186; O’Brien, La Charia contestée, cit., pp. 55-58. 45 Onuoha, Boko Haram, cit., p. 169; International Crisis Group, Curbing Violence in Nigeria (II), cit., p. 14. 46 H. Laoust, Les schismes dans l’islam, Payot, Paris 1979. 47 Pérouse de Montclos, Boko Haram et le terrorisme, cit., p. 10. 48 Marchal, Boko Haram, cit.

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percepirsi ingiustamente penalizzate, temono la rielezione (probabile) dello stesso Jonathan per un altro mandato. I governatori degli stati di opposizione Anpp fanno fatica ad assumere un vero ruolo dirigente perché sono discriminati dal partito al governo a livello federale, il Pdp. Probabilmente scontano le protezioni politiche di cui i Boko Haram in passato hanno goduto a livello locale. Anche se, in effetti, almeno fino al 2006, un certo lassismo era riscontrabile da parte dello stesso governo federale.

L’errore maggiore di cui spesso viene accusato il governo centrale sarebbe di aver opposto una risposta unicamente militare. L’efferatezza delle forze armate, che sovente hanno violato i diritti umani e ucciso civili innocenti non ha certo giocato a favore della politica del governo federale. Molti in Nigeria insistono per un severo controllo sulle esazioni e sulle violazioni dei diritti umani compiute dall’esercito e per un’attenzione maggiore verso le rivendicazioni di una popolazione stremata, soffocata dalla violenza senza pietà dei Boko Haram e dai soprusi dei militari, che non vengono puniti grazie a una diffusa cultura dell’impunità. La vera novità, potrebbe essere la formazione spontanea di gruppi di giovani locali come vigilantes, che a Maiduguri ma non solo, sono disposti a rischiare la vita per combattere la violenza dei Boko Haram e individuare i colpevoli. La soluzione alla tragedia dei Boko Haram non può alla fine che essere politica e, visto il coinvolgimento di tanti paesi vicini, a livello macro-regionale e inter-statuale.

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7. Le attività criminali: narcotraffico e pirateria

Il traffico di droga consiste in un insieme di attività illecite, comprendenti la coltivazione, il confezionamento, la distribuzione e la vendita di sostanze proibite dalla legislazione del settore. Una quantità che va da un quarto a due terzi della cocaina in partenza dall’America del Sud e diretta in Europa transita dall’Africa occidentale, in particolar modo da Capo Verde, Mali, Benin, Togo, Nigeria, Guinea-Bissau e Ghana. A rendere particolarmente appetibili queste rotte sarebbe la presenza di legami linguistici – derivanti dalla comune appartenenza all’area lusofona – tra paesi di partenza quali il Brasile e di transito, quali alcuni tra i paesi sopra citati, e di arrivo, quale il Portogallo.

L’Africa occidentale è divenuta così negli ultimi anni un vero e proprio hub per il traffico di droga, in particolare di cocaina ed eroina. Ogni anno transitano in Africa occidentale 50 tonnellate di cocaina pura per un valore di due miliardi di dollari quando viene venduta al dettaglio in Europa, dove arriva soprattutto attraverso voli commerciali (così l’United Nations Office on Drug and Crime-Unodoc).

Il traffico di eroina è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni: dal 2008 al 2011 i chilogrammi sequestrati in Africa occidentale sono passati da 20 a 392. Nel primo caso, quello della cocaina, l’Africa occidentale fa da snodo per la cocaina in partenza dall’America del Sud e diretta in Europa; nel secondo caso, quello dell’eroina, l’Africa rappresenta un mercato di transito per l’eroina proveniente dall’Afghanistan e dal Pakistan e diretta in Europa o Stati Uniti. Non è possibile reperire dati complessivi sul commercio di droga in Africa occidentale e in Nigeria in particolare, ma stime delle Nazioni Unite dicono che i sequestri e le quantità intercettate sono aumentati nel corso dell’ultimo decennio.

In Nigeria le autorità occidentali affermano di avere contato 200 chilogrammi di eroina sequestrati nel 2012, cioè una quantità cinque volte maggiore rispetto all’anno precedente. Le autorità locali, la National Drug Law Enforcement Agency (Ndlea), dicono di avere sequestrato 290 chilogrammi di cocaina sul territorio nazionale nel 2013, cifra che si confronta con i 760 chilogrammi intercettati dalle autorità nell’intera Africa occidentale. Mentre, sempre per la Ndlea, sono 205 i chilogrammi sequestrati di cannabis, 133 quelli di sostanze psicotrope e 348 di metamfetamine durante l’anno scorso, periodo nel quale si sono totalizzati 339 chilogrammi sequestrati per un valore di 159.200.000 di euro (34 miliardi di naira, la valuta locale) in termini di vendita al dettaglio per le strade nigeriane (street value).

Negli ultimi anni l’Africa è divenuta essa stessa mercato di partenza per un tipo di droga relativamente recente: le droghe sintetiche. Accanto alla tradizionale coltivazione di oppiacei e cannabinoidi, destinati prevalentemente all’uso locale, a partire dal 2009 hanno fatto la loro comparsa i primi cristalli di metanfetamina. Nel 2011 sono stati scoperti i primi laboratori di sintetizzazione di metanfetamina in Nigeria, da dove la droga parte per giungere principalmente nei paesi dell’Asia orientale e meridionale, quali Giappone, Malaysia, Repubblica di Corea e Thailandia. La direttrice dell’agenzia nazionale sugli stupefacenti, prof.ssa Dora Akunyili, lamenta la poca collaborazione dei cinesi, sospettati di gestire laboratori per droghe sintetiche, nel contrasto dei traffici illegali. La stessa

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direttrice non ha avuto molta fortuna neppure nelle sue ripetute denunce contro colui che, un nigeriano di nome Marcel Nnakwe, è considerato il principale produttore del paese: nonostante le molte prove addotte a suo carico, non è riuscita a tradurlo in giustizia ed è stata anzi essa stessa ripetutamente minacciata.

FIGURA 7.1 - TRAFFICO INTERNAZIONALE DI COCAINA, ROTTE E QUANTITÀ

Fonte: West African Commission on Drugs (Wacd) Report 2014 ‘Not just in transit’, su dati del United Nations Office on Drug and Crime (Unodoc), Vienna 2013.

I lunghi anni passati al centro di un traffico internazionale e intercontinentale hanno reso le mafie nigeriane particolarmente abili nel tessere alleanze con organizzazioni molto diverse fra loro. In particolare, i boss nigeriani hanno trovato terreno fertile in Italia, nella regione da Caserta a Castel Volturno, in Campania, dove esiste da decenni una comunità nigeriana locale per lo più impiegata dalle imprese agricole locali. I primi canali sono stati aperti alla fine degli anni Ottanta quando il traffico riguardava in particolare i rifiuti che dall’Italia andavano in Africa. Questo canale, in seguito, è stato “riempito” dalle droghe nel senso opposto di marcia, dall’Africa all’Italia. In quest’area alcuni membri delle organizzazioni criminali nigeriane hanno sviluppato rapporti d’affari con i locali clan camorristi specializzandosi nel traffico di droga e soprattutto nel racket della prostituzione, importando in Italia migliaia di giovani ragazze nigeriane. Secondo l’Un Inter-regional Crime Research Center (Unicri), negli

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ultimi anni oltre 10 mila ragazze sarebbero state portate in Italia per prostituirsi, spesso costrette con minacce e inganni. Insieme al traffico di esseri umani finalizzato alla prostituzione, queste organizzazioni ne avrebbero organizzato un altro parallelo di corrieri di droga utilizzando prevalentemente soggetti provenienti dall’Est europeo. Nonostante il crescente giro d’affari, i rapporti con i clan italiani non sono sempre andati per il meglio. Esempio più clamoroso di questi attriti è stata la strage compiuta nel 2008 da un gruppo di fuoco comandato da Giovanni Setola, membro del clan dei Casalesi, che uccise sei tra nigeriani e immigrati africani di altre nazionalità a causa di una disputa sul controllo del territorio. Nonostante tali temporanei conflitti, il rapporto con i clan camorristi ha però visto un notevole sviluppo andando a interessare anche territori al di fuori di quello italiano come la Spagna, dove la Camorra controlla buona parte del traffico di droga e di esseri umani.

Infine, è andato diffondendosi negli ultimi anni l’allarme circa il possibile legame tra traffico di stupefacenti e terrorismo, con particolare riferimento ai gruppi estremisti che operano nella regione compresa tra Africa occidentale e Sahel. Nel febbraio 2012, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha emesso un comunicato nel quale veniva riconosciuta “la seria minaccia alla pace e alla stabilità internazionale” emersa in Africa occidentale e nella regione del Sahel, rappresentata “dal terrorismo e dai suoi legami con il crimine transnazionale organizzato e con il narcotraffico”. Si è cominciato così a parlare di “narco-terrorismo” o “narco-jihadismo”. È necessario tuttavia non esagerare la portata di un fenomeno che, se anche presente, non ha nel traffico di stupefacenti la sua dimensione principale. La natura ibrida dei numerosi gruppi terroristi che operano nella regione sembra suggerire che essi agiscano più come “imprenditori criminali”, che un giorno potrebbero affermare di operare per conto di un’organizzazione terroristica quale potrebbe essere Al Qaida, e il giorno seguente di operare invece per i “signori della droga” locali o per i protagonisti di altri traffici illeciti che pure proliferano nella zona, quale il traffico di armamenti.

