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ITALIA FUTURA Piemonte La montagna un po’ più al centro 1 LA MONTAGNA UN PO’ PIU’ AL CENTRO Il confronto con le regioni autonome Da risorsa naturale a risorsa economica da rivalutare La MONTAGNA al centro delle politiche economiche in Piemonte e nel nostro Paese La Terza via tra Stato e mercato – cosa ne pensano i premi Nobel Una risposta: l’Euroregione Rappresentanti e rappresentati (in montagna) Il confronto con le regioni autonome Da tempo alcuni gruppi politici (ALPE in Val d'Aosta e Unione per il Trentino) hanno avviato una riflessione sulle difficoltà attuali e sul destino politico delle cosiddette ‘Terre alte’ che per valori, sensibilità e buone pratiche possono portare un contributo sostanziale ed innovatore al processo di ammodernamento del sistema politico, locale e nazionale, oltre che dare risposte costruttive alla crescente sfiducia nella politica. Riteniamo che anche per ITALIA FUTURA Piemonte sia strategico pensare a una montagna viva, a una montagna come risorsa e non come a un problema. Possiamo immaginare di creare “qualità della vita” e lavoro secondo nuovi modelli economici, sociali e istituzionali distinti da quelli metropolitani, ma non per questo di minor valore. In un recente incontro svoltosi a Chivasso, libero e informale, organizzato dai movimenti autonomisti valdostano e trentino, sono state gettate le basi per iniziare (nuovamente, come in passato Marco Cavaletto

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La montagna, risorsa da rivalutare

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LA MONTAGNA UN PO’ PIU’ AL CENTRO

Il confronto con le regioni autonome Da risorsa naturale a risorsa economica da rivalutare La MONTAGNA al centro delle politiche economiche in Piemonte e nel

nostro Paese La Terza via tra Stato e mercato – cosa ne pensano i premi Nobel Una risposta: l’Euroregione Rappresentanti e rappresentati (in montagna)

Il confronto con le regioni autonomeDa tempo alcuni gruppi politici (ALPE in Val d'Aosta e Unione per il Trentino) hanno avviato una riflessione sulle difficoltà attuali e sul destino politico delle cosiddette ‘Terre alte’ che per valori, sensibilità e buone pratiche possono portare un contributo sostanziale ed innovatore al processo di ammodernamento del sistema politico, locale e nazionale, oltre che dare risposte costruttive alla crescente sfiducia nella politica.

Riteniamo che anche per ITALIA FUTURA Piemonte sia strategico pensare a una montagna viva, a una montagna come risorsa e non come a un problema.

Possiamo immaginare di creare “qualità della vita” e lavoro secondo nuovi modelli economici, sociali e istituzionali distinti da quelli metropolitani, ma non per questo di minor valore.

In un recente incontro svoltosi a Chivasso, libero e informale, organizzato dai movimenti autonomisti valdostano e trentino, sono state gettate le basi per iniziare (nuovamente, come in passato era già avvenuto ai tempi di Bassetti negli anni ‘70) a pensare le nostre Alpi come laboratorio di innovazione nelle istituzioni, nell’economia, nella cultura e nella sostenibilità ambientale.E' stato chiesto a tutti i partecipanti di provare ad alzare lo sguardo, come fecero con coraggio e lungimiranza in condizioni di clandestinità i ‘Rappresentanti delle Popolazioni Alpine’ Chanoux, Page, Chabod, Coïsson, Malan Peyronel e Rollier che stilarono la celebre ‘Dichiarazione’ del

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dicembre del 1943.

Si tratta di un confronto al quale non può, anzi non deve, mancare la voce del Piemonte e, perché no, quella di ITALIA FUTURA, in particolare di ITALIA FUTURA Piemonte, soprattutto per evitare che l'argomento venga circoscritto ai soliti temi autonomistici (con scarsa presa per chi non appartiene alle regioni a statuto speciale) mentre invece occorre avere un respiro più ampio, che ci veda protagonisti nell'Euro Regione (già pensata anni fa) o nella Macroregione che abbraccia Piemonte, Val d'Aosta, Liguria, Cote d'azur, Rhone Alp!

