La Natura Cultural Ed Ello Sviluppo

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1 LA NATURA CULTURALE DELLO SVILUPPO 1) LA NATURA CULTURALE DELLO SVILUPPO: PRINCIPI FONDAMENTALI E METODI DI STUDIO Lo sviluppo umano è un processo culturale. Gli esseri umani sono predisposti biologicamente a partecipare ad attività culturali, a usare il linguaggio e altri strumenti culturali e a imparare gli uni dagli altri. Lo scopo di questo libro è offrire un contributo alla comprensione dei modelli culturali che intervengono nello sviluppo umano attraverso l’analisi delle “costanti culturali” che consentono di rendere conto delle somiglianze e delle differenze nelle usanze e tradizioni delle varie comunità. Al fine di comprendere gli aspetti culturali dello sviluppo, questo libro cercherà innanzitutto di elaborare l’affermazione secondo cui lo sviluppo umano implica una partecipazione degli individui a comunità culturali, e può essere compreso solo alla luce delle pratiche culturali e delle condizioni di tali comunità, che sono anch’esse in continua evoluzione. Fino a oggi, lo sviluppo è stato studiato soprattutto in riferimento a teorie e ricerche condotte nelle comunità di classe media europee e americane, spesso considerandole universali e generalizzabili a tutti gli uomini. La variabilità delle aspettative riguardanti i bambini e il loro sviluppo acquista significato solo se teniamo in considerazione le diverse condizioni di vita e le specifiche tradizioni e pratiche cultuali. L’importanza dello studio dei processi culturali è divenuta evidente solo in anni recenti. Ciò è dipeso dai cambiamenti demografici che hanno favorito il contatto tra comunità diverse. La ricerca culturale è necessaria per superare le eccessive generalizzazioni secondo cui lo sviluppo procederebbe ovunque allo stesso modo. Lo scopo principale di questo libro è comprendere le “costanti” nella natura culturale dello sviluppo. Le costanti culturali dello sviluppo Per comprendere i processi che caratterizzano lo sviluppo dinamico degli individui e delle comunità, entrambi in continua evoluzione, dobbiamo individuare le costanti che spieghino le differenze osservate tra le comunità e il comportamento delle popolazioni umane sparse per il mondo. Confrontare le diverse pratiche culturali può aiutarci a divenire consapevoli dei processi culturali che hanno un ruolo nella nostra vita e in quella degli altri, qualunque sia la cultura che ci è più familiare. Altri modelli Poiché la ricerca culturale è ancora relativamente recente, lo studio di quali costanti culturali spieghino le somiglianze e le differenze tra le culture è ancora agli inizi, per quanto vi siano già diversi dati a nostra disposizione. Lo studio della natura culturale dello sviluppo: principi fondamentali Nel corso di questo volume, introdurrò una serie di principi fondamentali per descrivere i processi culturali, che fanno riferimento alla prospettiva storico-culturale. Questo approccio, diffusosi in America negli ultimi anni, sottolinea il ruolo dei processi culturali nello sviluppo del pensiero, della memoria, del ragionamento e della capacità di problem solving. Il fondatore di questo orientamento, Lev Vygoskij riteneva che lo studio

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LA NATURA CULTURALE DELLO

SVILUPPO

1) LA NATURA CULTURALE DELLO SVILUPPO: PRINCIPI FONDAMENTALI E

METODI DI STUDIO

Lo sviluppo umano è un processo culturale. Gli esseri umani sono predisposti biologicamente a partecipare ad attività culturali, a usare il linguaggio e altri strumenti culturali e a imparare gli uni dagli altri. Lo scopo di questo libro è offrire un contributo alla comprensione dei modelli culturali che intervengono nello sviluppo umano attraverso l’analisi delle “costanti culturali” che consentono di rendere conto delle somiglianze e delle differenze nelle usanze e tradizioni delle varie comunità. Al fine di comprendere gli aspetti culturali dello sviluppo, questo libro cercherà innanzitutto di elaborare l’affermazione secondo cui lo sviluppo umano implica una partecipazione degli individui a comunità culturali, e può essere compreso solo alla luce delle pratiche culturali e delle condizioni di tali comunità, che sono anch’esse in continua evoluzione. Fino a oggi, lo sviluppo è stato studiato soprattutto in riferimento a teorie e ricerche condotte nelle comunità di classe media europee e americane, spesso considerandole universali e generalizzabili a tutti gli uomini. La variabilità delle aspettative riguardanti i bambini e il loro sviluppo acquista significato solo se teniamo in considerazione le diverse condizioni di vita e le specifiche tradizioni e pratiche cultuali. L’importanza dello studio dei processi culturali è divenuta evidente solo in anni recenti. Ciò è dipeso dai cambiamenti demografici che hanno favorito il contatto tra comunità diverse. La ricerca culturale è necessaria per superare le eccessive generalizzazioni secondo cui lo sviluppo procederebbe ovunque allo stesso modo. Lo scopo principale di questo libro è comprendere le “costanti” nella natura culturale dello sviluppo. Le costanti culturali dello sviluppo Per comprendere i processi che caratterizzano lo sviluppo dinamico degli individui e delle comunità, entrambi in continua evoluzione, dobbiamo individuare le costanti che spieghino le differenze osservate tra le comunità e il comportamento delle popolazioni umane sparse per il mondo. Confrontare le diverse pratiche culturali può aiutarci a divenire consapevoli dei processi culturali che hanno un ruolo nella nostra vita e in quella degli altri, qualunque sia la cultura che ci è più familiare. Altri modelli Poiché la ricerca culturale è ancora relativamente recente, lo studio di quali costanti culturali spieghino le somiglianze e le differenze tra le culture è ancora agli inizi, per quanto vi siano già diversi dati a nostra disposizione. Lo studio della natura culturale dello sviluppo: principi fondamentali Nel corso di questo volume, introdurrò una serie di principi fondamentali per descrivere i processi culturali, che fanno riferimento alla prospettiva storico-culturale. Questo approccio, diffusosi in America negli ultimi anni, sottolinea il ruolo dei processi culturali nello sviluppo del pensiero, della memoria, del ragionamento e della capacità di problem solving. Il fondatore di questo orientamento, Lev Vygoskij riteneva che lo studio

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dello sviluppo infantile dovesse considerare anche le influenze culturali, in quanto i bambini vivono sempre in una data società e in un dato periodo storico. Per comprendere le costanti culturali relative allo sviluppo, attribuendo un significato alle somiglianze e differenze che riscontriamo nelle pratiche culturali di ogni comunità, è importante considerare la nostra concezione dei processi culturali e del loro rapporto con lo sviluppo individuale. Questo paragrafo delinea alcuni principi introduttivi necessari per comprendere i processi culturali che intervengono nello sviluppo. Il principio fondamentale sovraordinato, secondo la mia visione della prospettiva storica e socioculturale è: lo sviluppo mano implica una partecipazione, sempre mutevole, alle attività socioculturali delle comunità in cui viviamo, anch’esse in continua evoluzione. Questo principio sovraordinato è alla base di altri principi fondamentali:

parte di una cultura o diamo per scontate le usanze del nostro tempo, fino a quando non entriamo in contatto con altre comunità culturali.

“per contrasto”. Siamo tutti “immersi” in processi culturali, che spesso ispirano comportamenti e costumi taciti, impercettibili o dati per scontati, che solo una mente molto aperta potrebbe rilevare e comprendere.

le differenze tra le varie comunità a una o due variabili. Ciò che è fatto in un modo in una certa comunità può essere fatto in un altro modo in un’altra comunità, con lo stesso effetto, e una stessa pratica può rivolgersi a diversi fini in diverse comunità. Per questa ragione, è essenziale comprendere il modo in cui le pratiche culturali si influenzano reciprocamente, dando originale a modelli culturali che danno senso alle variazioni e alle somiglianze osservate.

La storia di una comunità e i rapporti con le altre comunità sono parte di un processo culturale. La variabilità entro e tra le culture è una risorsa umana preziosa, che ci consente di essere preparati alle novità e agli imprevisti.

migliore” di fare le cose: studiare le diverse pratiche culturali non significa determinare quale sia “giusta”. Lo studio del comportamento in diverse condizioni e circostanze richiede un atteggiamento di apertura a diverse possibilità, che non si escludono necessariamente a vicenda. Apprendere da altre culture non significa rinunciare alle proprie usanze, bensì sospendere momentaneamente le proprie certezze e separare con cura lo studio dei fenomeni culturali da giudizi di valore. C’è sempre qualcosa da imparare. Nei paragrafi seguenti vedremo come sia possibile superarre le inevitabili “certezze” che ognuno porta con sé, basate sulle proprie esperienze personali, per estendere la conoscenza dello sviluppo individuale in modo da comprendere altre prospettive culturali. Superare gli assunti di partenza Come pesci, ignari dell’esistenza dell’acqua finché non se ne trovano fuori (citazione appositamente per Cry !!!, so che apprezzerai! Penso sempre a te! I LOVE YOU) , spesso diamo per scontato il modo in cui viviamo. Entrare in contatto con persone e modi di vita diversi può rendersi consapevoli di vari aspetti del comportamento, non evidenti finché non vengono meno o si manifestano in modo differente. Coloro che si “immergono” in una cultura diversa dalla propria, frequentemente sperimentano uno “shock culturale”. Le situazioni nuove che si trovano ad affrontare entrano in conflitto con ciò che hanno sempre

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presupposto, e può essere sconvolgente riflettere sulle proprie usanze o pratiche culturali come “possibilità” anziché modi “naturali” di agire. Uno degli scopi di questo libro è separare lo studio della natura culturale dello sviluppo da giudizi di valore. Lo studio di altri modelli culturali dovrebbe essere separato rispetto al giudizio sul loro valore. Oltre l’etnocentrismo e il modello deficitario Spesso consideriamo barbare le usanze di altri popoli, assumendo che il nostro punto di vista sia il solo a essere giusto, sensato o civile. Applicare giudizi di valore, dall’altro delle proprie credenze culturali, la modo di vivere di altre persone, senza considerare il significato nell’ambito della cultura cui fanno riferimento, è una forma di etnocentrismo. L’etnocentrismo implica un giudizio di valore secondo cui le usanze culturali di altri popoli background culturale, senza considerarne il significato acquisito all’interno della comunità in cui si sono formate. Le consuetudini e le credenze di un’altra cultura sono considerate inferiori, senza tener conto delle loro origini e del loro significato in funzione di quella particolare cultura. È una forma di pregiudizio in assenza di conoscenza appropriata. Separare le spiegazioni dai giudizi di valore Per studiare lo sviluppo, è necessario separare i giudizi di valore dall’osservazione dei fatti. È importante esaminare il significato e gli scopi degli eventi in base alla struttura e le proprietà della cultura locale, evitando scrupolosamente l’impostazione arbitraria dei propri valori agli altri gruppi. Interpretare il comportamento delle persone senza tener conto del loro sistema di significati e della loro prospettiva rende le osservazioni prive di significato. Ridurre l’etnocentrismo non significa evitare giudizi di valore consapevoli né escludere cambiamenti. Non significa neanche rinunciare alle proprie usanze per divenire come membri di un’altra cultura, o proteggere le altre comunità dai cambiamenti. Se andiamo oltre l’idea ce un solo modo di fare le cose sai il migliore, possiamo considerare la possibilità di altri punti di vista, legati a epoche o luoghi diversi, cercando di comprenderli e rispettarli. Ciò non significa che tutti i modi di agire siano positivi e condivisibili. Ciò che intendo dire è che i giudizi di valore dovrebbero essere ben informati. Spesso prendiamo decisioni che influenzano gli altri; se essi appartengono ad altre culture è essenziale, prima di giudicare, essere informati sul significato delle loro azioni, in rapporto alle loro usanze e priorità culturali. La diversità culturale, all’interno di un paese o tra diversi paesi, è una risorsa per la creatività e il futuro dell’umanità. Lo sviluppo può avere diverse finalità Riconoscere che gli obiettivi dello sviluppo, ciò che è considerato “maturo” e desiderabile, variano considerevolmente secondo le tradizioni e le condizioni culturali, è fondamentale per andare oltre il proprio sistema di assunti. L’idea di un’evoluzione culturale lineare L’assunto secondo cui l’evoluzione culturale progredirebbe verso una crescente differenziazione della vita sociale, a partire dall’arretrata semplicità dei popoli “primitivi”, è un retaggio del pensiero dominante tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. L’assunto in base al quale le società si sviluppano lungo una sola dimensione, da primitive ad avanzate, sopravvisse anche nella seconda metà del 900.

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Oltre l’assunto di un unico traguardo evolutivo Alcune incursioni di teorici e ricercatori in altre culture, e il crescente contatto tra individui provenienti da background differenti, hanno permesso di superare i presupposti etnocentrici. Le teorie e le ricerche oggi considerano in modo più attento il rapporto tra i vari obiettivi culturali e i modelli evolutivi ritenuti “ideali”. In ogni cultura, lo sviluppo è orientato verso finalità particolari, secondo le competenze promosse dalle istituzioni e tecnologie locali. Gli adulti incoraggiano l’assunzione di ruoli e l’esercizio di pratiche della propria comunità, o di quella che si aspettano in futuro, e i tratti personali considerati adatti a tali ruoli. Il necessario riconoscimento delle differenze culturali nella definizione degli obiettivi dello sviluppo non implica che ciascuna comunità abbia un unico tipo di valori o priorità. Anzi, questi variano regolarmente. Ciò che intendo sottolineare è che l’idea di un solo traguardo evolutivo desiderabile vada abbandonata, in quanto etnocentrica. In realtà lo stesso concetto di traguardo evolutivo deriva da un modo particolare di considerare l’infanzia, come preparazione alla vita. Per imparare sulle e dalle culture diverse dalla nostra, dobbiamo superare i presupposti etnocentrici dai quali partiamo. Spesso il primo passo, quello più difficile, è riconoscere che il nostro punto di vista è legato alla nostra esperienza culturale, e non è l’unico possibile né necessariamente il più giusto. Un atteggiamento aperto, che sospenda il giudizio sulle usanze proprie e altrui, è invece necessario per iniziare a comprendere l’influenza delle tradizioni e condizioni culturali sul comportamento familiare e sociale, e per prevenire a una conoscenza generale dello sviluppo umano, che prenda in considerazione le specifiche diversità oltre alle caratteristiche comuni. Apprendere dall’interscambio tra prospettiva esterna e interna Per studiare lo sviluppo al di là dei pregiudizi e considerando il punto di vista di altre comunità culturali, è essenziale promuovere le occasioni di dialogo e confronto tra chi si trova in una prospettiva interna e chi invece osserva il fenomeno dall’esterno. Il punto non è quale delle due prospettive sia corretta, entrambe possono aiutarci a pervenire a una migliore comprensione di ciò che osserviamo. È in genere riduttivo riferirsi agli individui come “membri” o “non membri” di una certa comunità non sono omogenee e non hanno confini precisi che consentano di determinare cosa sia “dentro” e cosa sia “fuori”. Lo studio del comportamento umano richiede dunque che coloro che sono familiari con diverse culture uniscano le loro differenti osservazioni. Ciò che definiamo “verità” è semplicemente l’accordo in un certo momento su ciò che ci appare utile per comprendere il mondo che ci circonda, accordo che è sempre suscettibile di revisione. Il progetto della conoscenza dipende da continui tentativi di attribuire significato a prospettive differenti, tenendo conto delle esperienze personali e della posizione degli osservatori. La prospettiva dall’esterno Quando cercano di studiare una comunità, gli osservatori esterni incontrano difficoltà dovute alla reazione della gente nei loro confronti. L’identità di straniero non è “neutrale”, ma consente di accedere solo ad alcune situazioni e suscita specifiche reazioni in sua presenza. In altri casi, un osservatore può essere accolto con interesse e ospitalità, il che può essere piacevole ma anche fare in modo che egli divenga parte degli eventi osservati.

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La prospettiva dall’interno L’interpretazione di una data situazione riflette inevitabilmente il periodo storico in cui viviamo e le nostre esperienze personali. Le persone agiscono in modo diurne se pensando di essere osservate: la sola presenza di un osservatore (o di una videocamera) influenza il loro comportamento. Al pari degli osservatori esterni, anche chi partecipa alla vita della comunità non ha affatto una posizione neutrale. Inoltre, chi vive in comunità relativamente omogenee difficilmente si soffermerà o persino noterà fenomeni che potrebbero invece interessare un osservatore esterno. Da una visione locale a una globale Il dilemma sta nel fatto che, perché una ricerca sia valida, essa deve da un lato riflettere il fenomeno da una prospettiva che tenga conto del significato locale, e dall’altro andare oltre la semplice descrizione dettagliata di un certo luogo. Il problema è quello di combinare efficientemente la conoscenza approfondita delle persone e delle situazioni studiate e l’esigenza di andare oltre le particolarità per avanzare affermazioni più generali sul fenomeno. Prenderemo ora in considerazione due modalità di ricerca, che consentono di pervenire a una visione più globale di un fenomeno particolare. La prima raccoglie una serie di osservazioni e interpretazioni che mirano a un attivo progresso di conoscenza. La seconda prende in considerazione il significato di situazioni “simili” in diverse culture. L’approccio etico derivato Il processo di verifica approfondita e a mente aperta dei propri assunti e delle proprie conoscenze alla luce di nuove informazioni è essenziale per studiare i processi culturali. La distinzione proposta da John Berry tra approccio emico, etico imposto ed etico derivato alla ricerca culturale è preziosa per comprendere questo processo di revisione. 1) Nell’approccio EMICO, il ricercatore cerca di rappresentare il punto di vista culturale degli appartenenti alla comunità, in genere attraverso numerose osservazioni e partecipando alla vita della comunità. La ricerca emica perviene a un’analisi approfondita di una data comunità. La ricerca etica imposta ed etica derivata mirano a generalizzare o confrontare due o più gruppi, differendo nella sensibilità alle informazioni emiche. 2) Nell’approccio ETICO IMPOSTO, il ricercatore propone una serie di affermazioni sul comportamento umano nelle diverse culture, “imponendo” assunti culturali inappropriati. Le teorie e le procedure non vengono sufficientemente adatte alla cultura o al tipo di fenomeni studiati, e benché si riesca comunque a “raccogliere dati”, i risultati non sono interpretabili, né sono congruenti alla situazione della comunità studiata.(per esempio la somministrazione di questionari, la codifica del comportamento o la valutazione attraverso test senza considerare la necessità di modificare le procedure interpretative per adattarle alla prospettiva dei partecipanti alla ricerca). L’approccio etico imposto non offre prove sufficienti sulla validità degli assunti del ricercatore. 3) Nell’approccio ETICO DERIVATO, il ricercatore adatta il modo di porre domande, di osservare e interpretare alla prospettiva dei partecipanti. Ne consegue un tipo di ricerca che è informata dalle ricerche emiche su ogni gruppo studiato, cercando di comprendere il significato dei fenomeni osservati. La ricerca culturale mira a comprendere le culture studiate, adattando le proprie procedure e modalità interpretative alla luce di quanto appreso, e rivedendo le teorie per riflettere i modelli significativi osservati. L’approccio etico derivato è essenziale per discernere i modelli culturali nella varietà di usanze e tradizioni umane.

