La Montagna Di Luce - Salgari Emilio

7/15/2019 La Montagna Di Luce - Salgari Emilio

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EMILIO SALGARI

LA MONTAGNA DI LUCE Illustrazionidi GENNARO AMATO



FABBRI EDITORI

INTRODUZIONE

Collana a cura di Luciano Del SčtteClaudio Gallo

Sulla Collana

EMILIO SALGARI. L’OPERACOMPLETA

Š 2002/2004 RCS Collezionabili / RCSLibri S.p.A. - Milano



Pubblicazione periodica settimanaleRegistrazione presso il Tribunale diMilano n. 298 del 20 maggio 2002

Direttore Responsabile GIANNI

VALLARDI

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Si ringraziano la Biblioteca Civica diVerona e il suo direttore Ennio Sandal pemateriali del Fondo Salgariano

cortesemente messi a disposizione.



ota dell’editore

l presente volume riproduce il testo diuna

delle edizioni originali pubblicate dallecase editrici

di riferimento tra il 1887 e il 1926. Le

avole

fuori testo sono state selezionate fra leavole

che corredavano l’edizione utilizzata. Larascrizione,

a grafia e la traslitterazione dei nomi



sono state

compiute nel rispetto delle scelte

dell’autore.

vi comprese eventuali alterazioni deioponimi,

decise dall’autore stesso per ragioninarrative.

La salvezza in cambio di un diamante

ncantatori di serpenti, raccapriccianti

cerimonie, voluttuose baiadere,

meravigliose pagode colle pareti adorne



di sculture raffiguranti le molteplicidivinitŕ indiane, e il continuo frastuonodelle cittŕ, popolate da una folla

variopinta, coi loro bazar, le fastoseprocessioni religiose, il rito del bagnonelle sacre acque del Gange costituiscono’esotica cornice dell’avventura che

Emilio Salgari mette in opera nel romanzoLa Montagna di luce, edito da Donath nel1902. Un volume che, pur non facendoparte del piů noto ciclo indo-malese,ricorre, dunque, a quei fondalimelodrammatici, attenuati da un lieto fineanto congeniali all’autore, che alimentan

’originale vena creativa dello scrittoreveronese.

Al centro dell’avvincente intreccio č la

Montagna di luce, un enorme diamante



d’una purezza incredibile che rappresental mezzo per riabilitare Indri Sa gar, il

consigliere del guicowar di Baroda,

potente principe indiano, caduto indisgrazia in ragione delle infernali tramedi un suo acerrimo nemico, l’astutoministro Parvati. La congiura mira a

scacciarlo dalla sua casta e a fargliperdere onori e ricchezze, facendolodivenire un miserabile paria, disprezzatoda tutti. L’unico modo per evitare’imminente rovina consiste nel sottrarreo splendido diamante al suo possessore,l rajah di Pannah, donandolo al tempio d

Brahma per essere posto sulla fronte dellstatua del dio. La pietra del peso diduecentonovantanove carati ed emananteŤbagliori accecantiť era, scrive Salgari,

Ťben degna del nome che portavať. Per



condurre a buon fine la rischiosa impresandri chiede l’aiuto dell’inglese Toby

Randal, il piů celebre cacciatore di tigri

dell’India settentrionale, cui tempoaddietro aveva salvato la vitasottraendolo agli artigli di una belva, unex militare che nasconde nel suo passato

un terribile dramma che lo ha segnato pera vita. Coraggiosi, leali e provetti

cacciatori, l’indiano e l’europeo eranofatti per in

endersi e diventare amici fraterni,superando ogni barriera razziale ereligiosa. Insieme, perché gli eroi diSalgari non agiscono mai da soli,dovranno battersi contro le temibili tigriŤmangiatrici di uominiť e, soprattutto, far

fronte alle trappole insidiose tese loro da



Dhundia, anima dannata di Parvati, cheprende parte alla spedizione per voleredel principe, e del malvagio fachiro Si

ama, suo complice, capo dellasanguinaria setta dei dacoiti. Al pari deihugs, i membri di questa setta uccidonondiscriminatamente, ma mentre quelli

strangolano le loro vittime spinti dalfanatismo religioso, i dacoiti leavvelenano brutalmente per derubarle.Sullo sfondo di un’India quanto maienigmatica e affascinante, i due amiciaffronteranno prove terribili prima diriuscire a entrare in possesso del

Kohinoor che rappresenta la salvezza perndri. In quest’azzardata impresa, sischierano al loro fianco il cornacBandhara, un energico conduttore di

elefanti dalle mille risorse, e il piccolo



Sadras, un orfano ingaggiato come guidache, alla fine, sarŕ adottato da Randal.mpadronitisi del famoso diamante con un

ardito colpo di mano - Indri perň lascerŕ nella teca che lo conteneva un assegno arimborso per una somma favolosa,superiore all’effettivo valore della pietra

— i due audaci amici dovranno poirecuperarlo da Dhundia e Sitama, chesono riusciti a impossessarsene, a lorovolta, con l’inganno. Dopo mille altreperipezie mozzafiato, Indri riuscirŕ aornare da vincitore a Baroda, dove

otterrŕ dal suo signore piena giustizia

contro i suoi nemici e, come ricompensaper l’ingiustizia subita, la carica di primoministro, in precedenza appartenutaproprio a Parvati. Toby, col piccolo

Sadras, tornerŕ al suo bungalow nella



foresta, per riprendere a cacciare le tigri,mentre l’eccezionale diamante, dopo unperiodo di permanenza in una pagoda di

Baroda, finirŕ, paradossalmente, innghilterra ad adornare la corona deisovrani inglesi.

La Montagna di luce, uscito nel 1902anche in ventidue dispense, vennellustrato dal felice tratto di Gennaro

Amato, le cui raffigurazioni tendono quas

al romanzo gotico, in quanto il disegnatornapoletano prediligeva ambientare’azione in scenari notturni che avessero

una sfumatura inquietante. Emblematica dale visione, la copertina di questo

romanzo: una tigre ruggente in primopiano, su un fondale abbagliato dalla

uminositŕ sprigionata da un enorme



diamante e, sulla destra, dal limitare deldisegno, due mani, scure sul fondouminoso, che si sporgono, avide e

minacciose, come tese a voler afferrare lostraordinario gioiello.

Caterina Lombardo

L.ASSALTO DELLA PANTERA

n un caldissimo pomeriggio del luglio de1843, un elefante di statura gigantesca,che poteva gareggiare con quelli

mostruosi dell’Africa centrale, se non per



e forme almeno per la mole, salivafaticosamente gli ultimi scaglionidell’immenso altipiano di Pannah, uno de

piů selvaggi e nel medesimo tempo de’piů pittoreschi dell’India centrale.

Come tutti i pachidermi indostani, che sol

ricchi possono mantenere, portava suldorso una ricca gualdrappa azzurra conbordatura rossa, grossi fiocchi agliorecchi, un frontale di metallo dorato e

arghe cinghie destinate a trattenere’haudah, quella specie di cassa che puň

contenere anche sei persone. Tre uominimontavano il colosso: il cornac, ossia ilconduttore che si teneva a cavalcioni delcollo, colle gambe nascoste fra lemmense orecchie del pachiderma, che

mpugnava un piccolo arpione dalla punta



d’acciaio e due altri che dalle vesti chendossavano parevano appartenere a

qualche classe elevata. Mentre il primo

sfidava il sole senza darsene pensiero, glialtri due riposavano comodamente suicuscini di seta dell’haudah, riparati da unpiccola tenda di percallo azzurro a frange

d’oro.

l piů attempato era uno splendido tipod’indostano di circa quarant’anni, alto,

magro, colle spalle perň larghe e Lemembra muscolose, dal profilo ardito,reso piů imponente da una lunga barbanera un po’ brizzolata e da due occhinerissimi e mobilissimi.

ndossava un ampio dootée di seta giŕ Uŕ a fiori rossi che gli ricadeva in ampie



pieghe, stretto alla cintura da una largafascia rossa ricamata in oro e teneva laesta avvolta in un fazzoletto di musichi,

specie di tela di cotone che ha i riflessidella seta e che č di una trasparenzancredibile.

l suo compagno invece non dimostravapiů di trent’anni e mancavacompletamente di quell’aria signorilechedisttingue le classi elevate dell’India.

Era un uomo di statura piccola, collemembra piuttosto esili, colla pelle assaiabbronzata ed i lineamenti irregolari epunto simpatici, resi maggiormentesgradevoli da larghe cicatrici prodotteforse da qualche malattia. Anche i suoiocchi, piccoli, irrequieti, che si



socchiudevano di frequente come se nonpotessero affrontare la luce del sole,avevano qualche cosa di falso e di

sospettoso.

Quantunque fosse vestito come ilcompagno, non era difficile indovinare in

ui un uomo appartenente ad una castanferiore.

Rannicchiato come una scimmia in un

angolo dell’haudah, masticava convisibile soddisfazione un po’ di betel,miscuglio composto d’una noce omonimauna foglia di mecche ed un po’ di calceviva, e che produce un’abbondantesalivazione rossa.

essuno dei tre parlava, nemmeno il



cornac il quale lasciava che l’elefante siraesse d’impaccio da sé, senzancoraggiarlo con una di quelle benevoli

frasi che i colossi indiani hanno imparatoad apprezzare.

Solo di quando in quando allungava una

mano per spalmare e soffregare l’enormeesta del pachiderma con del grasso, ondempedire che la grossa pelle si

screpolasse sotto il calore intensissimo

del sole.

L’indiano dalla barba pareva che si fosseassopito. Se non si fosse notato in lui, diquando in quando, un lieve corrugaredella fronte, si sarebbe detto che dormivaperché conservava una immobilitŕ assoluta.



l suo compagno invece parevacompletamente assorto a masticare il suobetel ed a lanciare fuori dall’haudah

arghi getti di saliva, rossa come ilsangue. L’elefante intanto raddoppiava isuoi sforzi per salire quei penděi chediventavano sempre piů erti. Sbuffava,

ansava fortemente, imprimendo all’haudadei bruschi soprassalti, agitava laproboscide aspirante rumorosamente’aria e tastava prudentemente il suolo peema di provocare qualche

scoscendimento. I Ghati di Pannah, sono ipiů difficili da percorrersi per la ripiditŕ

dei loro penděi e anche per la pessimamanutenzione dei sentieri, non essendoviche una sola strada che meriti tale nome,quella che va ad incontrare la via di

Marwa Ghat, l’unica che sia praticabile e



anche non sempre. Tutto l’altipiano sale iforma di scalinate gigantesche checominciano dal Keyn, uno dei principali

fiumi del Bundelhand orientale, il qualescaturisce dai monti Ciahgarh, andandosipoi a versare, dopo un corso dicentocinquanta chilometri, nella Jumna.

burroni si contano a migliaia, ricchi tuttidi grossi vegetali, di tec immensi cheanciano le loro cime a sessanta e piů

metri, di platani colossali, di enormimhowak, di mangifere, di tulipiferi e dicespugli che producono grappoli di fioridorati e purpurei. Malgrado perň tantiostacoli, l’elefante continuava a salirentrepidamente,



moltiplicando i suoi sforzi, ansioso diraggiungere le foreste dell’altipianosuperiore e di godersi un po’ d’ombra.

Giŕ aveva raggiunto i primi alberi, quando si vide arrestarsi bruscamente,

mandando un sordo barrito e mostrandosi

nquieto. Il cornac, sorpreso daquell’improvvisa fermata, aveva alzato’arpione dicendo:

Avanti, Bangavady.

L’elefante, invece di obbedire, aveva fattqualche passo indietro, arrotolando

prudentemente la sua proboscide emettendola al sicuro fra le due enormizanne.



L’indiano dalla barba, svegliatobruscamente da quella mossa retrogradache aveva impresso all’haudah una scossa

foltissima, riaprě gli occhi, chiedendo:

Cosa succede, Bandhara?

Non lo so, padrone - rispose il cornac. -Pare che Bangavady abbia fiutato qualchepericolo perché rifiuta d’avanzarsi.

Che ci siano dei dacoiti? - chiese’uomo piccolo, sputando il betel che

stava masticando. - Noi siamo nel paesedi quei bricconi.

Intendi parlare della setta degliavvelenatori? - chiese il compagno. - si,ndri.



E tu credi che abitino questi luoghi,Dhundia?

Vivono nei boschi e negli altipiani delBundelhand.

Ma noi non dobbiamo essere lontani da

Pannah.

Quei briganti s’imboscano sovente neiuoghi che sono frequentati per compiere

e loro bricconate. In guardia, Indri! Essisi fanno un merito a massacrare oavvelenare le persone che riescono asorprendere.

Abbiamo le nostre carabine e cidifenderemo - disse l’indiano dalla barba

Indri non ha mai temuto nessuno.



Fuorché il guicowar di Baroda - disseDhundia, con accento lievementebeffardo.

Taci! - disse Indri, con voce imperiosa. Tu hai ricevuto l’ordine di

accompagnarmi e non giŕ di…

E di sorvegliarti.

— Sia, ma silenzio ora. Bangavady ha

fiutato un nemico e pensiamo ad armarci.

L’indiano si abbassň e staccň da una dellequattro colonnette dell’haudah una

splendida carabina dalla canna arabascate brunita ed il calcio ad intarsi d’argentoe madreperla.

Bandhara - disse, rivolgendosi al



cornac, il quale scrutava attentamente glialberi che si ergevano a soli cinquantapassi. - Spingi Bangavady.

Mi proverň, padrone.

Sospetti che il pericolo venga da parte

degli uomini o di qualche animale?

Le tigri e le pantere non sono rare inquesta regione, sahib (signore).

Eppure il mio amico Toby abita questialtipiani e non deve averne lasciate molte mormorň Indri. - Sei pronto, Dhundia?

La mia carabina e le mie pistole sonocariche.

Vediamo chi oserŕ chiudere il passo al



mio elefante.

Bandhara, da vero cornac che conosceva

a sua bestia, si era messo ad accarezzareBangavady sussurrandogli dolci parole,alle quali l’intelligente pachidermapareva che si mostrasse molto sensibile.

Dapprima sbuffň svolgendo la suaproboscide, poi si rimise in cammino conestrema prudenza, guardando a destra ed

manca e barrendo sordamente. SeBangavady, uno dei migliori elefanti delguicowar di Baroda, abituato acombattere nei circhi di quel potente rajahe ad affrontare gli assalti delle fiere, simostrava cosě inquieto, doveva aver fiutato un pericolo non comune. Indri, rittosul dinanzi dell’haudah, colla carabina in



mano, osservava il margine della forestaformato da pipai dal tronco enorme e dalfogliame cupo e foltissimo e da macchion

di kalam, erba dura che raggiunge sovente’altezza di quindici piedi, ottimo rifugioper le belve.

Quantunque fosse certo di trovarsi dinanzad un pericolo, quell’indiano conservavaun ammirabile sangue freddo, cosapiuttosto rara negli indostani i quali sono

nvece impressionabilissimi e non moltorisoluti. Anche il suo compagno perň nonmanifestava alcuna apprensione, anzi siera cacciato in bocca un nuovo pezzo dibetel, senza prendersi la briga di armarea carabina.

Giunto dinanzi al kalam, l’elefante si era



nuovamente fermato, arrotolando laproboscide.

Avanti - disse il cornac, dopo d’aver guardato Indri.

L’elefante invece di obbedire si piantň

solidamente sulle robuste gambe e mandňun barrito sonoro.

Vedi nulla? - chiese Indri al cornac. -

o, signore - rispose questi.

Non si agitano i kalam?.

Sono perfettamente immobili.

Che qualche animale si sia imboscato lŕdentro? Fiuta l’aria, Bandhara.



l cornac si spinse innanzi fino quasi sullafronte dell’elefante e annusň a variealtezze.

Nulla - disse.

Se vi fosse qualche tigre, il vento che

spira dalla foresta porterebbe fino a noiquell’odore di selvatico che le tradisce -mormorň Indri. - Cosa dici Dhundia? -Che Bangavady comincia a diventare

noioso - rispose l’interrogato.

Prova a sparare in mezzo a quellemacchie.

Dhundia prese la carabina quasi dimalavoglia, la puntň verso le alte erbe efece fuoco a casaccio.



La detonazione era appena rimbombataquando in mezzo ai kalam si udě un gridorauco, come soffocato.

Padrone, l’urlo d’una pantera! - esclamňl cornac con voce tremula.

Sě - disse Indri. - Bangavady non si erangannato.

Non avrei mai supposto di trovare qui

delle pantere - disse Dhundia, il qualepareva che avesse perduta tutta la suaspavalderia.

— Ve ne sono piů di quante tu credi — rispose Indri. — Giacché noi ci facciamoprecedere dalla fama di sterminatori dibelve feroci, non trovo di meglio che



cominciare qui le nostre imprese.

Servirŕ a nascondere meglio i nostri

progetti - disse Dhundia.

Ed addormentare la sorveglianza delrajah di Pannah. Ma basta colle

chiacchiere e pensiamo alla belva che ciminaccia.

Padrone - disse in quel momento il

cornac. - Passatemi una picca.

Sě, e spingi l’elefante.

Bangavady si avanzerŕ, padrone. Sentoche sta per prendere lo slancio.L’elefante, dopo di aver fiutatonuovamente l’aria, si era rimesso in

cammino aprendosi il passo fra le



altissime erbe col possente petto.

Dhundia - disse Indri. - Hai ricaricata la

carabina?

Sono pronto a far fuoco.

Io sono sicuro dei miei colpi. Ed anche il mio polso non trema.

Un nuovo urlo, rauco, pauroso, eraecheggiato fra i kalam ed un altro vi avevrisposto un po’ piů lontano.

— Sono due — disse Indri, senza perderea sua calma. — Ah! Se ci fosse qui TobyMa lo troveremo presto ed a Pannah siparlerŕ di noi.



Bangavady continuava ad inoltrarsi nonsenza dare continui segni d’inquietudine.Soffiava rumorosamente, scuoteva

’enorme capo e di quando in quandoprovava dei forti brividi. Gli elefanti,quantunque siano dotati d’una forzaprodigiosa, e che con un colpo di

proboscide possano atterrare perfinoalberi e abbiano la pelle cosě grossa dasfidare sovente le palle di fucile senzarisentirne danno alcuno, temono le tigri ee pantere.

Anche se sono ammaestrati a quel generedi caccia, esitano e anche qualche voltavolgono le spalle al feroce nemico,mettendo in gravissimo pericolo gliuomini che si trovano nelVhaudah.



Bangavady era uno dei piů coraggiosi, chaveva fatto le sue prove fra le jungle diBaroda e che molte tigri aveva schiacciat

sotto i suoi larghi piedi o stritolate collapoderosa proboscide, pure si mostrava inquel momento assai inquie

o e non si avanzava, che con un’estremaprudenza, allontanando le erbe colla suaunga appendice che subito ritirava,

mettendola al sicuro fra le enormi zanne.

Non mi sembra che si senta troppo sicurodi sé - disse Indri, il quale aveva notate leesitazioni del pachiderma. - Questocontegno in un elefante cosě coraggioso,mi stupisce. Che abbia fiutato qualchealtro pericolo? Cosa ne pensi, Dhundia?



Non so cosa dire - rispose l’indiano ilquale pareva di cattivo umore. - Questepantere potevano andarsene altrove.

Avranno fame, mio caro.

L’altipiano del Pannati non č disabitato.

Perché prendersela con noi invece didivorare le mucche di questi montanari,od i loro padroni?

attento, Dhundia!

Una forma nerastra erasi slanciata fuoridai kalam, ricadendo subito. Era una dell

due pantere che prima d’impegnare laotta aveva voluto misurare la distanza

che la separava dagli avversari.

Non č lontana - disse Indri. - Sangue



freddo e occhio sicuro o qualcuno di noici lascerŕ la pelle.

La fiera era tornata ad imboscarsi, tuttavisi udiva, ad intervalli d’un minuto, il suorauco urlo ripieno di minaccia.

Deve essere ben affamata per assalirci -disse Indri. - Non ci lascerŕ finché nonavrŕ ucciso qualcuno di noi.

ndri conosceva troppo bene le panteredegli altipiani dell’India per ingannarsi.Queste fiere, che sono ancoranumerosissime in tutta l’Indostan e anche

nella Cina e nella Malesia non sono menopericolose delle tigri, anzi talvolta sonopeggiori e piů temerarie.



Sono un po’ piů piccole delle tigri, nonsuperando mai i due metri, ma hanno deimuscoli egualmente poderosi e degli

slanci fulminei. Hanno la testa piuttostogrossa, un po’ allungata, corporobustissimo, gambe corte e robuste ed ilpelame giallo rossiccio che s’oscura sul

dorso mentre invece imbianchisce sotto ilventre, con macchie e rosette nerastre edn forma di mezzaluna.

Ottime arrampicatrici e agilissime neioro slanci, riescono quasi sempre a

piombare sulle prede, ora lasciandosicadere dai rami bassi delle piante ed orabalzando fuori dai loro nascondigli convelocitŕ fulminea. Non temono né l’uomo,né l’elefante e osano assalire

contemporaneamente entrambi,



mostrandosi in ciň piů decise e piůrisolute delle tigri. Indri, che ne avevauccise piů d’una, aveva quindi ragione di

enersi in guardia e di prendere le sueprecauzioni per non venire sorpreso.Bangavady, avendo notato dove la pantersi era nascosta, si era messo

coraggiosamente in marcia, aizzato dalcornac il quale non gli risparmiava i colp

d’arpione, alternati a parole affettuose.

Perň continuava a tremare e cacciava

fuori barriti formidabili.

on si sentiva sicuro e non osava piůallontanare le erbe colla proboscide per

paura di farsela sbranare dagli artigli



della sanguinaria belva.

ndri e Dhundia, curvi sull’haudah, colle

carabine in mano, guardavano i calamcolla speranza di scoprire la fiera e difreddarla con una buona scarica.

Ad un tratto Bangavady s’arrestň,mettendosi in guardia e puntando le lungh

zanne.

Attento padrone! - gridň il cornac. - Lapantera sta per venire.

Aveva appena pronunciato quelle parolequando si videro le erbe aprirsiviolentemente come sotto una spintarresistibile ed una grossa pantera si

scagliava, con un salto gigantesco,



sull’elefante, piombandogli sulla fronte.ndri aveva fatto subito fuoco, mentre il

cornac, svelto e ad un tempo vigoroso,

dopo essersi gettato indietro, vibrava unfurioso colpo di picca. Quantunquedoppiamente ferita, la belva non lasciňsubito il posto. Piantň le unghie nella

pelle del pachiderma lacerandola, poispiccň un secondo salto sfuggendo alcolpo di carabina di Dhundia e passandosopra l’haudah ricadde fra le erbe.

Bangavady, da vero elefante ammaestratoa quelle pericolose cacce, aveva fatto unrapido voltafaccia, presentando le zanne.

ndri non aveva perduta la sua calma.Vedendo che la pantera stava per riprendere lo slancio, aveva gettata la



carabina vuota per riprenderne una caricaQuantunque quella mossa fosse stataveloce, la fiera con un nuovo slancio si

era scagliata sul dorso dell’elefante e siera aggrappata all’orlo superioredell’haudah, mostrando la sua golasanguinosa.

Dhundia s’era in quel momento curvatoper afferrare una picca e stava per risollevarsi. La belva, vedendo sotto di s

a testa dell’indiano, aveva allungata unazampa per afferrarla.

Non alzarti, Dhundia! - gridň Indri.

L’indiano aveva compreso il pericolo e sera lasciato cadere in fondo all’haudah.Quel momento bastň: Indri aveva fatto



fuoco a bruciapelo, fracassando il craniodella belva.

Bangavady, sentendola cadere, fu pronto voltarsi e posatole sul corpo il suo piededestro, d’un sol colpo la schiacciň,facendole uscire gl’intestini.

č morta! - gridň il cornac.

ell’istesso momento in mezzo ai kalam

si udě un grido umano terribile, straziantepoi l’urlo della seconda pantera,quell’urlo rauco e breve che mandaquando piomba sulla preda e la dilania

colle unghie d’acciaio.



I MISTERI DI

DHUNDIA

La notte cominciava a calare rapidissimanon essendovi che un brevissimo

crepuscolo in quelle calde regioni e chedura solamente pochi secondi. Le cicognedalle gambe smisurate ed il beccounghissimo, i corvi, i bozzagri, i gypaeti

calavano a stormi sopra gli alberi per cercarvi un rifugio, mentre le grosse flyigfosc, somiglianti a pipistrelli e col musoda volpe, cominciavano a lasciare i

crepacci volteggiando fra le tenebre.

mille rumori della foresta si spegnevanoa poco a poco. Non piů urla di scimmie,



non piů grida di volatili, non piů sibili direttili. Il silenzio riprendeva il suo imperoper poche ore perň, fors’anche meno,

perché le tigri e le pantere, numeroseanche sugli altipiani di Pannah, nondovevano tardare a mettersi in caccia.

Dopo quel grido umano, piů nessun altrorumore erasi udito nella foresta e fra legigantesche erbe.

Perfino Bangavady aveva cessato dibarrire e si era messo in ascolto, agitandoe sue smisurate orecchie, come se avesse

cercato di raccogliere qualche nuovogrido che meglio gli spiegasse che cosaera avvenuto sotto i kalam.

Che la seconda pantera abbia sbranato



qualche povero montanaro? - si chiesefinalmente Indri, con una certa emozione. Cosa ne dici, Dhundia?

Che noi non possiamo rimanere quinoperosi - rispose l’interrogato, il quale

pareva in preda ad una viva inquietudine.

Cosa faresti?

Andrei a rovistare i kalam.

— La notte scende e non č prudentecacciarsi in mezzo a queste erbe. AncheBangavady mi pare che non ne abbia

alcuna intenzione.

L’elefante si rifiuta d’avanzare, padrone disse il cornac. - Ha sentita la seconda

pantera e non osa affrontarla con



quest’oscuritŕ.

— Dhundia, hai paura a seguirmi? -

chiese Indri.

Che cosa vuoi fare?

Inoltrarmi fra i kalam.Dhundia fece una smorfia e non rispose.

— Eppure i sceikki godono fama divalorosi - riprese Indri con ironia.

vi seguo - rispose Dhundia, punto sul

vivo. - Non so perň se saremo fortunatianche colla seconda pantera e se usciremvivi dai kalam.

La mia carabina č infallibile.



Lo so, tuttavia…

— Basta, se sei veramente un sceikko,

seguimi. Accendi una torcia e andiamo.

l bravo indiano ricaricň il fucile, prese lemunizioni, ordinň al cornac di lasciar

cadere la scala di corda e senz’altro sislanciň a terra. Dhundia lo aveva seguitoportando con sé una lunga fiaccolaresinosa e la propria carabina.

— Padrone, devo attenderti qui? - chiesel cornac.

— Non lascerai il posto - rispose Indri. -Prendi la mia carabina di ricambio e sevedi passare la pantera fa’ fuoco.



Sě, padrone.

Bada che l’elefante non si corichi.

Bangavady si terrŕ pronto.

ndri girň intorno alla pantera schiacciata

dalle poderose zampe del pachiderma,gettando su di essa uno sguardo, poiarmata la carabina mosse risolutamenteverso i kalam, tenendosi curvo verso il

suolo.

Devo accendere la fiaccola? - chieseDhundia, con voce malferma.

Non ancora - rispose Indri. - Vedendo lauce la pantera potrebbe fuggire portando

con sé la sua vittima, mentre a me preme

vedere quell’uomo.



Quale interesse puň destare in te unpovero montanaro? - chiese Dhundia convivacitŕ.

Mi č venuto un sospetto, ma… non čquesto il momento di dare dellespiegazioni. Pensiamo per ora alla

pantera. Dove č echeggiato il grido? Allanostra destra, verso quel gruppo di platancolossali, č vero?

Sě - rispose Dhundia.

Questi kalam ci daranno molto fastidio,uttavia li supereremo. Sta’ dietro di me e

coprimi le spalle.

ndri era allora giunto fra i kalam, alti inquel luogo piů di sei metri e molto fitti.



Dopo essersi arrestato qualche istante perascoltare, vi si era cacciato in mezzo,scostando quelle lunghe erbe colla canna

della carabina. Procedeva cautamente, masenza esitare, né mostrare alcunaapprensione. Quell’uomo dovevapossedere un coraggio piů che

straordinario, per inoltrarsi di notte fraquelle folte piante dove lo attendeva il piferoce degli animali ed anche il piů astuto

La pantera poteva da un momento all’altrosorprenderlo ed atterrarlo con un terribilecolpo di zampa.

Certo non doveva ignorare che quellefiere preferiscono l’imboscata all’assaltodiretto e che sono dotate d’uno slanciommenso che permette loro di piombare



sulla preda anche alla distanza di parecchmetri.

ondimeno l’indiano conservava semprea sua calma e non pareva che sipreoccupasse molto del grave pericoloche correva.

Dhundia, invece, quantunque appartenessealla razza piů bellicosa della penisolandostana, era molto lungi dal dimostrare

a istessa calma. Un tremito nervosoagitava le sue membra e di quanto inquando i suoi denti battevano con sordostriděo. Quantunque sapesse che Indri eraun uomo riso

uto, niente impressionabile e lo avesseveduto alla prova piů volte, non si sentiva



roppo sicuro.

Avevano giŕ percorsi tre o quattrocento

passi sempre inoltrandosi fra quelle erbegiganti, quando nel silenzio della notteudirono improvvisamente echeggiarequella nota breve, stridente, gutturale che

non si dimentica piů quando si č udita unavolta.

Era la seconda pantera che li avvertiva

della sua presenza e del pericolo a cui siesponevano avanzandosi maggiormente.

Ci č vicina - disse Dhundia, articolando

a malapena le parole.

Se crede di farmi paura, s’inganna -rispose Indri.



Perň si era arrestato. Quell’urlo ripieno dminaccia, echeggiato fra le tenebre, per unmomento aveva prodotto una certa

mpressione anche sull’audace cacciatore

Vedi i platani? - chiese dopo qualchestante.

Sě - disse Dhundia. - La luna sta per alzarsi e si profila dietro la massa delfogliame.

Siamo sulla buona via allora.

O sulla cattiva? Non fidarti troppo della

ua audacia. La pantera puň girare al largoe piombarci sulle spalle.

Le erbe la tradiranno. Le vedi a

muoversi?



No - rispose Dhundia.

Tu guarda a destra ed io a sinistra.

Potevamo aspettare l’alba.

Ti ho detto che voglio vedere l’uomo

che la pantera ha atterrato. Sia pure; bada perň di non pentirti.

ndri scrollň le spalle e si rimise inmarcia. S’avanzava con maggioriprecauzioni, arrestandosi ogni tre oquattro passi per ascoltare e fiutare l’aria

sperando di raccogliere quell’acuto odoredi selvatico che tradisce sempre lapresenza di quelle feroci belve.

l gruppo di platani era poco lontano e



pareva che le alte erbe non dovesserospingersi fino a quelle piante enormi. Se’uomo era stato assalito in quel posto, si

doveva trovarlo ancora, non essendosi lapantera allontanata. Giŕ Indri cominciavaa scorgere i tronchi mostruosi, quando udsulla sua sinistra un leggero stropiccěo

che pareva prodotto da qualche corpostrisciante fra le erbe.

Alto - disse a Dhundia. - Non muoverti.

l rumore continuň per alcuni secondiancora, poi bruscamente cessň.

Che la pantera sia in agguato? - si chiesndri, puntando la carabina. - Forse č

giunta a buon tiro e sta per prendere loslancio.



Aveva appena mormorate quelle parolequando una massa nerastra si slanciň fuordalle erbe e passň come un fulmine sopra

a sua testa, ricadendo dall’altra parte deikalam. l’apparizione era stata cosěmprovvisa, da non lasciare tempo ai due

cacciatori di far fuoco.

Fra le erbe si notň ancora la nota breve egutturale della belva poi piů nessunrumore turbň il profondo silenzio che

regnava sull’altipiano.

Č fuggita! - esclamň Indri con voce unpo’ alterata dall’emozione.

E le č mancato il colpo? - chieseDhundia coi denti stretti e tergendosi ilfreddo sudore che gli bagnava la fronte. -



Sarebbe meglio che se ne fosse andateverso la montagna.

Forse - rispose Indri, il quale si eraprontamente rimesso. - Odi nulla?

No, e tu?

Mi pare che i kalam siano immobili. Laritroveremo domani se Bangavady sarŕ d’umore di mettersi in caccia. Non mi

rincrescerebbe entrare in Pannah con duesuperbe pelli di pantere. Orsů, andiamoverso i platani.

n quel momento udirono un gemitostraziante che veniva precisamentedall’enorme macchia.

Hai udito? - chiese Indri.



Sě - rispose Dhundia. - L’uomo assalitodalla belva non č ancora morto. — Accorriamo!

Adagio; la pantera puň spiarci e ritentarl colpo.

ndri invece si era slanciato innanziraggiungendo l’estremo margine deikalam. Al di lŕ si estendeva una piccolaradura la quale si prolungava fino alla

macchia dei platani.

n mezzo alla corta erba che la luna, allorsorta, illuminava, si scorgeva una forma

umana stesa al suolo. Indri in pochi salti’aveva raggiunta.

Un indiano, quasi interamente nudo, non



avendo che un cortissimo sottanino strettoai fianchi, giaceva al suolo, fra una pozzadi sangue. Era un giovane di non piů di

vent’anni, magrissimo, col capo rasato, lemembra unte di recente con olio di coccoed il petto coperto da un tatuaggio chepareva volesse figurare un fiore di Loto.

Un terribile colpo d’unghia gli avevasquarciato il basso ventre facendogliuscire gl’intestini, ed un morso gli aveva

quasi staccata la spalla sinistra. Indri siera curvato sul disgraziato, dicendo:

Quest’uomo č finito.

Udendo quella voce, l’indiano avevaaperti gli occhi fissandoli su Indri, poivedendo Dhundia fece un gesto come di



sorpresa e aprě le labbra tentando, manvano, di balbettare qualche parola.

Conosci quest’uomo? - chiese Indri,stupito da quell’atto che non gli erasfuggito, quantunque fosse stato quasimpercettibile.

No - rispose Dhundia, il quale teneva glsguardi fissi sul ferito, senza staccarli unsolo istante.

č strano! Si direbbe che non sietesconosciuti l’uno all’altro.

vi ripeto che non ho mai vedutoquest’uomo - rispose Dhundia conenergia.



— E poi quali rapporti possono esisterefra me, servo devoto del guěcouvar diBaroda e questo dacoito?

— Quest’uomo un dacoito Unavvelenatore! - esclamň Indri.

— Silenzio, non puň essere solo.Lasciamolo qui e andiamocene subito. Lanostra vita č forse in pericolo e poiquest’uomo č finito e fra qualche istante

sarŕ morto.

Era vero. L’indiano, ormai completamentdissanguato, si spegneva rapidamente.

suoi sguardi, illuminati da una foscafiamma, non si staccavano perň daDhundia e le sue labbra si agitavano



ancora come se tentasse di pronunciarequalche cosa. Ad un tratto ricaddechiudendo gli occhi.

Andiamo - ripetč Dhundia.

Sě, non ci resta piů nulla da fare qui -

rispose Indri. Raccolse la carabina evolse le spalle.

Dhundia si era pure curvato per

riprendere la propria arma che avevaasciata cadere, ma appena vide che il suo

compagno si dirigeva verso i kalam, conuna mossa fulminea s’accostň al

moribondo, mettendogli una manonell’orribile ferita che gli spaccava ilventre.



A quel contatto il disgraziato avevariaperti gli occhi ed il suo corpo avevasussultato sotto lo spasimo. Le sue labbra

s’aprirono ancora ed alcune parole gliuscirono.

— Sitama… il fakiro…

Muori in pace - disse Dhundia,facendogli un gesto d’addio. - T’hocompreso.

L’indiano aveva richiuso gli occhi e dopoun nuovo sussulto si era disteso,rimanendo immobile. Era morto. Dhundia

aveva subito raggiunto Indri il quale stavaper cacciarsi fra i kalam.

č morto - gli disse.



Se avessi saputo che era un dacoito nonmi sarei arrischiato a spingermi fino qui -rispose Indri. - Che quel briccone

aspettasse noi per compiere qualchedelitto?

č probabile; forse dall’alto

dell’altipiano ci aveva scorti e si eramesso in agguato per sorprenderci nelsonno e trucidarci. - Che fosse solo?

Se avesse avuto dei compagni non ciavrebbero lasciati in pace.

Forse era la spia di qualche banda.

Ci terremo in guardia - disse Dhundia a

cui pareva che quella conversazione



spiacesse. - Occupiamoci per ora dellapantera.

Credo che se ne sia andata.

— Hum! Non fidarti.

ndri era entrato fra i kalam percorrendoa medesima via che aveva tenuta prima eche era visibilissima non essendosi le alterbe ancora rialzate. Il ritorno si compě

felicemente, senza aver incontrata la fieraProbabilmente l’astuta bestia, certa diriprendersi piů tardi la preda, senzaesporsi ai colpi di fucile dei due

cacciatori, aveva girato al largo per ritornare piů tardi verso i platani.

Quando Indri ed il suo compagno giunsero



sul margine dell’altipiano, trovaronoBangavady in piedi, in atteggiamento dibattaglia, colla proboscide arrotolata fra

e due zanne e appoggiato contro una rupel cornac non aveva lasciato il suo posto eeneva in mano la carabina.

Hai veduto la seconda pantera? - glichiese Indri.

Sě, padrone - rispose il cornac. - E

passata a duecento metri da me facendo ilgiro dei kalam.

— E nessun uomo?

— No, nessuno.



Fa’ coricare l’elefante e prepara’accampamento.

l cornac si fece deporre a terra tenendosistretto alla proboscide dell’intelligenteanimale, poi si recň presso una macchia afar raccolta di legna secca. Intanto

Dhundia era risalito nell’haudah ed avevaprese delle provviste ed una grossa telampermeabile che doveva servire daenda.

Mentre preparava la cena, Indri eraornato verso i kalam, percorrendoentamente la loro fronte. Di quando in

quando sostava e si poneva in ascolto.Cercava la pantera o voleva accertarsi sealtri dacoiti si trovavano imboscati nellemacchie? Probabilmente erano questi



ultimi che lo preoccupavano e le suenquietudini non erano esagerate.

Se l’India č la patria delle belve e deiserpenti, č pure la patria di settesanguinarie le quali altro non mirano chealla distruzione del genere umano.

thugs o strangolatori ne formano una chegode fama sinistra; quella dei dacoiti čun’altra che per scelleratezza non la cede

alla prima ed il cui solo nome fa tremareutti gli abitanti della gigantesca penisolandostana.

Questi dacoiti vivono in bande taloragrosse e tal’altra, piccolissime le qualivanno a gara per trucidare piů persone chpossono. Ma mentre i thugs uccidono



servendosi d’un laccio o d’un fazzolettodi seta, i secondi invece adoperano velene narcotici.

l Bundelhand e l’altipiano di Pannah sonloro luoghi preferiti. Nascosti nelle

foreste attendono le loro vittime e

riescono quasi sempre nel loro intento.

Talvolta invece si uniscono a dellecarovane attendendo il momento propizioper versare il veleno o nei pozzi dove iviaggiatori saranno costretti ad attingere

’acqua o nei viveri.

Sovente si fanno precedere da spie, per lopiů da un vecchio o da qualche ragazzo,



ncaricati di entrare nei villaggi comepellegrini per informarsi delle personeche devono intraprendere qualche viaggio

e sapere quale via terranno. Essi uccidoncon eguale frenesia dei thugs, ma mentrequesti strangolano per fanatismo religioso

dacoiti massacrono per derubare le

vittime. Astuti e audaci, non si lascianoquasi mai cogliere. Interamente nudi, colcorpo sempre unto d’olio di cocco per sfuggire alle strette delle loro vittime eflessibili come i serpenti, entranodappertutto senza destare l’attenzione dinessuno.

emmeno i bungalow, quelle solide egraziose costruzioni abitate dai ricchi edagli inglesi sono al sicuro dai loro

attacchi. Una finestra, un buco qualunque



basta a quei scellerati per introdursi nellestanze e assassinare le persone durante ilsonno.



IL FAKIRO

Quando Indri fece ritorno, la cena era giŕ pronta e la tenda era stata rizzata controun enorme masso il quale si ergeva isolatsull’estremo ciglio dell’altipiano.

Si componeva quel pasto di grano dettoniti, molto pregiato e molto consumatodagli abitanti che non coltivano riso per mancanza d’acqua, condito con carri,ntruglio di carne e di erbe di varie specie

e di aromi, di burro, zucchero, nonché di

banani e di mangli eccellenti.Se era molto magro, viceversa era servitocon gran lusso perché i tondi, le posate e

e anfore contenenti il tody, liquido



estratto da una sorta di palma, erano inargento finemente cesellato.

ndri ed il suo compagno divorarono conappetito la cena, poi si stesero a brevedistanza dal fuoco accendendo dellesigarette di foglie di palma, mentre il

cornac, che aveva cenato da parte, sioccupava dell’elefante, il qualereclamava la sua razione con dei barritiprolungati.

Tutti gl’indiani hanno una cura estremadei loro pachidermi per conservarli inforza e di buon umore.

La razione giornaliera di questi colossi sicompone ordinariamente di venticinqueibbre di ottima farina impastata con



acqua, di un mezzo chilogrammo di burrochiarificato detto ghi e di mezza libbra disale. Vi si aggiunge perň

sempre, specialmente quando gli elefanti

viaggiano, una certa quantitŕ di zucchero.

Dietro a questo perň, negli intervallidivorano una massa enorme di foglie e di

cortecce di rami, cercando di preferenza ficus-indico ed i ficus-religiosi e certeerbe palustri grosse come lame disciabole chiamate dai botanici typha

elephantina. Divorate le sue focacce che icornac aveva impastate in un recipiente dferro, Bangavady si coricň su di un fiancoappoggiandosi alla rupe, mentre il suo



guardiano gli rovesciava sulla testa alcunsecchi d’acqua e quindi gli ungeva leorecchie, i piedi e tutte le altre parti piů

soggette a screpolarsi. Indri era diventatosilenzioso e anche Dhundia non aprivabocca. Parevano entrambi in preda a seriepreoccupazioni, causate forse

dall’incontro del dacoito. Alla panteraforse non pensavano nemmeno piů,quantunque si trovassero a cosě brevedistanza dai kalam. Terminata perň la suasigaretta, Indri si era alzato, dicendo:

Sai che non sono tranquillo, Dhundia?

E perché - chiese questi.

Quel dacoito mi da molto a pensare.



Un uomo solo !. ..

E se fosse una spia?

č morto.

— Non importa; i suoi compagni possono

aver compreso lo scopo della nostraspedizione e crederci giŕ in possessodella Montagna di luce — disse Indri.

č impossibile che l’abbiano saputo.Solamente noi ed il guicovar conosciamol motivo di questo viaggio.

Se qualcuno ci avesse traditi? - chiesendri, guardandolo fěsso.

Quale idea! - rispose Dhundia. -

essuno avrebbe avuto interesse a farlo.



ndri tacque per qualche istante, poi disse

— Bah! Domani anche l’altipiano sarŕ

attraversato e troveremo il mio amicoToby.

vorresti unire un europeo alla nostra

spedizione e metterlo a parte del tuosegreto? Io non mi fiderei.

Toby mi č necessario. č il piů celebre

cacciatore di tigri dell’India settentrionale ci servirŕ a meraviglia per coprire loscopo della nostra spedizione. Con lui ilmangiatore d’uomini delle miniere di

Pannah scomparirŕ presto e noi entreremonelle buone grazie del Sultano, senzadestare sospetti. Conosco d’altronde quelfamoso cacciatore troppo bene per



diffidare di lui e non esiterŕ adaccompagnarci.

Io credo il contrario e poi il guicowar non ne sarebbe contento. — Egli mi hadetto di valermi di tutti i mezzi pur diriuscire, ed io non esiterň. Pensa che la

mia sorte dipende dalla buona riuscitadella nostra spedizione.

Un’ombra di tristezza si era stesa sulla

fronte dell’indiano mentre un profondosospiro gli aveva sollevato il petto.

Quale trama infernale - disse poi, con

voce cupa. - Orsů, non perdiamocid’animo e confidiamo nella nostra buonastella.



Dhundia era rimasto silenzioso come senon avesse nemmeno udite quelle parole;perň una sinistra fiamma era balenata nei

suoi sguardi.

Dormiamo - riprese Indri, dopo qualchestante. - Il fuoco e Bangavady basteranno

per tener lontane le fiere.

Scivolň sotto la tenda portando con sé’ lacarabina ed un paio di pistole che

avevano i calci ornati di piastre d’oro e dperle e si stese sulla tela appoggiando ilcapo su un ricco cuscino di vellutocremisi trapunto in argento. Dhundia’aveva seguito senza parlare, quasi di

malavoglia. Si sdraiň in un angolo dellaenda, tenendo gli occhi fissi sul fuoco ch

ardeva a pochi passi. Indri si era



addormentato e anche l’elefante ed ilcornac lo avevano imitato. Un profondosilenzio regnava sul margine

dell’altipiano, rotto solamente dalla raucarespirazione del colosso e da qualcheeggero striděo degli enormi pipistrelli

volteggianti sopra l’accampamento. Pure

Dhundia non si era ancora deciso achiudere gli occhi.

Anzi di quando in quando si alzava sulle

ginocchia, scrutando le tenebre addensateattorno al cerchio luminoso proiettato dalfalň. Ad un tratto trasalě. Verso i kalamaveva udito un fischio quasimpercettibile.

Sitama? - si chiese. - Sarebbeun’imprudenza che lo lasciassi venire qui



quantunque si vanti di camminare su uncane addormentato senza svegliarlo.Bangavady potrebbe dare l’allarme.

Strisciň presso Indri senza fare il menomorumore e assicuratosi che dormivaprofondamente, uscě dalla tenda, portando

con sé la carabina. Bangavady dormivapresso il cornac senza dare segnid’inquietudine, quindi anche da quel latopoteva essere tranquillo.

Tutto va bene — mormorň.

Attraversň con infinite precauzioni il

cerchio luminoso e giunto a cinquantapassi dai kalam, si nascose presso uncespuglio di mindi. Certo non osavaspingersi piů innanzi per paura



d’incontrare la seconda pantera invecedell’uomo che attendeva.

Un momento dopo, un secondo fischio piůdebole, che si poteva scambiare col sibildel velenosissimo cobra-capelo, si feceudire piů vicino, poi un uomo s’alzň

dinanzi al cespuglio, mostrandosi aDhundia.

l nuovo venuto era un indiano di statura

mponente, dai lineamenti fieri, ed’aspetto sinistro.

Aveva i capelli lunghissimi arrotolati

attorno alla testa e coperti d’un fangorossastro che formavano una massaenorme, ed al mento un filo di barba chegli giungeva fino alle ginocchia; distintivo



degli adoratori di Rama, il dio creatore.Sulla fronte aveva tre segni fatti consterco di mucca bruciato, tre altri alla

cavitŕ del petto e sull’alto del bracciodestro.

l resto del corpo era invece unto di olio

di cocco e luccicava come se fossecoperto da una pellicola di cristallo.

essun indumento indosso, fuorché una

corda di pelle intrecciata, stretta allacintura. — Sei tu Sitama il fakiro? -chiese Dhundia con un filo di voce.

Sě sahib (signore) - rispose losconosciuto. - Io sono il fakiro ed il capodei da coiti.



Bermat me lo aveva detto prima dimorire.

č morto?

La pantera lo ha dilaniato.

Non monta, siamo in molti - rispose ildacoito con noncuranza. - Io sono venuto prendere i tuoi ordini, sahib.

č molto che mi attendevi?

Sono tre giorni. Cosa dobbiamo fare?Vuoi che uccidiamo il tuo compagno

prima che attraversi l’altipiano?

— Oseresti tanto? Indri č uomo che per ora gode la protezione di Brahma. Quand

a sua casta lo avrŕ scacciato e diverrŕ un



miserabile paria, oh, allora… Ma adessono, tu verresti maledetto nell’altra vita.

Un gurů od un bramino od un semplicesudra1 per me fa lo stesso.

No, e poi la Montagna di luce non č

ancora in sua mano. A che gioverebbequindi la sua morte? A farci perdere unacifra colossale.

Cosa devo fare allora?

Seguirci sempre fino alle miniere diPannah e non intraprendere nulla contro d

noi finché il colossale diamante non sarŕ n nostra mano.

E credi tu, sahib, che l’ex favorito del

guicowar riesca?



Indri saprŕ raggiungere il suo scopopiuttosto che diventare un paria e venireprecipitato dall’alta posizione che

occupava, nella polvere, nel nulla -rispose Dhundia.

Ma saremo noi che avremo la Montagna

di luce, invece del guicowar di Baroda.

Sě, e avremo inoltre una somma enormedal suo primo ministro, da Parvati.

— E dove andate ora?

A trovare Toby, il famoso cacciatore di

igri.

— Lo conosco; ma perché recarvi daquell’uomo?



nota: 1 I sudri formano l’ultima casta che

č quella dei servi. Non sono perň ancoraparia, non avendo questi casta alcuna.

Lo saprai piů tardi. Si parla sempre aPannah del mangiatore d’uomini?…

Lo spavento causato da quellasanguinaria ed inafferrabile belva č taleche i minatori hanno abbandonati i lavori disse il fakiro.

E nessuno osa affrontarla?

Ha divorato giŕ dieci cacciatori che si

erano provati a sorprenderla, attirati dalle



diecimila rupie promesse dal rajah.

Indri e Toby la uccideranno e ogni

sospetto sarŕ allontanato sullo scopo dellanostra spedizione. Va’ e guardati dallefiere; la pantera che ha dilaniato Ber mat ancora viva.

Sono armato e poi non č il mangiatored’uomini delle miniere di Pannah.

l dacoito si alzň, fece un leggero salutocolla destra e s’allontanň rapidamente fra

kalam.

Ecco un uomo che non esiterŕ almomento opportuno - mormorň Dhundia,mentre un sogghigno gli appariva sulleabbra. - Indri perderŕ la Montagna di luc



e diverrŕ anche un paria.

Uscě dal cespuglio e si incamminň verso

’accampamento guardandosi intorno, perpaura di venire sorpreso dalla pantera, laquale poteva essersi spinta fino neidintorni della tenda.

Giŕ aveva oltrepassato il fuoco, quandoudě il rauco urlo della belva risuonaredalla parte dei kalam.

Che dia la caccia a Sitama? - si chiese,rabbrividendo. In quel momentoBangavady fece udire un sonoro barrito.

Dhundia, molto inquieto, affrettň il passo,guardandosi paurosamente alle spalle.

Stava per entrare nella tenda, quando



retrocesse vivamente. Indri era comparsoenendo in pugno le pistole.

Da dove vieni? - chiese l’indiano.

Ho fatto un giro attornoall’accampamento - rispose Dhundia,

rimettendosi prontamente. - Temevo chea pantera ci spiasse.

Toh! Diventi coraggioso! - esclamň Indr

con accento beffardo. - L’hai almenoveduta?

Non l’ho che udita.

č ancora fra i kalam. - Sě, Indri.



Ravviva il fuoco e rientriamo nellaenda. Non oserŕ assalirci. In quel

momento si udě uno sparo seguito subito

da un secondo.

Chi puň aver fatto fuoco! - esclamňndri, con inquietudine.

Che sia il tuo amico Toby? - chieseDhundia.

Siamo lontani piů di sette leghe dal suobungalow;.

— Mi hai detto che talvolta si spinge

molto lontano dalla sua dimora.

Sarei contento di poterlo vedere. Se č



stato veramente lui a far fuoco, domani loroveremo di certo. Lasciamolo a

cacciare; č un uomo da non aver bisogno

del nostro aiuto.

Stettero qualche minuto ancora in ascoltopoi non udendo altra detonazione si

ritirarono nella tenda.

Bangavady aveva giŕ ripreso il suo sonnoe russava placidamente presso il cornac.



UNA LOTTA

FORMIDABILE

Ai primi albori l’elefante era giŕ pronto ariprendere la sua marcia attraverso

’altipiano di Pannah.

Aveva giŕ divorate le sue pagnotte, unrispettabile ammasso di foglie che il

cornac era andato a tagliare presso ikalam, e vuotati cinque o sei secchid’acqua.

ndri e Dhundia fatta una leggeracolazione con thč e biscotti, fecero levarea tenda, quindi risalirono sull’haudah

disposti a fare una lunga marcia e anche a



dare la caccia alla seconda pantera.

La pelle della prima, giŕ levata dal

cornac, faceva bella figura sul dorsoposteriore del pachiderma, come unaminaccia alle altre fiere. - Andiamo -comandň Indri. - Non ci fermeremo che al

bungalow di Toby. — Se non incontriamoprima il cacciatore - disse Dhundia. - Puňdarsi - rispose Indri.

L’elefante si era rimesso in marcia,facendo fuggire, colla sua presenza e coisuoi barriti, la selvaggina imboscata fra icalam.

Ad ogni istante si vedevano bande di oxiseleganti e agilissime antilopi, moltocomuni nell’India, a fuggire attraverso le



piante con velocitŕ fulminea; oppure deinilgň, altra specie di cervi chiamati anchebuoi azzurri, col mantello grigiastro, la

esta lunga come quella dei cavalli earmata di corna lunghe e acuminate collequali si difendono furiosamente.

Talvolta invece erano stormi di volatiliche s’alzavano quasi sotto le zampedell’elefante. Erano pappagalli di variespecie e chiacchieroni al pari dei loro

confratelli d’America; oppure tortorellebianche e pernici. Anche qualche coppiadi splendidi pavoni che nell’India sono’emblema della dea Sarasvati, protettrice

delle nascite e dei matrimoni e perciňritenuti quasi sacri, fuggivaschiamazzando.



é Indri, né Dhundia parevano fare grancaso a quella selvaggina che pure avrebbepotuto procurare loro una deliziosa

colazione. Tutta la loro attenzione

era concentrata nello scoprire la secondapantera la quale, almeno lo credevano,non doveva essere molto lontana.

Dall’alto dell’haudah scrutavano lemacchie di mindi, di tamarindi, di platanidei manghieri e dei giacchieri, pianteassai numerose in quei luoghi, ma senza

riuscire a vedere il feroce animale.

L’elefante, superata la barriera di kalam,si era cacciato in mezzo ad un folto bosco



formato da gruppi di palas, splendidialberi dal tronco molto nodoso ed ilfogliame superbo, vellutato, d’una tinta

verde azzurregnola sostenente giganteschigrappoli color rosso vivissimo, dai qualisi estrae una specie di polvere colorante,molto usata dagl’indiani.

Procedeva perň quasi di malavoglia edava incessanti segni d’inquietudine chee dolci parole del cornac non bastavano

dissipare.

Anche Indri si era accorto dell’agitazionedel pachiderma, perché aveva detto aDhundia:

Bangavady sente qualche cosa.



Ci saranno dei serpenti fra questaboscaglia - aveva risposto lo seikko,senza scomporsi.

Proprio in quel momento, l’elefante siarrestň di colpo, rinculando.

Padrone - disse il cornac. - Preparate learmi.

Ancora la pantera? - chiese Indri.

La sento.

Ad un tratto un urlo feroce squarciň lo

spazio, seguito da un sibilo stridente. Indre Dhundia si erano curvati sull’haudahmpugnando le carabine. A venti passi daoro, alla base d’un palas, era ricomparsa

mprovvisamente la pantera, forse la



medesima che aveva dilaniato il dacoito,ma non era piů libera.

Un corpo mostruoso, di dimensionienormi, l’avvolgeva, sibilando econtorcendosi rabbiosamente.

Era un pitone tigrato, un serpente superbocolla pelle color verde azzurra, segnata danelli irregolari, lungo quasi cinque metrie grosso quanto la coscia d’un uomo.

l rettile, uno dei piů terribili dellafamiglia, aveva probabilmente sorpresa lpantera mentre si teneva in agguato per

assalire l’elefante e l’aveva avvolta fra lesue potenti spire, cercando di soffocarla edi stritolarle le cestole. Forse si tenevaaggrappato a qualche ramo per mezzo



della sua coda prensile e si era lasciatocadere addosso alla belva, prima chequesta avesse potuto accorgersi della sua

presenza.

Comunque fosse, la pantera si era trovatamprigionata e nell’assoluta impossibilitŕ

di liberarsi da quegli anelli chepresentavano una resistenza incredibile.L’avversario non era da disprezzarsi,perché simili rettili sono dotati d’una

forza straordinaria. Quando afferrano nonasciano piů e non esitano ad assalire

anche le fiere, quando la fame li tormentaemmeno gravemente feriti, lasciano la

preda che stringono. Si ricorda anzi cheun giorno, precisamente nell’India, uno diquesti mostri aveva assalito un fanciullo

che i genitori, occupati nella raccolta del



riso, avevano lasciato solo nella lorocapanna.

Udendo il piccino a gridare, accorsero erovarono il pitone occupato adnghiottirlo lentamente, ancora vivo.

l padre, disperato, lo assalě a colpi discure e lo tagliň netto in due parti.Ebbene, lo credereste? Il serpente,quantunque cosě mutilato, non abbandonň

ancora la preda e la trattenne fra le spirefinché fu ridotto in un ammasso di carne edi ossa stritolate.

La pantera, sentendosi soffocare, sidibatteva con furore supremo, cacciandofuori urla terribili. I suoi artigli d’acciaiostraziavano orrendamente il rettile, ma



questi non svolgeva le sue spire e lambrattava di sangue e di bave colanti

dalla sua lingua biforcuta.

Sibilava rabbiosamente dardeggiandosulla belva uno sguardo fiammeggiante;contorceva la coda sferzando le erbe;

abbassava e rialzava la testa tentando asua volta di mordere coi suoi denti lunghie privi delle glandole, non essendo questirettili velenosi.

é l’una né l’altro pareva che si fosseroaccorti della presenza di Bangavady, tanterano inferociti. D’altronde anche Indri e

suoi compagni assistevano, aquell’orribile spettacolo senza parlare esenza far uso delle armi, prevedendo chenessuno di quei formidabili nemici



sarebbe riuscito vittorioso. La pantera,malgrado il suo straordinario vigore, siesauriva rapidamente. Rantolava sotto la

stretta che diventava di momento inmomento piů terribile e gli occhi, dilatatidal furore e dall’ansietŕ, parevano leschizzassero dalle orbite. Anche il pitone

perň, quantunque continuasse a stringere,non si trovava in grado di continuare aungo la lotta colla regina delle jungle. Il

sangue gli sfuggiva da piů ferite, e la suapelle, strappata in piů parti dalle unghiedella fiera, gli cadeva a brandelli.

La sua coda non si agitava piů che adntervalli e la sua testa era rimasta rigida,

ad un’altezza di mezzo metro. Solamentegli occhi continuavano a fissarsi

sull’avversario come se avesse voluto



affascinarlo.

Ad un tratto la belva mandň un ultimo urlo

strozzato, poi si udě come unoScricchiolěo di ossa spezzate. Le costolee la spina dorsale avevano finalmenteceduto sotto la formidabile stretta e la

pantera era spirata. Quasi nel medesimoempo anche il pitone, dissanguato

completamente, cadeva al suolo agitato dun tremito convulso, senza perň sciogliere

e spire che trattenevano la preda.

Una magra vittoria - disse ladri,rompendo pel primo il silenzio. - Anche ipitone sta per morire.

Facciamolo calpestare da Bangavady -disse Dhundia.



č inutile; non si muove piů. Facciamoscendere il cornac e prendiamoci la pelledella pantera. Faremo una entrata trionfal

n Pannah e queste due spoglieconfermeranno la nostra valentěa e lanostra professione.

l cornac si era giŕ lasciato deporre aerra.

Con un coltellaccio tagliň il rettile in vari

pezzi onde liberare la fiera da quelleremende spire, poi si mise all’opera.

Bastň una mezz’ora per avere la pelle la

quale fu subito issata sul dorsodell’elefante onde si seccasse al sole.

Bangavady, dopo quella breve fermata,



della quale aveva approfittato per saccheggiare gli alberi vicini, si eramesso frettolosamente in marcia per

riguadagnare il tempo perduto.

La foresta, non essendo molto folta, glipermetteva di mantenere un buon passo.

D’altronde quando trovava qualche piantanon molto alta che gl’ingom brava ilpasso, con un colpo di proboscide lagettava da un lato, oppure quando dei ram

potevano offendere Indri o Dhundia,s’affrettava a spezzarli. Quando poirovava qualche pianta da frutta, senza

rallentare il passo raccoglieva qualchegrappolo di banani o di manghi chepassava destramente al cornac, il quale limetteva in serbo per la colazione.



L’altipiano era stato raggiunto verso ledieci. Il pachiderma poteva cosě ormaimarciare con maggior celeritŕ, non avend

piů da salire. Una immensa pianura sidistendeva dinanzi ai viaggiatori con unosfondo di superbe montagne; i primicontrafforti del grande altipiano dell’Indi

centrale e dei Ghati, i quali salivano informa di giganteschi scaglioni. Cupeforeste, dal fogliame d’un verde scuro, sispiegavano dovunque in grandiondulazioni, seguendo i ripidi penděi, iburroni e le enormi spaccature dellaprofonda valle di Keyn o stendendosi

sulla bella pianura di Kajraha. Eranoboscaglie di platani, di piccoli tek, dienormi mhowak, di mangifere, di sŕi, dibanani dalle foglie smisurate e di piante

gommifere. In fondo alle valli o sull’orlo



dei burroni si scorgevano gruppetti dicapanne mezze sepolte fra le piante equalche hudi, piccolo forte merlato,

costruito per servire d’appostamento ecollocati per lo piů all’ingresso dellegole. L’altipiano perň sembrava deserto,almeno in quel tratto che l’elefante

percorreva. Non si vedevano che stuoli dscimmie chiamate dagli indiani manga,alte mezzo metro, con una codaunghissima, il corpo sottile, il muso

depresso ed il pelame di varie tinte,perché č grigio verdognolo sulla testadove forma una specie di berretto, fulvo

sopra le spalle, bianco piů sotto e nerosulle mani e sugli orecchi.

Sono le scimmie piů insolenti e piů

maligne che si conoscano, che mettono a



dura prova la pazienza dei coltivatori,saccheggiando le ortaglie ed i campi. Conutto ciň sono ritenute sacre dagl’indiani e

quindi godono una perfetta impunitŕ.

