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I RAGGI X LA LEZIONE LA NATURA DEI RAGGI RÖNTGEN A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento la fisica dei raggi aprì strade inesplorate nella medicina con le applicazioni radiologiche. L’importanza della scoperta dei raggi X del 1895 fu sancita nel 1901 con il primo premio Nobel per la fisica a Wilhelm Conrad Röntgen. Il fisico tedesco aveva perfezionato il tubo ad alto vuoto per la produzione dei nuovi raggi e studiato alcune delle caratteristiche fisiche. Solo però con l’identificazione dei raggi catodici come particelle leggere dotate di massa e carica negativa portò a ipotizzare che l’emissione dei raggi X fosse un disturbo elettromagnetico dovuto agli urti dei corpuscoli sull’anticatodo o sulle pareti del tubo. Un impulso dell’etere, il mezzo caratteristico che si pensava trasportasse le onde elettromagnetiche. I raggi X erano dunque considerati da molti ricercatori un insieme di impulsi emessi casualmente dalla materia. fig.1 Una delle prime immagini ottenute in Italia con i raggi X dal fisico Augusto Righi; fig.2 Un’illustrazione degli inizi del Novecento dei raggi X come impulsi secondo l’inglese Stokes (A. Authier, Early days of X-rays cristallography, Oxford University Press, 2013) tra il 1898 e il 1912- scrive B. Wheaton- la maggioranza dei fisici pensava che i raggi X fossero impulsi […]. Solo il loro numero, estremamente grande, dava l’impressione di continuità. Sebbene questa ipotesi fosse compatibile con la teoria elettromagnetica ondulatoria della luce, essa ne rappresentava un caso speciale. […] Un impulso collide, non entra in risonanza con un atomo.” B. R. Wheaton, The tiger and the shark, Empirical roots of wave-particle dualism, Cambridge University Press, 1983, pag. 15. Il decano dei fisici inglese George Gabriel Stokes fu uno dei padri fondatori di una teoria (ether pulse) capace di spiegare molti dei fenomeni conosciuti e di postulare la

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I RAGGI X

LA LEZIONE

LA NATURA DEI RAGGI RÖNTGEN

A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento la fisica dei raggi aprì strade inesplorate nella medicina con le applicazioni radiologiche. L’importanza della scoperta dei raggi X del

1895 fu sancita nel 1901 con il primo premio Nobel per la fisica a Wilhelm Conrad

Röntgen. Il fisico tedesco aveva perfezionato il tubo ad alto vuoto per la produzione

dei nuovi raggi e studiato alcune delle caratteristiche fisiche. Solo però con

l’identificazione dei raggi catodici come particelle leggere dotate di massa e carica

negativa portò a ipotizzare che l’emissione dei raggi X fosse un disturbo elettromagnetico dovuto agli urti dei corpuscoli sull’anticatodo o sulle pareti del tubo.

Un impulso dell’etere, il mezzo caratteristico che si pensava trasportasse le onde

elettromagnetiche. I raggi X erano dunque considerati da molti ricercatori un insieme

di impulsi emessi casualmente dalla materia.

fig.1 Una delle prime immagini ottenute in Italia con i raggi X dal fisico Augusto Righi;

fig.2 Un’illustrazione degli inizi del Novecento dei raggi X come impulsi secondo

l’inglese Stokes (A. Authier, Early days of X-rays cristallography, Oxford University

Press, 2013)

“tra il 1898 e il 1912- scrive B. Wheaton- la maggioranza dei fisici pensava che i raggi X fossero impulsi […]. Solo il loro numero, estremamente grande, dava l’impressione

di continuità. Sebbene questa ipotesi fosse compatibile con la teoria elettromagnetica

ondulatoria della luce, essa ne rappresentava un caso speciale. […] Un impulso collide,

non entra in risonanza con un atomo.” B. R. Wheaton, The tiger and the shark,

Empirical roots of wave-particle dualism, Cambridge University Press, 1983, pag. 15.