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4) Può essere utile considerare ogni punto di partenza nello studio di qualcosa di nuovo come originato da un approccio ETICO IMPOSTO. Noi partiamo sempre da ciò che già conosciamo. Se ciò è informato da osservazioni emiche, unite allo sforzo di andare oltre gli assunti di partenza, possiamo avvicinarci a una comprensione etica derivata. Il significato di una “stessa “ situazione in diverse culture Ogni confronto tra diverse comunità culturali deve tenere conto della somiglianza dei significati, e della comparabilità delle situazioni osservate. Perché vi sia comparabilità, non basta assicurarsi che lo stesso tipo di persone sia presente o che vengono seguite le stesse istruzioni, dal momento che il significato di un particolare insieme di ruoli può variare di luogo in luogo. Oltre a considerare chi è presente, il confronto dovrebbe tener conto di cosa fanno insieme le persone, a quale scopo, e in che modo ciò che fanno riflette le loro pratiche e tradizioni culturali. Inevitabilmente, va considerato il significato attribuito a quanto osservato. Sono stai sollevati seri dubbi persino sulla possibilità stessa di confrontare le situazioni nelle ricerche transculturali, poiché il concetto di comparabilità presuppone che tutto eccetto ciò che ci interessa sia mantenuto costante. L’enfasi sulla funzione del comportamento evidenzia che ci si può comportare in diversi modi per raggiungere gli stessi scopi, e che comportamenti simili possono servire a diversi scopi. Sebbene in tutto il mondo ogni comunità debba affrontare gli stessi problemi, comuni all’intera specie umana e legati al nostro patrimonio biologico e culturale, ciascuna può, in concreto, ricorrere a mezzi simili per scopi diversi, e a mezzi diversi per scopi simili. Lo sviluppo umano implica una partecipazione degli individui alla vita socioculturale delle loro comunità, anch’esse in continua evoluzione.

2) LO SVILUPPO COME PARTECIPAZIONE DINAMICA AD ATTIVITA’ CULTURALI

Questo capitolo passerà in rassegna i problemi sollevati dalle teorie dell’epoca, in rapporto alla visione dei processi individuali e culturali. Un errore fondamentale consisteva nel voler separare “l’individuo” da resto del mondo, attribuendogli una serie di caratteristiche generali, solo secondariamente “influenzate” dalla cultura. Teoria storico-culturale: dal mio punto di vista (autore) lo sviluppo è un processo in cui gli individui si evolvono partecipando a una serie di attività culturali, contribuendo a loro volta all’evoluzione delle loro comunità nel corso delle generazioni. I problemi delle prime ricerche transculturali Negli anni sessanta e settanta, gli psicologi transculturali cercano di applicare i test cognitivi sviluppati in America e in Europa ai bambini di altri paesi. Questi test si basavano in genere sulla teoria evolutiva di Jean Piaget, o comunque erano test di classificazione, logica e memoria. L’obiettivo era usare strumenti di misura slegati dalle attività quotidiane, per esaminare le abilità degli individui indipendentemente delle loro conoscenze precedenti. (esempio, quantità di acqua riversata in recipienti di forma diversa) Alla base vi era la convinzione che la competenza “reale” delle persone, che si ipotizzava caratterizzasse la loro abilità a destreggiarsi nelle diverse situazioni, dovesse essere studiata attraverso problemi insoliti, di cui non si conoscessero in anticipo le modalità risolutive. Il livello di competenza era considerato una

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caratteristica personale generale, fondante quasi ogni aspetto del comportamento, senza tenere conto delle variazioni tra le varie situazioni. In questo contesto, le ricerche transculturali erano utilizzate soprattutto per esaminare quali fattori, col variare delle condizioni, avrebbero indotto una maggiore “competenza”. Lo sconcerto dei ricercatori nasceva dalla constatazione che le stesse persone che ottenevano scarsi risultati ai test cognitivi mostravano notevoli capacità di ragionamento e memoria in altri contesti. Per spiegare tali differenze nel grado di abilità mostrato nelle diverse situazioni, i ricercatori provarono innanzitutto a rendere più familiari il contenuto e la forma dei test, per ottenere risposte più “reali” e maggiormente aderenti alle abilità sottostanti. Inoltre, cercarono di ripartire il concetto di abilità cognitiva in diverse “aree” (esempio, conoscenze biologiche e fisiche, abilità verbali e non verbali) in moda da ridurre la discrepanza tra le varie situazioni. La disponibilità ad accettare una premessa che non può essere verificata, e a ragionare su di essa, è tipicamente “scolastica”. Questo tipo di test di abilità logica, riflette un addestramento piuttosto specifico a forma linguistica che spesso i ricercatori danno per scontata, avendo essi stessi una formazione scolastica. Critica al principio di generalizzazione In cerca di un nuovo modo di concettualizzare il rapporto tra lo sviluppo e cultura, i ricercatori appartenenti all’orientamento culturale si resero conto che il problema era in parte legato alla credenza diffusa che i processi individuali e culturali fossero fattori generali. Molti autori iniziarono a criticare l’idea di un progresso infantile che si compie attraverso stadi evolutivi generali, osservando che, di fatto, le persone non pensano né si relazionano agli altri secondo un modello generale, applicabile a ogni situazione e circostanza. Un altro limite era quello di considerare la cultura come un’entità rigida e monolitica. Recentemente, sono state proposte diverse teorie sul rapporto tra sviluppo individuale e processi culturali, che considerano in modo più specifico gli aspetti individuali e culturali. Non condivido affatto la tendenza tuttora diffusa di considerare individui e processi culturali come due entità separate e indipendenti. Il rapporto tra sviluppo individuale e culturale alcuni modelli Il lavoro pionieristico di Margaret Mead ha mostrato che i momenti di attività condivisa, più o meno intenzionalmente “educativi”, hanno sempre conseguenze sullo sviluppo. Molte ricerche, sulla stessa scia, hanno contribuito a definire il rapporto tra sviluppo individuale e processi culturali. Per descrivere il modo in cui questa relazione è stata concettualizzata, presenterò due orientamenti fondamentali: il modello psicoculturale di Whiting e Whiting e la teoria ecologica di Bronfenbrenner.

Il modello psicoculturale di Whiting e Whiting: il modello psicoculturale studia il rapporto tra sviluppo individuale da un lato e aspetti ambientali immediati, partner sociali, valori culturali e sistemi istituzionali dell’altro. Secondo tale prospettiva, per comprendere lo sviluppo è necessario acquisire dettagliate informazioni sulle situazioni in cui esso ha luogo. Il modello degli Whiting è orientato a uno studio più approfondito dei processi culturali. Beatrice Whiting evidenziò che l’insieme di situazioni che vive il bambino, e le persone che incontra, ne influenzano in modo determinante il corso dello sviluppo.

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Secondo Whiting e Whiting lo sviluppo è il prodotto di una serie di condizioni sociali e culturali in cui è immerso il bambino. La serie inizia con l’ambiente, quindi procede con la storia, i sistemi di sussistenza e l’ambiente di apprendimento del bambino. Infine , la serie giunge all’individuo, comprendendo fattori innati. Alla base di questo modello si assume un rapporto di casualità tra i vari fattori. La rappresentazione grafica da loro utilizzata contiene implicitamente una serie di assunti limitanti sul rapporto tra individuo e cultura. La serie composta da categorie tra loro indipendenti, e le frecce indicano che ciascuna determina la successiva. Pertanto, i processi individuali e culturali sono considerati “come se” esistessero indipendentemente l’uno dall’altro, con fattori culturali che determinano le caratteristiche individuali, in un rapporto di causa-effetto.

La teoria ecologica di Bronfenbrenner: anche il modello ecologico ha apportato un contributo importante allo studio degli aspetti culturali dello sviluppo. Bronfenbrenner ha sottolineato il ruolo delle interazioni tra organismo e ambiente, entrambi in continua trasformazione. In questa prospettiva, l’ambiente è costituito tanto dai contesti di cui si ha diretta esperienza, quanto dai sistemi culturali e sociali, che pongono in relazione situazioni diverse, quali la casa, la scuola e il luogo di lavoro. Bronfenbrrenner era interessato a specificare le proprietà e le condizioni degli ambienti fisici e psichici che favoriscono o ostacolano lo sviluppo all’interno delle “nicchie ecologiche” in cui vive una persona. Egli ha definito l’ecologia dello sviluppo umano come lo studio scientifico del progressivo adattamento reciproco tra un essere attivo che sta crescendo e le proprietà, mutevoli, delle situazioni ambientali immediate in cui l’individuo in via di sviluppo vive, anche nel senso di definire come questo processo è determinato dalle relazioni esistenti tra le varie situazioni ambientali e dai contesti più ampi di cui le prime fanno parte.

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Benché questa definizione affermi che la persona e i contesti si influenzino reciprocamente, in altri punti del libro gli individui vengono considerati il prodotto delle situazioni che vivono direttamente e di contesti più “ampi”. Bronfenbrenner ha rappresentato la sua teoria ecologica con una serie di cerchi concentrici, come bambole russe in cui la più grande include la più piccola. Lo schema a cerchi concentrici di Bronfenbrenner evidenzia come gli individui e i contesti più ampi sono separati e possono essere definiti indipendentemente, in modo che i contesti più “ampi” influenzano quelli più “ristretti”, che a loro volta influenzano lo sviluppo della persona. Nel sistema di Bronfenbrenner, il cerchio centrale, il più piccolo, è il più vicino all’esperienza immediata dell’individuo. I cerchi più grandi si riferiscono alle situazioni che esercitano un’influenza meno diretta senza che vi sia una diretta partecipazione della persona. vengono distinti quattro sistemi ecologici:microsistemi, mesosistemi, ecosistemi e macrosistemi. Il modello di Bronfenbrenner ha apportato un prezioso contributo, in particolare, nel sottolineare il ruolo delle relazioni tra molteplici situazioni e contesti, che coinvolgono direttamente o indebirettamente i bambini e le loro famiglie. Nondimeno, la separazione dei sistemi ecologici, implicita nel modello a cerchi concentrici, rappresenta in modo riduttivo il rapporto tra processi individuali e culturali. Contributi successivi Le teorie e le ricerche dei coniugi Whiting e di Bronfenbrenner hanno rappresentato un punto di riferimento per l’intero ambito di studio sulle relazioni tra cultura e sviluppo umano.

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Problemi nella rappresentazione grafica del rapporto tra individuo e cultura Io ritengo invece che sia importante modificare l’aspetto dei grafici, per rappresentare l’idea che i processi individuali e culturali in realtà si strutturano reciprocamente. Diagrammi a frecce e a cerchi concentrici sono limitanti e fuorvianti, in quanto rappresentano la persona e la cultura come due entità separate. Poiché la rappresentazioni grafiche giocano un ruolo fondamentale nel modo di concettualizzare i fenomeni che studiano, è necessario ricorrere ad altre modalità per rappresentare l’interazione tra cultura e sviluppo, superando il presupposto che siano separati o indipendenti, o che l’una “influenzi” l’altro. La teoria storico-culturale (vygotskij) A differenza di molte teorie dello sviluppo che considerano separatamente l’individuo e il contesto socio-culturale, l’approccio storico-culturale propone di considerare lo sviluppo individuale nel suo contesto storico, sociale e culturale, senza distinguere i due aspetti. Secondo Vygotskij, il comportamento dell’individuo non è separabile dal tipo di attività e dalle istituzioni cui prende parte. Nella sua prospettiva, pensare significa imparare a usare specifici strumenti culturali materiali e simbolici. Vygotskij riteneva che i bambini, da un punto di vista cognitivo, apprendessero a usare una serie di “strumenti culturali” nel corso delle interazioni con partner più competenti, all’interno di una zona di sviluppo prossimale. Interagendo con gli altri in attività cognitive complesse, che richiedono l’uso di strumenti cognitivi culturali, il bambino può portare a termine il compito in modo indipendente, adattando tali strumenti ai propri obiettivi. Le interazioni nella zona di sviluppo prossimale consentono al bambino di partecipare ad attività che non avrebbe potuto affrontare da solo, attraverso strumenti culturali che dovranno di volta in volta essere adattati al particolare compito in corso. Gli strumenti culturali vengono quindi ereditati dalle precedenti generazioni e trasformati dalle successive. La cultura non è un contesto statico, ma si forma dall’incontro e dall’interazione tra le persone, che utilizzano e adattano gli strumenti materiali e simbolici ereditati dal passato e, nel contempo, ne creano di nuovi. Lo sviluppo individuale è intersecamento radicato nello sviluppo storico della specie e delle comunità culturali, in rapporto alle opportunità di apprendimento che si presentano continuamente nella vita di tutti i giorni. Lo sviluppo procede a diversi livelli temporali:al ritmo dei cambiamenti della specie, dei mutamenti storici e sociali, delle vite individuali e dei singoli momenti di apprendimento. Nella prospettiva socioculturale emergente la cultura non è qualcosa che influenza gli individui. Piuttosto, gli individui contribuiscono a organizzare i processi culturali, e i processi culturali concorrono a formare le persone. Individuo e cultura si strutturano reciprocamente, e non sono concepibili separatamente. Lo sviluppo come partecipazione dinamica ad attività socioculturali Lo sviluppo è un processo in cui gli individui partecipano alle attività socioculturali della loro comunità. Essi ereditano pratiche e tradizioni culturali dal passato, e contribuiscono attivamente a svilupparne di nuove. Lo sviluppo individuale, anziché essere legato alla cultura da un rapporto di “influenza” reciproca, consiste in un’attiva partecipazione ad attività definite culturalmente, che a loro volta si evolvono nel corso delle generazioni grazie al contributo dei singoli individui. Interagendo con gli altri, gli essere umani utilizzano e perfezionano i costumi e le pratiche culturali ereditati dalle precedenti generazioni, e nel contempo partecipando al processo di trasformazione di usanze, strumenti e istituzioni culturali. Tenere il nostro focus analitico informato su ciò che accade nello sfondo può rendere più agevole il confronto tra le ricerche e le discipline che partono da prospettive differenti. Un aspetto fondamentale del mio modello è l’enfasi accordata ai processi legati al comportamento umano.

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Per rendere giustizia all’idea reciprocità e dinamicità dei processi individuali, interpersonali e culturali, si dovrebbe considerare la figura come un’istantanea di un filmato in movimento.

3) INDIVIDUI, GENERAZIONI E COMUNITA’ CULTURALMENTE DINAMICHE

La natura “biologicamente culturale! Degli esseri umani Il ben noto dibattito natura/cultura oppone biologia e cultura, sostenendo che , se qualcosa è culturale, non può essere biologico, e viceversa. Questa separazione artificiale tra biologia e cultura, a mio avviso, non coglie la natura “biologicamente culturale” degli esseri umani. Spesso il dibattito natura/cultura attribuisce le somiglianze di comportamento alla biologia e le differenze alla cultura. I processi umani fondamentali (come l’apprendimento del linguaggio) sarebbero inizialmente biologici, uguali per tutti, e solo in seguito il contratto con una particolare cultura indurrebbe variazioni superficiale(esempio la particolare lingua parlata dall’individuo). Tuttavia, ritengo inesatto affermare che gli universali siano biologici e le differenze culturali. Gli uomini hanno molto in comune sia dal punto di vista biologico che culturale: tutti noi camminiamo su due gambe, comunichiamo attraverso il linguaggio ecc. Inoltre ciascuno di noi presenta differenze e peculiarità dal punto di vista biologico e culturale, per esempio nell’acuità visiva, nella forza, nei progetti familiari, nel modo di guadagnarsi da vivere ecc. Nello studio dello sviluppo, è essenziale comprendere in che cosa esso sia simile nelle varie culture e in cosa differisca. La teoria di Vygotskij può aiutarci a comprendere la natura integrata e dinamica dello sviluppo individuale, biologico e culturale. Vytgotskij ha proposto di studiare 4 livelli evolutivi interconnessi, che riguardano il rapporto tra individuo e ambiente a diversi intervalli temporali:sviluppo micro genetico, ontogenetico, filogenetico e storico-culturale. Tradizionalmente, gli psicologi dello sviluppo si sono soffermati esclusivamente sullo sviluppo ontogenetico, che comprende la vita di un singolo individuo, in particolare il periodo dell’infanzia. Tuttavia, vi sono altri 3 livelli evolutivi da considerare, corrispondenti a diversi intervalli temporali: lo sviluppo filogenetico, rappresentato dai lenti cambiamenti genetici che caratterizzano la storia evolutiva della specie umana, nel corso di secoli e millenni; lo sviluppo storico – culturale, che ha luogo nell’arco di decenni o secoli e produce strumenti materiali e simbolici, valori, regole e documenti; lo sviluppo micro genetico, che si riferisce all’apprendimento continuo degli individui in un dato contesto, in base alla loro eredità genetica e storico-culturale. Questi livelli evolutivi sono inscindibili:i comportamenti degli individui generano pratiche culturali che a loro volta organizzano lo sviluppo degli individui stessi. Lo sviluppo è intrinsecamente radicato nell’eredità che gli uomini condividono alla nascita, in quanto membri della specie e della loro comunità. Pertanto, è fuorviante stabilire una dicotomia tra “natura! E “cultura”, come influenze separate sullo sviluppo. I bambini vengono al mondo equipaggiati con schemi d’azione, preferenze e tendenze nell’apprendimento, in base ai geni e all’esperienza prenatale. Allo stesso tempo, le nuove generazioni contribuiscono alla trasformazione delle pratiche e istruzioni culturali e alla stessa evoluzione biologica. Due prospettive di ricerche sullo sviluppo umano mostrano in modo particolarmente efficace l’interazione tra processi biologici e culturali. La prima riguarda la predisposizione del neonato ad apprendere dagli altri, mentre la seconda indaga le differenze di genere. In ambedue i casi, gli aspetti biologici e culturali giocano

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entrambi un ruolo decisivo, sia nei fenomeni comuni all’intera specie umana che nelle usanze specifiche di ciascuna comunità.

Predisposizione dei neonati all’apprendimento: alla nascita, il bambino è predisposto ad apprendere dal comportamento di chi lo circonda. L’apprendimento umano è facilitato da un’infanzia particolarmente lunga. In questa precoce fase evolutiva i bambini possono imparare gli usi e i costumi della propria comunità con grande flessibilità. Gli esseri umani apprendono dalla cultura in cui vivono già prima di nascere. L’esperienza maturata quand’era feto consiste al neonato di individuare molti aspetti della sua vita prenatale. È in grado di riconoscere la voce della madre, di distinguere tra racconti familiari e sconosciuti ecc. La rapidità di sviluppo del linguaggio del bambino dipende sia dalla capacità di percepire differenze del linguaggio sia dall’esperienza dell’ascolto delle conversazioni degli altri. Nel corso del primo anno, egli diviene sempre meno sensibile alle differenze tra i suoni che ascolta raramente, mentre presta sempre più attenzione alle caratteristiche proprie della lingua parlata sa chi gli sta attorno. Fino a sei mesi, in ogni parte del mondo, la lallazione dei bambini si basa sugli stessi suoni comuni a tutte le lingue. Ma tra 6 mesi e 1 anno, i bambini si “specializzano” nella loro lingua madre, e cominciano ad abbandonare i suoni che essa non utilizza. La predisposizione infantile a prestare attenzione alle differenze nel linguaggio ha probabilmente origine da processi sia biologici che socio-culturali, nel corso dell’evoluzione della specie umana. L’apprendimento del linguaggio, inoltre, è favorito dagli aspetti biologici e culturali, tipici dell’uomo, che consentono al bambino di ascoltare la lingua natia e comunicare con gli altri. Il comportamento del bambino va considerato alla luce della relazione – biologica e insieme culturale, instaurata con le persone che lo accudiscono, e delle usanze culturali che incoraggiano la sua partecipazione alla vita di comunità. Nel corso dell’infanzia, il bambino partecipa sempre più attivamente alle attività socioculturali, perfezionando il modo di gestire le relazioni con gli altri, grazie alla giuda dei genitori e di chi lo circonda. Egli apprende i ruoli e le usanze della comunità relazionandosi agli altri, che organizzano il processo di apprendimento, lo guidano nelle attività condivise, e lo aiutano ad adattare il livello di partecipazione al grado di competenza raggiunto. Nella nostra specie, ogni generazione viene al mondo predisposta ad adottare gli usi e costumi dei nostri antenati grazie alla condivisione di una serie di attività promosse culturalmente. Lo sviluppo delle differenze di genere e dei ruoli ad esse associati illustra in modo particolarmente efficace la natura “biologicamente culturale” dello sviluppo umano.