La loro audacia č tale, che entrano perfinonelle abitazioni mettendo tutto a ruba sotto

gli occhi dei proprietari i quali non osanoscacciarle!… A mezzodě Bangavady,dopo d’aver percorso oltre sei leghe,s’arrestava sul margine d’una foresta di

giacchieri, piante che producono dellafrutta del peso di trenta libbre, d’uncolore giallognolo e molto profumato eche escono dal tronco invece di penderedai rami.

A duecento metri, sulla riva d’un piccolostagno, s’alzava una graziosa abitazione i



egno, ad un solo piano, sormontata da unetto in forma di piramide, sul quale

sventolava una piccola bandiera inglese.

Tutto all’intorno, sostenuta da colonne diegno, si estendeva una specie di galleriaa veranda, riparata da stuoie di foglie di

coccotiero ed ai lati della piccolacostruzione si stendevano ampie tettoiedifese da una palizzata. Una pelle dipantera e due di asds pendevano dalla

veranda, come per indicare che in quelladimora si trovava un cacciatore. - Siamogiunti - disse Indri. - Ci sarŕ, Toby oseguirŕ le piste di qualche fiera?L’elefante mandň un barrito sonoro a cuirisposero subito i latrati di parecchi cani.

— Scendiamo - disse Indri. - Se vi sono i



cani, vi sarŕ anche Toby.

Gettň la scala di corda e si lasciň

scivolare fino a terra, seguito da Dhundian quel momento la porta del bungalow; sera aperta ed un uomo vestito di telabianca, con in capo un’ampio cappello di

paglia, era comparso sulla piccolagradinata, esclamando: - Toh!… Indri!…

Quell’uomo era un europeo di circa

quarantanni, molto robusto e di staturasuperiore alla media.

La sua pelle era quasi bronzina; i capelli

nvece e la barba ancora biondissimi,senza un filo d’argento.

suoi occhi azzurri, si erano fissati



sull’indiano, manifestando il piů vivostupore. -Indri!…ripetč.

— Sě, sono io, Toby - rispose l’indiano,muovendogli rapidamente incontro eporgendogli la mano. - Non ti aspettavi dicerto una mia visita.

In fede mia, no. Ti credevo Baroda,presso il tuo potente signore, occupato aorganizzare qualche mostruosa lotta fra

igri ed elefanti. Ci deve essere un motivoben grave per salire su questo altipianoche fa rompere le gambe ai piů valentipachidermi.

Sě, grave infatti - rispose Indri con unsospiro. L’europeo lo guardň connquietudine.



Quale disgrazia puň aver colpito ilfavorito del guicowar, il guerriero piůrispettato di Baroda? - chiese.

— Lo saprai piů tardi, amico; questo nonč il luogo per parlare di ciň.

Per tutte le divinitŕ dell’India, tu hairagione. Entriamo nel bungalow dove ciaspetta la colazione e… Chi čquell’indiano che ti segue? - chiese,

arrestandosi.

Un uomo che il guicowar mi ha messo afianchi.

Amico o nemico?

Leggi nella sua anima se lo puoi.



La sua faccia non mi piace troppo.

Ricevilo da amico - mormorň Indri. —

Come vuoi: entriamo.

L’ODIO D’UN MINISTRO

Toby Randal era, nell’epoca in cuicomincia questa veridica istoria, il piůnoto cacciatore di fiere dell’Indiasettentrionale.

Ex sott’ufficiale dei sipai, avevacominciata la sua carriera in drammatichecircostanze, abbandonando la sciabola ed

l reggimento per la carabina e le foreste.



Giovane ancora, perché allora non avevache poco piů di trent’anni, era statoncaricato di vigilare sull’isola di Sangor

per difenderla dalle incessanti invasionidelle tigri, le quali attraversavano soventl Gange, minacciando di divorare i

guardiani del faro.

Uomo coraggioso che non aveva maiemuto le fiere, aveva condotto con sé la

propria moglie, una graziosa meticcia, ch

adorava pazzamente e due sipai delreggimento del Bengala.

La vigilanza del bravo sergente aveva,subito dato buoni risultati, ridonando unpo’ di tranquillitŕ ai due guardiani delfaro e alle loro famiglie. Le tigri, quasiavessero fiutato in Toby un formidabile



avversario, pareva infatti che avesseroabbandonate le loro sanguinarientenzioni, tenendosi lontane da

quell’isoletta perduta alla focedell’immenso fiume. Sei mesi eranorascorsi e piů nessuna si era fatta vedere

su quella terra, dopo le prime cartucce

bruciate dal sergente e dai due sipai.

Pareva che quella tranquillitŕ dovessedurare a lungo, quando un avvenimento

spaventevole, che commosse l’interapopolazione del Bengala, venne asmentire la troppa fiducia riposta inquella tranquillitŕ che era piů apparenteche reale.

Le tigri, che giŕ altre volte avevano spiatiguardiani e le loro famiglie, non



avevano, a quanto pare, rinunciato alleoro brame sanguinarie. Una sera, mentrel sergente ed i due sipai si erano

mbarcati per cacciare le .anitre bramine che i lanternai e lo loro famiglie cenavanoassieme alla graziosa meticcia, avevanoattraversato, inosservate, il Gange. Erano

cinque e delle piů mostruose che sifossero fino allora vedute nelleSunderbunds. Attraversati cautamente ierreni coltivati, avevano raggiunto la

casa annessa al faro, piccola costruzione due piani e colle finestre prive allorad’inferriate. I lanternai e le loro famiglie

stavano cenando nella saletta pianterrena,chiacchierando allegramente, ignari delremendo pericolo che li minacciava.

Essendo la temperatura assai calda,

avevano lasciato le finestre aperte onde



respirare un po’ di brezza marina.

Ma ad un tratto le tigri, affamate e

furibonde, si erano precipitate nella sala,balzando attraverso le finestre.

Fu un massacro senza difesa, senza

resistenza, perché nella sala non vi eranoarmi.

Quando Toby ed i suoi tornarono a tarda

notte ebbero appena il tempo di ve, deree cinque tigri a fuggire in direzione del

fiume.

ella saletta, dei due lanternai, delle tredonne e dei cinque bambini non eranorimasti che dei brandelli di carne e delleossa stritolate!…



l disgraziato Toby, dinanzi a quei miseriavanzi, per poco non era impazzito.Trasportato a Calcutta dai suoi due

soldati, lo si dovette ricoverareall’ospedale, dove rimase parecchi mesicome ebete.

Quando poi fu guarito, la sua decisioneera presa: non aveva piů che un solopensiero: vendicare la povera donnadivorata dalle fiere delle

SunderbundsLasciň il reggimento ediventň cacciatore o meglio vendicatore.Lo si vide allora nelle Sunderbunds, nelleungle dell’alto Bengala, nell’Orissa, nel

Bundelhand e perfino nel Guzerate,nseguendo dovunque le fiere, giorno e

notte con rara fortuna.



Quante ne aveva uccise? Nemmeno lui sene ricordava piů il numero. Un giornoperň anche la fortuna lo aveva tradito.

Cacciando un mangiatore d’uomini chedevastava i possessi del guicowar diBaroda era stato a sua volta assalito edilaniato crudelmente.

a sua fama probabilmente sarebbe finitaŕ, se per un caso provvidenziale non

fosse sopraggiunto un salvatore a

strapparlo, semivivo, dalle unghie dellabelva.

Quel coraggioso era Indri, il favorito delpossente guicowar, che amava dividete, apari dei ricchi indiani, le cure del governcolla caccia.



ndri non solo lo aveva salvato, ma anche

curato, coll’affezione non d’un principebensě d’un fratello, regalandogli per dipiů preziosi doni. Ecco come questiuomini, fatti l’uno per l’altro, entrambi

coraggiosi e leali, si erano conosciuti e sierano giurata eterna amicizia.

Toby quantunque fosse ansioso diconoscere il motivo che aveva spintondri ad andarlo a cercare fino

sull’altipiano di Pannah che aveva sceltoper sua residenza, fece entrare l’amico inuna saletta pianterrena, dove si vedevauna tavola imbandita.



L’ammobigliamento era semplice, comed’altronde si osserva in quasi tutti ibungalow* indiani.

Alcuni mobili d’acajů senza fregi, unaavola e dei seggioloni enormi, con alti

schienali costruiti in legno di rotang e

molto comodi: null’altro. Alle pareti perňvi erano dei trofei di caccia: corna dirinoceronti e d’antilopi di varie specie,artigli di tigri e pelli di pantere

splendidissime. In un angolo del soffittopoi, la indispensabile punka, ossia unaspecie d’immenso ventaglio che per mezzo d’una manovella si fa girare ondemantenere un po’ di frescura durante icalori torridi e soffocanti dell’estate.

Amici - disse Toby, rivolgendosi



specialmente a Indri. - Ho piacere chesiate giunti nel momento della colazione.

on so se vi piacerŕ, avendo io

conservato le mie abitudini inglesi,uttavia non sdegnerete questa grassa oca,che ho arrostito io ed il resto. Giŕ tu,ndri, non sei un bramino ostinato per non

mangiare carni.

Faremo onore al tuo pasto, Toby -rispose Indri. - Quantunque io sia un

ndiano puro sangue, ho rinunciato damolto a certe sciocchezze e ho adottatoanch’io un po’ delle vostre abitudini.

Allora sedete e mangiate.

La tiffěne, ossia la colazione che fannogl’inglesi al mattino, non era molto



svariata ma abbondante. Come di solito scomponeva di carne, legumi, frutta e birracoll’aggiunta di una splendida, oca che

Toby aveva uccisa il giorno innanzi sullerive del suo stagno.

ndri, messo in appetito dalla lunga

marcia mattutina, e dall’aria sottiledell’altipiano, fece molto onore allacucina del cacciatore. Solamente Dhundiafece qualche smorfia, avendo la maggior

parte degl’indostani una ripugnanza quasinvincibile per le carni, specialmente se

di mucca, animale reputato sacro, ma poisi decise, avendo avuta l’assicurazioneche si trattava d’un pezzo di montone.



Terminato il pasto, Toby fece portare daun suo servo un eccellente moka e deisigari e si mise a parlare delle sue ultime

cacce, evitando di chiedere a Indri ilmotivo per cui si era spinto finosull’altipiano.

Messo in sospetto dalle parole dell’exfavorito, quantunque fosse divorato daun’ardente curiositŕ, si era trattenuto, nonavendo una completa fiducia in quel

Dhundia che fino dal primo momento gliera riuscito antipatico. D’altrondenemmeno Indri vi aveva fatto cenno eToby, da uomo astuto, aveva compresoche la spiegazione sarebbe venuta piůardi, a quattro occhi.

Se Indri non parla, avrŕ i suoi motivi - s



era detto. - Armiamoci di pazienza easpettiamo.

La sua pazienza non doveva essere messaa dura prova. Chiacchieravano da un paiod’ore fumando e bevendo dell’eccellentebirra, quando videro Dhundia

abbandonarsi dolcemente sulla spallieradel seggiolone, quindi chiudere gli occhi.Aveva bevuto troppo od il caldo lo avevanvitato a godersi un po’ di riposo? Ad

ogni modo l’occasione era propizia.

Lasciamo che il tuo amico dorma in pace andiamo a goderci un po’ di fresco nelmio giardino - disse Toby, ammiccandogli occhi. - Ti mostrerň le belle rose cheho fatto venire dal Cascemir.



— Volevo fartene la proposta - risposendri, facendogli cenno d’averlo

compreso. - Qui si soffoca e un po’ d’aria

pura dell’altipiano farŕ bene. Diedero unultimo sguardo a Dhundia il quale parevache si fosse profondamente addormentatoe uscirono.

Dietro al bungalow si estendeva ungrazioso giardino cintato, con splendidicocchi, manghi, banani e aiuole ricche di

svariati fiori che Toby curavapersonalmente, quando le cacce non lorattenevano nella vicina foresta. Nel

centro si rizzava un piccolo chiosco distile indiano, circondato da piantealtissime che lo ombreggiavano e dacespugli di mussenda dalle foglie

sanguigne. Toby, che non poteva piů



vincere la propria curiositŕ, condussendri in quella elegante costruzione dove

si godeva una frescura deliziosa e dopo

d’avergli offerta una poltrona a bilico, glidisse: - Parla: credo che sia tempo.

Siamo soli, prima di tutto? - chiese

’indiano.

— I miei servi sono tutti sotto le tettoie.

Ciň che devo dirti č cosě grave, chenessuno deve udire una sola sillaba.

— Tu pungi straordinariamente la mia

curiositŕ, Indri. Puoi parlare liberamenteperché siamo assolutamente soli.

In questi giorni hai veduto nessun

straniero aggirarsi presso il tuo



bungalow? - No, nessuno… ma… - Ah… fece Indri.

Sě, un indiano che prima io non avevomai veduto, s’č presentato tre giorni or

sono, dicendomi d’aver veduto una tigreaggirarsi in un burrone.

L’hai uccisa quella tigre? - chiese Indri,

con qualche ansietŕ.

L’ho cercata per due giorno senzariuscire a scoprirla.

č piů tornato quell’indiano?

Non l’ho piů veduto.



Allora era qualche spia.

Una spia!… — esclamň Toby, con

stupore.

Ne ho il presentimento.

Indri, amico mio, spiegati od io non mirattengo piů.

— Ascoltami e vedrai se ho avuto ragion

di ricordarmi dell’uomo che due anni or sono strappavo dalle zanne d’una tigre chvoleva divorarlo…

E che mi hai curato come tu fossi miofratello - disse Toby, con voce commossa

— o, che fino a poche settimane or sono

ero il guru piů potente di Baroda, il



favorito e consigliere del guicowar, chese avessi voluto, con una sola parolaavrei fatto tremare milioni d’individui, io

sto per venire scacciato dalla mia casta,per perdere onori e ricchezze e diventareun miserabile, un disprezzato paria, unuomo senza casta e senza patria.

— Tu!… Tu, Indri!… - esclamň Toby,con doloroso stupore. - č impossibile!…

Sě, amico - disse l’indiano con vocegrave. - Un caso disgraziato ed una trama

nfernale ordita da un mio potente nemicofaranno di me un maledetto.

Ciň non puň essere vero; tu esageri Indr



disse Toby.

Tu sai che la mia carica di favorito del

guicowar m’era invidiata da nemicipotenti, fra i quali primeggiava Parvati, ilprimo ministro.

Me ne hai parlato due anni or sono.

Questi nemici tutto hanno tentato per rovinarmi. Da anni lavoravano

pazientemente ma tenacemente e non so sea quest’ora sarei ancora un favorito delguicowar, se non avessero temuto le mievendette. Un caso disgraziato č venuto

finalmente ad aiutarli nei loro sforzi ed iosto per soccombere nell’aspra battagliamossami da Parvati.



Quale?

Io non so se tu abbi una profonda

conoscenza della nostra religione e deigravi pesi che impone alle nostre caste.

Ne so qualche cosa.

Sai allora cos’č un paria?

Un disgraziato che ispira orrore a tutti i

membri delle altre quattro caste e chenessuno puň avvicinare senzacompromettersi, quantunque sia un uomoal pari degli altri - disse Toby

francamente.

č vero - disse Indri. - Un infelice chesconta la pena dei suoi avi, che non fa

male a nessuno, che č piů onesto di tanti



altri che occupano delle posizioninvidiabili, ma che pure la nostra

religione condanna. Nessuno puň

avvicinarlo, nessuno puň soccorrerlo,nessuno puň dargli ospitalitŕ sotto pena difarsi scacciare dalla propria casta e didiventare al pari di quel disgraziato un

maledetto, un appestato, un miserabile.

— E tu hai avvicinato un paria? - chieseToby, il quale cominciava a comprendere

Sě, io, l’uomo piů rispettato e piů temutodi Baroda, involontariamente ho datoospitalitŕ ad uno di questi esseridisprezzati.

Come č avvenuto ciň?

— Ora te lo narro, amico mio. Viaggiavo



nel Guzerate per incarico del guicowar mio signore, quando avendo incontrato lapista d’un rinoceronte, ebbi la

malaugurata idea d’inseguirlo per ucciderlo. L’avevo giŕ raggiunto e ferito,quando mi si precipitň addosso con tantafuria, da impedirmi di ricaricare la

carabina. Stavo per venire sventrato,allorché vidi un giovane indianoprecipitarsi fra me e la bestia inferocita ecacciargli fra le mascelle aperte unaancia. Io čro salvo ma quel giovane non

aveva potuto evitare il cornodell’avversario ed era caduto col petto

sfondato. Che cosa avresti fatto tu?— Io l’avrei portato a casa mia e curato -rispose Toby.



— Senza chiedergli chi fosse?…

— Non sarebbe stato il momento

opportuno, mi pare.

č quello che ho fatto anch’io. Ho presofra le braccia quel disgraziato che ERa

svenuto e l’ho portato nella mia tenda.Quando egli tornň in sé, e s’avvide dirovarsi fra le mie braccia, dimostrň il

massimo terrore. Aveva compreso che

quella buona azione aveva perdutoentrambi, perché quel valoroso era unparia e col suo contatto m’avevaappestato. Morě prima del tramonto, e cociň io ero egualmente perduto. Uno deimiei servi mi tradě ed a Baroda si seppeutto.



— Canaglie!… - esclamň Toby, conndignazione. - Come se un paria non

fosse un uomo simile agli altri.

La nostra religione non ischerza -riprese Indri, con accento malinconico.

Io, indiano moderno, quantunquebramino, rinnego certe sciocchezze che ai nostri tempi non dovrebbero piů

sussistere, eppure ho dovuto rassegnarmi

Parvati non aspettava che un’occasioneper rovinarmi e l’ha trovata per accusarmdinanzi al guicowar e alla mia casta.

— Sicché minacciano di scacciarti? -chiese Toby, spaventato. - Stupidi!… -

on ancora, perché il guicowar che mi



ama, mi ha dato un mezzo per salvarmi,suggeritogli probabilmente dall’astuzianfernale di Parvati.

Cosa devi fare? Parla e noi compiremodei prodigi per non darla vinta aquell’odioso briccone.

Donare al tempio dedicato a Brahma laMontagna di luce del rajah di PannaH,onde porla sulla fronte del dio.

Mille tuoni! - esclamň Toby. - La

Montagna di lucE!… Ecco un’impresa chci farŕ sudare. Una simile idea non puňessere nata che nel cervello di quel canedi Parvati!… Ma tutto non č ancora



perduto, mio caro Indri e noi compiremol miracolo che ti si chiede.



DHUNDIA SI SVELA

La popolazione indiana si divide inquattro caste ben distinte che non sipossono fondere perché la loro religionenon ha dato come quella cristiana, una

medesima origine a tutti gli uomini.

Si divide in bramini, uscita dalla bocca dBrahma; in guerrieri, uscita dal suobraccio; in quella degli agricoltori e deicommercianti dalla sua coscia; ed inquella dei sudri ossia dei servi, uscita da

piedi del dio. Ne consegue che in luogodel principio dell’eguaglianza cristianaproveniente dalla paternitŕ universale delprimo uomo, l’India fonda le sue basi

sull’assoluta ineguaglianza.



L’indiano non ha altra origine o tribůalL’infuori della sua casta. La divisionefra queste caste č cosě profonda, cosě

netta, che nessuna puň passare dall’unaall’altra, né per meriti, né per ricchezze,né per nessun altro motivo. Cosě un sudranon potrŕ mai, anche se la fortuna lo

ponesse in grado di arricchirsi, aspirare adiventare un commerciante, perché questacasta non lo ammetterebbe; né unagricoltore un guerriero; né questo, sia pudiventando celebre, un bramino, il qualerappresenta l’alta aristocrazia indiana,perché di origine divina.

Tutti coloro che non appartengono aqueste caste, e non sono pochi, sono pariaossia uomini che non hanno né una tribů,

né una patria, esseri disprezzati,



maledetti, che nessuno puň accostare, nésoccorrere, né rivolgere loro la parola,sotto pena di diventare egli pure un paria.

Un uomo, per quanto potente e dicondizione elevata, fosse pure unbramino, che inaVVertentemente avesse

avuto qualunque contatto, o se si fosseanche puramente, e senza saperlo, servitodi un oggetto qualsiasi appartenente a quedisgraziati, sarebbe irremissibilmente

perduto.

La sua casta non tarderebbe a lanciarecontro di lui la scomunica e scacciarlo,pena terribile, perché il colpito non puňpiů avere alcun contatto coi suoi simili enon puň piů far parte dell’umana societŕ.



Perde i parenti, gli amici, talora anche lasua donna, ed i figli, che preferisconoabbandonarlo piuttosto che dividere con

ui il suo disonore. Nessuno osa piůmangiare con lui, né offrirgli una gocciad’acqua; nessun matrimonio č piůpossibile pei suoi figli e per le sue figlie.

č un vero maledetto che tutti evitano comeun appestato e lo segnano a dito col piůprofondo disprezzo. Nemmeno l’ultimacasta, quella dei servi, oserebbeaccogliere, un essere cosě degradato,fosse pure stato prima un bramino. Ecostretto a fuggire fra gli abbietti paria o

rifugiarsi nelle contrade abitate daglieuropei, i soli luoghi dove potrŕ godere upo’ di pace.

Per darvi un’idea del profondo orrore che



spirano i paria alle diverse caste e dellanesorabilitŕ delle punizioni inflitte a chii avvicina, basterŕ questo fatto. Un

giorno, cinque bramini, viaggiandonsieme in una regione devastata dallaguerra, entrarono in una capanna, e nonpotendo piů resistere alla fame,

cucinarono il poco riso che ancoraavevano, in un vaso che dovevaappartenere a qualche povero paria.

Giurano di mantenere il segreto, maornati a casa furono denunziati da un loro

compagno che non aveva voluto prendereparte al pasto. Gli accusati,fortunatamente e anche molto abilmente,ritorsero invece l’accusa contro ildenunziatore, affermando essere stato lui

solo a servirsi del vaso, e lo fecero



espellere dalla casta.

Anche le donne che possono aver avuto

qualche contatto con un paria, nonsfuggono alla terribile pena.

Fra i rajaputi, il padre uccide

nesorabilmente la propria figlia, gli altrinvece, la scacciano dalla casta, dopoaverle rasata la testa.

on sempre perň, dobbiamo dirlo,’esclusione č definitiva, specialmente serattasi di personaggi importanti. La

riabilitazione vi č ammessa talora e con

delle prove dolorose ed umilianti. Allorasi abbrucia la lingua del colpevole conuna verghetta d’oro infuocata; o lo sisegna con un ferro rovente, o lo si fa



correre sui carboni ardenti, oppure lo si fpassare parecchie volte sotto il ventred’una giovenca, animale reputato sacro.

Per ultimo gli si fa bere una infusionecomposta di cinque sostanze prodotte dalcorpo della giovenca, cioč latte sciolto,atte coagulato, burro e due altre poco

pulite. Dopo questo si puň comprendere ierribile pericolo che correva Indri, il

favorito del guicowar di Baroda, accusatodi aver toccato e portato a casa quelpovero paria che gli aveva salvata la vitafacendosi sventrare in sua vece dal cornodel terribile rinoceronte.

Toby, dopo quella giusta esplosione dicollera, era rimasto silenzioso,



dimostrando un imbarazzo cosě evidenteda non sfuggire all’attenzionedell’indiano. - La cosa č grave, č vero? -

gli chiese questi, con una certa ansietŕ.

— Sě, Indri - rispose l’ex sergente deisipai. — Parvati non poteva suggerire al

guicowar un’idea piů pericolosa diquesta. Il rajah di pannah ci tiene troppoalla sua Montagna di luce e non te lacederŕ a nessun prezzo, avendo negato i

molti milioni offertigli dal Gran Mogol.

— Lo so, Toby, ed a me non resta che unasola cosa da fare: rubargli il diamante,salvo piů tardi a pagarglielo quando loavremo messo al sicuro presso ilguicowar.



— E credi tu che sia cosa facile? - chieseToby.

Anzi difficilissima, perché temo che imiei nemici abbiano segretamentenformato il rajah delle mie intenzioni,

onde rendermi impossibile l’impresa.

— Me l’ero immaginato prima che tu meo dicessi - rispose Toby. — Io credo,ndri, che il rajah non ti permetterŕ

nemmeno di porre piede sulle sue terre.

Ne sono certo, ed č appunto per evitareciň che io mi voglio far credere un

semplice cacciatore di tigri e sono venutoda te. Tu sei conosciuto in tutto l’altipianoe nessuno potrŕ sospettare che sotto levesti d’un servo si celi il favorito del



guicotuar.

La tua idea č stata buona, Indri, ed hai

fatto bene a contare su di me. L’impresaoffrirŕ mille pericoli, forse ci attenderŕ anche la morte, ma la mia vita tiappartiene, perché senza di te a quast’ora

piů nessuno si ricorderebbe di Toby, ilcacciatore di tigri.

— Grazie io ero certo di poter contare

sulla tua amicizia - disse Indri, stringendovivamente la callosa mano del vecchiosott’ufficiale.

Noi agiremo senza perdere tempo, -riprese l’inglese, dopo qualche istante disilenzio, - onde non accrescere i sospettidel rajah. Quest’oggi manderň alcuni dei



miei servi a pannah a spargere la voce cho andrň a uccidere il mangiatore

d’uomini. Quando saremo giunti alle

miniere, vedremo cosa dovremo fare per mpadronirci della Montagna di luce. No,non lasceremo quel brigante di Parvati arionfare, e gli daremo piů tardi aspra

battaglia. Vi č perň una cosa chem’inquieta.

Quale?

č quel Dhundia che mi mette dei cattivisospetti pel capo. Cosa vuoi? La suafaccia non mi va a sangue. Sei stato tu asceglierlo?

No, me lo ha imposto il guicowar.



E il guicovar sarŕ stato consigliato daParvati.

— č probabile - rispose Indri.

— Finora hai avuto dei motivi per lagnartdi lui?

No, eppure non ho alcuna fiducia in lui.

— Sarŕ una creatura di quel Parvati -mormorň Toby, il quale era diventatopensieroso. - Lo sorveglieremo

attentamente e non lo lasceremo mai solo.

Volevo dirtelo.



Ritorniamo nel bungalow, onde nonmetterlo in diffidenza e occupiamoci deipreparativi del viaggio. Il tuo elefante č

buono?

č uno dei migliori che possiede ilguicowar. - Abituato alla caccia? - Sě,

Toby.

— Andiamo.

Passň il suo braccio destro sotto ilsinistro d’Indri e tornarono nella salettapianterrena, discorrendo tranquillamentedi caccia e di elefanti. Quando vi

giunsero, Dhundia non vi era piů; lorovarono invece comodamente sdraiato i

una amaca, all’ombra d’un frondosoamarindo che cresceva accanto al



bungalow. - Temo che ci abbia spiati -mormorň Toby agli orecchi d’Indri.

— č probabile; tuttavia suppongo che nonavrŕ avuto l’ardire di venire ad ascoltarci

Se lo ha fatto, peggio per lui. Avrŕ

almeno udito in quale conto noi loeniamo, e sapendosi sorvegliato si terrŕ ranquillo.

Lo lasciarono a terminare il suo sonno .epassarono nella scuderia, dove sirovavano due bellissimi cavalli, che Indr

aveva regalati, l’anno precedente, al

cacciatore, e due coppie di zebů, piccolibuoi colle gobbe assai pronunciate e chesi attaccano alle carrette, avendoun’andatura eguale a quella degli asini.



Bangavady aveva avuto il posto d’onoresotto la vasta tettoia e si riposava su Unbel letto di foglie verdi.

č realmente un bell’animale - disseToby, il quale se ne intendeva. - Robustoe gigantesco. Se il mangiatore d’uomini d

Pannah vorrŕ assalirlo, si troverŕ dinanziad un avversario temibile. - Lo cacceremcon Bangavady? - chiese Indri.

— No, l’elefante ci servirŕ per cercare leracce e studiare il terreno. Quelle tigri

sono troppo astute per mostrarsi in pienogiorno, e saremo costretti ad Ťspettarlaall’agguato. —Riusciremo a prenderla?

Ci č necessaria la sua morte per attiraresu di noi l’attenzione del rajah. Quel



principe č splendido, e si dice anche cheami i coraggiosi e desidererŕ vederci.ŤHo giŕ fatto il mio piano; vedremo se

avrŕ bisogno di modificazioni.

Sai dove si custodisce la Montagna diuce?

Mi hanno detto che serve d’occhio aVisnů in una delle piů importanti pagodedi Pannah; ora poi non so.

— Sarŕ un’impresa difficile - disse Indri,meditabondo.

Ora non possiamo giudicare; quandosaremo a Pannah, lo sapremo. Lasciantanto che mandi due dei miei servi alle

miniere a spargere la voce del mio arri



vo. Ciň produrrŕ un certo effetto, perchésono conosciuto in tutto l’altipiano. —

on ti tradiranno?

Essi ignorano il vero scopo della nostragita; quindi, cosa vuoi temere? E poi misono fedeli.

Fece bardare i due cavalli, scelse fra isuoi cinque servi i due piů devoti, e dopod’averli istruiti, li fece partire coll’ordine

di attenderli in pannah. Alla sera ilcacciatore ricondusse Indri nel giardino,dove aveva fatto preparare la cena presso’enorme tamarindo.

Dhundia aveva lasciato solamente allora’amaca, dove aveva dormito o fěnto di

dormire. Pareva perň che quel lungo



sonno lo avesse messo in cattivo umore.

L’ozio mi guasta - disse a Indri. - Quest

ranquillitŕ mi rende nervoso, e preferireirovarmi sul dorso di Bangavady,piuttosto che in questa dimora cosě calma

Domani partiamo - gli disse Toby,guardandolo attentamente.

Cosě presto? - chiese Dhundia, un po’

sorpreso.

Cosě non avrai a lagnarti dell’ozio -aggiunse Indri.

Sicché domani sera saremo a Pannah.

Lo spero - rispose Toby. - Vi rincresce?



No, signore. Anzi sono impaziente divedervi misurare col mangiatored’uomini.

Un’impazienza che puň costarvi cara, amenoché preferiate starvene in Pannah.

No, perché amo le grandi emozioni alpari d’indri. E poi devo vegliare sulla suasicurezza, e all’occorrenza sacrificare lamia vita pur di ricondurlo vivo al

guicowar.

Grazie, Dhundia, - disse Indri un po’ronicamente, - spero che non avrai

bisogno di lasciare la tua pelle fra leunghie della fiera per salvarmi. Vi č quiToby, e questo valente cacciatore nonascerŕ tempo alla tigre di giungere fino a



me, č vero, amico?

Al momento opportuno non mancherň al

colpo - rispose l’ex sergente, sorridendo. Amici, č tardi, e domani dobbiamometterci in viaggio prima dell’alba.Andiamo a dormire.

Chiamň uno dei suoi servi e fece condurregli ospiti nelle camere loro assegnate,quindi fece chiudere le porte ed i cancelli

e sguinzagliare nel giardino i suoi cani dacaccia, onde tenere lontani i ladri, moltonumerosi in quel tempo, sull’altipiano.

Quando Dhundia si trovň solo nella suastanzetta situata verso l’estrema ala delbungalow, si stropicciň silenziosamente lmani, come uomo soddisfatto di sé.



Dubitano di me - disse, sorridendomaliziosamente. - Dhundia non č cosěsciocco da non comprenderlo. Ah! Non

hanno voluto che io assistessi al lorocolloquio? Bene, vi dico che sarň io il piůsoddisfatto. Vediamo innanzi a tutto se gliuomini del dacoito vegliano anche qui.

Aprě la finestra senza far rumore, alzň lastuoia di coccotiero che serviva dapersiana, e spinse gli sguardi attraverso

’oscura pianura che si estendeva dinanzial bungalow.

Stette alcuni minuti in osservazione, poiprese la lampada e l’accostň alla finestraalzandola e abbassandola tre volte.

Un mezzo minuto dopo vide un punto



uminoso brillare fra i rami di una piantaontana non piů di trecento metri, e quindi

subito spegnersi, per riaccendersi poi

altre due volte.

Non mi ero ingannato - mormorňDhundia. - Il dacoito ha lasciato qui

qualcuno dei suoi bricconi. Sta bene asaperlo. In tal modo potrň, se mi si offre’occasione, mandare qualche buona

notizia a Parvati. Orsů, gli affari vanno

bene: migliaia di rupie ed onori!… Chiavrebbe detto che il povero bramino diRamgharo avrebbe fatta tanta strada?

Chiuse prudentemente la finestra, spensel lume e si gettň sul letto senza spogliarsi

addormentandosi placidantemente.



L’INCANTATORE DI SERPENTI

on era ancora sorto il sole che giŕ

Bangavady dava il segnale della partenzacon un barrito cosě potente, da far rintronare tutto il bungalow.

l cornac, dopo d’aver caricati i viveri eposte nell’haudah alcune carabine e

delle munizioni, consegnategli dai servi,aveva ripreso il suo posto, a cavalcionidel poderoso collo del pachiderma.

ndri e Dhundia, i quali si erano spogliati



dei loro ricchi costumi, indossando

delle vesti semplicissime di tela bianca

poco dissimili da quelle che portava il

cacciatore, vuotata frettolosamente unaazza di eccellente thč, erano usciti

dalla palazzina, pronti a partire.

Conosci la via? - chiese Toby al cornac

uscendo a sua volta.

Sě, sahib - rispose Bandhara. - Sonostato altre volte a Pannah.

Potremo giungere alla cittŕ prima delramonto?

Bangavady allungherŕ il passo e non farŕ



che due brevi soste.

Salirono tutti tre nell’haudah, e l’elefante

si mise in marcia prendendo un sentieroche piegava verso l’est.

La giornata si annunciava splendida e non

roppa calda, soffiando un leggero efresco venticello dai Ghati. Il mondo alatsi svegliava allora, salutandogiocondamente i primi raggi del sole.

Bande di pappagalli schiamazzavano frae foglie dei nagassi e dei borassi, e stuol

di pavoni dalle penne scintillanti

volavano via, nascondendosi fra i fitticespugli.

piccoli rossignuoli baond, molto



eggiadri, rizzavano il loro ciuffettomobile, provocandosi a battaglia, essendoeccessivamente bellicosi, e sui nidi

pendenti dai rami, foggiati a mo’ dibottiglie, garrivano le ktscie philippine,ntorno agli stagni invece, molto numerosn quel luogo, passeggiavano gravemente

marabů, brutti uccellacci somiglianti allecicogne, armati di becchi lunghissimi ecoperti di penne d’un candore niveo, abargiglioni scomposti e arricciati e moltopregiate.

Malgrado la bellezza delle loro penne,hanno un aspetto decrepito e puntoattraente con quei loro occhiacci e quelcollo spelato e rognoso, nondimeno sonorispettati perché nelle campagne purgano

a terra dai vermi, e nelle cittŕ, al pari dei



zopilotes del Messico, fanno l’ufficio dispazzini. L’altipiano aveva cominciato arisalire, trovandosi pannah molto in alto.

Si svolgeva in grandi ondulazioni,cosparse di macchioni di piccoli tek, diamarindi e di borassi, e di gruppi di

capanne circondate da campi coltivati a

cotone ed a indaco e tenuti con molta cura

hi lontananza si profilava sempre’imponente catena dei Ghati, interrotta da

spaccature gigantesche che servivano dipassaggio ai fiumi, e da picchi dentellati.

Bangavady, eccitato dal cornac, avevapreso un passo rapidissimo, procurandodi tenersi lontano dai macchioni, onde irami non potessero offendere iviaggiatori. Dhundia, come il solito, si er



rimesso a masticare il suo betel, senzapronunziare sillaba, mentre Toby avevaaccesa la sua pipa, lanciando in aria

nuvolette densissime di fumo.

Di tratto in tratto scambiava qualcheparola con Indri, il quale era diventato

pensieroso.

Avevano cosě percorse quasi tre leghe,nnalzandosi sempre, quando Toby fece

osservare a Indri un uomo, che marciavaparallelamente all’elefante, sforzandosi anon rimanere indietro e cercando di nonmettersi troppo in vista.

— Si direbbe che quell’indiano ci segua disse.



Sarŕ qualche montanaro, che per pauradelle tigri, cerca tenersi vicino a noi

si affrettň a dire Dhundia, che lo avevaudito.

Allora potrebbe accostarsi - osservň

Toby.

— Voi dovreste sapere che non amano lacompagnia degli europei.

— No, salvo a chiamarli ed invocarne la

protezione quando si vedono minacciati -disse Toby, ironicamente. - Ehi, cornac,cerca di raggiungere quell’uomo.

Perderemo del tempo, che per noi č



prezioso - disse Dhundia.

— Pochi minuti non ci faranno ritardare i

viaggio - osservň Indri. L’elefante,sempre obbediente al suo conduttore,aveva lasciato il sentiero, dirigendosiverso una macchia di alberi gommiferi

che lo sconosciuto stava alloraattraversando.

n meno d’un minuto superň la distanza e

sorpassň quel folto gruppo d’alberi,ncrociando l’indiano nel momento in cui

questi stava sbucando all’aperto.

— Toh!… Un nanek punthy! - esclamňToby. - Cosa fa qui, fra queste foreste,quel fakiro?



L’uomo che li aveva seguiti, era uno diquei fanatici appartenenti alla classe deifakiri, uomini che si fanno ammirare per

e loro assurde pratiche religiose e ancheper la loro rigorosa devozione e questa oa quella divinitŕ.

nanék punthy formano una setta a parteche vive di elemosina, strappandolaspesso con prepotenze che finiscono difrequente in sonore legnate scaricate

addosso a colui che la rifiuta.

Si distinguono subito per un’usanza loroparticolare, la cui origine č ignota, nonportando che una sola scarpa e nonenendo sul viso che una sola basetta.

l fakiro che aveva seguiti i viaggiatori



era un uomo dai lineamenti duri, cogliocchi foschi e la pelle assai oscura, quasinera, colore poco comune nell’India

settentrionale.

Come tutti i suoi correligionari, portava iesta un turbante, dal cui lato sinistro

pendavano due sonagli d’argento, copertidi fili di ferro, e teneva in ciascuna manodue pezzi di legno, dei quali si servonoper accompagnare, con battute assordanti

delle recitazioni.

Dove vai? - gli chiese Indri, facendoglisegno d’arrestarsi.

— A Pannah, sahib - rispose il fakiro,scambiando un rapido sguardo conDhundia. — Devo prendere parte alla



festa del těrunal.

— Quando ha luogo? - chiese Toby.

Comincia fra due giorni.

Verrŕ a guastare la nostra caccia - disse

Toby, facendo una smorfia di malcontento— E vuoi dirmi perché non osaviavvicinarti? - chiese Indri. - Temevo di

darvi fastidio - rispose il fakiro.

— Perň seguivi correndo l’elefante.

č vero; so che questi boschi sonopopolati d’animali feroci, e volevoenermi presso di voi per chiedervi aiuton caso di pericolo. - Se ti piace, puoi

enerti presso l’elefante.



Grazie, sahib, ma la tua bestia camminaroppo velocemente, perché io possa

continuare a seguirti. E poi ormai la

foresta abitata dalle fiere č lontana, ed ionon correrň alcun pericolo.

Ciň detto, scambiň con Dhundia un’altrarapida occhiata, poi si gettň nella macchiavicina, sdraiandosi presso un grosso

pipai.

— Lasciamolo riposare - disse Toby, ilquale non si era accorto di nulla. - Deve

essere sfinito.

Lo credo anch’io - rispose Indri.

Bangavady, spinto dal cornac, ritornň sul



sentiero e riprese la sua celere marciasbuffando e agitando le sue largheorecchie per rinfrescarsi. In lontananza,

verso gli ultimi scaglioni dell’altipiano,cominciava a delinearsi un grossoattruppamento di edifizi, di cui alcuniscintillavano sotto i raggi del sole, come

e loro cupole ed i loro tetti fosserocosparsi di pagliuzze d’oro. Era Pannah,a capitale del rajah omonimo, ma era

ancora tanto lontana da dubitare di poterlraggiungere prima del tramonto.

Vi erano ancora molti boschi daattraversare, delle gole profonde eparecchi torrenti incassati fra paretigigantesche che dovevano mettere a duraprova la forza e la pazienza di Bangavady

e l’abilitŕ del suo cornac. A mezzodě i



viaggiatori dovettero concedere un’ora diriposo al povero animale che sudava inmodo prodigioso, quantunque l’aria si

mantenesse ancora fresca. Il luogo cheavevano scelto era ombreggiato da unenorme tamarindo, il quale crescevasolato fra una distesa di piccoli cespugli

nascondigli preferiti dai serpenti,soprattutto dai cobra-manilla, che sonopiccoli e di colore azzurro, e dai cobra-capello o serpenti dagli occhiali.

ell’India i tamarindi giungono a dellealtezze prodigiose e acquistano unosviluppo piů che straordinario,distendendo i loro rami foltissimi su unospazio immenso.

Sono piante splendide, che hanno la



corteccia grossa e screpolata, per lo piůdi color bruno, e foglie lunghe circa treonce, alternate e terminanti in punta. Dell

oro frutta si fa un grande usodagl’indiani, e non giŕ come medicinarinfrescante, bensě come cibo, servendodi condimento al carri. Toby ed i suoi due

compagni si erano appena sdraiatiall’ombra di quella superba pianta, inattesa che il cornac allestisse lacolazione, quando il primo, a cui nullasfuggiva, non potč trattenereun’esclamazione di sorpresa alla vistad’un uomo che scivolava fra i cespugli.

Cos’hai, Toby? - chiese Indri, credendoche fosse stato morso da qualche serpenteo da qualche scolopendra. - Ancora il

nanek punthy!…



— č impossibile!…

— Non mi sono ingannato, Indri. L’hoveduto un solo momento, eppure mi čbastato per riconoscerlo.

— Che ci abbia seguiti? - si chiese Indricon stupore. - Che quell’uomo abbia avutanta resistenza da gareggiare col passo

rapido di Bangavady?

Sarŕ un altro - disse Dhundia. - Se aPannah si celebra la festa del tirunal,

molti altri fakiri vi si recheranno.

Hum! Ho i miei dubbi che non sia quelloche abbiamo incontrato, e desidererei

vivamente persuadermene. - č giŕ lontano



disse Dhundia, con qualche inquietudine

— Meno di quello che credete, e lo

nseguirň mentre Bangavady si riposa. - Eascerai la colazione? - chiese Indri.

Bah! Ad un cacciatore basta un biscotto, e

me lo divorerň senza rallentare il passo.

Volete che vi accompagni? - chieseDhundia, alzandosi prontamente. - Né voi

né Indri; preferisco essere solo.

Fece a Indri un segno d’intelligenza, epresa la sua carabina, si slanciň in mezzo

ai cespugli, raggiungendo celeremente unamacchia immensa di banani selvatici.

Qui gatta ci cova - mormorava, senza

rallentare il passo. - Non si corre dietro



ad un elefante senza un grave motivo,galoppando per cinque ore di seguito.Vediamo un po’ se quel briccone mi darŕ

ad intendere che si č servito d’un cavallorovato nei boschi.

Aveva veduto vagamente scivolare il suo

uomo verso la macchia dei banani, ed eracerto di ritrovarlo nascosto sotto lepiante, quantunque conoscesse laprodigiosa agilitŕ degl’indiani.

Si avanzava con una certa prudenza, nonessendo sicuro che quel fakiro fosse soloanzi temeva il contrario.

Chissŕ - si diceva. - Invece d’un santonepotrebbe anche essere un dacoito, Cquella gente č sempre pericolosa.



Giunto in mezzo al folto fogliame,s’arrestň tendendo gli orecchi. Nessunrumore gli pervenne: perň a circa

cinquanta passi vide volar via uno stormodi pappagalli, mandando strida acute.

— Deve averli spaventati il mio uomo -

disse. - Che si sia accorto che lo insegup?Stiamo in guardia per non cadere inqualche imboscata.

Armň la carabina e si spinse risolutamentnnanzi, scivolando fra le immense foglie

dei banani, le quali si curvavano versoerra da tutte le parti, non potendo le loro

nervature reggere tanto peso.

Se si avanzava rapido, anche l’indianonon doveva perdere via, perché di



juando in quando, e sempre ad unadistanza maggiore, ora volano via stormidi quei graziosi baěbul disturbati nelle

eterne e sanguinose lotte, ora qualcheCoppia di splendidi pavoni o qualchenuvola di tortore candidissime. Adntervalli Toby udiva anche uno

scrosciare di foglie, e poco dopo fuggivaa tutte gambe qualche truppa di caniselvaggi, animali grossi come glisciacalli, ai quali molto rassomigliano,col pelame corto, fulvo bruno, e la coda

rasa, e che talvolta sono pericolosi ancheper l’uomo, specialmente se sono in molti

Ad un tratto ogni rumore cessň nella fittamacchia. L’indiano aveva trovato unnascondiglio od aveva rinunciato alla sua



fuga?

Oh! Oh! - esclamň Toby, diventato

eccessivamente prudente. - Cosa significaquesta fermata? Quasi mi pentisco diessermi cacciato in mezzo a queste piantesenza aver condotto con me almeno il

cornac.

Fece ancora alcuni passi, scostando lefoglie colla canna della carabina, poi

s’arrestň, ponendosi in ascolto.

n mezzo alla macchia aveva udito deisuoni acuti interpolati da modulazioni

dolci e languide che parevano cavate dauno di quei flauti usati dagli incantatori dserpenti e chiamati tornili.



Toh! - esclamň Toby, sempre piů stupito Che l’indiano che io ho seguito sia un

sapwalLah (incantatore di serpenti)

nvece del fakiro? O che abbia invecedinanzi a me un abile briccone capace dirasformarsi anche in piena foresta?

Questi indiani sono capaci di tutto.

La musica intanto continuava sempre piůdolce e piů languida, producendo anchesul cacciatore uno strano senso di

debolezza e come un principio disonnolenza.

Che mi mandi addosso tutti i rettili chesi nascondono nella macchia? - si chiese.

Mise la mano alla cintura ed estrasse unungo coltello a lama leggermente ricurva



arma ben piů preferibile alla carabinacontro un assalto di serpenti. Lo impugnňe si spinse animosamente innanzi, deciso

raggiungere l’incantatore, non vedendociroppo chiaro in quella faccenda.Camminava perň adagio perché udiva inutte le direzioni dei leggeri sibili e le

foglie secche a scrosciare e muoversi.

I serpenti escono dai loro nascondigli -disse, rabbrividendo. - Che brutta

compagnia!

Era vero: i rettili, chiamati da quellamusica che continuava senza interruzione,asciavano i loro covi, ed attirati da una

forza irresistibile, s’avvicinavano alsuonatore.



coi loro flauti che i sapwallah indianis’impadroniscono dei rettili, dei qualihanno bisogno.

Si recano nelle macchie o nelle jungle e smettono a suonare a lungo. I serpenti, chehanno una passione straordinaria per la

musica, accorrono da tutte le parti.

Tosto, rapidi come il lampo,gl’incantatori lasciano gl’istrumenti,

afferrano i rettili piů vicini, li gettano inaria per stordirli, li riprendono per lacoda nel momento in cui ricadono, quindicon una pinzetta li privano dei dentivelenosi.

Se vengono accidentalmente morsicati,succhiano il veleno dalla ferita o usano



degli antidoti di cui essi soli hanno ilsegreto.

Toby s’avanzava con estrema lentezza,non senza sentirsi bagnare la fronte da unfreddo sudore. Aveva giŕ veduto strisciarun cobra-manilla, piccolo serpente

azzurro, lungo appena un piede e dalmorso mortale; poi un gulabi dalla pellepicchiettata di rosso; quindi un serpentedel minuto, sottilissimo, nero, a macchie

gialle e non piů lungo di venti centimetri,eppure il piů terribile di tutti, perché insessanta secondi l’uomo o l’animale cheviene morsicato, cade fulminato. Tobystava per domandarsi se dovevaproseguire o tornare indietro per non farsmordere da qualcuno di quei pericolosi

abitanti della macchia, quando si trovň



mprovvisamente sul margine d’unapiccola radura. Un grido di stupore eanche di terrore gli sfuggě.

n mezzo a quello spazio scoperto, sedutosu di una grossa radice che usciva daerra, se ne stava un indiano

completamente nudo, circondato da unadozzina di rettili fra gulabi, cobra e boa.

Suonava tranquillamente, come non si

fosse nemmeno accorto della presenza decacciatore, ed i serpenti, arrotolati dinanza lui, colla sola testa alzata, l’ascoltavanoconservando una completa immobilitŕ,come se quella musica li avessepnotizzati.

l grido di stupore che era sfuggito a



Toby, gli era stato strappato dalla stranarassomiglianza fra quell’uomo ed il fakironcontrato quattro ore prima, a cinque

eghe di distanza.

La medesima pelle oscura, i medesimiineamenti; perň non aveva né il turbante,

né la basetta, né la scarpa e nemmeno lacollana. — Che sia il medesimo, od unaltro? — si chiese Toby, il quale nonriusciva a raccapezzarsi. - E la basetta

che non esiste piů?… Che fosse falsa?Ecco un bel mistero che vorrei delucidarese non vi fossero quei maledetti serpenti.Potessi almeno udire la sua voce.

Fece qualche passo innanzi, guardandosipaurosamente intorno per tema di venireraggiunto da qualche serpe ritardatario e



gridň a piena gola:

Finiscila colla tua musica dannata!

L’indiano alzň la testa e staccando per unstante il flauto, disse con uno stupore che

pareva naturale:

Oh! Un uomo bianco! Fuggite, sahib, o iserpenti vi morderanno.

Lascia il flauto e rispondimi.

Non posso, sahěb; se mi arresto per qualche minuto, i serpenti diverranno

furiosi e si getteranno su di me.

E riprese il flauto rimettendosi a suonare,e questa volta su un tono diverso.



Anche la sua voce, quantunque siadiventata nasale, mi ricorda il faědrodisse Toby. - Che sia lui?

Stava per avanzarsi quando vide una cosa

strana. I serpenti, che fino allora eranorimasti immobili, eccitati forse ora daquella musica che diventava piů vivace epiů rapida, avevano svolte le loro spire,

sibilando e contorcendosi. Parevano inpreda ad una violenta collera, ed inveced’accostarsi vieppiů al suonatore, siallontanavano precipitosamente.

Finiscila o ti uccido! - gridň Toby.

Non posso, sahib - rispose l’indiano,



con voce spaventata. - Non posso piůrattenere i serpenti. Fuggite!… Sono

furiosi!…

L’ALTIPIANO DI PANNAH

rettili infatti, invece di calmarsi,

aumentavano i loro fischi ed i lorocontorcimenti.

Si rizzavano di colpo agitando

rapidamente le loro lingue biforcute emostrando i terribili denti pregni diveleno, poi balzavano innanzi come secercassero una preda qualunque da

mordere.



Vedendo Toby, il quale, invece di fuggireera rimasto immobile come fosse statoparalizzato dalla paura, si diressero

precipitosamente verso di lui, mentre’indiano affrettava sempre la sua musicandiavolata, tenendosi nascosto dietro la

radice.

on vi era un momento da esitare.

Quantunque il cacciatore, sospettando in

quella musica un tiro dell’indiano per costringerlo ad andarsene, si sentissendosso una smania furiosa di troncarla

con un buon colpo di carabina, vedendosimuovere incontro quella falange terribile,spiccň un salto indietro per rifugiarsinella macchia.



Aveva appena posati i piedi a terra chescivolň su un corpo viscido. Ebbe appenal tempo di aggrapparsi ad un ramo che

udě dietro di sé un sibilo a lui ben noto.Era quello d’un cobra-capello in furore,uno dei piů pericolosi rettili che infestanoe macchie e le jungle indiane. Si volse

rapidamente, allungando la mano armatadel coltello da caccia. Un grosso serpentecolle squame bruno-giallastre, lungo duemetri, che aveva la testa adorna d’unostrano disegno raffigurante un paiod’occhiali, si era rizzato dinanzi a lui,sibilando rabbiosamente.

Era proprio un cobra-capello, chiamatocosě perché quando č in collera dilataenormemente il suo collo, potendo, a

volontŕ, aprire le sue prime paia di



costole e assumendo in tal modo unaforma convessa al di sopra e concava aldi sotto, che bene o male raffigura un

cappello.

l formidabile rettile era giunto in ritardoper gustare la musica, ed essendo stato

calpestato dal cacciatore, si era rizzato dicolpo, pronto a mordere. FortunatamenteToby se n’era accorto a tempo ed avevapotuto tenersi in piedi. Se fosse caduto,

sarebbe stato infallantemente morsicato.Con una rapida mossa si gettň da un lato,poi alzata la carabina percosse col calcio’assalitore, facendolo ricadere al suolo

colla spina dorsale rotta. Quella vittoriagiungeva in buon punto, perché i boa, igulabi e tutti gli altri rettili stavano per

assalirlo alle spalle.



All’inferno quel suonatore e tutti i suoiserpenti! - esclamň Toby, balzando sopral cobra che si agitava fra le ultime

convulsioni della morte.

Si slanciň nella macchia raccomandandosalle proprie gambe, correndo diritto

dinanzi a sé, frettoloso di giungereall’accampamento. Gli bastarono quindicminuti per attraversare il folto dei bananie sbucare presso l’elefante.

ndri, vedendolo giungere di corsa,ansante e grondante di sudore, gli eramosso incontro credendolo inseguito daqualche fiera o da qualche banda didacoiti .

Presto, sull’elefante! - gridň Toby. - Ho



alle calcagna uno stuolo di rettili.

Dei serpenti! - esclamň Indri.

Mandatimi dietro da quella canagliad’indiano. — Da quale indiano?

Dopo… partiamo… forse stanno per giungere.

Bangavady era giŕ in piedi, pronto a

partire. Il cornac portň la colazione nel-’haudah, poi tutti salironoprecipitosamente perché sul margine dellmacchia si udivano i primi sibili dei

serpenti.

Mentre l’elefante s’allontanava con passorapido, Toby narrň in brevi parole la sua

strana avventura, facendo ridere Indri e



Dhundia.

L’hai bene guardato in viso? - chiese

ndri, quando Toby ebbe terminato.

L’indiano? Certo, amico, erassomigliava stranamente al fakiro.

Io dubito perň che fosse lui - disseDhundia. - Quando lo abbiamo incontratonon aveva il flauto.

Eppure io sono convinto che’incantatore ed il fakiro non sono che il

medesimo uomo - ribattč Toby. - Se fosse

stato un povero sapwallah non miavrebbbe mandati dietro tutti quei rettili,anzi si sarebbe affrettato a prenderli.

Quale scopo puň avere quell’uomo per



seguirci cosě ostinatamente? - si chiesendri, con qualche inquietudine.

č quello che avrei desiderato sapere -rispose Toby.

č subito scomparso quell’indiano?

Appena ucciso il cobra non lo vidi piů ea musica cessň.

Tu hai incontrato qualche abile bricconeToby. Io so che gl’incantatori, col

oro flauto, possono addormentare i rettil

e anche renderli estremamente furiosi. -Egli non ha voluto che tu lo guardassiroppo da vicino e ti ha lanciato addosso

quei pericolosi abitanti delle macchie.



— Ne sono convinto anch’io, Indri -rispose Toby. - Ma se lo incontro ancoragli manderň una palla nel cranio.

Un risolino ironico era spuntato sulleabbra di Dhundia, senza che nessuno se

ne avvedesse. Certo egli ne sapeva ben

piů di Toby e d’Indri a proposito diquell’indiano.

Divorarono la colazione, innaffiandola

con una buona bottiglia di birra, poi ilcacciatore accese la sua pipa e si sdraiňsui cuscini, mentre Dhundia si empiva labocca di betel.

Di passo in passo che Bangavadyrimontava l’altipiano, il paesaggiocambiava. Alle folte macchie si



succedevano ora dei campi coltivati eboschetti piuttosto bassi, e qua e lŕ apparivano gruppi di casette e anche

qualche bungalow di bell’aspetto,appartenente forse a qualche ricco indiandi pannah. Delle mandrie di mucchepascolavano pacificamente nelle praterie

che scendevano lungo i burroni, sotto laguardia di bruni pastori armati di lunghifucili e d’aspetto poco rassicurante.

Anche qualche elefante ammaestrato sivedeva passeggiare in piena libertŕ sulmargine delle macchie e salutava il suocompagno con un lungo barrito che siripercuoteva a grandi distanze.

Siamo in paese abitato - disse Indri. -Ora non abbiamo piů nulla da temere



perché il rajah non ischerza contro i ladried i banditi.

— Ciň non impedisce che ve ne sianoanche qui e non meno audaci di quelli chenfestano le altre regioni dell’India -

rispose Dhundia.

E quel fakiro, che io credo sia tutt’altroche un galantuomo, ce ne ha dato la prova disse Toby.

Non giudichiamolo prima, amico — disse Indri. - Non ci ha fatto alcun male.

— Perché era solo.

— Solo!… Hum!…



— Sospetti che avesse dei compagni?

— Un uomo solo e per di piů inerme, non

oserebbe attraversare questi altipiani chesono frequentati dalle tigli e quasidisabitati.

— Allora abbiamo fatto male a non darea caccia a quel briccone.

Non si sarebbe lasciato cogliere, Toby.

Tu non conosci ancora l’incredibileastuzia dei ladri e dei banditi indiani.

Ammetto che siano furbi, Indri, ma non

anto da non lasciarsi mai sorprendere.

— Lo sanno i tuoi compatrioti - disse’indiano, ridendo. - Quando hanno

cercato di purgare il Bundelhand dai



briganti che lo infestavano, hanno provatod elle sorprese incredibili. Non vi č alcunpaese in cui vi siano ladri e banditi pari a

nostri per combinazioni ingegnose, per destrezza, per pazienza straordinaria, per meravigliosa audacia e per abilitŕ nelrasformarsi. Cosa diresti tu, per esempio

se io ti dicessi che quei rami che vedisorgere laggiů potrebbero čssere invecendiani in carne ed ossa?

— Che non sarei cosě sciocco da crederluomini - rispose Toby. — E verrestingannato. Oh! - Sě, Toby. č un giuoco chladri indiani e specialmente i dacoiti

conoscono bene, e che quasi sempre lisalva dargli inseguitori. Per eseguirlo, eo fanno quando sono stretti da vicino

dalla polizia montata, si tolgono le vesti,



e pongono assieme alle armi sotto piccolscudi rotondi che portano appositamente eche poi disperdono a capriccio in modo

da simulare delle pietre, quindi sisdraiano al suolo in maniera che le loromembra secche o di colore oscuroprendono l’apparenza di veri rami morti

mentre i corpi figurano come tronchi. Tigarantisco che l’illusione č cosě perfettada ingannare il piů astuto europeo. -Parrebbe impossibile! - esclamň Toby,stupito.

Si racconta anzi un aneddoto moltograzioso. Un ufficiale, tuo compatriota,era stato incaricato di raggiungere unabanda di ladri che infestava il Bheel.Riesce infatti a trovarli, ma mentre sta pe

raggiungerli, i ladri scompariscono ai suo



sguardi e anche a quelli dei suoi soldati,quantunque in quel luogo non vi fosseroboschi. Si vedevano invece solamente dei

ronchi e dei rami che parevano morti.L’ufficiale, stanco, ordina ai suoi uominidi scendere da cavallo, siccome facevamolto caldo, va ad appendere il suo

berretto a uno di quei rami. Sai cos’era? -o davvero. - La gamba d’un ladro. —

grossa, Indri!…

No, Toby, č cosa vera. Il ladro, nonpotendo trattenere uno scoppio di risa, ‘viene subito scoperto; piů pronto delampo si getta sull’ufficiale stupito, lo

atterra, poi fugge portando trionfalmente iberretto. gli altri rami, tramutati come perncanto in esseri umani, l’avevano giŕ

preceduto, lasciando ufficiale e soldati



con un palmo di naso.

Se sono capaci di questo, dovremo ben

guardarci da loro quando avremo in nostrmano la Montagna di luce.

Sarebbero capaci di rubarcela, Toby. Io

ho conosciuto un indiano che potevacamminare sopra un cane addormentatosenza svegliarlo, e un altro che, essendostato sfidato, č andato a rubare la coperta

sopra la quale dormiva un ufficiale deisipai.

— Quell’ufficiale doveva aver bevuto unpo’ troppo quella notte - disse Toby.

A me non sarebbe certamente avvenuto



un caso simile.

Tutt’altro, perché era stato lui a sfidare

l ladro, onde convincersi dellastraordinaria abilitŕ dei ladri indiani.

E fu derubato?

Dopo pochi giorni.

— E come aveva fatto l’indiano?

Dapprima si era introdotto nella tendaagliando la tela, poi veduto l’ufficiale

addormentato, gli aveva leggermente

sollecitato le mani ed il volto,nducendolo in tal modo a girarsinvolontariamente sul suo giaciglio.ntanto imprimeva alla coperta delle dolc

scosse, tirandola sempre verso di sé.



Quando l’ufficiale si svegliň, la copertanon vi era piů, e gli fu riportata solamentel giorno dopo dall’abile briccone. Ecco

di che cosa sono capaci i ladri indiani.

— Uomini da temersi come la peste -disse Toby.

— Se non peggio - rispose Indri.

Ci siamo - disse in quel momento

Dhundia. - Ancora un burrone daattraversare ed entreremo in pAannah.

Al di lŕ di un vallone si vedeva sorgere la

capitale dell’altipiano, giŕ avvolta

fra le tenebre e cosparsa di puntiuminosi.



on vi erano che due o tre miglia dasuperare, distanza che Bangavady poteva

superare in meno di mezz’ora, quantunquel suolo fosse accidentato ed in piů

uoghi sventrato, opera questa dei

minatori del rajah, sempre alla ricerca di

diamanti.

— Saranno ancora aperte le porte? -chiese Indri a Toby.

Le faremo aprire egualmente - rispose

’inglese. - Un uomo bianco che si offre dsbarazzare le miniere dal terribilemangiatore d’uomini non si lasciaaccampare all’aperto. Anzi io sono certo

che ci aspettano.



E ci vengono incontro - disse Dhundia. -Vedo delle torce che si avanzanoattraverso il burrone.

Che il rajah ci mandi qualche scorta? -si chiese Toby. - La mia fama disterminatore di belve feroci č giŕ nota in

utto l’altipiano.

Udite? - chiese Dhundia. - Ci fanno deisegnali.

Fra il profondo silenzio che regnava nellavalletta si era udito a echeggiare unameni, istrumento formato con una noce d

cocco tagliata quasi a metŕ e copertad’una finissima pelle e che da dei suonidolcissimi, simili a quelli d’un timballo.