Il decano dei fisici inglese George Gabriel Stokes fu uno dei padri fondatori di una

teoria (ether pulse) capace di spiegare molti dei fenomeni conosciuti e di postulare la

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difficoltà o l’impossibilità di rilevare la loro diffrazione. A livello continentale, alla fine

dell’Ottocento, un giovane Privatdozent come Arnold Sommerfeld poteva mostrare

come la teoria degli impulsi rappresentasse uno dei settori più avanzati della fisica

matematica. Nello stesso periodo due fisici sperimentali olandesi presentarono

fotografie ottenute osservando raggi X che attraversavano fessure cuneiformi aventi dimensioni prossime al micron, valutando la lunghezza d’onda dei raggi X dell’ordine

di 10-8 cm. La “prova” sperimentale era un confuso e leggero allargamento

dell’immagine su una lastra fotografica. Sommerfeld nel dicembre 1899 prese in

considerazione impulsi elettromagnetici e raggiunse la conclusione che la diffrazione di

questi attraverso una fenditura non avrebbe portato a frange d’interferenza, ma solo a

una variazione di intensità dei raggi X al di là della fenditura. Le sue ricerche gli

valsero nel 1906 la cattedra di fisica teorica all’Università Ludwing Maximilian di Monaco, dove Röntgen era titolare della cattedra di fisica sperimentale.

fig.3 Primi tentativi della misura della

lunghezza d’onda dei raggi X

fig.4 Raffigurazione degli impulsi secondo

Arnold Sommerfeld in lavori di inizio secolo

Un anno prima un giovane fisico sconosciuto

Albert Einstein aveva pubblicato importanti lavori sul moto delle particelle in sospensione, sull’elettrodinamica dei corpi in movimento e aveva presentato, in un

terzo articolo, un punto di vista euristico relativo alla generalizzazione e alla

trasformazione della luce. L’idea radicale di Einstein della luce composta da quanti

localizzati di energia fu considerata da altri teorici come Max Planck un passo non

necessario ed ebbe inizialmente pochissimi estimatori, tra questi si distinse Johannes

Stark. Un altro oppositore alla teoria impulsiva dei raggi X fu William Henry Bragg. Il professore di fisica dell’Università di Leeds nel 1907 ipotizzò i raggi X composti da

coppie di particelle cariche di segno opposto. Come spiega Heilbron: “un corpuscolo

espulso da un atomo dai raggi X poteva possedere un’energia cinetica quasi pari a

quella della particella del raggio catodico che aveva prodotto quei raggi X. Questo

fenomeno impressionò particolarmente William Henry Bragg, […], che con la tipica

abilità britannica per le analogie meccaniche, lo paragonò a una situazione in cui un sasso, cadendo in un lago, genera un’onda che si propaga nell’acqua, e quando una

porrzione del fronte d’onda colpisce un sasso identico al primo, l’onda concentra su di

esso tutta la sua energia scagliando il secondo sasso alla stessa altezza da cui era

caduto il primo.”

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La polemica tra Bragg e Charles Glover Barkla, lo scopritore della polarizzazione dei

raggi X, nell’interpretazione dei fenomeni caratteristici dei raggi X si protrasse fino al

1912 ed ebbe un corrispettivo continentale tra Stark e Sommerfeld.

fig.5 Articolo di Johannes Stark del 1907 sull’interpretazione corpuscolare della

radiazione Röntgen

Il sostenitore dei quanti di luce, in una lettera a Nature del 1908 scriveva: “Nella sua

teoria […] Planck ha trovato la semplice legge ε=hν=hc/λ, dove ε è un elemento di

energia, h = 6,55 10-27 una costante, ε la frequenza, λ la lunghezza d’onda del

risonatore elettromagnetico, c la velocità della luce; in accordo a questa legge

elementare, l’energia del risonatore elettromagnetico cambia durante un periodo di un

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multiplo di ε. Applicando la legge all’emissione dei raggi Röntgen […] poniamo

eV=mv2/2 per l’energia del raggio catodico, e la sua carica elettrica, V la differenza di

potenziale. L’energia cinetica totale può essere, attraverso il frenamento, trasformata

in energia di radiazione. La più piccola lunghezza d’onda della radiazione Röntgen

emessa è allora λ0=2hc/eV, per una differenza di 60.000 V [tra catodo e anticatodo] in un tubo Röntgen λ0=6 10-9 cm, Haga e Wind hanno trovato con un esperimento di

diffrazione per la lunghezza d’onda dei raggi λ utilizzati il valore 5 10-9 cm. È chiaro

che la trasformazione inversa da raggi Röntgen in energia cinetica dei raggi catodici

dà l’emissione dei raggi catodici secondari, di raggi Röntgen, e più genericamente

luce.” J. Stark, The wave-lenght of Röntgen rays, Nature, 1908.