Da risorsa naturale a risorsa economica da rivalutare La CRISI economica che sta attanagliando il nostro PAESE sta divorando quel po’ di benessere che l’Italia ha raggiunto negli oltre 60 anni di fatiche e sofferenze, non sempre uguali per tutti e particolarmente devastanti per quelle popolazioni montane che molto hanno dato alle cause nazionali (rammentiamo una per tutte il sacrificio delle divisioni alpine in Russia costituite in massima prevalenza da gente di montagna …) Per affrontare con senso critico il tema della sopravvivenza della montagna, dobbiamo rammentare come gli abitanti di queste zone abbiano vissuto più di altri la tribolazione dell’emigrazione, dell’abbandono dei villaggi, della desertificazione commerciale, della soppressione dei servizi.L’emigrazione dalle montagne ha risolto, a buon mercato, le contraddizioni del modello di sviluppo italiano (tutto rivolto al modello “urbano”) e dal ’45 ad oggi la repubblica non è stata in grado di conservare il livello di servizi essenziali preesistenti, quando ancora esisteva il Regno d’Italia. Tutto ciò non suoni come rivendicazione, ma come constatazione: Le risorse che Austria, Germania (per la sua Baviera alpina) e Svizzera hanno impiegato per conservare un livello di efficienza dei servizi in montagna nemmeno è immaginabile, tutto ciò per consolidare uno sviluppo delle loro “terre alte”.Eppure l’Italia ha speso molte risorse nei primi anni del dopoguerra utilizzando la chiave keynesiana caratterizzata da un alto livello di spesa pubblica e di investimenti, ma non per la montagna. Essa fu abbandonata per scelta dai centri finanziari e dal Potere.Ma questo mondo, questo “nostro” mondo, ha cominciato a precipitare quando in Italia il debito pubblico ha cominciato ad assumere dimensioni ragguardevoli, quando l’etica della politica si è allontanata dall’Amministrazione, quando evasione fiscale e corruzione hanno caratterizzato il dibattito politico, senza peraltro riuscire a contenere tali fenomeni negativi, dimenticandosi però dei veri temi della convivenza civile e tra questi il tema della sopravvivenza in montagna, anzi, della montagna!

Eppure la Costituzione del 1946 all’articolo 44 prevede adeguato sostegno alla montagna: il Costituente si rese conto in quell’epoca che le sorti del nostro Paese dovevano passare anche attraverso il consolidamento dell’economia montana e delle foreste. La legislazione nazionale di riferimento (la 1102/71, la 97/94) consentì un discreto posizionamento del tema montagna nel dibattito più complessivo, ma con l’avvento della seconda repubblica questo tema divenne un costo sociale improduttivo (anche la stessa terminologia parlava

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più di compensazione che di promozione e sviluppo …). Il sacrificio della montagna però non è servito a nulla; anzi, è costato molto denaro alle casse statali, in termini di risarcimenti per danni derivanti da dissesto idrogeologico, frane, alluvioni, tutti fenomeni indotti dall’abbandono della montagna.

Anche le scelte dell’ultimo governo Berlusconi con il decreto legge dell’estate scorsa in riferimento al ridimensionamento dei piccoli comuni (che appunto stanno quasi tutti nelle terre alte) è andato nella direzione di ulteriormente penalizzare la montagna; eppure la Costituzione parla chiaro: dal 2009 i 50 milioni di euro (previsti dalla Legge Carlotto, la 97/94) sono stati azzerati mentre le regioni, alle prese con bilanci assolutamente deficitari riducono sempre più il sostegno alle Comunità montane. Ciò nonostante, le stese regioni se possono cercano di sfruttare la montagna a loro vantaggio; il caso della Regione Piemonte, guidata da coloro che spesso e forse a sproposito parlano di montagna senza però considerarla con atti concreti, è emblematico. Mentre ogni anno il flusso di cassa diminuisce vistosamente a favore dello sviluppo dei territori montani, la Regione Piemonte raddoppia la tassa sul canone idroelettrico che gli è valso un incremento di 14 milioni di euro per il solo 2011. Questa è un’entrata totalmente prodotta in montagna e per questo motivo una percentuale significativa doveva ritornare alla montagna.Sempre per rimanere in Piemonte, le nostre montagne producono in valore un miliardo e 50 milioni di energia idroelettrica. Possiamo rivendicare, anche come forza politica nascente, che una quota significativa di questa risorsa possa rimanere nelle terre che hanno prodotto e che continuano a produrre questo patrimonio?Tra l’altro, gli enti locali e le Regioni come la nostra possono rivendicare un ruolo forte, se solo lo volessero, perché nelle direttrici del Trattato di Lisbona alla montagna (e per l’Italia significa il territorio alpino, il territorio appenninico e le isole che abbiano altimetrie di un certo livello) vengono riservate quote significative di risorse per il suo sviluppo.