č una scorta che il rajah ci manda - dissendri. - Le fiaccole si dirigono verso di

noi.

E mi pare che sia anche numerosa -aggiunse Toby. - Ecco una cortesia chenon m’aspettavo.

E delle quale approfitteremo - disse

ndri, scambiando uno sguardo coll’exsergente.

Sě, a suo tempo.

Cinque minuti dopo Bangavady, il qualeaveva ripresa lena, incontrava undrappello d’uomini armati di lance e di

fucili e seguito da sedici hamali, ossia



portatori, i quali reggevano sulle lorospalle tre palanchini dorati, in forma dicassa, con due aperture adorne di cortine

di seta azzurra a fiorami e franged’argento.

Ai lati camminavano otto mussoZchi,

uomini incaricati di portare le torce e’olio di cocco che serve per spruzzarle

onde la fiamma si ravvivi. Il capo dellascorta, riconoscibile pel pennacchio di

penne di pavone che gli pendeva da unampio cappello di paglia, si fece innanzidicendo: io Sono l’inviato delpotentissimo rajah di Pannah mio signoreper guidare e scortare il cacciatore di tigred i suoi compagni. I palanchini viaspettano.



Noi siamo riconoscenti al tuo signore diquesta sua gentilezza - rispose Toby,scendendo la scala di corda che il cornac

aveva lasciata cadere. - Dove hai’incarico di ospitarci?

In un bungalow di proprietŕ del mio

signore, che č tutto a tua disposizione,sahěb.

Chi ha avvertito del mio arrivo?

Uno dei tuoi servi fino da stamane avevasparsa la voce che tu stavi per giungere edelle sentinelle erano state collocate sulle

mura per darci l’avviso. Hanno veduto iluo elefante ed io sono venuto adncontrarti.



Grazie, amico.

Salě nel primo palanchino mentre Indri ed

Dhundia prendevano posto negli altri dueed il drappello partě, seguito daBangavady.

Gli uomini che reggevano i bastoni deipalanchini, camminavano velocemente.

Erano tutti uomini scelti, agilissimi e

robustissimi, quantunque d’una magrezzaspaventosa.

n tutta l’India fanno il servizio dei

rasporti e con una rapiditŕ incredibile,facendo sovente perfino quarantachilometri d’un fiato, senza prendere unsolo minuto di riposo. E dire che il loro



pasto consiste in una libbra di cattivafarina che divorano metŕ al mezzodě e ilrimanente alla sera!…

Per lo piů dipendonodall’amministrazione postale, la quale,previo avviso, ne

staziona ogni dieci miglia pel ricambio,sicché il viaggiatore viene portato

con una rapiditŕ che supera quella deimigliori cavalli. Nessun ostacolo liarresta: né monti, né burroni, né jungle, ehanno un certo

modo di camminare che il palanchino nonsubisce la menoma scossa. Come ne nehanno l’abitudine, anche gli hamali del



rajah, dopo i primi passi, ave

vano intonata la loro canzone per regolare

a corsa, canzone che non varia quasi mai

Che cosa portiamo? - gridava il migliorcantore. - Forse un uccello leggero?

No, no - rispondevano gli altri, su unono eguale. - Un uomo pesante,

pesantissimo quanto un elefante.

— Lasciamolo cadere - riprendeva ilprimo.

Non hai tu visto il suo lungo bastone?

Sě, l’ho veduto.

Allora guardati, perché la tua schiena



puň provarne il peso.

— Dunque lavoriamo, forza, lavoriamo!

E continuavano la via, ripetendo ilritornello con voce ora stridula ed oraamentevole.

La valletta fu presto passata da queiveloci camminatori, poi una piccolapianura rotta da buche e da spaccature,

antichi pozzi diamantiferi ormai sfruttati, alle dieci il drappello entrava in Pannah.

Eccoci sul campo della nostra periglios

mpresa - disse Indri, sospirando.

Ci lascerň l’onore o tornerň vincitore?La Montagna di luce sta qui; spetta a me

coglierla.



LA FESTA DEL

TIRUNAL

Pannah č una delle piů antiche cittŕ dell’India e deve la sua fama alla

ricchezza delle sue miniere di diamantiche sono le piů celebri e anche le piůvecchie che si conoscano.

Essa č situata in mezzo ad un vastissimoaltipiano che č di accesso difficile, framontagne selvagge e boscagliegigantesche, antiche quanto forse la

creazione del mondo, e riposa, si puňdire, su un letto di diamanti, perchéscavando anche il suolo delle sue vie sene troverebbero di certo ed in gran



numero.

Quantunque non molto vasta, non avendo

che una popolazione di ventimila anime,compreso il personale delle miniere che čnumerosissimo, č molto elegante ed ha piůa fisionomia d’una cittŕ europea che

ndiana. Le sue abitazioni, costruite per lamaggior parte in pietra, hanno unbell’aspetto e per lo piů la forma deibungalow inglesi e anche i suoi templi, di

costruzione quasi recente, essendo statiabbattuti quasi tutti gli antichi per unostrano capriccio del fondatore delladinastia, hanno uno stile rimarchevole.Come tutte le cittŕ indiane, non mancad’un bazar spazioso, il solo forse chericordi l’architettura del paese, ed un

palazzo destinato al rajah, ma anche



questo č d’impronta europea essendoformato da un attruppamento dicostruzioni a tetto piatto, con pochi

colonnati di stucco sostenenti vasteerrazze.

Quando il drappello, preceduto dai

mussalchi che portavano le torce, entrňnella cittŕ, le vie erano deserte e oscure.Solamente qualche ronda di soldatimalamente vestiti e armati di lance,

passava di quando in quando con passoesto e silenzioso.

Dopo d’aver attraversate varie vie, lascorta s’arrestň dinanzi ad uno degliultimi bungalows del palazzo reale, cheera guardato da una sentinella. — Siamogiunti - disse il capo, affacciandosi allo



sportello del palanchino occupato daToby. - Questa č la casa assegnatavi dalrajah, - Vi č posto anche per l’elefante? -

chiese il cacciatore.

— Lo condurrň in uno dei recinti delpalazzo e non mancherŕ di nulla - rispose

l capo della scorta.

— Grazie, amico.

Discese lentamente, fece scivolare nellemani del capo alcune rupie ed entrň nelbungalow; seguito da Indri e da Dhundia.

Quattro servi li aspettavano nel salottopianterreno, ammobiliato un po’all’europea e un po’ all’indiana, con inmezzo una tavola riccamente imbandita.-



Sahib - disse uno di quei servi che parevafosse il chitmudyar, ossia il maggiordomodella casa. - La cena č pronta.

— Per Bacco! - esclamň Toby. - Bengentile il rajah! Non mi aspettavo unasimile accoglienza. Amici, sediamo e

facciamo onore al pasto.

Il rajah ti tratta come un principe - dissendri. — Sě, dei cacciatori - rispose

Toby, messo in buon umore dal profumosquisito

che esalavano le vivande. - Speriamo di

rovare anche un buon letto.

La cena era abbondante e svariata: ilsolito carri, condito con una salsa di



peSce, arrosto di antilope, pasticci diriso, pudding, frutta di varie specie ebirra.

Toby ed i suoi compagni, assai affamati,diedero un saggio della capacitŕ dei l oroventri, facendo non poco stupire i servi,

quindi si fecero portare delle

pipe e del betel. Il chitmudyar, sempredietro la sedia di Toby, pareva che

aspettasse di venire

nterrogato.

Hai qualche cosa da dirmi? - chiese ilcacciatore, che se n’era accorto.

Sě, sahib - rispose il maggiordomo. - Il

mio signore desidera sapere quando



ucciderai il mangiatore d’uomini che dasei settimane impedisce il lavoro delleminiere. - Domani sera, dopo la festa. -

Assisterai al rirunal, sahib?

Vbgliamo goderci quello spettacolo. Equando potremo vedere il rajah? - Dopo

a morte del mangiatore d’uomini.

Continua le sue stragi la tigre?

Sě, sahib. Anche l’altra sera ha divoratoun minatore e ne ha storpiati altri due.

č una fiera ben terribile - disse Toby.

Piů nessun abitante osa attraversare le

miniere - disse il maggiordomo.



— Domani, dopo la festa, andremo adesplorare il terreno, e alla notte leenderemo un agguato.

Non hai paura che ti divori, sahib?

Non sono giŕ un indiano da lasciarmi

mangiare come una costoletta - disseToby. - Noi uccideremo la bŕg eguadagneremo il premio promesso dalrajah.

Te lo auguro, sahib.

Vuotarono un’altra bottiglia di birra, poi

si fecero condurre nelle loro stanze,ammobiliate con eleganza e nello stessoempo con semplicitŕ e fornite di letti di

provenienza europea. Toby e Indri non



ardarono ad addormentarsi.

Dhundia, invece di coricarsi, si era messo

a passeggiare silenziosamente per lastanza, fermandosi sovente presso laporta, per ascoltare. Pareva che aspettassqualcuno.

Erano trascorsi venti minuti, quando uděun passo leggero salire la scala e fermarspresso la porta. Aprě e si trovň dinanzi al

chitmudyar.

— Ero certo che tu mi aspettavi, sahib -disse. - Avevi compreso il mio segno?

Sě - rispose Dhundia. - Chi ti manda?

Sitama, il fakiro.



č giŕ giunto?

Sě, camuffato da nanek punthy e

accompagnato da Barwani, l’uomogigante.

Hanno qualche ordine da darmi da parte

di Parvati?

Nessuno, sahib.

Allora perché sei venuto?

Per dirti che noi abbiamo ucciso ilmessaggiero incaricato d’avvertire il

rajah delle intenzioni di Indri.

Avete fatto bene; se avesse compiuta lasua missione, la Montagna di luce sarebb

stata perduta per noi. Ah!… Parvati



giuoca doppia partita!… Che Indri siperda, sta bene, ma il diamante devecadere nelle nostre mani. Da quando

appartieni alla casa del rajah!

— Da tre settimane - rispose ilchitmudyar.

Hai saputo dove si trova la Montagna diuce?

— E chiusa in una cassa di ferro e si trovnel palazzo del rajah. Dhundia fece unasmorfia di malcontento.

Come farŕ Indri a prenderla? - mormorň Se gli uomini di Sitama che sono cosě

astuti, non sono riusciti, non so cosapotranno fare Toby e l’ex favorito del



guicowar.

Fece il giro della stanza, col capo chinosul petto, come fosse immerso in profondpensieri, poi tornando verso il

maggiordomo, disse:

Sei certo che nessun altro messaggierosia stato mandato da Parvati?

Abbiamo uomini in tutte le strade checonducono sull’altipiano e nessunopasserŕ.

Me ne sono accorto perché anche noiabbiamo incontrato due volte il nanek punthy.



— Lo so - rispose il maggiordomo,ridendo. - Mi ha raccontata l’avventuradei serpenti.

Hanno qualche sospetto su di lui.

Domani conquisterŕ la sua fama di

santone facendosi appendere all’albero,cosě nessuno dubiterŕ che sotto le vestid’un, fakiro si nasconde Sitama, il capodei dacoiti ed il ladro del Bundelhand.

E si lascerŕ lacerare le carni?

Ha la pelle dura quell’uomo, e la

Montagna di luce vale una tortura dipoche ore. Hai ordini da darmi, sahib?

Nessuno, per ora.



Buona notte.

l maggiordomo uscě senza far rumore,

mentre Dhundia si spogliava,mormorando:

Trovo che tutto va bene. Aspettiamo ora

che Indri s’impadronisca della Montagnadi luce, poi agiremo noi.

L’indomani Toby e Indri venivanosvegliati da un baccano assordante chefaceva rintronare tutte le vie della cittŕ.

L’hauk, l’enorme tamburo che non si puňsuonare che nelle grandi feste e che siadorna di penne di pavone e di ciuffi dicrini, rimbombava dinanzi al palazzo del



rajah, mentre nelle vie adiacentiecheggiavano le note acute dei baunch, deabri e dei bans;y, tutti istrumenti a fiato

rassomigliami a trombette ed alle nostrecornamuse, e le note metalliche e stridentdei tam tam, percossi furiosamente.

La festa del těrunol cominciava e lapopolazione accorreva da tutte le parti peprendere parte alla processione edassistere al sanguinoso e ributtante

spettacolo degli uncinati.

Giacché oggi non possiamo far nulla,andiamo a vedere la festa - disse Toby.

Con tutto questo fracasso, la tigre nonoserŕ avvicinarsi alle miniere.



E forse nemmeno questa sera - risposendri.

Noi perň andremo ad aspettarla, Indri.Mi preme mostrare il nostro coraggio e la

nostra premura al rajah, onde meglioguadagnare il suo animo.

Sahib - disse il maggiordomo,

accostandosi a Toby. - Vi sono statidestinati dei posti nei pressi della pagoda

Preferisco seguire la processione -

rispose l’ex sott’ufficiale. - Ringrazierainondimeno il rajah di questa suaattenzione.

Fecero colazione in fretta, poi lasciarono



l bungalow seguiti da Dhundia e dalcornac il quale li aveva attesi sullagradinata.

dintorni del palazzo dei rajah erano statinvasi da una folla enorme, accorsa non

solo da tutte le parti della cittŕ, bensě

anche dai villaggi sparsi sull’immensoaltipiano.

Soldati, minatori, ricchi, contadini e serv

si erano stipati attorno alla piazza,asciando nel mezzo uno spazio appena

sufficiente pel passaggio del carro e delleantenne sostenenti gli uncinati.

La processione, annunciata da un fracassoassordante di tam tam, di trombe, dicimbali, di tamburi e di campanelle di



bronzo, doveva aver giŕ lasciata lapagoda dedicata a Siva, al cui dio la festaera stata dedicata onde facesse cessare la

siccitŕ che minacciava di inaridire ipascoli dell’altipiano. Toby ed i suoicompagni, dopo essersi apertifaticosamente il passo fra la folla,

avevano potuto raggiungere una fontanasorretta da quattro teste d’elefante e saliresul parapetto, onde meglio dominare lospettacolo. Vi si trovavano da qualcheminuto, quando Indri, nel girare losguardo verso l’estremitŕ della piazza,s’accorse che un indiano di statura

gigantesca lo guardava, senza maistaccargli gli occhi di dosso.

Toby, conosci quell’uomo? - chiese

sottovoce al cacciatore, fingendo di



guardare altrove.

No - rispose l’inglese, il quale si era

pure accorto degli sguardi insistentidell’indiano.

E tu Dhundia?

Nemmeno io.

Sě direbbe che ci sorveglia.

Che sia qualche spia del rajah! - chieseToby.

A quale scopo dovrebbe farci seguire duno dei suoi agenti?

E se avesse saputo qualche cosa sul ver

scopo del nostro viaggio?



č impossibile - mormorň Indri, il qualeuttavia non aveva potuto frenare un

fremito.

Cercň nuovamente l’indiano che lo avevafissato con tanta ostinazione, maquell’uomo, accortosi forse di essere stat

notato, era scomparso fra la folla che sipigiava contro la fontana.

n quel momento la processione del tiruna

sbucava sull’ampia piazza per recarsinella pagoda maggiore della cittŕ, dove sidoveva collocare il dio.

Precedevano l’immenso corteo quattroenormi elefanti con gualdrappe di setarossa a frange d’oro, placche d’egualmetallo alla fronte e grandi cerchi



d’argento agli orecchi.

Sui loro poderosi dorsi reggevano le

mickdember, ossia piccole torri quadratesuperbamente dipinte e dorate, dove sirovavano i principi del sangue.

Seguivano poscia cinquanta cavalieri con

vesti sfarzose e armati di lance e discimitarre; poscia uno stormo di canceni di devadasě saltellanti, cariche di anelli edi braccialetti, coi lunghi capelli raccolti

n nodi intrecciati con fiori e con diamante corte gonnelle di seta a svariati colori.

Le prime sono danzatrici di professione,assai ricercate in tutta l’India e cheprendono parte a tutte le cerimoniereligiose come a tutte le feste. Le secondenvece sono fanciulle destinate alla



custodia dei templi, dove imparano adanzare ed a cantare.

Cantavano e saltellavano, facendovolteggiare i loro veli variopinti e leunghe fasce di seta, mentre attorno ad

esse, bande di musicanti suonavano

rombe, pifferi, cornamuse o percuotevanam tam e tamburi producendo un tal

fracasso da guastare i timpani piů solidi.Dietro veniva l’orda dei santoni, dei

fakiri, dei fanatici. Ve n’erano di tutte lespecie, gli uni piů ributtanti degli altri.Ecco gli orribili abt-hut, i fakiri chencutono maggior terrore e maggior

ammirazione fra le popolazioni, coi voltied i corpi atrocemente scarabocchiati eordi di sangue che usciva dalle ferite

fattesi; poi i ramanandy coi loro capelli



ordi di fango rossastro; poi i poron-hungse che hanno la pretesa di viveresenza mai mangiare né bere e che

gl’indiani onorano di ridicole cerimonie;ndi i saniassi, santoni pericolosi chespogliano volontieri i viandanti e chesaccheggiano i giardini. Erano quasi tutti

nudi, con barbe lunghe in forma di pizzoattortigliato, coi capelli scarmigliati, coicorpi tatuati o pitturati.

Ubriachi d’oppio e di bevande alcoolicheurlavano come belve feroci, sirapassavano le carni con aghi di rame, siagliuzzavano il petto con coltelli e con

spade, saltando, contorcendosi emandando schiuma dalla bocca.

Come sono ributtanti - disse Toby,



facendo un gesto di nausea.

Silenzio, amico - disse Indri. - Essi sono

santoni del popolo ed č un’imprudenzaparlare male di loro.

č vero; questi fanatici sarebbero capaci

di accopparmi e di gettarmi sotto le ruotedel carro. Hai veduto quel birbone difakiro che abbiamo incontrato lungo ilviaggio? Io l’ho cercato invano.

Non sono riuscito a scoprirlo, Toby.

Allora non era un vero fakiro.

Sospetto anch’io che non appartenessealla classe dei santoni.

La loro conversazione fu soffocata da un



fracasso infernale. Un’altra orchestra, piůnumerosa della prima, s’avanzava sullapiazza suonando e percuotendo gl’i

strumenti con vero furore.

Precedeva il carro, una macchinammensa, sorretta da dodici ruote e

contornata da sculture rappresentanti tuttee incarnazioni di Visnů, il dio

conservatore.

Su una specie di tabernacolo di pietra,utto ornato di fiori e di banderuole, stava’idolo rappresentato da un fanciullo

seduto su un piccolo pappagallo, con unurcasso sulle spalle, ed in mano un arco

di canna da zucchero ed una frecciacontornata di rose.



Un centinaio di santoni trascinavano, per mezzo di grosse funi, l’enorme macchina,a quale s’avanzava traballando e

scricchiolando. All’intorno numeroseguardie trattenevano i fanatici checercavano di gettarsi fra le ruote del carroper farsi stritolare. Tuttavia qualcuno

spariva sotto quella mole enorme,asciando sulla via polverosa larghe

chiazze di sangue e brandelli di carneorribilmente stritolati.

l baccano era diventato cosě acuto, cheToby era stato costretto a turarsi gliorecchi.

Anche la folla che si pigiava sulla piazzacome fosse stata presa da un improvvisoaccesso di delirio, urlava e si agitava



mentre gl’istrumenti musicaliraddoppiavano il frastuono.

Andiamocene - disse Toby. - Io ne hoabbastanza.

Sarebbe impossibile aprirci il passo -

rispose Indri.

Ho i timpani degli orecchi sfondati esono nauseato. Questa non č una

processione, č un macello.

Tu non hai ancora veduto le feste diScialembran e di lagrenat.

No, e non desidererei assistervi.

Ecco i carri degli uncinati - disse

Dhundia. - Quando saranno passati, la



folla si riverserŕ verso la pagoda e voipotrete andarvene, signor Toby. Quattrocarri massicci, in forma di torre

quadrangolare, posati su quattro ruotepiene e trascinati da altri fanatici,s’avanzavano verso la piazza, circondatida una folla delirante ed entusiasta.

Ognuno di quei veicoli sorreggevaun’armatura in legno, la quale sostenevaun’antenna lunga dodici metri e che

mediante funi si poteva abbassare odalzare a piacimento.

Ad ognuna delle estremitŕ, sotto unaspecie di baldacchino adorno di frange,s’agitava un indiano quasi nudo, armato dspada e di scudo, oppure con un saccocontenente dei mazzolini di fiori che



gettava al popolo. Quei disgraziati,vittime volontarie del loro fanatismo,erano sorretti da quattro uncini infilati

nelle parti piů carnose del dorso e da unacorda passata attorno al ventre, ondempedire che i muscoli si lacerassero

completamente.

Malgrado il dolore atroce che dovevanoprovare e la perdita di sangue, il quale adogni trabalzo dei carri spruzzava la folla,

non mostravano di soffrire troppo.

Agitavano solo nervosamente le gambe ee braccia, rispondendo con grida rauche

agli applausi frenetici della folla.

l primo carro era giŕ giunto presso lafontana, quando un grido sfuggě al



cacciatore.

Guarda, Indri!… Lo vedi?

Chi? - domandň l’ex favorito delguicowar, stupito.

Il fakiro che abbiamo incontratosull’altipiano!… - Dov’č?

— Lŕ, appeso alla prima antenna!…

— Allora era un vero fakiro - disse Indri

Lo riconosci?

Sě, Toby. Veniva qui per farsi uncinare.



Eppure…

Che cosa?

Ma č lui!… Ora che lo vedo senzaquella mezza barba, non m’inganno.

Spiegati. č anche l’uomo che mi ha mandati

addosso quei serpenti!… - esclamň Toby

Non t’inganni?

No, Indri: č lo stesso uomo!…

Se fosse stato una spia, non si sarebbefatto uncinare cosě crudelmente, Toby. -

on so cosa dire.



Forse l’incantatore di serpenti glirassomigliava.

Hum! Non ci vedo chiaro sotto questafaccenda.

Bandhara - disse Indri, volgendosi verso

l cornac che gli stava dietro.

Cosa vuoi, sahib? — chiese questi.

Segui quel fakiro e sorveglialoattentamente; mi hai compreso? - Sě,sahib

— Mi dirai dove abita e t’informerai sul

suo vero essere. Il cornac balzň giů dallafontana e scomparve fra la folla.

Bandhara non lo lascerŕ piů - disse

ndri.



E se il fakiro s’accorgesse di esseresorvegliato?

Non sfuggirebbe di certo al cornac,anche se dovesse uscire dalla cittŕ.Bandhara, oltre ad essere un abilissimocornac, non ha l’eguale per seguire una

pista.

— In mezzo a questa folla?…

Troverŕ egualmente le orme lasciate dalfakiro. Ti sembrerŕ strano, incredibile,

che in un paese secco come il nostro,dove i piedi d’un uomo non lasciano cheun’impronta impercettibile agli sguardipiů acuti, si possa rilevarla e seguirla,



eppure vi sono degli uomini che valgonomeglio dei cani.

Ne dubito, Indri.

Vedrai Bandhara alla prova.

Cosa facciamo ora? Seguiremo laprocessione?

Se non ti rincresce?

— Andiamo, Indri. Voglio rivedere ilfakiro.



LA CACCIA AL

FAKIRO

L’immenso corteo continuava la suamarcia attraverso le principali vie della

cittŕ con un frastuono crescente.

Anche la folla, eccitata da quella musicaassordante e dal fanatismo religioso,

univa le sua urla a quelle dei aleni, dellebajadere e dei sacerdoti, plaudendo senzaposa i quattro disgraziati che si agitavanoall’estremitŕ delle attenne, percuotendo gl

scudi colle spade e gettando fiori.

Toby ed i suoi compagni si erano messi incoda al corteo per non farsi schiacciare



dalla folla la quale si accalcava nelle viemeno larghe, travolgendo, senza farcicaso, donne e fanciulli.

Si direbbe che tutti questi uomini sonodiventati pazzi - disse Toby.

E per poco non lo divento anch’io -rispose Indri, sorridendo. - Č questamusica strepitosa ed incessante cheproduce questo effetto.

Infatti ho i nervi straordinariamenteeccitati. In quale stato saranno poi quellidegli uncinati?

Forse piů tranquilli dei tuoi.

Rimarranno molto appesi?



Finché i carri avranno fatto quattro voltel giro della pagoda.

Che tormento!… Domani non sarannopiů vivi.

Tutt’altro, Toby. Tu non puoi

mmaginarti quale resistenza abbiamo noindiani. Fra pochi giorni quegli uominisaranno guariti e pronti a ricominciare.

Lo fanno per fanatismo?

Qualche volta sě, non sempre perň.C’entra anche il guadagno.

Non ti comprendo, Indri.

Essi espiano sovente i peccati di

qualche ricco. Un uomo, supponiamo, fa



un voto, quello di farsi appendere allaprima festa del tirunal. All’ultimomomento gli manca il coraggio, ma non

osa rompere la promessa per paura dellacollera della sua divinitŕ. Cosa fa? Pagaun disgraziato qualunque perché prenda ilsuo posto.

— E lo trova sempre?

Vi sono tanti concorrenti che non ha che

da scegliere.

Mi stupisce che il governo inglesepermetta queste sanguinarie processioni.

— Se volesse impedirle, scatenerebbedelle sommosse religiose, le cuiconseguenze potrebbero essere funeste. Č



giŕ molto che sia riuscito a far sorvegliarecarri da guardie indiane per limitare il

numero di coloro che si fanno schiacciare

sotto le ruote. Pochi anni or sono in ognifesta non vi erano meno di due o trecentomorti. Si vedevano perfino delle donnegettarsi sotto i carri assieme ai loro figli.

Per andare piů presto nel paradiso diBrahma, č vero, Indri? - disse Toby, conaccento ironico.

L’ex favorito del guicowar crollň la testasenza rispondere, mentre invece Dhundia,che lo aveva udito, guardava il cacciatorecon occhi biechi. Il corteo intanto eragiunto presso la pagoda, girandolentorno. Gli uncinati, esausti dalla perdita

di sangue e vinti forse dall’insopportabile



ormento, avevano finito di agitarsi ependevano inerti all’estremitŕ delle lunghantenne. Solamente il fakiro di quando in

quando, con uno sforzo supremo, sicontorceva, facendo delle orribilismorfie.

La tensione della pelle del dorso deidisgraziati era visibilissima. Se la cinturanon li avesse sorretti, la carne si sarebbecertamente stracciata sotto le incessanti

scosse dei carri.

Toby e Indri e soprattutto Dhundia, nonperdevano di vista il fakiro. Quandovidero i carri arrestarsi dinanzi al tempioe le antenne abbassarsi per liberare gliuncinati dall’atroce supplizio, tentarono daprirsi il passo fra la folla. Fu perň una



fatica vana. Quando, dopo una mezz’ora,poterono giungere presso i carri, il dio egli uncinati erano stati condotti nel

empio.

Entriamo anche noi - disse Toby. - Forso ritroveremo.

— Tu non puoi seguirci - disse Indri. -Dimentichi che sei un europeo? La folla tifarebbe una cattiva accoglienza e forse

peggio. Lasciamo fare a Bandhara; nonascerŕ il fakiro.

— Allora torniamo al bungalow a fare i

nostri preparativi e mangiare un boccone.Si aprirono il passo fra le migliaiad’indiani che s’accalcavano intorno alempio, e quando si trovarono fuori,



s’accorsero di trovarsi soli. Dhundia erascomparso.

Dove sarŕ andato? — si chiese Toby,con qualche inquietudine.

Si sarŕ smarrito - rispose Indri.

O che abbia approfittato dell’occasioneper non venire con noi alla caccia delmangiatore d’uomini?

Dhundia non č pauroso. Ci raggiungerŕ

al bungalow.

Mentre tornavano verso il palazzo reale,ben contenti di non udire piů quel

frastuono, Dhundia si sforzava di giungere



nella pagoda. Era visibilmente inquieto.aveva udito l’ordine dato a Bandhara diseguire il fakiro, e conoscendo la

prodigiosa abilitŕ del cornac e anche lasua profonda affezione per Indri, nonaveva avuto che un solo pensiero: metteren guardia Sitama.

Approfittando della folla, era rimastondietro, lasciando che Toby e Indri

s’allontanassero, poi si era diretto piů

rapidamente che aveva potuto, verso lapagoda.

Forse Bandhara non ha ancora raggiuntoSitama - si era detto. - Se arrivo prima diui, il cornac perderŕ inutilmente il suoempo.



Con sforzi prodigiosi era riuscito agiungere sulla gradinata della pagodangombra di fakiri, i quali continuavano a

rapassarsi le carni con lunghi aghi e constili affilatissimi.

Dal tempio uscivano urla acute come se

dei fanciulli venissero tormentati e che iam tam, le trombe ed i cimbali non

riuscivano a soffocare. Era loscioglimento di voti fatti da inumani

genitori, una delle piů atroci cerimonieche destano orrore anche fra gli stessindiani, perché i torturati sono poveri

fanciulli.

piccoli martiri che devono scontare ipeccati dei padri o delle madri, durante lefeste del tirunal vengono condotti nella



pagoda, dove i sacerdoti cacciano nelleparti molli dei loro fianchi dei filimetallici assicurati a cordicelle. I parenti

prendono quelle corde e trascinano queimiseri attorno al tempio, una, due o trevolte, a seconda del voto fatto.

Dhundia, abituato a quell’atrocespettacolo, passň senza provare nessunfremito fra i fanciulli che venivanocondotti attorno alla pagoda fra suoni e

canti per soffocare i lamenti deimartirizzati, e si diresse verso un angolo,dove dei sacerdoti si erano attruppatidinanzi ad una mostruosa divinitŕ rappresentante Kall, la dea della morte edelle stragi.

Ogni pochi passi perň si arrestava,



guardando attentamente la folla che locircondava. Temeva di scorgere il voltodel cornac.

quattro uncinati, pallidi, esangui, colviso coperto da un sudore freddo, stavanoseduti su di un gradino, mentre alcuni

sacerdoti cercavano di riunire a loro lecarni orrendamente squarciate dagliarpioni. Sitama era fra costoro e pareva imeno sofferente di tutti. Quel briccone

doveva possedere indubbiamente unavolontŕ piů che straordinaria ed unaresistenza incredibile, per mostrarsi quaslare dopo l’atroce supplizio. Scorgendo

Dhundia, si era lentamente alzato,guardandolo fisso. Aveva compreso chequalche cosa di grave doveva essere

avvenuto, per andarlo a trovare perfino



nella pagoda.

Si gettň indosso un ampio dubgah di seta

gialla, regalo dei sacerdoti, si coperse ilcapo con un turbante, si aprě il passo fraa folla, stupita di tanta forza d’animo e

scomparve dietro le enormi colonne del

empio.

Dhundia lo aveva seguito, scivolandocautamente fra le persone che lo

circondavano, cogli sguardi sull’allerta,pronto a celarsi nel caso che avessencontrato il cornac.

on era ancora certo che quell’uomofosse riuscito a scoprire il fakiro, pure erutt’altro che tranquillo.



Una cosa perň lo confortava: cheBandhara non poteva aver avuto il temponé la comoditŕ di trasformarsi e che

quindi l’avrebbe subito riconosciuto.Sitama, certo di essere seguito, si erafermato dietro una colonna, poi si eradiretto verso una delle uscite della

pagoda, confondendosi fra la folla.Camminava perň adagio, sbirciandosempre Dhundia, né si rimetteva incammino se non quando era sicuro diessere stato veduto dal suo compare. Dipasso in passo giunse cosě nel bazar dipAannah, dove centinaia di giocolieri

nghiottivano spade, maneggiavano pesienormi o irritavano serpenti che facevanouscire dalle ceste col suono di certi flauti

Si fermň dinanzi ad un gruppo di persone



che stavano ammirando un incantatore diserpenti il quale scherzava con una mezzadozzina di cobra-capello e di serpenti

gulabi, poi si confuse fra di esse.

Chi lo avesse veduto, non avrebbe dicerto sospettato in Sitama il fakiro che

mezz’ora prima era stato staccatodall’antenna dopo un supplizio cosěatroce. Pareva un tranquillo indianontento a godersi quello spettacolo

pericoloso. Dhundia, fatto il giro deicuriosi per accertarsi che non vi eraBandhara, s’appressň a Sitama,mormorandogli all’orecchio:

Bada: t’hanno messo alle calcagna ilcornac di Bangavady. Il fakiro avevarasalito.



Mi ha giŕ scoperto? - chiese, senzavoltarsi.

— Non lo so, ma Bandhara ti troverŕ dicerto e non ti lascerŕ finché noi rimarremoqui.

L’hai veduto dietro di me? No.

— Puoi seguirmi?

Sě, per alcuni minuti.

č tornato al bungalow il cacciatore?

č anche Indri - rispose Dhundia. Vieni e ingannerň Bandhara - disse

Sitama.



Uscě dal circolo formato dai curiosi,attraversň parte del bazar e si fermň di

nanzi ad una tenda che s’appoggiava ad unpiccolo chiosco di legno, occupato daalcuni saltimbanchi e giocolieri.

Dhundia capě, da un segno fattogli, chedoveva aspettarlo in quel luogo, e simescolň fra gli spettatori ches’affollavano dinanzi al chiosco, dove

delle ragazzine, seminude, curvateall’indietro, stavano raccogliendo collepalpebre delle pagliuzze piantate a terra edei bottoni di metallo ai quali eranoappesi, con delle sottili cordicelle, deipezzetti di piombo.

Erano trascorsi appena dieci minuti,



quando Dhundia si sentě toccare le spalle

Si volse e si vide dinanzi un indiano che

aveva una lunga barba nera, il voltosolcato da striature nere e che portavasulle spalle una cesta formata di sottilibambů, nella quale era piantata una spada

Era accompagnato da un ragazzino di settod otto anni, quasi interamente nudo,magro come un chiodo e con due occhiett

nerissimi ed intelligenti, e da quattrouomini che portavano degli istrumentimusicali.

Cosa vuoi? - gli chiese Dhundia.

Non mi riconosci? - chiese l’indiano,sorridendo.



Sitama! - esclamň Dhundia, stupito.

Se tu non mi hai ravvisato, vuol dire che

o posso ingannare anche il cacciatore,ndri e fors’anche Bandhara.

La tua trasformazione č completa.

Allora andiamo al palazzo reale.

Perché avvicinarci al bungalow!

— Per far perdere le mie tracce.Bandhara non potrŕ supporre che un uomoche ha subito la sospensione, possa

aggirarsi lŕ dove il pericolo sarebbemaggiore. La folla č enorme sulla piazza e mie orme si perderanno piů facilmente E le tue ferite?



Mi ho fatto mettere sopra un cataplasmache noi soli sappiamo comporre e che mee rimarginerŕ presto.

Tu sei di ferro, Sitama.

O d’acciaio - rispose il fakiro,

sorridendo. - Andiamo: voglio mostrare acacciatore ed a Indri il giuoco della cestaSe non mi riconoscono, potrň seguirliancora e ridermi anche di Bandhara.

— Puň essere un’imprudenza.

Od un colpo di testa magistrale - rispose

Sitama. - Io ti precedo.

— E chi č questo fanciullo?

Uno dei nostri.



— E quegli uomini?

— dacoiti.

Sitama fece un gesto ai suonatori e si misn cammino traversando il bazar ingombro

di venditori di tappeti, di stoffe di seta, d

armi, di vesti e di centomila arnesidiversi, provenienti da tutte le provinciedell’Indostan. Dhundia gli si era messodietro, tenendosi perň a quindici o venti

passi. Si guardava sempre intorno,cercando di scoprire Bandhara, senzaperň riuscirvi.

Forse cerca Sitama nella pagoda o nellesue vicinanze - disse. - Avrŕ un bel dafare a trovarlo e forse perderŕ il suoempo inutilmente.



La folla che si accalcava in tutte le vie,ritardava il cammino al fakiro ed ai suoicompagni. Erano vere ondate di cittadini

di montanari dell’altipiano che sirovesciavano nelle vie a rischio di farsischiacciare dagli elefanti montati daiprincipi del sangue o calpestare dai

cavalli delle scorte. Il frastuono non eracessato, anzi tutt’altro, quantunque ormaia processione fosse terminata.

n tutte le piazze, in tutte le vie, sulleerrazze e nei cortili delle case, si udivan

rullare tamburi e tamburelli, suonareflauti, chiarine e trombe ed echeggiare iam tam; a urlare i fakiri giunti in grosse

bande da tutti i villaggi dell’altipiano, esfiatarsi i giocolieri.



Vi era di che perdere la testa e anche darimanere sordi per qualche settimana. Uneuropeo non avrebbe certamente potuto

resistere a lungo a quel frastuono cheriesce invece tanto gradito agl’indiani.

Quando, dopo una buona ora, Sitama ed i

suoi compagni giunsero sulla piazza,questa brulicava di cittadini e di soldatiper assistere alla sfida dei grandi dignitardi corte recantisi al tempio.

Passavano mostruosi elefanti copertid’oro, di gualdrappe frangiate e adorne dipietre preziose; splendidi destrierimontati dalle guardie del rajah epalanchini scintillanti d’oro portati darobusti montanari indossanti vesti sfarzoscon nastri azzurri, rossi e gialli.



Splendidi specialmente i gioJeder, ossia palanchini dei ricchi, coperti di stoffevariopinte ricamate in seta ed oro coi

bastoni argentati che terminavano con unaesta di tigre e sorretti da indiani d’altastatura e seguiti dai servi che tenevano altgli sciata, ossia ombrelli di ricca stoffa

con frange, ed il manico d’argentocesellato.

Sitama fendette la folla e andň a fermarsi

sotto il bungalow abitato da Toby e dandri, facendo cenno ai suoi compagni di

disporsi all’ingiro e di cominciare lamusica.

Dhundia intanto era entrato con passofrettoloso, fěngendosi trafelato ednquieto.



Dov’č il cacciatore? - aveva chiesto aiservi, accorsi alla battuta del tam tamappeso alla porta.

č qui, sahib - disse il maggiordomo. - Taspetta da un’ora, ed essendo inquieto pera tua assenza, ha mandato i suoi due serv

a cercarti.

Entrato nella saletta pianterrena, trovňToby e Indri seduti a tavola, dinanzi ad unvaso colmo di birra e ad un pudding didimensioni mostruose che il rajah aveva

oro mandato onde festeggiasserodegnamente il tirunal.

Dove sei stato finora? - chiese Indri,



vedendolo entrare. - č giŕ un’ora che tiaspettiamo.

Ed č anche un’ora che io vi cerco -rispose Dhundia.

E da qual parte? - chiese Toby, con un

ieve accento ironico, perché non credevaaffatto che l’indiano si fosse realmentesmarrito.

Dalla parte del tempio - chiese Dhundia Supponevo che vi foste recati colŕ per

rivedere quel fakiro.

— L’hai ritrovato? - chiese Indri.

No: quando io entrai non vi era piů nellapagoda. Mi hanno detto che l’avevano

portato via quasi morente.



Morisse davvero - disse Toby. - Io sonocerto che quello era uno spione.

E di chi spione? - chiese Dhundia.

— Di qualcuno che ha interesse a perderendri — rispose Toby, guardandolo fisso.

Puň darsi - rispose Dhundia, con voceranquilla.

Hai veduto Bandhara? - chiese Indri.o.

Avrŕ seguito il fakiro - disse Toby. -

Cosě sapremo se morrŕ o vivrŕ.

Anche se vivesse, ne avrŕ per parecchiesettimane - osservň Dhundia.



Quell’uomo, ammesso che fosse unaspia, per ora non ci darŕ alcun impiccio.Toby stava per tagliare il pudding, quand

un concerto strepitoso echeggiň propriosotto le finestre del bungalow.

Chi viene ad importunarci? - chiese

Toby. - Ho giŕ gli orecchi sfondati. In quemomento entrň il maggiordomo dicendo:

Sahib, un povero indiano desidera

mostrare al famoso cacciatore il giuocodella cesta, uno dei piů straordinarispettacoli che si possano vedere inpannah.

Che vada al diavolo!…

č un povero uomo, sahib.



— E non conviene ad un europeorimandarlo - aggiunse Dhundia. - Sidirebbe che il gran cacciatore č un avaro.

Non inimichiamoci questa gente, Toby -disse Indri. - D’altronde non ti rincrescervedere questo giuoco che č uno dei piů

strabilianti.

l cacciatore, a cui premeva non guastarsicogli abitanti della cittŕ, si arrese alle

osservazioni dei due indiani e si affacciňalla veranda che circondava il bungalow.

Molta gente si era radunata dinanzi alla

palazzina, formando un semicerchio che dmomento in momento s’ingrossava. Sedutsui gradini del bungalow, tre indianistavano eseguendo un terzetto monotono



con delle sumae, specie di chiarine chedanno dei suoni aspri, mentre un quarto liaccompagnava con Pumi, istrumento

consistente in una noce di cocco aperta,fornita d’un bastone e d’una corda e che ssuona con un archetto che per lo piů čcarico d’ornamenti.

Sitama, ormai irriconoscibile, avevadeposta in terra la cesta sulla quale stavaseduto il fanciullo in attitudine

angosciosa.

l fakiro fingeva di essere in preda ad unaccesso di furore e agitava la spadafacendola scintillare sulla testa delfanciullo e pronunciando minacce.

Cosa fa quell’uomo? - chiese Toby. -



Vuole ammazzare quel ragazzo? Udendoa voce del cacciatore, Sitama aveva

alzata la testa e lo aveva salutato con un

profondo inchino.

Sta’ attento - disse Indri, il quale, al pardi Toby, non aveva riconosciuto il fakiro

Quell’uomo ti mostrerŕ un giuocostupefacente e che tu non hai mai veduto.

Conosco l’abilitŕ veramente

straordinaria dei giocolieri indiani -rispose Toby.

Sitama aveva intanto cominciato a correre

attorno alla cesta, minacciando esfiorando il fanciullo colla lama affilatadella sua spada, mentre i suonatoriprecipitavano la musica.



Ad un tratto il ragazzo sollevňbruscamente il coperchio e scomparve nepaniere come se avesse voluto sfuggire ai

colpi di Sitama. Subito i quattro suonatorabbandonati i loro strumenti, si eranogettati sulla cesta pestandola in modo daridurla una vera focaccia, quindi estratti i

oro coltelli, l’attraversarono in tutti isensi.

Per alcuni istanti si udirono dei lamenti

strazianti mandati dal fanciullo, il qualepareva, o almeno era da supporsi, chefosse stato crivellato, poi piů nulla.

Ma dov’č fuggito il ragazzo? - chieseToby, stupito. - Nella cesta non ci deveessere piů.



T’inganni - rispose Indri. - Ve ancora.

č impossibile! Il paniere poteva a

malapena contenerlo, mentre ora č tuttoschiacciato.

Guarda e te ne persuaderai.

suonatori avevano ripresi i lorostrumenti, intonando una marcia

selvaggia. Un momento dopo una voce ch

pareva venisse di molto lontano, si feceudire: era quella del fanciullo. Toby, alcolmo dello stupore, guardň Indri.

č incredibile! - esclamň.

La voce diventava sempre piů distintacome si avvicinasse, mentre la cesta a



poco a poco si rigonfiava, riprendendo laforma primiera.

Ad un tratto s’aprě ed il fanciullo balzňfuori. I coltelli non lo avevano nem

meno toccato perché il suo corpo,

nteramente nudo, non presentava lamenoma scalfittura.

Vi era dentro? - chiese Indri, ridendo.

Questo giuoco č stupefacente! - esclamňToby, lanciando verso il fanciullo unamanata di rupie. - Come si spiega?

Solo quel giocoliere potrebbe dirlo, manon lo rivelerebbe a nessun prezzo. č unsegreto che non. si vende.1



Sitama, raccolte le rupie e fatto un nuovonchino, si era allontanato coi suoi uomin

ed il fanciullo.

Ormai era certo di non essere statoriconosciuto e si sentiva in grado disfidare anche Bandhara.

L MANGIATORE D’UOMINI

Quattro ore dopo, un po’ prima del

ramonto, mentre la folla si rovesciavanuovamente nella piazza dove le bajaderentrecciavano le loro danze e

gl’incantatori di serpenti radunavano i

oro rettili per distribuire loro i recipient



di latte regalati dal rajah, Toby ed i suoicompagni lasciavano il bungalow per recarsi ad esplorare il terreno battuto dal

mangiatore d’uomini. Volevano cercare uposto adatto per preparare l’imboscata eanche vedere le trappole preparate daalcuni coraggiosi indiani che poi non

avevano piů visitate per paura di veniredivorati dalla terribile fiera.

l rajah aveva messo a loro disposizione

una splendida ruth, carro monumentale,veramente originario dell’India,nteramente coperto, con portiere riparate

da grate di bambů sottilissime e tirato daquattro buoi grossissimi e bianchissimiche avevano le corna dorate, anelli pured’oro al naso, e gli zoccoli e la coda

dipinti in rosso.



Sono vetture riservate ai ricchi ed aigrandi dignitari, quantunque siano cosěncomode da renderlo insopportabili agli

europei.

Quattro sikkari, ossia battitori dei boschi,giŕ abituati alle cacce di quei pericolosi

felini e che conoscevano a menadito idintorni delle miniere, dovevano scortarled aiutarli nella pericolosa impresa.

Probabilmente, con tutto questo baccanoa bŕg non avrŕ lasciato il suo

nascondiglio - disse Toby, mentre il carrocigolando e trabbalzando si dirige nota: 1Questo giuoco, veramente meraviglioso,che i soli indiani sanno fare, non č statospiegato da nessun europeo.



va verso i sobborghi della cittŕ. - Tuttavianon č da fidarsi di quelle vecchie tigri.Quando meno si crede, piombano

addosso.

Non l’aspetteremo questa notte? - chiesendri. - Quando saremo giunti sul luogo,

vedremo. Hai fatto condurre una capra?

Ve ne sono due legate dietro il ruth -disse Dhundia.

Possiamo tentare l’agguato nella fossa.

O su un palco - disse Indri. - č forse da

preferirsi se il luogo sarŕ boscoso.

Decideremo dopo - rispose Toby.

Di passo in passo che il pesante carro



s’allontanava dal centro della cittŕ, le urlaed i suoni diventavano sempre piů fiochi.

sobborghi erano deserti, perché tutti ioro abitanti si erano rovesciati sullepiazze a godersi gli spettacoli notturni.

Un silenzio quasi assoluto regnava al di lŕdella cinta, rotto appena dai muggiti deiquattro buoi e dallo stridere delle ruote.

Cominciavano i terreni diamantiferi, iquali si estendono fino presso la cittŕ,allontanandosi poi verso il centrodell’immenso altipiano e lungo i penděi

orientali.

l terreno era tutto traforato e coperto quae lŕ di monticeli! di ciottoli e di cespi



enormi di gelsomini allora in fiore, i qualespandevano acuti profumi. Delle tettoievastissime e delle capanne, disposte senz

ordine, a capriccio dei minatori,s’alzavano qua e lŕ intorno agli scavi,mentre nel centro giganteggiava una noriaa quale perň ora non girava piů.

Le miniere di Pannah sono le piů anticheche si conoscano, come sono pure le piůcelebri, ricavandosi da esse diamanti

d’una tale purezza da superare quelli delBrasile e anche quelli del Transwaal.

La zona diamantifera attraversa antichierreni d’alluvione divisi in strati

orizzontali sovrapposti, formati per lo piůda detriti di gneiss e di carbonati e chehanno in media uno spessore di tredici o



quattordici metri. Si estende per circarenta chilometri verso il nord-est di

Pannah, formando i centri minerari di

Myra, di Etawa, di Kamarya, di Brispur edi Baraghari, e produce diamanti chehanno degli splendori meravigliosi chevariano dal bianco puro al nero con tutte

e gradazioni intermedie del rosa, delgiallo e del verde bruno.

Vorrei possedere tutte le ricchezze che

si nascondono sotto questi terreni disseToby, il quale aveva alzate le grate dibambů per meglio osservare il campodiamantifero. - Se questi strati siavorassero con sistemi piů moderni,

darebbero delle raccolte favolose, mentrenvece questi minatori usano dei

procedimenti che sono affatto primitivi e



che non sono stati variati da secoli esecoli.

Tuttavia il rajah deve ricavare dellegrosse somme - disse Indri.

La rendita annua di queste miniere sicalcola a due milioni, ma chi puň direquanti diamanti vengono rubati sia dai

avoratori che dai sorveglianti? Anzi ilrajah ne č tanto convinto, che ha fissato lustesso il reddito di questi campidiamantiferi per non venire derubato del

utto.

E se la raccolta dei diamanti fosseminore della somma fissata da lui? -



chiese Indri.

Tanto peggio pei direttori, perché se non

viene raggiunta, prende tre o quattro dicostoro e li fa decapitare.

Un sistema molto spiccio.

Che da perň risultati meravigliosi, -rispose Toby, - perché i due milionifěssati dal rajah vengono versati

puntualmente e ti assicuro che neavanzano anche ai direttori. Infatti sonoutti ricchissimi.

Sono grossi i diamanti che si scavano inqueste miniere?

Il peso medio di essi non eccede

generalmente i sei carati; tuttavia se ne



sono trovati anche di quelli di sessanta,settanta e anche ottanta.

E se ne mandano in Europa?

No, rimangono tutti in India.

Pure mi nano detto che anche in Europasi vendono diamanti di Pannah.

— E vero, Indri - disse Toby. - Invece

sono diamanti brasiliani che vengonomandati qui e che poi sono spediti innghilterra ed in Olanda con etichettendiane.

Ed č qui che č stata trovata la Montagnadi luce? - chiese Dhundia.

Sě, in questi terreni - rispose il



cacciatore. - č una istoria curiosa quelladel Kohinoor, come viene chiamato quelfamoso diamante.

l minatore che la trovň non era giŕ unminchione. Accortosi che quel diamantepoteva valere dei milioni, invece di

consegnarlo subito ai sorveglianti, pensňdi appropriarselo, certo di avere nellemani la fortuna d’un rajah. ŤLa cosa perňnon era facile, perché, come voi saprete,

quando i minatori escono dai pozzi,vengono frugati minuziosamente.

nghiottirlo non era possibile, essendoroppo grosso, e poi se i sorveglianti se n

fossero accorti, lo avrebbero subitocondotto nella fossa in attesa che tornassead uscire d’altra via.



Cosa fa l’astuto minatore? Con un sanguefreddo ed un coraggio straordinario, siproduce in una coscia una orribile ferita

usando la scure che teneva in mano,nasconde nella carne viva il diamante e sifascia con un fazzoletto. Vedendolo cosěmalamente conciato, i guardiani non si

sognano nemmeno di frugarlo e loasciano tornare a casa perché si curi.

Due settimane dopo il diamante, che

pesava duecento e novantanove carati eche perciň valeva dei milioni, venivavenduto per centomila lire. Stava per venire asportato da Pannah, quando unagente del rajah fermň il possessore,obbligandolo a venderlo. Cosě č ritornatonelle casse del principe, il quale lo tiene

gelosamente nascosto per tema che gli



venga rubato.ť

E che noi gli riprenderemo - disse Indri

sottovoce. - Quanto viene stimato?

Due milioni di lire.

Posso pagare questa cifra senza andaren rovina - disse Indri.

Anche se tu la raddoppiassi, il rajah la

rifiuterebbe, perché quel diamante č per ui un talismano prezioso.

Ne farŕ a meno e si prenderŕ i due

milioni che io gli rimetterň quandoavremo in nostra mano il Kohinoor.

Io non gli darei piů nulla - disse

Dhundia.



Indri non č un ladro - rispose l’exfavorito del guicowar, con accentosevero.

Mentre il cacciatore ed i due indianichiacchieravano, il ruth continuava adnoltrarsi attraverso i campi diamantiferi,

completamente abbandonati dopo lacomparsa del terribile mangiatored’uomini.

Ormai la cittŕ era lontana e non sidistinguevano quasi piů i suoi lumi. Ognirumore poi erasi assolutamente spento.

L’altipiano, fino allora poco alberato, sicopriva d’una folta vegetazione, essendoquel luogo ancora vergine. I minatori nonerano giunti fino a quel luogo e le piante



non erano state abbattute.

Macchioni di tamarindi enormi si

succedevano assieme a gruppi di bambůalti dodici o quindici metri e di splendidiauri. Erano quelli i dominii del

mangiatore d’uomini.

l carro, giunto sul margine d’una distesadi bambů e di erbe giganti, si eraarrestato.

Sahib - disse il capo degli sikkari,accostandosi allo sportello. - Non sarebbprudente avanzarsi di piů col ruth. La bŕg

frequenta queste macchie.

Toby prese la sua carabina e le munizionie balzň a terra seguito da Indri e da



Dhundia.

Un bel luogo per imboscarsi - disse,

dopo d’aver girato lo sguardo intorno.

La tigre non poteva trovare un postomigliore per nascondersi.

Ci fermiamo qui? - chiese Indri.

Pianteremo il nostro campo. - E poi?

Ci inoltreremo fra queste macchie eandremo a cercare un luogo adatto per costruire il palco.

Vuoi aspettare la tigre questa notte?

Giacché siamo qui e la notte č chiara,

approfittiamone. Non sempre le tigri



asciano i loro covi e mi č accadutosovente di attendere una di quelle belveparecchi giorni.

Allora approfittiamo di questa mezz’ora

di luce per preparare l’agguato - dissendri. - La costruzione del palco nonrichiederŕ che pochi minuti. Lasciaronodue sikkari a guardia del carro, si

fornirono di viveri, e guidati dagli altridue che portavano delle scuri e dellecorde, entrarono fra le macchie. Non siesponevano pel momento ad alcunpericolo, perché difficilmente le tigriasciano i loro covi prima del tramonto

del sole. Le loro stragi non le compionoche di notte, avendo bisogno delle tenebre



per piombare inosservate sulle prede. Aduecento passi dal carro, cominciava lavera foresta, formata da ammassi di

bambů, da piccoli tek, da bananifoltissimi, da sandali rossi, da alberigommiferi e da banian smisurati, i cuirami, curvandosi verso il suolo e

piantandosi in terra, formavano altrettantironchi pronti a procreare nuove piante.

Che luogo selvaggio - disse Indri. -

emmeno a Baroda ho veduto selve simila questa.

— č una delle piů belle dell’altipiano, -rispose Toby, - e anche una delle piůpericolose, perché non sono le sole tigri



ad abitarla.

— Dove costruiremo il palco?

Vedo lŕ uno spiazzo che ci servirŕ ameraviglia. Vi č un banian che con la suaombra ci nasconderŕ agli sguardi della

bŕg.

— Siamo sufficientemente lontanidall’accampamento? Tu sai che le vecchi

igri sono molto prudenti e che evitanocon gran cura i fuochi accesi attorno agliattendamenti.

Abbiamo percorso giŕ un chilometro ebasterŕ.

Avevano raggiunto lo spiazzo dove

desideravano alzare il palco. Era una



piccola radura circondata da tamarindi eda banani, e quasi nel centro si estendevaun banian che da solo formava una

minuscola foresta. Scelto il luogo, glisikkari si misero subito al lavoro per preparare il palco, il quale consiste in unsemplice piattaforma formata di rami,

sorretta da quattro grossi bambů di cinqueo sei metri, altezza sufficiente per tenere icacciatori fuori di portata dagli slanci diquelle pericolose fiere.

gli sikkari, che sono abilissimi in talegenere di costruzioni, abbatteronoparecchi bambů grossi quanto la cosciad’un uomo e d’una resistenza incredibile,quindi recisero una certa quantitŕ di ramidi tamarindo assai flessibili e perciň

facile ad intrecciarsi. Aiutati anche da



Toby e dai suoi compagni, in meno diun’ora la piattaforma fu innalzata eassicurata con solide corde. Era larga tre

metri, lunga quattro e alta cinque metri.Gli sikkari si provarono a scrollarla efurono soddisfatti della sua soliditŕ.

Presso i margini furono ammassati deirami per meglio nascondere i cacciatori,poi la capra che avevano condotta fuattaccata ad uno dei tronchi del banian, lŕ

dove l’ombra era piů folta, onde la tigrenon potesse subito scorgerla e portarlavia.

Ritornate al campo e non muovetevi finoa domani mattina - disse Toby agli



sikkari. - Se udite degli spari, nonnquietatevi.

Buona fortuna, sahib - risposero i duendiani, prendendo i loro fucili e le loroscuri. - All’alba saremo qui.

Pochi istanti dopo scomparironofrettolosamente sotto le piante, bencontenti forse di tornarseneall’accampamento, sotto la protezione dei

fuochi giŕ accesi dai loro compagni.

Toby, fatto prima il giro del banian,raggiunse Indri e Dhundia, i quali si erano

giŕ inerpicati sul palco aiutandosi con unbambů, su cui erano state fatte delleprofonde incisioni per appoggiarvi ipiedi.



Ceniamo, innanzi a tutto - disse ilcacciatore. - L’uomo a digiuno non ha ilpolso fermo.

E si batte male - aggiunse Indri.

Purché la tigre non venga ad

nterromperla per reclamare la sua parte -disse Dhundia, il quale non seppe frenareun brivido a quel pensiero.

— Avremo il tempo necessario per mangiare e anche di fare delle pipate -rispose Toby. - Non verrŕ a trovarci cosěpresto.

n un canestro avevano messo un’anitrabramina arrostita, dei pasticci di riso,alcune bottiglie di birra ed una di gin.



Si accomodarono nel centro dellapiattaforma, dove i rami e le traverse dibambů erano piů solide, e si misero a

mangiare, tranquilli come si trovasseronon giŕ in mezzo al dominio delmangiatore d’uomini, bensě nel salotto debungalow. Solamente Dhundia non pareva

affatto rassicurato e di quando in quandos’irterrompeva per guardare verso ilbanian, in direzione della capra. La lunantanto era sorta e versava sulla foresta i

suoi raggi azzurrini, facendo scintillare leucide canne dei bambů.

Fra le macchie non si udiva il piů lieverumore, regnando dovunque una calmacompleta. Le gigantesche foglie dei banansi mantenevano rigide, mancando il piů

debole soffio di vento, ed i pennacchi



delle gigantesche canne conservavanopure una immobilitŕ assoluta.

Che calura - disse Indri. - Si direbbe chn questa foresta non vi č né un caneselvaggio, né uno sciacallo, néun’antilope.

La tigre probabilmente li avrŕ distrutti -disse Dhundia.

Questo silenzio produce una certampressione.

č infatti una notte tranquilla - disse

Toby, accendendo la pipa. - Mi ricordaun’altra sera eguale, terminataragicamente per me e per uno dei miei

piů coraggiosi sikkari. Porto ancora sul



dorso le tracce d’un superbo colpod’artiglio e che per poco non mifracassava la spina dorsale.

Ricevuto da una tigre? - chiese Indri.

Sě, e da una bŕg admikanevaěla, come

quella che aspettiamo - rispose Toby,

gettando in aria una nuvola di fumoazzurrognolo e profumato. - Che notteemozionante, miei cari!… E stata unadelle piů tremende provate in tanti anni di

caccia.

Racconta, Toby - disse Indri. - Il tempopasserŕ piů presto.



Non č una istoria troppo incoraggianteper uomini che aspettano una delle piůformidabili fiere - rispose Toby, ridendo

Puň impressionare sfavorevolmente.

Non sono alle mie prime cacce, tu lo sai

Allora ascoltatemi.

Prima di cominciare si alzň guardando inutte le direzioni, poi sturň la bottiglia del

gin, dicendo:

Finché la capra tace, non abbiamo nullada temere. Forse la bŕg non si č ancora

decisa a lasciare il suo covo.

Vuotň un bicchierino, indi riprese,sdraiandosi fra i due indiani:



L’avventura che sto per raccontarvi nonč recente, perché č avvenuta circa quattroanni or sono.

ŤIn quell’epoca mi trovavo ancora nelBengala e facevo frequenti escursioni allafoce del Gange, dove le tigri sono

numerose quanto gli sciacalli chenfestano il Malabar.

ŤEro sbarcato su una di quelle isole

accompagnato da un valente sikkari chemi aveva accompagnato anche nelle miecorse attraverso l’India centrale, quandoalcuni indigeni che mi conoscevano,vennero ad avvertirmi che una tigre ad’mkaanevcHěa aveva attraversato il fiumeJor, divorando dei fanciulli ed una donnaŤAvevano anzi aggiunto che si trattava di



una femmina e che era seguita da ungiovane tigrotto non piů grosso d’un gatto

ŤDesideravo da molto tempo di poter possedere una piccola tigre per ammaestrarla; l’occasione era quindipropizia per procurarmela, uccidendo

prima la madre.

ŤMi feci indicare il posto frequentatodalla bŕg e andai ad imboscarmi

accompagnato dal mio fedele siWcari.

ŤVoi giŕ sapete che una admikanevatta čuna tigre che ormai ha assaggiata la carne

umana e che non cercherŕ altro che vittima due gambe. ŤOrdinariamente sonobestie piuttosto vecchie, le quali, nonpossedendo piů l’agilitŕ necessaria per



assalire di slancio gli animali,s’imboscano su un sentiero aspettando’uomo o la donna.

ŤMa sapete pure che sono anche le piůpericolose e le piů audaci, osandospingersi perfino nei villaggi per rapire le

persone che commettono l’imprudenza diaddormentarsi fuori dalle loro capanne.ť

vero - disse Indri. - Nessun pericolo le

rattiene, pur di procurarsi della carneumana.

In quell’epoca avevo giŕ uccise molte

igri e mi ero convinto da lunga pezza chesimili cacce non erano poi cosěpericolose per un cacciatore dotato d’uncerto sangue freddo e sicuro dei propri



colpi.

Ed infatti le tigri, se non temono

’indigeno, il quale ordinariamente čsempre male armato, cercano quasisempre di evitare l’uomo bianco perchésanno che possiede un fucile che non

sempre fallisce.

ŤRaggiunto il sentiero frequentato dallaadrnikanevaJěa, non tardai a scoprire le

orme del feroce animale. Esse sidirigevano verso un foltissimo macchionedi bambů tolda, in mezzo alle cui canneavevo giŕ osservato numerosi ossami.ŤL’aria in quel luogo era impregnata daun nauseante odore di carne corrotta,segno evidente che lŕ dentro dovevarovarsi il covo della belva. ŤIspezionato



l terreno, rimandai al loro villaggiogl’indigeni che mi avevano guidato, iquali mi sarebbero stati piů d’impaccio

che di utilitŕ, e mi nascosi, col miosiWcari, dietro il tronco d’un enormeatania.