Vi sono diverse prove che le due maggiori organizzazioni terroristiche che operano nell’area e alle quali solitamente ci si riferisce come esempio di “narco-jihadismo”, Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqim) e il Movimento per il monoteismo e il jihad in Africa occidentale (Mujao), e quelle che operano in Nigeria, come Boko Haram, e la sua appendice Ansaru, attiva nel Nord del paese, seppur coinvolte nel narcotraffico e collegate tra loro attraverso lo scambio di informazioni, fondi e know how per l’addestramento delle milizie, considerano il traffico di droga una tra le diverse attività illecite nelle quali sono coinvolte ma non il focus principale. Ciò non toglie, in ogni caso, che agire sul narcotraffico costituisca di fatto una priorità se si vuole privare queste organizzazioni di una quota rilevante di risorse economiche in ingresso. Se è stata provata dalla Us Drug Enforcement Administration una relazione tra Aqim e i cartelli della droga sud-americani non si può dire lo stesso per Boko Haram. La Ndlea, dopo resoconti di stampa, in un primo momento si era detta consapevole del problema ripromettendosi di condurre investigazioni più approfondite: il 5 gennaio 2013, a seguito d’inchieste giornalistiche, l’autorità non ha però confermato, sulla base delle prove in suo possesso, un rapporto diretto tra Boko Haram e i “signori della droga” d’oltreoceano.

7.1 La debolezza delle élites

Le grandi reti di narcotraffico hanno potuto trovare terreno fertile in Africa grazie a fattori strutturali, quali apparati statali particolarmente deboli e la presenza di numerose scappatoie legislative, ma anche a fattori congiunturali. La corruzione, in particolare, da fattore facilitante è divenuta conseguenza stessa del traffico di droga, in una sorta di circolo vizioso che si autoalimenta. Parte dei proventi del narcotraffico vengono regolarmente utilizzati per corrompere politici e funzionari, ma anche giudici,

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membri delle forze armate e uomini d’affari. I trafficanti hanno, infatti, sviluppato una vera e propria capacità di entrare in relazione con le persone maggiormente influenti, rendendo queste ultime parte dei propri networks informali. In questo senso, l’accesso relativamente facile a ingenti somme di denaro proveniente dalla partecipazione al narcotraffico va a incidere pesantemente su sistemi politici già di per sé non particolarmente solidi, accrescendo il rischio di polarizzazione e dell’emergere della violenza.

Un esempio in questo senso viene offerto dalla gestione del processo elettorale. A differenza di quanto accade in molti paesi occidentali, i partiti che competono sull’arena elettorale non sono soggetti né a finanziamento pubblico né all’obbligo di rivelare le quantità di denaro ricevute da finanziatori privati o di rispettare determinati tetti di spesa. Il partito, in effetti, è più simile a un possedimento personale del candidato, che lo finanzia con mezzi propri, che possono derivare, per l’appunto, da traffici illeciti. Ecco allora che il narcotraffico diviene uno strumento per “oliare” i meccanismi della macchina elettorale. Fino a che non si percorrerà la via del rafforzamento istituzionale e della protezione del proprio sistema politico dall’infiltrazione criminale, questo circolo vizioso non troverà fine.

Gli effetti del traffico di droga sulla società nigeriana – e in generale in tutti gli Stati dell’Africa occidentale – sono misurabili su diversi livelli. Il passaggio – e la crescente produzione – di enormi quantità di stupefacenti hanno favorito l’entrata massiccia di tali sostanze nel mercato interno portando a quei fenomeni di degrado e piccola criminalità che sempre si accompagnano alla diffusione di droghe ad alta dipendenza. A questo proposito nel 2013 l’Unione africana ha approvato l’African Union Plan of Action on Drug Control che, insieme a una serie di iniziative bilaterali e multilaterali adottate dai paesi dell’Africa occidentale con le Nazioni Unite e gli Stati europei, mira a stabilire un framework per la lotta contro la diffusione degli stupefacenti e delle malattie a essi associate. In particolare, il framework adottato finora ha il preciso obiettivo di evitare l’approccio della “guerra alla droga” – ovvero la reazione militarizzata nella lotta contro le organizzazioni trafficanti – che in altri scenari (Messico, America latina) ha, da una parte, certamente danneggiato i cartelli criminali, favorendo però, dall’altra, un’incontrollabile diffusione di crimini violenti.

I programmi finora adottati mirano piuttosto al rafforzamento delle istituzioni, in particolare quelle giudiziarie, per renderle meno permeabili alla corruzione, all’azione diretta di contrasto ai trafficanti attraverso il rafforzamento delle attività d’intelligence sia con operazioni di agenti sotto copertura sia con l’introduzione di strumenti di indagine nel settore bancario e finanziario tesi a identificare operazioni anomale rivelatrici di riciclaggio di denaro e, infine, ad azioni dirette all’interno del tessuto sociale volte alla prevenzione e alla lotta contro la diffusione di stupefacenti in una cornice di rispetto dei diritti umani e civili. Il successo di tali iniziative dipende direttamente dall’efficacia dell’azione delle istituzioni nazionali impegnate nella prevenzione e nella lotta al traffico di droga. È sul piano istituzionale, infatti, che si gioca la partita più importante e dove si annidano i rischi maggiori nel lungo termine. È provato come in molti paesi dell’Africa occidentale enormi somme di denaro provenienti dal traffico di droga siano state utilizzate nel corso degli anni non solo per corrompere funzionari pubblici ma anche per finanziare intere campagne elettorali e figure politiche andando a intaccare direttamente il funzionamento del sistema democratico e istituzionale di questi paesi. L’esempio più clamoroso è quello della Guinea-Bissau, dove nel 2005 i trafficanti colombiani hanno massicciamente finanziato la campagna per la rielezione del presidente Joao Bernardo “Nino” Vieira ponendo in seguito il neo-rieletto presidente e il suo paese al servizio del traffico di droga. Durante gli anni della sua presidenza, tutte le istituzioni, e soprattutto l’esercito, sono state progressivamente occupate da uomini legati al traffico di droga. Il processo è culminato nel 2012 in un colpo di stato che

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ha portato al potere un gruppo di generali ribelli direttamente legati ai cartelli con la trasformazione della Guinea-Bissau in uno Stato mafioso completamente in mano alle organizzazioni criminali.

Pur essendo la Nigeria un paese dal sistema politico e dall’economia assai più avanzati rispetto a quelli di altri Stati della regione come appunto la Guinea-Bissau, anch’essa ha visto l’emergere del fenomeno dell’inquinamento del sistema politico da parte dei cartelli della droga che godono del silenzio, dell’acquiescenza e della complicità delle istituzioni. La casistica a supporto di questa evidenza è numerosa. In Nigeria nel 2005 il capo della Ndlea, Bello Lafiaji, è stato sospeso dall’incarico dall’allora presidente, Olusegun Obasanjo, insieme a uno dei suoi stretti collaboratori con le accuse di corruzione e abuso d’ufficio. Il caso più noto e relativamente recente è quello di Buruji Kashamu, un esponente di primo piano del People’s Democratic Party, che nel 1998 venne condannato da una corte americana per traffico di eroina. Kashamu è riuscito a evitare l’estradizione per quasi 15 anni grazie ai suoi potenti protettori nel sistema politico-giudiziario. Solo nel luglio 2013 una corte nigeriana ha approvato l’estradizione nei suoi confronti, confermandola in appello nel novembre dello stesso anno. Sempre nel 2013 la Ndlea ha autorizzato l’arresto di un politico locale che aveva ingoiato oltre un chilo di cocaina durante una perquisizione all’aeroporto internazionale di Lagos e che stava cercando di contrabbandarla verso il mercato europeo per impiegare i proventi della vendita per finanziare la sua campagna elettorale.

Nonostante il sistema nigeriano sembri quindi essere stato finora in grado di reagire al diffondersi della corruzione politica causata dal traffico di droga, molte agenzie internazionali temono che dietro queste operazioni di facciata vi sia la volontà di preservare i piani politici più alti coinvolti nel traffico dando in pasto all’opinione pubblica arresti di figure medio-basse senza intaccare gli interessi delle élites. Questo spiegherebbe, secondo il rapporto 2014 della West African Commission on Drugs (Wacd) come i volumi del traffico di droga rimangano pressoché invariati nonostante i numerosi arresti.

È quindi sul piano della credibilità del sistema politico-giudiziario e della sua capacità di immunizzarsi dall’influenza delle organizzazioni criminali che si gioca la partita forse più importante nel lungo periodo dal momento che l’intera regione è sia fonte di produzione di droghe, un centro di smistamento e distribuzione e un mercato emergente, in crescita, per quanto riguarda il consumo.