A cosa servono le differenze di genere?: un acceso dibattito ruota intorno alla questione de le differenze di genere siamo inevitabili, da un punto di vista biologico, oppure se siano plasmabili dalla cultura. Da quanto visto in precedenza, dovrebbe essere chiaro che io ritengo che essi si basino su processi sia biologici che culturali. Le due comuni spiegazioni delle differenze nei ruoli di genere, spesso considerate in competizione, a mio avviso possono rivelarsi entrambe valide 1) Predisposizione biologica ai ruoli di genere: la tesi della predisposizione biologica sostiene che la procreazione maschio-femmina implichi strategie riproduttive molto diverse, che si estendono anche ad altri aspetti della vita. Secondo questa prospettiva, la principale motivazione del comportamento animale (incluso quello degli uomini) sarebbe l’istinto di

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sopravvivenza dei propri geni. Le differenze di genere deriverebbero dal maggior investimento nella cura dei bambini delle donne rispetto agli uomini, in termini di tempo e risorse. Per far sì che il bambino cresca e possa riprodursi a sua volta, la donna investe nove mesi di gravidanza, due - tre anni di cure esclusive e molti altri anni per proteggere il bambino e insegnargli a sopravvivere. L’uomo, dal canto suo, per consentire che i suoi geni sopravvivano, assiste la donna nelle cure del bambino, fornendo risorse e protezione a entrambi. Secondo la tesi della predisposizione biologica, uno dei possibili ostacoli alla piena assunzione della responsabilità del bambino da parte del maschio è rappresentata dal fatto che egli non può essere sicuro che il figlio sia suo (a differenza della donna). Per investire nella relazione con il bambino l’uomo vuole essere sicuro della sua paternità, e ciò spiegherebbe buona parte dei valori culturali che ruotano intorno alla verginità e all’attività sessuale. Nello stesso tempo, le donne “controllano” l’accesso alla riproduzione genetica da parte degli uomini. Per raggiungere questo scopo, il maschio deve compiere atti coraggiosi e convincere la donna di poterle garantire maggiori risorse o protezione rispetto agli altri maschi. Questo, secondo la tesi della predisposizione biologica, spiegherebbe la competizione tra i maschi e il loro maggior grado di abilità in certe attività. Benché spesso poste in competizione, la tesi della predisposizione biologica e quella dell’addestramento ai ruoli di genere non si escludono necessariamente a vicenda. Anzi, è difficile immaginare che non interagiscano in qualche modo. 2) “Addestramento” ai ruoli di genere: la prospettiva dell’ “addestramento ai ruoli di genere” sostiene che i bambini sviluppano ruoli sessuali distinti a seconda dei modelli cui sono esposti nella vita di tutti i giorni, e del rinforzo positivo o negativo di comportamenti legati al genere. Le differenze di genere sono probabilmente promosse da una disparità nei compiti normalmente assegnati ai maschi e alle femmine sin da tenera età. I bambini sono continuamente in cerca di regole comportamentali basate sulle categorie salienti della propria cultura. Da questo punto di vista, i bambini sono ancora più conservatori circa le differenze di genere rispetto agli stessi adulti. Essi ricercano regole, e se ritengono di averne individuata una, la applicano più fedelmente rispetto agli adulti, spesso ignorando o tralasciando i casi contrari. Il bambino è circondato da indicazioni rispetto ai ruoli di genere considerati più appropriati nel proprio contesto culturale. Le fonti sono molteplici: genitori, fratelli,amici, insegnanti, e in particolare i mass media. Il sottile condizionamento cui sono quotidianamente esposti i bambini piccoli ha probabilmente un impatto rilevante, proprio perché è dato per scontato. Pertanto, la tesi secondo cui i bambini “imparano” a comportarsi secondo precise indicazioni di genere sottolinea che le informazioni sulle aspettative circa i ruoli sessuali sono pervasive e non si manifestano solo in forma di lezioni o regole finalizzate a tale scopo, ma sono veicolare anche dal diverso trattamento cui sono quotidianamente sottoposti i bambini e bambine, uomini e donne. Lo scopo di questo paragrado è sottolineare l’origine dei ruoli di genere è a un tempo biologico e culturale, e che i processi biologici e culturali non vanno considerati in opposizione. Possiamo considerare la predisposizione biologica e l’addestramento sociale ai ruoli di genere come sue facce dello stesso processo, viste da differenti prospettive temporali. Secondo la prospettiva socioculturale, lo studio dell’interazione tra fattori biologici e culturali, e della loro influenza sulle pratiche culturali può rendere conto della disposizione ad apprendere dei bambini, delle differenze di genere e di altri aspetti dello sviluppo.

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La partecipazione dell’individuo a comunità culturali dinamiche Nello studio del rapporto tra individui e comunità, vi è la tendenza diffusa a ricorrere a singole categorie, spesso di tipo etnico o razziale, per classificare una persona. Nel prossimo paragrafo, valuteremo i problemi insiti nel considerare la cultura principalmente come una categoria identificativa. Propongo invece di considerare i processi culturali come usanze e tradizionali di comunità culturali dinamicamente interconnesse, cui gli individui partecipano nel corso delle generazioni. La cultura come proprietà categoriale individuale o come processo di partecipazione a comunità culturali dinamicamente interconnesse A un approccio categoriale allo studio della cultura, ritengo sia preferibile un modello che sottolinei la partecipazione degli individui al contesto culturale, evidenziando la natura dinamica e in continua evoluzione sia degli individui che delle comunità. Le usanze culturali (es. lingua, religione, forma di stato e di governo, ruoli di genere ecc) rivestono dunque un ruolo centrale, sia per l’individuo che per la comunità.

Problemi di variabilità, sovrapposizione e suddivisione in sottogruppi nell’approccio categoriale alla cultura: le categorie identificative fanno spesso riferimento alla nazionalità di origine dell’individuo, sottovalutando importanti differenze all’interno delle stesse nazioni che, se si guarda con più attenzione possono essere facilmente registrate. La suddivisione dei gruppi in sottogruppi può procedere all’infinito, fino al livello più basso, quello del singolo individuo. Tuttavia, così procedendo, le caselle e le sottocaselle diverrebbero cos’ numerose che l’intera indagine crollerebbe sotto il suo stesso peso. Il problema svanisce se anziché pensare alla cultura come un insieme di categorie o fattori, la si considera nei termini di una partecipazione dinamica degli individui.

Le comunità culturali: il concetto di comunità culturale è essenziale al mio p roposito di andare oltre una visione dell’identità categoriale come proprietà statica dell’individuo. Esso richiama l’attenzione sulla partecipazione dinamica degli individui ai processi culturali che caratterizzano una determinata comunità. Una comunità può essere definita come un gruppo di persone che condividono stabilmente una stessa struttura sociale, usanze, tradizioni, conoscenze, valori. Una comunità comprende un insieme di persone che cooperano per uno scopo comune, condividendo una serie di usanze con un certo grado di stabilità. Essa implica comunicazioni strutturate abbastanza durature e significati condivisi ed è caratterizzata da una serie di usanze e tradizioni che trascendono i singoli individui che vi partecipano nel corso delle generazioni. Una comunità comprende diverse generazioni e prevede una serie di strategie per gestire le transizioni tra esse. Per continuare a sopravvivere, essa deve inoltre adattarsi ai tempi che cambiano, cercando di raggiungere un compromesso tra innovazione e rispetto dei valori fondamentali. Una comunità è composta da persone che si confrontano e interagiscono in rapporto a una storia condivisa.

Variabilità prevedibile all’interno delle comunità e partecipazione simultanea a diverse comunità: una certa variabilità tra gli individui che compongono una comunità è normalmente prevedibile. Le

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persone non hanno esattamente lo stesso passato, stessi punti di vista, stesse usanze o stessi obiettivi. Sono le usanze in comune, che chi partecipa a una comunità condivide che io considero “cultura”. Le persone spesso partecipano a più di una comunità, e le diverse usanze culturali possono sovrapporsi o entrate in conflitto. Oltre che con la “comunità nazionale”, gli individui si identificano con tradizioni e usanze culturali di diverse comunità. Nel corso del libro, utilizzo di proposito il termine partecipazione, anziché appartenenza a una data comunità. “appartenere” a un gruppo normalmente richiede l’adesione della persona a rientrare in certi confini stabiliti. Invece, le persone possono “partecipare” a una comunità culturale anche senza divenirvi “membri”.

Generalizzazioni riguardo a persone e processi: sono oggi ben pochi i dati che abbiamo a disposizione per poter determinare il grado di generalizzazione delle osservazioni. Pertanto, ritengo che si dovrebbero considerare i risultati di un particolare studio come attinenti esclusivamente al gruppo specifico studiato, a meno che un numero sufficiente di ricerche condotte in altre comunità consenta di generalizzare il principio con ragionevole fiducia. Dovremmo inoltre rivolgere la nostra attenzione al problema della generalizzazione e rappresentatività dei processi culturali, non solo dei gruppi, come avviene nell’approccio categoriale. Ritengo che la cultura vada studiata in una prospettiva dinamica, superando l’approccio statico implicito nella categorizzazione delle persone in gruppi omogenei. Lo scopo di questo libro è descrivere alcune pratiche culturali, individuate in alcune pratiche culturali, individuate in alcune aree classiche dello sviluppo, quali le relazioni sociali, lo sviluppo cognitivo e i processi di socializzazione. Il caso delle comunità culturali “americane” Usanze, tradizioni, valori e credenze delle comunità “americane” possono essere meno visibili a chi condivide questo retaggio culturale, proprio perché chi è parte di un’estesa maggioranza spesso dà per scontato il modo in cui vive. I rapporti abituali tra le persone, col tempo, diventano regole e schemi prevedibili, istituzionalizzati, che gli individui tendono a giudicare “esterni” al proprio comportamento. Tali istituzioni rappresentano abiti culturali, in cui le innovazioni introdotte dalle generazioni precedenti sono utilizzate nella vita di tutti i giorni, senza accordarvi troppo peso. Chi ha sperimentato la diversità nella propria vita, ha molte più probabilità di divenire consapevole dei processi culturali che lo circondano. Evoluzione di individui e comunità nel corso delle generazioni Per rappresentare il continuo processo in cui gli individui e le comunità si condizionano a vicenda, ritengo necessario considerare la partecipazione alle comunità come un processo generazionale: alcune continuità con il passato sono preservate, mentre le nuove generazioni trasformano altra parte di quanto “ereditato” dalle precedenti. Nel corso dei millenni, le comunità hanno continuamente adattato e modificato le loro usanze conservando al tempo stesso le tradizioni delle precedenti generazioni. Si sono scambiate idee per perfezionare le loro strategie di sopravvivenza e raffinare le forme di espressione artistica. Le persone possono prendere in prestito e al contempo integrare le conoscenze di altre comunità. Concetti tratti da tre esempi:

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1) Nei decenni e nei secoli, gli individui e le comunità culturali tramandano e nel contempo trasformano le tradizioni che hanno ereditato. Le comunità mantengono alcune usanze e ne modificano altre, grazie al contributo di singoli individui e di altre comunità

2) Il fatto che un particolare individuo possa introdurre nuove parole è un buon esempio di processo generazionale di mutua costituzione di uno strumento culturale.

3) Le lingue che oggi usiamo per esprimere le nostre idee si sono formate grazie al contributo delle generazioni passate e delle genti di altri paesi, e noi stessi abbiamo un ruolo nella loro perpetuazione e trasformazione. In questo capitolo, ho sottolineato il ruolo dei cambiamenti cui vanno incontro le comunità culturali nel corso delle generazioni, per comprendere l’interazione tra comunità culturali e individui. Un individuo che partecipa alla vita quotidiana della sua comunità far riferimento a pratiche e tradizioni ereditate dai suoi antenati, contribuendo a tramandarle e nel contempo a svilupparne di nuove.

4) EDUCAZIONE E CURA DEL BAMBINO IN FAMIGLIA E NELLA COMUNITA’

L’immaturità dei neonati, nella specie umana, richiede cure attente e prolungate per garantire la loro sopravvivenza, e i bambini stessi nascono predisposti ad apprendere dagli adulti della propria comunità come sopravvivere da soli. Il ruolo della famiglia e della comunità nello sviluppo del bambino differisce in modo piuttosto evidente nelle varie parti del mondo. Cause importanti di variabilità culturale sono riconducibili alla probabilità di sopravvivenza o di morte del bambino, alla presenza di fratelli e di una famiglia allargata, all’opportunità per il bambino di partecipare estesamente alla vita della propria comunità, e ai prototipi culturali relativi alle relazioni sociali. Nel mondo, l’allevamento dei bambini impegna la famiglia, il vicinato e la comunità in ruoli diversi. Le pratiche culturali riguardanti la cura dei bambini sono ereditate dal passato da ciascuna generazione, che le adatta alle circostanze e alle credenze, in parte riconducibili alle politiche nazionali e internazionali. Composizione delle famiglie e politiche governative I cambiamenti generazionali e le continuità col passato nella composizione delle famiglie possono essere esaminate alla luce delle politiche nazionali riguardanti la crescita della popolazione che hanno interessato la seconda parte del ‘900. Di volta in volta, le nuove nascite sono state incoraggiate e scoraggiate dai governi, per incrementare o stabilizzare la popolazione, a fini politici ed economici. I cambiamenti nella popolazione e nelle politiche nazionali hanno importanti effetti sulla vita e l’educazione dei bambini, e sull’atteggiamento dei genitori. Nel corso delle generazioni, le pratiche educative e le relazioni familiari riflettono comunemente i modelli e le strategie delle passate generazioni, formatasi in circostanze diverse, sfidando ogni generazione ad adattare alle necessità del presente i modelli culturali che hanno ereditato. Strategie culturali per la sopravvivenza e la cura del bambino Il problema della sopravvivenza dei bambini ha un ruolo fondamentale nella definizione delle pratiche di cura, per quanto spesso sia dato per scontato in molte famiglie e nazioni fortunate. Nelle comunità che sperimentano un’alta mortalità infantile, le priorità dei genitori riguardo ai figli possono essere molto diverse rispetto alle comunità in cui i genitori possono essere relativamente sicuri che il loro bambino

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sopravvivrà. In molte comunità, è necessario un gran numero di nascite per assicurare la sopravvivenza di un numero di bambini sufficiente a contribuire al sostentamento della famiglia nell’infanzia e nella gioventù, e in seguito a farsi carico dei genitori anziani. Per molte famiglie negli Stati Uniti e in Europa il problema della mortalità infantile o dei bambini rimasti orfani è trascurabile se rapportato alle generazioni precedenti, grazie alle cure mediche che hanno ridotto la mortalità infantile e alla diminuita probabilità di morte delle madri in seguito al parto. Robert Le Vine ha proposto una gerarchia a tre livelli per rappresentare le proprietà dei genitori nella cura e nell’educazione dei bambini. 1) Nelle comunità con un altro tasso do mortalità infantile, i genitori sono costretti, in primo luogo, a occuparsi della sopravvivenza e della salute del bambino.

2) Al secondo posto, nella gerarchia di priorità genitoriali proposta da Le Vine, vi è la preparazione dei bambini a sostenersi economicamente da soli una volta adulti.

3) Se i primi due obiettivi sono soddisfatti, i genitori possono investire più energie nella valorizzazione del potenziale di ciascun bambino, massimizzando altri valori culturali, quali il prestigio, la pietà religiosa, il successo accademico, la gratificazione e la realizzazione personale. Poiché il rischio maggiore di mortalità riguarda soprattutto neonati e bambini piccoli, nelle comunità in cui questo tipo di mortalità è elevata, i genitori possono permettersi di considerare il secondo e il terzo obiettivo solo dopo che il bambino è sopravvissuto alla prima infanzia. Solo quando la sopravvivenza del bambino è assicurata, i modelli educativi possono rivolgersi a consistere che il bambino possa sostenersi sa solo una volta adulto. Ciascuna generazione fa riferimento a una base storica in continuo movimento, mutuando alcune soluzioni del passato e modificandone altre a seconda delle circostanze. Attaccamento tra caregiver e bambino La sopravvivenza dei bambini dipende dal legame con la figura del caregiver (la madre, o la persona che lo nutre e lo accudisce). La letteratura psicologica frequentemente rappresentata la relazione madre-bambino come un legame di attaccamento innato e persino come una relazione esclusiva. Le differenze nell’attaccamento delle madri verso i bambini, e dei bambini verso le madri e gli altri membri della famiglia, acquistano maggiore significato se inquadrate nella prospettiva della partecipazione a comunità culturali dinamiche. Attaccamento materno in condizioni critiche L’idea che la relazione madre-bambino, osservata nelle famiglie occidentali rappresenti uno standard universale è stata messa in discussione da una serie di osservazioni sul trattamento dei bambini in altre comunità. Per esempio, in certi contesti storici, era un’usanza diffusa e accenta uccidere o abbandonare i bambini piccoli (come nell’antica Grecia) o mandare in campagna i neonati presso nutrici a pagamento, nonostante l’alto rischio di mortalità infantile. (es. relazioni tra madre e bambino nelle favelas brasiliane). La Scheper-Hughes ha osservato nelle madri un senso di distacco e indifferenza verso quei bambini considerati troppo deboli per sopravvivere. Per queste donne, la vita è una lotta, che richiede che alcuni bambini, soprattutto i più ammalati, muoiano senza attenzione, cure o protezione. Il rifiuto selettivo di queste madri non è motivato da ostilità verso il bambino. L’atteggiamento delle madri nasconde un sentimento di pietà per questi bambini, dinanzi alla loro incapacità ad adattarsi alle circostanze. Queste madri mostravano una preferenza verso i bambini che evidenziavano i tratti fisici e psichici necessari a sopravvivere, mostrandosi attivi, furbi, vivaci, precoci ecc. vi erano però bambini il cui impulso a

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vivere non era sufficiente e forte, o che mostravano addirittura un’avversione alla vita. Essendo madri, in una favela, significa imparare a capire quando bisogna “lasciare andare” il bambino. Le madri erano tutte d’accordo: era meglio che i bambini deboli morissero subito, senza prolungate e inutili sofferenze. Scheper – Hughes provò a intervenire per salvare un bambino di un anno gravemente malnutrito. Quando il bambino guarì, fu accettato con gioia della madre. Anche gli altri bambini sopravvissuti a quelle terribili condizioni riuscivano in seguito a guadagnare l’amore e la protezione della famiglia. Il distacco e il rifiuto precedente delle madri erano, secondo gli standard del luogo, proporzionati alla probabilità di sopravvivenza dei bambini, date le gravi limitazioni della vita nelle favelas. La relazione tra madre e bambino va sempre inquadrata all’interno della comunità. Grado di sicurezza nella relazione di attaccamento La maggior parte delle ricerche sull’attaccamento del bambino alla madre sono state condotte negli Stati Uniti e in Europa occidentale. Tali ricerche hanno indagato soprattutto il modo in cui i bambini “sicuri” si relazionano alle madri. Il grado di sicurezza dell’attaccamento infantile è stato in genere esaminato in situazioni di laboratorio, all’interno di una procedura denominata strange situation in cui alla madre viene chiesto di lasciare solo il proprio bambini, e in un secondo momento di riunirsi a lui, in modo da consentire ai ricercatori di osservare le reazioni del bambino a questo lieve stress. Si ritiene che il bambino possieda un attaccamento “sicuro” se esplora la stanza e si comporta in modo amichevole nei confronti dell’estraneo prima della separazione dalla madre, e se si mostra confortato e per nulla arrabbiato al suo ritorno. Possono essere distinti diversi altri modelli relativi al grado di sicurezza o insicurezza nell’attaccamento. Il modelli “ansioso/resistente” è caratterizzato da elevata angoscia quando la madre è assente: al ritorno di quest’ultima, il bambino non si calma facilmente e se da un lato ricerca il contatto, dall’altro resiste ai suoi tentativi di consolarlo. Il modello “ansioso/evitante” comporta un basso livello di angoscia in assenza della madre, e un comportamento evitante in seguito alla riunione. Gli studi presentati in questo paragrafo affrontano una serie di problemi critici relativi alle procedure di valutazione dell’attaccamento del bambino in situazioni standardizzate, e alle differenze culturali nel rapporto tra madre e bambino nelle sue finalità. Questi studi suggeriscono che il bambino sviluppa un attaccamento non solo verso particolari persone, ma anche verso le specifiche condizioni che gli procurano benessere e che generano ansia quando è lasciato da solo. Attaccamento nei confronti di chi? Le condizioni che determinano il benessere del bambino spesso riguardano altre persone oltre alla madre. Le varie forme di attaccamento dei bambini sono strettamente connesse alle pratiche educative della comunità, che riflettono a loro volta le circostanze storiche e i valori culturali che regolano la cura del bambino e il ruolo della famiglia. In varie parti del mondo vi sono diverse persone in famiglia, nel vicinato e nell’intera comunità che provvedono ai vari aspetti della cura dei neonati e dei bambini. La responsabilità condivisa nella cura dei bambini non si accorda all’idea di un attaccamento esclusivo verso la madre. Attribuzione di ruoli specifici in famiglia e nella comunità In alcune comunità, i bambini si relazionano soprattutto con i genitori e secondariamente con i fratelli. In altre , subito dopo la prima infanzia, i fratelli rivestono un ruolo primario. In altre ancora, la famiglia allargata, i vicini, o anche nutrici, educatori, e istituti si assumono presto le responsabilità dei bambini.