ŤLa notte era calata, una notte oscuracome la gola d’un camino, essendosi ilcielo coperto di fitte nuvole.

ŤDai fangosi canali che solcavano quelleerre sature d’acqua, e dove imputridivancadaveri degl’indiani abbandonati alla

corrente del Gange per evitare le spesedella cremazione, si alzava una nebbiapesante, carica di esalazioni pestifere, dicholera e di febbri.



Non udivo altro rumore che il sordogracchiare dei marabů, i qualibanchettavano sulle rive dei canali,

rimpinzandosi della carne dei morti.ŤCominciavo ad annoiarmi ed a provareanche i primi brividi della febbre, quandol mio siWcari, che stava sdraiato presso

di me, mi sussurrň all’orecchio: Ť“La bŕgviene”.

l mio uomo era nato fra quei pantani,

asilo delle tigri, e non poteva ingannarsi.Mi alzai lentamente sulle ginocchia,sperando di veder la fiera ad uscire daimacchioni di bambů invece non scorsi, néudii nulla. Ť“Rimanete qui, sahib” midisse l’indiano. “Vado a scovarla.”ŤPrese il suo fucile e s’allontanň

strisciando come un serpente. Dopo pochi



stanti era scomparso.

Passarono alcuni minuti d’angosciosa

attesa per me. Si puň essere coraggiosi,nondimeno vi sono certi momenti nellavita in cui si provano mille paure. ŤTuttod’un tratto il silenzio della notte fu rotto

da una fragorosa detonazione. Era lacarabina del mio sikkari: l’avrei distintafra cento altre. ŤStavo per muovermi,quando udii il mio uomo a urlare: ŤSahib

La tigre!”

Mi ero appena alzato. Un grido strazianteerribile, era giunto ai miei orecchi: era u

grido di morte.

Pallido, coi capelli irti, col cuore serratocome da una morsa di ferro, mi slanciai



verso il luogo donde era echeggiato.

Giunto sull’orlo d’una radura, vidi unascena che non dimenticherň piů mai. Ilmio sikkari giaceva al suolo e una grossa

igre, dopo d’avergli squarciato il ventre,aveva cacciato il muso tra le fumantiviscere del disgraziato. Puntai lacarabina, un fucile a due colpi che non

aveva mai mancato, e premetti il grillettoLa carica non partě.

Stavo per far scattare il secondo, quando

a fiera, con un balzo improvviso, mipiombň addosso cadendo dietro di me.

Provai un dolore atroce, come se la spina



dorsale mi fosse stata strappata tutta d’uncolpo, eppure non perdetti il mio sanguefreddo. Voltarmi, scaricare il secondo

colpo del mio fucile e fracassare il musodella fiera, fu un solo momento.

Era appena caduta, quando stramazzai

anch’io, perdendo i sensi. Quando tornain me, mi trovavo nella capanna del capo

del villaggio. I suoi uomini mi avevanoraccolto, quasi svenato, a due passi dal

cadavere della tigre, colle mani ancorastrette attorno al mio fucile.

Lottai un mese fra la vita e la morte, equando potei lasciare il mio giaciglio,vidi dinanzi a me il tigrotto chegl’indigeni avevano trovato presso lamadre, mentre stava succhiandole il



sangue che le usciva dalla ferita.ť

Ed il tuo sikkari? - chiese Indri.

Quando gl’indiani lo trovarono, nonostante l’orribile squarcio che gli avevamesso a nudo gl’intestini, viveva ancora.

Aveva avuto la forza di chiedere: Ť“BŕgmahryayaF (la tigre č morta?)

Poi aveva chiusi gli occhi e si eraaggomitolato su se stesso, mandando unultimo sospiro. Il disgraziato era morto.ť

Ed il tigrotto? - chiese Dhundia.

Toby stava per rispondere, quando lacapra, legata ad uno dei tronchi del

banian, mandň un belato.



— La bŕgl - esclamň il cacciatore. -Silenzio!…

Anche Indri era diventato pallido.



UN DOPPIO

ASSALTO

Toby, armata la carabina, si era alzatosenza far scricchiolare i rami che

formavano il palco e aveva lanciato unosguardo indagatore in direzione delbanian. Una nube, passando sotto la luna,aveva intercettata la luce, rendendo piů

cupa l’ombra proiettata dall’enormepianta e poteva darsi che la tigre avesseapprofittato di quella maggior oscuritŕ peaccostarsi inosservata alla disgraziatacapra.

essun rumore perň turbava il silenzioche regnava nella piccola radura. Non si



udiva nessun ramo a scricchiolare, néscrosciare le foglie secche accumulatesifra gli innumerevoli tronchi del banian.

Aveva la capra fiutata la tigre, oppure siera spaventata di quell’isolamento a cuinon era forse abituata?

Soffiando un debolissimo venticello dallaparte del banian, Toby fiutň piů volte’aria. Se la bŕg si trovava sopravvento, i

suo acuto odore di selvatico dovevagiungere fino alla piattaforma.

Deve essere stato un falso allarme -

disse finalmente Toby. - Non vedo nulla.

Che la tigre sia ancora nel suo covo? -chiese Indri.



č impossibile saperlo. Estrasse’orologio e guardň.

Sono le undici - disse. - Forse č ancoraroppo presto.

Stette alcuni minuti in ascolto,

conservando una immobilitŕ assoluta, poipienamente rassicurato, si riadagiň.

La capra non aveva piů belato, anzi si era

coricata fra le erbe che crescevanontorno al banian. Toby si riempě il

bicchiere di gin e lo vuotň d’un fiato.

č eccellente per combattere l’umiditŕ della notte - disse.

Hai annegata la piccola tigre in fondo al

bicchiere? - chiese Indri.



Ah! Me l’ero scordata! - disse Toby,ridendo.

Suppongo che l’avrai mandata araggiungere la madre.

Al contrario - rispose il cacciatore. - Vi

avevo detto che mi ero fětto in capo diammaestrare una di quelle sanguinosefiere.

E ci sei riuscito?

Ahimč, no! Anzi per poco il figlio nonammazzava l’uccisore della madre. Oh!…

E aggiungo anche che senza il miosangue freddo a quest’ora io non sarei piůqui a raccontarvi queste avventure - disse

Toby. - Avevo adottato l’orfanello con la



convinzione di farne una bestiadocilissima, anzi per riuscirvi meglio,avevo soppresso interamente la carne nei

suoi pasti.

o credevo in buona fede che con unregime quasi vegetariano, si dovesse

spogliare del tutto dei suoi istintisanguinari.

l piccino crebbe infatti mansueto e anche

prosperoso, ma dopo un anno me lo vidideperire. Diventava magro, brutto, ed ilsuo pelame non presentava quelle superbeinte che si ammirano nelle tigri delleungle, anzi aveva qua e lŕ dei vuoti come

se la tigna lo avesse devastato.ť

Il nutrimento che gli somministravi non



si adattava coi suoi istinti né al suoorganismo - disse Indri.

Ed era vero, - rispose Toby, - perchéavendo cominciato a offrire alla mia tigredella carne, prima cucinata e poi cruda,s’ingrassň presto ed il suo pelame divenn

splendido.

Si mantenne tuttavia sempre docile.Gradiva le mie carezze, non dimostrava

alcuna ferocia, e mi seguiva nelle miepasseggiate né piů né meno d’uncagnolino.

Un giorno perň i suoi istinti sanguinari simanifestarono tutto d’un colpo.ŤCacciando un’antilope, avevo ricevutoun colpo di corna in un braccio che mi



aveva prodotta una profonda ferita.

Tornato nel mio bungalow, la medicai in

presenza della tigre. Quando ebbi levatee bende ed il sangue scorse, con sorpresae anche con inquietudine vidi la belvadigrignare i denti, raggrinzare il muso e

fiutare a piů riprese. I suoi occhi poimandavano baleni poco rassicuranti.

M’accorsi subito che non dovevo piů

fidarmi completamente di essa, pure vollimetterla alla prova.

Levai nuovamente le bende e porsi il

braccio alla tigre. ŤQuesta dapprima miguardň lungamente: esitava, poi gl’istintisanguinari vinsero i suoi scrupoli e mi siappressň camminando obliquamente,



finché afferrň il mio braccio.

La sua lingua ruvida succhiava

avidamente il sangue, con feroce voluttŕ edalla sua gola uscivano ad intervalli deicupi rantoli.

Dopo pochi istanti provai una fortepressione: gli acuti denti della belvacominciavano a stringere.ť

Quale imprudenza! - esclamarono Indri Dhundia.

Non era un’imprudenza, bensě la mia

salvezza perché se non avessi fattoquell’esperimento, una notte o l’altraquella belva, dimenticando lariconoscenza che mi doveva, si sarebbe



scagliata sul mio letto e mi avrebbedivorato.

E come hai fatto a sbarazzarti da quellastretta? - chiese Indri.

Avevo preso la precauzione di mettermi

n tasca una rivoltella. Tenendo sempregli sguardi fissi in quelli della fiera per distogliere la sua attenzione, levai adagioadagio l’arma e gliela appoggiai in un

orecchio, scaricando due colpi. La tigreera caduta fulminata ed io ve lo assicuro,ero sfuggito miracolosamente ad unamorte certa.

Hai avuto un sangue freddo piů chestraordinario - disse Indri.



Si trattava di salvare la pelle - risposeToby. - E poi il cacciatore si eranterrotto bruscamente.

Fra il profondo silenzio che regnava nellaforesta era improvvisamente, echeggiato,sinistro e pauroso, l’urlo rauco del

mangiatore d’uomini: a-o-ung.’

La capra, atterrita, vi aveva risposto conun belato tremolante che pareva un lungogemito.

due indiani ed il cacciatore si eranoguardati in viso. Perfino Toby, nell’udirecosě improvvisamente quell’urlorisuonare fra le tenebre, non era riuscito a



frenare un brivido ed era diventatoeggermente pallido.

Si č annunciato - disse. - Č il momentodi non perdere la calma e di fare appelloa tutto il nostro coraggio. Quel mangiatored’uomini ci ha fiutati e la nostra carne lo

enta.

Fece segno ai suoi compagni d’armare lecarabine, scostň i rami che circondavano

a piattaforma, e guardň verso il banian.

La tigre non aveva piů fatto udire il suourlo. Accortasi senza dubbio della

presenza dei cacciatori, era diventataprudente.

Perň Toby era certo di vederla in breve a



comparire. Forse in quel momento stavaspiandoli nascosta fra le folti macchie,per accertarsi del numero dei suoi nemici

prima di assalirli.

La vedi - chiese Indri, sottovoce.

No - rispose Toby.

Che sia molto lontana?

L’urlo č echeggiato vicino. Non dovevarovarsi a piů di tre o quattrocento passi.

Da qual parte verrŕ?

Chi puň saperlo? Forse in questomomento sta girando silenziosamententorno alla radura. Le admikanevolla,

sono astutissime e prima di assalire



cercano il posto migliore e misuranoanche la distanza. Voi non fatevi vedere eenetevi sdraiati sulla piattaforma. Se

s’accorge che siamo in buon numero,probabilmente non si avvicinerŕ.

Che si slanci sul palco? - chiese

Dhundia, i cui denti battevano gli unicontro gli altri.

Lo tenterŕ - rispose Toby.

Che giunga quassů?

Non puň arrivarci; le admikanevalla

sono quasi sempre vecchie e nonpossiedono molto slancio.

La capra aveva mandato un altro belato.

La povera bestia si era alzata e tirava la



corda tentando di spezzarla per fuggireattraverso la foresta. Passarono alcuniminuti d’angosciosa attesa pei tre

cacciatori. La bŕg non si mostrava,nondimeno Toby era piů che certo chestava avvicinandosi, strisciando fra le alterbe che coprivano la radura.

Deve essere molto furba - disse Toby, iquale cominciava ad inquietarsi.

Che non si decida a mostrarsi?

Aveva appena dette quelle parole quandodinanzi a lui, nel mezzo d’un enormegruppo di banani selvaggi, s’udě ancora’urlo della fiera. Quasi nell’istesso



momento un altro urlo echeggiava piůontano, in direzione opposta. Toby aveva

fatto un gesto di stupore.

By-God.’… - esclamň. - Sono due imangiatori d’uomini.’…

Hai udito? - chiese Indri.

Sě - rispose Toby.

Gl’indiani di pannah ed i minatori sierano dunque ingannati credendo chelestragi fossero opera d’una sola bŕg.

Due! - esclamň Dhundia, mentre sisentiva la fronte bagnarsi di sudore.

Qualcuno di noi lascerŕ qui le sue ossa.



Ci sbarazzeremo prima dell’una poidell’altra - disse Toby, risolutamente. Ledue tigri si chiamavano, ma erano ancora

ontane. Probabilmente volevano riunirsiprima di assalire i cacciatori.

Ad un tratto le loro rauche urla cessarono

ed un profondo silenzio regnň nella radure nelle macchie circostanti.

Che si siano incontrate? - chiese Indri.

Non lo so - rispose Toby. - E…silenzio!…

Aveva udito le foglie dei banani ascrosciare come se la belva cercassed’aprirsi il passo.

tre cacciatori s’erano inginocchiati,



enendo i fucili puntati verso la macchia.

S’avanza! - chiese Indri, con

apprensione.

Sě, e appena si mostra le farň fuocoaddosso - rispose Toby.

l cacciatore aveva alzata la carabina,pronto a scaricarla appena la tigre si fossmostrata.

Ad un tratto, proprio sotto la piattaformasi udě un rauco brontolěo.

Sir Toby! - esclamň Dhundia. - Abbiamuna tigre sotto di noi!

L’avete veduta attraversare la radura?

o.



Allora deve essere quella checredevamo ancora lontana.

Di certo - disse Indri. - Quellamboscata fra i banani non si č ancoramossa.

La faccenda diventa seria - disse Toby. Frenate i vostri nervi e badate a nonmancare ai colpi. Giuochiamo la vita.

Stava per curvarsi sull’orlo dellapiattaforma e fucilare la belva, quandoudě la capra a mandare un belatostrozzato, poi un rumore che pareva

prodotto dal frangersi di ossami.

La tigre ha uccisa la capra - balbettňDhundia.



Che se la prenda ora con noi? - chiesendri.

Tu e Dhundia, occupatevi della tigre chesi trova imboscata dinanzi a noi disse,Toby. - Io cercherň di sbarazzarci diquesta.

Si era alzato per spingersi dalla parteopposta della piattaforma, quando laeggera costruzione oscillň fortemente,

scricchiolando.

La tigre tenta di salire! - gridň Toby. -Attenti all’altra!… Calma e sangue

freddo!

bambů continuavano a oscillare e lapiattaforma subiva tali scosse da temere



che si sfasciasse.

Era forse stata costruita troppo

frettolosamente dagli sikkari e reggeva amalapena il peso di quei tre uomini. Se sifosse aggiunto anche quello della tigre, viera il pericolo che cadesse.

Toby, a quel pensiero, si sentě correre pecorpo un brivido. Pure non disse nulla penon spaventare i compagni giŕ abbastanza

mpressionati dalla minaccia d’un doppioassalto e s’inginocchiň presso l’orlo delpalco, cercando di distinguere la tigre cheaveva uccisa la capra. La belvas’accaniva contro i bambů, tentando diabbatterli. Non avendo uno slanciosufficiente per giungere fino allapiattaforma, cercava di far crollare il



eggero edifizio assieme agli uomini.

Le scosse continuavano e di quando in

quando si udivano dei colpi secchi comese i bambů venissero stritolati daiformidabili denti dell’animale.

Toby! - esclamň Indri. - Mi pare che isostegni della piattaforma cedano.

E se cadiamo verremo divorati - disse

Dhundia, con terrore.

Tacete… badate all’altra… - risposeToby. - La vedo!

Si era spinto piů che mezzo fuori dallapiattaforma, tenendosi con una manoaggrappato all’orlo.



A pochi passi, in cima ad una traversa,stava la tigre. Era una bestia enorme dallamuscolatura potente e dalla groppa

robusta, una delle piů grosse e delle piůsplendide tigri reali che Toby avesseveduto fino allora. Aveva afferrato fra lemascelle uno dei bambů di sostegno e

stava per stritolalo.

Vedendo il cacciatore s’alzň sullaraversa, e mandň una nota rauca, mentre

l suo corpo si contraeva per prendere loslancio.

Aspetta! - gridň Toby, ritirandosiprontamente. - Ora ti accomodo io! Scostň

rami che formavano la piattaforma efatto un buco, introdusse la carabina.



La tigre perň lo prevenne. Accortasi dellamanovra del cacciatore, con un balzorepentino aveva lasciata la traversa e si

era aggrappata al margine dellapiattaforma.

La sua testa comparve a due passi da

ndri, soffiandogli in viso un alito caldo efetente. Dhundia si era gettato indietrogridando:

La tigre!… Fuggite!…

ndri aveva puntata la carabina, mentreToby, sorpreso da quella improvvisa

comparsa della fiera, non aveva avutoancora il tempo di ritirare la sua cheaveva passata attraverso il buco.



Uno sparo rimbombň: l’indiano avevafatto fuoco a bruciapelo. La tigre, colpitadi certo, ma forse non gravemente, era

capitombolata a terra mandando un urlorauco, poi con uno slancio incredibile, siera scagliata nuovamente attraverso i paliatterrandone uno.

Quasi nell’istesso momento anche laseconda tigre usciva dalla macchia fra laquale si era fino allora tenuta

prudentemente nascosta. Attraversň laradura colla velocitŕ d’una freccia eapprofittando del panico che aveva invas

cacciatori, a sua volta si scagliň controa piattaforma. Toby non se n’era

nemmeno accorto.

Se ne avvide solamente quando giŕ



’animale aveva raggiunto il compagnoche il leggero edificio si fasciava.

Non abbandonate le armi! - ebbe appenal tempo di gridare.

La piattaforma dapprima s’inchinň, poi

cadde con fracasso, trascinando secouomini e tigri.

due indiani avevano mandato un urlo di

errore. - Toby!… Siamo morti!…

l cacciatore, anche in quel terribilemomento, non aveva perduto il suo sangue

freddo.

Appena a terra, quantunque ancorantontito dalla caduta, si era prontamente

rialzato colla carabina in mano, gettandos



dinanzi ai suoi compagni. Le due tigristavano per scagliarsi di comune accordosu quel gruppo umano. Toby mirň la piů

vicina e fece fuoco.

La belva fece un salto in ariacontorcendosi disperatamente e ricadde

fulminata. L’altra, con un balzogigantesco, passň sopra i tre cacciatori escomparve attraverso le erbe della radura

Tuoni! - esclamň il bravo cacciatore,asciugandosi il sudore che gli irrigava lafronte. - Non avevo mai veduto la mortecosě vicina!

n quel momento si dimenticava del colpod’artiglio ricevuto nelle Sunderbunds.ndri si era pure alzato, tenendo la



carabina impugnata per la canna. - Morta?chiese.

Ed a tempo - rispose Toby, con vocecommossa. - E l’altra?

- Fuggita.

L’indiano prese la destra del cacciatore egliela strinse energicamente.

Ti dobbiamo la vita - disse.

Un altro avrebbe fatto né piů né meno diquello che feci io.

Non lo so, Toby.

Che momento terribile - disse Dhundia,

alzandosi lentamente. - Credevo di



sentirmi giŕ dilaniare le carni.

Se fosse stato pel vostro concorso, non

sareste forse ancora vivo - disse Toby,con ironia. - Siete un po’ impressionabilemio caro.

Confesso che dopo il capitombolo avevperduta la testa - rispose l’indiano.

E anche prima - disse Indri. Dhundia si

morse le labbra e non rispose.

Vediamo se quella che ho ucciso č laprima o la seconda - disse Toby. - Dove

’avevi ferita tu?

Alla spalla - rispose Indri.

S’avvicinarono alla tigre e la



esaminarono alla luce della luna.

č quella che tu avevi ferita - disse Toby

Ha una spalla fracassata ed il cranio inpezzi.

Allora quella che č fuggita č ancora

ncolume?

Sě, Indri.

Che ritorni?

Questa notte? Non aspettiamola, Indri;perderemmo il nostro tempo senza alcun

profitto. Ci darŕ molto da fare per ucciderla, te lo assicuro. Ormai ha capitoche noi siamo persone pericolose e siguarderŕ bene dall’avvicinarci. -

Lasciatela andare - disse Dhundia. - Il



rajah aveva promesso le diecimila rupie achi uccideva il mangiatore d’uomini e voio avete freddato. Il premio dunque

’avete vinto.

Questo č vero, - rispose Toby, - ma iovoglio essere onesto e non lascerň questa

boscaglia, finché non avrň abbattuto anch’altro. Il rajah ci sarŕ doppiamente

riconoscente e… m’intendi tu, Indri?

Sě, Toby, e condivido la tua idea -rispose l’ex favorito del guicowar diBaroda. - Noi sfrutteremo quellariconoscenza.

Orsů, fabbrichiamo una barella eritorniamo all’accampamento. Questanotte non si puň fare nulla.



Coi bambů della piattaforma e con alcunirami improvvisarono un palanchino, vimisero sopra la tigre e dopo aver

ricaricate le carabine, si misero incammino, procedendo lentamente in causadel peso non lieve dell’animale.

L SECONDO MANGIATORED’UOMINI

Quando giunsero al campo, i fuochi

ardevano ancora intorno al ruth ed ai buoie gli sikkari, assai inquieti per laprolungata assenza dei cacciatori edallarmati da quei due colpi di carabina,



vegliavano coi fucili alla mano. Vedendocacciatori tornare col mangiatore

d’uomini morto, fu una vera esplo

sione di gioia, giacché quella terribilefiera che aveva divorato tante vittime, erastata ritenuta invincibile da tutti gl’indian

di pannah. G li sikkari si erano precipitatsulla belva coprendola d’ingiurie eminacciandola. Ora che era morta sisentivano l’audacia di affrontarla.

Lasciatela in pace - disse Toby. - Nonmangia piů nessuno ora, quindi poteteserbare per altra volta il vostro coraggio.Č inutile che le guastiate la pelle. Avendoperň udito parlare d’un altro mangiatored’uomini, quei valorosi si sentironopiegare le gambe e tutta la loro audacia



sfumň d’un colpo solo.

on era prudente insolentire sulla morta

mentre viveva ancora la sua compagna.

Un’altra! - avevano esclamato,mpallidendo. - L’avete proprio veduta

sahib.

Coi nostri occhi - rispose Toby. -essuno aveva sospettato che le tigri

fossero due invece d’una?

No, sahib - rispose il capo degli sikkari Si credeva che fosse una sola!…

Allora guadagneremo doppio premio.

Volete uccidere anche l’altra?



Abbiamo promesso di sbarazzarvi deimangiatori d’uomini che impediscono ilavoro delle miniere e manterremo la

parola.

Che coraggio! - esclamň il capo deglisikkari guardando con ammirazione i

cacciatori. - Vi faremo preparareun’entrata trionfale in pannah.

Lasciate i trionfi e le entrate e

preparateci i letti. -Sono pronti, sahib.

Nel carro? - chiese Indri. - Sě, sahib.

Andiamo a dormire - disse Toby. -Domani andremo a visitare le trappole eda cercare un nuovo posto per preparare ilsecondo agguato.



E non ci assalirŕ la.compagna dellamorta? - chiese lo sikkari con vocemalferma.

Se la vedi comparire, prendi il tuo fucile uccidila - rispose Toby, ironicamente. -Voi giŕ non avete paura, lo diceste poco f

dinanzi alla tigre morta. Entrarono nelcarro dove gli sikkari avevano distesi deimaterassini ed i tre cacciatoris’addormentarono, mentre gl’indiani, piů

spaventati che mai, raddoppiavano ifuochi per tener lontano il compagno delerribile mangiatore d’uomini.

Per loro fortuna la seconda tigre non osňmostrarsi, sicché la notte trascorse senzaallarmi.



Solamente verso il mattino ci fu unconcerto inoffensivo, offerto da una bandadi sciacalli che terminň subito col levarsi

del sole.

Quando Toby ed i suoi compagni sisvegliarono, gli sikkari avevano giŕ

scuoiata la tigre e la sua superba pellestava seccandosi, stesa su quattro bambů,onde impedirle d’accartocciarsi. -Splendida - disse Indri. - Non ne ho mai

veduto una di cosě bella.

Era un animale magnifico - risposeToby, non senza compiacenza. - Farŕ unabellissima figura nelle sale del rajah.

La regaleremo a lui?



Diecimila rupie valgono bene questapelle - disse il cacciatore. - Ha il dirittod’averla.

Se l’altra č cosě bella, la manderemo alguicowar.

Non l’abbiamo ancora, Indri - disseToby, ridendo.

Tu non te la lascerai sfuggire. - Se

potessimo scoprire il suo covo!

Andresti a scovarla?

Preparerei l’agguato nelle sue vicinanze

Con un altro palco?

No, Indri; l’aspetteremo nella buca. Sarŕ



diventata diffidente e non oserŕ piůavvicinarsi ad una piattaforma. Le tigrisono piů furbe di quello che tu t’immagini

e non si lasciano ingannare due volte.

Se preparassimo delle trappole?

Hum! I mangiatori d’uomini non sononovellini per lasciarsi cogliere. Glisikkari mi hanno detto che ne sono statepreparate tre o quattro in questa foresta e

nessuna tigre vi č caduta dentro.

Andiamo a visitarle, Toby; non si samai. La tigre, fuggendo, puň essere caduta

n una di quelle buche.

Sě, dopo colazione perlustreremo ilbosco anche per cercare un luogo adatto



per l’agguato.

Gli sikkari, che avevano ricevuto

dall’amministratore del rajah abbondantiprovvigioni onde i cacciatori nonmancassero di nulla, avevano preparatosollecitamente il pasto aggiungendovi dei

banani profumati, che avevano raccoltonella foresta e degli ananassi di grossezzanverosimile e di sapore squisito. Toby esuoi compagni, ai quali l’appetito non

faceva difetto, specialmente conquell’aria fresca, che spirava suquell’immenso altipiano cinto damontagne elevate, gustarono assai lacolazione, fatta all’ombra d’un maestosoamarindo.

Erano le dieci quando s’alzarono per fare



a progettata escursione nella foresta. Ilcapo degli sikkari si era offerto diaccompagnarli, sapendo dove erano state

scavate e preparate le trappole.

Spero che, non avrai paura - gli disseToby, celiando.

Con voi, no, sahib - rispose l’indiano. -Se la bŕg si mostra sono certo che’ucciderete.

Grazie dell’augurio.

Raccomandarono agl’indiani che

rimanevano all’accampamento di non per

mettere ai buoi di allontanarsi troppo,quindi si misero in cammino, tenendo



e carabine sotto il braccio.

La loro prima visita fu alla radura,

volendo accertarsi se la tigre era tornataper

divorare la capra uccisa dalla sua

compagna.

Quando vi giunsero, della povera bestianon rimanevano che poche ossa e dei

pezzi di pelle.

Toby esaminň il terreno per vedere se vi

erano tracce di sciacalli, cosa facilissimaa constatarsi essendo il suolo umido, manon ne scorse.

L’ha divorata la tigre - disse. - Quella



bestia possiede un’audacia incredibile.Un’altra, non sarebbe tornata.

Se scavassimo la buca qui potremmorivederla - disse Indri.

Preferisco scegliere un altro luogo -

rispose Toby. - E poi questa radura čroppo scoperta.

Che la bŕg si tenga sempre imboscata in

questi dintorni?

č possibile, Indri.

Se battessimo le macchie?

Non si lascerebbe sorprendere digiorno. Sono animali poco amanti della

uce, perň non inquietarti. Noi la



uccideremo e forse piů presto di quantocredi. Fecero il giro della radura, erientrarono nella foresta, la quale

diventava sempre piů folta.

Vi era una, trappola in quelle vicinanze,preparata alcune settimane prima dai

cacciatori del rajah e volevano visitarla,quantunque fossero piů che certi dirovarla vuota.

Lo sikkari, che conosceva la foresta, liguidň attraverso un sentieruzzo aperto frafolti cespugli che s’alzavano parecchimetri, arrestandosi poi dinanzi ad unaspecie di gabbia seminascosta fra le erbeche in quel luogo erano di dimensionigigantesche.



č vuota - disse. - Ne ero certo.

Quelle tigri sono troppo astute per

asciarsi prendere - rispose Toby. - Nonci vuole che del piombo.

Quella trappola non era una delle solite

usate dagl’indiani delle pianure, i quali siimitano a scavare delle fosseprofondissime, munendo il fondo con paliaguzzi e coprendole con sottili canne

cosparse di terra e di zolle erbose. Eramolto piů ingegnosa e costruita in mododa poter prendere la tigre viva.Consisteva in una gabbia robustissima, diegno pesante, col coperchio sorretto da

una fune legata ad un ramo elasticissimod’un tamarindo. Dentro vi avevanocollocato il cadavere d’un’antilope ormai



n piena corruzione e sul fondo unospecchio, in parte nascosto da ramid’albero. Le belve, attirate dall’odor

della carne, ordinariamente vi sintroducono senza troppe esitazioni, mavedendo riflessa la loro immagine nellospecchio e

credendo che un’altra loro compagnavoglia disputare la preda, vi si scaglianocontro urtando la corda.

l coperchio, pesantissimo, si abbassabruscamente e rimangono prigioniere. Ledue admikanevalla perň, non si eranoasciate ingannare e la trappola era

rimasta ancora vuota.

L’avevo detto io, che erano troppo furbe



per lasciarsi cogliere - disse Toby.

Questo posto perň mi sembra addatto pe

preparare l’imboscata. L’odore, cheramanda quella carogna, deve aver attirato piů volte le due tigri.

Scaveremo qui la buca? - chiese Indri.

Sě - rispose Toby. - Vedo intorno a noidelle macchie che sembrano siano sorte

appositamente per offrire un rifugio allabŕg.

E sospetto che il suo covo non sia

ontano, sahib - disse lo sikkari. — Checosa te lo fa supporre? - chiese Toby.

Scostatevi dalla gabbia e fiutate l’aria.



Sento un acre odore di carne corrottache deriva da quella carogna.

No, sahib, viene da quel macchione dibambů che si prolunga dinanzi a noi.Anche lŕ vi č della carne chemputridisce.

Lo sikkari non s’inganna - disse Indri. -I vento soffia da quella parte ed č saturo

di esalazioni pestifere.

Che vi sia l’ossario del mangiatored’uomini? - chiese Toby.

Allora vi sarŕ anche il covo della belva disse Dhundia.

Vuoi che andiamo a visitare quella

macchia? - chiese Indri.



No - rispose Toby. - La tigre potrebbeaccorgersi che noi abbiamo trovato il suorifugio e andarsene altrove per cercarne

uno piů sicuro. Ora che sa di quanto siamcapaci, deve essere diventata piůdiffidente, di questo sono certo.

Allora prepariamo l’agguato qui?

Sě Indri, e questa sera verremo adoccuparlo.

l battitore aveva portato con sé unazappa, e due badili onde preparare labuca nel luogo scelto dal cacciatore. Si

mise quindi subito all’opera, aiutato daDhundia.

Si trattava di scavare una fossa profonda



due metri e larga tanto da permettere aicacciatori di caricare comodamente learmi e di potersi muovere senza impaccio

quindi di coprirla con un ammasso di rame di foglie. Mentre Toby e Indrisorvegliavano la macchia, non essendomprobabile che la tigre vi si trovasse, lo

sikkari e Dhundia, lavorando con lena, inmeno di due ore prepararono l’agguato.

Copertola con rami e con alcune foglie di

banano e dispersa la terra scavata ondemeglio ingannare la tigre, raggiunsero idue cacciatori.

č fatto - disse Dhundia.

Torniamo all’accampamento - risposeToby. - Non dobbiamo allarmare la fiera.



Riattraversarono la foresta, passando frasplendigli gruppi di borassi dallemmense foglie distese a ventaglio e di

arecche dai tronchi alti piů di venti metri,ncoronati da ampi fasci di foglie lungheparecchi piedi, e rientrarononell’accampamento verso il mezzodě,

quando il sole, giŕ ardentissimo, potevarendere pericolosa una marcia piůprolungata.

Durante la giornata un maggiordomo delrajah, accompagnato da una scorta didieci sikkari bene armati, si presentň alcampo per chiedere notizie del cacciatorebianco.

l rajah, avvertito che Toby non avevafatto piů ritorno alla capitale ed ignorand



che avesse cominciata la caccia allaerribile belva, lo aveva mandato a

cercare al di lŕ delle miniere.

Apprendendo il felice esito di quellaprima battuta, il maggiordomo rimasentontito.

— Ah!… Questi inglesi!… - esclamň. -on hanno paura di nessuno e uccidono

sempre!… Il rajah sarŕ lietissimo di

questo successo insperato.

Anzi porterete a lui la pelle - disseToby.- Noi la regaliamo a Sua Altezza.

E quando ucciderete l’altra?

Ci proveremo questa sera.



Nessuno finora aveva sospettato che imangiatori d’uomini fossero due - disse ilmaggiordomo. - Se riuscirete a uccidere

anche l’altro, il rajah aggiungerŕ unpremio alla somma fissata.

E noi lo guadagneremo - rispose. Toby,

sorridendo. - Ah! Mi dimenticavo dichiedervi una cosa che m’interessa.

Quale, sahib?

č tornato al bungalow; il nostro cornac?

Non č qui con voi? - chiese il

maggiordomo, stupito.

L’avevamo lasciato a Pannah.

— Non č stato piů riveduto.



Toby e Indri si guardarono connquietudine.

Che sia ancora sulle tracce del fakiro? -chiese il cacciatore.

O che quell’uomo misterioso, accortosi

di essere seguito, l’abbia invece fattoassassinare? Tutto č possibile in questopaese infestato dai dacoiti.

— Io non sono tranquillo, Indri.

E nemmeno io.Toby.

E sono impaziente di tornare a Pannah.on vedo chiaro in questa faccendamisteriosa.

Pensi qualche brutta sorpresa da parte



dei miei nemici?

Sě, Indri. Parvati č capace di tutto e ho i

sospetto che quel fakiro sia uno dei suoimessi.

Ma a quest’ora avrebbero avvertito ilrajah delle nostre intenzioni.

Questo č vero, tuttavia io vorrei aver erminata ogni cosa e trovarmi ben lontanda qui. Indri, afrrettiamoci; sento per stinto che un grave pericolo ci minaccia.

Appena uccisa la tigre, agiremo subito.

Trattennero a pranzo il maggiordomo e gl

siWcari che lo scortavano, poi due ore



prima del tramonto lo congedarono,affidandogli la pelle del primo mangiatord’uomini.

Toby ed i suoi compagni fecero subito ioro preparativi per la caccia notturna.

Cambiarono le cariche alle carabine, si

provvidero d’alcune coperte per combattere l’umiditŕ della notte e dialcune bottiglie di birra e appena sorta launa lasciarono l’accampamento per

recarsi nella buca.

essun sikkari l’accompagnava, nonavendo in quegli uomini alcuna fiducia,anzi avevano loro ordinato di non lasciar’accampamento, volendo agire da soli.

Conoscendo ormai la foresta, raggiunseron breve la piccola radura, quindi la buca



scavata a cinquanta passi dalla trappola.

Avendo condotto con loro un’altra capra,

a legarono al tronco d’un giovanearecche che sorgeva isolato a trenta mettidalla buca.

Ecco un’altra destinata a farsi stritolareda quell’insaziabile fiera - disse Toby.

Spero perň di vendicarne la sua morte.

Stesero le coperte in fondo allo scavo; visi coricarono sopra, quindi accumularonosu alcuni bambů i rami e le foglie che

avevano tagliato al mattino, in modo che lcoprissero interamente.

Vi raccomando di non sprecare

nutilmente i vostri colpi - disse Toby. -



Mirate con calma e non fate fuoco se nonquando siete certi di colpire. Se lasbagliamo, la tigre non tornerŕ piů e ci

farŕ perdere molte notti o forsenutilmente. Lo dico specialmente a voi,Dhundia.

Non farň fuoco che a bruciapelo -rispose l’indiano.

Le carabine in mano e armiamoci di

pazienza.

L’ultimo raggio di sole era scomparso dauna mezz’ora e le tenebre s’erano

addensate rapidamente sotto i boschi.

l silenzio a poco a poco tornava admperare. Le grida scordate dei



pappagalli erano cessate e solo udivasi ileggero stormire dei bambů giganti, moss

da una fresca brezzolina che veniva dalle

alte montagne del settentrione. Unaeggera nebbia s’alzava lentamente,deponendosi sui rami degli alberi erasformandosi poscia in goccioline che

cadevamo, con un crepitěo monotono,sulle foglie dei cespugli sottostanti.

tre cacciatori, immobili come statue, coi

volti appoggiati contro i rami ed i bambůche li coprivano, e colle dita appoggiatesul grilletto delle carabine, tenevano glisguardi fissi sul macchione, nel cui mezzosupponevano si trovasse il covo dellafiera.

essuno fiatava. Solamente la capra,



conscia del pericolo, belavaamentosamente, girando intorno al tronco

dell’arecche finché glielo permetteva la

unghezza della corda.

Era trascorsa una mezz’ora e la luna eragiŕ salita in cielo, quando il bosco, fino

allora deserto e silenzioso, parve che sirisvegliasse.

Si cominciavano a udire in mezzo ai

bambů ed ai cespugli dei rumori strani,dei misteriosi fruscěi, dei rauchibrontolěi, dei soffi e come dei gemiti amalapena soffocati, mentre delle ombrendistinte passavano fra i tronchi.

Vi deve essere qualche sorgente inquesti dintorni - mormorň Toby. - Gli



animali vanno a dissetarsi.

Passň dapprima, a pochi passi dalla buca

una coppia di ascis, graziose ednoffensive antilopi somiglianti ai nostridaini, col pelame fulvo picchiettato dibianco; poi s’avanzarono, con infinite

precauzioni, sospettose e guardinghe,alcune nilgň, altra varietŕ d’antilopi chehanno la corporatura d’un cervo, formeagili, il mantello grigio azzurro e la testa

armata, di due corna aguzze.

Poco dopo i cacciatori videro uscire dauna macchia una coppia di quelle piccolepantere chiamate dagl’indiani tate,graziosissime, molto sanguinarie eppurefacili ad addomesticarsi, adoperandosicon buon successo nelle cacce. Erano



seguite a breve distanza da una piccolaruppa di biglwma, specie di lupi, alti piů

di mezzo metro, col pelame rosso bruno o

rosso grigiastro, animali coraggiosi chenon temono di assalire anche le personequando sono spinti dalla fame.

rumori aumentavano sempre, perché altranimali s’avanzavano attraverso i folticespugli, tuttavia i cacciatori non udivanoancora quella specie di rauco miagolěo

che le tigri mandano quando lasciano laoro tana. La fiera non aveva forse ancoraasciato il suo nascondiglio per mettersi i

cerca di prede.

Si fa aspettare - disse Indri.

Verrŕ - rispose Toby. - Questa parte



della foresta č molto frequentata dalleantilopi e la tigre non mancherŕ discegliere la sua preda o meglio le sue

prede, perché non si accontenta mai d’unasola. Si direbbe che sono state createsolamente per distruggere e dotata d’unfuror cieco che mai si acquieta. Se qui vi

sono tanti animali, la bŕg verrŕ a fare lesue stragi.

Mi rincrescerebbe che non si mostrasse

— Ti dico che domani faremo la nostraentrata trionfale in Pannah. Era trascorsaun’altra ora in vana attesa, quando Toby,che aveva scostati un po’ i rami per respirare una boccata d’aria piů pura, uděun sordo mugolěo che veniva dalla partedella trappola.



Attenti, amici - disse. - Mi pare che laigre abbia lasciato il suo rifugio. - Girňa testa e guardň verso la trappola. La

nebbia si era dileguata e la lunalluminava splendidamente quel lembodella foresta. Un animale che si fossemostrato fuori dalle macchie, non sarebbe

certamente sfuggito agli sguardi delcacciatore.

— Non la vedo ancora, ma la sento -

disse Toby. - L’aria č impregnatadall’odore di selvatico.

— Che sia imboscata? - chiese Indri. -Aspetterŕ il passaggio di qualche antilopeper mostrarsi.

— La capra non bela piů.



Ha fiutato il carnivoro.

Lŕ!… Guardate! - esclamň Dhundia. - La

vedete?

Un’ombra era uscita da un gruppo dicespugli e s’inoltrava prudentemente sullo

spazio libero che si estendeva dinanzi allrappola. — La tigre - bisbigliň Toby,all’orecchio d’Indri. - Non fate fuoco!Lasciamola ac costarsi.

La fiera s’era allora arrestata acentoquaranta metri dai cacciatori efiutava l’aria agitando la coda con

nquietudine. I suoi occhi verdastriuccicavano fra le tenebre come quelli de

gatti.



Si fermň alcuni momenti sotto la cupaombra d’una pianta, poi si spinse innanzi,mostrandosi alla luce della luna.

Al pari della prima era di statura enorme,una di quelle fiere capaci di rubare

un bue od una giovenca e di portarsela aparecchie miglia di distanza per divorarsele piů comodamente o diabbattere un toro con un solo colpo

d’artiglio. — La superba bestia! - esclamToby. - Vale l’altra.

— Tira, Toby - sussurrň Indri.

Non ancora, potrei solamente ferirla.Lascia che mi si presenti di fronte e lerapasserň il cuore.



Ad un tratto la tigre fece un balzommenso e scomparve in mezzo ad un

cespuglio.

Che ci abbia fiutati? - chiese Indri,seccato.

Siamo sottovento quindi non puň essersiaccorta della nostra presenza - risposeToby. - Si sarŕ imboscata per sorprenderequalche capo di selvaggina.

— Sě - confermň Dhundia. - Qualcheanimale s’avanza.

A breve distanza dal cespuglio dove laigre erasi imboscata, si udivano agitarsi

delle fronde e scrosciare dei rami secchi.

Qualche antilope o qualche bufalo



s’apriva il passo per avviarsi allasorgente. La vittima era un nilgň.Avvertito forse dall’odore lasciato dalla

fiera, l’elegante cervo si era arrestatocolla testa bassa, mostrando le aguzzecorna. Stava in ascolto.

— č perduta - mormorň Toby. - Guardandri!

La bŕg si era slanciata. Essa cadde sullagroppa del povero animale facendolopiegare sotto il peso, poi con un colpo di

zampa lo gettň al suolo col fiancosquarciato.

Subito azzannň al collo la vittima ancora



palpitante, succhiandole avidamente ilsangue, quindi, colmata la sete ardente cha divorava, immerse il muso nel fianco

aperto, mentre le sue unghie, dure come’acciaio, dilaniavano ferocemente ilpovero corpo, facendone scempio.

Toby, approfittando di quel momento incui la tigre, occupata a divorare lesanguinanti viscere della nilgň, non potevvederlo, puntň la carabina mirandola sotto

a spalla e fece fuoco.

La nube del fumo non si era ancoradissipata che la tigre giaceva a fiancodella sua vittima, come se la pallanfallibile del cacciatore l’avesse

fulminata.



č morta! - gridň Indri, slanciandosi fuoridella buca.

Bada! - gli disse Toby. - Puň essereancora viva!

L’ex favorito dal guicowar, credendo che

fosse invece morta, si era avanzato colcoltello da caccia in pugno.

Giŕ non distava che pochi passi, quando

vide la fiera rizzarsi improvvisamentesulle zampe posteriori, digrignando i dente mugolando.

Indietro, Indri! - gridň Toby, mentrestrappava a Dhundia la carabina.L’indiano si era gettato da una parte.Abbandonare il coltello e puntare il fucile



fu l’affare d’un solo istante.

Risuonň uno sparo e la tigre, alla quale

era mancato lo slancio in causa dellagrave ferita riportata prima, cadde colcranio fracassato.

Bel colpo! - esclamň Toby, accorrendo. Mio caro Indri, tu sei degnodell’uccisore di tigri!…

E la prima partita l’abbiamo guadagnatač vero Toby! - disse l’ex favorito, convoce giuliva. - Alla seconda, ora!



LA CACCIA DEL

CORNAC

Mentre Indri e Toby, andavano a cacciaree due sanguinarie fiere, il cornac

Bandhara cercava, con accanimento e conuna costanza da fare invidia al miglior poliziotto inglese, le tracce dell’astutofakiro.

L’indiano, al pari di parecchi altriconduttori d’elefanti, aveva appartenutoalla numerosissima casta dei ladri, casta

che non ha nulla di disonorevole agliocchi degli abitanti dell’immensa penisolndostana.



Essa costituisce, per gl’indů, una delleante classi paragonabili a quelle dei

falegnami, degli orefici, dei pescatori ecc

sicché ognuno che vi appartenga puň diresenza alcuna reticenza, anzi con un certoorgoglio, che la sua professione č quelladi ladro.

ulla di male: č una casta che vale quantoun’altra, regolarissimamente costituita ericonosciuta anche dalle altre.

Ciň non vuol perň significare che i ladripossano in India rubare a loro comodo,senza venire disturbati, anzi tutt’altro.Ognuno che viene preso deve subire lasua pena, perché la repressione del furtoentra nei doveri dei rajah. Solamente iladro non viene considerato, pel furto



commesso, come un personaggiodispregevole, bensě come un uomo che haesercitato bene la sua arte e nulla di piů.

Bandhara, che aveva appartenuto a quellacasta che ha cosě vaste diramazioni fra ibadbak ed i soneria del Pendjab e

dell’Aoude, fra i mulungi del Bengala, iramosi del Bombay, i karachavandlon delDekkan ed i korwak del Malabar, eraforse l’unico uomo che potesse competere

col fakiro. Astuto, prudente, osservatoreprofondo, agile come un serpente e dotatoanche d’un coraggio poco comune fragl’indiani, poteva avere qualcheprobabilitŕ di trovare quel pericolosobriccone che se la intendeva cosě benecon Dhundia.



Appena lasciato il bungalow, invece didirigersi subito alla pagoda, si era spintofino al bazar per compiere una completa

rasformazione e trovare qualchecompagno, cosa non difficile in un paesedove i servi si trovano a migliaia e nondomandano altro che di mangiare per

prestarsi in ogni cosa. Bandhara nonperdette troppo tempo. Entrato in unabottega tenuta da una vecchia indiana,dopo un quarto d’ora ne usciva sotto lespoglie d’un bramino brigibasi.

La trasformazione era stata completaperché questa classe di bramini, portanodubgah ricchissimi, turbanti vastissimi chscendono quasi fino alla metŕ del viso,collane di conchiglie bianche e numerosi

anelli alle dita, alle braccia ed al collo



dei piedi.

Per completare l’illusione, Bandhara si

era fornito d’una sciarpa di cotone giallo,distintivo di quei bramini e che si deveconservare sempre bagnata per rinfrescarsi la testa e le spalle.

Soddisfatto di quella truccatura che glidava un aspetto imponente, l’antico ladrosi diresse sollecitamente verso un’agenzia

di servi e dopo d’aver passato in rivistaparecchie persone, arrestň il suo sguardosu un ragazzo appena tredicenne, chepareva ad un tempo furbo e assai robustoper la sua etŕ.

č quello che fa per me - mormorň ilcornac, dopo d’averlo esaminato con uno



sguardo rapido. - Sarŕ menocompromettente d’un uomo e mi basterŕ.Come ti chiami? - chiese poi.

Sadras - rispose prontamente il ragazzo

— Hai genitori?

Nessuno, sahib; sono morti di cholera.

— Ti darň da mangiare e due rupěe se miservirai fedelmente, poi vedremo. Duerupie1. Un vero tesoro per quel fanciullo

che non ne aveva mai veduta una.

l cornac lo fece vestire decentemente,versň all’agente una rupia e se lo

condusse seco.



Ed ora, - disse, - andiamo alla pagoda. Ifakiro sarŕ ben bravo se mi riconoscerŕ.Un cornac non puň diventare un bramino.

Quando giunse alla pagoda, sempreseguito dal ragazzo, la folla, era ancora

enorme e si accalcava verso il luogo dovsi trovavano ancora seduti i pazienti

che avevano subita la terribile prova dell

sospensione.

Si fece largo non senza fatica, tenendo peuna mano il ragazzo onde non si

smarrisse e giunse presso la gradinatasulla cima della quale era stata deposta la

divinitŕ.



Con un solo sguardo s’accorse dellascomparsa del fakiro.

Che abbia sospettato di essere seguito? si chiese Bandhara, aggrottando la fronte. Quell’uomo deve essere piů astuto di

quanto supponevo. Dove sarŕ andato?

Deve avere una fibra, eccezionale per ornarsene alla sua abitazione colle spalle

cosě atrocemente mutilate. Orsů, loritroverň.

Si provň a chiedere qualche informazioneai vicini, senza alcun risultato. Nessuno loaveva veduto andarsene, essendo stata’attenzione di tutti attirata dal supplizio

dei fanciulli.

Bandhara non insistette. Era troppo



prudente per compromettersi. Tra quellafolla vi poteva essere qualche comparedel fakiro, cosa non improbabile e allora

a partita sarebbe diventata doppiamentedifficile a guadagnarsi.

Lasciň la pagoda e si recň al bazar,

giungendovi appunto sul momento in cui’abile briccone, compiuta la suarasformazione, si recava a dare lo

spettacolo della cesta sotto le finestre del

bungalow.

Bandhara non aveva fortuna, nelle sueprime ricerche, ma non era uomo dascoraggiarsi. Si sapeva abbastanza forteper riuscire anche in quella difficilissimampresa.



ondimeno trascorse tutta quella giornatasenza essere riuscito a trovare in alcunuogo le tracce dell’astuto fakiro.

— Deve essere ben abile per nonasciarsi sorprendere - mormorň

Bandhara, quando giunse la sera. -

Andiamo al bungalow; e domani cirimetteremo in caccia. Quando si presentňalla porta della palazzina chiedendo dindri, fu molto sorpreso nell’apprendere

dal maggiordomo, da cui non era statoriconosciuto, che i cacciatori erano partitper le miniere.

Non mi conviene svelarmi - si disse ilcornac. - Giacché non si sono accorti quidel mio cambiamento, lasciamolinell’inganno e andiamo ad alloggiare



altrove. Forse avrň miglior fortuna. Se ilpadrone č partito senza di me, vuoi direche non ha bisogno dei miei servigi e che

ha preferito lasciarmi alla caccia delfakiro. Si volse verso il ragazzochiedendogli se sapeva dove si trovasseun ottimo albergo per passare la notte.

Ve n’č uno presso il bazar - risposeSadras. - Č frequentato da personedistinte.

Conducimi - disse Bandhara.

Stavano per volgere le spalle al

bungalow, quando gli sguardi del cornacsi fissarono su alcune orme che sivedevano impresse sulla polvere dellavia.



Delle persone si sono fermate dinanzi albungalow - mormorň. - Eh!… Cos’čquesta forma quadrata che vedo impressa

dinanzi alla porta? Che dei giocolierisiano venuti qua?

Abbiamo giŕ detto che gl’indiani

posseggono un’abilitŕ prodigiosa nelloscoprire le tracce. Un indizio qualunqueche a tutti sfuggirebbe, per essi č soventeuna rivelazione d’un valore

napprezzabile.

Bandhara, che non aveva forse l’egualeper trovare una pista, era srato dunquesubito colpito dalle orme lasciate dalfakiro e dai suoi compagni e dalla cestache aveva servito al fanciullo.



Guardň se nessuno faceva osservazione aui e si curvň esaminandole

attentamente… Una goccia di sangue,

appena disseccata e che vide sullospigolo d’un gradino, lo fece trasalire. Unampo gli attraversň il cervello.

Che questo sangue sia caduto dal dorsoacerato del fakiro7. - si chiese. - Mi

occorre sapere chi sono le persone venutequa a fare dei giuochi. Quest’orma

quadrata e quell’altra circolare che paresia srata lasciata dal fondo d’un tamburo,e che questa mattina non esistevano dicerto, devono avere un significato.

Risalě i gradini del bungalow e percossenuovamente la lastra metallica sospesa



sopra la porta.

l maggiordomo ricomparve e rivedendo

l bramino, s’inchinň profondamente.

Desideravo un’altra informazione - dissBandhara, trinciando colla destra una

benedizione. - Quando č partito ilcacciatore inglese?

Nel pomeriggio, sahib.

— Non ha detto quando ritornerŕ?

No, ma credo che questa notte si fermerŕ

alle miniere perché ha condotto con sé uncarro e degli sikkari.

Č venuto nessuno a cercarlo durante la

giornata?



Nessuno sahib.

Eppure ho scorto numerose tracceasciate da persone e proprio dinanzi alla

palazzina.

Sono venuti alcuni giocolieri i qualihanno eseguito il giuoco della gabbiarispose il maggiordomo.

Bandhara ne sapeva abbastanza. Finse dinon dare alcuna importanza a quel fatto,rinciň un’altra benedizione e ridiscese i

gradini con quell’aria maestosa che čpropria dei bramini, esseri d’una razzasuperiore e privilegiata in tutta l’India.

Vorrei sapere chi sono quei giocolieri -



mormorň, andandosene. - Quella macchiadi sangue mi č sospetta a menoché uno diquegl’uomini si sia prodotta qualche ferit

maneggiando i pugnali. Comunque sia nonascerň queste tracce finché non avrňchiarito il fatto.

Scoperta la pista, Bandhara era certo dinon perderla anche attraverso le viepolverose d’una cittŕ percorsa da migliaiadi altre persone. Avanzatosi quindici

passi, il suo sguardo acuto aveva scortoper terra una seconda goccia di sangue,piů larga della prima e anche quellaappena disseccata, poi alcuni metri piůnnanzi una terza.

Se potessi trovarne altre, riuscirei dicerto a sapere chi erano quei giocolieri



mormorň il cornac. - Non disperiamo.

Continuň ad avanzarsi lentamente, cogli

sguardi sempre fěssi al suolo, finchégiunse presso il bazar. Ma colŕ, su quelerreno calpestato da migliaia e migliaia

di piedi, le tracce si erano talmente

confuse da sfidare il piů abile ladro ed ilpiů valente poliziotto.

nvano Bandhara si portň a destra, poi a

sinistra, scrutando la polvere che coprival suolo. Le macchie di sangue erano

scomparse.

Un’altra partita perduta - disse, conmalumore. - Sono perň certo che il fakironon ha lasciato Pannah.



Si volse al ragazzo, il quale lo avevasempre seguito senza chiedere il motivodi quelle ostinate ricerche.

Domani v’č qualche cerimoniareligiosa?

Sě, sahib - rispose Sadras. - Vi č ilbagno sacro nella piscina fattaappositamente costruire dal rajah, ecolmata con acqua del Gange.

Tu mi condurrai, devo fare anch’io ilmio bagno. Ed ora andiamo all’albergo.Stavano per attraversare il bazar che era

ancora ingombro di gente, quantunque lanotte fosse calata da qualche ora, quandoa loro attenzione fu attirata da un fracass

assordante che echeggiava nell’angolo piů



ontano della immensa piazza.

Si udivano a rullare tamburi e squillare

rombe e flauti e si vedevano avanzarsistendardi variopinti, illuminati da torcierientro i quali bruciavano grosse palle dicanapa imbevuta di resina.

Una processione notturna? - chiese

Bandhara al ragazzo.

— Sono i sapwaUah che fanno la lorofesta - rispose questi.

— Andiamo a vedere, fanciullo. Avremopoi abbastanza tempo per riposarci. Poimormorň:



— Il fakiro č anche incantatore di serpente forse fa parte della comitiva. Queldiavolo d’uomo č capace di trovarsi

ancora in piedi, non ostante lasospensione che ha sofferto.

La processione si avanzava fra un

crescente fracasso, preceduta da quattrouomini vestiti sfarzosamente e chereggevano faticosamente un enormeamburo ornato di pavone e di crini

variopinti.

Era l’/umk, tamburo sacro che non si puňsuonare che nelle feste religiose e dietroanche il pagamento d’una certa sommafissata dal semidar della cittŕ o deldistretto.



Seguivano poi una quarantina di suonatorimuniti di Wiole, specie di tamburini dierracotta, colle due estremitŕ coperte di

pelli, di tam torti che facevano un baccanassordante, di djhogo, altra specie diamburo che hanno un suono particolare e

di trombe e flauti.

Erano fiancheggiati da indiani quasi nudiche reggevano dei torcieri i qualimandavano vivi bagliori e nembi di

scintille.

Dietro venivano quattro o cinque dozzinedi incantatori seminudi, coperti di orpellicolorati e che maneggiavano impunementeerribili cobra, serpenti gu labi, boa ed

altri rettili non meno pericolosi cheavevano presi durante la giornata nelle



foreste dell’altipiano.

Seguivano poi numerosi indiani recanti

bacini ricolmi di latte da offrirsi aiserpenti e anche dalle case vicine e dainegozi del bazar accorrevano altrepersone con recipienti d’ogni specie.

l corteo, giunto in mezzo alla piazza,aveva formato un immenso circolo,racchiudendo nel mezzo i sapwauah ed i

oro serpenti.

torcieri erano stati disposti in modo dalluminare da ogni parte quello spazio.

Portati i vasi e messili a terra,gl’incantatori, dopo alcune preghiere aldio Cri sna, l’uccisore del terribile



serpente pitone Bindraband, che secondoa leggenda indiana devastava le rive

della Djumna, avevano lasciati in libertŕ

rettili e questi si erano subito precipitatiavidamente verso i recipienti colmi diatte.

La scena era strana e selvaggia. Tutti queirettili che strisciavano al suolo e che siarrotolavano sibilando e che simordevano per disputarsi i vasi e tutti

quegl’incantatori quasi nudi, scintillantid’orpelli, con quelle loro lunghe barbe equei turbanti fiammeggianti sotto i riflessidelle torce, formavano un quadrondimenticabile.

suonatori, disposti in giro, dinanzi allafolla dei curiosi, raddoppiavano il



fracasso, soffocando le invocazioni deisapuuaUlak ed i sibili furiosi dei rettili.Bandhara, che aveva assistito giŕ a

parecchie, naga pautdani, come vengonochiamate le feste dei serpenti, nons’occupava dello spettacolo.

Tutta la sua attenzione era concentratasugli incantatori perché era quasi sicurodi scoprire fra di essi il fakiro. Ad unratto una esclamazione gli sfuggě.

n mezzo ai sapwallah aveva scorto unndiano, il quale invece di essere nudo

come i suoi compagni, aveva il dorsocoperto da un ampio dootée di cotonegiallo.

Se quell’uomo nasconde le sue spalle, v



deve essere qualche motivo - mormorňBandhara. - Gli incantatori non usanoportarne durante le loro cerimonie.

Tenendo sempre per mano il ragazzo, fecel giro della piazza per meglio avvicinarequell’uomo che gli pareva somigliassevagamente al fakiro.

Giunto lŕ dove poteva osservarlo meglio,represse a stento un moto di gioia. - Il miouomo! - esclamň. - Non lo lascerň piů,

dovesse farmi correre attraverso tutta’India.

l fakiro ancora una volta si erarasfigurato, tingendosi il volto di nero

con linee biancastre e appiccicandosi unaunga barba, nondimeno non era sfuggito

allo sguardo scrutatore di Bandhara.



Sě, č lui - mormorň il cornac. - E lostesso uomo che abbiamo incontratosull’altipiano e che stamane si č fatto

appendere. Se potessi levargli il dootée,vedrei le fasce che coprono le sue ferite.Finalmente sapremo chi č costui e perchéci ha seguiti con tanta ostinazione.

Si passň una mano sotto la larga giubba esi accertň d’avere ancora il pugnale e larivoltella, armi che gli aveva dato Indri

prima che lasciasse il bungalow. Attesepazientemente che la festa terminasse eche si rinchiudessero in appositi cesti iserpenti gonfi di latte al punto quasi dascoppiare e seguě il corteo, il quale sidirigeva verso i quartieri meridionalidella cittŕ. Non perdeva di vista il fakiro,

risoluto a seguirlo dovunque. Quando il



corteo giunse ad un’altra piazza, cominciňa sbandarsi. Primi a lasciarlo erano statil fakiro ed un indiano di statura quasi

gigantesca, che portava una cestacontenente forse dei serpenti.

Quei due uomini si erano subito cacciati

n una stretta via laterale, la quale passavfra misere capanne addossate le une allealtre.

Avevano perň fatti pochi passi, quandoBandhara, che li aveva seguiti, vide ilfakiro a vacillare, quindi cadere fra lebraccia del suo compagno. - Ha resistitoroppo - disse il cornac. - Non era

possibile che la continuasse ancora colleerribili ferite che ha sul dorso. Diavolo

d’un uomo!… Deve essere d’acciaio.



on desiderando di farsi vedere, si eraarrestato dietto l’angolo d’una capanna,nascondendo il fanciullo dietro di sé. Il

gigante si era appesa la cesta alle spalle,poi aveva preso fra le braccia il fakiro, ilquale pareva che avesse smarriti i sensi.

Bandhara lo vide allontanarsi a passirapidi, poi arrestarsi bruscamente dinanziad una casupola di meschina apparenza,colle pareti di fango disseccato ed il tetto

di paglia.

La porta subito si aprě ed entrambiscomparvero, mentre si spegneva un lumeche prima brillava ad una finestra.

Quella č la loro casa - disse Bandhara,con accento soddisfatto. - Non ho perduto



l mio tempo.

Si volse verso Sadras, il quale

cominciava a sbadigliare.

Sai chi abita in quella casupola? - glidisse.

No, sahib.

Potresti saperlo domani? Tu sei

ntelligente e furbo.

Te lo dirň, sahib.

— Agirai con prudenza perché nondesidero che i suoi abitanti sappiano chequalcuno ha interesse a occuparsi gli loro

Sarň astuto come un cobra-capello.



Andiamo a riposare.

Ritornarono sulla piazza del bazar ed

entrarono in una locanda di bellaapparenza.

Bandhara si fece servire una succolenta

cena, poi si fece assegnare una camera.Cinque minuti dopo dormiva come unamarmotta delle Alpi. Quando si svegliň,poco prima dell’alba. Sadras non si

rovava piů sul lettuccio.

Il ragazzo č lesto e obbediente - disse,guardando il giaciglio vuoto. - Saprň

qualche cosa di nuovo sui compagini delfakiro. Prima la colazione, poi piů tardiandrň al bagno a fare la mia toletta dabuon bramino. Il cuore mi dice che



ritroverň anche lŕ quel briccone.

Si fece portare un piatto di carri condito

con pesce e dei banani, poi uscěcoll’intenzione di recarsi al bungalow;,quantunque fosse poco convinto diritrovarvi i cacciatori.