7.2 Contrasto alla pirateria: dal Golfo di Aden al Golfo di Guinea?

Un fenomeno più volte salito agli onori delle cronache negli ultimi anni – la pirateria al largo delle coste somale – sembra aver intrapreso una parabola discendente, soppiantato però dalla diffusione delle attività illecite nelle acque del Golfo di Guinea, in Africa occidentale. Già nel 2013 l’International Maritime Bureau (Imb) evidenziava come tra il 2011 e il 2012 i pirati somali avessero ridotto largamente le proprie attività, facendo registrare 75 attacchi a imbarcazioni commerciali nel 2012 contro i 237 attacchi del 2011. La pirateria, però, ben lungi dall’essere scomparsa, si è solamente spostata nelle acque del Golfo di Guinea: nel 2011 gli attacchi in quest’area sono stati 20, nel 2012 sono divenuti 58, per un totale di 207 marinai presi in ostaggio. Lo spostamento delle attività di pirateria dalle coste somale alle coste dell’Africa occidentale non sembra essere in diminuzione: solo negli ultimi sei mesi del 2013 gli attacchi registrati nel Golfo di Guinea sono stati 138.

Tra i motivi di tale spostamento vi è in primo luogo il massiccio sforzo anti-pirateria messo in atto dai principali attori internazionali, che hanno dispiegato missioni militari di pattugliamento su vasta scala al largo delle coste del Corno d’Africa: tre missioni internazionali più le flotte di singoli paesi impegnati nella lotta alla pirateria con proprie navi da guerra che pattugliano il Mediterraneo, ai quali si aggiunge lo schieramento di personale militare a bordo delle imbarcazioni commerciali.

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In secondo luogo, vi è la crescente appetibilità del “bottino” sul quale è possibile mettere le mani in Africa occidentale: si parla, infatti, di un’area nella quale ogni giorno vengono estratti 5 milioni di barili di petrolio, destinati ad aumentare nel breve periodo. Fonti dell’intelligence statunitense affermerebbero che la maggior parte dei pirati attivi in quest’area provengono da Nigeria e Benin e avrebbero stretto forti legami con milizie criminali attive lungo il Delta del Niger specializzate in contrabbando di petrolio.

Tra le criticità legate all’aumento delle operazioni di pirateria al largo dell’Africa occidentale, la sfida principale è rappresentata dalla difficoltà di assicurare i pirati – laddove catturati – a un sistema giudiziario che sia efficace ed efficiente. La mancanza di un chiaro sistema di law enforcement che permetta ad agenzie “di terra” di occuparsi delle misure punitive nei confronti dei pirati catturati in mare rappresenta un chiaro ostacolo in questo senso.

Per rispondere alla nuova sfida rappresentata dalla pirateria del Golfo di Guinea, l’Africa Command degli Stati Uniti (Africom) è intervenuto fornendo formazione e consulenza alle forze navali locali; tra i paesi europei, si segnala l’intervento della Francia, che dispone nella regione di una nave da guerra e di un aereo da pattugliamento marittimo Atlantique.

7.3 L’impatto economico del traffico di stupefacenti

Non ci sono stime sull’impatto del traffico di droga in termini di prodotto interno lordo sulle economie nazionali. Tuttavia un rapporto delle Nazioni Unite nel 2010 affermava che le droghe sono sia causa sia conseguenza di povertà diffusa con 22 su 34 paesi che hanno le chances più risicate di raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (sradicare povertà, garantire istruzione primaria, promuovere la parità tra i sessi, ridurre la mortalità infantile, assicurare la salute materna, combattere malattie come l’Aids e altri) che sono situati in regioni che catalizzano la coltivazione e il commercio di droghe. In generale, per quanto concerne la Nigeria, la dimensione dell’economia sommersa (shadow economy) è cresciuta dal 1970 a oggi passando dal 53,6% del Pil al 77,2%, e in media la dimensione è pari al 64,6% del Pil. In sostanza la dimensione dell’economia informale risultava essere pari a tre quarti del Pil nel 2010.

L’impatto economico del traffico di droga deve essere valutato a partire da due considerazioni. La prima riguarda le conseguenze negative che il malaffare comporta sulle funzionalità dell’economia e la sua competitività. La seconda riguarda invece i costi sociali derivanti dalla tossicodipendenza di un crescente numero di abitanti, fenomeno che si alimenta in relazione all’afflusso di sostanze stupefacenti e alla natura delle stesse. Il proliferare di operatori del settore informale, in grado di assistere i narcotrafficanti nelle operazioni quotidiane di reperimento, controllo e smistamento, ha reso queste regioni ulteriormente appetibili. Gli elevati tassi di disoccupazione, specialmente tra la popolazione più giovane, e l’altrettanto elevato livello di corruzione hanno contribuito anch’essi a spingere vaste porzioni di popolazione verso il business della droga. I proventi della droga tipicamente derivano sia dalla produzione locale sia dal commercio di narcotici cui sono collegate figure professionali proprie di un settore illegale e sommerso (corrieri, fabbricanti di documenti falsi, intermediari). I guadagni provenienti dalla vendita della droga sono considerevoli. Una partita di stupefacenti arriva a quadruplicare il suo valore nel tragitto dalle coste dell’Africa occidentale all’approdo, e quindi la vendita, sul mercato europeo (un chilogrammo di cocaina vale oltre 13.000 dollari all’approdo sulle coste africane e viene rivenduto a 40-60 mila dollari sul mercato europeo).

L’Inter Governamental Action Group against Money Laundering in West Africa (Giaba) nel 2010 ha riscontrato un’intensa e crescente attività di riciclaggio in Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria e

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Senegal. Il basso grado di finanziarizzazione di queste economie, dove il contante è il mezzo più usato per la stragrande maggioranza degli scambi, incentiva il fenomeno. Le evidenze suggeriscono che i trafficanti preferiscono reinvestire i loro profitti in paesi della regione relativamente stabili politicamente ed economicamente, dove il denaro contante domina le transazioni finanziarie ed è più difficile per le autorità locali avere successo nelle attività di contrasto. La Nigeria è uno di questi.

Le conseguenze dell’afflusso di soldi riciclati, all’apparenza non così negative, sono invece profondamente deleterie a livello sia macroeconomico sia microeconomico. “L’afflusso di profitti illeciti può produrre inflazione rendendo le esportazioni regolari del paese meno competitive”, dice la Us Agency for International Development (Usaid). Così come possono contribuire alla creazione di “bolle” (asset bubbles) nel settore finanziario e in quello immobiliare facendo aumentare i prezzi dei beni. I capitali investiti in attività legali ma non produttive, invece, indeboliscono il tessuto economico, perpetuano fenomeni corruttivi e inaspriscono le diseguaglianze di reddito.

La casistica, anche in questo frangente, corre in soccorso per inquadrare il fenomeno. Nel 2011 un trafficante nigeriano è stato arrestato all’aeroporto di Londra con addosso diversi chili di cocaina, eroina e anfetamine. Dalle indagini delle autorità britanniche è emerso che, attraverso una società registrata in Nigeria con ruoli apicali riservati a moglie e fratello, aveva riciclato i proventi dei suoi traffici costruendo una villa di lusso nella periferia della capitale Lagos, importando macchine di grossa cilindrata e rimpatriando diversi milioni di dollari.

Alcune attività economiche più comuni quando si parla di riciclaggio, come l’edilizia o l’avvio di alberghi e sale da gioco, sono attività che non possono essere definite imprenditoriali in quanto non c’è alcun interesse da parte dei trafficanti/investitori a mantenerle in vita e a gestirle con l’obiettivo di trarne profitto in un periodo medio-lungo di tempo. Non possono dunque essere considerate degli investimenti produttivi a tutti gli effetti. Nell’assenza di opportunità di creare e fare impresa e di avere conseguenti opportunità d’impiego – possibilità che in Nigeria possono derivare da una crescita economica non più soltanto collegata al settore petrolifero ma oramai anche al settore dei servizi, dell’industria e dell’agricoltura – le attività illegali risultano capaci di “fare concorrenza” a quelle regolari.

Da un lato, il fenomeno è esacerbato dal fatto che le mafie e i trafficanti provvedono a soddisfare alcuni bisogni di welfare della popolazione che lo Stato non soddisfa. Dall’altro, il benessere prodotto dalle attività illecite che si manifesta nello stile di vita di chi ne è coinvolto induce i soggetti più poveri a entrare nel business sia come produttori o coltivatori, in caso della cannabis, da decenni fonte di reddito per i piccoli agricoltori, sia come corrieri o intermediari. L’ingresso nel mercato della droga di parte della popolazione attiva ha costi sociali non facilmente quantificabili ma che di certo contribuiscono a indebolire il tessuto sociale e, di conseguenza, quello economico sottraendo forza lavoro alle attività produttive tradizionali e contribuendo a ingrossare i ranghi dei disoccupati.