LA RADIAZIONE DI FRENAMENTO

Barkla fu il primo a investigare sulla polarizzazione dei raggi X e la terminologia

moderna per molti anni fu debitrice delle ricerche del fisico inglese. Egli dimostrò che i

raggi X, parzialmente polarizzati piani, nell’attraversare un materiale, producevano

due tipi di fasci secondari: il primo, indicato con il termine diffuso, polarizzato e con le

stesse caratteristiche del primario; il secondo, chiamato radiazione fluorescente, in analogia alla luce fluorescente di Stokes, dipendeva dal materiale utilizzato. Infine nel

1910, analizzando gli elementi pesanti distinse nella radiazione fluorescente una parte

più penetrante, indicata con la lettera K, e un’altra meno penetrante, distinta con la

lettera L.

fig.6 Picchi di assorbimento della radiazione secondaria

(fluorescenza) dei raggi X a

una particolare lunghezza

d’onda

Nel 1909 Einstein,

analizzando le fluttuazioni

del corpo nero, aveva ottenuto nella radiazione due

componenti: la prima

ondulatoria che

corrispondeva alla forma

dell’equipartizione

dell’energia della statistica classica (equazione di Rayleigh-Jeans), la seconda corpuscolare, tipica della regione

ad alte frequenze dove la legge di Planck era quasi coincidente con quella di Wien. In

una degli incontri tra fisici dove Einstein presentò queste idee, a Salisburgo, trovò il

solo Stark come attento uditore. Nel corso dello stesso anno Stark, professore ad

Aachen, studiò l’asimmetria angolare delle intensità della distribuzione dei raggi X

diffusi che non poteva essere spiegata, secondo le sue considerazioni, con una teoria ondulatoria. I quanti di luce einsteiniani avevano ora non solo un’energia, ma anche

una quantità di moto relativistica pari a: hν/c. La risposta al lavoro di Stark non si

fece attendere e Sommerfeld elaborò una teoria della radiazione di frenamento che

potesse giustificare la distribuzione dei raggi X polarizzati secondo una trattazione

ondulatoria, riuscendo ancora una volta a mostrare che la matematica degli impulsi

poteva giungere a risultati non intuitivi.

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fig.7 Distribuzione dell’intensità della radiazione X secondo Sommerfeld;

fig.8 Modello di Sommerfeld del 1911 per la spiegazione della disuniformità della

distribuzione della radiazione Röntgen

Nel dicembre 1909, Sommerfeld scriveva a Stark, rivendicando la possibilità di

spiegare il fenomeno misurato dal professore di Aachen attraverso la teoria del frenamento dei raggi X, senza avere la necessità di impiegare l’ipotetica e incerta

teoria dei quanti di luce. Ciò non deve far pensare a un’avversione di Sommerfeld

verso la teoria dei quanti di Planck, tant’è che appena qualche mese dopo Sommerfeld

introdusse la sua regola di quantizzazione per sistemi non solo periodici. La polemica

tra i due fisici tedeschi non fu mai del tutto ricomposta. Per molti anni, Stark fu uno

dei pochi autori a cimentarsi in fantasiosi ed elementari calcoli sui quanti di luce.

Sommerfeld a sua volta stava approfondendo la sua conoscenza, anche sperimentale, dei raggi X e gamma, per applicare la sua interpretazione della costante h. Nel primo

Congresso Solvay del 1911 il fisico teorico di Monaco presentò le sue idee sul quanto

di azione applicandole a tre campi: i raggi X, i raggi gamma, l’effetto fotoelettrico. Nel

paragrafo dedicato alla radiazione Röntgen ricordava la sua interpretazione della loro

natura come pulsazioni elettromagnetiche provocate dall’arresto delle particelle

catodiche. L’elettrone con velocità v passava, in un tempo infinitesimo τ e seguendo una traiettoria rettilinea di lunghezza inferiore alle dimensioni atomiche, dall’energia

cinetica relativistica m0c2(1-β2)-1/2, con β uguale al rapporto v/c, al valore: m0c2.