Aveva appena percorsi cinquanta metri,quando vide giungere, ansante e trafelato,l ragazzo.

Sahib, - disse, - quegli uomini hannosloggiato e la casa č deserta. Bandharaebbe un soprassalto.

Ne sei certo? - chiese.

L’ho saputo da una persona che conosco

e che abita in quel quartiere.



Non apparteneva ai due sapwallahquella capanna?

No l’avevano presa a pigione per duesoli giorni e poi non erano veramente due

ncantatori di serpenti.

Cos’erano dunque?

Giocolieri ed avevano anche deicompagni. Quanti?

— Quattro uomini ed un ragazzo.

Bandhara era rimasto silenzioso. Unaprofonda inquietudine si leggeva sul suoviso.



— Giocolieri! - mormorň. - Incantatori,aleni, santoni… chi sono costoro e perchéci hanno seguiti e che siano spie di

Parvati, del primo ministro del guicowar Segno che il mio padrone corre qualchegrave pericolo. Se mi recassi alle miniereper informarlo di quanto succede qui!…

o, perderň troppo tempo ed intantosmarrirei forse le tracce del fakiro. Enecessario ritrovare quell’uomo. Orsů,andiamo alla piscina dell’acqua sacra;forse si č recato colŕ.

Fece dare da mangiare al bravo ragazzo,si avvolse maestosamente nel suo dootée,si bagnň la pezzuola gialla e si mise incammino preceduto dalla sua giovaneguida.



Pannah era ancora popolatissima, nonessendo le feste ancora terminate. Unafolla variopinta, composta per la maggior

parte di montanari e di contadini accorsida tutte le parti dell’altipiano, siaccalcava nelle vie per bagnarsinell’acqua sacra del Gange, fatta portare

assů, con enormi spese.



PREZIOSE

RIVELAZIONI

Quando Bandhara ed il fanciullo vigiunsero, la folla aveva giŕ invase le

vicinanze della piscina o meglio delaghetto perché aveva delle dimensioni

straordinarie per essere una vera vasca.

Era costruita tutta in pietra, con immensegradinate tutto all’intorno, simili a quelleche dalle pagode scendono verso ilGange, il sacro fiume degl’indiani.

Uomini, donne e fanciulli accorrevano dautte le parti, recando delle ceste

contenenti delle frutta o dei vasi di latteda offrire alle divinitŕ prima d’immergers



n quelle acque benedette.

Le gradinate erano giŕ srate prese

d’assalto, prima di tutti, dai sacerdotibramini, personaggi che consumano laoro vita in pratiche cosě assurde che

sembrerebbero incredibili se non fossero

verissime.

Si spogliavano in presenza della follaenendo in mano un asciugatoio

candidissimo, quindi si bagnavano i piedipoi raccoglievano l’acqua nelle palme

delle mani, l’alzavano e poi la sorbivano

entamente, facendola prima scorrereungo i polsi. Questa non era che la prima

parte dell’ochumuno, come chiamano iloro bagno mattutino.



Dopo un breve raccoglimento occupato abiascicare una preghiera a Brahma, sioccavano colla mano destra il naso, le

abbra, gli orecchi, la fronte, le spalle,’addome, quindi volgendosi dapprimaverso oriente poi verso settentrione, sipulivano i denti servendosi d’un pezzetto

di legno dolce. Questa funzione,mportantissima pei bramini, deve farsi

prima del levare del sole perchédiversamente, secondo le loro stranecredenze, sulla metempsicosi nellaseconda loro nascita, la loro animacorrerebbe il pericolo di passare nel

corpo d’un insetto immondo!…Compiuta la pulizia della bocca, queibravi sacerdoti, impastati dei piů

stravaganti pregiudizi, si lavavano le



macchie di fango ed i segni fatti il giornonnanzi, distintivi della loro casta; si

raschiavano la lingua avendo la

precauzione di non farla sanguinare comeprescrivono i loro riti, onde non diventareper quel giorno impuri e finalmente sibagnavano, andando poi a sdraiarsi

all’ombra degli alberi in attesa delmomento opportuno per raccogliere deifiori, altra cerimonia importantissima.

Terminato il bagno dei bramini, la follas’era precipitata nel laghetto, ansiosad’immergersi nelle acque del sacroGange.

Vi erano uomini, donne e fanciulli, tuttinudi, confusamente mescolati e chiassosi.



Dopo d’aver raccolta nelle loro mani’acqua e d’averla offerta, con ridicole

contorsioni, al sole che in quel momento

sorgeva, sfolgorante di luce e di calore, ed’aver versato nel laghetto ampi vasi diatte candidissimo e d’aver gettati fiori e

frutta per rendersi propizie le divinitŕ

protettrici dell’India, la folla s’era messaa guazzare come uno stormo di anitre.

Uomini e donne si bagnavano

reciprocamente, gettandosi addosso’acqua colle mani, ridendo, gridando,

mentre una banda di suonatori, seduti suglultimi gradini, battevano fragorosamenteamburi e tamburelli e gonfiavano i

polmoni per cavare note sempre piů acutedai vari istrumenti a fiato. Anche al di lŕ

delle gradinate, sotto gli alberi, dove i



venditori di frutta e d’acqua zuccherata edi betel avevano piantate le loro baracchee dove bande di giocolieri eseguivano i

piů difficili esercizi, il baccano eraassordante. Si gridava, si chiacchierava,si pettegolava, mentre lunghe file di genteche avevano giŕ compiuto il bagno,

salivano le gradinate portando luccicantivasi di rame ricolmi d’acqua sacra, chedoveva servire per le abluzioni dellagiornata. Bandhara ed il fanciullo, fatto iloro bagno, si erano messi a ronzare per e gradinate, guardando attentamente le

persone che li circondavano.

on era cosa facile trovare il fdkiro inmezzo a quella folla, pure il cornac non



disperava e continuava, infaticabile, lesue ricerche.

La mattina era trascorsa e le truppe deibagnanti stavano per diradarsi, quando ilragazzo urtň vivamente Bandhara.

Che cosa vuoi? - chiese questi.

Guarda quell’uomo che sta acquistandodelle foglie di betel e che č accompagnato

da un giocoliere. Non lo riconosci?

Bandhara guardň nella direzione indicatae fece un gesto di sorpresa ed insieme di

gioia.

č il gigante che accompagnava’incantatore di serpenti č vero?



Sě, sahib, l’uomo che lo ha portato nellacasupola. lo riconosco dal suo turbanterosso e giallo e dalla fascia trapunta in

argento che gli stringe i fianchi.

Ecco una fortuna inaspettata - mormorňBandhara. - Vedremo dove č andato a

nascondersi quel maledetto fakiro.

l gigante, dopo d’aver accartocciata unafoglia di betel e di avervi messo dentro un

pizzico di arecche e di polvere di calceed alcune droghe, ne aveva formata unapallottola mettendosela in bocca.

La masticň per alcuni istanti, lanciando alsuolo getti di saliva rossa, poi preso sottol braccio il giocoliere, era andato a

sedersi presso una tenda dinanzi alla



quale alcuni saltimbanchi eseguivano ilgiuoco della gabbia. Bandhara lo avevaseguito dandosi l’aria d’un bramino che

cerca un luogo opportuno, per compiere lsue pratiche mattutine senza veniredisturbato. Avendo scorta presso la tendauna ruth colossale, la quale proiettava

dell’ombra e che stava dietro ai duendiani, si sedette a terra, fěngendo di

biascicare delle preghiere ma in realtŕ aguzzando gli orecchi per non perdere unasillaba di quanto dicevano quei dueuomini.

Per non destare sospetto, aveva fattocenno a Sadras di fermarsi a qualchedistanza, presso un piccolo banano.

La conversazione dei due giocolieri



doveva essere cominciata da qualcheminuto.

E inutile - diceva il gigante, al suocompagno. - Noi perdiamo qui il nostroempo. Forse quell’uomo ha raggiunto i

suoi padroni.

Bandhara aveva alzato il capo. Il suostinto gli diceva che in qualche cosa

doveva entrarci in quella conversazione.

l compagno del gigante aveva risposto,dopo qualche minuto di silenzio:

Lo credo anch’io.

— Eppure non č rientrato piů nelbungalow del rajah.

L’hai mai veduto tu, Barwani?



No - rispose il gigante. - Se l’avessiguardato una volta sola non me l’avrei piůscordato.

Vi č solamente Sitama che lo conosca? -Lui solo. - Se fosse qui!…

Ha voluto mettere troppo alla prova lasua fibra. Sitama ha la pelle dura, macapirai che dopo un simile supplizio,anche un rinoceronte se ne risentirebbe.

Eppure malgrado le sue orribili ferite havoluto eseguire, dinanzi ai cacciatori, ilgiuoco della gabbia.

Per la seconda volta Bandhara avevaalzato il capo. Cominciava a comprenderperfino troppo.



— Parlano d’Indri e del cacciatorenglese - mormorň. - Quel Sitama deve

essere il fakiro. Barwani, il gigante,

aveva ripreso il dialogo.

— Mi č venuto un dubbio.

Quale? - chiese il giocoliere.

— Che abbiano avuto qualche sospetto suSitama e che la sospensione non abbia

confermato affatto la sua qualitŕ di fakiro.Quel cacciatore bianco deve essere unfurbo che da dei punti anche a noi.

— Od il favorito del guikowar invece?

— L’uno deve valere l’altro - risposeBarwani.



— E tu supponi che abbiano mandato iloro servo sulle tracce di Sitama?

E anche Sitama č di questo parere.

Perché!… Un semplice cornac!… -esclamň il giocoliere, con disprezzo. —

on č uomo da competere con noi.

Tu non puoi sapere cosa si nascondesotto la pelle di quell’uomo.

— Pare che non mi conoscano ancorabene - mormorň Bandhara, il quale nonperdeva una sola sillaba di quella

nteressante conversazione.

Che cosa decidi di fare? - chiese ilgiocoliere. — Abbandonare le nostre

ricerche, per ora, e tornare da Sitama. -



Dove si trova?

— Nella vecchia pagoda di Visnů. — Ha

sloggiato ancora?

— Non si fidava a rimanere in quellabicocca - rispose il gigante. - Sitama č

prudente e fa bene a esserlo.

Avete notato qualche cosa di sospetto?

— Io so che tre ore fa, un ragazzo čandato a chiedere ai vicini chi abitava in

Quella casupola.

— Un ragazzo!… - esclamň il giocoliere.

Sě, amico e noi avevamo sloggiato.



— Vi riconosciuto?

Non vi era alcuno dei nostri.

Chi puň averlo mandato, Barwani? -

Ecco quello che si ignora. Che fosse un messo del cornac1.

Lo dubito. Eppure qualcuno deve averlo mandato e

quel Ťqualcunoť potrebbe essere un

amico dei cacciatori. - Tu puoi forse averragione - rispose il gigante, con accentonquieto. - č perciň che sono contento di

aver lasciato cosě presto la casupola.



Barwani si era alzato.

Me ne vado - disse. - Questa sera vi č

riunione nella pagoda; condurrai tutti.

Torni presso Sitama?

č necessario: stamane aveva la febbre. Cosa devo fare io?

Cerca di scoprire il cornac. Le indicazioni che mi ha dato Sitama no

sono sufficienti.

Andrai al bungalow per vedere se čornato o se ha raggiunto i suoi padroni

alle miniere. Addio, a questa sera.



Bandhara si era levato prontamente per non farsi scorgere, quantunque fosse

certo di non poter venire riconosciuto daquei due uomini che non lo avevano maiveduto.

Si avvolse nel dootée, e passň vicino alragazzo, dicendogli rapidamente:

— Alla vecchia pagoda di Visnů.

Sandras fece col capo un segnoaffermativo.

Pare che sappia dove si trova - mormorňBandhara.

Fece il giro della tenda, attese che il

gigante lo oltrepassasse, quindi si mise a



seguirlo alla distanza di quaranta ocinquanta passi.

Quantunque si fosse cacciato tra la follache s’accalcava nei dintorni del laghetto,era certo di non perderlo di vista. Il suourbante rosso e giallo si scorgeva

facilmente al di sopra di tutte le teste.

Barwani fece il giro del laghetto, poi sicacciň in una via poco frequentata che si

dirigeva verso i quartieri meridionalidella cittŕ.

Bandhara, vedendo che lasciava le vie

popolate, era diventato inquieto. Eglignorava dove si trovasse la vecchia

pagoda, ma dalla direzione, presa dalgigante, sospettava che sorgesse in



qualche luogo isolato e fors’anche, fuoridelle mura della cittŕ.

Se la sua supposizione era vera seguireBarwani non era cosa facile. Il briccone,che giŕ stava in guardia, poteva facilmentaccorgersi di essere pedinato da

qualcuno.

Era bensě vero che non conosceva ilcornac, tuttavia non era prudente seguirlo

attraverso a vie quasi deserte, senzacorrere il pericolo di venire notato ed a

Bandhara premeva di rimanere incognito

per giungere fino al fakiro ed agireiberamente.

Forse ho fatto male a lasciare Sadras



alla piscina - mormorň il fedele cornac.

— Un fanciullo desta meno sospetti e

avrei potuto lanciarlo alle calcagna diquel misterioso briccone.

Stava pensando al modo di continuare la

caccia senza allarmare il gigante, quandosull’angolo d’una via s’imbattč in unadhummi. Sono questi dei rozzi veicoliposti su due ruote massicce e che vengono

usati per viaggiare nelle campagne.

Hanno una specie di tettoia fatta a vňlta,composta di foglie, riparo eccellente

contro gl’infuocati raggi del sole e sonoirate da due grossi zebů bianchi, specie

di buoi che hanno delle gobbe pendenti daun lato e delle lunghe corna ricurve.



Quella macchina pesante stava fermasull’angolo della via, mentre il suoconduttore, un giovane indiano, seduto a

cavallo del timone, masticava un pezzo diarecche.

Sei libero? - chiese Bandhara,

avvicinandosi rapidamente al giovane.

Sě, sahib - rispose questi.

Ti do una rupia se tu mi conduci allavecchia pagoda.

A quale, sahib?. Ve ne sono parecchie

fuori dalla cittŕ.

Vedi quell’uomo che ha un turbanterosso e giallo?



— Lo vedo benissimo.

Seguilo e mi condurrai alla vecchia

pagoda che desidero visitare.

Tu sarai obbedito - rispose il conduttorea cui non pareva vero di poter guadagnare

cosě facilmente una rupia.

Bandhara balzň agilmente sotto lacupoletta di foglie che lo celava

nteramente ed il giovane torsecrudelmente la coda ai poveri animali percostringerli a prendere un rapido passo.

Barwani non poteva essersi accorto dinulla, essendovi ancora delle persone inquella via. Aveva continuato a camminarecon passo veloce, senza guardarsi alle



spalle.

Ormai Bandhara era certo che si dirigeva

fuori dalla cittŕ, perché erano giŕ giuntipresso i vecchi bastioni e non accennava voltare né a destra né a sinistra.

Ho avuto una buona idea a noleggiarequesto carro - memorň il cornac. — Questo veicolo non puň allarmare quelbriccone, essendo naturale che in

campagna s’incontrino di queste incomodmacchine.

Barwani raggiunse l’angolo d’un bastione

dove trovavasi un passaggio, attraversň ilargo fossato su un ponte di legno e

s’inoltrň attraverso a campi coltivati abajac, specie di miglio che cresce



splendido su quei vasti altipiani.

Sahib - disse il conduttore, volgendosiverso Bandhara. - Il tuo compagno deverecarsi nella vecchia pagoda dedicata a

Visnů.

č lontana? - chiese il cornac.

Fra una mezz’ora vi saremo; non vediaggiů, dietro quelle piante, quell’altacupola sostenente un’asta dorata?

Sě.

č quella. - La conosci?

Ci sono stato parecchie volte.



č abitata?

No perché da lungo tempo le sue

muraglie sono malferme.

č molto vasta?

Immensa, sahib. Sorge forse sui terreni diamantiferi?

Sě, sahib, ma non su quelli frequentatidal terribile mangiatore d’uomini, č’unica parte dove ancora si lavora

all’estrazione dei diamanti.

Hai udito mai a raccontare che in quellapagoda si radunino di notte delle persone

Lo ignoro, sahib - rispose il conduttore.



Io perň non oserei passare una sera fraquelle rovine.

E perché?

Si dice che i cattivi geni la frequentano.

— Ah!… Sě!… - esclamň il cornac,sorridendo. - Hai fatto bene a dirmeloperché la vedrň di giorno.

Sporse la testa fuori dalla cupoletta e vidBarwani attraversare con maggior velocitcampi, volgendosi di frequente indietro.

l carro procedeva anch’esso rapido. Ilconduttore continuava a torcere le codedei due poveri animali ed a pungerli conun lungo bastone munito all’estremitŕ d’un

chiodo assai acuto.



terreni coltivati sparivano rapidamenteper dar luogo a quelli diamantiferi,ngombri di ammassi di ciottoli e di terra

scavata dagli antichi pozzi. Qua e lŕ siscorgevano gruppi di capanne e tettoievastissime dove si vedevano numerosepersone, mentre nubi di polvere

s’alzavano dalle spaccature del suolo. Erl campo diamantifero in pieno lavoro.

Sahib, - disse il conduttore, - la pagoda

sorge dietro quel bosco di mhowak, ma ilmio carro non potrŕ giungere fino lŕ,perché il terreno č tutto sconvolto.

Puoi tornare in cittŕ - rispose Bandhara,mettendogli in mano la rupia promessa. -

on ho piů bisogno di te.



Saltň a terra e dopo d’aver atteso che ilcarro si allontanasse, si diresse verso ilbosco, celandosi dietto gli ammassi di

erra e di ciottoli. Barwani era ormaiscomparso fra gli alberi. Il cornac tuttavianon si preoccupava di ciň. Sapeva dove srecava e questo era l’importante.

Scoperto il rifugio di quel maledettofakiro, il resto verrŕ da sé - mormorň.

Non conosco la pagoda e non so dove siriuniranno quei misteriosi nemici d’Indri,perň riuscirň egualmente a sapere quantodesidero. Qui sotto c’č la mano di Parvatsono certo di non ingannarmi.

Cosě monologando raggiunse il marginedel bosco formato da colossali mhowak e



da gruppi di mangifere e dopo di essersifermato qualche istante per accertarsi dinon essere spiato, s’inoltrň sotto gli

alberi.

Aveva facilmente scoperto le ormeasciate sull’umido terreno dai piedi del

gigante e le seguiva attentamente, ondeessere ben certo che non avesse deviato.

Dopo dieci minuti giungeva dinanzi ad un

piccola pianura, cinta tutta intorno daboschi di mangifere, di bambů giganti, digrandi platani e di piccoli tek e nel cuicentro, dinanzi ad uno stagno, s’alzava unmmensa pagoda in parte diroccata, che

rassomigliava un po’ a quella di Tangioreuna delle piů gigantesche e delle piů belledell’India.



Al pari di questa, l’edificio aveva laforma piramidale e s’alzava oltre iquaranta metti, terminando in una serie di

cupole di marmo bianco e di porfido dicoler bruno che rassomigliava al bronzo.

Colonnati mostruosi, ricchi di sculture

rappresentanti geni, teste di elefanti edemoni, lo circondavano, sorreggendocapitelli ancora piů mostruosi, purecarichi di statue e di animali

rappresentanti per la maggior parte dellemucche, bestie sacre degli indiani.

Sul dinanzi, in cima della gradinata, sielevava una orribile statua rappresentanteHolica, un demonio femminile che,secondo quanto narra la leggenda indianagettň il turbamento ed il terrore nel meni,



l paradiso braminico, incatenando ledivinitŕ indiane per ottenere ventiquattroitoli laudativi ed il diritto di venire

festeggiata ogni anno dai seguaci diBrahma, Siva e Visnů. Monti di maceriecircondavano la pagoda, prodotti forsedal franare di qualche enorme muraglia

che in altri tempi doveva cingere’edificio; tuttavia le pareti, quantunque

presentassero larghe fenditure,sembravano ancora in ottimo stato.

Bandhara, nascosto dietro il tronco d’ungrosso albero, stette alcuni minuti inosservazione, poi soddisfatto del suoesame, rientrň nel bosco.

Il rifugio č scoperto; questa sera faremodi piů. Andiamo a vedere se Sadras č



giunto.

Si rimise in cammino, procedendo con

precauzione, non essendo certo che quelbosco fosse deserto, e s’arrestňsull’opposto margine che guardava verso erreni diamantiferi.

Vi era da alcuni minuti, quando scorse unpiccola forma umana che s’avanzavastrisciando dietro i monticelli di ciottoli e

di terra.

č Sadras - mormorň. - Il ragazzo čprudente e piů astuto di quello che

credevo. Mi renderŕ dei preziosi servigi.

Anche Sadras lo aveva scorto, perchéprocedeva ora con maggior rapiditŕ,



cercando perň sempre di non farsi tropposcorgere.

Sahib - disse, quando gli fu vicino. - Tumi hai fatto correre molto, ma sono lietod’averti trovato.

Sapevi dunque dove si trovava lapagoda?

Sě, perché lo scorso anno ho preso parte

alla festa di Holica.

Conosci anche l’interno? - Un po’.

Non vi sono piů sacerdoti? - No, sahib.

Ascoltami bene ora.

— Sono tutto orecchi - rispose il ragazzo



Hai udito a parlare del mangiatored’uomini? — Quello che divorava iminatori del rajah?.

— Sě, Sadras. Conosci i terreni chefrequentava?

— Le miniere occidentali, che sono le piůmportanti.

I miei amici ieri sera sono partiti per

cacciare il mangiatore. - I coraggiosi!…

Uno č un inglese, gli altri due sonondiani. Se io ti ordinassi di andarli a

cercare, vi andresti?

l ragazzo esitň un momento prima dirispondere.



La bŕg non mi mangerŕ? - chiese poi.

i miei amici devono ormai averla uccisa

perché sono i piů famosi cacciatori che sirovino in India.

Allora andrň a trovarli senza paura.

Ascoltami ancora - disse Bandhara.

Parla, sahib.

Io questa sera entrerň nella pagoda,perché mi occorre scoprire un mistero chč inutile che tu conosca. Tu mi aspetterai

qui per due ore e se non mi vedraiapparire tornerai a Pannah; prenderai uncavallo e recherai ai miei amici ilbiglietto che ora ti scriverň.



E tu, sahib?

— Se io non ritorno, vorrŕ significare che

mi hanno ucciso.

— Sahib!… — esclamň il ragazzo conerrore. - Perché dici questo?

nvece di rispondere, il cornac si levň dauna tasca interna un libriccino, strappňuna pagina, vi vergň alcune righe con un

pezzo di matita e la porse al ragazzoassieme a venti rupie.

— Questo denaro ti servirŕ per noleggiare

un cavallo e per le spese che potrebberoesserti necessarie. Il biglietto non loconsegnerai che nelle mani dell’uomobianco il quale risponde al nome di Toby



Me lo prometti?

— Te lo giuro, sahib.

— Ora possiamo andare a vedere leminiere dei diamanti. Abbiamo tempo fina questa sera.

Bandhara ed il ragazzo lasciarono ilbosco e s’inoltrarono attraverso a queierreni solcati da spaccature ed interrotti

di quando in quando da pozzi che eranostati colmati solamente in parte.

La miniera era vicinissima, sicché vi

poterono giungere in brevissimo tempo.ella sua qualitŕ di bramino, Bandhara

potč attraversare indisturbato la zonaguardata dai soldati del rajah per



mpedire le trafugazioni delle preziosepietre. Quantunque a Pannah sicelebrassero le feste religiose, nella

miniera si lavorava attivamente.

Essa consisteva in una serie di pozziarghi una quindicina di metri e profondi

dieci o dodici, ai quali si scendeva per mezzo di piani inclinati, sorvegliati pureda guardie, ed in parecchie tettoie dove siavavano i sassi e la terra per estrarne i

diamanti che vi si trovavano mescolati.

Delle norie girate da buoi funzionavanoattorno ai pozzi, senza perň riuscire adasciugarli interamente e vincere lenumerose filtrazioni d’acqua. Parecchiecentinaia d’indiani, per la maggior partecondannati, interamente nudi, guazzavano



n quel fango liquido, scavando il suolocon zappe e vanghe, mentre altririempivano di terra dei grandi panieri che

poi trasportavano faticosamente sotto leettoie.

l miscuglio composto di selci, di quarzi e

di ganga, contenente talora dei diamantisplendidissimi, veniva in seguito lavato edisgregato mediante un sistema di truogoldi pietra.

l residuo veniva quindi steso sopra vasteavole di pietra, diligentemente esaminato

da abili sceglitori, e quindi, dopo averlovagliato parecchie volte, gettato via.

diamanti venivano subito consegnati aiguardiani che li rinchiudevano in cassette



di ferro.

La vagliatura della ganga diamantifera

richiede degli operai praticissimi, perchénon č facile distinguere, a colpo d’occhiol diamante greggio in mezzo a frammenti

di selci, di quarzi, di diaspri e di

hornstoni, i quali hanno pure dei baglioriche possono facilmente ingannare.

Bandhara, sempre accompagnato da un

guardiano che sorvegliava attentamenteogni sua mossa e che si studiava di tenerlontano dai lavoranti che risalivano dai

pozzi, occupň buona parte della giornata,n attesa che la notte calasse per far

ritorno alla pagoda.



Verso le sette, nel momento in cui il solecalava rapidissimo, rientrava nella forestseguito da Sadras, il quale lo aveva atteso

fuori dalla miniera.

Andiamo - disse al ragazzo. - Č ilmomento di agire.

Stava per mettersi in cammino, quandoudě in lontananza uno squillare di ai tubee un rullar di tamburi.

Guardň verso la cittŕ e scorse numeroseorce che si avanzavano attraverso i

campi.

Una processione? - chiese al ragazzo.

Che vengano a festeggiare Holica? - si

chiese invece Sadras.



Verranno a guastare le mie ricerche -memorň Bandhara, aggrottando la fronte. Ammenoché non siano i giocolieri e

gl’incantatori di serpenti? Vieni, Sadras;i aspetteremo nel bosco e vedremo comedovrň regolarmi.

Se entrano nella pagoda dovrň seguirli? chiese Sadras.

— No, mi aspetterai qui fino alla

mezzanotte, e se non mi vedrai piů uscire,farai quanto ti ho detto.

Sě, sahib.



UN A LOTTA

TERRIBILE

La processione che si avanzava verso lapagoda era composta di un centinaio di

persone precedute da una dozzina disuonatori e da una truppa di bajadere, lequali danzavano, piroettando conun’agilitŕ straordinaria. Uomini e donne

urlavano a piena gola cantando gli innidella spaventosa Holica, mentre isuonatori picchiavano con fogandemoniata i tamburi, i gong ed i tam tam

e soffiavano a pieni polmoni nelle catube

Pareva che tutte quelle persone fossero inpreda ad una viva eccitazione, prodotta



forse da abbondanti libazioni di bang,specie di liquore assai inebbriante,ottenuto con oppio e droghe di varie

specie.

Volteggiavano gli uni intorno agli altri, sidimenavano come ossessi, agitavano

pazzamente le braccia, e pareva cheandassero a gara per provare chi aveva ipolmoni piů resistenti.

Bandhara, nascosto in mezzo ad alcunifolti cespugli, lasciň che quellaprocessione di esaltati passasse, poi simise a seguirla ad una distanza di centopassi, pronto ad approfittare della primaoccasione per mescolarsi anche egli aquelle persone.



Era convinto che tutti quegli individuifossero compagni del fakiro e che per meglio nascondere la loro riunione ed

allontanare qualsiasi sospetto, avesseroorganizzata quella festa in onore dellademoniessa.

L a processione attraversň il boscosempre suonando, urlando e ballando, e sfermň dinanzi alla pagoda, circondando lagigantesca statua di Holica, che mani

gnote avevano coronata di fiori e difronde.

Dopo averla salutata recitando iventiquattro titoli laudativi concessi daBrahma per riavere la libertŕ, uomini edonne raccolsero rami e fogliemprovvisando dei falň che furono tosto



accesi, quindi ripresero le loro danzescapigliate, fra un baccano crescente,gareggiando coi volteggi e le piroette

delle baiadere. Bandhara, dopo d’aver dato al ragazzo le sue ultime istruzioni, siera confuso alla folla senza essere statonotato, urlando e sgambettando al pari

degli altri. Osservava perň attentamenteutti, colla speranza di scorgere qualche

viso conosciuto.

Ad un tratto trasalě. Aveva scorto ilcompagno del gigante turbinare assiemead una baiadera carica d’anelli d’oro e dipietre preziose.

Ero sicuro di non ingannarmi - mormorň Tutta questa gente č amica di quel

dannato futuro.



Si assicurň di aver sempre indosso larivoltella ed il pugnale e si confusenuovamente coi danzatori e le danzatrici.

essuno pareva che avesse fattoattenzione a lui, almeno fino allora, ancheperché non era il solo che indossasse il

costume dei bramini. Nondimeno si tenevn guardia, pronto a lasciare quella allegr

compagnia al primo allarme.

ntanto la foga e l’esaltazione della follaaumentava. Dei fiaschi ripieni di bang e daltri liquori circolavano rapidamente, edaltrettanto rapidamente si vuotavano.

Degli uomini e anche delle baiadere diquando in quando cadevano attorno aifalň, esausti o completamente ubriachi,



mentre i suonatori raddoppiavano ilfracasso, come se si fossero proposti distordire interamente quella folla quasi

delirante.

Bandhara si era ben guardato di accettarequei liquori e si schermiva destramente

quando qualche baiadera mezza ebbracercava di indurlo a bere. Doveva esserequasi la mezzanotte, quando i falň furonomprovvisamente spenti da abbondanti

secchi d’acqua, versati da alcuni uominiche erano usciti dalla pagoda.

Piů di metŕ delle persone giacevano alsuolo ubriache e nell’assolutampossibilitŕ di rimettersi in piedi. - Cosa

sta per accadere? - si chiese Bandhara,perplesso. - Questa abbondante



distribuzione di bang deve essere statafatta con uno scopo. Forse tutte questepersone non dovevano presenziare la

misteriosa riunione e gl’intrusi sono statiubriacati appositamente. Approfittiamodell’oscuritŕ e della confusione per entrare nella pagoda, prima che

s’accorgano della mia presenza.

Salě cautamente i gradini, e mentre imusicisti intonavano una marcia piů

rumorosa che mai, entrň nel tempio.

Appena varcata l’ampia porta, si trovňavvolto fra una profonda oscuritŕ, perchénessuna torcia illuminava l’interno.

Piegň a destra raggiungendo la parete e siavanzň silenziosamente finché gli parve d



aver trovato una specie di vano, entro cuisi rannicchiň. Allungando le braccia, lesue mani avevano incontrato due colonne

contorte, forse le trombe di due elefanti dpietra, incrociantesi dinanzi a lui.

Basteranno per nascondermi? - si chiese

non senza una viva ansietŕ. - Se miscoprono, dubito che mi lascino la vita.Sono perň bene armato e mi difenderň.

Si trovava nascosto da un quarto d’ora,quando vide entrare una trentina di uominaccompagnati da quattro altri cheportavano dei torcieri di ferro. La pesanteporta di bronzo fu chiusa alle loro spalle,poi quegli individui, che erano giocolieried incantatori di serpenti, si sedettero inmezzo alla pagoda, formando un ampio



cerchio.

Bandhara aveva gettato un rapido sguardo

all’intorno.

l tempio era immenso. Nel mezzo sivedeva Siva a cavallo del bue Nandi, e

all’intorno vi erano pilastri e colonnennumerevoli sorrette da enormi teste dielefante che incrociavano le loroproboscidi.

Vi erano pure altre statue, alcuneraffiguranti Ravana, altre Visnů conquattro braccia, e altre ancora leoni e

sfingi di grandezza mostruosa. Nel mezzosi elevava una cupola gigantesca edaltissima, ricca pure di sculture, di dipinte di stucchi di tsciuna che volevano



raffigurare dei leoni montati da DarmaRagia, il re giusto degli indů. La nicchia,entro la quale si era nascosto il

coraggioso cornac, era formata, comeaveva giŕ supposto, dalle proboscidi didue teste d’elefante, le quali,ncrociandosi a un metro dalla parete,

asciavano uno spazio piů che sufficienteper riparare un uomo. Essendo di marmoquasi nero, Bandhara, che si era giŕ sbarazzato del dootée per essere piůibero, poteva confondersi con quellainta, stante il colore oscurissimo della

sua pelle.

giocolieri e gl’incantatori si eranoappena seduti, quando da un corridoio chsi trovava all’opposta estremitŕ della

vecchia pagoda, Bandhara vide comparire



l gigante Barwani tenendo in mano unaorcia.

Dietro di lui s’avanzava un altro indianoavvolto in un dootée di seta gialla e chesubito il cornac non riconobbe.

Quando perň lo vide in mezzo al cerchiouminoso proiettato dalle torce, fece unosforzo per non lasciarsi sfuggire un grido.

Il fakiro!… - mormorň. - Non mi erongannato!… Sitama, poiché era proprioui, si sedette in mezzo ai giocolieri ed

agli incantantori, li guardň attentamente

uno per uno, poi chiese: - Vi siete tutti? -T utti - risposero ad una voce glintervenuti.



E quelli che vi accompagnavano?

— Li abbiamo ubriacati di bang e

dormono profondamente - disse unncantatore. — Non si risveglierannoprima di domani.

— Non vi sono quindi traditori, qui?

No, nessuno.

— Allora possiamo parlare dei nostrinteressi. Chi ha seguito il cacciatorebianco ed i suoi compagni?

Io - rispose un giovane indiano,alzandosi.

— Hanno ucciso il mangiatore d’uomini?

chiese Sitama. - Sě, il primo.



Perché il primo?

Perché ve n’erano due. Io ho assistito

alla loro caccia tenendomi nascosto t ra irami d’un tamarindo ed ho potutoaccertarmi che le bŕg erano due.

Hanno ucciso anche la seconda?

— No, ma si proponevano di andarla ascovare.

— Era con loro il cornac? — Non l’hoveduto.

l fakiro si lasciň sfuggire un gesto dicollera.

— Mi hanno detto che quell’uomo č il

braccio destro dell’ex favorito del gui



cowar e la sua misteriosa scomparsam’inquieta. Devono averlo lanciato sullemie tracce.

— Si puň accertarsene - disse il giganteBarwani.

Lo soť ma bisogna attendere il ritornodei cacciatori.

Pazientiamo fino a quel momento,

Sitama - rispose Barwani. —Nessuno divoi lo ha veduto?

Nessuno - risposero tutti.

Quell’uomo puň guastare i nostri affari efarci perdere la Montagna di luce. (Udendo parlare del famoso diamante,

Bandhara aveva fatto un gesto di stupore



anche di terrore. Come mai quei bricconierano riusciti a sapere il vero scopo delviaggio d’Indri? Chi poteva aver tradito i

suo padrone? Se il segreto era conosciutoe da gente di quella specie, Indri, Toby eDhundia erano esposti ad un gravepericolo, perché se il rajah avesse

sospettato, anche lontanamente, qualchecosa, non avrebbe di certo risparmiatonessuno. A quel pensiero, Bandhara si erasentito assalire da un forte brivido. Indri,l suo generoso padrone, era in pericolo.

Bisognava salvarlo a qualsiasi costo.

e sapeva ormai perfěn troppo per attendere altre rivelazioni. Era necessariouscire dalla pagoda, correre nel campo



diamantifero e mettere in guardia Indri eToby. Uscire? E come, se la pesante portadi bronzo era stata chiusa?

La pagoda č in parte diroccata -mormorň Bandhara. - Troverň qualcheapertura attraverso le pareti screpolate.

Bandhara era un uomo che non esitava maquando aveva preso un partito. Da quelmomento non ebbe che un pensiero:

andarsene al piů presto. Nessuno facevaattenzione a lui. Tutti ascoltavanoreligiosamente il fakiro, il qualeassegnava ai vari individui deglincarichi, aventi tutti un medesimo scopo:

quello di trovare il cornac e di nonabbandonarlo piů.



Finché vi preparate a cercarmi, ioagisco - memorň Bandhara. - Miritroverete piů tardi, se ci riuscirete.

Lasciň il suo nascondiglio e tenendosiaddosso alla parete, colla cui tinta oscurapoteva confondersi, si diresse

silenziosamente verso il corridoio, dalquale aveva veduto uscire Sitama ed ilgigante.

Aveva estratta la rivoltella ed il pugnale,ed essendo agile come un serpente, e adun tempo robusto, contava di potersidifendere lungamente nel caso che queimisteriosi individui gli fossero piombatiaddosso per impedirgli d’andarsene.Procedendo sempre lentamente, cogliocchi in guardia, aveva quasi raggiunta la



galleria, quando la sua ombra si proiettňsu una parete composta di lastre di marmocandidissimo.

Allungata smisuratamente dalla luce deiorcieri che erano stati in quel momento

alimentati con un abbondante getto di

resina liquida, fu subito notata da unodegli uomini che formavano circolo inmezzo alla pagoda. Bandhara, accortosiroppo tardi di quel tratto di parete

candidissimo, sul quale anche la suafigura spiccava nettamente, si era gettatoal suolo, ma un grido era echeggiato nelempio.

Lŕ!… Lŕ!… Qualcuno! - aveva gridato’uomo che aveva scorto l’ombra.

Giocolieri ed incantatori si erano levati d



scatto, come un solo uomo.

Guardate!… Un uomo che fugge!… -

aveva ripetuto la voce.

Bandhara, vistosi scoperto, si eraslanciato verso il corridoio ed era andato

a battere la testa contro una porta dibronzo che prima non aveva scorta, incausa della semioscuritŕ che regnavaall’estremitŕ della pagoda. Si provň a

spingere con uno sforzo supremo: la portaresistette.

Sono preso!… - esclamň. - Povero mio

padrone!…

giocolieri e gl’incantatori glipiombarono addosso come una muta di



mastini rabbiosi. Nelle loro manibrillavano coltčlli e pugnali.

Bandhara s’appoggiň contro la parete pernon venire preso alle spalle e puntňrisolutamente la rivoltella, gridando:

Chi mi tocca č uomo morto!…

l gigantesco Barwani con un gesto avevaarrestato lo slancio dei suoi uomini.

— Chi sei tu? — chiese.

Un uomo che desidera uscire di qui -

rispose Bandhara.

Come sei entrato nella pagoda?

Io non lo so; ho seguito la processione



che veniva qui a festeggiare Holica, poiho bevuto il bang e mi sono risvegliatoqui dentro.

— Perché sei armato? Per festeggiare lademoniessa non occorrevano né rivoltellené pugnali.

Ho l’abitudine di tenere delle armindosso.

— Sei un bramino?

Lo vedi dalle vesti che indosso - risposBandhara.

Cos’hai udito di quanto fu detto da noi? chiese Barwani, con voce minacciosa.

Nulla, perché io dormivo e non mi sono



svegliato che in questo momento. Barwansi volse verso il fakiro che in quelmomento aveva raggiunto i compagni e

che stava osservando attentamenteBandhara.

Cosa dobbiamo fare di quest’uomo,

Sitama? - gli chiese.

l fakiro non rispose: guardava sempreBandhara, il quale, dal canto suo,

vedendosi in procinto di venirericonosciuto, si studiava di coprirsi partedel volto col braccio armato dellarivoltella. Ad un tratto Sitama mandň ungrido di trionfo.

Il cornac dei cacciatori!… č cadutonella trappola come una tigre novellina!…



Amici, impadronitevi di quell’uomo outto sarŕ perduto.

Giacché m’hai riconosciuto, a te la miaprima palla! - gridň Bandhara, tendendo lmano armata.

Uno sparo si ripercosse nella pagoda,destandone l’eco.

on fu perň il fakiro che cadde, bensě un

giocoliere, il quale con una mossa

fulminea si era gettato dinanzi al suo capofacendogli scudo col proprio corpo.

Addosso!.,. - gridň Barwani, afferrandoun torciere di ferro. Tutti si eranoscagliati innanzi, impugnando i coltelli.



L’uomo mi occorre vivo! - gridň Sitama

Quell’avvertimento giungeva a tempo

perché i sapwallah ed i giocolieri, furiosistavano per fare a pezzi il coraggiosocornac.

Questi non si era arrestato e avevacontinuato a far fuoco in mezzo allamassa, bruciando perfino l’ultimacartuccia e gettando a terra, morti o feriti,

altri cinque uomini.

Consumate le cariche, scagliň l’arma sulviso d’un settimo avversario spaccandogl

a fronte, poi impugnato il coltello, caricňgli assalitori coll’impeto d’una tigreassetata di sangue.



Sperava di aprirsi il passo fra quellabanda furiosa e di rifugiarsi verso l’altraestremitŕ della pagoda.

Barwani perň lo sorvegliava. Nel

momento in cui il cornac stava per mpegnare la lotta coi giocolieri e coglincantatori, gli si slanciň addosso

prendendolo per le spalle e lo atterrň.

Subito dieci mani legarono strettamente ilprigioniero, impedendogli di farequalsiasi movimento.

Sei preso - disse il fakiro,avvicinandosi.

— Allora uccidimi — rispose Bandhara,



freddamente.

Non sono cosě sciocco; tu puoi essermi

molto utile, mio caro.

T’inganni.

E mi racconterai molte cose che ioancora ignoro e che mi preme di sapereper condurre alla fine una certa miampresa.

Quella della Montagna di luce, č vero,fakiro? - chiese Bandhara, ironicamente.

Udendo quelle parole, Sitama avevastrappato ad un giocoliere un pugnale e’aveva alzato sul cornac.

Ah!… Tu sai questo!… - esclamň, con



voce ronca. - Tu hai pronunciata la tuasentenza di morte.

Eseguscila, dunque.

Un colpo di pugnale sarebbe troppodolce per te - disse Sitama, restituendo

’arma al suo proprietario. - Prendetequest’uomo e chiudetelo in una cella dellapagoda. La fame farŕ giustizia evendicherŕ i nostri compagni.

Sii maledetto, miserabile fakiro - disseBandhara. - Un giorno anch’io sarňvendicato dal cacciatore bianco e dal mio

padrone.

Allora tu non sarai piů vivo ed i topi tiavranno rosicchiate perfino le ossa. Il



gigantesco Barwani afferrň il disgraziatocornac, lo sollevň come fosse unfanciullo, aperse la porticina di bronzo

premendo una molla nascosta nella paretee scomparve nell’oscuro corridoio.



IL PICCOLO SADRAS

Sadras, fedele alla parola data, non avevaasciato i cespugli che gli servivano di

rifugio.

Da quel nascondiglio aveva potutoassistere alle diverse fasi della festanotturna e vedere anche Bandhara amescolarsi fra quella folla urlante eubriaca di bang.

Poi, non senza provare una stretta alcuore, perché cominciava ad amare il suonuovo padrone, lo aveva veduto entrarenella pagoda nel momento in cui sispegnevano i falň.



Va a perdersi - aveva mormorato ilbravo ragazzo.

Quando vide entrare anche i giocolieri edsapwallah e chiudersi la porta del

empio, Sadras, non potendo piů

rattenersi, era uscito dal suonascondiglio,

strisciando verso la gradinata.

Una irresistibile curiositŕ, lo spingevaverso la pagoda. Voleva vedere cosastava per accadere nell’interno e se il suo

padrone si esponeva a qualche pericolo.Trovandosi dinanzi a tutti quegli ubriachiche russavano sonoramente, chi

sdraiati sulle gradinate ed altri attorno



alla statua di Holica, Sadras aveva battutoprudentemente in ritirata, per paura disvegliarne qualcuno e di venire sorpreso.

Si allontanň cautamente girando attornoall’immensa pagoda, colla speranza dirovare qualche apertura che gli

permettesse di entrare. Giunto sotto unafinestra che si apriva a sette metri dalsuolo, si era fermato a guardarla.

La luce dei torcieri si rifletteva sui vetricolorati, facendoli scintillare vivamente.

— Se potessi giungere lassů - mormorň.

La scalata non era difficile, perché ancheall’esterno le pareti erano adorne diColonnati, di statue, di bassorilievi, di



este di leone e soprattutto di elefanti

ncrocianti bizzarramente le loro trombe.

1 Sadras era ŕgile come una scimmia edotato d’una forza non comune pei ragaz- zi della sua etŕ.

S’aggrappň alla proboscide di un elefanteche s’univa ad un capitello sostenente unastatua raffigurante Rama, e si mise a

salire, puntando i piedi nudi con’ tro lescrepolature della parete.

Superata felicemente anche la statua,

s’afferrň al margine d’un capitello eissŕndosi a forza di braccia potč

finalmente giungere alla finestra alla qualmancavano parecchi vetri.



Proprio in quel momento Bandharabruciava la sua cartuccia. Col cuorestretto da un’angoscia inesprimibile, il

ragazzo potč assistere alla terribile lottaerminata cosě malamente pel poverocornac e udire anche perfettamente leultime parole pronunciate dal fakiro.

Atterrito, madido di freddo sudore, ilragazzo aveva abbandonata la cornice, si

era lasciato scivolare lungo la statu, poiungo la proboscide, toccando il suolo.

on aveva piů che un pensiero: quello di

correre in cerca dei cacciatori e di

avvertirli di quanto era accaduto.

Era l’unico mezzo per poter salvare



Bandhara. Attraversň sempre correndo ilbosco, poi i giacimenti diamantiferidirigendosi

verso una fattoria che si trovava a brevedistanza dalla cittŕ e dove era conosciuto,avendo servito qualche mese durante la

raccolta del cotone.

Quantunque fossero appena le due delmattino, Sadras non esitň a battere il gongsospeso sopra la porta.

Mi necessita un cavallo pel mio nuovopadrone - disse al servo che era accorsoad aprirgli. - Darň a te dieci rupie se meo noleggi per ventiquattro ore. La cifra



era troppo elevata per lasciarselasfuggire. Il servo, senza prendersi la brigadi andare a svegliare il padrone e

conoscendo d’altronde il ragazzo, nonesitň un solo momento.

Il proprietario non mi rimprovera di

certo di avergli fatto guadagnare unamanata di rupie - disse. - Attendimi pochiminuti, piccolo Sadras.

Un momento dopo apriva uno dei cancellidella fattoria, conducendo a mano uno diquei cavallucci di razza irlandesechiamati poney, introdotti dagli inglesianche in India.

Andrai lontano? - chiese il servo,ntascando le rupie. — Non storpierň il



uo cavallo, te lo prometto.

Balzň in sella senza servirsi delle staffe e

allentň le briglie, partendo a corsasfrenata.

Come la maggior parte degl’indiani del

Bundelhand, Sadras era un buoncavaliere. Si era abituato fin da piccino ascorrazzare gli altipiani sul dorso di queifocosi cavallucci e non vi era pericolo

che la sua corsa terminasse in uncapitombolo.

Riattraversň i terreni diamantiferi e filň

verso il settentrione, dove scorgevansiconfusamente una linea di collinettendicanti le grandi miniere, quelle che le

frequenti invasioni del terribile



mangiatore d’uomini avevano rese cosěpericolose da costringere i lavoranti adabbandonarle.

Sadras non sapeva dove si fosseroaccampati i cacciatori, ma era certo dirovarli in qualche luogo.

Aveva giŕ attraversate le colline e ancheparte della seconda zona diamantifera,quando sul margine d’un bosco scorse due

falň che fiammeggiavano fra le tenebre.

Che sia l’accampamento dei cacciatori? si chiese, rallentando la corsa, per

accordare un po’ di riposo al poney. -on possono essere che essi, perché piů

nessuno frequenta questi paraggi dopo lacomparsa della bŕg.



Guardando piů attentamente, scorsepresso i fuochi un carro di dimensionienormi e delle ombre umane.

Devono essere i cacciatori - mormorň.

Eccitň nuovamente il poney e si diresse a

quella volta superando delle montagnesassose che si stendevamo dinanzi allaforesta.

Giŕ non distava che qualche centinaio dipassi, quando un uomo comparve dinanziad uno dei falň, gridando:

Chi vive?

un amico del cacciatore bianco - risposel ragazzo, balzando agilmente a terra.



Lo sikkari che era di guardia s’avanzňverso di lui, tenendo la carabina puntata.Vedendo quel fanciullo non potč trattener

un gesto di stupore.

— Chi ti manda, ragazzo? - chiese. - Unamico del gran cacciatore - rispose

Sadras.

— E non hai avuto paura a venire qui, dinotte ed inerme? Questo č territorio del

mangiatore d’uomini.

Io non ho paura. Dov’č il cacciatorebianco? Ho un messaggio urgente per lui.

— Non č ancora tornato.

č necessario che io lo veda subito.

Lo sikkari raggiunse i suoi compagni



nformandoli del desiderio del ragazzo.— A quest’ora anche la seconda tigredeve essere stata uccisa - disse il capo

dei battitori. - Non avete udito quei colpidi fucile?

Sě - risposero tutti.

Allora possiamo andare incontro aicacciatori.

— O fare dei segnali - disse un altro. -Udendo delle scariche comprenderannoche qualche cosa di grave deve accaderequi e non tarderanno a venire.

— Fateli subito - disse Sadras. - Ilcacciatore bianco vi sarŕ riconoscenteperché ciň che devo comunicargli č un



affare della massima importanza.

Gli sikkari scaricarono in aria le loro

carabine, uno alla volta, poi, dopo unminuto d’intervallo, ripeterono lescariche.

Un momento dopo, in mezzo alla forestaecheggiavano, uno dietro l’altro, tre spari.

Se ci rispondono devono aver compresoche noi li richiamiamo - disse il capo deibattitori. - Forse a quest’ora sono giŕ inmarcia. Ripetiamo i segnali. Alle quattro

detonazioni risposero ancora le carabinedei cacciatori e questa v olta molto piůvicine.



Vengono - disse il capo.

on erano trascorsi venti minuti

dall’ultimo sparo, quando si videro usciredalla foresta Toby, Indri, e Dhundiarascinando la seconda tigre. Il capo degl

sikkari s’affrettň a muovere incontro a

oro.

Sahib, — disse, rivolgendosi a Toby - čgiunto or ora un ragazzo da Pannah e dice

che ha un messaggio urgente daconsegnarti. - Da parte del rajah? - chieseToby.

— Lo ignoro: ecco il fanciullo.

Sadras si era avanzato verso i cacciatorisalutandoli con un profondo inchino. - Ch



i manda? - chiese Toby, guardandoloattentamente.

— Un uomo che mi prese ieri ai suoiservigi e che mi disse essere un amico decacciatore bianco.

— Come si chiama?

Non lo so, ma leggendo il biglietto chemi ha dato, forse lo saprai, sahib.

— Dammelo.

Sadras si frugň nella fascia che gli

stringeva i fianchi ed estrasse una cartapiegata in quattro.

Lasciami leggere da solo - disse

volgendosi a Indri. - M’immagino di che



cosa si tratta.

Si diresse frettolosamente verso il campo

e sedutosi presso uno dei fuochi, lesseansiosamente il biglietto.

on conteneva che poche righe, ma

dicevano abbastanza per spaventare’intrepido cacciatore.

Sahib - aveva scritto il cornac -qualcuno ci ha traditi e lo scopo dellavostra

mpresa č conosciuto dal fakiro. Vi sonodei nemici che vegliano su di voi e

che spiano tutti i vostri atti.



Ho scoperto il rifugio del fakiro e questasera vado a trovarlo. Se mi uccidono,

vendicatemi.

Ťbandhara.ť

Leggendo quelle righe, Toby si erapassato due volte la destra sulla fronte,per tergersi il sudore che gliela bagnava.

Siamo stati traditi! - mormorň, coi dentistretti. - E ci si sorveglia! Allora Indri čperduto. Lo aveva sospettato, ma chi sarŕ questo traditore? Parvati l’infame ministr

del guicowar? O sarŕ invere quel Dhundiache tutte le volte che lo guardo mi fa’effetto d’un rettile? Ho fatto bene ad

agire cosě e forse non avrň a pentirmene



d’essere stato prudente e sospettoso.

Si guardň intomo.

ndri fingeva di occuparsi della tigre;Dhundia invece, seduto su un mucchio disassi, guardava il cacciatore come se

avesse cercato di sorprendere sul viso diui le diverse emozioni dell’animo.

— Si direbbe che mi spia - mormorň

Toby. — Stiamo in guardia. Piegň ilfoglio, se lo mise in tasca, poi s’accostň andri, dicendogli:

č un biglietto che mi manda un mioamico. Mi invita ad andarlo a trovare peruna partita di caccia.

— Dove si trova? - chiese l’ex favorito,



guardando fisso il cacciatore esorridendo.

A quattro miglia da qui, al di lŕ delleminiere di Kamarga. Avendo saputo cheo sono venuto qui, desidera di vedermi e

di valersi della mia carabina per

sbarazzarlo d’un rinoceronte che gliguasta le piantagioni.

— E ci andrai?

E verrai anche tu, Indri.

E chi porterŕ al rajah le pelli delle tigri?

Se ne incaricherŕ Dhundia - risposeToby.

Non desiderate che io vi accompagni? -



chiese questi, un po’ piccato.

La vostra presenza č piů utile in Pannah

che alle miniere - rispose Toby.

Rappresenterete il cacciatore biancopresso il rajah fino al nostro ritorno.

— Durerŕ molto la vostra assenza?

— Qualche giorno.

n quel mentre Toby si sentě toccare per

dietro. Era Sadras.— Cosa vuoi ancora ragazzo? - chiese ilcacciatore, quasi con noncuranza.



— Devo parlarti, sahěb.

So cosa vuoi dirmi - rispose Toby. -Vuoi venire, con me?

Sono ai tuoi ordini, sahib. Quando partite? - chiese Dhundia, che

era diventato di cattivo umore.

Subito - disse Toby. - Se il rajah viriceverŕ, gli direte che presto vedrŕ ancheme.

E partite senza prendere un po’ diriposo?

Sono abituato alle veglie e credo che



anche Indri lo sia del pari.

Dormiremo piů tardi nel bungalow deluo amico - rispose, l’ex favorito del

guicowar, il quale aveva giŕ compreso

che Toby doveva avere qualche gravemotivo per affrettare quella partenza.

Allora partiamo - disse il cacciatore. -

L’alba sta per sorgere e faremo unasuperba passeggiata.

Fece caricare sul poney di Sadras dei

viveri e delle munizioni, si gettň lacarabina ad armacollo ed invitň Indri aseguirlo.

Gli sikkari intanto aggiogavano i buoi al



carro per far ritorno a Pannah. Dhundia,dopo d’aver raccomandanto a Indri diornare presto, essendovi piů gravi

nteressi presso il rajah che nelle forestedell’altipiano, si era sdraiato sui cuscinidella ruth, coll’intenzione di fare unabuona dormita. Sadras, vedendo Toby

dirigersi verso la foresta invece dipiegare attraverso i terreni diamantiferi,gli si era accostato, dicendogli: - Sahib, lpagoda non si trova da quella parte.

Seguimi per ora - rispose il cacciatore.

A quale pagoda allude? - chiese Indriche cominciava a non comprendere piůnulla. - Che il tuo amico abiti un tempio?

Silenzio, Indri - rispose Toby. - Fra



poco saprai tutto.

Camminň senza piů parlare fino al

margine della foresta, scrutň attentamentee piante, poi si cacciň in mezzo allemacchie.

Guarda se il ruth si č mosso - disseallora a Indri.

Ha giŕ lasciato il campo e sta

attraversando i terreni diamantiferi.

l cacciatore cercň un posto ben riparatodai raggi del sole, il quale stava allora

alzandosi, battč la macchia tuttaall’intorno per accertarsi che nessunopotesse sorprenderli, poi si sedette ediede a Indri la lettera di Bandhara,



dicendogli semplicemente:

Leggi.

Appena dato uno sguardo a quelle righe,’ex favorito del guicowar si era lasciato

sfuggire un grido, mentre la sua pelle

abbronzata si scoloriva rapidamente.

— Traditi!… - esclamň con vocesoffocata. - Io sono perduto!…

— Non lo sei ancora, mio buon amico -disse Toby, con voce energica.

Se si conosce lo scopo del mio viaggio,o sono rovinato.



No, Indri, perché noi daremo battaglia aquesti nemici misteriosi che tramanonell’ombra per rovinarti. Ascoltiamo ora

questo ragazzo che puň darci dellepreziose informazioni. Dove hai lasciato’uomo che ti ha data questa lettera?

Nella pagoda, sahib. Da una finestra hoassistito alla lotta e non ho lasciato quelposto finché non l’ho veduto cadereoppresso dal numero.

Bandhara preso! - esclamarono Indri eToby ad una voce.

č forse il nome del mio padrone? -chiese Sadras.

Sě, e narraci tutto, perché noi non



sappiamo ancora cos’č avvenuto del tuopadrone - disse Indri.

Quando Toby e l’ex favorito appreserociň che era toccato a Bandhara, adentrambi sfuggě la medesima frase:

Bisogna salvarlo!

Io sono pronto a guidarvi alla pagoda -disse Sadras.

E come faremo noi a lottare contro tantinemici, decisi a tutto? - chiese Indri. - Ehai rimandato anche Dhundia!… Era

almeno un uomo di piů.

L’ho allontanato perché sospetto di lui -disse Toby, con accento grave.



Sento per istinto che intorno a noi ronzaun traditore.

Ed a quale scopo Dhundia miradirebbe?

Lo ignoro, ma io diffido di lui. Se

quell’uomo fosse d’accordo con Parvati?

Toby, tu mi apri gli occhi.

Non precipitiamo dei giudizi per ora.on abbiamo alcuna prova che possaconfermare i nostri sospetti, tuttavia sonopiů contento che quel Dhundia sia piů

ontano che vicino. Ecco perché honventata la storiella del cacciatore mio

amico.

Grazie, Toby. Tu sei coraggioso e



prudente, il vero uomo che mi eranecessario per compiere la mia difficilempresa. E cosa fare ora? Se i miei nemic

avessero giŕ informato il rajah del mioprogetto?

Ci avrebbe fatti arrestare - disse Toby.

Se siamo ancora liberi, significa chenessuno ha osato parlargli.

Io vorrei sapere il motivo che spinge

quel fakiro contro di me. - ForseBandhara lo sa ed ecco il perché noidovremo fare il possibile per strapparlodalla sua tomba.

Nel frattempo potrebbe morire.

Resisterŕ alla fame qualche settimana e



anche di piů ed in sette od otto giorni sipossono compiere anche dei miracoli -disse Toby.

Ed il rajah?

— Ci vedrŕ quando piacerŕ a noi.

E Dhundia?

Che ci cerchi, se lo vuole.

Gli riuscirŕ facile perché un uomobianco non sfugge facilmente in una cittŕ abitata quasi esclusivamente da indiani. -

Mi camufferň da indiano Indri, cosěperderanno le mie tracce. Lasciamo ora inpace la Montagna di luce e occupiamocidi Bandhara; quella non fuggirŕ mentre

questi puň morire e portare nella tomba



dei segreti importanti.

Cosa mi consigli di fare?

Tornarcene subito a Pannah per altravia, cambiare pelle e poi recarci allapagoda.

Senza assoldare degli uomini che cipossano aiutare? - chiese Indri.

Preferisco agire da solo - rispose Toby. Io non ho paura né dei sapwallah, né degiocolieri e tanto meno di quel furfante difakiro. Quando poi avremo liberato

Bandhara, colpiremo tutti coloro checonoscono il nostro segreto e li ridurremoall’impotenza.

Un’impresa cosě difficile che mi



spaventa, Toby - disse Indri con voceriste.

Se non li avremo schiacciati tutti, nonpotremo fare il colpo contro la Montagnadi luce, perché la minima delazionecosterebbe la morte a me ed a te.

Si volse verso Sadras il quale li avevaascoltati in silenzio.

Come ti chiami? - gli chiese Toby.

Sadras, sahib.

Sei affezionato al tuo nuovo padrone?

Sě, perché egli era buono e generoso.

Conosci gli uomini che lo hanno fatto



prigioniero?

Due li riconoscerei anche fra mille.

Chi sono?

Uno č un incantatore di serpenti di

statura gigantesca; č quello che haatterrato il mio padrone e che lo haportato nel sotterraneo. So che si chiamaBarwani.

E l’altro? - chiese Indri.

č un giocoliere.

Ed il fakiro lo hai veduto?

Sě, ma non so se potrei ravvisarlo.



— Questo ragazzo č d’una intelligenza

straordinaria e saprŕ renderci preziosiservigi - disse Toby. - Rientriamo inPannah, Indri, trasfiguriamoci in modo darenderci irriconoscibili, poi agiremo. Ah

… Mi dimenticavo i miei due servi.Devono essere rimasti al bungalow delrajah. Sono due uomini preziosi e d’uncoraggio esperimentato.

Vi č Dhundia al bungalow — dissendri.

S’incaricherŕ questo ragazzo diavvertirli che ho bisogno di loro e senzache Dhundia se ne accorga. Partiamo edimentichiamo che Bandhara fra poche



ore sarŕ alle prese colla fame. Cane d’unfakiro!… Avrň la tua pelle!… Fecerosalire Sadras sul poney onde non

stancarlo troppo, e si misero in marciaattraverso i terreni diamantiferi,procedendo con passo rapido.

on seguivano perň la via tenuta dal ruth,desiderando rientrare in cittŕ dalla parteopposta onde non farsi notare da qualcunodegli sikkari o dai compagni del fakiro.

A mezzogiorno, quando il calore torridodel sole aveva rese le vie deserte, i duecacciatori e Sadras entravano in cittŕ,passando attraverso un bastione franato inparte nel fossato.

Conosci qualche venditore di vestiti? -



chiese Toby al ragazzo.

Sě, sahib - rispose questi.

Allora cerchiamo innanzi a tutto unalloggio e che non sia troppo di lusso.Sadras, avvertito delle loro intenzioni, li

condusse in uno dei sobborghi dove vierano varie capanne di bambů, coi tetti difoglie di coccotiero.

Toby fece chiamare il proprietario e neappigionň una che sorgeva isolata inmezzo ad un orticello coltivato ad indaco

Mi č necessaria per deporre qui le miearmi e le mie munizioni - aveva detto alproprietario. - Sono troppo pericolose peenersi in casa, con tanti servi inesperti e



curiosi.

Pagň il doppio della somma richiesta e

prese senz’altro possesso. Mezz’ora dopoSadras, il quale aveva ricondotto il poneyalla fattoria, ritornava con due indianicarichi di vestiti d’ogni colore e d’ogni

dimensione. Toby, che amava mostrarsigeneroso nella sua qualitŕ d’europeo,comperň l’intero assortimento che dovevaservire, diceva lui, ai suoi sikkari, quindi

si mise a fare la scelta.