La MONTAGNA al centro delle politiche economiche in Piemonte e nel nostro Paese

Negli ultimi anni, si aperto un nuovo percorso in cui la montagna potrebbe giocare una partita fondamentale, con il sistema delle istituzioni, che oggi sono deboli e quasi per nulla incidenti, ma che domani potrebbero ritornare ad essere protagoniste dello sviluppo del territorio.

Perché è nelle Alpi (e negli Appennini per quelle regioni del centro Italia) che si trova il naturale bagaglio di risorse che garantiranno il futuro stesso del Paese e del Piemonte. Nelle Terre Alte si trovano i "pozzi di petrolio", dal legno all'acqua. Biomasse, fotovoltaico, idroelettrico, eolico sono i settori che vedranno direttamente impegnate le istituzioni montane (non importa se

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comunità montane, Unioni di comuni o "Agenzie di sviluppo del territorio montano"), riconoscendole titolari di nuove e diverse funzioni in materia di energia e patrimonio forestale.

In primo piano ci sono le biomasse. In Piemonte ci sono 900mila ettari di foreste, la maggior parte in montagna, di cui due terzi gestibili per lo sviluppo della filiera legno. La relazione programmatica sull'energia della Regione Piemonte stima una disponibilità di circa 2 milioni di tonnellate l'anno di legno, ovviamente rispettando i criteri di massima sostenibilità per il territorio e l'ambiente (non si tratta di taglio incontrollato, ma di corretta gestione forestale). Sull'idroelettrico si gioca l'altra grande partita, in cui è necessario bloccare le pericolose spirali in cui sono venuti a trovarsi i Comuni montani (generalmente soggetti “deboli” vista la loro dimensione media) nel corso degli ultimi vent'anni, troppo spesso saccheggiate della risorsa idrica per grandi o piccoli impianti che solo in qualche caso hanno garantito uno sviluppo pluriennale del territorio.

La montagna può ancora offrire energia grazie anche al fotovoltaico e al mini eolico, due sistemi che possono dare contributi modesti ma significativi nella produzione di energia elettrica, producendo un reddito che rimarrebbe ancorato al territorio montano.Già perché oggi le grandi centrali idroelettriche, produttrici di grosse quantità di energia elettrica, producono reddito ma al territorio montano non restituiscono quasi nulla!

Ma da esplorare vi sono altre importantissime opportunità: in molti Comuni montani del Piemonte ad esempio stiamo assistendo a un "ritorno" da parte di persone che erano emigrate nei decenni del dopoguerra, che oggi lasciano le città o il fondovalle, per risalire in zone montane dove acquistano e ristrutturano case abbandonate. Occorre favorire questo collegamento tra una offerta imponente (nell’ordine di alcune migliaia di abitazioni da recuperare) e una domanda che si sta facendo sempre più esigente. Spesso sono giovani che insediano nuove imprese, non soltanto agricole, artigianali o turistiche, ma anche collegate alle nuove tecnologie, grazie al divario digitale ridottosi negli ultimi anni e alle possibilità del telelavoro. Questi edifici, opportunamente ristrutturati possono essere riclassificati in Classe A o A+, e quindi godere di esenzioni fiscali che riducono al 45% il costo effettivo del recupero, grazie alle recentissime norme introdotte dal governo Monti. E … , se questa non è economia …!

Questi sono argomenti, da quelli relativi alla produzione di energia da fonti rinnovabili al recupero del patrimonio edilizio esistente, che ben si accoppiano con la valorizzazione delle peculiarità produttive di questo territorio, nella valutazione di cosa oggi vale la Montagna. Sappiamo che la qualità, quasi sempre accostata a produzioni quantitativamente modeste, trovano in montagna i luoghi ideali per la loro produzione; dalle erbe officinali ai frutti di bosco, dagli allevamenti delle razze da carne, alla produzione di latte per la caseificazione, da un turismo capace di valorizzare le località anche meno attrattive per gli sport invernali, ma capaci di offrire tranquillità, alla cultura

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capace di esprimersi in lingue antiche ma pur sempre praticate (dall’occitano, al ladino). Tutto ciò è montagna .Ma purtroppo siamo stati troppo abituati nel corso del finire del secolo scorso a trattare quasi ogni argomento in termini di valore economico. Se questo è il paradigma di riferimento allora proviamo a vedere quanto “pesi” la trascuratezza dell’ambiente montano, perché è questa la direzione che un movimento politico, che vuole innovare in tutti i settori, deve impegnarsi per consentire al Paese di ristabilire un equilibrio tra la montagna e gli altri territori fortemente antropizzati. La montagna non dovrà più essere il luogo delle vacanze da rapina, ma il luogo a cui occorre restituire in primo luogo dignità e poi anche ricchezza.