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Famiglie allargate La specializzazione dei ruoli nella cura dei bambini dipende dalle persone disponibili in famiglia o nel vicinato, oltre che dalle aspettative culturali riguardo ai ruoli appropriati. Differenziazione dei ruoli nella cura del bambino I diversi ruoli nell’allevamento del bambino, cure fisiche, gioco, ed educazione, possono essere assunti da adulti differenti all’interno della comunità. In alcune culture, le madri provvedono in modo preminente alle cure fisiche e alla socializzazione del bambino, mentre in altre si limitano a fornire le cure fisiche, lasciando ad altri il compito di gratificare i bisogni sociali del bambino. Le comunità possono avere diverse aspettative sulla presenza o meno si altre persone coinvolte nella socializzazione e nel gioco del bambino, oltre ai genitori. Anche quando la responsabilità nelle cure infantili è assunta da un gruppo esteso di persone, nei primi anni di vita del bambino le madri normalmente detengono un ruolo primario. Le madri possono prendersi cura dei bambini anche assicurandosi che altri offrano sostegno e cure adeguate, così come farebbero loro stesse. Cure dai fratelli e interazioni con i coetanei In molte comunità in cui le madri non si occupano esclusivamente della cura e dell’educazione dei bambini piccoli, i fratelli hanno un ruolo centrale in tal senso. Tale responsabilità è ovviamente legata alla presenza di fratelli e al loro ruolo nell’ambito dell’organizzazione familiare. La disponibilità di fratelli varia ampiamente da una comunità all’altra. I numero di fratelli è diminuito nel corso dei secoli. Nelle comunità in cui i bambini piccoli hanno l’opportunità di avere un rapporto frequente e inteso coni fratelli, il ruolo di questi ultimi è fondamentale e complementare a quello dei genitori. Relazionarsi con altri bambini può rappresentare un’importante base per lo sviluppo del bambino. Opportunità per i bambini di imparare dai fratelli maggiori I fratelli possono rappresentare per i bambini piccoli una preziosa opportunità di apprendimento, specialmente nelle comunità in cui coadiuvano i genitori nella loro cura. Gruppi di coetanei e separazione dai bambini di altre età Raggruppare i bambini in base all’età non è una pratica diffusa nel mondo. È necessario un certo numero di bambini in un territorio ristretto per assicurare la presenza di più bambini della stessa età. Ripartire i bambini in gruppi della stessa età ha un chiaro impatto sulle interazioni tra fratelli. La classificazione basata all’età limita l’opportunità dei bambini che frequentano la scuola di relazionarsi con i bambini di diversa età. L’interazione come un’estesa gamma di età offre al bambino la duplice possibilità di far pratica con la cura e l’educazione dei bambini più piccoli e imitare il comportamento di quelli più grandi. Invece, l’interazione tra coetanei sembra promuovere la competitività. Il ruolo della comunità nella cura e nell’educazione del bambino La supervisione quotidiana dei bambini può essere una responsabilità dell’intera comunità, più che di particolari adulti. In diverse comunità, chiunque si trovi nei paraggi del bambino è tenuto a prendersene cura e a educarlo. Il bambino è di norma circondato da parenti e vicini di diverse età, che se ne assumono la responsabilità quando la madre è via o è impegnata.

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Ruolo della comunità nella cura del bambino attraverso operatori specializzati Nei paesi industrializzati, la responsabilità della comunità nei confronti della cura e dell’educazione del bambino si compie attraverso operatori specializzati e retribuiti, quali insegnanti, educatori, assistenti sociali, pediatri, e anche attraverso istituzioni per l’infanzia e pubblicazioni specializzate su questi temi. Di fatto, sono gli “esperti” a stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato nella cura e nell’educazione del bambino. Ciò si riflette anche nelle leggi che regolano i diritti dei genitori e nelle politiche promosse dagli enti sociali. Da un punto di vista storico, gli insegnanti sono probabilmente i più importanti operatori specializzati nella cura e nell’educazione del bambino. Il loro ruolo è emerso verso la fine dell’ottocento, quando in molti paesi la scuola divenne un aspetto centrale della vita dei bambini. Il sostegno della comunità ai bambini e alle famiglie In molti paesi industrializzati, i bambini vivono sempre più “fuori casa”, e ciò desta preoccupazioni. Nelle città statunitensi, il ruolo della comunità nei confronti dei giovani è divenuto preminente, e gli esperti spesso si lamentano della perdita di autorità degli adulti sugli adolescenti. Libertà accordata ai bambini e supervisione da parte della comunità La supervisione dei bambini da parte della comunità non si traduce necessariamente in una riduzione della loro libertà di movimento. Quando la responsabilità nella cura dei bambini è ampiamente ripartita tra i membri di una comunità, bambini anche molto piccoli hanno una maggiore opportunità di assistere e partecipare alle attività delle comunità rispetto a quanto potrebbero se fossero accuditi in famiglie “isolate” o in istituzioni specializzate. In queste circostanze i bambini hanno la libertà di osservare le attività quotidiane della comunità e parteciparvi attivamente, secondo le capacità e gli interessi di ciascuno. Differenze culturali nel grado di partecipazione dei bambini alle attività sociali degli adulti Uno dei più importanti fattori di variabilità culturale che riguarda i bambini è il grado in cui a essi è consentito assistere e partecipare alle attività degli adulti. La “segregazione! Dei bambini della vita degli adulti è data per scontata nei contesti sociali di classe media, ma è rara in molte altre comunità. Le diverse opportunità dei bambini di imparare dalle attività quotidiane degli adulti sono strettamente connesse a molte altre differenze nei modelli culturali riguardanti la cura e l’educazione del bambino. Il grado di partecipazione del bambino alle attività degli adulti, o l’esecuzione, sono legati a particolari modelli culturali. La partecipazione dei bambini alle attività sociali degli adulti In alcune culture, i bambini partecipano a quasi tutti gli eventi della famiglia e della comunità, giorno e notte, sin dalla prima infanzia. Ben poco del mondo degli adulti è nascosto ai bambini, che sono normalmente presenti in ogni contesto. (es. in varie comunità sparse per il mondo, i bambini piccoli hanno maggiori opportunità di osservare il lavoro degli adulti rispetto ai bambini statunitensi. Per esempio, tra gli aka (in Africa centrale), i genitori cacciano, macellano e si dividono la selvaggina tenendo con sé neonati e bambini piccoli. Il “contributo” dei bambini Probabilmente in rapporto all’opportunità di osservare il lavoro degli adulti, in molte culture i bambini iniziano a contribuire al lavoro in famiglia molto presto.

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L’esclusione dei bambini e dei giovani dal lavoro e dai ruoli produttivi Per gran parte dell’Ottocento, il lavoro dei bambini nelle industrie venne accettato da un punto di vista etico e considerato economicamente vantaggioso. Ma tra il 1880 e il 1940 furono emanate leggi che ne proibivano l’impiego, in risposte alle condizioni malsane delle fabbriche, e in seguito alle iniziative dei sindacati a favore dei lavoratori adulti. Lo sfruttamento dei bambini nelle fabbriche differiva in molti modi dal contributo al lavoro e alle attività degli adulti (gestione familiare di piccole fattorie o attività degli adulti (gestione familiare di piccole fattorie o attività commerciali), frequente nei secoli precedenti e tuttora presente in molte comunità. I bambini che danno un contributo alla propria famiglia lavorano con le stesse persone con cui vivono. Il lavoro non è separato dalla vita familiare sociale. Naturalmente, anche i bambini che lavorano nelle fattorie o in altre attività familiari talvolta sono sfruttati. Tuttavia, le probabilità di apprendimento e di gratificazione sono maggiori quando il bambino lavora con i genitori e parenti, con cui ha più di un mero rapporto economico. Prima dell’era industriale, e svariati lavori familiari e partecipavano estesamente alla vita sociale degli adulti. Adulti che “preparano” bambini versus bambini che collaborano con gli adulti Un’alternativa all’osservazione e alla partecipazione dei bambini alle attività della loro comunità è la creazione da parte degli adulti di setting specifici, a misura di bambino, finalizzati a istruire i bambini al di fuori delle attività dei grandi. Il primo luogo deputato a tale scopo è la scuola, che in genere organizzata in modo da separare i bambini dai setting adulti e “prepararli” a ruoli adulti, sottoponendoli a esercizi specifici e non finalizzati alla produzione. Attività appositamente rivolte ai bambini piccoli diffuse nelle famiglie e nelle comunità di classe media, ma sono piuttosto rare in comunità in cui essi sono spesso a contatto con il lavoro degli adulti. Queste attività “a misura di bambino” includono il gioco “con” gli adulti e quello “organizzato” dagli adulti, lezioni impartite a casa in preparazione all’ingresso nel mondo scolastico e lavorativo, e conversazioni orientate sul bambino. Nelle culture in cui i bambini hanno l’opportunità di assistere e partecipare alle attività degli adulti, si ritiene che l’apprendimento sia legato più alla volontà del bambino stesso di “venir su” che all’abilità di coloro che lo “tirano su”. In tal modo partecipando alla vita e al lavoro quotidiano della famiglia allargata e della comunità, i bambini possono approfondire la conoscenza dei ruoli adulti della propria cultura. In questi contesti, bambini e adulti frequentemente si trovano a doversi coordinare in gruppi. Interazioni diadiche o in gruppi In molte comunità, i neonati e i bambini sono orientati verso le attività del gruppo anziché a un tipo di interazione diadica ed esclusiva con la madre. I bambini di differenti culture hanno esperienze assai diverse nel modo di rapportarsi a gruppo composti da più di due persone. La partecipazione dei bambini a gruppi è riconducibile alle usanze della comunità riguardo ai rapporti sociali e al lavoro degli adulti, e dall’opportunità di apprendere da essi. Inoltre, vi sono chiare differenze culturali nella promozione di relazioni sociali diadiche o gruppali a casa o a scuola. Orientamento del neonato verso la madre o verso il gruppo In America , in genere i neonati e i bambini piccoli si rapportano con una sola persona per volta, in interazioni diadiche faccia a faccia.

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Interazioni ravvicinate faccia a faccia tra madre e bambino possono essere insolite nelle culture in cui i bambini sono considerati parte integrante dell’intera comunità. Modelli relazionali diadici o gruppali Le interazioni sociali degli Americani seguono in genere un modello diadico, che prevede un solo partener alla volta. Anche l’’interno di una gruppo, gli individui spesso interagiscono a due, trattando il gruppo come un insieme di coppie separate anziché come una realtà integrata. Diverso è quando avviene in una comunità maya in Guatemala, dove l’interazione in gruppo (per esempio in cerchio) e la condivisione di complessi rapporti multilaterali rappresentano forme ricorrenti di organizzazione sociale. I bambini sono si norma destinatari di attenzioni esclusive da parte di una persona per volta. Si adattano al corso degli eventi sociali e interagiscono come membri del gruppo, e non attraverso interazioni diadiche o attività solitarie. Sono inoltre in grado di coordinarsi in rapporto alle diverse priorità e alle interazioni multilaterali del gruppo. I bambini che hanno esperienza nel coordinarsi in gruppo riescono più facilmente a mantenere vivo l’interesse in attività di cui non hanno il diretto controllo, in cui sono spettatori o interlocutori. I bambini che riescono facilmente a coordinarsi con gli altri in gruppo hanno minori difficoltà a collaborare in compiti di squadra. Relazioni di gruppo diadiche o multilaterali a scuola In una tipica classe scolastica occidentale, in cui sono presenti molte persone, l’interazione è normalmente strutturata in forma diadica, con conversazioni a due. È previsto che gli alunni parlino solo con l’insegnante, uno per volta oppure all’unisono. Il ricorso a modalità cooperative, nelle scuole statunitensi, ha cominciato a diffondersi solo di recente. Spesso i bambini abituati alla classica struttura della classe controllata diadicamente dall’insegnante trovano difficile imparare a lavorare insieme e a coordinarsi in gruppi. I protagonisti e gli scenari nella cura e nell’educazione del bambino, insieme ai modelli relazionali culturali, hanno un ruolo decisivo nel suo sviluppo. L’attaccamento tra i bambini e i membri della famiglia è legato a temi quali le aspettative di sopravvivenza, i valori culturali che regolano le relazioni sociali, e le disposizioni della comunità riguardo alla famiglia. La disponibilità di altre persone è in relazione al modo in cui la famiglia e la comunità si specializzano nei ruoli di cura, intrattenimento e ostruzione del bambino. I modelli culturali del luogo stabiliscono le diverse opportunità per i bambini di apprendere dagli adulti, assistendoli e unendosi a loro in attività condivise. Se ai bambini non è permesso partecipare alle attività della comunità, gli adulti possono predisporre appositi setting per loro, come la scuola e il genere di interazioni adulto-bambino che spesso ritroviamo nelle famiglie di ceto medio. I giochi e le conversazioni tra adulto e bambino, orientatati verso quest’ultimo, appaiono come specifiche soluzioni culturali, che “preparano” il bambino alla vita adulta e nel contempo lo tengono momentaneamente distante da essa. Il ricorso a forme di interazioni in gruppo, organizzate in rapporti diadici sequenziali oppure accordata alla partecipazione del bambino alla vita della comunità, e del ruolo della suola occidentale in quanto istituzione culturale.

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5) TRANSIZIONI EVOLUTIVE NEL RUOLO DEGLI INDIVIDUI NELLA COMUNITA’ Tra i principali problemi della psicologia evolutiva vi è quello di identificare la natura e la successione delle transizioni da una fase all’altra dello sviluppo, dalla prima infanzia fino all’età adulta. Le transizioni evolutive sono comunemente ricondotte all’individuo, come avviene per gli stadi dello sviluppo cognitivo descritti da Piaget. Tuttavia, esse possono anche essere considerate eventi culturali, relativi all’intera comunità, che segnano un cambiamento nei ruoli degli individui nella struttura della comunità. Frequentemente, le fasi evolutive sono rappresentate nei termini di un cambiamento nei ruoli e nelle relazioni sociali. Molte culture segnano le transizioni evolutive con cerimonie. Alcune tra queste celebrano eventi o acquisizioni importanti, come il primo sorriso la prima comunione, il conseguimento della laurea, l’inizio delle mestruazioni. Altre registrano passaggi legati all’età, come la cerimonia quinceaner che, in Messico celebra il compimento del quindicesimo anno di età della fanciulle. In questo capitolo, esaminerò innanzitutto il contrasto tra la suddivisione della vita in fasi scandite dall’età cronologica e quella legata a eventi o acquisizioni celebrati dalla comunità. Quindi passerò in rassegna i valori culturali legati alla “velocità” di raggiungimento di determinati traguardi evolutivi. Infine, approfondirò il passaggio dall’infanzia all’età adulta, prendendo in considerazione il modo in cui le comunità valorizzano e celebrano i cambiamenti nello status evolutivo con particolari cerimonie (spesso differenziate tra i due generi). In queste usanze, lo sviluppo individuale è contestualizzato all’interno di aspettative sociali e culturali, segnando transizioni non solo per gli individui ma per intere generazioni. L’età come metro culturale dello sviluppo Il tempo trascorso dalla nascita è divenuto in molte culture una caratteristica distintiva degli individui, e un principio organizzatore nella vita delle persone. Ma in molte comunità l’età non viene presa in considerazione come misura dello sviluppo. Il ricorso all’età per suddividere il corso della vita è una pratica recente in rapporto alla storia dell’umanità, oggi assai diffusa nelle aree industrializzate degli Stati Uniti e dell’Europa. Essa è in relazione ad altri aspetti delle società industriali, in particolare all’obiettivo di una gestione efficiente della scuola e delle altre istruzioni, modellata sul sistema industriale della divisione del lavoro e delle catene di montaggio. Transizioni evolutive e ruolo nella comunità In alcune comunità, le diverse fasi evolutive non fanno riferimento all’età cronologica o a cambiamenti corporei, ma a eventi sociali (es. l’attribuzione del nome). Velocità nel superamento di “traguardi” evolutivi Vi è una grande variabilità nelle modalità nelle modalità con cui ogni comunità culturale stabilisce quanto velocemente i bambini dovrebbero raggiungere i vari traguardi evolutivi; per esempio sorridere, stare seduti, camminare, o assumersi varie responsabilità familiari. Le differenze nei valori e nelle aspettative delle comunità possono tradursi in un diverso impegno dei genitori nel sostenere l’apprendimento del bambino. I tempi di apprendimento rispetto all’età (il problema di stabilire quanto velocemente i bambini potessero raggiungere determinati traguardi evolutivi era noto come “questione americana”). Nella teoria evolutiva di Piaget, era presa in considerazione la sequenza degli stadi nello sviluppo del pensiero, non l’età in cui i progressi avevano

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luogo. Tuttavia, per anni i ricercatori americani avevano cercato di associare gli stadi piagetiani a età precedenti rispetto alle età approssimative identificate da Piaget e dai suoi collaboratori. La preoccupazione di essere “puntuali” nelle attività quotidiane fece la sua comparsa negli Stati Uniti solo verso il 1870, quando le misure standardizzate si imposero nel nuovo sistema industriale. In precedenza le attività delle persone erano scandite dai ritmi della vita quotidiana. Dal 1890, l’attenzione agli orari e ai programmi si estese dalle attività quotidiane allo studio dello sviluppo, e gli esperti iniziarono a stabilire norme circa i tempi ideali negli eventi della vita, specificando cosa volesse dire per l’individuo essere “puntuale”, “in anticipo” o “in ritardo” rispetto alla propria età. Verso i primi del Novecento, l’interesse per le norme relative all’età di raggiungimento di determinati traguardi evolutivi si trasformò nel tentativo di classificare gli individui in base al grado di “ritardo” rispetto allo sviluppo “normale”. Quando la scuola divenne obbligatoria, venne richiesta un’età standard di ingresso per far rispettare le leggi scolastiche e verificare che tutti i bambini frequentassero. Ciò determinò un raggruppamento degli studenti in classi suddivise per età e grado di istruzione. I test mentali In relazione alle preoccupazioni circa il “ritardo” dei bambini rispetto al livello previsto, nello stesso periodo in cui le classi ordinate per età si diffondevano, vennero sviluppati i primi test mentali. I tentativi di determinare l’”età mentale” si basavano in particolare sulle ricerche di psicologia evolutiva condotte in Francia e negli Stati Uniti. In Francia, Alfred Binet e i suoi collaboratori furono i primi a sviluppare test di intelligenza, come strumento pratico a disposizione delle scuole di inizio ‘900 per individuare i bambini che avevano bisogno di un’educazione “speciale”. Il tentativo di quantificare l’”intelligenza” rifletteva la tendenza della società di allora a usare l’età come un modo per classificare sistematicamente le persone nella nuova scuola obbligatoria e organizzare in modo più “efficiente” il passaggio degli studenti da una classe all’altra. L’età mentale veniva determinata ricorrendo a norme basate su item distinti per età, nel corso dell’infanzia. Presto fu introdotto il Quoziente Intellettivo per confrontare l’età mentale misurata con l’età cronologica (il valore 100 indicava che l’età mentale e quella cronologica coincidevano, cioè che il QI era “normale”). Lo sviluppo come “corsa a premi” La “questione americana” si basa sulla metafora della corsa a premi per rappresentare lo sviluppo, assumendo che i bambini che passano per primi i traguardi evolutivi nel corso dell’infanzia avranno più probabilità di successo nella vita adulta. Molti genitori e politici, negli Stati Uniti, così come molti insegnanti concepiscono lo svililuppo in modo unidirezionale, assumendo che la velocità con cui si taglia il traguardo si traduca inevitabilmente nel successo o nel fallimento nella vita. Essi impongono un singolo percorso lineare rispetto alle dimensioni e direzioni ben più complesse e molteplici dello sviluppo umano. In alcune culture, non ci si attende che i bambini comprendano rapidamente le usanze di chi li circonda, e gli adulti concordano che essi impareranno quando saranno pronti, se non pressati contro la loro volontà. Lo sviluppo infantile non è concepito come una sequenza lineare di traguardi evolutivi in progressione temporale. In tale prospettiva, i bambini non seguono le stesse regole né la forma di progresso lineare degli adulti; a essi è invece accordato uno status sociale particolare.