Erano abiti giŕ usati, ma ancora in ottimostato. Vi erano costumi di maharatti, disceikki, di misoriani, di sipai, di beisi odagricoltori e di sudra, ossia da servi.Toby si trovň un bellissimo turbante gialla righe azzurre ed un vestito da



pengiabese che doveva attagliarsi ameraviglia al suo corpo massiccio epoderoso, mentre Indri levava

dall’ammasso un vecchio costume dasceikko che doveva aver servito a qualchcapo di questi arditi e bellicosi montanari

Cominciamo la nostra trasformazione -disse il cacciatore.

Sadras era nuovamente uscito per tornare

poco dopo con vari vasi e scatolecontenenti tinture e pomate di varie speciee alcuni rasoi. Toby appese unospecchietto alla parete e con pochi colpidi rasoio fece cadere le basette ed i baffi,mentre Indri gli rasava la testa, nonavendo gl’indiani l’abitudine di portare icapelli lunghi.



Ciň fatto si lavň parecchie volte in unacatinella contenente una tintura bronzinache aveva dei superbi riflessi ramigni.

Quando gli parve che la pelle fossediventata sufficientemente oscura, indossňl costume che aveva scelto.

Cosa ti pare, Indri? - chiese.

Non ho mai veduto un pengiabese cosě

splendido - disse l’ex favorito. - Non timancano che gli anelli d’oro agli orecchi

— Quel bravo ragazzo me ne ha portati

vari. Non saranno d’oro, perň l’illusionesarŕ perfetta. Credi che il fakiro possariconoscermi?

Se non ti fossi dipinto e vestito in mia



presenza, non ti riconoscerei nemmeno io rispose Indri, il quale stava tingendosi i

volto di nero.

E tu, piccolo Sadras?

l ragazzo si mise a ridere.

Direi che non ti ho mai veduto prima diquesto momento, sahib — rispose.

Allora posso sfidare quel briccone difakiro. Ascoltami ora, piccolo Sadras.

Parla, sahib.

Sai dove si trova il bungalow che noiabitavamo?

— Sě, vi sono stato con Bandhara.



Io ho due servi colŕ che rispondono ainomi di Thermati e di Poona, due valorosche ci saranno di molto aiuto nella nostra

difficile impresa. Tu devi condurmeli quima Dhundia deve ignorare che sono io chi desidero.

Non mi farň vedere da lui, sahib -rispose il ragazzo.

— Sei capace di compiere questa non

facile commissione?

Conta su di me, sahib. I tuoi uominiverranno qui e nessuno lo saprŕ.

Va’, ragazzo; tu sei piů astuto e piů abiled’un uomo. Ed ora - disse, volgendosiverso Indri - andiamo a fare colazione ed



ad architettare il nostro piano.



SPEDIZIONE

NOTTURNA

Due ore prima del tramonto, Toby e Indriasciavano la loro capannuccia, dopo

essersi armati di rivoltelle e di pugnalicomperati da un armaiuolo del bazar.Erano seguiti dal piccolo Sadras e dai duservi, due indiani d’un coraggio pro

vato che da parecchi anniaccompagnavano il cacciatore nelle suecorse attraverso l’India, misurandosi

anche essi colle feroci belve che infestane foreste di quell’immensa penisola.

Sadras, dopo un lungo appostamento nelle



vicinanze del bungalow, era riuscito adaccostarli nel momento in cui stavano perrecarsi a governare Bangavady, e

riconosciutoli per la descrizione fattaglida Toby, li aveva subito condotti alla

capanna.

l concorso di quei due uomini, affattosconosciuti al fakiro, doveva essereprezioso, anche perché entrambi oltre ad

essere coraggiosi, erano purerobustissimi, appartenendo alla vigorosarazza dei montanari del Bhutan.

Andiamo innanzi a tutto a vedere lapagoda, - aveva detto Toby a Indri,

poi vedremo cosa si dovrŕ fare per



salvare Bandhara e catturare quelmaledetto e pericoloso fakiro.

Per non affaticarsi troppo e poter sfuggirepiů celermente ad un inseguimento nonmprobabile, avevano noleggiati cinque

vigorosi cavalli. Appena usciti dalla cittŕ

per non allarmare le spie del fakiro, lequali potevano essere state scaglionate inmezzo ai campi, si erano divisi in duedrappelli. Toby ed il ragazzo formavano i

primo; Indri ed i due servi il secondo. Lacampagna pareva deserta. Nessun uomo svedeva in mezzo alle piantagioni dicotone e d’indaco, né sui sentieri che sidirigevano verso i campi diamantiferi chesi estendevano verso l’est.

Solamente dei marabů passeggiavano



gravemente sui margini dei fossati,cacciando i ranocchi gracidanti nel fondopantanoso.

Forse ci credono ancora occupati adnseguire il mangiatore d’uomini - disse

Toby. - Vedi nessuno tu, Sadras?

No, sahib - rispose il ragazzo, che glicavalcava a fianco.

Hai veduto delle abitazioni nei dintornidella pagoda?

Nessuna; essa sorge in mezzo ad un

bosco deserto.

Troveremo dei nascondigli?

Vi sono delle macchie foltissime, sahib.



nostri cavalli non verranno scoperti.

Ed una scalata alla pagoda, la credi

possibile?

La si puň tentare, essendovi colonnati ingran numero.

Abbiamo con noi delle corde e dei ganced i miei servi sono agili comequadrumani.

Ed anch’io so arrampicarmi, sahib -rispose Sadras.

Anzi conto molto su di te, ragazzo.

Mancava ancora un’ora al tramonto,quando giunsero sul margine del bosco.

Attesero di venire raggiunti da Indri e dai



due servi che li avevano seguiti daontano, poi cercarono una macchia

sufficientemente folta per nascondere i

cavalli. La trovarono senza troppa fatica.

Era un gruppo enorme di palmizi tara e dicespugli, collegati gli uni agli altri dapiante parassite e da rotang i qualiformavano dei festoni giganteschi, quasi

mpenetrabili.

Thermati e Poona aprirono a colpi d’asciuna specie di sentiero attraverso a

quell’ammasso di verzura, e fatto unargo, vi cacciarono dentro i cavalliegandoli al tronco d’un albero.



Ciň fatto il drappello si misesilenziosamente in cammino, dirigendosiverso la pagoda.

Sadras apriva la marcia ed i due servi lachiudevano.

Procedevano tutti cautamente, temendosempre di incontrare qualche uomo delfakiro, cosa non improbabile, servendoquel tempio di rifugio a quei bricconi.

Quando giunsero nei pressi della pagoda,l sole era tramontato. La luna cominciava

a sorgere dietro gli altissimi alberi che si

stendevano sull’altipiano, facendoscintillare le cupole del tempio.

— Io conosco questa gigantesca



costruzione - disse Toby. - L’ho visitatauna , volta assieme ad un mio amico cheabitava a Pannah.

— Hai veduto anche i suoi sotterranei? -chiese Indri.

— Sě, amico.

— Tu puoi diventare una guida preziosa,Toby.

— Adagio, Indri. Sono stato qui tre oquattro anni or sono e mi ricordo che ebbbisogno anch’io d’una guida per poter

visitare gl’interminabili corridoi chegirano intorno alla pagoda. Non sarŕ cosafacile trovare Bandhara. - Io ho vedutodove l’hanno condotto - disse Sadras il



quale non aveva perduto una sillaba, diquel dialogo.

— Tu diventi un ragazzo preziosissimo -disse Toby, accarezzandolo. - Vediamoora se la porta della pagoda č aperta.

Tenendosi curvi per non farsi scorgere,attraversarono velocemente la spianata egiunsero presso la gigantesca statuad’Holica, intorno alla quale si scorge,

vano ancora gli avanzi dei falň accesi lanotte precedente. Sulla gradinata non viera nessuno e la massiccia porta di bronzera chiusa.

— L’entrata da questa parte č impossibile disse Toby. - Ci vorrebbe una granata

per scuotere questa porta.



— Che il fakiro ed i suoi banditi abbianosloggiato? - chiese Indri. — Lasciandosolo Bandhara - aggiunse Toby.

— Non si ode nulla - disse Sadras, ilquale aveva accostato un orecchio ad unafessura della porta. - Si direbbe che la

pagoda č deserta. - Eppure tu mi hai dettoche quel Sitama l’abitava.

— E vero, sahib - rispose il ragazzo. -

L’avevano portato qui, non fidandosi piů asciarlo nella capanna.

Sai dove si trova quella catapecchia? -Sě, sahib.

Sapresti condurci?



E senza ingannarmi.

Piů tardi ci recheremo lŕ. Ora facciamo

l giro della pagoda e vediamo innanzi autto se si scorge qualche lume.

Discesero la gradinata e s’inoltrarono

attraverso le rovine dell’antica cinta,scalando i cumuli di macerie formati daavanzi di colonne, di capitelli, dicornicioni e di pietre di dimensioni

colossali.

Bei posti per tenderci un agguato - disseToby, il quale, per precauzione, aveva

estratta, la rivoltella.

Ho avuto anch’io il medesimo pensiero rispose Indri, pure impugnando le armi. -



Mi pare perň che non vi sia alcuno qui.

E che anche la pagoda sia stata

abbandonata. Le finestre non riflettonoalcun raggio di luce.

V’ingannate, signore - disse Thermati,

uno dei due servi. - Guardate lassů, versoa terza cupola: non scorgete una finestralluminata?

Per la mia morte! - esclamň Toby. -Lassů arde una lampada!…

Che sia la stanza del fakirol - si chiese

ndri.

Si trova perň cosě in alto che civorrebbero cinque scale per raggiungere

quella finestra - osservň Thermati.



Quando saremo entrati nella pagodaandremo a snidare anche quel messere

disse Toby. - Quale fortuna se fosse ilfakiro!…

Sahib — disse in quel momento Sadras.

č qui che ho dato la scalata al tempio.Ecco le due teste d’elefante e la colonnache mi hanno aiutato a salire fino a quellafinestra che s’apre sul cornicione.

Saresti capace di ritentarla e di gettarcipoi una fune?

Sě, sahib.

— Ha delle spranghe di ferro quellafinestra?



Quattro sahib. - Solide?

Grosse e robuste.

All’opera, mio bravo ragazzo.

Sadras si arrotolň intorno al corpo una

fune datagli da Thermati, poi s’aggrappňalle proboscidi degli elefanti e si mise asalire con un’agilitŕ da fare invidia ad unascimmia.

due servi intanto esploravano imonticeli! di rottami per accertarsi chenon vi era alcuna spia, premendo a tutti d

entrare senza farsi scorgere da queipericolosi bricconi, onde evitare qualchespiacevole sorpresa fra i tenebrosicorridoi dell’edifizio.



Sadras, come la sera innanzi, giunsefelicemente sul cornicione, aggrappandosalle sbarre di ferro della finestra.

Vedi nulla? - gli chiese Indri il quale,senza attendere la fune, si era issato finosulle proboscidi dei due elefanti.

Non v’č alcuna lampada accesa nellapagoda - rispose il ragazzo.

— E non odi nessun rumore?

Tutto č silenzio, sahib.

Lega la fune e gettala.

Sadras si provň a scuotere le sbarre per accertarsi della soliditŕ della muraglia, la

quale era qua e lŕ sgretolata e fu



soddisfatto.

Non cederanno nemmeno sotto il peso

del cacciatore bianco - disse. Legň la funpoi gettň l’altro capo ai compagni.

ndri, pure agilissimo, fu il primo a

raggiungere il cornicione, poi salironoToby ed i suoi servi.

Avevano appena ritirata la fune, quando

scorsero un’ombra gigantesca salire sugliammassi di rottami che circondavano lapagoda,

Che nessuno si muova! - comandň Toby Tenetevi immobili contro la parete.

Essendovi presso di loro delle statueraffiguranti alcune antiche divinitŕ, si



potevano confondere con esse.

S’incrostarono, per modo di dire, alla

parete, rattenendo perfino il respiro.L’ombra si avanzava con precauzione,fermandosi di quando in quando per guardare all’intorno.

Se Toby ed i suoi compagni avesseroardato qualche minuto, sarebbero statinfallantemente scoperti. Quel notturno

guardiano aveva avuto il torto di nonessere giunto prima e non s’immaginavadi certo che degli uomini lo spiasserodall’alto della pagoda. Toby si eracurvato verso Sadras, mormorandogliall’orecchio:

Lo conosci?



Sě, sahib. - Chi č.

Barwani, l’uomo che ha atterrato

Bandhara e che lo ha portato nelsotterraneo. - Un vero gigante.

E forte come un toro, sahib.

— Lasciamolo andare per ora.

L’indiano attraversň, sempre cautamente

gli ammassi di macerie e sparve dietro unangolo della pagoda.

— Che qualcuno ci abbia veduti a ronzare

ntorno al tempio? - disse Toby.

Lo sospetto - disse Indri. - Quell’uomoci cercava.



Da dove sarŕ uscito? Dalla porta dibronzo no di certo.

Vi sarŕ qualche altra entrata, Toby.

A noi basta questa finestra. Thermati,Poona, strappate le sbarre meno una cheservirŕ per legare la fune.

due indiani non se lo fecero dire duevolte. Senza adoperare le scuri per nonrichiamare l’attenzione di Barwani, ilquale poteva ritornare da un istante

all’altro, impugnarono solidamente lesbarre e le inarcarono, facendole in talmodo uscire dai loro alveoli.

Quell’operazione fu eseguita con tanta



abilitŕ da quei due robusti montanari, danon produrre il menomo rumore. Sequalcuno si fosse trovato a guardia del

empio, non avrebbe potuto udire nulla.

Che uomini solidi - disse Indri.

E coraggiosi - rispose Toby. - Li vedraialla prova, se avremo bisogno di far usodelle nostre armi.

ntrodusse la testa nel vano e ascoltň aungo, trattenendo il respiro.

Mi pare che non ci sia nessuno nel

empio - disse poi. - Oscuritŕ e silenzioperfetto.

Allora quel Barwani č rientrato per altr

via - disse Indri.



Puň darsi - rispose Toby. Lasciňscorrere la fune entro il tempio, provňancora una volta la soliditŕ della sbarra,

poi fece atto di alzarsi. Thermati loarrestň.

No, padrone - disse il montanaro. -

Lasciate passare prima me. Sono piů agildi voi e nessuno mi vedrŕ scendere.

Vuoi aver l’onore di sfidare tu il primo

pericolo?

Sě, se lo permettete, sahib.

Sia, pure.

Se incontro qualcuno devo ucciderlo?

No, mio bravo montanaro. Darai una



scossa alla fune per avvertirci e ciaspetterai. Dobbiamo agire tutti insieme.

Sě, padrone.

l montanaro passň attraverso il vano, simise il pugnale fra i denti, s’aggrappň all

fune e scomparve fra le tenebre.

Toby ed i suoi compagni stavano attentialla fune, ma questa non subě alcuna

scossa.

Thermati non ha incontrato nessuno -disse Toby, dopo qualche minuto.

La via č libera.

A noi ora - disse Indri.



A sua volta s’aggrappň alla fune e si misea scendere. I suoi piedi di quando inquando incontravano degli ostacoli, forse

delle statue e dei capitelli ornanti laparete interna della pagoda, perň sapevaevitarli destramente quantunque l’oscuritŕfosse cosě profonda da non poter

distinguere nulla.

Quando toccň il suolo, si sentě afferrareda due braccia robuste mentre una voce

chiedeva: - Siete voi, sahibl - Sě,Thermati - rispose Indri.

Credeva d’aver da fare con qualchenemico. Non si distingue nulla qui dentro

Hai udito nessun rumore? -No, sahib.



Aspettiamo gli altri.

Poco dopo tutti cinque si trovavano riunit

all’estremitŕ della fune. - Avete leampade? - chiese Toby.

Sě - risposero tutti.

Accendiamo una; senza un po’ di lucenon possiamo fare un passo.

Accendo la mia - disse Sadras.

Aveva levato da un piccolo involto unaampadina simile a quelle adoperate dai

minatori. Vi diede fuoco e fece alcunipassi innanzi, proiettando la luce in i tuttee direzioni.

Ecco laggiů la porticina - disse. - E da



quella che č passato Barwani portandoBandhara.

Facciamo prima il giro della pagoda -consigliň Toby. - Mi preme d’assicurarmdi non aver spie alla spalle. Le sorpresenon mi sono mai piaciute.

Lasciate a noi questo incarico, padrone disse Thermati, accendendo un’altraampada.

Mentre i due montanari si allontanavanoper ispezionare tutti gli angoli dellapagoda, Indri e Toby, preceduti dal

piccolo Sadras, si diressero verso laporticina.

Guardate - disse ad un tratto il ragazzo,



curvandosi verso terra. - Vi sono ancoradelle macchie di sangue sul pavimento.

— Sangue del mio cornac? - chiese Indri,con apprensione.

No, sahib - rispose Sadras-Bandhara ha

ucciso senza ricevere alcuna ferita. Si čbattutto come un leone, bruciando tutte lecartucce della sua rivotella. — QuelBandhara era un uomo risoluto - disse

Toby. - Non avrei mai sospettato in quelcornac, che pareva cosě tranquillo, tantaaudacia. S’appressarono alla porta e siprovarono a spingerla. Come quellaprincipale, . era di bronzo a bassorilievirappresentanti alcune scene della guerrafra Brahma, Visnů, calmata da Sivacomparendo fra i combattenti sotto la



forma d’una colonna di fuoco che nonaveva fine.

— č chiusa - disse Toby. - Come faremoper abbatterla? Ci vorrebbe una catapulta

Io ho veduto Barwani far scorrere le sue

dita su queste sculture - disse Sadras. - Vdeve essere qualche molla. - Cerchiamola disse Indri.

Vi erano all’intorno, lungo gli stipiti, deighirigori e delle scanalature interrotte da

gruppi di fiori finamente scolpiti, perň nosi vedeva alcun bottone. Indri e Toby siprovarono a toccare ogni rilievo e senzaalcun risultato perché la porticina



rimaneva ostinatamente chiusa.

Non verremo a capo di nulla - disse

Toby, seccato.

E forse Bandhara non č lontano - dissendri.

Cosa fare?

— Assaliamola a colpi di scure.

Accorrerŕ Barwani e probabilmente nonsarŕ solo. Preferirei entrare senzacombattimenti per ora. Noi non sappiamo

n quanti sono quei giocolieri e queisapwallah.

Mentre discutevano sul da farsi, Sadras s

era provato, a sua volta, a spingere. Ad un



ratto, con suo vivo stupore, vide la portacedere sotto la semplice pressione dellemani.

Sŕhib! - esclamň. - La porta č aperta!

č impossibile! - rispose Toby, non meno

sorpreso. - Mi sono provato io or orampiegando tutte le mie forze e noncedeva!

Eppure č aperta! - esclamň Indri.

Hai toccato qualche molla? - chieseToby.

No, sahib.

— Non hai fatto scorrere le mani su

queste scanalature?



Vi ripeto che non ho fatto altro chespingere.

Indietro, Sadras! Qui vi č un mistero chepuň terminare male per te. Qualcuno deveaverla aperta e forse ci attende nelcorridoio per piombarci addosso.

Thermati ed il suo compagno, compiuta laperlustrazione, erano tornati.

Preparate le armi - comandň Toby.

Poi, mentre puntava la rivoltella, diedealla porta un calcio vigoroso. L’enormeastra metallica s’aprě di colpo mostrand

un oscuro corridoio, il quale pareva che sabbassasse rapidamente sotto il livellodel pavimento. Toby prese la lampada diSadras e s’inoltrň risolutamente,



coll’arma sempre puntata, dicendo convoce risoluta: - Avanti!



I MISTERI DELLA

PAGODA

Quel corridoio che doveva condurre agliappartamenti abitati un tempo dai

sacerdoti della pagoda, era di formasemicircolare, colle pareti adorne disculture e di colonnette di marmo nero.Visnů, il dio conservatore degl’indiani, a

cui era stata dedicata la pagoda, si

vedeva dovunque assieme a Bumidevi dedella terra ed a Latscimi dea della

bellezza, entrambe sue spose ed a Moyensuo figlio, trasformatosi poi in una



donna bellissima per sedurre i giganti eogliere l’amurdon, il prezioso liquore

che dava l’immortalitŕ.

Un silenzio profondo regnava sotto quellearcate, appena rotto dal leggero

strofiněo prodotto dai piedi di quei cinqundividui.

Toby aveva subito fatto alcuni passivelocemente, credendo di trovare l’uomo

che aveva aperta la porta, invece non

aveva veduto nessuno.

Quel corridoio pareva assolutamentedeserto.



Questo silenzio m’inquieta - disse andri, il quale lo aveva raggiunto con

Sadras ed i due montanari. - Avrei

preferito trovare qualche resistenza.

Forse non hanno osato affrontarci -rispose l’ex favorito del guicowar. -

ondimeno diffidiamo Toby, chissŕ qualisorprese ci preparano.

Dove metterŕ questo corridoio?

Mi pare di scorgere una scalaall’estremitŕ - disse Thermati, il quale siera avanzato alcuni passi.

Allora non conduce nei sotterranei dellapagoda - osservň Toby. - Dove avrannorinchiuso Bandhara?



— Vediamo se ci sono delle porte - dissendri.

— Non ne vedo.

— Andiamo innanzi, Toby.

Proseguirono la via, sempre cautamente ecolle armi pronte e giunsero dinanzi

ad una gradinata in parte diroccata, la

quale saliva tortuosamente.

Cosa facciamo? - chiese Indri.

Saliamo - rispose Toby. - Vedremo dovfinirŕ.

Non si vede nemmeno qui alcuna porta.

o, Indri.



Salirono quaranta gradini e giunsero inuna vasta sala di forma quadrata, colSoffitto che terminava a cupola e le pareti

ricche di sculture e coperte in parte davecchi arazzi.

n quel luogo regnava un tanfo d’umiditŕ e

di muffa, quantunque lungo le pareti non sscorgesse la piů piccola goccia d’acqua.

Ecco una stanza che non deve essere

stata abitata da parecchi secoli - disseToby.

Stava per farne il giro, quando ai suoi

orecchi giunse un lontano gemito.Credendo di essersi ingannato non vi fececaso, ma pochi istanti dopo lo uděnuovamente e meglio distinto. Retrocesse



vivamente verso i compagni, in preda aduna viva emozione.

Avete udito? - chiese.

— Sě - risposero Indri ed i montanari.

Che quel gemito lo abbia mandatoBandhara? Quel disgraziato soffre la fameda quaranta ore.

Da qual parte proveniva? - chiese Indri,profondamente commosso. -Non so:ascoltiamo.

Si dispersero per la sala e tesero gliorecchi.

l gemito si ripetč distintamente e pareva

che provenisse dall’angolo piů oscuro.



Lŕ - disse Toby.

Si diressero tutti da quella parte, tenendo

alte le lampade e si trovarono dinanzi aduna statua enorme raffigurante la quartancarnazione di Visnů, quando dovetteramutarsi sotto la forma di un mezzo

uomo e mezzo leone affine di distruggerel gigante Cremano il quale, avendo

ottenuto da Brahma il privilegio di nonpoter venire ucciso né dagli dei, né dagli

uomini, né dalle fiere, si era fattoriconoscere per una divinitŕ.

Quella statua, di proporzioni gigantesche,era incrostata nella parete, impedendocosě di poter venire girata.

Che vi sia qualcuno nascosto entro



questa statua? - si chiese Toby.

Un altro gemito s’era udito e questa volta

dietro la parete che reggeva il dio.

Chi siete? - chiese Indri. - Dove sietenascosto? Chiunque voi siate, troverete in

noi dei protettori.

Questa volta non fu un gemito che risposebensě una voce ben nota a Toby, a Indri

ed Sadras; quella di Bandhara.

Sahib - aveva detto. - Muoio!

Bandhara! - esclamarono tutti. -Sonoo… sahib…

Dove sei? - chiese Indri.



Rinchiuso in una piccola cella e muoiodi sete.

Noi non ti vediamo.

Ma io scorgo un filo di luce entrare nellmia prigione.

Vi č un foro?

Sě, padrone, largo quanto una rupia.

Vi č qualche porta segreta qui?

Spostate la statua, padrone.

In quale modo? Ci vorrebbero ventiuomini a muovere questa massa.

Ho veduto Barwani toccare una molla.



Dove si trova? Parla Bandhara.

Non rammento se abbia toccata la parete

o la statua.

— Amici, cerchiamo! - disse Indri. -Bandhara, puoi resistere alcune ore?

Sě… quantunque mi senta bruciare lostomaco… Mi hanno dato da bere… nonso quale liquido infernale per raddoppiar

e mie sofferenze… padrone, salvatemi…ho dei segreti da svelarvi.

Hai piů riveduto il fakiro?

Piů nessuno č entrato in questa orribilecella.

due montanari, Sadras e Toby intanto



cercavano ansiosamente la molla segretache doveva spostare la divinitŕ.

Dopo d’aver toccato tutte le sporgenzedella parete, d’aver esaminatoscrupolosamente il gigante, di aver battutoperfino il suolo in tutti i sensi, dovettero

confessarsi vinti.

Nulla, assolutamente nulla! - avevaesclamato Toby, con accento disperato.

O la molla č stata guastata da queimiserabili onde non potesse piů agire o sirova in un luogo cosě celato da non

poterla trovare. Non ci rimane chedemolire la parete.

Un’impresa difficile e lunga - disse



ndri. - E poi le piccole scuri dei tuoiuomini s’infrangerebbero contro questepietre. Qui ci vogliono dei picconi.

Bandhara!

Padrone.

Non v’č nessun’altra apertura?

Non ne conosco altre.

Sahib - disse Sadras. - A due chilometrida qui vi č la miniera e lŕ troveremopicconi in abbondanza.

E se nel frattempo i giocolieri giungonoe ammazzano Bandhara? - disse Toby. -Forse quel Barwani si č giŕ accorto che

noi ci troviamo qui.



Andrň io coi vostri uomini e voirimarrete qui. Fra un’ora saremo diritomo.

Non possiamo fare diversamente, Toby disse Indri.

E se nel frattempo tagliano la fune?

Rimarrŕ Poona sulla finestra a guardiadella corda.

Sia - disse Toby. - Se non demoliamo laparete, Bandhara non potrŕ mai uscire.Andate miei bravi e se trovate la via

sbarrata, da quei banditi, ritornate senzampegnare la lotta.

Fidatevi di noi, padrone - disse

Thermati. - Io e Sadras andremo alla



miniera e Poona rimarrŕ sul cornicione.

Presero una lampada, impugnarono le

rivoltelle e sparvero silenziosamente giů

dalla gradinata.

Toby e Indri s’erano seduti presso lastatua.

Bandhara? - chiese Indri.

Padrone… sono sfinito dal sonno e daldigiuno.

Puoi riposarti finché noi vegliamo. Fraqualche ora, se tutto va bene, tu saraiibero e andremo a scovare quel dannato

fakiro. Durante la tua prigionia hai udito

nessun rumore qui?



Nessuno, sahib.

Allora i banditi hanno abbandonato

questa pagoda.

Lo ignoro.

Chiudi gli occhi e non preoccuparti di

noi. Siamo armati e non abbiamo paura di

quei miserabili.

on udendo giungere alcun rumore dallaparte della pagoda, erano ormai certi che

l ragazzo ed i due montanari avessero giŕrivarcata la finestra senza aver incontratoné Barwani, né i suoi bricconi.

Se vi fosse stato qualche allarme, lo



avrebbero udito, col profondo silenzioche regnava in quel luogo.

ondimeno né Toby, né Indri eranoranquilli; essi ripensavano sempre allaporticina di bronzo che prima avevaresistito ai loro assalti e che poi si era

aperta da sé, senza che alcuno di essiavesse potuto trovare la molla segreta.Toby, sempre piů inquieto, dopo dieciminuti d’angosciosa attesa si era alzato.

Voglio andare ad assicurarmi coi mieiocchi se nulla č accaduto ai nostri uomini disse.

Vuoi scendere nel tempio? - chiesendri.



č impossibile che io possa rimanere quiHo dei tristi presentimenti.

Se i nostri uomini avessero incontratoqualcuno avrebbero fatto fuoco, Toby, e ldetonazioni, centuplicate dall’eco,sarebbero giunte fino a noi.

— Tornerň appena mi sono assicurato chePoona si trova sul cornicione. Al di fuorideve brillare ancora la luna e lo vedrň

attraverso la finestra.

Vuoi la lampada?

č inutile; conosco ormai la via. Tuveglia su Bandhara.

Toby si diresse verso l’estremitŕ della

sala e si fermň sul primo gradino,



mettendosi in ascolto.

Nulla - disse. - Speriamo.

Scese la scala tenendosi appoggiato allaparete e s’inoltrň nel corridoio. Avevaperň fatti pochi passi, quando udě dinanzi

a sé un leggero strofiněo. Pareva chequalcuno trascinasse sulle pietre qualchedrappo.

č l’eco dei miei passi o qualcuno miprecede? - si chiese il cacciatore. Tobynon aveva mai conosciuta la paura;uttavia nel trovarsi solo in quel

corridoio, fra quelle fitte tenebre, enell’udire quel misterioso fruscio, avevaprovato un colpo al cuore.



Alzň la rivoltella per essere piů pronto afar fuoco, e dopo una breve esitazione sispinse innanzi, risoluto a chiarire quel

mistero.

l fruscio continuava dinanzi a lui e sidirigeva verso la pagoda. Toby si provň

ad affrettare il passo, ma anchequell’essere misterioso si allontanava conmaggior velocitŕ.

Quando giunse nella pagoda, l’oscuritŕ ermolto meno fitta di prima. La luna,raggiunta la sua maggior altezza,proiettava dei fasci di luce attraversoalcune aperture della vasta cupola,permettendo di discernere vagamente lestatue che si trovavano lungo le pareti.Toby guardň in tutte le direzioni e non



scorse nulla.

Che i miei orecchi mi abbiano

ngannato? - si domandň. - Eppuregiurerei il contrario.

Si era fermato presso la porticina di

bronzo, non sapendo se andare innanzi oretrocedere.

Ad un tratto si sentě rizzare i capelli e

bagnare d’un gelido sudore. Una dellestatue che decoravano le pareti si erastaccata e s’avanzava lentamente verso ilcentro della pagoda.

Era tutta bianca e di dimensionigigantesche. Pareva che un immensoenzuolo la coprisse dal capo ai piedi.



Sogno od i miei occhi vedono male? - sichiese. - Č possibile che delle statue simuovano e che possano passeggiare?

Quell’essere bianco, statua o spettro chefosse, s’avanzava sempre, dirigendosiverso la parte opposta del tempio.

Passň in mezzo ad un raggio di luce,mostrandosi tutto intero, poi rientrňnell’oscuritŕ, scivolando lungo la parete.

— Mi si giucca? - urlň Toby, furioso. - čun uomo che si burla di me!… Si slanciňnnanzi, puntň la rivoltella e fece fuoco.

Alla luce della polvere accesa avevaveduto quel fantasma scomparire fra dueeste d’elefante, le quali pareva che si



fossero scostate per fargli largo. Ladetonazione rimbombň lungamente nellapagoda, destando l’eco, poi si spense

verso la galleria, rumoreggiando per qualche istante ancora. Allo sparo avevarisposto un riso stridulo, beffardo, seguitoda un fischio acuto. Toby, doppiamente

ncollerito d’esser stato cosě corbellato,si era scagliato verso il luogo dove lospettro era scomparso.

Vivaddio! - gridň. - Vedremo se oseraiburlarti due volte di me!…

l suo slancio era andato a rompersicontro le due gigantesche teste d’elefante,e quali avevano ripreso il posto

primiero.



Guardň fra le proboscidi ches’incrociavano a mezzo metro dal suolo enon vide dietro di esse che un vano chiuso

da una lastra di pietra nera.

Ancora una porta segreta? - gridň. -Finirň per far minare queste vecchie

muraglie e farle saltare coi loro misteriosabitanti!…

L’INVASIONE DEI SERPENTI

Toby conosceva ormai troppo bene ledifficoltŕ che avrebbe incontrate se avessvoluto cercare la misteriosa molla che

aveva fatto spostare e quindi ricollocare



posto le due teste d’elefante, quindicredette inutile perdere il suo tempo.

Retrocesse rapidamente, guardandosintorno, e si fermň sotto la finestra, sullaquale doveva trovarsi Poona a guardiadella fune.

L’indiano non aveva abbandonato il suoposto, quantunque la detonazione di quelcolpo di rivoltella fosse giunta

distintamente fino a lui. Toby lo vide acavalcioni del davanzale, col corpo curvoverso l’interno della pagoda. Certo’indiano, allarmato da quello sparo,

cercava di distinguere l’uomo che avevafatto fuoco, ma fedele alla consegnaricevuta, non si era mosso e aspettava icompagni. Toby ebbe dapprima l’idea di



farlo scendere, poi vi rinunciň.

Non facciamo capire a questi misteriosi

abitanti che lassů vi č uno dei mieiuomini. Potrebbero assalirlo, troncare lacorda ed impedire in tal modo il ritorno dThermati e di Sadras. Ripieghiamoci

verso Indri.

Cogli occhi in guardia, gli orecchi tesi peraccogliere il menomo rumore, la

rivoltella sempre alzata, raggiunse laporticina di bronzo che metteva nelenebroso corridoio.

Giuntň colŕ, Toby si arrestň. Esitava acacciarsi in quella galleria, dalla qualeera pure uscito l’uomo vestito di biancocome un fantasma.



Se ve ne fossero degli altri nascosti eapprofittassero dell’oscuritŕ per piombarmi addosso? - si chiese.

A quel pensiero il cacciatore provňnvolontariamente un brivido. Non era

superstizioso e non aveva mai creduto agl

spiriti, pure in quel momento si sentivanvadere da un vero senso di paura.

Deve essere questa oscuritŕ che mi

mpressiona - disse. - Io che non ho mairemato dinanzi alle piů sanguinose fiere

dell’India, mi sento scombussolato da tuttquesti misteri e da quell’apparizione.

Stava per varcare la porta, quando gliparve di udire nella galleria un lieverumore. Questa volta non era quel fruscio



che aveva udito prima; pareva invece unostropiccěo prodotto dai piedi di qualcunoche s’avanzava verso di lui.

Un altro spettro? - mormorň. - Vedremose lo mancherň. Alzň la rivoltella, risoluta far fuoco, poi l’abbassň.

Se fosse Indri? - si chiese. - Ladetonazione deve essersi propagata anchenella sala.

Retrocesse nuovamente verso la pagodaper avere maggior campo e anche per poter distinguere meglio la persona che

s’avanzava, essendovi ancora un po’ diuce. Un momento dopo un uomo usciva

dalla galleria, tenendo un braccio teso earmato.



Sei tu, Indri? - chiese Toby.

Sě - rispose l’ex favorito del guicowar,

con voce alterata. - Sei stato tu a far fuoco?

Sě, amico. - Contro chi?

— Ho sparato su un uomo camuffato dafantasma e che era uscito da questagalleria.

L’hai ucciso?

č scomparso. Questa pagoda ha cento

porte segrete. -E Poona?

č sempre a guardia della fune. ‘



— Qui succedono certe cose, Toby, chefanno drizzare i capelli.

— Hai veduto qualcuno anche tu?

No, invece ho udito dei rumori strani chnon so spiegarli. Si sta preparando

qualche cosa contro di noi.

— E hai lasciato Bandhara!… Durante laua assenza potrebbero ucciderlo. Coloro

che lo hanno imprigionato, si sono forseaccorti che siamo venuti qui per liberarlo

č vero, Toby, e d’altronde, udendo lo

sparo, io non potevo rimanereranquillamente in quella sala. Temevo

che tu fossi stato assalito.

— Torniamo presso Bandhara. Spero che



giungeremo ancora in tempo. Percorserorapidamente la galleria senza incontranenessuno, salirono la scala e rientrarono

nella stanza illuminata dalla lampadasospesa alla gigantesca statua.

Bandhara? - chiamň Toby, con ansietŕ.

Sahib - rispose il povero cornac, convoce debole. - Sei sempre solo?

Sě, sa/i*.

Non č entrato nessuno nella tua cella? -o, padrone.

Toby respirň.

Temevo che avessero approfittato della

ua assenza per ucciderlo - disse,



volgendosi verso Indri. - Essi devonosapere che il tuo cornac conosce deisegreti che noi avremmo dovuto per

sempre ignorare.

— Eppure ci sono vicini quei misteriosinemici - disse Indri. - Mentre tu eri nella

pagoda, ho udito degli strani ronzěi, poidei bisbigli sommessi. Dove?

— Mi parve che provenissero dalla vňlta

— Che preparino qualche cosa contro dinoi? -Ne ho il sospetto.

Thermati fra pochi minuti sarŕ qui eappena liberato Bandhara ce ne andremo,mio caro Indri. Non metterň piů i piedi inquesta pagoda.



— Taci, Toby.

— Ancora i rumori?

No, mi pare che siano i nostri compagni

Toby si spinse verso la scala e vide

Thermati e Poona che portavano deipicconi e che erano preceduti da Sadras,l quale reggeva la lampada.

Di giŕ! - esclamň, con voce giuliva.

Abbiamo fatto scoppiare i cavalli,padrone - rispose Thermati.

— Avete incontrato nessuno nellapagoda?

No, signore - rispose Sadras.



Io perň ho udito uno sparo mentre ero diguardia sul cornicione - disse Poona. - Sestato tu, sahib, a fare fuoco?

Sě, involontariamente perň - s’affrettň arispondere Toby, il quale non volevaspaventare i suoi uomini.

Ecco qui dei picconi che demoliscono lerocce piů resistenti - disse Thermati. -Vedremo se la parete resisterŕ.

Adagio, prendiamo le nostreprecauzioni. Tu, Poona, mettiti a guardiadella scala assieme a Sadras. Chiunque

vedete apparire, fate fuoco.

— Non risparmieremo le cariche -rispose il montanaro.



E noi, al lavoro - disse Toby, afferrandoun pesante piccone. - Questa parete nonresisterŕ a lungo al nostro attacco.

ndri e Thermati si erano impadroniti didue altri picconi, istrumenti poderosi,adoperati dai minatori per sgretolare i

durissimi quarzi dei pozzi diamanti feri.

Lasciamo la statua, ed attacchiamonvece la parete - disse Toby.

Ai due lati della divinitŕ vi erano dueastre di marmo nero. Toby, che era il piů

vigoroso di tutti, vibrň il primo colpo,

facendo sprizzare miriadi di scintille.

Vi č del vuoto dietro questa pietra -disse. - Buon segno.



Al secondo colpo una crepatura s’aprě inutta la lunghezza della lastra. Indri e

Thermati introdussero le punte dei loro

picconi nella fessura, e pesando con tuttol corpo sui manichi, fecero leva, mentrel cacciatore continuava a percuotere con

crescente vigore.

Ad un tratto un pezzo cedette e cadde alsuolo con sordo rumore, lasciandoun’apertura sufficiente per lasciar passare

un uomo.

Bandhara - disse Indri, avanzando laampada.

Eccomi, padrone - rispose il cornac.

— Puoi uscire?



Sě, padrone. Sono assai debole, tuttaviaposso ancora camminare.

ndri ritrasse la lampada, ed il cornac,dopo aver fatto uno sforzo supremo,

comparve.

l disgraziato aveva le vesti a brandelli edl viso alterato e lordo di sangue. Era

cosě debole che appena fuori dovetteappoggiarsi alla statua.

Grazie, padrone - mormorň. - Credevo

di non rivederti piů mai.

Toby levň da una delle sue numeroseasche una fiaschetta e gliela appressň all

abbra.



Bevi un sorso di questo eccellente gin -gli disse. - Ti darŕ vigore. -Avreipreferito dell’acqua, sahib; muoio di sete

— Ho veduto uno stagno dinanzi allapagoda e ti disseterai a tuo piacimento.

Ho tante cose da raccontarvi.

— A piů tardi; per ora pensiamo asgombrare subito - disse Indri.

Sě, perché i sapwallah ed i giocolieridel fŕkiro sono numerosi e vivincerebbero facilmente.

— Appoggiati al braccio di Thermati eseguici.

Bandhara si era rialzato per obbedire,



quando sulla scala si udirono dei passiprecipitati.

I nostri compagni che tornano! - esclamňToby. - Brutto segno! Un momento dopoPoona e Sadras si precipitavano nellasala. Erano entrambi in preda ad una viva

agitazione.

Che cosa avete? - chiese Toby, conansietŕ.

Sahib - disse il montanaro, come vocerotta. - Abbiamo udito a chiudersi la portdi bronzo.

— Mille tigri!… - esclamň il cacciatore. Che ci abbiano rinchiusi? - Frtunatamenteabbiamo ancora i picconi - disse Indri. -



Se sarŕ necessario, demoliremo anche laporta.

n quel momento udirono nel corridoio aecheggiare alcuni suoni che parevanouscissero da uno di quei flauti usati daisapwallah.

Toby era diventato pallido. Sirammentava d’aver udito quella musicaquando si era inoltrato nella macchia per

nseguire il fakiro.

— č un sapwallah che suona, č vero,ndri? - chiese.

Sě — dissero Bandhara e l’ex favoritodel guicowar, rabbrividendo.

— Che vi siano dei serpenti anche in



questa maledetta pagoda? Amici, io temod’indovinare.

Lŕ musica intanto continuava, sempre piůdolce, sempre piů snervante, ma parevache non accennasse ad avvicinarsi.

— Andiamo a vedere - disse Indri,strappando la lampada a Sadras. - Voiprendete i picconi; ci possono essereancora necessari.

S’avviarono verso la gradinata; perňappena scesi alcuni grandinis’arrestarono, guardandosi in viso l’un

’altro.

ella galleria si udivano dei sibili, i quals’avvicinavano rapidamente. - I serpenti!



esclamň Toby, con voce soffocata. -Quei miserabili ci mandano addosso tuttauna legione di rettili.

— E non abbiamo altre uscite - dissendri. - Se i serpenti ci chiudono la via,

dove ci salveremo noi?

Ah! Padrone! - esclamň Bandhara. - Per

salvar me vi siete perduti!…

Abbiamo ancora le rivoltelle, - disseToby, - e le useremo.

Scese alcuni gradini proiettando dinanzi asé la luce della lampada. Un gridod’orrore gli sfuggě.



La galleria era piena di serpenti, di naie,di gulabi, di pitoni, di tigrati, di cobra.Eccitati dalla musica, la quale ora

affrettava il tempo, quei ributtanti edaltrettanto pericolosissimi rettili,s’avanzavano attraverso la galleriacontorcendosi, aggrovigliandosi gli uni

cogli altri, sibilando e fischiando. Ven’erano almeno duecento e fors’anche dipiů.

Siamo perduti! - esclamň Toby,retrocedendo. - Se questa musica noncessa, questi rettili saliranno fino a noi envaderanno la sala. Ah!… Dannato

suonatore!… Č lo stesso che mi ha fattofuggire quando lo cercavo nella macchia;č quel maledetto fakiro che ripete il

giuoco cosě ben riuscitogli sull’altipiano



…

O forse Barwani - disse Bandhara.

L’uno o l’altro, poco monta - osservňndri. - Pensiamo invece ad evitare’assalto di quest’orda strisciante.

Dove si nasconde quel suonatore? -gridň Toby.

— Si troverŕ al sicuro dietro la porta dibronzo.

Potessi ucciderlo!

— Uccidiamo i serpenti, intanto, Toby.

Si schierarono sull’ultimo gradino e

spararono alcuni colpi. Tre o quattro



serpenti caddero; gli altri, lungidall’arrestarsi, precipitarono la marciaalzando le teste e sibilando con maggior

rabbia.

La musica si affrettava sempre, ed i rettilincessantemente eccitati e diventati

furibondi, s’avanzavano senza sostare unstante.

Toby ed i suoi compagni bruciarono

ancora alcune cariche con scarsosuccesso. I rettili erano troppi es’agitavano cosě rapidamente da renderequasi impossibile il tiro, specialmente coarmi cosě corte.

Solo Toby e Indri avevano qualcheprobabilitŕ, e di rado mancavano al



bersaglio; perň si guardavano dalconsumare tutte le cartucce, non avendoneche sei ognuno.

Risparmiamele per piů tardi - disseToby. - Diventano troppo preziose.Riuscito inutile il tentativo d’arrestare la

marcia di quell’esercito strisciante, icinque uomini e Sadras risalironoprecipitosamente la scala, rientrando nellsala.

— Se si potesse barricare questa porta! -disse Toby. - Si potrebbe, se nonarrestare, almeno ritardare la marcia deirettili.

Sahib - disse Sadras. - Noi possiamofarlo.



— In quale modo?

Diroccando la parete e accumulando i

rottami dinanzi alla porta.

Strisceranno sopra la barricata - osservňndri.

Li uccideremo piů facilmente a colpi dicoltello - disse Bandhara.

Presto, aiutatemi! - gridň Toby.

mpugnarono i picconi e si misero apercuotere furiosamente la parete giŕ

ntaccata per liberare Bandhara.

Thermati e Sadras intanto raccoglievano ipezzi di pietra e li trasportavano

rapidamente dinanzi alla porta.



l cornac, quantunque sempredebolissimo, li aiutava alla meglio. Leastre di pietra, sotto quei colpi vigorosi

che assestavano Toby, Poona e Indri, sisgretolavano, ed i rottami siaccumulavano.

Se gli uomini lavoravano conaccanimento, anche i serpenti nonrimanevano inoperosi.

La musica diabolica continuava e queiributtanti esseri s’avanzavano sempre.Erano giŕ giunti ai primi gradini edavevano cominciato a salire, facendosforzi prodigiosi per giungere primi.

Thermati e Sadras, che accumulavano ipezzi di pietra, udivano distintamente i



oro sibili e li vedevano contorcersi nellapenembra.

Resi furiosi da quella musica precipitosaparevano impazienti di scagliarsi sugliuomini e di morderli coi loro acuti dentigiŕ saturi di veleno. La barricata perň

s’alzava rapidamente, perché Toby ed isuoi due compagni fornivano abbondantimateriali a Thermati ed a Bandhara.Ormai avevano demolita tutta la parete

che celava la piccola prigione del cornacun bugigattolo angusto e basso, appenacapace di contenere quattro persone, eumidissimo.

Abbattuta quella parete, che divideva lavasta sala da quel nascondiglio, si eranorovati dinanzi a tali muraglie da sfidare



non solo i picconi, bensě anche deipetardi.

Erano formate da enormi blocchi digranito duro quanto il ferro, contro i qualie punte di quei pesanti arnesi si

smussavano senza poterli intaccare. Toby

e Indri, comprendendo l’inutilitŕ dei lorosforzi, visitarono le altre pareti, sperandodi trovare anche dietro di esse dei vuoti,ma dappertutto le pietre non davano che

dei suoni sordi.

La nostra opera č finita - disse Toby,ergendosi il sudore che gl’inondava il

viso.

E la barricata č appena alta un metro -aggiunse Indri. - I rettili non troveranno



difficoltŕ a sorpassarla.

Si direbbe che questa sala č stata

scavata nella viva roccia, come quelle deempli d’Ellora - disse Poona.

Che cosa fare? - si chiese Toby,

guardando con ispavento verso la scala.

Dovremo noi finire qui la nostrampresa, uccisi dai serpenti? Che non vi

sia alcun modo per sfuggire ad una sěorribile morte? Parla, Indri.

L’ex favorito del guicowar rispose con unriste sguardo. Anche gli altri tacevano.

Ebbene, - disse Toby, con voce furiosa,



noi daremo battaglia a questi dannatiserpenti.

n quel momento un enorme pitone, chedoveva aver preceduta la banda, mostrň lsua testa sopra la barricata, dardeggiandosui disgraziati uno sguardo ardente.

A te pel primo! - urlň Toby, scagliandosnnanzi colla rivoltella in pugno, Prendi!

…

l serpente cadde col cranio sfracellato dauna palla, contorcendosi disperatamente.

Avanti, amici! - gridň il cacciatore, conesaltazione. - Bruciamo le nostre ultimecariche, poi lavoreremo coi pugnali.

Un altro serpente, un superbo boa di colo



verde azzurregnolo, colla pelle segnata daanelli irregolari, aveva superata labarricata e strisciava incontro a Toby,

sibilando rabbiosamente e vibrandoprecipitosamente la sua lingua. Indri sislanciň a sua volta, fulminandolo abruciapelo.

E due - gridň Toby.

n quel momento tutta la falange, superata

a barricata, si rovesciava nella sala,mentre la musica continuava, implacabileaizzando sempre piů quei terribili rettili.



SALVARLI O

PERDERE IL

KOHINOOR

Mentre Toby ed i suoi compagni tentavana liberazione di Bandhara, Dhun dia,comodamente sdraiato sui soffici cuscinidel ruth, tornava verso Pannah per

presentare al rajah le superbe pelli deidue mangiatori d’uomini. Il sorvegliantedell’ex favorito del guicowar non era perranquillo, anzi tutt’altro. Quella

mprovvisa partenza di Toby, la comparsdi quel ragazzo giunto al campodiamantifero di notte, gli avevano fattonascere dei sospetti. - Hanno voluto



allontanarmi per agire senza di me - si eradetto. - Che si siano accorti delle mierelazioni col fakiro? Quel Toby deve

essere un volpone piů furbo di me, ma secrede che io abbia prestato fede alla suastoriella, s’inganna.

Desidererei sapere a quale partita dicaccia sono andati. Quel rinoceronte equell’amico sono stati inventati dallafervida fantasia dell’inglese. Quando sarň

giunto a Pannah, vedremo di appurare lecose. Ciň detto si era accomodato suicuscini, chiudendo gli occhi. Non dormiv

perň; pensava a quello che doveva fareper chiarire quella partenza precipitosadi Toby e di Indri.



l ruth, scortato dagli sikkari, i quali noncessavano di braveggiare contro le pellidei due mangiatori d’uomini, come se

fossero stati essi a sbarazzare le miniereda quei pericolosi animali, continuavantanto la sua via, trabbalzando e

cigolando.

Superň felicemente le colline, sceseattraverso i campi diamantiferi crivellatidi poggi ed interrotti da ammassi di terra

e di pietre e mezz’ora dopo la comparsadel sole faceva la sua entrata in cittŕ.

Dhundia, che non amava le dimostrazionirumorose, assai inopportune in quelmomento, impose agli sikkari dinascondere le due pelli e di tacere e sifece condurre direttamente al bungalow.



Gli premeva, piů che di vedere il rajah, dparlare col maggiordomo, colla speranzadi apprendere qualche cosa circa la

partenza dei suoi compagni.

Il rajah aspetterŕ - si era detto. -D’altronde tocca a Toby presentare le

pelli e ricevere la ricompensa, perché ionon rappresento qui che un semplice servdel cacciatore.

l maggiordomo, subito avvertito del suoarrivo, si era affrettato a riceverlo sullagradinata del bungalow. - Giŕ di ritornosahib? — gli chiese.

Abbiamo ucciso le tigri, - risposeDhundia, con tono enfatico, - e la nostramissione č finita.



Ed il cacciatore bianco?

Dhundia gli fece cenno di tacere ed entrň

nella saletta mentre gli sikkariconducevano il ruth in un recinto annessoalla palazzina.

č successo nulla durante la mia assenza? chiese al maggiordomo, quando furonosoli.

— Non ho piů veduto Sitama. Ha mandatoperň alcuni dei suoi a chiedere notizie die.

E Bandhara č tornato?

— No, sahib. Nessuno lo ha riveduto.Dhundia aggrottň la fronte. - Che sia sulle

racce di Sitama? - chiese. - Quel cornac



un uomo assai astuto.

Lo ignoro, tuttavia non credo perché

Sitama od il suo luogotenente, ilgigantesco Barwani, mi avrebberoavvertito.

— č venuto nessun inglese a chiedere diToby, il cacciatore bianco?

No — rispose il maggiordomo, stupito.

Perché mi fai questa domanda, sahib?nvece di rispondere, Dhundia si era

messo a passeggiare per la saletta, inpreda ad una viva preoccupazione. Ad un

ratto si fermň dinanzi al maggiordomo.

Dimmi, č venuto qui un ragazzo a



chiederti notizie di noi?

Un ragazzo!… - esclamň il

maggiordomo. - Ma… sě… era assiemead un bramino brigibasi…

A quale bramino? - chiese Dhundia.

A quello che č venuto a domandare seeravate giŕ tornati dalle miniere - risposel kitmudyar.

— Tu non me lo hai detto prima.

M’avevi parlato d’un inglese, sahib.

— E chi era quel bramino?

Lo ignoro.



Ed era accompagnato da un ragazzo?

Sě e me lo ricordo bene.

Piccolo, magro, con due occhinerissimi…

E con un turbantino rosso ed il langutiazzurro, sahib.

— č lo stesso che č venuto a trovarci alle

miniere! - esclamň Dhundia, con ira.

Per Siva e Visnů!… Toby e Indri mihanno giuocato…

Si era rimesso a passeggiare per lasaletta, in preda ad una sorda collera.

hi era quel bramino? - si chiedeva,



mordendosi le labbra. - A quale scopo miha fatto allontanare da Toby? E quelragazzo? Dove saranno ora? Bisogna che

o lo sappia. Ah!… Ma se credonod’impadronirsi della Montagna di lucesenza di me, s’ingannano.

Si era nuovamente arrestato dinanzi alkitmudyar, il quale lo guardava stupito,non riuscendo a comprenderequell’improvviso scoppio di collera in

quell’uomo che pareva cňsě freddo.

Dove potrň vedere Sitama? - gli chiese.

Non lo so, sahib. Ha lasciato la suacasupola da ieri sera, tuttavia potremosaperlo egualmente. I sapwallah ed igiocolieri hanno rizzato le loro tende nei



dintorni del laghetto sacro.

Manderai a chiamare qualcuno. -Sě,

sahib.

Si fece servire la colazione, poi andň acoricarsi nella sua stanza per riposarsi

delle veglie passate durante la caccia.

Dormiva da cinque ore, quando verso il

mezzodě fu svegliato dal maggiordomo.

Sahib - disse questi. - Vi č un ufficialedel rajah che ti aspetta.

Hai forse sparsa la voce che noiabbiamo uccisi i mangiatori d’uomini? -chiese Dhundia, che pareva di pessimo

umore.



Gli sikkari non avranno taciuto,malgrado la tua proibizione ed il rajahdeve essere stato informato del felice

esito della vostra caccia.

Ecco una cosa che guasterŕ i miei affari brontolň Dhundia. - č tornato l’uomo che

hai mandato in cerca di Sitama?

No, padrone. Probabilmente i sapwallahed i giocolieri hanno levato le loro tende

e ci vorrŕ del tempo a ritrovarli.

Dhundia si vestě lestamente e scese nelsalotto dove lo attendeva un ufficiale del

rajah, vestito collo sfarzoso costume deglsceikki.

Tu hai seguito il famoso cacciatore



bianco alla caccia, č vero? - gli chiese’inviato del rajah.

Sě - rispose Dhundia.

Dove sono i tuoi compagni?

Sono partiti per uccidere un rinoceronte Il mio signore desidera vederli.

Ignoro quando ritorneranno. č necessario che domani siano qui,

perché il rajah darŕ una festa in loro

onore. E se non potessero giungere in tempo?

Ogni desiderio del mio signore č un



ordine e tutti devono obbedire. A mezzodsaranno ricevuti nella sala del trono.

Dove trovarli? - si chiese Dhundia,quando fu sool. - Se non obbediranno, ilrajah č capace di sfrattarli dal suo Stato eallora la Montagna di luce sarŕ perduta

per loro e anche per me, anzi soprattuttoper me. Mi pare che gli affari comincino guastarsi.

Stava per risalire nella sua stanza, quandoentrň il chitmudjiar seguito da unsapwallah.

č l’uomo che ti manda Barwani - disse imaggiordomo.

Ho una notizia da comunicarti e che



deve interessarti assai, sahib - disse’incantatore. - Il cornac Bandhara č

caduto nelle nostre mani.

Bandhara!… - esclamň Dhundia.

Sě, l’uomo che guidava il tuo elefante.

L’avete ucciso?

č vivo, ma quanto la durerŕ? - disse

’incantatore, con un cattivo sorriso.

La fame lo ucciderŕ presto.

Chi lo ha condannato? Sitama, perché quel cornac aveva

sorpreso i nostri segreti. Dhundia era

diventato pallido.



Che abbia scoperto tutto?… E che lapartenza precipitosa di Toby e d’Indriabbia qualche relazione colla prigionia d

Bandhara? Comincio ad aver paura.

Cosa devo dire a Sitama? - chiese’incantatore. - Egli aspetta i tuoi ordini.

Andrň a trovarlo io, dove abita ora?

Nella vecchia pagoda di Visnů, presso i

campo diamantifero.

Quando potrň vederlo senza che nessunomi scorga?

Dopo la mezzanotte, dovendo primaadunare tutti i dacoiti nella vicina foresta

Verrai a prendermi alle undici.



Ci sarň, sahib. E di Bandhara, cosadobbiamo fare? Lasciarlo vivere omorire? Dhundia stette un momento

silenzioso guardando l’incantatore, poidisse freddamente.

Che muoia. Quell’uomo diventava

pericoloso e vivendo potrebbe guastare inostri affari.

La tua opinione č eguale a quella di

Sitama - rispose l’incantatore. - Quelcornac puň considerarsi morto.

Se qualcuno non lo salva - disse

Dhundia, con tale accento da far sussultare l’incantatore.

E chi sahib? — chiese questi. - Nessuno



ha assistito alla lotta e tutti, fuorchéSitama e Barwani, ignorano dove sia statorinchiuso il cornac.

Non lo so; vedremo quello che puňsuccedere.

Lo congedň con un gesto, indossň ildootée e uscě in compagnia delmaggiordomo.

Era tanto convinto che Toby e Indri non sifossero recati alla caccia del rinoceronte,che sperava di ritrovarli in cittŕ e questosospetto era avvalorato anche dalla

scomparsa dei due servi del cacciatore, iquali non erano piů tornati al bungalow.

Le sue ricerche perň non ebbero alcun



esito. Quando rientrň nel bungalow, dopol tramonto del sole, era piů preoccupato

che mai.

Se per domani non ritornano, ciguasteremo col rajah. Dove trovarli?Lancerň gli uomini di Sitama sulle loro

racce.

Alle undici, puntuale come un cronometrol sapwallah si presentava alla porta del

bungalow, conducendo per la briglia duecavalli.

Sahib, - disse, - giungeremo all’ora

opportuna per ritrovare Sitama.

Sei armato?

Ho il mio coltello.



Prendi questa rivoltella; non si puňsapere ciň che puň succedere.

Grazie, sahib. Saprň servirmene se sarŕ necessario e farne buon uso. Salirono acavallo e partirono al galoppo,attraversando le vie e le piazze di Pannah

che in quell’ora cosě avanzata eranodeserte.

Usciti dalle mura, galopparono fra i camp

giungendo in meno di mezz’ora al bosco.

Sarŕ rientrato nella pagoda Sitama? -chiese Dhundia.

— I miei compagni devono essere giŕ ornati in cittŕ - rispose il sapwallah.

— Sarŕ solo Sitama?



Con Barwani.

E perché č venuto ad abitare qui?

La pagoda č deserta e poco conosciutadagli abitanti di Pannah, quindi č un asilosicuro. E poi a Barwani sono note invece

utte le entrate segrete ed anche isotterranei ed in caso di pericolo puň far fuggire il fakiro senza che nessuno siaccorga.

č prudente quell’uomo.

E astuto, sahib. Sitama non poteva

scegliere un luogotenente migliore.Avevano giŕ attraversata la boscaglia estavano girando attorno allo stagno che siestendeva dinanzi alla pagoda, quando ai



oro orecchi giunse improvvisamente unaontana detonazione.

l sapwallah aveva arrestato il cavallo.

Uno sparo! - esclamň.

Ed č rimbombato nella pagoda -aggiunse Dhundia. - Che Sitama sia statoassalito?

E da chi?

Non lo so, eppure non sono tranquillo.Toh!… Un altro sparo!… Č un colpo di

pistola o di rivoltella, ne sono certo.

Vieni, sahib! - disse l’incantatore convoce agitata. - Forse Sitama č in pericolo



Lanciň il cavallo al galoppo, girň intornoalla pagoda e si arrestň dinanzi ad unamuraglia massiccia la quale si elevava in

forma di piramide tronca. Legň il cavalload un macigno e si cacciň in un crepaccioenebroso, facendo cenno a Dhundia di

seguirlo.

on era una semplice fenditura, bensě unagalleria che pareva scavata nello spessordella parete.

l llapwaUah, che doveva conoscere amenadito quel passaggio segreto, tolse daun buco una lampada che doveva esserestata collocata in quel luogo da Sitama oda Barwani, l’accese e montň rapidamentuna scaletta tortuosa. Gli spari non eranocessati. Di quando in quando un colpo



rintronava, propagandosi attraverso ilpassaggio e destando l’eco.

l sapwallah, giunto quasi all’altezza dellpiramide, si cacciň in una secondagalleria, tanto stretta da non permettere ilpassaggio a piů d’una persona per volta e

aprě una porta, facendo scattare unamolla.

Si trovarono entrambi in un’ampia stanza

lluminata da due torcieri di ferro e dovesi vedevano alcuni letti, degli istrumentimusicali, ceste simili a quelle adoperatedai sapwallah per chiudervi i serpenti edarmi di varie specie. L’incantatore, con usolo sguardo, si avvide che era deserta.

— Se Sitama e Barwani non sono qui,



nella pagoda deve accadere qualche cosadi grave.

— č la loro stanza? - chiese Dhundia.

Sě e… cosa significa ciň?… Tutte leceste sono aperte!… Che tutti i nostriserpenti siano fuggiti!…

Quali serpenti? - chiese Dhundia,stupito.

Quelli che adoperavamo per dare degli

spettacoli durante le feste di Pannah. Ven’erano almeno duecento e di tutte lespecie!…

Chi puň averli messi in libertŕ?



Non lo so, sahib - disse l’incantatore,con accento spaventato.

Che si siano nascosti in qualche luogo? domandň Dhundia che lanciava da ogniparte sguardi di terrore. - Non ho alcundesiderio di farmi mordere da loro.

Io so calmarli, sahib - disse l’indiano,staccando dalla parete un flauto. - Vieni escendiamo nella pagoda.