Questa tendenza si affianca alla – ed è aggravata dalla – crescente tossicodipendenza riscontrata tra i cittadini. Le attività di traffico di stupefacenti hanno contribuito infatti a un innalzamento dell’uso delle droghe tra gli abitanti delle regioni di transito, con punte decisamente preoccupanti in Nigeria, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione. Non è possibile reperire dati certi, ma stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc) attestano a 1,6 milioni il numero degli abitanti dell’Africa centrale e occidentale che fanno uso di cocaina. In Nigeria non si fa più uso soltanto di cannabis, da tempo ampiamente diffusa, ma anche di droghe più “pesanti” come appunto la cocaina, venduta per poco più di un dollaro a dose, ed eroina (mentre i giovanissimi fanno abuso di medicinali comuni e di antidepressivi). L’uso di eroina, in particolare, può contribuire ad accelerare la

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diffusione dell’Aids; in Ghana il 4% di nuovi malati di Aids assume eroina per via endovenosa. Nel 2013 ben 3.721 persone sono state consegnate alle strutture della Ndlea (3.063 uomini e 209 donne) mentre altri 802 casi sono stati trattati negli ospedali e nelle strutture di accoglienza.

Secondo la Wacd, il consumo di droga non dovrebbe essere criminalizzato, al pari della coltivazione di cannabis, perché, dice la Commissione, aggraverebbe i problemi sociali e sanitari ingolfando i tribunali e peggiorando il fenomeno della corruzione. Il consiglio, piuttosto, è quello di colpire i trafficanti attraverso la cooperazione con i paesi dove ha origine il commercio e, al contempo, incrementare gli sforzi per la cura dei tossicodipendenti nei paesi afflitti dell’Africa occidentale.

Il governo dovrebbe fare di più per pianificare una risposta sanitaria adeguata a gestire la tossicodipendenza, ma al di là della criminalizzazione dei malati non sembra curarsi della diffusione del fenomeno, dicono esperti indipendenti. Le organizzazioni private e no-profit agiscono quasi in solitaria allestendo cliniche e centri medici ma gli sforzi non sono sufficienti a contrastare il fenomeno.

Nonostante l’economia nigeriana sia dunque in crescita e settori produttivi diversi da quello petrolifero siano in espansione, il fardello per l’economia derivante dal traffico e dal consumo di droga rischia di aggravarsi per via di queste più recenti tendenze ma le autorità non stanno agendo di conseguenza per ridurre il pericolo.

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8. Alcuni aspetti dell’immigrazione nigeriana in Italia

La Nigeria è diventata un paese di forte emigrazione agli inizi degli anni Ottanta, dopo il secondo shock petrolifero. Essendo un grande produttore di petrolio, lo shock causò una forte depressione economica. Questa divenne in quegli anni il maggior fattore di spinta verso l’estero, in particolare dalle aree dove l’economia estrattiva – e dunque la vendita del petrolio – aveva una maggiore importanza e quindi gli effetti furono più gravi. L’ampia area geografica a ridosso del Delta del Niger è quella che per tutti gli anni Ottanta ha subito il peso maggiore della crisi economico-sociale, colpendo dunque le regioni che hanno già conosciuto in passato il trauma della tentata secessione. Naturalmente, per la sua stessa morfologia, la società nigeriana meno inserita nell’attività economica formalizzata è anche quella dove le statistiche sui processi migratori sono più carenti: basti pensare che l’economia sommersa ammonta a circa il 70-80% del totale con una forza lavoro occupata priva di contratti di lavoro e di sicurezze sociali e previdenziali e pressoché ignorata di conseguenza nei documenti ufficiali1.

L’emigrazione nigeriana è il risultato di conflitti sociali molto accentuati (nel Biafra si combatté una vera e propria guerra) e di sperequazioni altrettanto accentuate. Si tratta di un paese definito un “gigante dai piedi di argilla” in quanto poggia su un’enorme ricchezza (non solo il petrolio ma anche minerali pregiati e un alto “capitale umano” scolarizzato) senza riuscire a elevare i livelli di vita degli strati più bassi della popolazione. La ricchezza resta ancorata alle élites confederali e a cascata a quelle degli stati federati. Il taglio orizzontale che divide la classe benestante e ricca dal resto della popolazione è all’origine non solo dell’emigrazione, ma anche – soprattutto in quest’ultimo decennio – dei forti conflitti sociali che si registrano nelle aree meridionali (gli stati del Delta) e in quelle settentrionali (gli stati del Nord-Est, con la presenza di componenti armate di natura terroristica). Situazioni che non fanno che produrre maggior impoverimento tra la popolazione e dunque maggior propensione migratoria fra gli strati sociali più dinamici della medesima popolazione.  

                                                            1 L’ammontare dell’economia informale non è facile da quantificare per la Nigeria. Il 70-80% appare quella maggiormente accreditata. Cfr. G. Ruffolo, E. Veltri, F. Archibugi e A. Masneri, Economia sommersa: legale, illegale e criminale. Analisi e proposte, Rapporto di ricerca, Roma, p. 5. Gli autori, citando il Fondo monetario internazionale, con dati del 2001, riportano che l’economia sommersa in Nigeria è stimata intorno al 70% (http://www.legalitademocrazia.it/led/index.php/tutti-gli-articoli/37-economia/53-economia-illegale-e-criminale). Un’altra stima, riportata da Akinyinka Akinyoade (cfr. note successive) nel Report sulla Nigeria, fa ammontare l’economia informale al 60-70% calcolato sul Prodotto interno lordo (F. Schneider, Size and measurement of the informal economy in 110 countries around the world, paper presentato al Workshop of Australian National Tax Centre, Anu, Canberra 2002, http://rru.worldbank.org/Documents/ PapersLinks/informal_economy.pdf).

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8.1 I dati di base

Complessivamente, la collettività nigeriana in Italia ammonta attualmente, secondo i dati Istat del 20122, con riferimento a quanti sono regolarmente soggiornanti, a 53.613 unità, più del doppio di quanti erano regolarmente soggiornanti nel 2002 (ossia 20.963). A questi possiamo aggiungere le stime degli irregolari e arrivare a una cifra generale di circa 60 mila cittadini nigeriani presenti sul territorio nazionale3. L’ammontare complessivo dei cittadini nigeriani, con riferimento ai paesi dell’Africa occidentale, si posiziona più o meno fra la comunità senegalese – composta da circa 81 mila persone al 2011 (raddoppiata rispetto al 2002, quando si attestava sulle circa 38 mila unità) – e quella ghanese. Quest’ultima nel 2002 si attestava sulle 26 mila unità per arrivare alle 50 mila attuali (2011).

La distribuzione dei cittadini nigeriani si concentra in maniera preponderante nelle regioni centro-settentrionali della Penisola a causa della maggiore dinamicità del mercato del lavoro al Nord e dunque delle possibilità occupazionali. Il Veneto, la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Piemonte sono le regioni con la più alta concentrazione di cittadini nigeriani, giacché – nel loro insieme – raggiungono il 66,7% dell’intero ammontare della comunità nigeriana a livello nazionale (giusto i due terzi del totale). Segue il Lazio – soprattutto l’area metropolitana di Roma – con una comunità formatasi a partire dagli anni Novanta e concentrata in particolari municipi (il VII e l’VIII, ad esempio)4.

La concentrazione più alta nel Mezzogiorno si riscontra a Caserta e provincia. Piccole comunità sono presenti in Sicilia (a Palermo in particolare), a Bari e a Foggia, nonché a Cosenza. La minor presenza degli immigrati nigeriani che incontriamo nelle regioni meridionali è dovuta, principalmente, alla diversa struttura dei mercati del lavoro locali, alla diversa attenzione istituzionale alle politiche sociali mirate a facilitare gli insediamenti stabili e di lunga durata, nonché a una diversa capacità di attivare percorsi di conversione da presenze fluttuanti e transitorie in presenze stabili, mediante piani alloggiativi e di inserimento scolastico di largo impatto sociale5. In termini generali, le donne sono più dei connazionali maschi (30 mila unità circa a fronte di 24.550).

In molte regioni – soprattutto quelle dove l’anzianità dell’insediamento è superiore ai dieci anni – si registra un equilibrio tra l’ammontare dei maschi e delle femmine (facilitando la costituzione di nuclei familiari e dunque una maggiore propensione alla stabilizzazione), mentre in altre regioni – di insediamento più recente, come quelle meridionali – si registrano leggere differenze quantitative che non intaccano, tuttavia, l’andamento demografico interno alla comunità.

8.2 Stato civile e struttura per età

Le percentuali tra i cittadini nigeriani celibi/nubili e quelli sposati o conviventi restano pressoché invariate negli ultimi anni, come si rileva dalla Tab. 1. L’altra importante caratteristica demografica di cui bisogna tener conto nell’analisi dei processi di incorporazione non solo dei cittadini nigeriani, ma degli stranieri in generale, è rappresentata dall’articolazione interna per fasce di età che contraddistingue oramai quasi tutte le collettività immigrate. La fascia di età riguardante i cittadini nigeriani che si incrementa maggiormente nel corso dell’ultimo decennio, come si rileva dalla Tab. 2, è quella compresa

                                                            2 Cfr. www.demo.istat.it, 2013. 3 Se ci atteniamo alle stime che propone la Caritas diocesana (circa il 10% di presenze irregolari per ogni comunità immigrata) occorrerà aggiungere alla collettività nigeriana circa 5.400 unità alle 53.613 registrate ufficialmente. In tal maniera l’ammontare complessivo della collettività nigeriana si avvicina alle 60 mila unità. 4 Al riguardo cfr. B. Petrini, Comunità nigeriana e organizzazione dello spazio-tempo a Roma, Aracne Editrice, Roma 2009, pp. 92 e ss. 5 F. Carchedi e A. Akinyoade (a cura di), Cittadini nigeriani gravemente sfruttati sul lavoro e in altre attività costrittive, Ediesse, Roma 2012, p. 36.