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Lo status sociale particolare dei bambini piccoli In alcune comunità , ai neonati e ai bambini in tenera età è accordato uno status sociale particolare, e le loro azioni e responsabilità sono considerate in modo differente rispetto ai bambini più grandi e agli adulti. In tali culture, si ritine che i bambini piccoli non siano capaci di comprendere cosa significhi far parte di un gruppo; è dunque opinione comune che essi non possano nuocere o recar danno intenzionalmente agli altri. Non ha senso affrettarli a seguire le regole. A loro è permesso fare a proprio modo, finché non sono abbastanza grandi da essere considerati in grado di compiere atti intenzionali e di comprendere le regole del gruppo. Nel frattempo, viene loro accordato uno status speciale all’interno della famiglia. Questo trattamento di neonati e bambini piccoli è spesso definito “indulgente” dai ricercatori provenienti da culture in cui il comportamento dei bambini è considerato intenzionale sin dalla nascita. Differenze di trattamento tra fratelli di diverse età Per studiare le differenze nello status dei bambini piccoli in famiglia, Mosier e Rogoff hanno visitato famiglie maya ed euroamericane in cui erano presenti un bambino di un anno e un fratello di età compresa fra i tre e i cinque anni. I bambini americani tendevano a litigare tra loro, contendendosi giochi e oggetti, e le madri cercavano di raggiungere un compromesso, divenendo la proprietà del gioco e accordano pari diritti a entrambi. Invece, nelle famiglie maya, i fratelli maggiori si comportavano con i più piccoli come se questi avessero uno status privilegiato, che consentisse loro di non sottostare alee regole sociali valide per gli altri. I fratelli maggiori raramente prendevano i giochi ai più piccoli; anzi di norma consegnavano loro tutto ciò che volevano. Il trattamento dei bambini piccoli nelle due culture sembra fondarsi su assunti diversi circa il modo in cui i bambini imparano a diventare membri responsabili della loro comunità. Continuità e discontinuità nella transizione tra prima e seconda infanzia Secondo la cultura maya, consentire ai bambini piccoli di non seguire le regole è giustificato dall’idea che la loro volontà debba essere rispettata come quella di chiunque altro. Tra i due e i tre anni, l’età in cui spesso nasce un nuovo fratellino, si ritiene che i bambini inizino a cooperare con gli altri. Da quel momento in poi, il loro status cambia: non gli viene più data ogni cosa vinta, e devono iniziare a cooperare e ad adeguarsi. Adesso sono pronti per rispettare la volontà del loro nuovo fratellino. In questa comunità, nella transizione tra la prima e seconda infanzia, possiamo riscontrare una certa discontinuità nelle regole specifiche di condivisione, che contrasta con la coerenza nell’applicazione delle regole ai bambini de ogni età riscontrabile nella comunità americana. Ruoli di responsabilità nell’infanzia In molte culture, a tre-quattro anni i bambini iniziano a contribuire al lavoro di casa. L’assunzione di responsabilità nel periodo tra i cinque e i sette anni In molte parti del mondo, il periodo compreso tra i cinque e i sette anni segna un importante momento di transizione nello status del bambino e nell’assunzione delle responsabilità all’interno della comunità. Da secoli, la burocrazia delle società occidentali modifica il suo atteggiamento verso i bambini a questa età, considerandoli in grado di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, di contribuire al lavoro e di frequentare con impegno istituzioni extrafamiliari. Nei paesi occidentali questo è tipicamente il periodo in cui iniziano la scuola. In Europa, storicamente, a quest’età i bambini assumevano un ruolo lavorativo analogo a quello degli adulti.

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A cinque-sette anni il bambino è visto in modo assai diverso rispetto a quand’era piccolo, e diventa sempre più parte integrante della struttura sociale. Ciò che accade tra i cinque e i sette anni è che il bambino inizia a essere responsabile e disponibile ad apprendere usanze e competenze degli adulti. Tuttavia, è solo a otto-dieci anni che i genitori in genere fanno affidamento sulla sua prensione, competenza e responsabilità. È importante non dare troppo peso alle attese specifiche sull’età, poiché l’età in cui i bambini iniziano a dare un contributo in particolari attività è strettamente legata al tipo di sostegno e alle limitazioni imposte dalle comunità. Vi è una notevole variabilità nell’età in cui ci si attende che i bambini svolgano attività complesse e considerate importanti culturalmente, come assumersi la responsabilità dei bambini piccoli o maneggiare coltelli e accendere fuochi in modo sicuro. Ciò dipende dal modo in cui queste attività e i ruoli dei bambini sono strutturati all’interno delle comunità. Le diverse fasi dello sviluppo sono strettamente connesse alle opportunità che hanno i bambini di osservare e partecipare, e a valori culturali riguardanti lo sviluppo di determinate capacità. Maturazione ed esperienza Molte attività che una comunità può considerare momenti e passaggi “naturali” dello sviluppo, in realtà riflettono agli assunti, le condizioni e l’organizzazione di tale comunità. Anziché assumere che i cambiamenti legati all’età siano intrinseci alla maturazione biologica dei bambini, indipendente dalle circostanze, è più ragionevole chiedersi in che modo i bambini di una data comunità diventino responsabili di se stessi, nei modi previsti e promossi in quella particolare comunità. I notevoli cambiamenti legati alla maturazione biologica sono sempre accompagnati da cambiamenti altrettanto significativi nelle aspettative dell’intera comunità, e nelle opportunità concesse al bambino di partecipare alle attività considerate importanti. L’adolescenza come stadio particolare Alcuni autori hanno sostenuto che alcune fasi evolutive considerate “naturali” nelle comunità accidentali, come l’adolescenza, siano in realtà creazioni culturali legate a specifiche condizioni culturali. Tuttavia, un certo periodo di transizione tra l’infanzia e l’età adulta è normalmente presente in tutte le culture. Il periodo intermedio tra l’inizio della pubertà e l’età adulta, per i giovani maschi, sembra essere universale. Il passaggio all’età adulta è in genere sancito dal matrimonio. Molte volte, gli anni che precedono e seguono il raggiungimento della maturità fisica sono considerati una fase particolare in cui il grado di indipendenza e responsabilità è maggiore di quello dei bambini ma non ancora paragonabile a quello degli adulti. In alcune culture, l’adolescenza è considerata un periodo di ribellione, di crisi emotive o di egocentrismo. Questa credenza va oltre il riconoscimento di un periodo di transizione tra infanzia ed età adulta, che è comune a molte culture, ma non implica necessariamente conflitti o crisi. Vari autori hanno suggerito che il dissenso adolescenziale sia in funzione della “segregazione” dei giovani dai ruoli produttivi della società, che altrimenti sarebbero già pronti ad assumere. Iniziazione ai ruoli di uomo e donna In diverse comunità, , ragazzi e ragazze sono sottoposti a riti di iniziazione, che li rendono uomini e donne agli occhi della comunità. I riti di iniziazione degli adolescenti possono comportare forme maschili e femminili di circoncisione; invariabilmente, tali riti enfatizzano le distinzioni tra i generi. I riti di iniziazione cui sono sottoposti i giovani riconoscono e promuovono le transizioni evolutive che registrano cambiamenti di status nella struttura della comunità.

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Matrimonio e genitorialità come indici di maturità In molte culture, sposarsi e divenire genitori segna l’ingresso nella vita adulta, perfino quando la giovane coppia è ancora coadiuvata e sostenuta da genitori e parenti. Benché in alcuni casi sia prevista un’età minima per il matrimonio, il passaggio all’età adulta al momento del matrimonio rappresenta una transizione evolutiva basata più sul cambiamento di ruoli che sull’età. Storicamente, nella maggior parte delle comunità del mondo i matrimoni sono stati combinati dai familiari anziché dallo sposo o dalla sposa. Il periodo della mezza età in rapporto all’adolescenza dei figli Oggi, in alcune comunità di ceto medio, viene individuato un periodo intermedio dell’età adulta, dopo il concepimento dei figli e primi della pensione. La “mezza età”, come stadio di vita distinto, fece la sua comparsa negli Stati Uniti ai primi del Novecento. Oggi, nella middle class americana, i confini della mezza età sono talora considerati in termini di età cronologica, come il quarantesimo compleanno. Questa fase di vita è inoltre caratterizzata da cambiamenti fisiologici come la menopausa. Tuttavia, è spesso anche segnata da eventi riguardanti le relazioni sociali, come i figli che vanno via di casa o i cambiamenti lavorativi. In molte altre culture, la mezza età non viene ritenuta uno stadio di vita distinto, e non viene considerata in discussione e analisi. Nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, gli assunti delle persone sui ruoli attesi per la loro fase evolutiva, e le abilità associate, riflettono gli scopi, le tecnologie e le usanze della comunità I ruoli di genere Nel mondo, le differenze osservate riguardo ai ruoli di genere nei bambini sono in stretta relazione con i ruoli di genere degli adulti presenti nella loro comunità. In molte comunità i ruoli di genere sono stati strettamente ricondotti ai ruoli biologici della maternità e della paternità. Naturalmente, con l’evolversi delle usanze culturali nel corso delle generazioni, i ruoli di genere si trasformano anch’essi, pur nel rispetto delle tradizioni. In futuro si svilupperanno indubbiamente nuove usanze riguardo ei ruoli di genere, legate all’interazione tra processi biologici e culturali. Da una prospettiva socioculturale, non desta alcuna sorpresa che i bambini, assistendo e partecipando ai ruoli di genere previsti nella loro comunità, li assumeranno ben presto in prima persona. Lo sviluppo dei ruoli di genere dei bambini può essere visto come un processo di preparazione ai ruoli adulti attesi culturalmente, che si basano sulla specializzazione dei generi, nella specie umana, riguardo alla procreazione e alla cura delle generazioni successive. Il modo in cui i genitori si rapportano ai figli e alle figlie nelle interazioni quotidiane veicola ruoli, relazioni e abilità attese. Centralità dell’educazione dei bambini e del lavoro familiare nella specializzazione dei ruoli di genere Nel mondo, la cura dei bambini è spesso retaggio del mondo femminile che di quello maschile. In molte culture, le donne tendono a stare più vicine a casa degli uomini, in buona parte per adempiere alle responsabilità nella cura dei figli. I ruoli di genere dei bambini e delle bambine corrispondono a quelli degli uomini e delle donne della loro comunità nel momento in cui iniziano a seguire il comportamento degli adulti. Tuttavia, si a i bambini sia le bambine sono frequentemente impegnati in attività femminili, e i bambini più piccoli sono più spesso in compagnia delle donne che degli uomini.

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Dopo la prima infanzia, tuttavia, i bambini restano nelle vicinanze di casa meno frequentemente rispetto alle bambine. I genitori si interessano di più a ciò che fanno le bambine, e le sorvegliano più spesso dei bambini, che invece sono frequentemente lontani da casa e dagli adulti, in compagnia di coetanei. In confronto ai maschi, le bambine, in molte comunità su scala mondiale, collaborano più spesso ai lavori domestici. Oltre alle responsabilità familiari, spesso le donne sono impegnate in altre occupazioni, e non passano le loro giornate solo a badare alla casa e ai figli. Grazie alla famiglia allargata, le donne possono condividere con altri la cura dei bambini, e dunque hanno la possibilità di fare commissioni e lavorare fuori casa. Ruoli lavorativi e di potere di uomini e donne Vi sono sia somiglianze sia differenze tra le varie comunità culturali nei ruoli lavorativi e di potere previsti per gli uomini e le donne. Alcuni fattori in comune riguardo le differenze nella corporatura e nella forza fisica. Gli uomini (in media) si specializzano nei lavori che richiedono scatti di forza, mentre le donne (in media) sono impiegate in quelli che richiedono uno sforzo più prolungato. In alcune comunità, la divisione sessuale del lavoro è più flessibile che in altre, e ciascun genere si adatta facilmente al lavoro dell’altro. I diversi modi in cui una cultura interpreta i ruoli maschili e femminili rispetto alla famiglia e alla comunità determinato la distribuzione di potere tra uomini e donne. Negli ultimi due secoli, il lavoro extrafamiliare ha assunto una crescente importanza nella società, da quando l’industrializzazione ha separato il lavoro familiare e non retribuito da quello salariale. I ruoli lavorativi e di potere di uomini e donne adulti condiziona le relazioni sociali attese, promosse e praticate nell’infanzia.

6) AUTONOMIA E INTERDIPENDENZA

Vi sono ampie differenze culturali nel concetto di maturità, che in alcuni casi implica l’indipendenza dalla famiglia, in altri il rafforzamento dei legami e l’assunzione di nuove responsabilità verso la famiglia d’origine. La dinamica autonomia-interdipendenza è particolarmente evidente nell’evoluzione dei rapporti sociali tre adulti e bambini. Nelle relazioni sociali, le nuove generazioni apprendono i modelli culturali che regolano il rapporto tra individui e comunità. In questo processo, ogni generazione può mettere in questione e rivedere le usanze delle precedenti, soprattutto quando entra in contatto con culture diverse. Bambini che dormono da soli Le famiglie americane middle class spesso ritengono che dormire da solo sia una condizione importante per lo sviluppo dell’indipendenza e della fiducia in se stesso del bambino, assumendo che la separazione notturna renda più semplici i distacchi durante il giorno e aiuti a ridurre la dipendenza del bambino nei loro confronti. Tuttavia, separare i bambini dalla madre e farli dormire da soli è una pratica insolita se considerata in prospettiva mondiale e storica. In una ricerca condotta su 136 società, i neonati e i bambini piccoli dormivano nello stesso letto della madre nei due terzi delle comunità, e negli altri casi stavano di norma nella stessa stanza della madre. In un campione di 100 società i genitori americani erano i soli a tenere i bambini in stanze separate.

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Secondo l’opinione corrente nelle classi medie americane, la separazione notturna dei bambini dai genitori è essenzialmente per lo sviluppo psicologico sano, e per la promozione di uno spirito di indipendenza. Routine e oggetti di confronto prima di dormire I bambini americani sono incoraggiati a dipendere dalla compagnia e dal conforto non di persone, ma di oggetti (biberon, succhiotti, coperte e altri “lovies”), prima di dormire inoltre, i bambini seguono una serie di rituali, a volte della durata di un’ora, che prevedono un’accurata pulizia e il racconto di favole e storie. Una volta a letto, tuttavia, è previsto che i bambini dormano da soli, spesso con l’aiuto di un oggetto prediletto, per esempio una coperta. Alcuni studiosi hanno evidenziato che nei neonati e i bambini americani trascorrevano circa il 10 per cento della loro giornata in attività di preparazione al sonno, a differenza di altri bambini, di altre comunità. Per questi ultimi non era necessario ricorrere ad alcun espediente per facilitare la separazione da l momento che, quando andavano a dormire, i bambini lo facevano insieme all’intera famiglia, nello stesso posto. Comunità in cui i bambini dormono insieme ai genitori In molte culture, le relazioni sociali diurne continuano anche di notte. I bambini dormono che gli altri membri della famiglia, nello stesso luogo e alla stessa ora. L’usanza di dormire insieme è comune in diverse comunità, anche molto avanzate tecnologicamente. “indipendenza” versus “interdipendenza insieme ad autonomia” In molti gruppi culturali, le pratiche nella cura e nell’educazione si discostano dall’addestramento all’individualità promosso nelle famiglie americane di classe media. In diversi casi, i bambini vengono educati all’interdipendenza, ovvero alla capacità di coordinarsi con gli altri membri del gruppo, anziché all’individualismo e alla separazione. In alcune culture, i bambini sono stimolati a interagire in modo multidirezionale con gruppi di persone. Nei contesti in cui sono regolarmente presenti altre persone, raramente i bambini piccoli stanno da soli, o giocano e interagiscono faccia a faccia con una sola altra persona. Piuttosto, trascorrono la maggior parte del tempo orientati verso gli altri e ciò che accade nel gruppo. Invece che di fronte alla madre, il bambino può essere rivolto nella sua stessa direzione e imparare osservando ciò che ella fa e come interagisce con le persone. In alcune comunità, questo tipo di coinvolgimento sociale può implicare uno stretto contatto fisico, con neonati tenuti in braccio, cullati al seno e portati sulla schiena o sul fianco. Con o senza contatto fisico, l’interdipendenza implica un orientamento dell’individuo verso il gruppo. Tuttavia il rapporto con il gruppo può stimolare anche lo sviluppo dell’autonomia nei casi in cui anche l’autonomia individuale si fondi su una scelta personale, volontaria. Libertà di scelta individuale in un sistema interdipendente È possibile comportarsi in modo coordinato con gli altri membri del gruppo pur mantenendo la propria autonomia. Gli psicologi solitamente associano la libertà di scelta all’indipendenza , e considerano la coordinazione e la collaborazione tra i membri del gruppo come una perdita di autonomia. Questa dicotomia persiste in alcuni approcci culturali. Numerose osservazioni smentiscono la contrapposizione dicotomica tra scelta individuale e coordinazione interpersonale, mostrando che in molte comunità l’interdipendenza implica anche il rispetto per l’autonomia individuale. Quando partecipano a un gruppo interdipendente, gli individui di molte culture, pur avvertendo la responsabilità di coordinarsi con gli altri, si sentono liberi di fare diversamente.