Facendo riferimento a una figura asimmetrica di due circonferenze (proiezione di due

sfere su un piano) la prima di raggio ct e la seconda di raggio c(t-τ) spiegava: “La

pulsazione elettromagnetica emessa durante l’arresto si trova per ogni t entro le due

sfere […]. L’impulso compreso tra le due sfere ha uno spessore variabile da un punto a un altro; lo spessore medio λ= cτ corrisponde all’emissione nella direzione normale

(perpendicolare alla direzione dei raggi catodici e non al piano dell’anticatodo); gli

spessori minimo e massimo si trovano nelle direzioni φ=0 e φ=π. Così la durata dei

raggi Röntgen deve essere considerata come variabile in senso inverso dello spessore

dell’impulso, conformemente all’esperienza essa aumenta quando φ diminuisce.” P.

Langevin, M. de Broglie, La théorie du rayonnement et les quanta, rapports et

discussions de la reunion tenue à Bruxelles, du 30 octobre au 3 novembre 1911, sous les auspices de M.E. Solvay, 1912.

A sostegno delle sue affermazioni citava le osservazioni del signor Friedrich realizzate

per la dissertazione sotto la direzione del professor Röntgen e basate sulla

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ionizzazione provocata dai raggi X. L’imposizione della condizione generale di

quantizzazione: Eτ=h e il confronto con misure sperimentali lo portava a valutare la

velocità relativa degli elettroni pari a 0,4 volte la velocità della luce, la lunghezza

d’onda uguale a 1,5 10-9 cm, il cammino percorso durante il frenamento: l=3 10-10

cm, inferiore alle dimensioni molecolari poste uguali a 10-8 cm. Sui raggi γ il professore di fisica teorica discusse l’espulsione di elettroni (radiazione beta)

accelerati su brevi distanze in un intervallo di tempo infinitesimo. La radiazione era

allora concentrata in lobi e doveva seguire una relazione precisa collegata a costanti

elementari tutte conosciute ad eccezione della velocità degli elettroni.

fig.9 Radiazione

dipendente dalla velocità degli

elettroni secondo

Sommerfeld

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fig.10 Lettera del 1911 sull’ipotesi h di Sommerfeld

Planck nell’aprile del 1911 scriveva a Sommerfeld di essere favorevolmente impressionato dall’uso della costante h nei sistemi non periodici. La verifica

sperimentale della nuova teoria della radiazione elaborata da Sommerfeld era uno

degli obiettivi di ricerca dell’Università di Monaco.

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LA DIFFRAZIONE DELLA RADIAZIONE RÖNTGEN

All’inizio del 1912, nell’Istituto di Monaco, a fianco di Sommerfeld, lavoravano Peter

Debye, Max von Laue, esperto di ottica, e il nuovo assistente, esperto di raggi X, Walther Friedrich. Tra i suoi studenti, nel febbraio 1912 Peter Paul Elwald terminò una

tesi di dottorato sulle proprietà ottiche di una disposizione non isotropa di risonatori,

tema che si ricollegava alla teoria della dispersione.

fig.11 Frontespizio della dissertazione di Paul

Ewald del febbraio 1912

Il giovane nel mese di marzo ne discusse il

contenuto al cospetto di una commissione di

eccellenze: Sommerfeld, Röntgen, Pringsheim e

il professore di mineralogia Paul Groth, autore di

trattati di cristallografia. I risultati di Elwald oggi

possono essere ottenuti utilizzando la

trasformata di Fourier e presuppongono l’ipotesi che il cristallo sia costituito da un insieme

ordinato di dipoli equidistanti in un reticolo,

un’immagine all’epoca non usuale. Elwald

discusse aspetti della sua tesi sia con von Laue

che con Debye. Secondo le testimonianze dei

protagonisti fu Max von Laue che ipotizzò la possibilità di ottenere la diffrazione dei raggi X

utilizzando dei cristalli. L’apparato sperimentale

non necessitava di strumentazione diversa da

quella reperibile nei principali laboratori di fisica

dei raggi X. Eppure le discussioni con

Sommerfeld non portarono immediatamente il direttore a concedere il materiale del

suo Istituto. Il suo scetticismo, basato anche sulla conoscenza dei tentativi infruttuosi di Röntgen, si univa alla volontà di non distogliere Friedrich dal suo programma

principale di ricerca: lo studio delle intensità della radiazione X e gamma diffuse.

Elwald, Friedrich e von Laue, trovarono in Paul Knipping (studente di Röntgen che

lavorava sui raggi X) un aiuto per intraprendere l’impresa. Il primo tentativo

infruttuoso fu realizzato con Sommerfeld lontano dall’Istituto. La modifica della

disposizione della lastra portò alla prima figura di interferenza datata aprile 1912.