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da 0 a 17 anni: passa infatti da poche centinaia di casi nel 2002 ai circa 17 mila del 2010 (con una variazione dunque piuttosto significativa).   TABELLA 8.1 - STATO CIVILE DEI CITTADINI NIGERIANI PRESENTI IN ITALIA (2009) (VALORE PER ANNO E %)

Stato civile Anno 2007 Anno 2009 Anno 2012

MF MF MF

v.a. % v.a. % v.a. %

CELIBI/NUBILI 26.313 65,2 31.673 65,2 37.580 67,3

CONIUGATI/E 13.753 34,0 16.561 34,1 17.920 32,1

ALTRO 313 0,8 331 0,7 326 0,6

TOTALE 40.379 100 48.565 100 55.826 100

Fonte: nostra elaborazione dati Istat (www.demo.istat.it).

La componente minorile nigeriana raggiunge quasi il 30% dell’intera comunità, seconda soltanto a coloro che si collocano nella fascia tra i 30 e i 39 anni. I bambini nati in Italia da genitori nigeriani – nel periodo intercorrente dal 1999 al 2009 – ammontano a poco meno di 10 mila unità: passano infatti dai 450 (del 1999) ai 9.500 circa. La metà dei cittadini nigeriani ufficialmente presenti, inoltre, si situa nelle classi di età comprese nell’intervallo che va da 18 a 40 anni, il che conferma ulteriormente la tendenza della comunità nel suo complesso alla stabilizzazione territoriale. La struttura demografica della comunità nigeriana rispecchia, in scala minore, quella rilevabile nella popolazione presente in Nigeria, ovvero una forte preponderanza delle classi giovanili rispetto a quelle di età superiore ed anziane.

TABELLA 8.2 - ETÀ DEI CITTADINI NIGERIANI PRESENTI IN ITALIA (2002 E 2012, VALORE PER ANNO E %)

Fasce

di età

Anno 2002 Anno 2012 Variazioni

2012-2002

v.a. % v.a. % v.a. %

0-17 357 1,8 17.114 29,4 +16.757 4.693,8

18-29 7.517 38,4 9.915 17,0 +2.398 31,9

30-39 9.092 46,5 18.754 32,4 +9.662 106,3

40-49 2.282 11,7 10.243 17,6 +7.961 348,9

50-59 218 1,1 1.614 2,9 +1.396 640,4

+ 60 93 0,5 332 0,7 +239 257,0

Totale 19.559 100 58.406 100 +38.847 198,6

Fonte: nostra elaborazione dati Istat (www.demo.istat.it).

8.3 I permessi di soggiorno

Le motivazioni principali concernenti il rilascio del permesso di soggiorno – al 2012 – sono il lavoro (22.500 unità) e cause familiari (circa 25.600 unità). Per gli altri 7 mila casi (all’incirca) le motivazioni del soggiorno sono diverse: asilo e rifugio politico (circa 500 unità), richiesta asilo (circa 4 mila casi), studio (circa 400 casi) e infine questioni umanitari (1.500 circa, in riferimento a vittime di grave sfruttamento). Nella Tab. 3 sono riportate le posizioni nella professione, a partire dal 2002 e arrivando al 2012. La

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posizione maggioritaria è quella di lavoro subordinato. Questa passa nel corso del decennio da 10.620 unità a 17.100. Anche la posizione attinente al lavoro autonomo registra un incremento positivo, passando dalle circa 3 mila unità alle circa 4.200. È interessante notare che la suddivisione tra donne e uomini non registra particolari discordanze numeriche. Ciò vuol dire che la differenza di chances di integrazione per genere non appare significativa.

TABELLA 8.3 - PERMESSI DI SOGGIORNO PER MOTIVI DI LAVORO (2002 E 2012, VARIAZIONE PER ANNO E %)

Posizione nella professione

Anno 2002 Anno 2012

MF MF M F

v.a. % v. a. % v. a. % v. a. %

Lavoro subordinato 10.620 71,5 17.106 77,0 8.946 78,1 8.160 75,8

Lavoro autonomo 3.039 20,4 4.187 18,8 2.028 17,7 2.159 20,1

Ricerca lavoro 1.197 8,1 926 4,2 481 4,2 445 4,1

Totale 14.861 100 22.219 100 11.455 100 10.764 100

Fonte: nostra elaborazione dati Istat (www.demo.istat.it).

I settori di maggior occupazione per i cittadini nigeriani sono prevalentemente i servizi (in particolare per le donne, in quanto presenti soprattutto nel badantato e lavoro domestico) e l’industria (in prevalenza per gli uomini). I primi interessano 15.800 cittadini nigeriani, il secondo circa 7.600. L’articolazione delle attività è altamente variegata, poiché nelle grandi città (luoghi delle prime immigrazioni di cittadini nigeriani) non mancano professioni nel settore medico-infermieristico, commercianti e lavoratori autonomi. Così nell’industria le occupazioni maggiori sono di operario generico, anche se non mancano le qualifiche di operaio specializzato. In alcune aree di lungo insediamento sono attivi anche mediatori culturali, sindacalisti operativi nelle principali organizzazioni sindacali, occupati nei trasporti e nella logistica. Occorre sottolineare tuttavia che tra i cittadini nigeriani si evidenziano forme di sfruttamento sessuale e in altre attività lavorative che rasentano la condizione para-schiavistica (non solo in Italia ma anche in Nigeria)6.

8.4 Origine “etnica”

L’origine etnica dei cittadini nigeriani in Italia dipende strettamente dalla configurazione degli stati – e delle aree sub-regionali degli stessi – di provenienza7. La Nigeria nel suo insieme conta all’incirca 250 gruppi cosiddetti etnici, di cui gran lunga maggioritari sono gli hausa-fulani (al Nord), gli yoruba (area Centro-Sud occidentale) e gli igbo o ibo (area Centro-Sud orientale). Questi tre gruppi rappresentano quasi la totalità della popolazione nigeriana. Oltre queste grandi etnie vanno comunque menzionate quelle che aggregano kanuri, tiv, edo, ibibio e ijaw. Il gruppo etnico maggiormente presente in Italia è costituito dagli igbo, provenienti dalle aree sud-orientali e in particolare dalla regione del Delta del Niger.

Le stime (elaborate all’interno della comunità nigeriana più ampia) attestano gli igbo a circa il 35%, seguiti a leggera distanza percentuale dal gruppo edo-shan (con il 30% circa), che provengono

                                                            6 Per tale argomento ci permettiamo di rimandare a F. Carchedi e A. Akinyoade, Speranze violate. Cittadini nigeriani gravemente sfruttati sul lavoro e in altre attività costrittive, Ediesse, Roma 2013. 7 Con questo non si vuole sovrapporre l’area di provenienza con l’etnia poiché la Nigeria in generale – e i singoli stati in particolare, soprattutto quelli meridionali del Delta e lo stato di Lagos – è anche paese di forte immigrazione interna oltre che dai paesi limitrofi dell’area Ecowas.

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dall’area collocata immediatamente a nord del Delta. Gli yoruba sono stimati intorno al 25%, mentre il gruppo degli ijaw è intorno al 5%. Il restante 5% è suddivisibile fra alcuni gruppi etnici minori. In maggioranza gli immigrati sono di religione cattolica o cristiani di varie denominazioni con una tendenza a un crescente proselitismo da parte delle Chiese episcopali.

Tra gli immigrati nigeriani in Italia sono presenti diverse e importanti associazioni che raggruppano connazionali di diverse etnie, quindi con un’ottica “interetnica”. La lingua veicolare è l’inglese, in quanto le lingue locali di ciascuna aggregazione etnica a volte rendono la comunicazione difficile, soprattutto tra gli appartenenti alle diverse ondate migratore. Coloro che sono arrivati in Italia negli anni Ottanta, ad esempio, parlano lingue dialettali che gli ultimi arrivati capiscono poco o niente.

Alla fine degli anni Novanta, quando fu eletto democraticamente Obasanjo8 come presidente della Nigeria, furono avviate svariate e importanti iniziative di carattere culturale ed economico mirate a rafforzare le comunità nigeriane presenti all’estero. L’obiettivo era quello di riconoscere l’importanza della diaspora nigeriana e renderla protagonista degli interscambi culturali, economici, commerciali e finanziari tra la stessa Nigeria e i paesi di insediamento all’estero. Questa nuova visione che trasformava la figura anonima e passiva del migrante nigeriano in un protagonista riconosciuto e attivo dello sviluppo e della democratizzazione dei rapporti con i paesi coinvolti aveva acceso enormi speranze. Qualcuno parlava di “primavera nigeriana”. Fu creata al riguardo una Commissione di migranti (esponenti del governo e rappresentanti delle maggiori comunità della diaspora) che non ebbe peraltro lunga vita. Con la fine della presidenza Obasanjo finirono anche i lavori della Commissione e con essa la “primavera” sperata.