Potremmo domandarci il perché, ma credo che la risposta sia sotto gli occhi di tutti.

La mancata cura del bosco, dei versanti, produce frane e smottamenti; il mancato taglio del sottobosco e dei prati produce paglie impermeabili all’assorbimento delle acque che incrementano il tempo di corrivazione1

producendo ingenti danni nelle valli, nei fondo valle, nelle pianure e in città con alluvioni sempre più frequenti e devastanti. La mancata cura

del bosco non permette di ricavare dalla biomassa energia verde, ovvero quella ricavata da fonti rinnovabili.Se il paradigma è quello della valutazione economica, c’è da domandarsi se non è quindi meglio impiegare il denaro, che inevitabilmente deve andare in risarcimenti ai cittadini o alle imprese colpiti da alluvioni e frane, per prevenire i disastri, creando migliori condizioni di vita in montagna, evitando le frane, regimando le acque superficiali, coltivando il bosco che, oltre al lavoro (ogni megawatt installato produce 22 posti di lavoro non nella grande città ma in montagna!) può produrre energia verde, quella che ci permette di ridurre la dipendenza dal petrolio, e allo stesso tempo ci permette di mandare minore quantità di CO2 in atmosfera?

La Terza via tra Stato e mercato – cosa ne pensano i premi Nobel Ecco la montagna rappresenta tutto questo: un’opportunità da “sfruttare” in senso buono. Credo che ITALIA FUTURA debba porsi alla testa di un movimento che propugni questo diverso modello di sviluppo, non certamente in contrasto con altri “territori” o altri comparti.

Peraltro, anche sotto il profilo economico, occorre tenere a mente i suggerimenti che arrivano da chi ha teorizzato l'esistenza di una terza via tra

1 Tempo di corrivazione del bacinoIn termini generali, il tempo di corrivazione è il tempo impiegato da una goccia d’acqua che cade

in un punto qualsiasi del bacino imbrifero per raggiungere la sezione di chiusura del bacino. Il tempo di corrivazione del bacino è il tempo impiegato da una goccia che cade nel punto idraulicamente più lontano del bacino per raggiungere la sezione di chiusura. E’ quindi il massimo tempo di corrivazione tra tutti i punti del bacino. Più è alto il tempo, per effetto dell’assorbimento da parte del terreno di gran parte delle precipitazioni, per effetto di una oculata regimazione delle acque, meno pericoli corrono i territori a valle.

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Stato e mercato. Le intuizioni di Elinor Ostrom (premio Nobel per l’Economia)2 ci permettono di capire come una gestione "comunitaria dei beni” possa rimanere sostenibile nel lungo termine. Una lezione di particolare importanza oggi a proposito dei beni collettivi globali, come l'atmosfera, il clima o gli oceani, ma per venire più vicino a noi, i boschi, i pascoli, i fiumi, in una parola, la montagna … Le moderne teorie dell’economia dell’ambiente trattano il fenomeno della “tragedy of the commons”; secondo questa impostazione, se un bene non appartiene a nessuno ma è liberamente accessibile, vi è una tendenza a sovrasfruttarlo. L’individuo che si appropria del bene comune, deteriorandolo, infatti, gode per intero del beneficio, mentre sostiene solo una piccola parte del costo (in quanto questo costo verrà socializzato). Poiché tutti ragionano nello stesso modo, il risultato è il saccheggio del bene. Analogamente, nessuno è incentivato a darsi da fare per migliorare il bene, poiché sosterrebbe un costo a fronte di un beneficio di cui non potrebbe appropriarsi che in parte.Il merito di Elinor Ostrom è stato quello di ipotizzare l’esistenza di una “terza via” tra Stato e mercato, analizzando le condizioni che devono verificarsi affinché le common properties non degenerino.

Una risposta: l’EuroregioneUn rapporto più equilibrato forse potrà essere cercato in un futuro nemmeno troppo lontano da istituzioni da un lato più vicine ai cittadini ma maggiormente sensibili all’innovazione necessaria in un processo di riforma complessiva delle istituzioni. Il dibattito stantio, anzi l’inazione che si riscontra a livello nazionale con la cosiddetta Carta delle Autonomie (ferma ormai da tempo in uno dei due rami del Parlamento), produce incertezze soprattutto nei comuni polvere (ovvero i piccoli comuni, quelli con meno di mille abitanti che, come è noto, sono quasi tutti montani).