Riprese la lampada e scese un’altra scaladel pari strettissima e che descrivevadelle curve.

Odi? - chiese ad un tratto.

Sě - rispose Dhundia. - Qualcuno suora

l flauto nella pagoda.



Che sia Sitama? Egli č famoso e sacalmare o rendere furiosi i rettili. Scese lscala a precipizio e dopo d’aver percorso

un corridoio, si trovň nella pagoda, abreve distanza dalla porticina di bronzo.

Due uomini, di cui uno munito d’un flauto

da cui cavava delle note stridenti, stavanofermi dinanzi alla porta. Il sapwallah liriconobbe subito.

Sitama e Barwani! - esclamň.

l gigante, vedendoli apparire, avevaarmata precipitosamente una lunga pistola

puntandola verso di loro.

- Fermi o siete morti! - aveva gridato.

Ti conduco Dhundia - disse



’incantatore.

Dhundia! - esclamarono ad una voce

Sitama e Barwani.

Cosa fate? - chiese il sorveglianted’Indri. - Cosa significano questi spari?

l fakiro aveva staccato dalle labbra ilflauto e si era accostato rapidamente aDhundia.

Sahib - gli disse. - Dove sono ilcacciatore bianco e l’ex favorito delguicowar?. — Non lo so; mancano da

Pannah da ventiquattro ore. Il fakěro siasciň sfuggire un grido di sorpresa.

Non sono al bungalow! - esclamň. No.



Che siano…

Parla, Sitama.

Degli uomini si sono introdotti qui ehanno liberato Bandhara.

Chi sono quegli uomini?… Forse Toby ndri?…

— Ma no… non vi č alcun europeo fra

costoro a meno che…

Continua.

Il cacciatore si era camuffato da indiano Quanti erano?

In quattro ed un ragazzo.



Un ragazzo!… - esclamň Dhundia. -L’hai osservato bene tu?…

Io sě - disse Barwani.

— Aveva un turbantino rosso rosso e unanguti azzurro, č vero? - chiese Dhundia.

Sě, sahib. -Č lui!…

Chi, spiegati sahib - disse Sitama.

Il fanciullo che ci ha raggiunti nel campodiamantifero, dopo l’uccisione dei duemangiatori d’uomini e che ha parlato a

ungo con Toby. Dove si trovano quegliuomini?

Sono assediati in una sala comunicante

colla prigione di Bandhara.



Hanno giŕ liberato il cornac?

— Sono riusciti a demolire la parete dellsua cella.

— Credi tu, Sitama, che Bandhara sappiaroppe cose?… Che si sia accorto che vosiete miei complici?

— č impossibile, sahib.

Allora se preme anche a voi laMontagna di luce, lasciate subito liberi

quegli uomini. Se per mezzodě non sirovano in Pannah, tutto č perduto.

Saranno ancora vivi? - chiese il fakiro,

guardando Barwani. - I serpenti devono



essersi giŕ rovesciati nella sala.

— Ho udito poco fa uno sparo - rispose i

gigante. - E poi mi parve che oltre lerivoltelle avessero anche dei coltelli.

Puoi richiamare i serpenti? - chiese

Dhundia.

Sě, sahib - rispose il fakiro. — Prima licalmerň perché devono essere furiosi, po

i farň venire qui.

Potrň vedere quegli uomini senza venirescorto? - domandň Dhundia. - Voglio

prima assicurarmi se sono veramente imiei compagni.

Sě e… se non fossero loro?



Ti accordo la loro morte, se puň fartipiacere - rispose Dhundia. - Sarei piůranquillo se Bandhara non tornasse piů

presso il suo padrone.

— Lo sopprimeremo piů tardi - disseBarwani, con un atroce sorriso.

Conduci il sahib in un luogo ove possavedere quegli uomini - disse il fakiro. Pomentre Barwani, Dhundia ed il sapwallah

si allontanavano, premette un bottonenascosto fra le scolture degli stipiti, aprěa porticina di bronzo e si rimise a

suonare cavando dall’istrumento dellenote dolcissime che parevano invitasseroa dormire.



IL RITORNO AL

BUNGALOW

Toby ed i suoi compagni, non avevanocessato di far fronte al formidabile assalt

dei rettili, decisi di vendere cara la vita,prima di cadere fra le viscose spire deipitoni, dei boa o di soccombere sotto imorsi velenosi dei cobra, dei naia e dei

gulabi.

Bruciate le ultime cartucce, avevanocontinuata la lotta coi frammenti delle

astre di pietra spaccate dai picconi.

La barricata era diventata insufficiente arattenere quell’orda strisciante.



Soprattutto i pitoni l’avevano varcatafacilmente scendendo con millecontorcimenti, verso la sala.

Resi furibondi da quella musicandemoniata, che non cessava un solostante, avevano cominciato a strisciare

sulle pietre della sala, sibilando eagitando le loro linguette forcute. I loroocchi, accesi da fiamme sinistre,dardeggiavano sui disgraziati sguardi

erribili, tentando di affascinarli. Toby,diventato furioso al pari di quei rettili,ncoraggiava tutti colla voce e

coll’esempio.

Afferrava enormi blocchi di pietre e gliscagliava contro l’orda, schiacciando oraun pitone, ora un cobra, ed ora un naia.



Non perdetevi d’animo, amici!… -urlava. - I proiettili non mancano evalgono meglio delle palle delle nostre

rivoltelle.

Quando qualche boa gli stringeva troppoda vicino, Indri o Thermati, che erano

armati di piccole sciabole ricurvechiamate tarmar, si scagliavano innanzicoll’impeto che infonde la disperazione econ un colpo ben aggiustato lo

decapitavano.

Quella lotta selvaggia, spaventevole, nondoveva perň durare a lungo, perché igulabi ed i serpenti del minuto, che sono ipiů piccoli della famiglia, avevanocominciato a strisciare lungo le pareti,minacciando di cogliere i difensori alle



spalle.

Giŕ Toby ne aveva schiacciato piů d’uno

che aveva tentato di morderlo alle gambe

Ad un tratto perň, con loro stupore, lamusica era improvvisamente cessata,

arrestando l’assalto dei rettili.

Questi, non piů eccitati da quelle notestridenti, si erano fermati alzando e

abbassando, con larghi dondolamenti, leoro teste piů o meno triangolari. Indri,

Toby ed i loro compagni avevano subitoapprofittato di quel momento di sosta per

spingersi verso l’opposta estremitŕ dellasala.

Che il suonatore ci creda ormai morti? -



chiese Toby.

Non lo so, ma vedo che i serpenti non si

muovono - disse Indri. - Pare cheascoltino e che siano sorpresi di questanterruzione.

a Che ve ne siano ancora molti nelcorridoio? Ne abbiamo giŕ uccisiparecchi.

— Era pieno - disse Thermati. - Laretroguardia deve essere ancoranumerosa, Come possono aver radunatiqui tanti rettili? - chiese Toby. - Non

siamo giŕ in mezzo ad una jungla.

La spiegazione č facilissima - risposeBandhara. - Il fakiro ha sotto i suoi ordini



una truppa di sapwallah.

— E che abbiano fatto di questa pagoda i

deposito dei loro serpenti?

Cosě deve essere, sahib - disse ilcornac.

— Taci - disse Indri. - La musicaricomincia.

Sě, č su altro tono - rispose Toby ilquale ascoltava attentamente. - č diventatapiů dolce.

— Ed i serpenti cominciano a ritirarsi -disse Thermati. - Guardate!…

rettili, dopo essere rimasti qualche

minuto immobili, si erano messi



nuovamente in moto, ma questa volta nonmarciavano piů contro gli assediati.Sedotti da quella musica misteriosa che

pareva li dominasse completamente, orastrisciavano verso la barricataaffollandosi sopra le pietre ed i macigni.

gulabi ed i serpenti del minuto, piů agilidegl’altri, l’avevan subito superata,scomparendo verso la scala.

— Che cosa sta per succedere? - chieseToby.

Una cosa semplicissima - rispose Indri. -

l suonatore li richiama a sé.

— Allora ci crede morti.

Od ha voluto solamente spaventarci.



E noi approfitteremo per andarcene, čvero Indri? Ormai non abbiamo piů nullada fare qui; la nostra missione č finita.

Non fidiamoci, Toby. Forse i sapwallahed i giocolieri ci aspettano nella pagoda.

Mille rinoceronti!… E non abbiamo piůuna palla!… Tutte le nostre rivoltellesono scariche. Fortunatamente ci sonorimasti i pugnali e le tannar.

E sapremo servircene, Toby.

— Sahib - disse in quell’istante Thermati

l quale si era spinto verso la scala,portando una lampada. - I serpenti hannosgombrato anche il corridoio.

Ed il suonatore si allontana - aggiunge



Bandhara.

Andiamocene - disse Toby. - Prendete i

picconi, sono armi che valgono meglio decoltelli.

e impugnň uno e superata la barricata,

sulla quale si contorcevano ancora, fta gliultimi spasimi, alcuni pitoni e dei gulabi,scese cautamente la scala, tenendo alta laampada. te note del flauto, sempre

dolcissime, s’allontanavano diventandopiů fioche.

I suonatore, dopo d’aver richiamati i

serpenti, li traeva forse in qualche altrouogo per poi riprenderli e chiuderli nelle

ceste.



Toby ed i suoi compagni, non vedendo

nessuno nel corridoio, lo attraversarono egiunsero dinanzi alla porticina di bronzoa quale era aperta.

Preparate le armi - disse il cacciatore. -Vi possono essere degli uomini inagguato.

Alzň il piccone e si slanciň, con un saltosolo, fuori dal corridoio, pronto admpegnare la lotta.

Con suo vivo stupore, non vide invecenessuno. Suonatore e serpenti eranoscomparsi ed il piů profondo silenzioregnava nella pagoda.



Comprendi qualche cosa, Indri? - chiese

No, Toby - rispose l’ex favorito del

guicowar, non meno sorpreso delcacciatore.

Perché ci lasciano liberi, mentre il

fakiro avrebbe potuto facilmente disfarsidi noi e senza correre alcun pericolo?Ecco una cosa che forse non sapremo mai

Ciň mi convince che quell’uomo abbiavoluto solamente spaventarci.

Ancora? Se tardava pochi momenti a

cambiare la sua musica per noi era finita.o, Indri, non si lanciano duecento

serpenti e la maggior parte velenosi,contro delle persone e col solo scopo di



spaventarle.

E allora come spieghi questa ritirata?

Lascio agli altri il difficile incarico difar la luce su questo mistero. Per me miaccontento di essere ancora vivo e libero

di andarmene. Al diavolo il fakiro ed isuoi rettili!… Usciamo e torniamocenesubito al bungalow.

Sahib - disse Thermati. - Anche la portamaggiore della pagoda č aperta.

Quel birbante di fakiro ha voluto anche

risparmiarci di dare la scalata allafinestra! Ben gentile, quel furfante! Se micadrŕ fra le unghie, mi accontenterň diaccopparlo solamente per metŕ… e sarŕ



giŕ qualche cosa!… Sgombriamo e senzaperdere un istante.

Uscirono quasi di corsa dalla pagoda,roppo felici di rivedere il cielo, quandosi erano creduti ormai condannati a morirsotto i morsi dei serpenti, e si diressero

frettolosamente dove avevano lasciati icavalli.

Ora mi sento proprio al sicuro - disse

Toby, quando si trovň in sella. - Sidirebbe che abbia fatto un brutto sogno.Spronate! Non mi pare di essere ancoravivo.

Sferzarono i cavalli e partirono a corsasfrenata, attraversando la foresta. Alle sedel mattino, quando le vie di Pannah



cominciavano a popolarsi, battevano allaporta del bungalow.

— Dov’č Dhundia, il nostro compagno? -chiese Toby, al servo che era accorso alsuono rimbombante del tam tam.

č partito ieri sera per andare a cercarti,sŕhib - rispose. - Era inquieto per la tuaassenza.

Meglio cosě - brontolň il cacciatore. -Potremo parlare piů liberamente.

Comandň di allestire un’abbondante

colazione e di portare un thč bollente edel gin, poi voltosi verso Bandhara, ilquale aveva giŕ vuotato, d’un colpo, unabottiglia di birra ghiacciata, gli disse:



— Ed ora, mio bravo cornac, sciogli laingua e parla. Spero di poter finalmente

sapere per quale motivo quel maledetto

fakiro ci perseguita con tanto accanimentoed ha perfino cercato di farti fare unviaggio all’altro mondo.

Sahib, - disse Bandhara - il fakiroconosce i nostri progetti. Egli sa che voisiete venuti qui per impadronirvi dellaMontagna di luce.

— Mille tuoni! - esclamň Toby, alzandosidi scatto, mentre Indri impallidiva.

Il fakiro sa questo! …

Allora tutto č perduto - disse l’exfavorito del guicowar.



Spiegati meglio, Bandhara - disse Toby Narra tutto quello che hai potuto sapere

Quando il cacciatore e Indri appresero ciche il cornac aveva udito la notte che siera introdotto nella pagoda, si guardarono’un l’altro con visibile terrore. -Ma a che

cosa mirano quegli uomini? - chiesefinalmente Toby. - E chi puň averliavvertiti dei nostri progetti?

Ci vedo sotto la mano di Parvati - dissendri. - Quel miserabile deve aver

assoldato il fakiro e la sua banda perchémi attraversino la via e rendanompossibile la mia impresa.

In tale caso ci avrebbero giŕ denunciatiad rajah, mentre non lo hanno fatto. Cosa



dici, Bandhara?

Sospetto anch’io che Parvati c’entri in

qualche cosa e che sia stato lui adavvertirli delle nostre intenzioni.

Ed il motivo!

Ecco quello che anch’io ignoro, sahib.

Indri - disse Toby, con voce risoluta. -

on perdiamo piů tempo; impadroniamocdel diamante poi fuggiamo subito aBaroda.

E come faremo ad impadronircene?

Basta che io possa sapere dova si trova disse Bandhara. - M’incarico io di

rubarlo.



č ciň che cercheremo di sapere, perchépregherň il rajah di farmelo vedere espero che non me lo negherŕ.

— Rinunceremo al premio, se sarŕ necessario - disse Indri.

Oggi andremo a offrire al rajah, le pellidei due mangiatori d’uomini.

— Sě, Toby; prima che si scateni qualche

nuovo tradimento, agiamo. Bandhara, haisempre con te i narcotici?

Sě, padrone. Sono nascosti nell’haudah

di Bangavady.

Dopo la colazione andrai a prenderli. -Di quali narcotici parli? - chiese Toby.



Lo saprai piů tardi - rispose Indri.

La colazione, sempre abbondante e servitcon gran lusso, essendo ancora ospiti delrajah, fu subito servita e anche

vigorosamente attaccata, specialmente daToby che manteneva sempre il suoappetito da cacciatore anche in mezzo aipiů drammatici avvenimenti.

Avevano quasi terminato, quando furonoavvertiti dal maggiordomo che a mezzoděl rajah li attendeva, per festeggiare il

felice successo della loro pericolosampresa e consegnare loro il premio

guadagnato.



Non abbiamo che un’ora per fare lanostra toletta - disse Toby. - Non vogliogiŕ presentarmi col volto tinto.

E Dhundia che non č ancora ritornato!… disse Indri.

Lasciamo che ci cerchi - rispose ilcacciatore. - Ci raggiungerŕ piů tardi.Avevano appena terminata la loro toletta,quando comparve un ufficiale del rajah,

ncaricato di condurli dal suo signore.

Era seguito da una scorta d’onorecomposta di sowar, collezione di tipi

strani, da far delirare i pittori, con lunghebarbe e turbanti immensi variopinti earmati di fucili di fabbrica indiana, armidi lunga portata e di una precisione



favolosa, quantunque ad avancarica.

Sahi> - disse l’ufficiale, inchinandosi

dinanzi a Toby. - Il mio signore desideravedere te ed i tuoi compagni per ringraziarti d’aver liberate le miniere deidue mangiatori d’uomini e per dare uno

spettacolo in tuo onore.

Ti seguiamo - rispose Toby. - Haricevuto le pelli, il tuo signore?

Sě, sahib e gli servono giŕ da tappeto.

Andiamo, Indri. Non bisogna far

aspettare un cosě potente principe.Uscirono dal bungalow scortati dai sowarpreceduti dall’ufficiale. Con essi avevanopreso anche Bandhara, il quale era stato



vestito sfarzosamente dovendo servire danterprete, nel caso che vi fosse stato

bisogno.

Dinanzi alla porta principale del palazzo,un altro drappello di solfar rese a loro glionori militari.

Un’accoglienza da principi - disse Toby

Fu fatto loro salire un superbo scalone di

pietra candidissima, quindi vennerontrodotti in una spaziosa sala colle volte

a mosaico e le pareti di marmo rosso conarabeschi ed incrostazioni di lapislazzuli

Tutto all’intorno vi erano dei divani diseta rossa trapunta in argento eall’estremitŕ un ricco padiglione di seta



gialla a frange d’oro. Il rajah aveva giŕ preso posto sul divano che trovavasi sottol padiglione e teneva i piedi, calzati da

babbucce bianche ricamate, su unasplendida pelle di tigre che Indri e Tobyriconobbero per quella del primomangiatore d’umini. Il rajah di Pannah,

aveva in quell’epoca circa cinquantanni eveniva considerato come uno dei miglioriprincipi indiani ed anche dei piů fedelialleati degl’inglesi.

Era un uomo corpulento, dall’ariagioviale, assai abbronzato e che nonaveva nulla della boria convenzionale deprincipi asiatici.

Vestiva semplicemente, come i riformatidella Giovane India, e cioč con giacca e



calzoni di stoffa bianca con pochi ricamied in capo una calottina a lembi dritti e dicolor rosso. Aveva perň ai polsi dei

grossi braccialetti d’oro, che ricordavanoa sua origine rajaputa e al collo una filadi diamanti montati in oro, estratti dallesue miniere.

Quando Toby, dopo un profondo inchino,gli si fu avvicinato, il figlio di Kiscior Sing, fondatore della dinastia, gli porse

bonariamente la mano, stringendovigorosamente quella del cacciatore.

— Io sono un sincero amico deglinglesi,.- disse, sorridendo - e sono lieto

di poter salutare il piů valente cacciatoredell’India centrale, che ha liberato le mieminiere dai due terribili mangiatori



d’uomini.1

— Ed io, Altezza, sono felice di vedere i

piů munifico ed il piů nobile dei principindů - rispose Toby, con dignitŕ.

— Voi avrete il premio che avevo

promesso a colui che avrebbe avuto tantoardire di uccidere quelle due sanguinariefiere.

Altezza, - s’affrettň a dire Toby, - io ed miei compagni siamo venuti qui spinti

unicamente dalla nostra passione dicacciatori e non giŕ per guadagnare lediecimila rupie…

Ventimila, - corresse il rajah, - perché i



mangiatori d’uomini erano due inveced’uno.

Sia pure, - rispose Toby, - ma iorinuncio al premio. Il rajah lo guardň constupore.

Allora come potrei ricompensarvi? -chiese. - Voi avete sfidato la morte.

— Desidererei una sola cosa in

contraccambio del favore resovi.

Parlate.

Vedere la Montagna di luce - risposeToby, audacemente.

— Un desiderio che non costa nulla -

disse il rajah, sorridendo. - No, č troppo



poco, mio bravo cacciatore. Pensateall’immenso servigio che mi avete reso,iberando le miniere. In quattro settimane

o ho perduto centomila rupie in diamantie chissŕ quante altre ne avrei lasciatesottoterra senza il vostro ammirabilecoraggio.

nota: Il rajah di Pannah, si mostrň

realmente sempre amico degl’inglesi,perché durante la sanguinosa insurrezionedel 1857 invece di unirsi ai ribelli, liberňl presidio di Dumoh, bloccato dalleruppe di Fantiz.



Vostra Altezza farŕ ciň che vorrŕ, purchéo possa vedere il famoso diamante.

Si parla dunque anche fra voi delKohinoor?

Si cita come una delle meraviglie del

mondo.

Forse non hanno torto - disse il rajah. -l Kohinoor č uno dei piů splendidi

diamanti che si conoscono e credo chenon se ne trovi uno piů bello in tutta’Asia. Questa sera, dopo il ricevimento

che darň in vostro onore, ve lo farň

vedere. Siete soddisfatto, mastro TobyRandal?

Grazie, Altezza.



l rajah fissň i suoi sguardi su Indri eBandhara.

Chi sono costoro? - chiese.

Sono due principi di Baroda, utili amicie valorosi cacciatori - rispose Toby.

Li condurrete con voi questa sera, ondeo possa premiare anche essi. Ed ora

spero che assisterete ad uno spettacolo

che ho fatto allestire in vostro onore.

Siamo a vostra disposizione Altezza.

l rajah si era alzato, battendo un gongsospeso al padiglione. A quel suonosquillante, alcuni ufficiali della suaguardia erano entrati, inchinandosi fino a

erra.



Conducete questi signori nel palco cheho loro assegnato - disse.

Strinse nuovamente la mano a Toby escomparve dietro una porta nascosta dauna tenda di seta azzurra ricamata in oro.

Toby ed i suoi due compagni avevanoseguito gli ufficiali attraverso un lungocorridoio adorno di divinitŕ indů, chemetteva capo in uno degli spaziosi cortili

del palazzo principesco.

Un vasto recinto, costruito parte inmuratura e parte in legno, circondato da

gallerie e da palchi coperti da tettoie per riparare gli spettatori dal sole, s’ergevanel mezzo.



Ministri, favoriti, ufficiali, donne di cortevalletti e soldati avevano giŕ occupati tuttquei posti, mentre una banda di suonatori

faceva rullare tamburi e tamburelli esquillare tam tam e diversi istrumenti afiato.

Il rajah di pannah non vuole essere dameno del guiccnvar di Baroda - disseToby a Indri.

Sě - rispose questi. - Vuole gareggiarecol mio signore.

Andiamo dunque a goderci questo

spettacolo dato in nostro onore, in attesadi vedere il famoso diamante.

Mentre entravano in palco, il rajah



prendeva posto in una superba galleria lecui colonne erano coperte di drappipreziosi ed inghirlandate di fiori dai

profumi acuti.

Vedendo Toby e Indri li salutň collamano, poi fece un cenno al suo capitano

della guardia che era sceso nel circo.

Apriamo gli occhi - disse Toby. - Lospettacolo comincia.

LOTTE DI GIGANTI E DI TITANI

Tutti i principi indiani, che hanno ancoraconservati i loro Stati, non hannodimenticata la loro passione per gli

spettacoli selvaggi, sanguinali e



costosissimi. Quantunque gl’inglesiabbiano tentato a piů riprese di mettere unfreno a quella passione che costa sempre

un bel numero di vite umane, anche oggidspendono somme enormi per darsi ilpiacere di far schiacciare i loro sudditidagli elefanti resi furiosi espressamente,

mediante un nutrimento speciale, o di farlsventrare dai corni formidabili deirinoceronti o di vederli massacrarsi acolpi di boxe.

l gukowar di Baroda, che č il piůsplendido ed il piů ricco di tutti questiprincipi mantenutisi ancora indipendenti,ha una vera frenesia per quei sanguinariispettacoli e spende ogni anno parecchimilioni di rupie. Ma anche gli altri, se non

sono cosě generosi come quel principe, il



quale distribuisce di frequente dellecollane di diamanti o di perle del costo dcentomila rupie ai suoi lottatori, non

esinano, purché quei divertimentiriescano impressionanti e drammatici.Tutti mantengono alle loro corti verecompagnie di satmarivollas incaricati di

dare la caccia agli animali scatenati neicirchi, bande di pehěwhan, lottatorireclutati fra i popoli piů coraggiosidell’India e che devono massacrarsi sottogli occhi del principe e saper morire congrazia come gli antichi gladiatori romani;poi buffoni, giocolieri, danzatrici,

suonatori ecc.Hanno poi serragli dove stanno chiusi glianimali destinati a lottare nei circhi:

elefanti giganteschi, rinoceronti, tigri e



bufali e non di rado anche dei leoni fattivenire dalla Persia e delle pantereprovenienti dalle isole della Sonda. Il

rajah di Pannah, non meno ricco di quellodi Baroda, mercé le sue inesauribiliminiere di diamanti, al pari degli altriprincipi aveva il suo oghur ossia circo, i

suoi lottatori, i suoi satmarivallas, i suoicacciatori, i suoi buffoni ed i suoi animalda combattimento.

Allo squillo di tromba del capitano dellaguardia, il chiacchierěo dei palchi e dellegallerie era subito cessato, mentre dalledue estremitŕ del circo facevano la suaentrata due elefanti.

Erano due colossi della specie, duecoomareah, animali meno alti dei



merghee, ma piů massicci, colla trombapiů larga, le gambe piů corte di questiultimi e dotati d’una forza straordinaria,

erribile. Onde non si ferissero erano statiprivati delle loro gigantesche zanne.

Entrambi erano montati da un cornac,

uomini scelti, d’un coraggio provato,destinati quasi sempre a lasciare la lorovita in quelle lotte emozionanti epericolose al sommo grado, perché di

rado sfuggono ai colpi di tromba che siavventano i pachidermi in furore. Eranoquasi nudi e unti d’olio di cocco per potesfuggire alle strette.

Gli elefanti, appena entrati, avevano



mandato due barriti cosě formidabili, dafar tremare perfino le gallerie ed i palchi

Erano entrambi visibilmente eccitati,perché i loro occhietti mandavano lampied agitavano nervosamente le loroproboscidi.

Per renderli furiosi, gl’indiani linutriscono per due o tre mesi, quasiesclusivamente con burro e zucchero.

Allora diventano irascibili, nonriconoscono quasi piů il loro cornac ilquale corre ad ogni istante il pericolo di

venire ucciso da un colpo di proboscide oanciato contro le tettoie, e si scagliano

contro tutti gli animali che vedono.



due pachidermi, appena scortisi, si eransubito precipitati l’uno contro l’altro,senza che i loro cornac avessero bisogno

di aizzarli.

Sarŕ una lotta interessantissima - disseToby. - Che urto!… Altro che i bufali!…

E vedremo l’abilitŕ dei due cornac -disse Indri. - Se non sono molto destri eperdono il loro sangue freddo, finirŕ male

per essi.

due elefanti si erano incontrati nel mezzoal circo, urtandosi furiosamente

colle loro poderose fronti e sollevandonembi di polvere.

Entrambi facevano sforzi sovrumani per



respingersi. S’alzavano sulle zampe

posteriori lasciandosi poi cadere

bruscamente di peso ed intrecciavano leoro

proboscidi, tentando di atterrarsi.

Di quando in quando, scorgendo i cornac,avventavano su di essi terribili colpi

di proboscide che se li avessero colti liavrebbero sfracellati.

due conduttori perň erano lesti a gettarsi

ndietro, balzando sui mostruosi dorsi deipachidermi, dando prova d’un sanguefreddo poco comune e d’una agilitŕ dasfidare le scimmie e gli acrobati.



La lotta fra quei due giganteschi animali,diventava sempre piů furibonda. Né l’unoné l’altro accennavano a cedere il campo

quantunque entrambi dovessero esserestorditi dai colpi di testa e di proboscide.

Ad un tratto perň, il piů piccolo, nel

momento che si rialzava sulle zampe deerane, ricevette in mezzo al petto un cosěremendo colpo di testa, che tutto il suo

corpo risuonň come un immenso tamburo.

Ripiegň bruscamente la proboscide,asciandola poi pendere inerte, quindi

cadde sulle ginocchia mandando un raucobarrito.

l suo cornac, con un volteggioammirabile, era balzato a terra,



rifugiandosi dietro l’enorme massa.

Era sfuggito miracolosamente ad una

morte piů che certa, perché il vincitoreaveva cominciato ad avventare sul cadutocolpi di proboscide sempre piů tremendi,onde impedirgli di rialzarsi e di

riprendere la lotta. Completamentestordito, il vinto non cercava nemmeno disottrarsi a quella

grandine. Scrollava i suoi enormi orecchie mandava barriti sempre piů laimentevoli.

Finirŕ pur ucciderlo - disse Toby.

— Non gliene lasceranno il tempo -rispose Indri. - Ecco i satmarěvallas.



Le due barriere del circo si erano aperte edodici indiani montati su focosi cavalli sierano slanciati verso il vincitore, urlando

ed agitando banderuole rosse.

Erano tutti begli uomini, di forme perfettecon turbanti a vivaci colori e calzoni assa

stretti onde non offrire alcuna presa allerombe dei pachidermi. Anche i loro

cavalli non avevano né sella, négualdrappe, anzi per maggior precauzione

erano stati privati della coda.

l colosso, vedendo piombarsi addossoutti quegli uomini, abbandonň’avversario e si mise a caricarli,

avventando colpi di tromba a destra ed amanca. Erano perň cariche inutili perché isatmarivallas, con volteggi fulminei si



mettevano subito fuori di portata da queicolpi mortali.

Mentre il vinto pachiderma veniva fattouscire, altri dodici uomini, ma a piedi, sierano pure precipitati nel recinto.

Erano armati di lance e andavano, con uncoraggio incredibile, a pungere l’elefanteper renderlo maggiormente furioso.

l povero animale, stordito dalle grida edai volteggi di quei ventiquattrosatmarivallas, di quando in quando siarrestava aspirando rumorosamente l’aria

ed agitando gli orecchi per rinfrescarsi,poi incessantemente aizzato, riprendeva lsue cariche, cercando di spazzare via queormentatori a colpi di proboscide.



Trasportato dalla propria foga, soventeandava a urtare contro la cinta,minacciando di rovesciare i grossi pali e

di travolgere anche i palchi e le gallerie. cavalieri intanto continuavano i lorovolteggi con una intrepiditŕ da far fremereperfino Toby.

Facevano inalberare i loro focosidestrieri proprio dinanzi all’elefante,ondeggiando le bandiere fiammeggianti,

poi con un vigoroso colpo di sperone euno slancio fulmineo, si sottraevano allaproboscide.

Che impareggiabili cavalieri! - esclamňToby, mentre la folla entusiasmataprorompeva in grida ed applausi.



— Sono tutti maharatti, - rispose Indri, -ossia i migliori cavalieri dell’India.

— Mi pare impossibile che nessunorimanga sul terreno.

Nel caso che la tromba li raggiunga, non

saranno certamente essi che lasceranno lapelle, bensě i cavalli. Balzano a terraanche in corsa e senza rompersi le gambe

ntanto l’elefante, giunto al parossismo defurore, continuava ad inseguire tutti,barrendo spaventosamente. Sudava comese gli venissero versati sul dor

so dei mastelli d’acqua e provava deisussulti cosě forti che il suo cornacfaticava a mantenersi al suo posto.



Finalmente, esausto, andň a ritirarsicontro una delle barriere dove si lasciňcadere pesantemente sulle ginocchia,

mandando un ultimo barrito di rabbiampotente.

A sua volta il colosso era stato vinto.

Mentre i satmarivallas ricevevano dallemani del rajah i premi loro destinati,consistenti in vesti di seta ed in borseripiene di rupie, alcuni servi, dopo d’ave

rinfrescato il pachiderma, con mastellid’acqua fredda, lo conducevano fuoridalla cinta.

Dopo un breve riposo, durante il qualenumerosi valletti, sfarzosamente vestiti,avevano portato agli invitati bibite, dolcigelati, tabacco e betel, entrarono nel circo



due giganteschi indiani dalle muscolaturepotenti, unti d’olio di cocco e quasi nudi,non avendo indosso che un cortissimo

ěangutě. Nella mano destra impugnavanouna bosce colle punte d’acciaio eacutissime, armi terribili perché dannosovente la morte all’uno o all’altro

ottatore.

č il nuki-kakusti - disse Indri che avevagiŕ assistilo parecchie volte, a Baroda, a

quella lotta barbara e sanguinaria.

due črcoli, ubriachi di bang - specie dioppio liquido - erano entrati cantando leoro precedenti imprese.

Io sono fňrte come un elefante ed hoatterrato Garbari, il campione del Misore



ed ho ucciso con un colpo solo Gualiwar,l piů formidabile lottatore del Berar.

Io sono piů solido dell’acciaio, -rispondeva l’altro, - ed ho fermato unbufalo tenendolo per le corna ed hoabbattuto una giovenca con un pugno. Chi

oserŕ affrontare il terribile Guneri?

Sarŕ Bir, il poderoso Bir che al terzocolpo farŕ mordere la polvere a Guneri.

Ed io al primo ti costringerň a chiederegrazia o ti ucciderň.

Si erano arrestati a tre passi l’unodall’altro, col braccio sinistro ripiegatosul petto ed il destro teso, sfidandosicollo sguardo.



Mentre si lanciavano insulti prima diacerarsi le carni, nei palchi e nelle

gallerie, ministri, ufficiali, cerimonieri,

guardie e dame scommettevano confurore.

Chi patteggiava per Guneri, che era il piů

alto dei due ed il piů agile, chi per Bir piůozzo, piů muscoloso, e forse piů forte

dell’altro. Anche il rajah scommetteva cosuoi ministri e coi suoi cortigiani,

mpegnando migliaia di rupie.

D’improvviso i due lottatori siscagliarono vibrando colpi di bosce cosěformidabili, da spaccare le costole anchea un rinoceronte. Non erano perň che finteper preparare le membra.



Guneri aveva subito dato indietro,balzando coll’agilitŕ d’una tigre; Bir nvece, sicuro di portare un colpo

mortale, caricava con impeto, a corpoperduto. Di quando in quando le bosced’acciaio s’incontravano, mandandoscintille.

due giganti ricorrevano a tutte le astuzieper sorprendersi vicendevolmente.Scartavano con velocitŕ fulminea, si

abbassavano bruscamente gettandosi quasal suolo per poi scattare; piroettando sullpunte dei piedi cercando, con unosgambetto, di sradicare l’avversario, poiornavano a rimettersi in guardiangiuriandosi e sfidandosi.

Bir, piů impetuoso, non accordava un



stante di tregua a Guneri e si studiava dicacciarlo addosso alla palizzata; questi siimitava a parare i colpi, rompendo di

frequente.

Piů astuto dell’altro, conservava le sueforze pel momento decisivo. Ad un tratto

perň nell’indietreggiare scivolň su unmazzolino di fiori, gettato da una dama dicorte. Bir, piů pronto d’un lampo, gliscaricň in mezzo al petto un colpo cosě

erribile, che tutte le cinque puntad’acciaio scomparvero nelle carni. Unaltro uomo sarebbe certamente caduto eforse per non piů rialzarsi. Bir invece, couna piroetta rapidissima sfuggě al secondcolpo che avrebbe dovuto spaccargli ilcranio, fece uno scarto, poi a volta assalě

mandando un urlo di belva ferita.



La sua bosce piombň sulla frontedell’avversario, lacerandogli la pelle finoagli occhi ed inondandogli il volto di

sangue.

Ciechi di furore, si erano subito afferrati’un l’altro col braccio sinistro, mentre

col destro si tempestavano di colpi,straziandosi il petto, i fianchi, le cosce.

l sangue zampillava da tutte quelle ferite

e formava sotto i piedi dei due atleti unavera pozza che andava rapidamenteallargandosi.

Tutti gli spettatori erano balzati in piedi,ncoraggiando con urla ed applausi ora’uno ed ora l’altro. Anche il rajah si eraevato.



Toby, da vero inglese, abituato allecrudeli lotte della boxe, contemplava convivo interesse quel selvaggio spettacolo.

Ad un tratto Bir stramazzň al suolo comeun bue che viene atterrato da un colpo dimazza. Aveva ricevuto un colpo in mezzo

al cranio che lo aveva completamentestordito.

Guneri, quantunque sanguinasse da dieci

ferite, posň un piede sul corpodell’avversario e levň la destra armatadella bosce, pronto a vibrare il colpo digrazia.

Bastava che il rajah gridasse: marocolpisci) e per Bir era finita. Forse il

principe stava per pronunciare la sentenza



di morte del disgraziato, quando Tobyscattň in piedi gridando: - Altezza, graziaper lui! …

La festa č data in vostro onore, - rispose

l rajah, - spetta quindi a voi, mister TobyRandal, a decidere la sorte di Bir.

Gli accordo la vita - rispose il

cacciatore.

Viva il cacciatore di tigri!… - gridň lafolla. - L’uomo bianco č generoso come

un rajah.

Mentre quattro servi portavano via ilcorpo sanguinante del povero Bir, il suo

avversario si diresse, barcollando, verso



l palco del rajah per ricevere il premiodella vittoria: una borsa di seta contenentcinquecento rupie ed una pezza di seta

rossa trapunta in oro. Lo spettacolo erafinito.

l rajah s’alzň facendo colla destra un

amichevole saluto a Toby e ad i suoicompagni, e rientrň nel palazzo seguitodai suoi ministri, dai suoi favoriti e dallesue guardie.

Andiamocene anche noi - disse Toby. -A questa sera il gran colpo; o riusciremoo ci lasceremo la vita.

Non hai paura, amico? - chiese Indri,guardandolo affettuosamente.



No, Indri - rispose Toby.

Riusciremo?

Ne ho la convinzione.

A quanto si stima il diamante?

A due milioni di lire, mi hanno detto.

Preparerň un cheque di tre milioni

pagabile a Baroda dal mio banchiere, ilpersiano Zeyd-Omara e lo collocheremoal posto della Montagna di luce perchénoi non siamo ladri. Il rajah potrŕ

accontentarsi.

Ti rovini, Indri.

Sono piů ricco di quello che tu credi,



Toby, eppoi il mio onore vale piů deimiei milioni.

Tě credo, amico. Hai architettato il tuopiano?

Sě e sarŕ Bandhara che farŕ il colpo,

mentre noi ci occuperemo del rajah. — essuna violenza, Indri.

Bandhara si limiterŕ ad addormentare i

guardiani del Kohinoor, se ve ne saranno

E appena fatto il colpo andiamocene arotta di collo.

Bangavady sarŕ pronto e quell’elefantenon si lascerŕ raggiungere dai cavalieridel rajah. Fuori dallo Stato non avremo

piů nulla da temere ed in ventiquattro ore



possiamo varcare le frontiere.

Quando rientrarono nel bungalow

rovarono Dhundia il quale pareva inpreda ad un vero furore. Asseriva d’aver girata tutta la cittŕ ed i dintorni collasperanza di trovarli, avendo saputo che

erano ritornati dalla loro partita di caccia Avete almeno ucciso il rinoceronte che

devastava le piantagioni del vostroamico? - chiese a Toby, con una leggera

punta d’ironia.

č caduto alla prima scarica - risposemperturbabilmente il cacciatore. - La mi

palla gli aveva attraversato il cervelloentrandogli per un occhio.

Sempre famoso cacciatore voi - disse il



briccone, con un sorriso beffardo.

Ed a quando la caccia alla Montagna di

uce?

— Questa sera - disse Indri. - Siamonvitati dal rajah e approfitteremo della

festa per carpirgli il diamante.

Oh!… - fece, Dhundia, trasalendo.

Verrai con noi o t’incaricherai diprepararci la fuga?

Sarŕ meglio che mi occupi di Bangavady

riprese il traditore, dňpo alcuni istanti driflessione.

Poi aggiunse fra sé:



Cosě avrň tempo d’avvertire Sitama.



LA MONTAGNA DI

LUCE

Alla sera il palazzo del rajahfiammeggiava e le sale, splendidamente

lluminate da miriadi di lampademulticolori e da are dorate, sulle qualibruciavano i profumi piů deliziosi, cosěanto cari agl’indiani, rigurgitavano

d’invitati. Ministri, favoriti, notabili,s’aggiravano dovunque, scintillanti di oridi perle e di diamanti, mentre turbe dipaggi, del pari sfaziosamente vestiti,circolavano senza posa con vassoid’argento carichi di gelati, di dolciumi, ddeliziosi manghi, di banani e di ananas

conservati nella candida neve fatta venire



dalle elevate cime dei Ghati e di arok chencendia lo stomaco senza dare alla testa.ella gran sala dei ricevimenti, ricca di

dorature, di arazzi, di lapislazzulě e dionici incrostati lungo i colonnati, turbe dibajadere, adorne di pietre preziose e diori scintillanti come soli sotto l’onda di

uce variopinta, non attendevano che lacomparsa del rajah per cominciare le lorodanze. Toby, Indri e Bandhara,comodamente sdraiati su un sofficedivano, coi piedi posati sulle splendidepellicce dei due mangiatori d’uomini,chiacchieravano tranquillamente o

scambiavano strette di mano e saluti coipiů alti dignitari del principato, che siaffollavano intorno a loro per felicitarlid’averli liberati da quelle due terribili

fiere.



La loro tranquillitŕ era perň piů apparenteche reale. Forse solamente Bandhara,’antico ladro, era veramente calmo

fidando nella sua straordinaria abilitŕ. Diquando in quando Toby e Indri siscambiavano uno sguardo ed i loro occhiradivano subito l’interna ansietŕ e

’agitazione che regnava nei loro animi.

Speriamo - mormorava Toby.

Quando il rajah comparve, le bajadere sierano prontamente radunate in mezzo

all’immensa sala, formando un gruppocosě pittoresco da strappare agli invitatidei Waw…. Waw!… d’ammirazione.



Parecchi suonatori, nascosti in mezzo adelle palme che occupavano un angolo,cominciarono a far vibrare le corde dei

bin, istrumenti composti di due zucched’inegual grossezza, secche e tronche d’uquarto della loro mole e che sonocongiunte per mezzo d’un lungo tubo su

cui sono tesi dei fili di cotone e d’acciaio

Era una musica strana, dolcissima,anguida che faceva fremere gli agilissim

e snelli corpi delle danzatrici, pronte aslanciarsi nel turbine della danza. Ad uncenno del rajah, il quale si era sedutofamigliarmente fra Toby e Indri, trefanciulle si erano staccate dal gruppodelle bajadere, balzando su un riccoappeto persiano disteso in mezzo alla

sala, sfolgorante d’oro e d’argento. Erano



re ram-gervye, danzatrici piů valentidelle stesse bajadere, perché sono le soleche conoscono la danza originale indiana

chiamata la natsce. Indossavano splendidvesti, formate di stoffe preziose trapunten oro e tempestate di diamanti che

avevano bagliori gialli, rossi e violetti.

Avevano ampie sottane in modo chedanzando e girando con vertiginosarapiditŕ, dovessero gonfiarsi e prendereuna forma perfettamente rotonda;pantaloncini di seta bianca chescendevano fino alla noce dei piedi, le cudita erano guarnite di campanelluzzi

d’argento che facevano muovere apiacimento; ed il seno racchiuso in unaspecie di corazza di sottilissimo legno,coperta di lamine d’oro tempestate di

pietre preziose.



capelli, lunghissimi e neri, intrecciaticon mazzolini di fiori e con nastri di varicolori, scendevano, in pittoresco

disordine, sulle loro spalle seminude.Mentre i suonatori affrettavano la musica,e tre ratn-genye avevano cominciato aurbinare facendo volteggiare in aria

unghe ciarpe di velo azzurro e tintinnare braccialetti ed i campanelluzzi coi qualisegnavano il passo. Quando la musicanvece rallentava, pareva che si

abbandonassero e che si lasciasserocullare dalle note dolci e languide dei bin

Giravano lentamente su se stesse con deieggeri fremiti del corpo, cogli occhi

nerissimi semichiusi, il capo rovesciatoall’indietro come se il sonno le avesse

sorprese.



D’un tratto invece si slanciavanovertiginosamente scomparendo quasi tuttifra le larghe gonne circolanti, affondando

fra esse parte del corpo, mentre i veliurbinavano sopra le loro teste formandocome delle nuvole scintillanti. I Waw!…Waw!… degli spettatori entusiasmati,

scrosciavano incessantemente e perfino lostesso rajah applaudiva, lieto di poter mostrare l’impareggiabile abilitŕ delle sudanzatrici al cacciatore bianco ed aiprincipi indiani suoi amici.

Dopo le ram-gervye erano entrati nellasala dodici baZok; ballerini giovanissimie non meno agili delle danzatrici, colcorpo dipinto, la testa adorna di fiori e dipenne di pavone, il dorso coperto da un

piccolo mantello d’un bel color azzurro, o



rosso o giallo, con varie fasce di mussolaeggerissima annodati ai fianchi ed il pett

chiuso da una placca d’oro sulla quale

erano incisi i nomi di alcune divinitŕ oqualche sacra leggenda.

Avevano, al pari dello bajadere,

braccialetti e sonagliuzzi e tenevano inmano delle bacchette dipinte in rosso cheagitavano in tutti i versi per svilupparemaggiormente le grazie del corpo.

l rajah, che forse non si dilettava molto aquella danza mascolina, si era alzatodicendo a Toby:

Avete dimenticato ciň che mi avevatechiesto questa mane, mister Toby Randal?



A che cosa alludete, Altezza? - chiese ilcacciatore.

Avevate manifestato il desiderio divedere il mio Kohinoor.

č vero, Altezza - rispose Toby,

diventando leggermente pallido.

Se questa danza non v’interessa,seguitemi.

Posso condurre anche i miei amici?

Se sono desiderosi di vedere la

Montagna di luce al pari di voi, venganopure. Anzi riceveranno da me un ricordodel loro soggiorno in Pannah.

Mentre nessuno faceva attenzione a loro,



l rajah, aveva sollevata una ricca

enda che nascondeva una porta,

noltrandosi in un corridoio illuminato da

alcune lampade coi vetri azzurri, chespandevano, sulle lastre di marmo bianco

del pavimento, una luce che parevaproiettata da tante piccole lune.

Mentre Toby discorreva col rajah, Indri sera accostato a Bandhara.

Hai tutto? - gli chiese.

Sě, padrone - rispose il cornac. - Anchenarcotici?

Tengo nascosta nella mano la piccola



fiala.

E l’altra, quella che deve preservarci?

L’ho nella cintura.

Sii pronto; se perdiamo questa

occasione io sarň perduto, ricordateloBandhara.

— Noi riusciremo, padrone. -Ed i

fazzoletti?

Sono qui, nella mia borsa.

l rajah aveva cominciato a scendere unascaletta di marmo rosso, in fondo allaquale vegliava un soldato armato d’unaspecie di alabarda e si era arrestato

dinanzi ad una porta di bronzo.



Apri, - disse all’uomo di guardia, - eaccendi una torcia.

Dove ci conducete Altezza? - chieseToby, che non riusciva a vincere

nteramente la sua emozione.

A vedere i miei tesori.

l soldato, accese una torcia che sirovava infissa in un anello di ferro e aprěa porta.

Toby ed i suoi compagni si trovarono inuna sala priva di finestre, col pavimento,e pareti e il soffitto coperte da lastre di

marmo azzurro che dovevano avere un

ale spessore da sfidare i picconi piů



solidi.

Appena la torcia fu infissa in un bracciale

di ferro che s’alzava nel mezzo dellastanza, uno scintillěo abbagliante avvolsel rajah, Toby ed i loro compagni. Tutto

all’intorno vi erano degli scaffali di

bronzo dorato chiusi da vetri e dietro aquesti si vedevano dei mucchi di diamantd’ogni grossezza, i quali riflettevanovagamente la luce proiettata dalla torcia.

Toby, Indri e Bandhara si erano fermati,guardando con stupore e con aviditŕ,quelle ricchezze incalcolabili, strappatealla terra forse da centinaia d’anni. Ilrajah si era intanto voltato verso ilsoldato, dicendogli:



Chiudi la porta e se qualcuno tenta dientrare, uccidilo.

Sě, Altezza - rispose la sentinella,uscendo.

Quante ricchezze! - esclamň Toby, con

voce soffocata. - Quanti milioni sonorinchiusi in quegli scaffali?

Molti di certo, mister Randal - rispose i

rajah, sorridendo.

— Tutti diamanti delle vostre miniere,Altezza?

— Sě, mister Toby.



— Ed il Kohinoor?

— Ora ve lo mostrerň.

l rajah si levň dalla cintura una piccolachiave d’oro e s’accostň ad una cassettadi bronzo che era situata in un angolo

della sala, sopra un leone pure di bronzo,di statura gigantesca.

Prendete la fiaccola mastro Toby -

disse, introducendo la chiave. Mentre ilcacciatore si voltava per levar la torcia,si sentě cacciare nella mano sinistra unfazzoletto umido e sussurrare rapidamente

agli orecchi:

Tenetevi pronto a turarvi la bocca ed ilnaso. Era Bandhara che aveva pronunciat



quelle parole.

l rajah aveva fatto scattare una molla e la

cassa di bronzo si era aperta di colpo. Adun tratto, mentre allungava la destra per prendere il Kohinoor, si sparse attorno aui un odore cosě acuto, che si sentě

stringere perfino la gola.

Cosa fate? - chiese, volgendosirapidamente e portando la destra al tarvar

ricurvo, dall’impugnatura d’oro, cheportava appeso alla cintola.

ntuě forse il pericolo ma gli mancň il

empo di evitarlo. Bandhara aveva vuotatsul pavimento una piccola fiala che finoallora aveva tenuta nascosta nella mano equel liquido misterioso aveva prodotto



quell’odore cosě acuto, che soffocava estordiva il principe.

Toby ed i suoi due compagni si eranorapidamente coperti i volti coi fazzolettibagnati col contenuto d’un’altra fiala, ilcui liquido doveva neutralizzare gli effett

del primo.

Che cosa fate? - ripetč il rajah,mpallidendo.

on potč aggiungere altre parole. Eracaduto fra le braccia d’Indri come fossestato fulminato.

Bandhara, lesto come une tigre afferrň ilKohinoor e lo fece scintillare un istantealla luce della torcia.



La Montagna di luce era ben degna delnome che portava: essa fiammeggiava frae dita increspate del cornac, mandando

bagliori accecanti. - Era uno splendidodiamante del peso diduecentonovantanove carati, d’unapurezza ammirabile.

ndri depose a terra il corpo inanimato derajah, mise nella cassa di bronzo, al postodel Kohinoor, il cheque del valore di tre

milioni, pagabili a Baroda, poi si slanciňverso la porta di bronzo, percuotendolapoderosamente. Nessuno avevapronunciata una parola né staccato ilfazzoletto che tenevano compresso sulleabbra e sul naso. Tutti perň avevano

estratte le rivoltelle. Udendo a bussare, la

sentinella aveva subito aperto.



Vedendo il rajah a terra e quei tre uominiarmati, aveva afferrata l’alabarda,credendo che avessero assassinato il suo

principe, ma l’acuto odore che avevanvasa tutta la stanza, lo raggiunse.

Vacillň lasciandosi cadere l’arma, portň

e mani alla gola, poi a sua volta cadde,mandando un sordo grido.

La via era libera. Toby, Indri e Bandhara

pallidi, commossi, si erano slanciati versa scala dove l’odore emanato da queliquido misterioso non si era ancora

diffuso.

Fuggiamo subito - disse Bandhara,nascondendo il diamante nella largacintura che egli stringeva i fianchi.



Ed il rajah! - chiese Toby, con vocesoffocata. - Non correrŕ alcun pericolo,rimanendo lŕ dentro.

Nessuno, sahib. Il narcotico che io hoadoperato non produce che una leggerasincope che non dura piů di due o tre ore.

Io non oso rientrare nella sala - dissendri. - Potrebbero accorgersi della nostr

emozione e sospettare qualche cosa.

O stupirsi che il rajah non sia tornatoassieme a noi, - aggiunse Toby, - echiederci delle spiegazioni.

Scendiamo nei giardini, sahib - disseBandhara. - Confinano col nostrobungalow e col recinto che occupava



Bangavady.

E da qual parte uscire? - chiese Toby,ansiosamente. - Presto, Bandhara, laprolungata assenza del rajah puň mettere

n moto tutti i cortigiani.

Ho veduto una porta, sahib.

Guidaci.

l cornac scese nuovamente la scala aprecipizio e vide all’estremitŕ del

corridoio una invetriata.

Si slanciň da quella parte, la spinsebruscamente e l’aprě di colpo. Al di la vi

erano i superbi giardini del palazzo



principesco, ricchi di chioschi di pietrabianca, di fontane che mantenevano unafrescura deliziosa, di aiuole coltivate a

rose del Cascemir che spandevano acutiprofumi e di boschetti di magnolie, dibanani, di betel e di lauri superbi.

Venite - disse Bandhara. - Il bungalownon č lontano.

Si diressero a passo di corsa verso le

mura che circondavano i giardini e che liseparavano dai recinti destinati aglielefanti ed ai cavalli del rajah. Giŕ stavano per raggiungerle, quando unndiano, posto a guardia della cinta,

sbarrň loro il passo, abbassando la piccache teneva in mano.



Largo!… - disse Bandhara, alzando larivoltella.

No, non far fuoco! - gridň Indri.

Toby, a cui premeva del pari che nessunadetonazione spargesse l’allarme nel

palazzo, con uno slancio fulmineo siscagliň sulla sentinella, vibrandogli unpugno cosě poderoso sul cranio, da farlostramazzare al suolo senza che avesse

avuto il tempo di mandare un grido.

Alle mura - disse.

La cinta non era che a pochi passi e nonpiů alta di due metri. Bandhara, che era ilpiů agile, la superň pel primo, lasciandoscadere dall’altra parte. Con un rapido



sguardo si assicurň che non vi era nessunoa guardia delle scuderěe e riprese lacorsa.

A centocinquanta passi aveva vedutodelinearsi il bungalow e aveva ancheudito a barrire il gigantesco Bangavady.

Toby e Indri, in preda ad una crescenteansietŕ, lo avevano seguito tenendo inpugno le rivoltelle. Erano pronti a tutto,

anche ad aprirsi il passo colle armi.Superata anche la seconda cinta, sirovarono al bungalow. Bangavady stava

fermo presso la gradinata, montato daThermati e da Poona, i due servi delcacciatore e dal piccolo Sadras, mentreDhundia esplorava i dintorni a cavallod’un piccolo e focoso poney.



Vedendo comparire Toby ed i suoicompagni, il briccone s’era affrettato araggiungerli.

Si fugge? - chiese.

Sě - rispose Indry.

E la Montagna di luce?

č in nostra mano.

— č impossibile! - esclamň Dhundia.

Silenzio, partiamo subito - disse Toby. -

Forse a quest’ora hanno trovato il rajah esi sono accorti del furto.

Avete ucciso il principe? - chiese

Dhundia, con voce alterata.



Basta colle chiacchiere. A piů tardi lespiegazioni! Bandhara, al tuo posto e fa’rottare Bangavady.

— Dove si va? - chiese il cornac. — Alsud, per ora. Scendiamo l’altipiano ecerchiamo un rifugio nel Gondwana.

Sě, sahib - rispose il fedele cornac.

Consegnň il diamante a Indri e

aggrappatosi alla proboscide diBangavady, prese il suo posto.

Ci sono armi e viveri nell’haudah? -

chiese Indri a Dhundia.

Non manca nulla.

Perché non sali con noi?



Vi precedo per perlustrare la via; viraggiungerň poi, appena saremo fuoridalla cittŕ.

Toby e Indri salirono precipitosamentenell’haudah e Bangavady partě a passoallungato, dirigendosi verso i bastioni

meridionali della cittŕ.

— Se possiamo varcare la frontiera primche l’allarme sia dato, tu sei salvo e

Parvati pagherŕ le sue infamie - disseToby a Indri.

Questi non rispose, ma gli strinse

vivamente la destra. La commozione losoffocava.



SI PREPARA L’IMBOSCATA

Rimasto solo, mentre Toby, Indri eBandhara si recavano alla festa notturnadel rajah per tentare il colpo decisivo,

Dhundia aveva subito fatto accorrere ilmaggiordomo, vibrando un colpo furiososul gong.

Sahib! - aveva esclamato il chitmudyar,precipitandosi nella saletta. - Cosadesiderate?

Se ti preme di non perdere la tua partedella Montagna di luce, č necessario chefra mezz’ora Sitama e Barwani siano qui,e che tutti i sapwallah ed i giocolieri



siano riuniti.

Cos’č accaduto, sahib?

— Questa sera il cacciatore bianco e Indr

s’impadroniranno del Kohinoor.— Ed in quale modo? Rubare il diamanteal rajah mi sembra una cosa impossibile o

per lo meno difficilissima.

— č una faccenda che riguarda loro; pureo sono certo che riusciranno. Io so cheBandhara ha una provvista di narcotici.Come li userŕ? Io non lo so, né mi occupo

di saperlo. Quello che mi preme č di non



asciarci sfuggire il diamante. Parvatirionferŕ e noi guadagneremo dei milioni.

Basta colle spiegazioni. Prendi il miglior

cavallo e corri subito ad avvertire Sitamao intanto farň preparare Bangavady daSadras e dai servi di Toby.

Fra un’ora sarň qui, sahěb — rispose ilmaggiordomo, uscendo precipitosamente.Due minuti dopo il galoppo d’un cavalloavvertiva Dhundia che il chitmudyar era

partito.

— Cerchiamo di non farci sorprendereora - mormorň il briccone. - ForseThermati e Poona hanno ricevuto’incarico di sorvegliarmi e conoscono il

fakiro . Soprattutto quel ragazzo čpericoloso.



Chiamň i due servi e diede loro l’incaricodi preparare Bangavady.

Partiamo questa notte? - chieseThermati.

Sě, torniamo al bungalow del vostro

padrone - rispose Dhundia. - La nostramissione č finita e piů nulla abbiamo dafare in Pannah. Io intanto vado aprocurarmi un cavallo, onde non caricare

roppo l’elefante.

— Abbiamo i nostri, signore.

Animali di poca resistenza che nonpotranno seguire a lungo un elefante incorsa. Me n’č stato offerto oggi uno chedeve correre come il vento.



Si avvolse nel dootée e uscě prendendo lavia che conduceva al bazar.

— č da questa parte che verranno - disse. Andiamo ad incontrarli.

Si guardň alle spalle parecchie volte, per

vedere se qualcuno lo aveva seguito, poiandň ad appostarsi presso l’angolo d’unaviuzza, dove un piccolo porticatoproiettava un’ombra fitta.

on era ancora trascorsa un’ora, quandon lontananza udě il galoppo precipitato d

alcuni cavalli.

Abbandonň il porticato e si spinse inmezzo alla via.

Tre cavalieri s’avvicinavano coll’impeto



d’una tromba. Passando sotto un fanalesospeso dinanzi ad una casa, Dhundiariconobbe nel primo il chitmudyar.

— Ferma - disse, sbarrando la via aicavalieri.

Siete voi, sahib? - chiese ilmaggiordomo arrestando quasi di colpo isuo destriero. Scendete.

l fakiro ed il gigantesco Barwani, con unvolteggio fulmineo, erano balzati a terra.

Il Kohinoor? - chiese Sitama,

avvicinandosi rapidamente.

Forse a quest’ora č nelle mani di Indri -rispose Dhundia.



E noi?

Dobbiamo a nostra volta rubarlo, se ti

premono le rupie.

— Parla, sahib; cosa dobbiamo fare? Tuttmiei uomini sono pronti.

Quanti sono?

Una trentina.

Dove si trovano?

Presso lo stagno sacro.

Li condurrai tutti al bastione meridionale li imboscherai sull’altipiano. Almomento opportuno ci tenderete

un’imboscata e vi impadronirete del



Kohinoor. — Bisognerebbe far cadere’elefante per impedire che il cacciatore

c’insegua.

Gli romperemo le gambe - disseBarwani. - M’incarico io di ciň.

— Toby e Indri non ci lascerebbero perňegualmente tranquilli - disse Dhundia. - Čnecessario immobilizzarli per lasciarci ilempo di varcare le frontiere di Pannah.

In quale modo? - chiese Sitama.

Oh! č una cosa facilissima - rispose

Dhundia con un sogghigno da tigre. - Si faavvertire il rajah e si fanno arrestare.

Perderanno la vita - osservň Sitama.



— E che importa a me? Che Indri diventi

un parěa o no, č una cosa che nonm’interessa affatto. A me basta avere ilKohinoor.

— E Parvati? - chiese Sitama.

Sarŕ egualmente sbarazzato del suorivale. Avete dei cavalli? Dovete essereutti montati per guadagnare subito le

frontiere.

Ne abbiamo una quarantina, e tutti dibuona razza - rispose Sitama. - E armi?

Ho fatto comperare trenta carabine.



— Vi sarŕ certo combattimento.

Non lo rifiuteremo - disse Barwani.

Chi s’incaricherŕ di avvertire il principee di accusare Toby, Indri e Bandhara delfurto?

— Uno dei miei uomini. - Fidato?

Fidatissimo - rispose Sitama. - Appena

fuggiaschi avranno lasciata Pannahancerň le guardie del principe sulle lororacce.

Dopo perň che avremo fatto il colpo -disse Dhundia. - Se le guardie giungonoprima, non avremo il Kohinoor.

Scaglionerň alcuni sapwallah fuori dalla



cittŕ e sull’altipiano, incaricati disegnalare al mio uomo di avvertire ilrajah. - Conto su di te, Sitama.

Non temete, sahib; la Montagna di lucesarŕ nostra.

Appena fatto il colpo, io fuggirň con voie ripareremo nelle montagne del

Gondwana per poi raggiungere Jabalpur.

Lŕ venderemo il diamante e ognuno avrŕ lsua parte. Partite!… Il tempo stringe.

Sitama e Barwani si slanciarono, ventre a

erra, attraverso le oscure vie della cittŕ.Dhundia fece scendere il chitmudyar edesaminň attentamente il cavallo.

Un buon corridore, č vero? - chiese.



Ha sangue arabo nelle vene, sahib.

— A chi appartiene?

Al rajah.

— Lo faccio mio; il principe ne ha perfin

roppi per aver bisogno anche di questo.Tu ne prenderai un altro e piů tardi andraia raggiungere Sitama. - Precederň’elefante e andrň ad avvertirlo della

vostra partenza, onde siano tutti pronti pe’imboscata.

Si diressero lentamente verso il

bungalow, dove trovarono Bangavadyfermo dinanzi alla gradinata, pronto apartire.

Thermati e Poona erano saliti sui loro



cavalli, tenendo in pugno le carabine,mentre il piccolo Sadras aveva presoposto nell’haudah. Non erano trascorsi

cinque minuti che Bandhara, Toby e Indrisi calavano dalla muraglia. Il resto č noto

Bangavady, eccitato dal cornac, si era

messo in marcia trottando, mentreThermati, Poona e Dhundia, il quale si erapure armato d’una carabina, lo seguivanoper proteggere la ritirata.