Attualmente i flussi dalla Nigeria, seppur non di particolare entità numerica, continuano. Sono flussi di richiedenti asilo che si formano nelle aree di massima tensione e conflitti civili e che una volta giunti in Italia occorrerebbe sostenere con maggiore determinazione politica e sociale.

                                                            8 Olusegun Obasanjo governò la Nigeria come militare nel 1975-79 e facilitò il ritorno pacifico del potere al presidente civile eletto democraticamente, Shehu Shagari. Uscito dall’esercito si presentò come candidato civile alle elezioni democratiche, dopo un’altra parentesi militare, in cui vinse e divenne presidente dal 1999 al 2007.

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9. Opportunità e strategie per le imprese italiane

La Nigeria è il grande e complesso perno dell’Africa emergente, sia per le sue dimensioni economiche e demografiche che per i rapidi processi di trasformazione, quelli in corso e quelli attesi. È la maggiore economia africana (con un Pil pari a 510 miliardi di dollari nel 2013, superiore a quello del Sud Africa, che pure mantiene un’economia più avanzata, e pari a circa il 25-30% dell’intera economia subsahariana), e di gran lunga la maggior potenza demografica (con circa 174 milioni di abitanti nel 2013, quasi il doppio dell’Etiopia, il secondo paese nella regione). La Nigeria è nel pieno di una fase di cambiamenti rapidi e imponenti: ha registrato una crescita economica annua dell’8,2% nel 2000-2013, con prospettive di un ulteriore 6,8% medio per il 2015-20191, mentre la sua popolazione tra il 2020-2045 scavalcherà quella di Brasile, Indonesia e Stati Uniti, collocandosi, con 400 milioni di abitanti, alle spalle delle sole India e Cina.

Con simili risultati e prospettive, e nonostante le sfide e i rischi che ne caratterizzano il contesto sociale e politico, la Nigeria è immancabilmente menzionata tra i mercati di frontiera più interessanti: la prima della lista per attrattività, secondo un’indagine sugli orientamenti delle multinazionali occidentali2. Il recente aggiornamento delle misurazioni del prodotto interno lordo (c.d. rebasing) ha mostrato che l’economia nigeriana è ben più diversificata di quanto non si ritenesse in precedenza. Se le valutazioni passate mostravano che, nel 2011, il 72% del Pil era rappresentato da due soli settori – il minerario (40,9%) e l’agricoltura (30,9%) – le nuove stime relative al 2013 dimezzano la loro portata complessiva (minerario 14,5%, agricoltura 22%). Viceversa, il peso di tutti gli altri settori è stato rivisto al rialzo. La dimensione del settore manifatturiero, ad esempio, pur mantenendosi su livelli modesti, è più che triplicata, passando dall’1,9 al 6,8%3. Per spingere ulteriormente la diversificazione e lo sviluppo economico del paese, la politica del governo nigeriano promuove gli investimenti diretti esteri volti alla creazione di partnerships con imprese locali (soprattutto nelle infrastrutture, nell’energia e nell’agro-industria) e, viceversa, protegge le industrie e imprese locali nascenti attraverso consistenti dazi su un certo numero di importazioni4.

Oltre a essere singolarmente la maggiore economia subsahariana, la Nigeria è anche il fulcro del mercato nascente dell’Africa occidentale. L’Economic Community of West African States (Ecowas), che ha sede proprio ad Abuja e riunisce 15 paesi e oltre 340 milioni di abitanti con l’obiettivo di una graduale integrazione economica (libero scambio interno, rete infrastrutturale e dei trasporti comune, unione monetaria, ecc.), ha infatti ripreso slancio in anni recenti a seguito di una crescente domanda interna e internazionale per una riduzione della frammentazione economica regionale. Le iniziative introdotte in tal senso toccano diversi settori, dall’agricoltura (Regional Agricultural Investment

                                                            1 International Monetary Fund, World Economic Outlook database, April 2014. 2 Nigeria, Argentina and Vietnam Prove Top Picks for Multinationals, “Wall Street Journal”, 6 June 2014. 3 African Development Bank, Oecd, Unpd, Eca, African economic outlook 2014. Country note: Nigeria, Oecd Publishing, Paris 2013 e 2014. 4 Rödl & Partner, Insieme per crescere. Guida paese: Nigeria, Padova 2014, p. 17.

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Programme) alla politica industriale (West African Common Industrial Policy), da trasporti ed energia (Transport Facilitation Project e West Africa Power Pool) alle politiche commerciali interne ed esterne (Trade Liberalisation Scheme, Common External Tariff e Economic Partnership Agreement).

Dal 1° gennaio 2015, per i paesi Ecowas dovrebbe entrare in vigore la Common External Tariff (Cet) adottata già dal 2006. La Cet prevede l’applicazione di dazi doganali comuni ai prodotti importati nella regione Ecowas, quale che sia il paese del loro ingresso, sulla base di cinque aliquote: 0% su beni come macchinari/beni capitali o medicinali di base non prodotti localmente, 5% su materie prime, 10% per beni intermedi, 20% su prodotti finiti, 35% su merci la cui produzione interna il governo vuole proteggere (“beni specifici per lo sviluppo economico”). Secondo il governo di Abuja, il 70% dei dazi applicati sono allineati alla Cet. Quelle derivate dai dazi sulle importazioni costituiscono peraltro una delle maggiori entrate del governo, seconde solo agli introiti generati dall’esportazione di petrolio e gas naturale. Oltre alle misure protezionistiche tariffarie, in difesa delle produzioni locali, dell’industrializzazione, della diversificazione economica interna e dell’autosufficienza alimentare, la Nigeria adotta anche barriere non tariffarie alle importazioni, come le quote o la completa proibizione per alcuni prodotti (in quest’ultima categoria ricadono, ad esempio, alcuni tipi di pasta e carni, birra e succhi di frutta confezionati, nonché alcuni generi non alimentari come cemento, saponi e detergenti). Le importazioni in Nigeria sono rese complicate anche da fattori non doganali come gli elevati costi di porti e trasporti, le carenze infrastrutturali, le procedure burocratiche lente e complesse (ad esempio per registrazioni e controlli di qualità), la corruzione diffusa e i problemi di sicurezza5. Il risultato complessivo è che, secondo l’Enabling Trade Index, la Nigeria resta uno dei paesi meno aperti al commercio internazionale (124° su 138 paesi)6.

Nel luglio 2014 l’Ecowas ha tuttavia approvato un Economic Partnership Agreement con l’Unione europea dopo un decennio di negoziati, un elemento di politica commerciale comune che, sebbene discenda in buona misura dalla volontà e dagli obiettivi di Bruxelles, rappresenta un ulteriore motivo di integrazione economica dell’Africa occidentale. L’approvazione è arrivata proprio perché la Nigeria ha di fatto tolto il suo veto, dopo che aveva espresso forti critiche ai contenuti dell’accordo raggiunto a inizio anno per i timori di ricadute negative sulla propria industria nascente, ma è ancora in corso una non scontata procedura di ratifica. L’accordo, che è volto alla creazione di un’area di libero scambio tra le due parti, prevede infatti il superamento dell’attuale sistema di non-reciprocità a favore dell’apertura dei mercati dei paesi Ecowas ai prodotti europei, con il 75% di tale apertura da attuare nel corso di un periodo di transizione di 20 anni7.

9.1 I settori trainanti

Le sfide che il paese deve affrontare e le complessità per gli operatori economici stranieri non hanno fermato il grande interesse internazionale per il mercato nigeriano. Le aspettative di crescita di qui al 2030 sono molto positive, ed enfatizzano il ruolo centrale di cinque settori8: il commercio, l’agricoltura, le infrastrutture, l’industria manifatturiera e il comparto estrattivo.

L’espansione del commercio – con un valore attualmente pari a 87 miliardi di dollari (17% del Pil) – è alimentata dall’aumento dei consumi di una popolazione in forte crescita e con capacità di spesa via via maggiori. Nei prossimi quindici anni, la spesa per consumi privati (beni di consumo, abitazioni,

                                                            5 Office of the US Trade Representative, Nigeria. National Trade Estimate, Washington 2014. 6 World Economic Forum, The global enabling trade report 2014, Genève 2014. 7 West African leaders formally endorse EU trade pact, International Centre for Trade and Sustainable Development, 15 July 2014. 8 I dati di questo paragrafo, quando non diversamente specificato, sono tratti da McKinsey Global Institute, Nigeria’s renewal: delivering inclusive growth in Africa’s largest economy, McKinsey & Co., Washington July 2014.