Anche la discussione apertasi l’anno scorso quando con decreto legge il governo Berlusconi decise inopinatamente di abrogare 1936 comuni (per risparmiare ben 7,5 milioni di euro!) non si è ancora conclusa, vuoi per il cambio di governo, che nel frattempo aveva stabilito di asciugare le province (non potendo abrogarle per legge, essendo questa una materia costituzionale) , vuoi per l’intreccio con la Carta delle autonomie ancora ferma in Parlamento.Questo clima di incertezza dovrebbe far riflettere una intera classe politica sul fatto che occorra mettere mano da subito ad un dibattito approfondito per una vera riforma dello Stato, e delle sue istituzioni locali, più rispondente ai bisogni.In questo quadro, tralasciando per un attimo il tema dei comuni che comunque ha una sua rilevanza straordinaria, non sarebbe fuori luogo ripensare ad una

2 Elinor Ostrom è mancata il 12 giugno 2012. Tra i suoi collaboratori più importanti citiamo il professor Gian Giacomo Bravo, dipartimento Scienze Sociali dell’Università di Torino

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ricomposizione dell’istituto regionale (20 regioni? Che diventano 21 – per effetto del calcolo delle due province di Trento e Bolzano – quando si discute di riparto di fondi . ..) sia a livello nazionale (Piemonte-Liguria-Val D’Aosta?) sia in chiave più europea, mica rinunciando alla nostra sovranità nazionale, ma per rendere piò omogenei i territori alpini confinanti sui due versanti, giungendo con appositi trattati internazionali, qualora fosse necessario, ad istituire le macro regioni (che nel caso piemontese potrebbe vedere concordi Piemonte- Liguria-Val d’Aosta, Rhone Alpes, Cote d’Azur, così come già è stato abozzato nel 2006/2009 con semplici accordi e con il supporto delle Camere di Commercio di queste aree …).L’Europa tra 20 anni probabilmente vorrà dialogare soltanto più con le macro regioni, ovvero con quelle istituzioni veramente capaci di rispondere con efficacia all’impegno istituzionale, spendendo con altrettanta efficacia le risorse che verranno messe a disposizione.

Rappresentanti e rappresentati (in montagna)Nelle 7/8 settimane da quando abbiamo dato vita ad ITALIA FUTURA PIEMONTE ci siamo trovati spesso a dialogare con amministratori pubblici e cittadini provenienti dalle terre alte. Ebbene, il rincrescimento che abbiamo registrato e la insoddisfazione che spesso permea il ragionamento anche di persone capaci e dotate di cultura amministrativa riguarda il livello di rappresentanza, spesso pari a zero, della Montagna.In effetti le leggi elettorali assegnano i seggi (dal Parlamento alle regioni) in base al solo dato demografico; forse occorre ripensare questo elemento e provare ad immaginare, come risulta che facciano in Scozia e forse in altri paesi d’Europa, ad una più efficace rappresentanza del territorio, assegnando alla montagna (o alla collina depressa) una dotazione di un certo numero di seggi.Il paradosso lo si vede nell’attuale Consiglio regionale del Piemonte: su 60 consiglieri, nessuno può veramente dirsi espressione della montagna, mentre quasi la metà può certamente dirsi rappresentante del capoluogo. Se ad esempio anziché 60 eletti ce ne fossero soltanto 1 ogni 100mila abitanti, i consiglieri sarebbero 43/44. Se a questo punto 5 o 6 consiglieri fossero sicuramente eletti nelle nuove circoscrizioni alpine (o appenniniche, per Alessandria) tramite un meccanismo di ingegneria istituzionale che lasciamo agli esperti, probabilmente si otterrebbe già un primo ed importante riequilibrio.

ITALIA FUTURA ha interesse, curiosità e voglia di individuare e percorrere la strada di una probabile Terza Via, che veda al centro l’individuazione di possibili soluzioni ai temi proposti e che ricomponga in modo più consono il dualismo tra sviluppo e benessere dell’uomo nel suo ambiente e “del” suo ambiente?

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Nota biograficaMarco Cavaletto attualmente è presidente di PieMonti Risorse, una società voluta dalla delegazione piemontese dell’UNCEM3. E’ stato per 38 anni funzionario della Regione Piemonte (negli ultimi 15 anni con l’incarico, a contratto privatistico, di direttore generale per il Commercio, Artigianato, Turismo e Polizia Locale). E’ tra i fondatori dell’Associazione Italia Futura Piemonte.

3 L’UNCEM è l’Unione Nazionale dei Comuni e degli Enti Montani – In Piemonte raggruppa 22 comunità montane e 550 comuni.

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