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Il modello culturale che valorizza l’interdipendenza nel rispetto dell’autonomia dell’individuo sfida i comuni assunti statunitensi sulla natura dell’indipendenza e dell’individualità. Imparare a cooperare con gli altri rispettando la libertà di scelta Il principio di non intromissione, in alcune culture, riguarda perfino i bambini in tenera età, che vengono lasciati liberi di fare ciò che vogliono, a meno che ciò non comporti gravi danni fisici. (Per esempio rispetto alle madri americane, le madri maya raramente prendevano il sopravvento sulla volontà del bambino imponendo la propria. Più spesso, le madri americane cercavano di avere la meglio sui bambini, obbligandoli a seguire i loro programmi. Secondo gli standard della comunità maya, costringe il bambino a fare qualcosa è segno di mancanza di rispetto per la sua autonomia). Cooperazione e controllo nei rapporti tra adulti e bambini Il problema del controllo e della disciplina dei bambini da parte degli adulti richiama quello del rapporto tra autonomia e interdipendenza. In molte discussioni sull’educazione dei bambini il problema del controllo è concettualizzato come in rapporto tra due ruoli antagonisti: si tratta di stabilire chi ha autorità e chi subisce il controllo. Questa visione è chiaramente agli antipodi rispetto all’atteggiamento delle comunità in cui il rispetto per l’autonomia altrui è una premessa fondamentale. Tuttavia , nelle teorie e nel senso comune americano, spesso si assume che se gli adulti non hanno il controllo, lo prendono i bambini e viceversa. Nel corso del XX secolo, i dibattiti sull’educazione, i “consigli degli esperti” e le ricerche psicologiche hanno affrontato frequentemente il problema dell’autorità. In genere si è ritenuto che, tra adulti e bambini solo una parte possa assumere il controllo. Una visione alternativa fu proposta da John Dewey. Secondo Dewey, gli adulti hanno il dovere di guidare i bambini, ma ciò non significa che debbano “controllarli”. Adulti e bambini non sono necessariamente su due lati opposti, ma anzi possono collaborare, con ruoli e responsabilità differenti all’interno del gruppo. Il problema della cooperazione e del controllo è strettamente legato alla questione dell’esercizio della disciplina da parte dei genitori e degli insegnanti. L’esercizio della disciplina dei genitori Diana Baumrind ha distinto tre stili educativi: uno stile autoritario, in cui gli adulti hanno il pieno controllo sui bambini; uno stile permissivo, in cui i bambini hanno le redini della situazione; uno stile autorevole, in cui i genitori controllano i bambini ma li consumano anche, stabilendo regole chiare e nel contempo incoraggiandone l’indipendenza e l’individualità, con frequenti confronti verbali. (nelle famiglie americane di classe media, lo stile autorevole è associato a un maggior grado di competenza sociale e scolastica rispetto a quello autoritario o permissivo). Sono state osservate variazioni culturali nella prevalenza degli stili educativi autoritario, permissivo e autorevole, così come nel rapporto tra questi stili e altri aspetti della vita dei genitori e dei figli. Spesso i giovani immigrati e le loro famiglie adattano “gli approcci” del loro paese d’origine e quelli del nuovo paese, contribuendo al processo continua evoluzione della comunità nel corso delle generazioni. I bambini e i genitori che si trovano in mezzo a tali cambiamenti cercano di negoziare nuove soluzioni per adattarsi alle mutate circostanze, in alcuni casi senza problemi, in altri in modo conflittuale. L’esercizio della disciplina degli insegnanti Oggi i regolamenti scolastici sollecitano gli insegnanti ad abbandonare i loro tradizionale ruolo autoritario e a instaurare un dialogo con gli studenti.

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Un approccio spesso raccomandato agli insegnati è stemperare il tono dei comandi per creare un clima più democratico in classe. La partecipazione dei bambini al gruppo o alla comunità giocano un ruolo decisivo nel funzionamento della classe. Benché i particolari dei modelli culturali possano variare, a seconda dell’orientamento verso l’uso di forme verbali-linguistiche esplicite o indirette, questi esempi scolastici hanno in comune il rispetto per lo sviluppo di autonomia, pur nell’interdipendenza. Scherzi e rimproveri come forme di controllo sociale In alcune culture, il comportamento ironico e scherzoso di adulti o coetanei è un modo per informare indirettamente l’altro che sta sbagliando o per indicargli il modo adeguato di comportarsi. Questa è una forma di controllo sociale che non ricorre a comandi o costrizioni per indurre a conformarsi ai comportamenti considerati adeguati culturalmente, ma sottolinea la trasgressione delle regole, motivando gli individui a imparare a non divenire oggetto di derisioni e canzonature. Soprattutto nelle piccole comunità, quando vogliono esprimere critiche o lamentele nei rapporti quotidiani, le persone tendono a evitare interazioni ostili o invadenti, per non compromettere i rapporti a lungo termine. In queste circostanze, prendere in giro l’altra persona può essere un modo indiretto per esprimere una critica, all’interno di un discorso che è attenuato dall’umorismo e non provocava risposte risentite né gravi conseguenze. L’uso dello scherzo può servire anche per aiutare i bambini a imparare quali sono le risposte emotive culturalmente appropriate alle situazioni problematiche. Nelle comunità in cui scherzi e prese in giro sono diffusi, i bambini sviluppano, sin dalla prima infanzia, il ragionamento simbolico e imparano a discernere la differenza tra il vero e il falso. I risvolti educativi delle interazioni scherzose sembrano differire da cultura a cultura. Scherzi e rimproveri, al pari dei metodi educativi utilizzati da genitori e insegnati per l’esercizio della disciplina, implicano variazioni culturali nel modo di guidare, persuadere o forzare i bambini a comportarsi secondo le regole. Molto questioni morali sono legate alle interpretazioni culturali di autonomia, responsabilità verso il gruppo, interdipendenza e controllo. Concezioni dei rapporti morali I concetti di moralità e onestà sono legati al modo in cui la cultura regola le relazioni tra i membri di una comunità. In alcune culture, può essere sottolineata l’importanza dell’uguaglianza dei diritti e dei beni per ogni individuo; in altre, la priorità può essere posta sull’assunzione di un ruolo di responsabilità verso il gruppo. L’importanza della relazione tra diritti individuali e interessi del puppo è evidente in molti “dilemmi” morali. Il ragionamento morale La ricerca transculturale sullo sviluppo morale ha spesso utilizzato test di “ragionamento morale”. Per esempio, negli studi di Lawrence Kohlberg, venivano presentati a gruppi di soggetti alcuni dilemmi morali, del tipo: “se la moglie di un uomo sta morendo perché manca una medicina costosa, quest’uomo sarebbe autorizzato a rubarla?. In questo tipo di ricerca, le scelte e le giustificazioni dei soggetti sono classificate secondo i sei stadi di ragionamento morale proposti da Kholberg:

e mirano soprattutto a evitare danni o punizioni.

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ruppo e operano secondo la

Regola aurea : “fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. Essi giustificano le loro scelte con le regole e i costumi del gruppo; questa prospettiva assume che vi sia un solo sistema di regole “giusto”.

io, la società è vista come un sistema che comprende gruppi in competizione, con interessi conflittuali mediati da istituzioni come i tribunali, che possono cambiare le regole. Tuttavia, le regole correnti vanno rispettate.

ontemplavano un approccio filosofico che prende in considerazione obblighi di natura “superiore” o principi di giustizia che possono prendere il posto delle regole presenti in una certa società o in una certa epoca storica. Le risposte dei rappresentanti di diverse comunità culturali ai dilemmi morali coincidono con varie posizioni della scala. In molte società, la maggioranza degli adulti si colloca al terzo stadio, facendo riferimento al principio che la società si basa sul sostegno, sull’interdipendenza e sull’accordo reciproco, secondo relazioni e ruoli specifici. Le ricerche spesso assumono che le giustificazioni delle persone per le loro affermazioni siano indici del loro approccio morale alla vita. Il motivo per cui una persona agisce in un certo modo non sempre è facile da spiegare. L’apprendimento dell’ordine morale locale Il rapido apprendimento da parte dei bambini dell’ordine morale della loro comunità può essere attribuito ai molti episodi quotidiani in cui ricevono indicazioni su cosa è giusto e “puro” e cosa è cattivo e deprecabile. Ciò è evidenziato dall’atteggiamento dei membri della famiglia nei confronti del bambino in ogni momento della giornata. Precetti morali obbligatori e facoltativi Nei codici morali di ogni società, chiaramente, vi sono alcuni principi imperativi. Tra questi, l’idea che vi siano alcuni obblighi superiori che hanno la precedenza sugli individui e le società, il principio di non recare danno o offesa ad altri, ei l principio che la giustizia è uguale per tutti. Al tempo stesso, alcuni aspetti “facoltativi” sono presenti in alcune società ma non in altre. In un’epoca in cui le partiche culturali e i valori di diverse comunità entrano sempre più in contatto, la comunità mondiale si interroga sui criteri in base ai quali è lecito stabilire che cosa sia moralmente accettabile. Cooperazione e competizione Molti autori hanno evidenziato le differenze culturali nel grado in cui gli individui cooperano o competono tra loro. Alcune culture promuovono la cooperazione tra i membri del gruppo e la competizione con gli altri gruppi; in altre, la competizione è considerata una priorità anche tra chi appartiene allo stesso gruppo. Scuola e competizione L’osservazione di comportamenti più competitivi tra gli individui scolarizzati può essere vista in relazione al diffuso incoraggiamento alla competizione presente nelle scuole. la scuola spesso ricorre a classificazioni e confronti tra gli individui per regolare l'acceso alle varie opportunità. Oltre al ricorso a lodi e a classi antagoniste, il contributo della scuola alla competitività e alla propensione a distinguersi individualmente può essere legato anche dalla suddivisione dei bambini in gruppi della stessa età. Osservazioni condotte in diverse comunità indicano che i bambini che trascorrono la maggior parte del

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tempo con compagni della stessa età tendono a essere più competitivi di quelli che con bambini più grandi o più piccoli. Quindi, essere parte di gruppi omogenei può favorire l competitività. A scuola nelle altre istituzioni formali e informali, i bambini apprendono non solo un programma di studi e una serie di materie, ma anche il modo di relazionarsi con altri bambini e gli adulti presenti nell’organizzazione dell’istituto. Partecipando alle attività quotidiane regolate dalle istituzioni e dalle tradizioni della comunità, i bambini entrano in contatto con i sottostanti assunti culturali. Spesso, questi influenzano il bambino in modo non consapevole e vengono percepiti semplicemente come “il modo di fare le cose”. Tuttavia, gli individui e, col tempo le generazioni, possono mettere in discussione e trasformare le tradizioni e le istituzioni della comunità, soprattutto quando i valori cono in conflitto con quelli di un’altra comunità con cui gli individui entrano in contatto. Gli assunti culturali che regolano il rapporto tra individui e comunità si manifestano nelle relazioni sociali quotidiane e nelle diverse partiche culturali, per esempio nel luogo dove il bambino è posto a dormire, o nel modo in cui i fratelli reagiscono al tentativo di un bambino piccolo di ottenere un giocattolo desiderato. Sono evidenti negli stili educativi dei genitori e nelle modalità di esercizio della disciplina, nelle struttura e nell’organizzazione delle classi scolastiche e nell’influenza sociale esercitata attraverso scherzi e prese in giro. Il problema della moralità chiama in causa il rapporto tra diritti individuali e ordine sociale. Infine, il successo individuale può essere riconosciuto e promosso in modo da enfatizzare la competizione, o può essere considerato un contributo al funzionamento della comunità. In ogni rapporto sociale umano, l’autonomia e l’interdipendenza vengono continuamente negoziate e rinegoziate secondo le tradizioni culturali del passato e quelle introdotte della nuove generazioni.

7) IL RUOLO DEGLI STRUMENTI E DELLE ISTITUZIONI CULTURALI NEL

NOSTRO MODI DI PENSARE

Il pensiero è spesso considerato un’attività privata e solitaria; tuttavia, la ricerca culturale ha evidenziato il ruolo di diversi processi interpersonali e culturali che, al pari di quelli individuali, indirizzano lo sviluppo cognitivo. Oggi lo studio dello sviluppo cognitivo non si limita a prendere in considerazione il modo in cui l’individuo, nel corso dell’infanzia, arriva a comprendere il modo in cui l’individuo, nel corso dell’infanzia, arriva a comprendere il modo che lo circonda, ma si sofferma sul processo di attiva partecipazione ad attività socioculturali condivise che consente quest’apprendimento. Questo cambiamento di prospettiva circa i ruoli individuali, interpersonali e sociali si è imposto in diversi anni di ricerche su cultura e cognizione. I primi studi consistevano in confronti tra i risultati ai test cognitivi, su compiti che i ricercatori americani ed europei ritenevano esaminassero i processi cognitivi “generali”, i test piagetiani di ragionamento, classificazione, logica e memoria. Prima della fine degli anni Settanta, la psicologia transculturale era interessata a osservare cosa accadeva quando i test cognitivi sviluppati in Europa e negli Tati Uniti venivano usati in altri contesti culturali. I risultati indicavano che le prestazioni a queste prove non erano generalizzabili, né indipendenti rispetto alle condizioni culturali. La generalità dei test, che all’epoca si assumeva fosse pressoché universale, fu messa in discussione dalle osservazioni dei ricercatori su individui che avevano ottenuto scarsi risultati alle prove cognitive in laboratorio, e che tuttavia nella vita di tutti i giorni mostravano notevoli capacità cognitive. In aggiunta molti test tendevano a richiedere ai partecipanti un maggior grado di scolarizzazione. Anziché misurare abilità generali indipendenti dall’esperienza, i test cognitivi erano strettamente correlati con l’esperienza della scuola occidentale.

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Diversi autori hanno ricercato un modello teorico che potesse guidarli a comprendere il rapporto tra pensiero ed esperienza culturale, per abbandonare definitivamente l’idea che la cognizione fosse un processo generale, al massimo “influenzato” dalla cultura. Molti si sono ispirati alla teoria storico-culturale di Vygotskij, che sottolinea il rapporto tra abilità cognitive individuali e partecipazione a contesti socioculturali. Secondo questa teoria, lo sviluppo cognitivo consiste nell’apprendimento di strumenti culturali. Tale teoria, inoltre, propone un approccio integrato allo studio dello sviluppo: processi cognitivi, sociali, percettivi, motivazionali, fisici, emotivi e altri ancora sono considerati tutti aspetti dell’attività socioculturale anziché capacità o facoltà separate e indipendenti, come nelle teorie psicologiche tradizionali. Secondo la prospettiva storico-culturale, il pensiero non è un’attività solitaria dell’individuo, ma un processo di partecipazione culturale condivisa, lo sviluppo cognitivo non consiste nell’acquisizione passiva di conoscenze o di abilità, ma si compie in un processo attivo di trasformazione del modo di pensare, comprendere, percepire, comunicare, ricordare, classificare, riflettere ecc. in attività in cui sono presenti altre persone che condividono le stesse pratiche e tradizioni culturali. Lo sviluppo cognitivo è un aspetto anch’esso della partecipazione dinamica ed attività socioculturali. Contesti specifici anziché abilità generali: la teoria di Piaget in giro per il mondo Jean Piaget ha proposto una teoria dello sviluppo cognitivo per stadi, corrispondenti a modificazioni nelle concezioni infantili dei fenomeni fisici e dei concetti matematici. Il suo interesse per lo sviluppo intellettivo del bambino era rivolto a comprendere in che modo i concetti scientifici si trasformano nel tempo. Per quanto gli studi di Piaget vennero condotti per lo più a Ginevra, in Svizzera, fu assunto che i suoi risultati rappresentassero processi universali. Le differenze culturali non furono prese in considerazione. Tuttavia, quando i ricercatori iniziarono ad applicare le prove piagetiane ad altri contesti culturali, trovarono che le persone provenienti da diversi retroterra culturali si classificavano in modo differente. Per quanto Piaget non fosse particolarmente interessato all’età in cui gli stadi erano raggiunti, la grande variabilità nell’età di superamento del test fu giudicata sorprendente (per spiegare questo fenomeno, alcuni autori ipotizzarono un “ritardo” evolutivo, basandosi sul discutibile principio secondo cui lo sviluppo segue necessariamente un percorso lineare e unidirezionale, ovvero la sequenza stadiale proposta da Piaget, in cui i bambini europei e americani rappresentavano la norma). La differenza tra le varie culture, e all’interno della stessa cultura tra persone con grado di istruzione diversa, richiamò l’attenzione sugli aspetti contestuali dei test, che avrebbero potuto spiegare le differenti performance. Un’interpretazione di tali differenze chiamava in causa la familiarità con i concetti e i materiali usati. I bambini ottenevano migliori risultati quando usavano materiali familiari e peggiori quando i materiali erano sconosciuti. Quando le ricerche culturali richiamarono l’attenzione sulla problematicità del principio di generalizzazione dello sviluppo, Piaget riconsiderò la tesi degli stadi universali, affermando in particolare che lo stadio delle operazioni formali dipendeva dal contesto e dall’esperienza in aree di conoscenza particolari. La possibilità di generalizzare automaticamente lo sviluppo cognitivo fu ulteriormente messa in discussione dai risultati della ricerca culturale, secondo cui gli individui non attraversano gli stessi stadi evolutivi, e le prestazioni alle prove variavano sensibilmente in base ai materiali, ai concetti e ai compiti stessi. I ricercatori iniziarono ad abbandonare l’idea che il pensiero consistesse in una generica elaborazione delle informazioni, indipendente dal tipo di informazioni e dalla familiarità degli individui con le attività testate.