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fig.12 Apparato e prima foto della diffrazione dei raggi X ottenuta a Monaco nel 1912

Dopo il primo successo Sommerfeld rivide la sua posizione, concentrando il lavoro di

Friedrich sui cristalli e favorendo il miglioramento dell’apparato sperimentale. Röntgen

fu tra i primi a vedere la foto e fu profondamente impressionato. L’interpretazione

della figura di diffrazione era ancora lontana, inoltre Max von Laue era convinto che la

radiazione fluorescente dei raggi X fosse la responsabile del fenomeno. Solo nel 1913

si allineò alla posizione del giovane William Lawrence Bragg che interpretò la diffrazione come effetto del cristallo che selezionava la radiazione diffusa continua

polarizzata dei raggi X. Già nel mese di maggio 1912 Sommerfeld realizzò un

documento per assicurare la priorità della scoperta a Laue, Knipping e Friedrich e

nell’estate furono pubblicati due distinti articoli sull’argomento, quello teorico era ad

opera del solo Max von Laue.

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fig.13 Documento redatto a Monaco nel 1912 per certificare la scoperta della

diffrazione dei raggi X

fig.14 Apparato per lo

studio della diffrazione dei raggi X a Monaco

Le immagini delle lastre

fotografiche sembravano

sollevare gli ultimi dubbi

sulla natura dei raggi X e

sulla simmetria interna

dei cristalli. Laue interpretò la regolarità

sviluppando una teoria

della diffrazione basata su

un numero limitato di

lunghezze d’onda dei

raggi X. La pubblicazione diede immediatamente

impulso alle discussioni.

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Stark ribadì la sua posizione, dando nell’estate un’interpretazione corpuscolare del

fenomeno. Nel mondo anglosassone William Lawrence Bragg riprese gli esperimenti

dei fisici tedeschi e costruì le “immagini” dei cristalli a partire da una legge della

riflessione dei piani del reticolo cristallino secondo la nota: nλ=2d senθ.

fig.15 Una delle prime “immagini” di un cristallo ottenute con radiazione Röntgen;

fig.16 L’interpretazione corpuscolare delle esperienze di Monaco fornita da Stark

Lo spettro dei raggi X che irradiava il cristallo era continuo, ma solo le lunghezze

d’onda che soddisfacevano la legge poi chiamata di Bragg formavano interferenza costruttiva. La formula ripresa da esperienze analoghe di ottica gli permetteva di

iniziare un’analisi approfondita delle strutture cristalline dopo aver fissato la distanza

interplanare, uguale a 2,8 10-8 cm, del cristallo a struttura cubica a facce centrate del

cloruro di sodio, grazie a considerazioni che utilizzavano il numero di Avogadro, il peso

molecolare, la densità e il volume della celletta elementare.

fig.17 L’interpretazione dei fenomeni di diffrazione dei

raggi X da parte di William

Lawrence Bragg

Nel dicembre dello stesso

anno Willie ottenne la

riflessione speculare dei raggi X dalla mica. Il padre, William

Henry Bragg, ormai convinto

della natura ondulatoria dei

raggi, nel 1913 iniziò una

collaborazione con il figlio che

portò alla realizzazione di uno

degli strumenti base per l’analisi della spettroscopia dei raggi X (lo spettrografo di Bragg con camera di ionizzazione) e all’analisi sistematica di moltissime strutture

cristalline. Nel 1913 il secondo Congresso Solvay fu dedicato alla struttura della

materia. Max von Laue discusse i fenomeni d’interferenza dei raggi Röntgen; William

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Henry Bragg presentò lo spettrometro a raggi X; William Barlow e William Jackson

Pope parlarono della struttura cristallina; Marcel Brillouin fece alcune considerazioni

sulla struttura dei cristalli e l’anisotropia delle molecole. Nel 1914 Max von Laue fu

insignito del premio Nobel e l’anno successivo toccò ai Bragg.

fig.18 Foto di diffrazione dei raggi X e stereogramma realizzato da Bragg

dell’immagine di un cristallo; fig.19 Spettrometro Bragg

LA SPETTROSCOPIA DEI RAGGI X

La legge di Bragg segnò la nascita della spettroscopia di precisione per la radiazione

caratteristica (fluorescente) dei raggi X, Barkla fu insignito del Nobel per la fisica nel