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comunicazioni, trasporti, spese sanitarie e per l’istruzione, ecc.), pari a 388 miliardi di dollari nel 2013, potrebbe aumentare fino a circa 1.400 miliardi, superando l’attuale livello della Francia. I beni di consumo rappresentano circa il 70% di questo valore aggregato, e al loro interno la componente più ampia è costituita da prodotti alimentari e bevande, anche in virtù del fatto che la capacità di spesa di molti consumatori nigeriani, seppure in crescita, resta contenuta. Anche prodotti non alimentari, come quelli per la cura della persona, sono in fortissima espansione. Questo tipo di dinamica ha attratto importanti investimenti esteri nella produzione e distribuzione di beni di consumo. L’industria manifatturiera, appunto nei settori alimentari e cura della persona e della casa, include gli impianti locali di grandi gruppi internazionali come Diageo (Guinness), Unilever o Procter & Gamble, ma si allarga anche la presenza di marchi locali in settori come quelli delle bevande/birre (ad esempio Nigerian Breweries/Heineken) o altri alimenti (ad esempio Flour Mills e Dangote Flour Mills). Le vendite attraverso negozi di tipo moderno – in contrapposizione ai canali più informali e frammentati, come mercati popolari, piccole botteghe o venditori di strada – si stanno ampliando a tassi prossimi al 30% annuo. Nella grande distribuzione, Massmart (ora controllata dall’americana WalMart), con i suoi magazzini Game, rincorre Shoprite, di proprietà sudafricana ma più diffusa e consolidata in Nigeria, e la locale Artee/Spar9. Anche le vendite online, attraverso piattaforme locali come Jumia o Konga, si stanno facendo spazio in maniera decisa10.

Il settore agricolo, che da solo rappresenta la componente maggiore del prodotto interno nigeriano e la principale fonte di impiego, è stato lungamente trascurato in passato. In anni recenti, tuttavia, il governo lo ha ricollocato al centro delle strategie di sviluppo del paese, in particolare con la Agricultural Transformation Agenda del 2011, un piano di promozione dell’agricoltura e dell’agribusiness – nello specifico attraverso vantaggi fiscali per chi investe e doganali per chi importa macchinari agricoli – volto principalmente a ridurre le importazioni da cui il paese è da tempo diventato dipendente (come quelle di riso e zucchero) e creare lavoro. Dal momento che la Nigeria coltiva solo una piccola porzione delle terre arabili, che sono già meno della metà della superficie complessiva, il rilancio della produzione agricola è legato in parte all’incremento delle aree coltivate, ma altri fattori che saranno determinanti sono una maggiore produttività delle stesse (ad esempio attraverso un più ampio impiego di fertilizzanti), la scelta di colture di maggior valore (frutta e vegetali, più che sorgo o miglio) e la limitazione delle perdite di prodotto legate a problemi di accesso ai mercati (infrastrutture) o stoccaggio (refrigerazione). Le misure governative a favore dell’avvio di imprese per la lavorazione agro-industriale dovrebbero generare ricadute positive per lo sviluppo dell’agricoltura.

Le infrastrutture sono al tempo stesso un importante vincolo allo sviluppo economico del paese (rendendo più difficili i trasporti delle merci oppure scarsa, irregolare e costosa la disponibilità di elettricità), ma anche un’opportunità per investitori e operatori dei diversi comparti che compongono il settore. I processi economici e sociali in corso – inclusa la crescita demografica – spingono la domanda di energia elettrica, reti per le telecomunicazioni, costruzioni abitative, strade e ferrovie, ecc. Come per l’agricoltura, Abuja ha adottato nel 2013 un piano complessivo per affrontare il deficit infrastrutturale (National Integrated Infrastructure Master Plan 2014-2043). Dal punto di vista degli investimenti nelle costruzioni e infrastrutture, l’espansione maggiore avverrà probabilmente nel campo della produzione e distribuzione di elettricità e dell’edilizia residenziale. La capacità produttiva elettrica, secondo le stime, necessita di crescere dagli attuali 4.000 MW ad almeno 30.000 MW, e opportunità importanti esistono anche per la costruzione di piccole centrali idroelettriche e nella distribuzione off-grid per le comunità

                                                            9 Massmart tries luck in Nigeria, “Business Day Live”, 2 March 2014. 10 Nigerian shoppers warm to online retailers, Bbc News, 10 October 2013.

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rurali11. Il “deficit abitativo” della Nigeria, in particolare, è enorme e in crescita: la domanda di unità abitative, già attualmente stimata in circa 17 milioni di unità, aumenta di 700 mila unità ogni anno, contro sole 100 mila unità immesse sul mercato. Questo ha portato alla definizione di diversi progetti di edilizia abitativa popolare (social housing e affordable housing, ovvero con costi o canoni moderati o sussidiati dal governo), ma anche per la classe media o agiata e di edifici per commercio o uffici (come il megaprogetto Eko Atlantic, in via di costruzione a Victoria Island, a Lagos, che dovrebbe da solo ospitare una popolazione di 250 mila residenti e 150 mila lavoratori)12.

Il quarto settore in significativa espansione è l’industria manifatturiera, il cui graduale sviluppo è spesso visto come la più piena manifestazione della trasformazione strutturale di un’economia arretrata in economia avanzata. Nonostante il manifatturiero rappresenti solo il 6,8% del Pil nigeriano, questa quota è, come accennato, ben superiore a quanto si pensava in precedenza. Non solo, ma il settore è cresciuto di un solido 13% annuo nel quadriennio 2010-2013. Il Nigeria Industrial Revolution Plan del 2014 delinea le priorità focalizzandosi su vantaggi comparati a livello nazionale concentrando la politica industriale in sei settori (olio di palma, tessile, metalli di base, assemblaggio automobili, petrolchimico, plastica e gomma). Il comparto del cemento dimostra la capacità delle politiche governative di sostenere la nascita di un’industria cementifera, la cui produzione è cresciuta di sei volte nell’arco di un decennio, riuscendo nell’intento di sostituirsi alle importazioni, crollate dal 77 al solo 10% dell’intero impiego di cemento tra il 2003 e il 2012.

Il settore estrattivo – petrolio e gas naturale – è cresciuto a un modesto 2,1% nel periodo 2010-2013 ed è una quota dell’economia nigeriana in corso di ridimensionamento relativo. Le difficoltà del settore sono ben rappresentate da un disegno di legge (Petroleum Industry Bill) di cui si attende da anni l’approvazione, necessario a chiarire il contesto in cui opererà chi investe negli idrocarburi. La Nigerian National Petroleum Corporation (Nnpc) è, per legge, azionista di maggioranza in tutte le società del settore, ovvero nelle joint ventures con i colossi petroliferi americani ed europei (incluso l’Eni). Le compagnie petrolifere occidentali, tuttavia, hanno manifestato una tendenza a disinvestire dai giacimenti on-shore o in acque poco profonde, anche per le elevate perdite e furti di petrolio (circa 100 mila barili al giorno nel 2013). Ma il settore estrattivo – grazie in particolare alle ampie e sottoutilizzate riserve di gas naturale (la Nigeria è l’ottavo paese al mondo per dimensione delle riserve) – mantiene un importante potenziale, che potrebbe tradursi in un aumento di quasi il 50% dell’intera produzione oil and gas nei prossimi quindici anni. Oltre allo sfruttamento degli idrocarburi, Abuja dà grande rilevanza allo sviluppo di un’industria dell’estrazione e trasformazione di 7 dei 34 minerali di cui il paese ha abbondanza (carbone, bitume, calcare, ferro, barite, zinco e oro)13.

9.2 Una nuova fase

La Nigeria ha relazioni commerciali molto forti con l’Unione europea. La Ue nel suo complesso rappresenta di gran lunga il principale sbocco delle esportazioni nigeriane, dominate dagli idrocarburi (precede, con 29,3 mld di euro nel 2012, Stati Uniti 13,8 mld, India 9,4 mld e Brasile 6,2 mld, mentre la Cina non compare nelle prime posizioni). Spagna, Regno Unito, Olanda e Francia, in particolare, sono le maggiori destinazioni europee. Molto diversa è la situazione per le importazioni in Nigeria, dove i paesi dell’Unione europea come aggregato mantengono solo di poco la prima posizione (9,5 mld di euro), seguita da vicino dalla Cina con 8 mld di euro e, a una distanza maggiore, da Stati Uniti (4,4 mld)

                                                            11 InfoMercatiEsteri, Nigeria, 2014. 12 Rödl & Partner, Nigeria, cit., p. 17. 13 Ivi, p.16.

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e India (2,4 mld). Seguono poi paesi come Sud Africa e Brasile14. I maggiori esportatori europei in Nigeria sono, nell’ordine, Olanda, Gran Bretagna, Belgio e Francia.