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Grado di scolarizzazione e prestazione ai test cognitivi di classificazione e memoria Le ricerche transculturali condotte nei paesi in cui la scuola non è obbligatoria hanno ripetutamente riscontrato correlazioni tra grado di istruzione e prestazione ai test cognitivi. Prima che la ricerca psicologica assumesse un orientamento culturale, questa relazione era in genere sottovalutata, probabilmente perché la maggior parte delle ricerche del tempo erano state condotte in paesi in cui la scuola era obbligatoria. Le differenti performance tra i gruppi scolarizzati e no sembrano dovute principalmente alla diversa familiarità con le procedure e i compiti tipici della scuola occidentale usati nei test cognitivi. Classificazione Nei paesi occidentali, gli adulti tendono a classificare gli elementi di un test in categorie tassonomiche, per esempio disponendo gli animali in un gruppo, gli alimenti in un altro ecc. tuttavia, in molte altre comunità, le persone classificano gli oggetti in gruppi funzionali, per esempio mettendo insieme una zappa e una patata, perché la zappa è usata per cavare le patate. Soprattutto se non hanno frequentato scuole, le persone tendono a classificare gi oggetti secondo la loro funzione, e non secondo categorie tassonomiche. Inoltre gli individui poco scolarizzati in genere non riescono a dare spiegazioni razionali della loro scelta, a differenza delle perone che hanno frequentato la scuola, che sono più abili a spostarsi tra modalità classificatorie alternative e a spiegare le basi razionali della loro organizzazione. Memoria Chi ha frequentato la scuola ha imparato a richiamare alla mente informazioni slegate tra loro e a organizzarle in unità significative. Molti test di memoria richiedono di ricordare una serie di informazioni parziali e sconnesse, per esempio elenchi di parole isolate. Tali elenchi possono essere ricordati meglio se si usano strategie per coordinare le parole, per esempio ripetendole mentalmente, suddividendole in categorie o stabilendo elaborate connessioni tra di esse. Di solito, le persone non istruite trovano difficile svolgere questi compiti mnestici, e non impiegano spontaneamente alcuna strategia per organizzare le informazioni da ricordare. In un primo momento, questi risultati sono stati interpretati come la dimostrazione di una minore capacità di memoria delle persone poso istruite, considerando la memoria un’abilità generale. Tuttavia, numerose osservazioni hanno evidenziato che le stesse persone che ottenevano scarsi risultati a questi test, nella vita di tutti i giorni erano perfettamente in grado di ricordare dove fossero gli oggetti che servivano loro o di richiamare alla memoria racconti elaborati. Ricordare elenchi di parole e di numeri sconnessi, senza significato, può essere un’esperienza insolita al di fuori della scuola, dove invece frequentemente agli alunni è richiesto di rievocare materiale che non hanno compreso fino in fondo. Le persone che hanno frequentato meno la scuola possono avere difficoltà a organizzare informazioni slegate dal contesto. Invece tutti, indipendentemente dalle esperienze passate, ricordano le informazioni inserite in un contesto strutturato, e si servono di rapporti significativi come aiuto per ricordare. In generale, le differenze culturali nella memoria per la disposizione spaziale o per i racconti organizzati sono minime. A scuola le persone apprendono particolari strategie mnemoniche che possono facilitare il ricordo di alcuni tipi di informazione, come gli elenchi non organizzati, ma anche che queste stesse strategie possono ostacolare il ricordo di informazioni inserite in un contesto reale. Dunque. Le prestazioni ai test di memoria sono a quanto pare legate a particolari usanze scolastiche.

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Dopo tutto, i test mentali misurano soprattutto abilità scolastiche, e in genere il loro scopo è di predire i risultati scolastici. Valori culturali riguardo a intelligenza e maturità Per molti anni, la procedura dei test cognitivi è stata considerata indipendentemente dal contesto, supponendo che consentisse l’osservazione delle abilità cognitive, in una sorta di condizione asettica, slegata dalle esperienze di vita. Con il riconoscimento dell’importanza della familiarità dei soggetti con i concetti e i materiali usati nei test, la ricerca ha iniziato a considerare anche la familiarità rispetto ai valori e le procedure usate nei test. Familiarità con le relazioni interpersonali implicate nei test I test cognitivi si basano su particolari forme di conversazione spesso assai rilevanti in ambito scolastico. Chi ha frequentato la scuola è abituato a situazioni in cui un adulto di status elevato, che già conosce le risposte, fa domande a una persona di status inferiore, per esempio un bambino. In alcuni contesti culturali dove la scuola non è diffusa, il comportamento culturalmente appropriato può differire da quanto si attende il ricercatore. La situazione può richiedere di mostrare rispetto per l’intervistatore, o di provare a evitare di fare la figura dello sciocco dando una risposta troppo scontata a quella che potrebbe essere una domanda difficilissima. Il significato e il valore accordato alle relazioni sociali influenza le risposte delle persone ai test cognitivi. I modelli culturali delle relazioni sociali, che offrono indicazioni esplicite e implicite sui comportamenti e i modi di relazionarsi appropriati di bambini e adulti, non vengono “sospesi” durante la somministrazione dei test cognitivi, ma hanno anzi un ruolo centrale nella definizione, in ciascuna comunità, dei concetti di intelligenza e maturità. Definizioni di intelligenza e maturità in diverse comunità Le molteplici differenze tra le varie culture nelle prestazioni ai test cognitivi possono essere legate alle differenti interpretazioni rispetto a quale sia il reale problema da risolvere, e ai metodi ritenuti “appropriati” per risolverlo. Le ricerche che hanno approfondito il rapporto tra pensiero e cultura hanno dimostrato che esistono diversi approcci ai problemi, ugualmente validi e appropriati, che dipendono dal modo in cui l’intelligenza e la maturità sono concepite nelle diverse comunità. La ricerca culturale ha richiamato l’attenzione sulla natura specifica del pensiero, che va sempre considerato alla luce delle persone con le prove di classificazione, conversazione o memoria cui sono sottoposte, vanno considerate anche le definizioni e interpretazioni culturali di “intelligenza” e le strutture d’interazione sociale. Generalizzare le esperienze da una situazione all’altra È chiaro che il processo di generalizzazione tra varie situazioni non può essere assunto per principio. La probabilità di usare in modo appropriato la conoscenza acquisita in una determinata situazione si basa in parte sul raggiungimento di un certo grado di comprensione concettuale. Non si possono generalizzare procedimenti simili in diverse circostanze senza avere una qualche conoscenza dei procedimenti stessi. Gli individui affrontano le varie circostanze sulla base delle esperienze che hanno vissuto in passato. La persona si evolve partecipando e adattando il suo comportamento alle attività in corso, e preparandosi alle situazioni simili che si presenteranno in futuro.

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Il processo di generalizzazione non è automatico: gli studenti generalizzano la loro competenza verbale nella misura in cui riescono a percepire l’attinenza di ciò che conoscono rispetto alle nuove situazioni. Imparare ad adattare flessibilmente il proprio comportamento alle diverse circostanze Apprendere ad adattare in modo flessibile il proprio modo di agire alle circostanze è in sé un aspetto importante dello sviluppo cognitivo. In alcune culture, imparare a distinguere il comportamento appropriato in diverse circostanze è considerato un esplicito traguardo evolutivo. In ogni parte del mondo i bambini sperimentano differenze nei comportamenti giudicati appropriati a casa e a scuola, ma in modo particolare nelle comunità le cui usanze differiscono da quelle delle scuole occidentali. Per evitare problemi di comunicazione quando gli usi familiari e scolastici differiscono, i bambini devono imparare a discernere quali comportamenti sono appropriati nelle diverse situazioni. Le teorie socioculturali si basano sul principio che il pensiero è strettamente legato a particolari situazioni. Il rapporto tra il pensiero e contesto non è automatico. Piuttosto, gli individui adattano il loro comportamento alle varie situazioni riferendosi alle pratiche culturali che hanno appreso in passato. Il ruolo creativo degli individui nello stabilire legami tra una situazione e l’altra è sostenuto dalle interazioni sociali con partner che suggeriscono tali legami. Inoltre, gli individui e i gruppi sociali fanno riferimento alle connessioni ereditate dalle generazioni passate, spesso con la mediazione di una serie di strumenti culturali (es. scrittura, matematica ecc.) 1) SCRITTURA E ALFABETIZZAZIONE: l’invenzione della scrittura ha avuto profondi effetti sul modo in cui le società hanno affrontato le sfide cognitive nel corso della storia. La scrittura promuove l’analisi della logica interna delle proposizioni. È più facile esaminare la coerenza delle frasi quando sono scritte. Va preso in considerazione anche il contesto sociale e culturale dello scrittore e quello del lettore. La familiarità del lettore con il genere letterario e la conoscenza a priori dell’argomento specifico giocano un ruolo fondamentale nella comprensione di un testo scritto. Diverse forme di scrittura (per esempio scrittura alfabetica o fonemica) e usi diversi della scrittura (per esempio prosa saggistica, problemi scolastici, elenchi ecc.) promuovono abilità cognitive distinte. La scrittura è uno strumento culturale che stimola particolari forme di pensiero, a seconda delle differenze culturali nel suo uso presenti nelle varie comunità. 2) MATEMATICA: in modo simile a quanto avviene per la scrittura, i risultati ai test matematici dipendono dalla familiarità con i particolari procedimenti numerici. Le risorse e le abilità matematiche non valgono per ogni occasione, ma si conformano alle circostanze. Gli individui e le istituzioni si adattano in modo da semplificare il lavoro e ridurre lo sforzo mentale, con l’uso di particolari strategie per affrontare i problemi di tutti i giorni. L’abilità nell’uso di strumenti culturali come la matematica è sotto molti aspetti legata alle pratiche culturali e ai valori della comunità in cui sono impiegati. L’uso di tali strumenti si basa sulle proprietà intrinseche degli strumenti, sui valori culturali, le modalità di apprendimento e i rapporti interpersonali e intercomunitari. 3) ALTRI SISTEMI CONCETTUALI: oltre alla scrittura e alla matematica, vi sono altri strumenti concettuali che rappresentano tecnologie culturali che sorreggono e indirizzano il pensiero. Qui di seguito propongono un elenco di complessi sistemi culturali di conoscenza, che consentono di organizzare le informazioni e di prendere decisioni: i sistemi scientifici (esempio le classificazioni di animali e piante ecc.), i sistemi di navigazione, le mappe verbali e schematiche, le distinzioni linguistiche, la psicologia popolare.

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Pensiero distribuito e strumenti culturali Lo sviluppo cognitivo degli individui si compie all’interno di comunità si soggetti pensanti, ognuno dei quali lavora a un problema particolare. In una sorta di dialogo esteso, ognuno di noi è reso partecipe del contributo storico e materiale degli altri. Ed Hutchins studiando il modo in cui i marinai collaborano nei calcoli e nei procedimenti necessari alla navigazione di grandi navi, ha coniato l’espressione cognizione distribuita per indicare la cooperazione tra gli individui o il ricorso a strumenti ideati per supportare il lavoro cognitivo. Il pensiero al di là del singolo individuo L’idea che i processi cognitivi siano distribuiti tra l’individuo, gli altri e gli strumenti e le istituzioni culturali può essere difficile da comprendere se si assume che il pensiero risieda interamente nelle menti degli individuo. La prospettiva dello sviluppo come partecipazione dinamica ad attività socioculturali rifiuta i l principio che esista un confine arbitrario tra l’individuo e il resto del mondo. Il bambino impara a impiegare i movimenti fisici e gli oggetti come strumenti mentali, mentre apprende a leggere e a scrivere. Una serie di suoni arbitrari e le loro relazioni reciproche acquistano progressivamente significato, al punto che, col tempo, chi parla non si rende più conto degli strumenti che utilizza e del processo stesso di apprendimento. Pensiero distribuito nello spazio e nel tempo La cooperazione cognitiva può estendersi fino alle passate generazioni (es. Michelangelo studiava le sculture greche e romane). Inoltre, va considerato anche il legame di condivisione con le generazioni future (es. uno scrittore può usare forme espressive che saranno comprese solo dai posteri). Strumenti e procedimenti cognitivi ideati per promuovere la collaborazione Alcuni strumenti culturali, come i computer, la scrittura, i manuali e i grafici; sono ideati appositamente per promuovere la collaborazione e l’interazione tra più persone che condividono attività cognitive a distanza. L’influenza di tali strumenti sul pensiero può essere facilmente sottovalutata. Uno strumento cognitivo sempre più fondamentale, il computer, gioca un ruolo culturale così importante che talora è considerato esso stesso il partner di un’interazione. Naturalmente, pensare con l’aiuto del computer implica anche una collaborazione a distanza con le persone che hanno progettato l’hardware, il software o hanno installato il computer. Per esempio, nelle classi scolastiche il computer si sta affermando sempre più come una risorsa per l’apprendimento alternativa ai partner umani, per quanto entrambi i casi implichino comunque una collaborazione con altri esseri umani, in forma diretta (faccia a faccia) o mediata da tale strumento. Il libro, l’ortografia, il computer, il linguaggio o il martello sono strumenti essenzialmente sociali, storici che sono trasformati dalle idee dei loro progettisti e di chi li utilizza. Essi rappresentano soluzioni degli uomini del passato a problemi simili a quelli attuali, a disposizione delle nuove generazioni, che li modificano e li adattano alle necessità del presente. Un esempio: l’evoluzione socioculturale delle tecniche e tecnologiche di scrittura Un esempio di evoluzione socioculturale di strumenti cognitivi che oggi molti danno per scontata è offerto dalla storia delle tecniche e tecnologie di scrittura. Oggi, chi usa la scrittura tende a dare per scontato questo prezioso strumento cognitivo, che si è evoluto grazie al contributo di secoli di invenzioni e pratiche culturali di uomini distanti nei luoghi e nel tempo. (da tavolette di argilla, pergamene … carta … pc).

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Il ruolo degli strumenti e dei procedimenti culturali nel nostro modi di pensare Benché gli strumenti cognitivi e il loro ruolo sociale nei secoli siano facilmente sottostimati, il loro contributo al nostro modo di pensare è fondamentale. (es. 343 X 822, l’organizzazione spaziale, o “sintassi” dei numeri, è in parte essenziale di uno strumento culturale senza il quale non possiamo risolvere questo tipo di problema). I processi cognitivi si evolvono insieme ai processi culturali attraverso i secoli e i continenti. La ricerca storico-culturale ha posto l’accento sulla necessità di includere gli strumenti culturali nell’analisi dei processi cognitivi, sottolineando che il pensiero è un fenomeno collaborativo ed è distribuito tra le persone in attività condivise. Questa prospettiva di ricerca ha inoltre richiamato l’attenzione sull’importanza di considerare il pensiero come un tentativo finalizzato a ottenere qualcosa, spesso insieme ad altre persone. Gli strumenti culturali cognitivi sono in genere usati per finalità che coinvolgono altri individui impegnati in attività condivise, di persona o distanti nel tempo e nello spazio. La crescente consapevolezza del ruolo della collaborazione nel pensiero ha accordato ai processi di comunicazione e alle modalità di apprendimento di strumenti culturali una posizione centrale nello studio dello sviluppo.

8) APPRENDIMENTO ATTRAVERSO LA PARTECIPAZIONE GUIDATA AD

ATTIVITA’ CULTURALI

Le prime ricerche culturali sui processi cognitivi, nel rilevare la natura collaborativa dello sviluppo cognitivo, si ispirano al concetto di zona di sviluppo prossimale introdotto da Vygotskij. Secondo Vygotskij, i bambini apprendono dall’interazione con i coetanei e gli adulti più esperti, che li aiutano a sviluppare abilità cognitive che vanno oltre la “zona” in cui si troverebbero se fossero senza assistenza. Nelle interazioni all’interno della zona di sviluppo prossimale, i bambini imparano a usare gli strumenti cognitivi della loro comunità; come la scrittura, i sistemi numerici ecc. benché questa idea di Vygotskij sia determinante, essa sembra soffermarsi principalmente sul tipo di interazione scolastica o rivolta alla preparazione alla scuola. Nelle interazioni quotidiane, non sempre i genitori sono interessati a insegnare qualcosa al bambino. Le conversazioni di ogni giorno, non finalizzare all’istruzione, forniscono al bambino la preziosa opportunità di accedere a una serie di informazioni e partecipare alla vita di comunità. Indipendentemente dall’intenzione dei genitori di sostenere l’apprendimento dei figli, i bambini possono prendere l’iniziativa, osservando le attività e partecipando attivamente. Inoltre, spesso i bambini iniziano conversazioni con gli adulti o con altri bambini che possono aiutarli ad apprendere. Per ampliare la nostra prospettiva sulla natura collaborativa dei processi di apprendimento, in situazioni che possono contenere o meno espliciti insegnamenti, ho proposto il concetto di partecipazione guidata alle attività culturali. Tale concetto dà risalto ai diversi modi in cui i bambini imparano, partecipando e facendo riferimento ai valori e alle usanze delle loro comunità culturali. Con il concetto di partecipazione guidata non mi riferisco a un particolare metodo di sostegno all’apprendimento. Partecipazione guidata può essere una spiegazione, uno scherzo, un rimprovero, e forme di controllo sociale più o meno sottili, con cui gli adulti e i coetanei fanno notare al bambino i suoi difetti e gli sbagli commessi. In aggiunta, la partecipazione guidata include i tentativi dei partner sociali di evitare alcune forme di apprendimento. Al fine di proteggerli, gli adulti evitano di parlare ai bambini di molto argomenti. Spesso gli

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adulti limitano le possibilità di esplorazione autonoma del bambino di esplorare; per esempio, non lasciando avvicinare un bambino di una anno al fuoco. I vincoli imposti dagli adulti sono espressione della natura partecipativa e guidata dello sviluppo. Nel concetto di partecipazione guidata, il termine “guidata” è dunque inteso in senso generale, includendo ma non limitandosi alle interazioni che contengono espliciti insegnamenti. Oltre alle interazioni finalizzate all’insegnamento, la partecipazione guidata contempla i rapporti ravvicinati e quelli a distanza in cui i bambini prendono parte a valori, usanze e competenze della comunità, senza espliciti insegnamenti e a volte perfino in assenza dell’altro. In molti casi, essa si compie attraverso strumenti particolari o partecipando a istituzioni culturali. Il concetti di partecipazione guidata ha un ruolo centrale nel mio modello di apprendimento, come processo di partecipazione dinamica ad attività culturali. Indipendentemente dall’intenzionalità dell’apprendimento e dai metodi usati, tale apprendimento, in ogni parte del mondo, implichi processi di base simili e forme di partecipazione guidata distinte. Partecipazione guidata: processi di base La coordinazione e la comunicazione che emergono nel corso della partecipazione ad attività condivise sono aspetti fondamentali dello sviluppo. I partecipanti si coordinano tra loro per allargare le loro conoscenze comuni e adattarle alle nuove prospettive. Due processi di base che hanno in comune le varie forme di partecipazione guidata presenti nel mondo: il primo riguarda il modo in cui i bambini e il oro partner sostengono la condivisione cercando di integrare le loro diverse prospettive attraverso gli strumenti culturali disponibili, come le parole e i gesti, e coordinandosi reciprocamente. Il secondo si riferisce alla strutturazione reciproca del loro rapporto, tesa a facilitare la partecipazione ad attività condivise. Questa strutturazione si compie nella scelta delle attività cui possono accedere i bambini, e nelle interazioni tra i bambini e i loro partner nei momenti condivisi. 1) IL RECIPROCO INTERSCAMBIO DI SOGNIFICATI: nel confrontare le loro diverse esperienze, le persone ricercano una prospettiva e un linguaggio in comune, per comunicare tra loro e coordinare i propri sforzi. La conoscenza reciproca avviene sempre tra le persone che interagiscono; non può mai essere attribuita solo a una persona. Il riferimento sociale è un mezzo assai efficace per scambiarsi informazioni. Sin dalla primissima infanzia, i bambini cercano indizi dalle interazioni sociali, in particolare dalla direzione indicata dai genitori o dal loro sguardo. Presentano inoltre attenzione al tono di voce e alle espressioni facciali per cogliere l’essenza del messaggio del genitore. La comunicazione emotiva tra genitore e bambino è uno strumento pressoché universale per regolare gli stati d’animo del bambino. Il linguaggio verbale consente ai bambini di comprendere significati e fare distinzioni importanti nella loro comunità. I bambini sin da piccoli contribuiscono attivamente al loro processo di socializzazione, assistiti da coloro che sostengono il loro sviluppo intellettivo. 2) STRUTTURAZIONE RECIPROCA DELLA PARTECIPAZIONE: in ogni parte del mondo, il bambino, i genitori e gli altri partner strutturano insieme le situazioni cui il bambini partecipa. Il processo di strutturazione riguarda la scelta delle attività cui i bambini possono accedere, assistere e partecipare, e la diretta partecipazione ad attività condivise.