1917 per le sue ricerche pioneristiche in tale campo.

fig.20 Prime indicazioni sugli spettri caratteristici di un elemento; fig.21 Diversi

assorbimenti per la radiazione K e L di un elemento

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Nel 1913 e 1914 diversi autori, tra cui Maurice de Broglie e Henry Moseley,

realizzarono metodi fotografici per gli spettri dei raggi X caratteristici degli elementi.

fig.22 Francobollo

commemorativo delle ricerche pioneristiche di

Maurice de Broglie sugli

spettri dei raggi X degli

elementi realizzati con

cristalli rotanti

Quest’ultimo migliorò la

misura della distanza interplanare del reticolo

NaCl utilizzando il valore

2,814 10-8 cm e anche

grazie a una legge empirica che collegava la radice quadrata della frequenza al

numero atomico dell’elemento riuscì a produrre spettri di moltissimi atomi.

fig.23 Linee K degli spettri caratteristici di elementi; fig.24 Classificazione di Henry Moseley del 1913 degli elementi realizzata in base alle misure spettroscopiche delle

frequenze delle serie K

La sua legge fu in seguito impiegata per individuare elementi mancanti nella tavola

periodica (l’afnio e il renio). La semplicità degli spettri caratteristici dei raggi X degli

elementi, se confrontati con quelli della luce visibile, fu affrontata con modelli che

facevano riferimento alla teoria atomica di Bohr.

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fig.25 Righe spettrali della serie K degli elementi dal rodio all’arsenico;

fig.26 Righe spettrali della serie L dall’oro al bismuto

Fu Walther Kossel, dell’Università di Monaco, che per primo propose

un’interpretazione, poi sviluppata dallo stesso Sommerfeld.

fig.27 Interpretazione atomiche delle linee spettrali dei raggi X caratteristici;

fig.28 Lo spettro continuo diffuso detto anche fluorescente dei raggi X

La spiegazione qualitativa degli spettri caratteristici era affidata ai seguenti

ragionamenti: “un atomo con molti elettroni può, comunque, essere eccitato molto più violentemente […] nel caso in cui un elettrone che si muove molto velocemente (un

raggio catodico o una particella beta del radio) espella un elettrone della regione più

interna. Una tale invasione produce un serio disturbo nella stabilità del sistema […] e

uno degli elettroni più esterni, più debolmente vincolati, prende il [suo] posto vacante.

Valori abbastanza grandi di energia sono emessi. La radiazione ha quindi una

frequenza molto elevata, raggi X monocromatici sono così emessi. Poiché questi

hanno origine in processi che avvengono all’interno dell’atomo, si può comprendere che i vari elementi hanno differenti spettri di raggi X caratteristici capaci di fornire

preziose informazioni sulla struttura del sistema di elettroni.” H. A. Kramers, The

atom and the Bohr theory of its structure, 1923, pp. 160-161.

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Dunque era chiaro, agli inizi del 1920, che colpendo un bersaglio costituito da un

elemento con elettroni energetici o raggi X si producevano raggi X secondari il cui

spettro, con il miglioramento della capacità di analisi dell’intensità della radiazione,

poteva essere scomposto in due parti: una continua, indipendente dall’elemento; e

l’altra discreta, riconducibile a modelli atomici della teoria dei quanti. La prima aveva avuto come modello le teorie diffusive della radiazione di frenamento, mentre la

seconda era affrontata con l’utilizzo di livelli energetici caratterizzati dalle lettere K, L,

M. Nel 1924 allo svedese Karl Manne George Siegbahn fu assegnato il premio Nobel

per le sue ricerche su nuove serie caratteristiche degli spettri di raggi X.

La strana commistione tra continuo e discreto dei raggi X, che ne aveva caratterizzato

gli inizi, continuava anche in questo periodo e anche la parte classica della radiazione

X aveva portato l’americano William Duane e molti altri a proporre, già dal 1915, un metodo per la determinazione di precisione di h a partire dalle frequenze limite dello

spettro continuo che richiamavano espressioni analoghe a quelle utilizzate da Millikan

nell’effetto fotoelettrico. I quanti di luce rimanevano però ancora ai margini della

trattazione teorica del fenomeno.

fig.29 Determinazione della costante di Planck attraverso misure spettroscopiche dei

raggi X