Sebbene l’Italia sia solo il sesto partner commerciale della Nigeria tra i paesi europei (dietro anche ad altre economie avanzate ed emergenti non europee), tanto per importazioni che per esportazioni, la Nigeria è il nostro secondo partner in Africa subsahariana dopo il Sud Africa. I rapporti con Abuja sono buoni. Nel 2005 sono stati ratificati un accordo bilaterale per la Reciproca Promozione e Protezione degli Investimenti e una cancellazione del debito nigeriano pari a 1,5 miliardi di euro. Decine di imprese italiane sono presenti in Nigeria, in alcuni casi da decenni, seppur con attività che si concentrano in un numero limitato di settori: gli idrocarburi, le energie rinnovabili e la produzione di elettricità più in generale, e le costruzioni di infrastrutture e di edilizia abitativa e commerciale. Nella sola Abuja, sono di costruzione italiana edifici simbolo come la Cattedrale ecumenica cristiana, la Moschea nazionale, il Transcorp Hilton, il Millennium Park, e la Biblioteca nazionale15.

L’Italia è presente da una decina d’anni nel settore delle infrastrutture. Il mercato non è saturo, offre ancora molte opportunità di affari, anche se è controllato da imprese tedesche, inglesi, libanesi e israeliane presenti ormai da anni. Si dovrà pertanto pianificare una penetrazione del mercato promuovendo il Sistema Italia, anche a livello diplomatico.

Benché le eccellenze del made in Italy – soprattutto nella moda, nel design e nell’arredo, ma anche nei macchinari e attrezzature per industria e agricoltura – siano ben conosciute, apprezzate e ricercate, soprattutto, naturalmente, tra i segmenti di consumatori a maggior capacità di spesa, in questi settori la presenza e il presidio del mercato – diretto o indiretto – da parte delle imprese italiane e dei loro prodotti è ancora molto limitata, quando non del tutto assente. Anche il settore agro-alimentare, nel quale, di nuovo, l’Italia gode già di riconoscimento nel paese, offre possibilità importanti, ad esempio per vini o prodotti dolciari. Lo stesso si può dire del campo dei resorts alberghieri e della ristorazione di livello elevato, piuttosto che per il settore dell’estrazione e della lavorazione del marmo, molto utilizzato dai nigeriani abbienti spesso importandolo, anche dall’Italia, anziché sfruttando le cave locali16. In altri settori, come le automobili di lusso, che in Nigeria hanno un mercato in forte crescita per la componente più ricca della popolazione (la Porsche ha aperto uno showroom a Lagos nel 2012), si fa sentire ancora la quasi totale assenza di canali di distribuzione e assistenza per le vetture italiane. Eppure se l’elevata fedeltà ai marchi dei nigeriani – superiore a quella media in altri paesi africani e dovuta a un ambiente di consumi segnato da scarsa fiducia17 – richiede particolare attenzione alla costruzione di brand riconoscibili, la stessa fedeltà può rappresentare un elemento che premia ulteriormente l’italianità di prodotti con nomi già affermati.

La possibilità di fare leva sul settore farmaceutico locale in aggiunta a una crescente domanda di servizi sanitari di qualità potrebbe aprire buone opportunità di mercato alle aziende italiane del settore. L’ingresso e la conquista di quote del mercato nigeriano da parte delle imprese italiane richiede, oltre a un’adeguata pianificazione, persistenza e presidio nel lungo periodo. I concorrenti principali dei prodotti italiani includono la Cina (per macchinari, motocicli, abbigliamento), l’India (anche qui macchinari e tessile, ma anche farmaceutico e automobile) e la Turchia (soprattutto nell’arredamento)18.

La scelta del momento (timing) dell’ingresso nel mercato nigeriano deve essere ben ponderata per capire in quale fase (pre-crescita, decollo o saturazione) si trova il mercato di uno specifico prodotto

                                                            14 European Commission-Directorate for Trade, Nigeria. Trade Statistics, Brussels 2014. 15 InfoMercatiEsteri, Nigeria, cit. 16 Ibidem. 17 McKinsey Global Institute, Nigeria’s renewal, cit., p. 92. 18 Rödl & Partner, Nigeria, cit., p.21.

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e poter adottare strategie adeguate19. Per una serie di prodotti, come gli alimentari di base e i prodotti per la persona e per la casa, si prospetta una fase di grande espansione legata alla prima disponibilità di reddito discrezionale per un numero crescente di famiglie nigeriane. La produzione di bevande pronte raggiunge tipicamente la fase di decollo attorno ai 5 mila dollari pro capite. Anche il settore del lusso, che beneficia del grande arricchimento della fascia più benestante del paese (sottile in termini percentuali, ma con numeri assoluti che la rendono sempre più interessante), offre opportunità a un’ampia gamma di prodotti.

Nel complesso della prevedibile evoluzione della società nigeriana si iscrive anche l’apertura dell’Italia agli itinerari del turista nigeriano, specialmente se si considera il crescente potere d’acquisto della Nigeria. Al di là della fama di cui essi godono in Nigeria, una campagna promozionale sistematica dei prodotti del made in Italy potrebbe permettere di acquisire una nuova fetta di mercato, finora prerogativa di quello anglosassone. Sarà altresì necessario accompagnare questa campagna con la creazione di strutture adeguate al turista nigeriano in Italia, facendolo sentire a proprio agio dal punto di vista linguistico, culturale, ecc. (come detto, quello della lingua è un ostacolo all’attrazione del nostro sistema sanitario sui nigeriani che si curano all’estero). Va proposta un’offerta costruita sulle esigenze e preferenze dei turisti nigeriani, da studiare bene, visti gli stereotipi e i pregiudizi ancora esistenti, che potrebbero risultare controproducenti.

La dimensione del mercato interno nigeriano tende ad accentuare alcune delle caratteristiche simili a quelle di altri mercati subsahariani (frammentazione, informalità, deficit infrastrutturali, peculiarità culturali, ecc.). Anche per questo, in molti settori il mercato nigeriano non deve essere affrontato con una prospettiva nazionale, ma focalizzandosi piuttosto su singole città, o insiemi di città in una stessa regione, dove la capacità di spesa e i consumi sono decisamente più elevati. Se si guarda alle dimensioni, ad esempio, i 15-20 milioni di abitanti di Lagos (le stime sono molto variabili) è grande dalle quattro alle sei volte le altre maggiori città nigeriane (Ibadan e Kano). Port Harcourt, viceversa, ha i livelli di consumo pro capite maggiori. Ibadan, Abuja e Warri registrano invece i tassi di più rapida espansione dei consumi. La stessa superiorità dimensionale che rende Lagos un mercato prioritario, peraltro, può essere in parte ridotta se si guarda ai raggruppamenti geografici di altre città tra loro vicine – che per questo possono rappresentare delle alternative competitive come mercati – quali il cluster costituito da Ibadan-Ilorin-Ogbomosho a nord della stessa capitale nigeriana, quello di Kano-Zaria-Kaduna nel Nord del paese, oppure Port Harcourt-Benin City-Warri-Onitsha nel Sud-Est, presso il Delta del Niger20.

Il ruolo delle aree urbane è peraltro solo uno dei diversi elementi di segmentazione del mercato nigeriano. La frammentazione è infatti aumentata anche da culture e usi locali che si riflettono sulle abitudini nei consumi. Per il Sud-Est della Nigeria, ad esempio, la sudafricana SabMiller produce e vende una birra “Hero” caratterizzata da un gusto adattato alle preferenze locali e un marchio con un sole che sorge, un’icona importante nella locale cultura igbo21. Più in generale, sono molti i prodotti per i quali può essere opportuno un adeguamento alle specificità locali, modulandone le caratteristiche e i relativi prezzi in considerazione di fasce di consumatori con esigenze e capacità di spesa diverse.

L’ingresso in mercati frammentati e ancora prevalentemente informali, ma al tempo stesso parte di un paese vasto come la Nigeria, può rendere particolarmente conveniente, quando non indispensabile, una collaborazione con partners locali. Questa, ad esempio, è stata la strada seguita

                                                            19 McKinsey Global Institute, Nigeria’s renewal, cit., p. 86. 20 Ivi, pp. 83-85. 21 SABMiller in Africa. The beer frontier, “The Economist”, 6 May 2014.

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dall’americana Kfc, che dal 2009 ha aperto nel paese oltre 20 negozi attraverso una partnership con il gruppo nigeriano Chellarams, e dalla cinese Haier, legatasi alla Pz Cussons Nigeria per la distribuzione dei suoi elettrodomestici22. Per le imprese italiane, peraltro, il successo del modello delle piccole e medie imprese, nonché dei distretti industriali e delle cooperative, è un punto di forza su cui fare leva, data la sensibilità delle leaderships africane alle strategie per accelerare la diversificazione produttiva e superare l’estrema frammentazione e informalità che caratterizza i modesti settori manifatturieri nella regione.

Quello nigeriano è, in definitiva, un mercato che presenta rischi consistenti, alcuni più noti (come la corruzione o la sicurezza), altri un po’ meno (come la permanente dipendenza economica dal petrolio, soprattutto in termini di entrate statali, o il deficit infrastrutturale), ma la combinazione di dimensione economica e demografica e del grande slancio economico del paese (attuale e atteso) apre enormi opportunità per le imprese italiane e lo rendono un mercato di crescente centralità tra le economie emergenti.

                                                            22 McKinsey Global Institute, Nigeria’s renewal, cit., p. 90.