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le istituzioni culturali, e le scelte stesse del bambini concorrono a determinare le situazioni in cui questi è ammesso e ha l’opportunità di imparare. Il modo in cui la vita del bambino è organizzata ha un ruolo essenziale per la sua opportunità di osservare e partecipare. La partecipazione del

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bambino si struttura quando egli sceglie di guardare la televisione, fare la faccende domestiche, o ascoltare di nascosto i genitori; quando i genitori promuovono o limitano le sue opportunità di apprendimento, nelle scelte di cura o svolgendo i lavori domestici quando i bambini dormono; infine, quando le comunità creano istituzioni che includono o escludono i bambini. La propensione a ricercare la vicinanza e il rapporto con gli adulti consente ai bambini piccoli, in ogni parte del mondo, di imparare dalle persone che si prendono cura di loro.

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ioni dirette: oltre alla disposizione delle attività cui i bambini possono assistere e partecipare, essi i loro partner collaborano a strutturare le attività nel corso di interazioni cui partecipano di persona. La partecipazione del bambino è spesso mediata dalle pratiche culturali, originate dal contributo delle generazioni passate.

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molte parti del mondo, vengono tramandate attraverso racconti e storie. In alcuni casi, il racconto non ha esplicite finalità educative, come avviene per esempio per le storie di famiglia o i racconti narrati durante le cerimonie religiose; in altri casi, invece è evidente la funzione morale-educativa. Oltre a partecipare alla costruzione di storie, rappresentazioni e indovinelli, i bambini si adeguano alle pratiche culturali della propria comunità assumendo ruoli e partecipando alle attività di routine promosse della comunità

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outine: la partecipazione del bambino al gioco e alle attività di routine, gli permette di apprendere le tradizioni e le pratiche culturali della propria comunità. In alcune comunità si ritiene importante promuovere l’apprendimento del linguaggio attraverso la ripetizione di modelli orali. Altri esempi di partecipazione dei bambini ad attività sociali di routine sono le vivaci discussioni. In molte comunità, la cultura espressa dai giochi infantili e dalle ruotine è tramandata di generazione in generazione. Vygotskij ha sottolineato l’importanza dei giochi con regole e ruoli, sostenendo che il gioco “crea una zona di sviluppo potenziale del bambino. Nel gioco il bambino è sempre al di sopra della sua età media, al di sopra del suo abituale comportamento quotidiano”. Vigotskij ritiene che, nel gioco, i bambini si divertono a ignorare la funzione ordinaria di oggetti e azioni, subordinandoli a significati e situazioni immaginarie. I bambini fanno esperienza dei significati e delle regole della vita reale, ponendole al centro dell’attenzione. Quando i bambini giocano, spesso imitano i ruoli degli adulti che osservano nella comunità. Fanno spesso esperienza e pratica dei ruoli sociali che in seguito rivestiranno o che sono complementari ai loro ruoli attuali (per esempio giocano a mamma e papà, o a maestra e scolaro). In questa prima parte del capitolo ho approfondito due processi di base della “partecipazione guidata” diffusi in tutto il mondo. Questi processi, interscambio reciproco di significati e strutturazione reciproca delle opportunità di apprendimento del bambino, assumono diverse forme nelle varie comunità ma ovunque mantengono la loro importanza. Forme particolari di partecipazione guidata Nelle famiglie di classe media, in genere gli adulti organizzano l’apprendimento dei bambini piccoli digerendone l’attenzione, le motivazioni e gli interessi. Essi frequentemente strutturano il rapporto con il bambino all’interno di attività a sua misura, come conversazioni e giochi mirati, cercando di motivarlo a seguire le lezioni che impartiscono, e rendendolo separato dalle loro attività. Invece, nella comunità in cui i bambini hanno accesso a molti aspetti della vita degli adulti, essi hanno l’opportunità di imparare osservando. In tali comunità, l’attenzione, le motivazioni e gli interessi nell’apprendimento sono aspetti che i bambini gestiscono da soli, assistendo e partecipando alle attività

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quotidiane degli adulti. Questa realtà è promossa dagli stessi adulti, che assumono un atteggiamento supportivo anziché direttivo. Questi distinti modelli di partecipazione guidata hanno un ruolo importante nell’organizzazione dell’apprendimento dei bambini in diverse comunità. Tuttavia, raramente tali differenze sono mutualmente esclusive, ma spesso si riferiscono alla prevalenza delle diverse forme di partecipazione guidata o alle diverse situazioni in cui tali forme sono considerate appropriate allo sviluppo del bambino (con tutta probabilità esistono altri modelli oltre ai due che ho presentato). Nei paragrafi successivi, affronterò alcune delle differenze che compongono questi diversi modelli. Lezioni “scolastiche” in famiglia I genitori americani di classe media spesso coinvolgono i figli in forme di conversazione con un linguaggio scolastico, formale, in una società in cui le forme di interazione scolastica sono parte integrante delle comunicazioni, del tempo libero e del lavoro.

puntiJ): nelle famiglie americane middle class, i bambini imparano a partecipare a conversazioni simili a quelle scolastiche già prima di andare a scuola.

offrire incentivi ai bambini per motivarli a impegnarsi nelle lezioni. Gli incentivi comprendono lodi, premi e buoni voti, l’evitamento di punizioni e di cattivi voti, e una serie di materiali appositamente ideati per attrarre il loro interesse. Nelle famiglie middle class, anche in età prescolare i bambini spesso vengono incoraggiati dai genitori a partecipare a “lezioni” organizzate per loro, per esempio attraverso un’espressione di eccitazione da parte dei genitori.

a comunità americana di classe media, spesso gli adulti si rapportano ai bambini da pari, da compagni di gioco. Linguaggio parlato versus silenzi, gesti e sguardi In ogni parte del mondo, la gente usa abilmente parole, silenzi, gesti e sguardi per comunicare. Vi sono però importanti differenze nella prevalenza del linguaggio parlato e nell’articolazione di forme di comunicazione non verbale. Nelle varie comunità vi sono diversi orientamenti culturali relativi alle circostanze e alle modalità di comunicazione verbale e non verbale. Una tendenza al linguaggio parlato può associarsi alle forme “scolastiche” di partecipazione guidata che abbiamo discusso; lezioni, incentivi ai bambini attraverso lodi ed espressioni di finto entusiasmo, e partecipazione degli adulti a giochi e conversazioni con il bambino. In alcuni contesti, lo stile di apprendimento scolastico, basato sul linguaggio verbale, coesiste con forme di partecipazione attenta e un atteggiamento taciturno e orientato a gesti e sguardi. Vi possono essere altre pratiche culturali associate a questi modelli per esempio, in alcune comunità, ‘uso del silenzio è strettamente legato al rispetto per l’autonomia altrui. Comunicazione indiretta di messaggi nelle storie Nelle comunità in cui è praticato e valorizzato il riserbo, i messaggi e gli insegnamenti possono essere trasmessi indirettamente attraverso proverbi e racconti. Nel mondo le storie hanno frequentemente una finalità educativa. Il ricorso alle storie come commenti personali indiretti è particolarmente diffuso nelle comunità che praticano il silenzio e il riserbo. In queste culture, spesso, in alcuni contesti può essere opportuno un atteggiamento taciturno, in altri mostrare capacità oratorie in altri ancora usare articolate forme di comunicazione non verbale.

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Forme articolate di comunicazione non verbali Forme di comunicazione diversa dal linguaggio parlato rivestono un particolare rilievo in molte culture dove sguardi, gesti, posture e movimenti sono usati in modi molto articolati. La “segregazione” dei bambini di ceto medio dalle attività degli adulti richiede un maggior ricorso a forme di comunicazione distali e vocali. Non a caso, i bambini americani sperimentano raramente contatti fisici diretti con chi ne ha cura, e passano la maggior parte del tempo “rinchiusi” nei vestiti, oppure in culle, box e passeggini. Invece, i bambini che sono costantemente a contatto con i genitori, o altri adulti, possono utilizzare più facilmente indizi non verbali come sguardi, gesti, espressioni facciali e movimenti posturali. Partecipazione attenta alle attività sociali In alcune comunità, l’apprendimento dei bambini implica un’attenta partecipazione a quasi ogni espressione della vita sociale, con l’osservazione e l’iniziativa del bambino e un sostegno sensibile degli adulti. I bambini sono posti nelle condizioni di osservare e ascoltare senza limitazioni ciò che accade nella comunità. Gli eventi cui partecipano in genere non hanno esplicite finalità educative, né sono in qualche modo adattati a loro; piuttosto, ci si attende che stiano attenti a tutto ciò che li circonda e iniziano a partecipare quando si sentono pronti. Ai bambini viene accordata piena facoltà di assistere e partecipare gradualmente alla vita della comunità. Incentivi all’osservazione attenta In molti casi, sono gli stessi genitori o educatori a incoraggiare l’acuta osservazione dei bambini. Le aspettative della famiglia e della comunità rappresentano un importante incentivo verso questo tipo di apprendimento. In questo, gli adulti e gli altri bambini possono fornire un aiuto sensibile, facilitando l’osservazione del bambino e assistendo nel suo compito. Sostegno responsivo Vi sono notevoli differenze tra le diverse culture nella disponibilità dei genitori a sostenere e aiutare i bambini. Iniziativa nell’osservazione e nella partecipazione Nelle comunità in cui i bambini hanno l’opportunità di osservare ciò che accade e sono incoraggiati a farlo, in genere le persone sono particolarmente attive e abili nelle loro osservazioni. È richiesta un’attenzione continua per apprendere dall’osservazione. Nell’attenta osservazione può essere incoraggiata la partecipazione competente dei bambini piccoli alle attività degli adulti. Attenzione distribuita simultaneamente su più eventi Imparare dalle situazioni di vita reale può richiedere di monitorare diversi eventi per volta, in una sorta di distribuzione dell’attenzione. Un’attenzione focalizzata sui un solo evento renderebbe difficile notare altri avvenimenti che potrebbero essere di grande interesse. Nelle comunità in cui i bambini partecipano a veneti sociali complessi, la sensibilità alle informazioni provenienti da diverse fonti, che richiede una forma di attenzione distribuita, può essere particolarmente sviluppata. Ciò a sua volta può favorire l’apprendimento della capacità di anticipare le intenzioni e l’orientamento del gruppo.

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Partecipazione attenta apprendistato L’apprendimento dei bambini attraverso l’osservazione di situazioni di vita reale richiama la struttura dell’apprendistato. In molte comunità, l’apprendistato forma i giovani ai nuovi mestieri. Gli apprendisti imparano attraverso l’osservazione e la pratica di compiti reali, insieme al maestro e agli altri apprendisti. Gli apprendisti non fanno affidamento su spiegazioni , ma imparano a cogliere gli insegnamenti semplicemente osservando. Imparare ascoltando L’ascolto, come l’osservazione, è un’importante opportunità di apprendimento nelle comunità in cui i bambini hanno accesso alle conversazioni degli altri. La forma di discorso particolare usata per preparare i bambini alla vita scolastica raramente è usata nelle comunità in cui i bambini sono stimolati ad apprendere assistendo e partecipando alle attività degli adulti. Invece, in quest’ultimo caso le spiegazioni verbali sono contestualizzate nell’ambito della partecipazione attiva al processo che si sta apprendendo. In tal modo, i bambini imparano grazie all’opportunità di osservare e ascoltare le attività considerate importanti nella loro comunità. Naturalmente, con i crescenti scambi culturali nel mondo, le opportunità dei bambini di apprendere osservando, o viceversa di frequentare le scuole occidentali, stanno cambiando, così come le modalità di partecipazione guidata presenti nelle varie comunità. I comportamenti e le abitudini dei bambini sono sempre più legati a più di una cultura e le pratiche culturali di più di una comunità.

9) CAMBAIMENTO CULTURALE E RELAZIONI TRA COMUNITA’

Per studiare lo sviluppo umano è importante capire come si evolvono le istituzioni e le pratiche culturali cui partecipano gli individui di ogni comunità, assumendo una prospettiva più ampia e a lungo termine rispetto a quella, più limitata, che può offrire la vita e l’esperienza di ciascuno di noi nella propria cultura. I cambiamenti culturali che hanno contraddistinto la storia del genere umano hanno avuto un ruolo nel nostro modo di vivere di pensare. Forse il ritmo dei cambiamenti è oggi più veloce che in passato, forse no; certamente i cambiamenti recenti hanno moltiplicato le occasioni in cui diverse parti del mondo possono entrare in contatto tra loro. L’avvento della televisione, di telefoni, e-mail, fax e internet ha reso le comunicazioni sempre più veloci, stabilendo contatti tra piccoli villaggi e grandi città, in ogni parte del pianeta. Oltre ai cambiamenti legati ai mezzi di comunicazione elettronica, un numero senza precedenti di persone oggi vivono in paesi diversi da quelli in cui essi stessi e i loro genitori sono nati. Vivere diverse tradizioni culturali Con l’immigrazione, i matrimoni interrazziali e interculturali, e gli altri cambiamenti demografici, oggi spesso le persone vivono più di una prospettiva culturale, assumendo ruoli in comunità differenti. Conflitto tra i gruppi culturali Benché il contatto tra comunità culturali possa essere fonte di innovazione e creatività, può altresì generare conflitti. In effetti, in una prospettiva storica, i rapporti tra i gruppi culturali sono spesso conflittuali. Una vasta letteratura documenta il ruolo dei pregiudizi interpersonali e istituzionali nelle vite dei bambini di molte comunità le cui tradizioni culturali differiscono da quelle delle comunità dominanti.

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Cambiamenti legati a contatti culturali nel corso della storia Benché sembri che i recenti cambiamenti demografici non abbiano precedenti, le trasformazioni culturali e il contatto tra diverse culture hanno caratterizzato la storia del genere umano sin dalla notte dei tempi. Processi culturali dinamici: costruire sulla diversità I processi culturali implicano un continuo cambiamento, dovuto sia alle scelte degli individui e delle comunità, sia alle circostanze esterne e all’influenza di altri popoli. Riconoscere che esiste più di un modo in cui gli uomini possono conformare le loro vite e i loro costumi deve essere accompagnato della consapevolezza che le pratiche culturali, benché siano spesso durevoli, possono anche cambiare nel tempo. Con lo stabilirsi di contatti tra diverse pratiche culturali, le comunità possono sviluppare nuove soluzioni che si basano sulle precedenti alternative, in un processo di evoluzione culturale che dura generazioni. L’ispirazione e la contaminazione reciproca tra diverse culture è qualcosa di più della somma di diverse alternative, e può generare nuove soluzioni. Alcune costanze culturali In conclusione, vorrei ricapitolare alcune “costanti” emerse in questo libro, che possono render conto delle somiglianze e delle differenze presenti nelle comunità sparse per il modello. Le “costanti” di cui parlo caratterizzano diversi modelli di processi culturali, ovvero le usanze e le pratiche culturali che regolano la vita degli individui in ciascuna comunità. Non assumo che le costanti caratterizzano intere comunità in modo mutualmente esclusivo, tutto o niente. Le comunità spesso ricorrono a diversi modelli culturali, mostrando differenti preferenze e prevalenze a seconda delle circostanze, non semplicemente un’assoluta presenza o assenza di pattern. Le costanti culturali più sorprendenti riguardano il modo in cui l’apprendimento dei bambini è strutturato. In alcuni sistemi culturali, i bambini hanno l’opportunità di imparare assistendo e partecipando alle attività degli adulti all’interno della comunità; i bambini osservano attentamente ciò che accade e ascoltano i racconti e le conversazioni, partecipandovi attivamente non appena pronti. Gli adulti e i coetanei consentono loro di accedere al contesto delle attività culturali condivise, spesso fornendo assistenza e indicazioni. Questo modello culturale si differenzia da quello in cui i bambini vengono separati da ciò che fanno gli adulti, e trascorrono il tempo esercitandosi a casa e a scuola, per prepararsi all’ingresso successivo nel mondo adulto. Gli adulti, in questo caso, organizzano l’apprendimento del bambino, attraverso lezioni fuori contesto, incentrate sull’insegnamento esplicito di informazioni e competenze. Per incoraggiare l’impegno dei bambini, gli adulti provano a motivarli attraverso lodi e altri espedienti. Spesso rivolgono ai bambini domande di verifica, di cui già conoscono le risposte, per metterli alla prova e saggiare ciò che hanno appreso. In questo modello, non sono i bambini a unirsi alle attività degli adulti, ma gli adulti che si pongono al livello dei bambini, partecipando a giochi e conversazioni a loro misura. Questa differenza è probabilmente legata a processi storici ad ampio raggio, quali l’industrializzazione e la diffusione delle istituzioni burocratiche. Per esempio, il sistema scolastico organizza i bambini in gruppo divisi per età, ed esamina i loro progressi riferendosi all’età e alla rapidità con cui raggiungono determinati “traguardi”. Ciò pone gli individui in competizione reciproca, in quanto ognuno è spinto a superare il traguardo prima degli altri. Vanno considerati altri cambiamenti storici, per esempio nelle dimensioni e nella struttura delle famiglie, e nell’eventuale lavoro lontano da casa di uno o entrambi i genitori. Sembrano esservi inoltre altri modelli contrastanti nell’organizzazione dell’apprendimento. Per esempio in alcuni casi i rapporti umani sono organizzati gerarchicamente, con una persona che controlla ciò che fanno

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gli altri, mentre in altri è presente un’organizzazione orizzontale, con reciproca responsabilità accompagnata dal rispetto per l’autonomia individuale nelle decisioni. Questo contrasto è legato alle pratiche educative presenti in famiglia e a scuola, e nell’organizzazione e nella guida della comunità. Ciò sembra collegarsi alla differenza tra un atteggiamento che privilegia la volontà e le decisioni dei bambini piccoli, finché non sono ritenuti in grado di cooperare volontariamente con il gruppo, e un altro che invece sottopone i bambini alle stesse regole dei bambini più grandi. Un altro gruppo di “costanti culturali” riguarda le strategie per la cura e la sopravvivenza del bambino, legate alle dimensioni delle famiglie, al tasso di mortalità infantile e ai ruoli specializzati nella cura del bambino nelle famiglie allargate e nei gruppi di fratelli. I modelli culturali relativi alla preferenza per il linguaggio parlato o un atteggiamento taciturno che privilegi silenzi, gesti e sguardi possono risultare connessi agli altri modelli. Le costanti culturali sembrano essere in relazione reciproca, non dicotomica, tra le varie popolazioni. È necessario compiere ulteriori ricerche in questo campo, per rivelare i modelli culturali che regolano lo sviluppo. Conclusione: ritorno ai principi introduttivi Lo sviluppo umano implica una partecipazione, sempre mutevole, alle attività socioculturali delle comunità in cui viviamo, anch’esse in continua evoluzione Questo principio sovraordinato è alla base di altri principi fondamentali, necessari a comprendere il ruolo dei processi culturali nello sviluppo umano.

sperienza culturale nel suo compelsso ci offre l’opportunità di apprezzare il ruolo dei processi culturali nelle attività di tutti i giorni, in rapporto alle tecnologie che usiamo e alle nostre tradizioni.

li altri richiede l’assunzione di una prospettiva “per contrasto”. I processi culturali più difficili da studiare sono quelli basati su assunti considerati “certi” e indiscussi. Legati alle proprie esperienze personali.

ro correlate e di influenzano a vicenda. I processi culturali implicano relazioni multilaterali tra vari aspetti del funzionamento sociale.

La storia di una comunità e le relazioni con le altre comunità sono parte di una processo culturale, che va considerato insieme alle storie individuali e ai rapporti sociali.

significa determinare quale sia “Giusta”. È richiesto un atteggiamento di apertura a diverse possibilità, che non si escludono necessariamente a vicenda. Apprendere da altre culture non significa rinunciare alle proprie tradizioni e pratiche, bensì sospendere momentaneamente le proprie certezze e separare con cura lo studio delle pratiche culturali da giudizi di valore.