Fuggivano a precipizio, dirigendosi versobastioni meridionali della cittŕ. Toby e

ndri, ancora commossi, non avevano piůscambiata alcuna parola. Inveceascoltavano, credendo sempre di udire,verso il palazzo del rajah, a strepitare igong d’allarme. Fino a quel momento perň



nessun fragore era giunto ai loro orecchi.

Non se ne sono ancora accorti - disse

finalmente Toby, mentre Bangavadyprecipitava la corsa, ansando e sbuffando Se tardano qualche ora, noi siamo salvi.

Salvi! No, Toby - disse Indri con vocerotta. - Ci daranno la caccia, e qualecaccia! E chissŕ se noi riusciremo avarcare le frontiere e raggiungere le

mmense foreste del Gondwana. Vi č poiuna cosa che ci tradirŕ e che non passerŕ nosservata.

Quale? - chiese Toby stupito.

La tua pelle bianca.

— Avevo preveduto questo pericolo,



ndri, - disse il cacciatore, - ed ho fattomettere nella nostra cassa, assieme alleprovviste, dei vestiti principeschi e anche

delle tinture per trasformarci. Noi saremodue principi dell’Holkar in viaggio per Jabalpur, onde sciogliere un votoreligioso.

Tu hai fatto ciň, Toby? - esclamň Indricon gioia.

Sě, amico mio.

Allora compi subito la tuarasformazione, se non č troppo tardi.

L’allarme non č ancora stato dato esiamo giŕ fuori da Pannah.

All’opera, senza perdere un istante,



Toby.

č cosa di pochi minuti. Sadras, aiutami.

Hai messo tutto nella cassa?

Sě, sahib - rispose il ragazzo.

Levň i cuscini di seta e aprě la cassa, cheformava uno dei sedili dell’haudah,irando fuori due splendidi costumi

ricamati in oro ed argento e parecchie

bottigliette contenenti delle tinture.

Vi sono anche delle barbe finte - disseToby. - Cosě la nostra trasformazione sar

completa.

E Bandhara? - chiese Indri.

Ho pensato anche per lui. In quanto agli



altri non vi č bisogno che cambino pelle,non essendo conosciuti né dai soldati, nédal rajah.

Presto, Toby. Forse a quest’ora cinseguono.

l cacciatore, aiutato da Sadras, si lavň ilviso, il collo e le mani in una tintura cheera stata versata in una catinellad’argento, attese che il vento notturno,

molto caldo, lo asciugasse, poi siappiccicň una superba barba che gli dava’aspetto d’un imponente rajaputo, quindindossň il costume. Indri l’aveva imitato,

rendendo piů oscura la tinta della propriapelle, che era leggermente abbronzata.

Fecero delle loro vesti e di quelle che



ndossava Bandhara un pacco, e logettarono in mezzo ad un folto cespuglio.

Avevano appena completata quellarasformazione, quando in lontananza, indirezione della cittŕ, udirono rombarealcuni colpi di cannone e squillare delle

rombe. Indri era diventato pallido.

Il furto č stato scoperto! - esclamň, conansietŕ. - Ah! Toby, sento che il mio cuor

rema!…

— Siamo giŕ a due miglia da Pannah, eBangavady corre come un daino.

Ma abbiamo almeno centosessantamiglia da percorrere, prima di giungerealla frontiera.



Le supereremo.

Resisterŕ Bangavady? Non puň

percorrerle tutte d’un fiato.

Vi sono delle boscaglie su questoaltipiano e dei burroni profondi, e ci

nasconderemo. Quando Bangavady non nepotrŕ piů, faremo una sosta.

Guarda, Toby! Pare che ci segnalino.

l cacciatore volse gli sguardi versoPannah giŕ quasi scomparsa fra le tenebreCentinaia di razzi salivano in cielo

ncrociandosi in tutti i versi: sui bastioni sulle cupole delle pagode ardevano deifalň giganteschi. Ad intervalli di pochiminuti si udiva il rombo del cannone.



A chi segnalano la nostra fuga? - si

chiese Toby, con angoscia.

Guardň verso il mezzodě e vide scintillarfra le tenebre dei punti luminosi, i quali

salivano alti per poi spegnersibruscamente.

Anche verso oriente ed occidente, si

vedevano delle scintille verdi, rosse eazzurre incrociarsi sul fondo tenebrosodel cielo.

Sai con chi corrispondono i soldati delrajah? - chiese Indri.

Cogli hudi1 sparsi lungo la frontiera -

rispose Toby, la cui fronte si era



annuvolata.

Le guarnigioni di quei fortini ci

chiuderanno il passo. Sono certo chequesti segnali significano di sbarrare tuttee gole che mettono sull’altipiano e di

arrestare le persone che cercano di

entrare o di uscire dagli Stati del rajah.

— Dove mette la via che percorriamo? -chiese Toby, dopo alcuni istanti di

silenzio.

Nella valle del Senar.

č guardata da hudi? - Ve ne sono due.

Cosa fare? - si chiese Toby, perplesso. Quantunque siamo ora irriconoscibili, non

vorrei venire fermato dai soldati del



rajah.

Cerchiamo un nascondiglio in mezzo ai

fitti boschi ed aspettiamo che lasorveglianza delle frontiere divenga menoaccurata. Non trovandoci, il rajah sipersuaderŕ che noi siamo riusciti a

asciare i suoi Stati.

Il tuo consiglio č buono, Indri. Andremoal mio bungalow che č conosciuto da

pochissimi, e colŕ attenderemo che isoldati lanciati sulle nostre tracce siritirino. Vi sono dei boschi foltissimiattorno alla mia proprietŕ e potremorovare dei nascondigli sicuri. I miei

uomini intanto veglieranno sulla montagnae ci segnaleranno qualsiasi pericolo. Piůardi poi cercheremo di varcare le



frontiere e scenderemo nel Gondwana.

Fu dato ordine a Bandhara di dirigere

’elefante verso il bungalow,attraversando le fitte foreste dell’altipianorientale, onde sfuggire con maggioreprobabilitŕ all’inseguimento che doveva

giŕ essere cominciato in tutte le direzioni.Bangavady non rallentava la sua corsa,anzi cercava di aumentarla, mettendo adura prova la resistenza dei cavalli

montati da Dhundia, Thermati e da Poona

Pareva che l’intelligente animale avessecompreso il grave pericolo che correvano

suoi padroni, e aveva preso un verogaloppo, aprendosi impetuosamente ilpasso fra le macchie.



Lanciato come una catapulta, sfondava,col poderoso petto, tutti gli ostacoli,atterrando e schiantando alberi e cespugli

nota: 1 Piccoli fortini merlati che sono

destinati a sbarrare le vie che mettonosull’altipiano.

cavalieri, approfittando di quel

passaggio aperto dal colosso, loseguivano, tenendosi l’uno pressoall’altro.

pannah ormai era scomparsa, perň siudiva ancora a rimbombare cupamente ilcannone, e la detonazione, ripercossa daimonti, rumoreggiava lungamente nelle



vallate e nei profondi burronidell’altipiano.

Tutti i cavalieri del rajah devono essersanciati sulle nostre tracce - disse Indri, iquale cercava, ma invano, di spingere glisguardi al di lŕ delle macchie.

Sě; perň abbiamo un notevole vantaggio rispose Toby. - E poi questo suolo čntersecato da tante orme d’elefanti, di

cavalli e di animali selvaggi, che quelleasciate da noi non saranno cosě

facilmente trovate, specialmente conquesta oscuritŕ. E poi vi sono dei torrentie li risaliremo per meglio ingannare inostri inseguitori.

Che il rajah abbia lanciati anche i suoi



elefanti dietro di noi?

Deve averne parecchi, e non li avrŕ

asciati riposare sotto le tettoie.

A quanto stimi la via che abbiamopercorsa?

A dodici miglia per lo meno.

E quando giungeremo al tuo bungalow;?

— Non prima delle nove, se Bangavadymantiene questa corsa indiavolata.

Padrone - disse in quel momentoBandhara. - Non odi nulla tu?

Il cannone che tuona ancora? - chiese

ndri.



Non parlo del cannone. Ascolta,padrone.

Ferma l’elefante. Col fracasso che faschiantando gli alberi, non si puň udire.Bandhara accarezzň il colosso, poi mandňun leggero fischio.

Bangavady rallentň la corsa, poi si arrestňnel piů folto della macchia, ansandorumorosamente. Anche i tre cavalli si

erano fermati, lieti di quella brevefermata, che permetteva loro di riprenderl respiro.

Al di lŕ del bosco si udiva un rumor sordo, che pareva prodotto da undrappello di cavalli lanciati a corsasfrenata attraverso l’altipiano. - I soldati



del rajah! - esclamň Indri, raccogliendorapidamente la carabina. - Ma no, čmpossibile! - disse Toby. - Non possono

aver percorse dodici o tredici miglia inventi minuti. Bisognerebbe che avesseroe ali.

Eppure sono animali che galoppano,Toby.

Possono essere anche bufali o samber.1

Ve ne sono parecchi in queste foreste.

— Dhundia - disse Toby, curvandosisull’haudah. - Hai udito?

Sě - rispose l’interrogato.

Che cosa credi che siano?



Animali selvaggi che sfuggono - disseDhundia, con voce tranquilla.

nota: 1 Grossi cervi.

Il rumore si allontana verso l’est - disseToby. - Odi, Indri?

Nella nostra direzione?

Lasciamoli correre. Avanti, Bandhara, e

spingi l’elefante fin che puň durare.Bangavady aspirň rumorosamente l’aria,poi riprese la corsa abbattendo, constrepito indiavolato, le piante e spezzando

di colpo i rami che potevano offendere ilcornac o gli uomini che occupavano’haudah.

Al di lŕ delle macchie non si udiva piů



nulla. Anche il cannone non echeggiavapiů in direzione di Pannah.

L’elefante s’era impegnato in una golastrettissima e selvaggia, che erafiancheggiata dapoZos frondosi e dacespugli altissimi, dove nessuno, che non

avesse avuto un pachiderma robustissimosarebbe riuscito ad aprirsi il passo.Bandhara aveva molto da fare a guidare icolosso, il quale di quando in quando si

arrestava titubante, come se presentissequalche pericolo.

tre cavalieri lo seguivano sempre davicino, approfittando del solco aperto dalpassaggio di quell’enorme corpaccio, eche subito tendeva a rinchiudersi dietro dui.



l silenzio era profondo in quella gola,eppure Bangavady non cessava di dar segni d’inquietudine.

Forse era prima passata per di lŕ qualcheigre o qualche pantera e l’elefante aveva

fiutato l’odor di selvatico che si lasciano

dietro quelle belve. Sempre aizzato dalcornac, Bangavady era giŕ giunto presso’uscita della gola e stava per slanciarsi a

galoppo su una pianura che s’apriva

dinanzi a lui, quando tutto d’un colpocadde pesantemente, mandando un lungobarrito. Toby, Indri e Sadras, proiettatinnanzi da quella improvvisa fermata,

erano stati scagliati in mezzo ai cespugli,a destra ed a sinistra, mentre Bandhara,dopo due capitomboli, era caduto in

mezzo ad un torrentello pantanoso,



scomparendo fino alle spalle. Quasi nelmedesimo momento un drappellod’uomini armati si slanciava fuori dai

cespugli, facendo una scarica controThermati e Poona.

due disgraziati servi, fulminati da piů

palle, erano caduti di sella senza mandareun grido.

Mentre alcuni di quei banditi

saccheggiavano l’haudah, gli altri si eranoprecipitati su Toby e Indri che eranorimasti distesi fra i cespugli, senza dar segno di vita.

n un baleno li spogliarono frugando leoro vesti. Un grido di trionfo annunciň autti che quello che cercavano era stato



rovato.

Il Kohinoorl… In ritirata!…

Poi tutti scomparvero verso l’uscita dellagola, preceduti da Dhundia, il qualespronava furiosamente il suo cavallo.



I SOLDATI DEL

RAJAH

Bandhara aveva assistito al saccheggiodei banditi ed al tradimento di Dhundia,

senza nulla poter tentare per impedire ilprimo e punire il secondo. Egli aveva nonsolo riconosciuto Sitama, il maledettofakiro, bensě anche Barwani e parecchi

dei sapwallah che lo avevano assalitonella pagoda la notte che aveva cercato dsorprendere i loro segreti.

Dibattendosi disperatamente eaggrappandosi alle erbe che crescevanoungo il torrente, dopo lunghi sforzi, era

riuscito finalmente a liberarsi dal pantano



Era perň troppo tardi per pensare adnseguire i banditi, perché questi ormai si

erano dileguati, scomparendo fra le

enebre.

Senza occuparsi di Bangavady, il qualefaceva rintronare la gola di spaventevoli

barriti, si slanciň fra i cespugli per portare soccorso a Indri ed a Toby. Lirovň quasi nudi, a breve distanza l’uno

dall’altro, in una posa che di primo colpo

Bandhara li credette morti.

Che li abbiano assassinati? - sidomandň, impallidendo. - MiserabileDhundia!… Guai a te e guai al fakiro!…

Vide perň subito che sui loro corpi non viera alcuna ferita, eccettuate alcune



scalfitture di poca importanza, ricevutenel cadere fra i cespugli. Accostň unorecchio al petto di Indri, poi ai quello di

Toby. - I loro cuori battono - disse. - Nonsono che svenuti. Si levň il turbante, corsal ruscello, le cui acque, provenienti dallecime altissime dei Ghati, erano quasi

gelate, lo riempě e lo versň di colpo sundri. Questi, sentendosi cadere addosso

quella doccia freddissima, sussultň, poisternutň sonoramente.

Padrone! Padrone! -esclamň Bandhara,scuotendolo. Una bestemmia risuonň inquel momento dietro di lui. Toby eraornato in sé senza aver bisogno di quella

doccia e stava rialzandosi.

Per la mia morte! - esclamň il



cacciatore. - Che cosa č successo qui?Vedendo Bandhara curvo su Indri, loguardň con stupore.

Cosa fai? - gli chiese.

Ad un tratto perň le sue idee si

risvegliarono bruscamente.

Siamo caduti, Bandhara?

E anche derubati, sahib - rispose ilcornac, con voce lamentevole.

Derubati!… - esclamň Toby, sbarrando

gli occhi.

Il Kohinoor č perduto!

Mille demoni! Cosa dici?…



Il Kohinoorl Il Kohinoorl - esclamň unavoce strozzata.

ndri, tornato a sua volta in sé, avevaudito le ultime parole di Bandhara.

Come state, sahib? - chiese il bravo

cornac. — Vi avevo creduto morto.

ndri pareva che non lo avesse nemmenoudito.

— Il Kohinoor! — ripeteva con accento

disperato. - Chi me l’ha rubato?

Si, parla Bandhara! - gridň Toby.

Dhundia e Sitama.



Dhundia! - esclamarono ad una voceToby e Indri.

Egli era d’accordo col fakiro e coisapwallah e ci aveva fatto preparareun’imboscata in questo burrone.

ndri aveva mandato un urlo di furore e didisperazione. Solo in quel momento si eraaccorto che la fascia, entro la quale avevanascosta la Montagna di luce, non gli

stringeva piů i fianchi. Si alzň di scatto,gettando ali intorno uno sguardo smarrito. Me l’hanno rubata!… - gridň. - Ah!…

Ma Indri non morrŕ paria.

Si era precipitato sulle sue vesti che iadri avevano gettate in mezzo ad un

cespuglio ed aveva raccolta la rivoltella



che era rimasta appesa alla cintura deicalzoni. La staccň d’un colpo e se la puntňsotto il mento. Toby, pronto come il

ampo, gliela strappň di mano.

Indri, amico mio, cosa fai! - esclamň,con voce commossa. - Quale pazzia vuoi

commettere?…

Lasciami, Toby! Per me tutto č finito!…

Finito! Abbiamo appéna cominciato,amico. Ci hanno preso il diamante? Stabene: ce lo riprenderemo.

I ladri sono fuggiti! Non si lascerannopiů cogliere, ed io sarň perduto! - esclamndri, con esaltazione.

Lasciamoli correre, per ora. Tutte le



frontiere sono guardate e non lascerannocosě facilmente gli Stati del rajah. Linseguiremo a nostra volta, senza

concedere a loro un istante di tregua,attraverso tutta l’India se sarŕ necessario,ma un giorno li raggiungeremo, e Dhundiaquell’infame traditore, ed il fakiro,

a pagheranno. - Dhundia! Ma credi tu che

ci abbia proprio traditi?

Sě padrone - disse Bandhara. - č fuggitoassieme ai sapwallah dopo d’aver stretta

a mano al fakiro ed a Barwani

Ma che cosa č successo! - gridň Toby. -o non mi ricordo piů di nulla dopo la



caduta di Bangavady.

I banditi erano imboscati in mezzo ai

cespugli. Si sono precipitati su di noi,hanno ucciso Thermati e Poona, vi hannopreso il diamante e sono

fuggitiť

I miei servi sono stati uccisi! - esclamňToby, con dolore. - Forse non sono

che feriti. Cerchiamoli, Bandhara.

č inutile che li cerchiate, padrone.Eccoli lŕ, stesi dietro all’elefante e senzavita. Sono stati fucilati a bruciapelo.



E Sadras? - chiese Indri.

Sadras! - esclamň Bandhara, stupito di

non aver pensato prima al ragazzo.

Io non l’ho piů riveduto.

— Che si sia ucciso cadendodall’haudofi? - chiese Toby. -Cerchiamolo, poi risaliamo su Bangavadye corriamo al mio bungalow;. Armeremo

miei servi e correremo sulle tracce deiadri. No, non ho perduta la speranza di

riavere ancora la Montagna di luce.

Non contate piů sul mio elefante -rispose Bandhara, con voce triste. -Questi lamentevoli barriti indicano che lasua fine č prossima.



L’hanno ferito?

— Deve essersi spezzate le gambe

anteriori.

— Maledizione! Tutto č contro di noi! -gridň Toby. - Vieni, Indri, andiamo a

vedere se possiamo salvarlo e poicercheremo Sadras.

Si diressero verso l’elefante, i cui barriti

facevano rintronare la gola. Avevano fattialcuni passi, quando Bandhara, che liprecedeva, cadde.

— I miserabili! - esclamň il cornac,rialzandosi prontamente. - Ecco ciň che hspezzate le gambe a Bangavady.

— Cos’č? - chiesero ad una voce Indri e



Toby.

Il fakiro aveva fatto tendere attraverso l

gola una fune di metallo.

Toby si curvň spostando i cespugli e leerbe altissime che ingombravano il fondo

del burrone, e vide una grossa gomena difili di ferro intrecciati, simili a quelle chevengono usate sulle navi a vapore e anchenei pozzi delle miniere. Era stata tesa ad

un metro dal suolo e legata ai tronchi didue grossi tamarindi, i quali crescevanosui fianchi della gola.

L’elefante, che marciava rapidamente, viaveva urtato contro senza scorgerla, edera stato arrestato di colpo, per poistramazzarsi e rompersi le gambe



anteriori sul terreno roccioso.

banditi non si erano perň accontentati di

quelle fratture. Il povero elefante avevaricevuto inoltre un tremendo colpo discure o di sciabola in una gambaposteriore, che gli aveva reciso il tendine

ferita gravissima che doveva dargli lamorte in brevissimo tempo.

l pachiderma, che perdeva sangue e in

quantitŕ straordinaria dalla zampamutilata, vedendo accostarsi Bandhara,aveva allungata verso di lui laproboscide, come per chiedergli aiuto.

Barriva sordamente e grosse lagrime glirotolavano giů dagli occhi, mentre l’interamassa sussultava con un tremito



vivissimo.

Povera bestia! - esclamň il cornac

commosso. - Per te č finita.

— Accorciamogli l’agonia - disse Toby,raccogliendo una carabina che era caduta

dall’houdon. - Mi rincresce veder soffrirequesto bravo animale.

Anche a me, Toby - rispose Indri.

l cacciatore puntň il fucile

ntroducendolo, senza toccarlo, in unorecchio del

pachiderma, e fece partire il colpo.



Bangavady con uno sforzo s’alzň sullegambe fracassate mandando un barrito

spaventevole, tese in alto la tromba, poi’enorme massa ricadde su un fianco

con un rombo paragonabile al tuono udito

n lontananza.

Per alcuni istanti un tremito convulsoscosse il corpo, poi la tromba si distese

fra i cespugli vomitando un torrente disangue: un rauco sospiro rumoreggiň

nella gola del colosso, poi piů nulla.Bangavady era morto.

Povero amico - disse Bandhara,

passando una mano sulla testa del



pachiderma che era ancora scosso da unultimo fremito.

A Sadras - disse Toby, gettando via,quasi con disgusto, la carabina. - Ungiorno vendicheremo anche Bangavady.

Girň intorno all’elefante e si fermňdinanzi ai suoi due servi, soffocando unsospiro. Thermati e Poona erano caduti are passi l’uno dall’altro, presso uno dei

oro cavalli che era stato ucciso dallamedesima scarica.

Entrambi erano crivellati di ferite, pure

non avevano ancora abbandonate le lorocarabine che tenevano sempre strette frae dita rattrappite.



Ecco altri da vendicare - disse Toby,con voce sorda. - Se… Un’esclamazionedi Bandhara gli interruppe la frase.

Cos’hai? - chiese Toby.

Non vedo l’altro cavallo.

L’avranno preso quei bricconi.

No, sohib. Quando sono fuggiti,

solamente Dhundia era montato; tutti glialtri erano a piedi.

Sei certo di quello che dici? - chiese

ndri.

Sě, padrone. Mi sono passati tuttidinanzi, e se i cavalieri fossero stati due,

i avrei veduti.



E che cosa vuoi concludere? - chieseToby.

Nulla, per ora; cerchiamo prima ilpiccolo Sadras.

Si misero a frugare i cespugli tutti intorno

all’elefante, spingendosi fino alle rive deruscello e senza trovare il cadavere delragazzo.

Questa scomparsa č ben misteriosa -disse Toby. - Che Sadras fosse d’accordocoi sapwallah!

Non lo crederň mai, sahib - risposeBandhara. - Ho avuto troppe prove dellasua fedeltŕ.

Che lo abbiano rapito?



Ed a quale scopo? - chiese Indri.

Non lo so.

Non hai veduto passare il cavallo chemontava Thermati?

Finché i sapwallah fuggivano, no, dopoforse… ero allora occupato a sbarazzarmdel fango che minacciava d’inghiottirmi, enon facevo piů attenzione a quanto

succedeva qui.

Che quel bravo ragazzo abbia seguitigl’incantatori per esserci utile nelle nostr

ricerche? - chiese Toby. - Ha dimostratodi essere coraggioso come un uomo edastuto. Se ha fatto ciň, noi lo rivedremo dcerto un giorno. Sapeva che ci dirigevamo



al mio bungalow?

— Sě - ripose Indri. - Era con noi quando

ne abbiamo parlato.

— Non sarŕ imbarazzato a trovarlo.Amici, lasciamo questo luogo e venite

alla mia casa. Non deve essere moltoontana.

E poi? - chiese Indri, con angoscia.

Ho anch’io un buon elefante, e ci

metteremo in caccia. Dhundia ed il fakironon usciranno da questo territorio. Vieni,ndri: io confido ancora nella nostra

buona stella.



Sia - rispose l’ex favorito del guicowar La lotta č cominciata e voglio vederne l

fine. Ora comprendo che stavo per

commettere una sciocchezza, quando pocofa volevo cacciarmi una palla nel cranio.

Era un momento di profondo

scoraggiamento, ed ora sono lieto divederti rialzare piů forte di prima.Andiamo, amici. Quando saremo albungalow mander ň qui qualcuno a dare

onorata sepoltura ai miei due disgraziatiservi ed a ricuperare l’haudah.

Si gettarono in ispalla le carabine,diedero un ultimo sguardo a Thermati ed Poona e un altro al povero Bangavady, lacui enorme massa si gonfiava a vistad’occhio per la dilatazione dei gas interni



e uscirono da quel burrone, ove per poconon avevano perduta anche essi la vita.

Si trovavano sul versante orientaledell’altipiano. Dinanzi a loro si estendevauna vasta pianura ingombra di kalam,imitata a settentrione da cupe foreste ed a

mezzodě da un torrentaccio, di cui siudivano i sordi muggiti, forse qualcheaffluente del Senar.

essun essere umano si scorgeva inalcuna direzione. I sapwallah, fatto ilcolpo, si erano dileguati per tentare ilpassaggio della frontiera, cosa moltodiffěcile in causa dei numerosi hudi cheda quel lato sbarravano le gole. Alleundici del mattino, dopo una marcia diquattordici miglia fra burroni, foreste e



praterie, giungevano al bungalow.

Erano tutti cosě affranti, da non reggersi

quasi piů. Perfino Toby, quantunqueabituato alle lunghe marce attraverso alleforeste, cadeva per l’eccessivastanchezza.

suoi servi lo avevano accoltofestosamente, ignorando la disgraziaoccata al loro padrone e la miseranda

fine di Thermati e di Poona.

Prendiamo un po’ di riposo - disse Tobya Indri. - Intanto i miei uomini

prepareranno ogni cosa per ’inseguimento. Ho un buon elefante, dei

cavalli di



razza, armi in quantitŕ e cinque uomini

valorosi che non avranno paura adaffrontare i ladri del Kohinoor.

Mangiarono un boccone, poi si lasciarono

cadere nelle amache appese ai rami d’ungigantesco tamarindo che ombreggiavaparte del giardino. Dopo tante emozioni,utti tre sentivano il bisogno di riposarsi

qualche po’, prima di cominciare’inseguimento dei sapwallah di Sitama.

Dormivano da qualche ora, mentre i lorouomini facevano i preparativi dellapartenza, quando furono svegliati da unbaccano assordante. Si udivano grida,nitriti e scalpitěi di cavalli e squilli dirombe. Toby, sorpreso e anche molto



nquieto, si era gettato rapidamente giůdall’amaca chiamando i suoi uomini, iquali pareva che questionassero

vivamente.

Che cosa avviene, Toby? - chiese Indri,l quale si era pure svegliato.

Pare che siano giunti dei cavalieri -rispose il cacciatore. - I1 sapwallah,forse?

Non saranno cosě sciocchi da venirequi. Ah!… Tuoni!…

— Cos’hai, Toby?- chiese Indri,vedendolo impallidire.

I soldati del rajahl - esclamň il

cacciatore, con voce strozzata.



Dieci cavalieri rajaputi, guidati da unufficiale e armati di lunghe carabine,avevano invaso il cortile, non ostante le

proteste dei servi, e s’avanzavano nelgiardino.

Preparate le armi - comandň l’ufficiale.

Toby, in preda ad una viva agitazione, siera avvicinato all’ufficiale, seguito dandri e da Bandhara.

Cosa desiderate? - chiese il cacciatore,cercando di apparire tranquillo.

Ho ricevuto l’ordine d’arrestare voi ed vostri compagni in qualsiasi luogo viavessi trovato entro i domini del mioSignore.



Io, il cacciatore di tigri!

Voi, Toby Randal.

Vi deve essere un equivoco.

No, sahib, - disse l’ufficiale, con voce

ferma.— Di che cosa mi s’incolpa?

Voi avete rubato il Kohinoor. No rubato, perché l’ho pagato un milion

di piů del suo valore.

Io non devo saper nulla sahib. Horicevuto l’ordine d’arrestarvi e diricuperare il Kohinoor.



Se volete arrestarci, fatelo pure, perchénoi non opporremo resistenza; ma sevolete riprendere la Montagna di luce, no

fermatevi qui un solo istante. - Cosa dite,sahib?

— Che il Kohinoor non č piů in nostra

mano, perché ci č stato rubato questa

notte da una banda di sapwallah e didacoiti, guidata da un fakiro che si chiamaSitama.

Volete ingannarmi, sahib?

No, quello che vi ho detto č la veritŕ.Guardate: avevo fatto preparare l’elefante

per dare la caccia ai ladri. I miei servi



possono affermare se quanto ho detto čvero.

E dove sono fuggiti quei dacotI?

— Verso la frontiera piů vicina - risposeToby. - Se sperano di varcarla,

s’ingannano - disse l’ufficiale. - Tutte leguarnigioni degli hudi sono state giŕ avvertite di sbarrare le gole, e nessunouscirŕ dagli Stati del rajah senza un

permesso speciale. Sahib, mi giurate sulvostro onore che non avete piů ilKohinoor?

Ve lo giuro - rispose Toby.

Vi avverto che mentendo nullaguadagnereste, perché ho preso le mie



misure onde impedirvi la fuga. Ho altriventi cavalieri attorno al vostrobungalow.

Noi non fuggiremo, ve lo prometto.

Io manderň due dei miei uomini a panna

onde avvertire il rajah di quanto čavvenuto.

Fatelo e senza ritardo, premendo anche

noi che si ritrovi la Montagna di luce checi costa tre milioni.

L’ufficiale si volse verso i suoi uomini e

scambiň con essi alcune parole.

Un momento dopo due cavalieri sislanciavano fuori dal giardino, spronando



vivamente i loro destrieri.

Fra quattro ore saranno a pannah - disse

’ufficiale, rivolgendosi verso Toby.

Io perň devo eseguire l’ordine ricevuto arrestarvi.

Fatelo pure; č vostro dovere.

Non intendo giŕ di legarvi come volgari

malfattori, né di chiudervi in qualchestanza. Fino a che i miei due uomini nonorneranno con nuovi ordini, mi limiterň a

mantenere le sentinelle attorno al

bungalow;, quantunque mi fidi dellavostra parola.

Vi siamo riconoscenti di questa cortesia

e se non vi rincresce, faremo colazione



nsieme.

Grazie, sahib - rispose l’ufficiale

sorridendo. - Č un favore che non rifiuto,cosě potrň guardarvi meglio.

Desidero perň una spiegazione da voi.

Parlate, sahib.

— Chi vi ha detto che eravamo venuti

qui?

Un indiano che abbiamo incontratoun’ora fa, a tre miglia dal vostro

bungalow. Vedendoci passare, mi hachiamato dicendomi: ŤCercate i ladri delKohinoor? Se volete prenderli recatevinel bungalow del cacciatore di tigriť. Poi

si č allontanato rapidamente, spronando il



suo cavallo.

Era un dacoito del fakiro - disse Toby. -

Quei miserabili ci avevano seguiti daontano per lanciarci addosso i soldati derajah. Quanto sono astuti quegli uomini!…E mentre noi siamo qui, immobilizzati,

forse varcheranno la frontiera.

Non vi riusciranno, sahib, ve lo assicuro disse l’ufficiale. - Tutti i passi a

quest’ora sono guardati e anche lemontagne. Vi sono quattromila cavalieriche percorrono l’altipiano.

Toby si avvicinň a Indri, il quale parevaannichilito.

A che cosa pensi, amico? - gli chiese.



Ma speri ancora, Toby?- domandňnvece l’ex favorito del guicowar.

— Non solo spero; m’accorgo anche che nostri affari cominciano a camminare unpo’ meglio. Il Kohinoor non č ancoraperduto e se non lo riavremo, leveremo

almeno la pelle a quella canaglia diDhundia e a quel furfante di fakiro. Epoi… vedremo. Intanto facciamopreparare la colazione e non

dimentichiamo anche quei poveri rajaputiche ci guardano.

LA GENEROSITŕ D’UN PRINCIPE



Erano trascorse sette ore dalla partenzadei due rajaputi, sette ore di continuenquietudini per Toby e Indri, costretti a

rimanere inoperosi, mentre forse Dhundiaed il fŕkiro stavano per varcare lafrontiera, quando un’ora dopo il tramontoudirono in lontananza a squillare alcune

rombe. Seguiti sempre dall’ufficiale, sierano affrettati a salire sulla veranda,dalla quale potevano dominare un vastoratto dell’intenso altipiano. Verso il

settentrione si vedevano numerosi puntiuminosi scintillare fra le alte erbe e le

macchie della pianura, e si distingueva

confusamente una massa oscura la qualengrandiva a vista d’occhio.

Chi sono? - chiese Toby. - Dei semplici

soldati no di certo, perché non viaggiano



mai coi torcieri.

Deve essere qualche importante

personaggio - rispose l’ufficiale. - Che ilrajah, abbia mandato qui il suo ministro?

Gli faremo un’accoglienza degna della

sua alta posizione - disse Toby, un po’ronicamente.

L’ufficiale chiamň due cavalieri che

facevano la guardia sotto la veranda eordinň loro di andare a riconoscere queldrappello che stava allora attraversandoun profondo burrone.

Che cosa temete? Qualche sorpresa? -chiese Toby.

Possono essere i dacoiti che vi hanno



derubati. - Lo fossero davvero!…Disgraziatamente a quest’ora sarannonvece assai lontani.

E poi, - disse Indri, - a quale scopovenire qui? Hanno invece interesse aenersi lungi da qui.

Sě perché io non esiterei a dare lorobattaglia.

Ed io vi aiuterei - rispose l’ufficiale.

Dopo un quarto d’ora il drappelloricompariva, sull’altipiano, galoppando

verso il bungalow.

Era composto d’una ventina di cavalieri edi quattro mussakhi muniti di torce per

rischiarare la via. Tutti erano bene armati



perché si vedevano scintillare fucili eance.

due rajaputi mandati dall’ufficiale liavevano raggiunti ed ora tornavano agaloppo sfrenato, mandando alte grida.

Sahib - disse uno dei due, arrestando ilsuo cavallo bianco di spuma. -Preparatevi a ricevere il rajah.

Toby e Indri avevano trasalito.

Il rajah… - esclamň il cacciatore,diventando pallido. - Diamine!… Che

burrasca sta per scatenarsi?

Toby, la nostra testa č in pericolo - dissndri.



Cercheremo di salvarla. Andiamo aricevere Sua Altezza e facciamo gli onoridi casa.

Scese nella sala pianterrena e feceaccendere due doppieri d’argento che nonadoperava che nelle grandi occasioni e

schierare i suoi servi dinanzi la scaletta,con delle torce in mano.

l rajah e la sua scorta, formata da

bellissimi rajaputi di statura quasigigantesca, entrava in quel momento nelcortile.

Toby, ritto sul primo gradino, lo aspettavcol cappello in mano, senza spavalderia,calmo, tranquillo, come un uomo sicurodel fatto suo. Il rajah scese da cavallo,



girň intorno uno sguardo, poi vedendoToby gli mosse incontro, dicendogli convoce un po’ beffarda:

Ben felice di rivedervi, master TobyRandal. Forse voi non mi aspettevate, čvero?

Non credevo d’aver l’onore di riceverequi Sua Altezza il rajah di Pannah.

Ex proprietario di quella Montagna diuce che voi mi avete cosě destramente

presa - disse il principe, sorridendo. Tobnon ritenne prudente rispondere. Vedendo

perň il rajah a sorridere bonariamente, sisentě tornare tutto il coraggio. — Non mipare che sia troppo incollerito - pensň. -Buon segno. Quindi riprese ad alta voce:



Permettete, Altezza, che il vostroprigioniero vi offra ospitalitŕ, nella suamodesta casa?

č un’offerta che non rifiuterň, master

Randal, specialmente dopo una corsa cosunga.

Allora Sua Altezza mi permetta di

precederla.

Master Toby, io ammiro il vostro spirito disse il rajah, con tono sempre bonario.

Ah!… Questi europei!

Seguě il cacciatore nella sala pianterrenae si sdraiň comodamente su una soffice

poltrona che gli veniva offerta.



Toby era rimasto in piedi dinanzi a lui,mentre Indri e Bandhara si tenevano negliangoli della stanza.

Accomodatevi, master Randal, - disse ilrajah - e rispondete innanzi a tutto ad unadomanda.

Sono ai vostri ordini, Altezza.

Siete molto ricco, voi?

Io!… No, Altezza! - esclamň l’exsott’ufficiale, stupito da quell’inattesadomanda.

Eppure m’avete lasciato un cheque di tremilioni, mentre la Montagna di luce erastata stimata non piů di due.



Non sono io che ho firmato il cheque,Altezza.

Infatti ho veduto sotto un nome: IndriSagar.

Ex ministro ed ex favorito del guicowar

di Baroda - disse Toby, presentando Indrl quale s’inchinava dinanzi al rajah.

Questi si era alzato guardandolo con

meraviglia ed insieme curiositŕ.

Allora voi mi avete preso, o meglioavete acquistato il diamante, per incarico

del guicowar. ‘

— No, Altezza, per conto mio - risposendri. - Mi era necessario per non perdere

’onore.



Spiegatevi.

č una storia un po’ lunga, Altezza.

Non ho alcuna fretta di tornarmene aPannah. Prima desidero sapere se č veroche il Kohinoor vi č stato rubato.

č vero, Altezza - dissero ad una voceToby e Indri.

Lasciate per ora che i ladri corrano. Hofatto prendere tali misure che nonpotranno varcare le frontiere del mioStato senza venire scorti.

Sono abili e audaci, Altezza - disseToby.

Li sfido a raggiungere il Gondwana o



PHolkar. Anche le frontiere delsettentrione sono guardate da numerosidrappelli di cavalleria.

Mentre i servi portavano della birra, deivini, delle pipe e sigari, Indri cominciň araccontare le sue sventure, senza nulla

omettere, interessando straordinariamentel rajah il quale, per non perdere una

sillaba, lasciava spegnere di frequenteperfino il profumato Manilla offertogli da

Toby. Quando Indri ebbe finito, ilprincipe stette alcuni istanti silenzioso,poi tendendo bruscamente la mano all’exfavorito del guicowar, gli disse:

Vi perdono il pessimo tiro che mi avetegiuocato per impadronirvi del Kohinoor.Ero venuto qui coll’intenzione di



vendicarmi del brutto momento che miavete fatto passare, ma ora non sono piů icollera. Coi coraggiosi che hanno liberato

e mie miniere da due mangiatori d’uominche mi divoravano sudditi e mi facevanoperdere diamanti, scemando le mierendite; e che mi hanno pagato il Kohinoo

piů del suo valore, mentre avrebberopotuto farne a meno e saccheggiare anchel mio tesoro, si deve essere generosi. Il

Kohinoor č vostro e vi aiuterň ariconquistarlo.

— Ah! Grazie, Altezza! - esclamň Indri,precipitandosi alle ginocchia del principe Voi mi date il mezzo di vincere i miei

nemici e di salvare il mio onore che č piůprezioso della mia vita. Io non diverrň piů

un miserabile paria.



l rajah battč le mani.

Quanti uomini hai tu? - chiese

all’ufficiale che comandava i rajaputimessi a guardia del bungalow.

— Trenta, Altezza. - Tutti scelti?

E valorosi.

Vi possono bastare per dare la caccia ai

adri? - chiese, volgendosi verso Toby endri.

Sě Altezza - risposero.

Li metto a vostra disposizione e viauguro di riconquistare presto ilKohinoor.



Altezza - disse Indri. - In quale modopotrň io contraccambiare la vostragenerositŕ?

In quale modo? - disse il rajah,alzandosi e sorridendo. - Accettando ilpremio che io ho destinato ai cacciatori

dei due mangiatori d’uomini.

Noi vi abbiamo rinunciato.

Per Siva! Non si rifiutano centomilarupie!

Altezza - disse Indri. - Non erano che

diecimila!…

Per una sola tigre, ma non per due.Tacete master Toby ed intascate il

premio. Io avrň fatto egualmente un buon



affare. Signori sarň lieto di rivederviancora a Pannah e col Kohinoor.

Ve lo promettiamo, Altezza.

l rajah vuotň il suo bicchiere di birra,strinse la mano a Toby ed a Indri e uscě

nel cortile rimontando a cavallo.

Buona fortuna, - disse - e se avetebisogno d’altri uomini, non dimenticate

che io ho altri seimila rajaputi.

Salutň colla mano, poi partě seguito dautta la sua scorta, lasciando Toby e Indri

piů che mai stupefatti di quella generositŕnattesa.



Ebbene, Indri? - chiese il cacciatore,ridendo.

Non credevo d’aver tanta fortuna! -esclamň l’ex favorito del guicowar,precipitandosi fra le braccia dell’exsott’ufficiale. - E la devo a te, tutta a te,

mio fedele amico.

In caccia, Indri. Leveremo la pelle aquel miserabile Dhundia che ci ha cosě

abilmente giuocati, ed a quel cane difakiro e poi faremo sudare freddo aParvati.

Sě, pagheranno tutti il tradimento - dissendri, con voce fremente. - Il guicowar mi

renderŕ giustizia.



Dieci minuti dopo galoppavano attraverso’oscura pianura, seguiti dall’ufficiale e

dai trenta rajaputi.



LA FUGA DEI LADRI

Dhundia, il fakiro ed i sapuiallah, resisipadroni del Kohinoor e ferito gravemente’elefante onde impedire a Toby e ad Indr

di inseguirli, avevano abbandonata

precipitosamente la gola, fugggendo versol sud. Avevano inforcati i loro cavalli,

che durante l’imboscata avevano lasciatinella pianura, sotto la guardia d’alcuniuomini e contavano di giungere allafrontiera prima che le gole venisserochiuse dalle guarnigioni degli nudi posti a

guardia dei passaggi.on distavano che una ventina di miglia

dalla valle del Senar, luogo scelto da

Barwani e dal fakiro per entrare nel



Gondwana, distanza che i loro cavallipotevano superare prima che spuntasse’alba.

l famoso diamante era subito passatonelle mani di Dhundia, diventato ormai ilcapo di quella banda di audaci bricconi

da lui assoldati per conto di Parvati, ilnemico acerrimo del favorito delguicowar.

Dopo una corsa furiosa di dieci miglia, idacoiti si erano fermati in una profondavallata per accordare un po’ di riposo alloro cavalcature e anche per consigliarsi

onde ingannare la sorveglianza delleguarnigioni degli hudi nel caso che quelleavessero giŕ ricevuto l’ordine di nonpermettere il passaggio alle persone



provenienti dall’interno dello Stato.

Mentre i sapwallah, s’occupavano dei

cavalli, Dhundia, Sitama e Barwani sierano seduti presso un colossaleamarindo per discutere sul da farsi.

Stavano per dare l’ordine di partire,

quando udirono verso la pianura ungaloppo precipitato che s’avvicinavarapidamente.

Deve essere uno degli uomini che hoasciato indietro per sorvegliare il

cacciatore e Indri - disse Barwani.

Alcuni momenti dopo un cavaliere uscivada una macchia d’altissimi cespugli eraggiungeva la banda.



Sei tu Shung? - chiese il gigante,prendendolo di mira col fucile.

Sě, sahib - rispose il sopraggiunto,facendo fare al cavallo un fulmineovolteggio.

Quale nuove rechi?

Vengo dalla gola.

Sono tutti vivi?

— Il cacciatore bianco, Indri ed il cornacsi sono messi in marcia per raggiungere il

oro bungalow, gli altri sono morti.

E l’elefante?

Lo hanno ucciso per abbreviargli



’agonia.

Col colpo di scure che gli aveva dato

sulla zampa non poteva rimettersi in piedi disse Barwani, ridendo.

Hai veduto nessun drappello di soldati?

No, ma non devono essere lontani icavalieri del rajah. Ho lanciato dueuomini verso pannah onde li mettano sulle

racce del cacciatore bianco.

Tu sei un uomo intelligente e avrai centorupie piů degli altri.

Sahib, partiamo.

Sono pronto - rispose Dhundia.



Allentarono le briglie e l’intera bandapartě in gruppo serrato, dirigendosi versoa valle del Senar che non era lontana piů

di otto o dieci miglia. L’altipianocominciava a scendere dolcemente,nterrotto di quando in quando da profond

burroni entro i quali s’udivano a

scrosciare torrenti impetuosi e da bruschiavvallamenti coperti da macchie assaifolte formate per lo piů da piccoli tek.

Alcune miglia piů innanzi la discesadell’altipiano cominciň a diventare cosěrapida, da costringere i cavalieri a frenarl galoppo dei loro focosi destrieri.

Erano vicini alla valle del Senar, la qualenon č altro che un’immensa spaccaturaformata dall’incessante e secolare rodere



delle acque, che si sono aperte unpassaggio lungo il margine estremodell’altipiano.

Una sola via mette dal principato dipannah al Gondwana, stretta, tortuosa,malagevole e che costeggia il fiume. č il

solo passaggio che esista da quella parte,perché a destra ed a sinistra di quel corsod’acqua non vi sono che abissispaventevoli e quasi inaccessibili.

Giunti sul margine estremo dell’altipianocavalieri s’erano arrestati. Prima

d’impegnarsi in quello stretto passaggiovolevano accertarsi se le guarnigioni deifortini avevano giŕ occupata la via e lerive del fiume, onde non correre ilpericolo di farsi prendere.



Barwani, Sitama e Dhundia ordinarono ai

oro uomini di nascondersi entro

una macchia di platani e si spinseronnanzi soli.

Avevano percorso poche centinaia dipassi, quando una bestemmia sfuggě a

Barwani. - Troppo tardi! - esclamň. - Lavia ci č chiusa.

Da soldati del rajah? - chiese Dhundia,facendo un gesto di rabbia.

Sě guarda, sahib.



n fóndo alla valle si vedevano duegiganteschi falň illuminare le due rive delfiume e attorno a essi parecchi uomini con

mmensi turbanti e dei lunghi fucili i qualscintillavano sotto i riflessi delle fiamme

I rajaputi - disse Sitama. - Maledizione!

… Sono stati giŕ avvertiti!…- Il piů čfatto, - disse Dhundia, - perché ildiamante č ormai nelle nostre mani ma ciresta ancora molto da fare e non createvi

delle illusioni troppo ottimiste. IlGondwana non sarŕ facile da raggiungereve lo dico io. - Credi sahib, che leguarnigioni della frontiera siano giŕ stataavvertite? - sono certo; quando noiabbiamo lasciato pannah, ho veduto deifuochi rispondere a quelli accesi sui

bastioni e sulla cima delle pagode.



Anche noi li abbiamo veduti - disseBarwani.

E si rispondeva anche col cannone -aggiunse Sitama.

E noi giungeremo troppo tardi per

rovare il passaggio libero - disseDhundia. - Conoscete la valle del Senar?

Perfettamente - rispose Sitama.

Quanti fortini vi sono? Quattro. - Connumerose guarnigioni? - Certo perché ilrajah tiene buona parte dei suoi fucilieri

alle frontiere. Dhundia fece una smorfia.

Non si potrebbe evitare quella vallata? chiese.



č impossilile sahib - rispose Barwani. -L’altipiano altrove cade quasi a picco peroltre millecinquecento metri e nessun

cavallo e nemmeno gli uomini potrebberontraprendere una simile discesa.

Si potrebbe tentare il passaggio della

valle di notte - disse Sitama.

E perdere una intera giornata? E credi tuche Toby e Indri siano rimasti inattivi?

Avrei paura di vedermeli giungereaddosso.

Non inquietarti per essi, sahib - disse

Barwani. - Probabilmente a quest’orasono stati arrestati. Ho lasciato indietroalcuni uomini coll’incarico di segnalare acavalieri del rajah dove si trovano i ladri



del Kohinoor

— Hai avuto un’idea ammirabile - disse

Dhundia. - Hai detto ai tuoi uomini divenire a raggiungerci nella valle?

1Sě, perň alcuni seguiranno Indri ed ilcacciatore fino al loro arresto.

Che avverrŕ nel loro bungalow.

Si dirigevano alla casa del cacciatore? chiese Sitama.

Era il loro progetto - rispose Dhundia.

Ne avevo il sospetto, - disse Barwani -

e ho incaricato un sapwallah di andare a



sorvegliare anche i dintorni del bungalowl cacciatore ed i suoi compagni cadranno

presto nelle mani del rajah.

E noi intanto fuggiremo indisturbati nelGondwana - disse Dhundia.

— Quelle regioni le conosco a menadito vi condurrň facilmente a Jabalpur dovevenderemo la Montagna di luce.

— Come conosci quel paese, sahib?

Ho la mia tribů fra quelle montagne e necaso che dovessimo venire inseguiti anch

su quel territorio, saprei trovare dei rifugnaccessibili e anche degli uomini pronti

difenderci. I mie compatrioti non devonoaver dimenticato l’antico bramino che



sacrificava i merěahs1 per fecondare leoro terre.

— Sicché se noi avessimo bisognod’uomini per far fronte al cacciatore ed aisoldati del rajah…

— Ne troverei fra quei fieri montanari -rispose Dhundia.

Ti credevo nativo di Baroda, sahib -disse Barwani.

No, sono un gondwana. Basta collechiacchiere; partiamo prima che spunti’alba. I nostri cavalli si sono riposati

abbastanza.



Si alzarono e salirono sui loro destrieri,mitati da tutti i sapwallah e dai giocolier

che formavano la banda.

— Che cosa fare ora? - chiese Dhundia,che si mordeva i baffi.

— č impossibile passare - disse Barwani

Se provassimo a forzare il passo! Siamon una trentina e quegli uomini non sonoche dodici o quindici.

Al primo colpo di fucile accorrerebberoe guarnigioni dei fortini - disse Sitama.

— E gli hudi sono armati di qualche pezz

d’artiglieria - aggiunse Barwani. - Se



dovessimo impegnare la lotta verremmofacilmente schiacciati.

Se provassimo a scendere dalla partedell’abisso? - chiese Dhundia.

— Ci vorrebbero delle funi e noi non ne

abbiamo.

— Eppure non possiamo rimanere qui.

Aspettiamo la notte ventura - disseBarwani. - Lasceremo i cavalli ecercheremo di passare seguendo lacorrente. Sapete nuotare, sahib?

— Sě - rispose Dhundia.

— Anche i nostri uomini.



nota. 1 Sacrifěci umani.

Mi rincresce perdere una giornata. Non

si puň prevedere ciň che succede indodici ore.

Troveremo un rifugio che ci metterŕ alsicuro.

Sai dove se ne trova uno?

Vi č in questi dintorni un’antica tomba,una specie di pagoda, innalzata allamemoria d’una principessa indiana - diss

Sitama.



Io l’ho visitata qualche volta - disseBarwani.

Andiamo a cercarla. I cavalieri del rajapossono spingersi fino qui e darci la

caccia.

Seguimi sahib. L’asilo che ti offro nonsarŕ allegro ma sicuro. Tornarono indietroraggiungendo i loro uomini e si diressero

verso oriente, costeggiando l’abisso, dacui salivano, con sordo fragore, i boatidel fiume frangentesi contro le rocce.

L’altipiano pareva deserto, segnoevidente che i cavalieri del rajah non sierano ancora spinti fino a quel luogo.Probabilmente inseguivano Toby ed i loro



compagni in altre direzioni.

Cominciava a sorgere l’alba, quando il

drappello giunse dinanzi ad una superbacostruzione irta di cupole di marmobianco e di torri e circondata da unamassiccia muraglia ancora in ottimo stato

č la tomba della rahni di Bansi - disseBarwani. - Una riproduzione in piccolo dquella dell’imperatore Akbar.

Entrarono per una porta monumentalesfondando il cancello roso dalla ruggine esmontarono, legando i cavalli agli alberi

che circondavano la tomba. ComeBarwani aveva detto, quella costruzionerassomigliava perfettamente, quantunquemolto in piccolo, al celebre mausoleo di



Akbar che sorge a breve distanza da Agrasulla via che conduce a Delhi.

Era di forma del pari quadrata, con cupoldi marmo bianco, mentre tutto il rimanentedell’edifěcio era di pietra rossa macchiatdi giallo. Era circondato da larghe

errazze e con numerose finestre ad arco,ricche di sculture e di dorature ed agliangoli aveva delle svelte torrettescannellate pel lungo di marmo roseo, con

errazzini situati a varie altezze. L’internodel mausoleo era di forma perfettamentecircolare, coperto da un’altissima cupolaadorna di pitture e di mosaici, con nelmezzo un sarcofago di marmo nerosorretto da quattro colonne e contenentesenza dubbio la salma



della rahni.

Staremo bene qui - disse Barwani. -

Questa tomba non č frequentata che unasola volta all’anno, quindi non verremmodisturbati.

E puň servirci da fortino nel caso d’unassalto - aggiunse Sitama. - Basterebbebarricare la porta e salire sulla cinta.

Avendo portato con loro le provvisteprese nell’haudah di Bangavady, fecero

colazione, poi cercarono un luogo overiposarsi, mentre alcuni sapwallahvenivano mandati nei dintorni onde non

venire sorpresi dai cavalieri del rajah. La



giornata contrariamente alle loroprevisioni, trascorse tranquiilla, nonessendo comparso su quella parte

dell’altipiano alcun rajaputo. Verso seravenivano raggiunti dai due sapwallah cheerano stati lanciati alle calcagna di Toby d’indri coll’incarico di spiarli. Essi

recavano la notizia dell’arresto delcacciatore e dei suoi due compagni.

Per ora possiamo vivere tranquilli disse

Dhundia. - Toby e Indri avranno ben dafare a scolparsi del furto commesso enessuno crederŕ che siano stati a lorovolta derubati.

E noi intanto viaggeremo nel Gondwanandisturbati - disse Sitama. - Arrestati iadri, faranno ritirare le sentinelle



appostate nelle gole e noi passeremofěngendoci tranquilli trafficanti in viaggioper Jabalpur o per Damoh. Sarei anzi

d’opinione di fermarci qui finché i passinon sono sgombri.

Condivido anch’io la tua idea - disse

Barwani. - Qui nulla abbiamo da temere,mentre inoltrandoci ora nella golapotremmo venire arrestati. Manderemo acercare dei viveri o andremo a cacciare

nei boschi. I cervi qui non mancano. Cosadite, sahib?

Sia pure - rispose Dhundia. - Nonabbiamo fretta a vendere il Kohinoor. Seperň questa notte la vallata vienesgombrata, ce ne andremo. Preferiscorovarmi fra le jungle e le foreste del



Gondwana che sul territorio del rajah.Colŕ mi sentirei piů tranquillo. Le suesperanze furono perň deluse, perché

alcuni sapwallah mandati nella vallataerano ritornati recando la notizia che leguarnigioni dei due fortini non avevanoabbandonate le rive del fiume.

banditi quindi si stesero sotto i porticatidel mausoleo per godersi alcune ore disonno. Tuttavia per precauzione avevano

disposto alcune sentinelle fuori dallacinta.

La notte era quasi trascorsa, quando versoe quattro, Dhundia, Sitama e Barwani

venivano improvvisamente destati daalcuni colpi di fucile. Un momento dopoe sentinelle si slanciavano entro la cinta,



gridando: - All’armi!… I rajaputi!… - Isoldati del rajah! - esclamň Dhundiampallidendo.

Quanti sono? - chiese Barwani, il qualeaveva perduto molto della sua usualeranquillitŕ.

Non lo sappiamo, - rispose unsapwallah, - ma molti di certo. Abbiamoveduto numerosi cavalli.

Sono lontani? - chiese Sitama. - Appenamezzo miglio.

Fuggiamo - disse Dhundia.

E dove? - chiese Barwani. - Meglio



rimanere qui, al coperto dalle palle. Inpianura non potremo resistere. -Cerchiamo di forzare la gola Ci faremo

prendere fra due fuochi.

E restando qui perderemo la vita e anchl Kohinoor. Ah! Se potessi raggiungere i

Gondwana e poi la mia tribů!…- Cosafaresti, sahib? - chiese Sitama. - Levereire o quattrocento montanari e verrei qui.

Uno o due uomini, con un po’ d’astuzia,o credo che potrebbero attraversare la

gola. Vuoi provare, sahib? Noi potremoresistere alcuni giorni.

Ed il Kohinoor?



Lo lasceresti qui, sotto la nostra guardia Per fartelo prendere?

Non avere questo timore, sahib, perchése mi vedessi alla stretta mi fareiseppellire vivo assieme alla Montagna diuce. Tu sai che io sono un fakiro. - Tu se

diffidente - disse Dhundia.

No, sahib, sono prudente. Tu potrestidimenticarti di ritornare coi tuoi

montanari. Dhundia lanciň sul fakiro unosguardo cupo.

Sarň ancora in tempo? - chiese poi.

Lo spero. - Se riesco a varcare ilconfine, fra dodici o quindici ore sarň quicoi montanari.



Ed io mi farň seppellire vivo onde ildiamante non ci venga ripreso.

In quale luogo? Voglio saperlo prima dipartire.

Dinanzi la torre di levante, sotto quel

amarindo che tu hai giŕ veduto. -Mi giuridi non farti prendere?

Per Siva; mio protettore.

Dammi un uomo fidato, che conosca la

via.

Sitama cercň fra i sapwallah, i qualistavano barricando la porta rotolando



pietre e ritornň quasi subito conducendoun giocoliere alto quanto Barwani, ma diuna magrezza spaventosa.

Tu condurrai il sahib attraverso la gola gli disse, indicandogli Dhundia.

Hai in tua mano la nostra salvezza e laMontagna di luce.

Lo farň passare senza che le guardie dei

fortini se ne accorgano - rispose’indiano, - Partite: odo giŕ il galoppo dei

rajaputi.

Resisterete fino al mio ritorno? - chieseDhundia.

Lo speriamo - rispose Sitama. - E non

cederete il Kohinoor?



Vale piů della nostra libertŕ.

Addio, adunque.

Dhundia ed il giocoliere salirono su duecavalli, i migliori della truppa e sislanciarono fuori dalla cinta, spronando

furiosamente.

Si udirono alcuni spari, poi il galoppos’allontanň verso la valle del Senar,

diventando rapidamente fioco.

Alle armi! - gridň Barwani, quando nonudě piů nulla. - Le mura sono massicce e

sapremo resistere a lungo.

— Ed i viveri? - disse Sitama. -Mangeremo i nostri cavalli. Ecco i

rajaputi che si preparano a circondarci.



Ah!… Per centomila serpenti!…

Cos’hai, Barwani?

— Io giurerei che fra i rajaputi v’č unuomo bianco.

č impossibile che tu l’abbia veduto. Ho udito a gridare in lingua inglese:

fuoco!

— Che sia il cacciatore bianco?- chieseSitama, con voce soffocata. - Se č luisiamo perduti!

n quel momento una scarica ruppe leenebre e alcune palle fischiarono sopra l

muraglie che erano state occupate dai

sapwallah e dai giocolieri. Barwani



aveva mandato un urlo di rabbia.

Alla luce della polvere accesa aveva

veduto fra i cavalieri del rajah Toby, Indre Bandhara.

rajaputi, dopo d’aver fatta quella scaric

probabilmente per accertarsi se i ladri deKohinoor si trovavano nella tomba dellarani, si erano dispersi per la pianuraformando un ampio cerchio, in modo da

rendere impossibile la fuga agli assediati

Avevano fatti coricare i loro cavalli fra lalte erbe, per non esporli troppo al tiro

dei sapwallah, poi vi si erano nascostidietro, tenendo le carabine appoggiatealle selle.



Sitama e Barwani, nello scorgere Toby endri alla testa di quei cavalieri, erano

rimasti come fulminati. Perché si

rovavano liberi mentre li credevanorinchiusi nelle prigioni di Pannah ed inprocinto di perdere il capo sotto lascimitarra del carnefice del rajah? Per i

due bricconi era un mistero assolutamentenesplicabile.

č impossibile che il rajah li abbia

graziati! - aveva esclamato Barwani.

Eppure quei cavalieri sono soldati diPannah - aveva risposto Sitama. - Liconosco troppo bene per ingannarmi.

Cos’č dunque avvenuto nel bungalow.



Ecco quello che forse non sapremo maiperché di qua non usciremo vivi. Toby endri non ci risparmieranno.

Ne ho anch’io la convinzione.

E la fuga ci sarŕ impossibile, Barwani.Un’imprecazione uscě dalle labbra delgigante.

Presi!… - esclamň, con voce rauca. -Presi ora che abbiamo nelle nostre mani iKohinoor!… Non so rassegnarmi!…

Il Kohinoor non l’avranno.

Ritorni alla tua prima idea?



Sě, Barwani, io mi farň seppellire vivoportando con me il diamante.Scomparendo io, Toby e Indri crederanno

cbe io sia riuscito a fuggire collaMontagna di luce e forse non inveirannocontro di voi. Tu poi narrerai loro quelloche meglio ti suggerirŕ la tua fantasia.

Sě - disse il gigante, animandosi. - Noii giuocheremo ancora.

Fa’ preparare la fossa. - disse Sitama. - rajaputi possono dare l’assalto allaomba e ti mancherebbe il tempo di

seppellirmi.

Quanto potrai resistere?

Anche quaranta giorni.



Sei certo di risuscitare?

Ho fatta la prova due volte e come vedi

sono ancora vivo - rispose Sitama.

Sai cosa devi fare?

Lo so, Sitama - disse Barwani. - Hoaiutato una volta anch’io un fakiro. Primaperň dammi le tue ultime istruzioni.

Resisterai finché potrai all’assalto deirajaputi per attendere i soccorsi promessida Dhundia.

— Tornerŕ?

La Montagna di luce č nelle nostre manie ci tiene troppo per perderla.



E se fossimo costretti a cedere primadell’arrivo dei montanari? - chieseBarwani.

Io e Dhundia tenteremo piů tardi disalvarvi. Quando si posseggono deimilioni, non č difficile corrompere i

carcerieri, specialmente quelli dellanostra razza.

Ho fiducia in te… perň, bada, Sitama!…

Se tu e Dhundia ci tradirete, non fermatevn nessun luogo perché presto o tardi i

dacoiti ci vendicherebbero.

So quanto č tremenda la nostraassociazione e so come punisce i traditor

on perdiamo altro tempo, Barwani; fa’scavare la fossa mentre io faccio i mei



preparativi.

Dove ti seppelliremo?

Nel luogo che ho indicato a Dhundia.Lasciami ora solo e che nessuno facciarumore.

Entrň nel mausoleo illuminato dalla luna, cui raggi entravano dalle ampie finestreaperte sotto la cupula, strappň un pesante

essuto che copriva una delle pareti e lostese al suolo coricandovisi poi sopra.

Ora puliamoci lo stomaco e proviamo

’elasticitŕ della lingua - disse. . Levň dalsuo turbante una striscia di tela finissimache s’intrecciava alla stoffa rossa, si misea masticarla per bene poi la inghiottě non



senza sforzi, tenendo perň una delleestremitŕ fra i denti.

Quando gli parve che fosse giunta infondo allo stomaco la ritirň rapidamenteper ingoiarne poi una seconda ed unaerza.

Ripetuta piů volte quella stranaoperazione, si provň a piegare la lingua inmodo che la punta andasse a turare la

aringe. Soddisfatto di quel risultato, sispogliň d’una parte delle vesti, poi sisdraiň sul dorso tenendo gli occhi fissisulla punta del naso in attesa chesopraggiungesse la catalessi magnetica.Rimase in quella posa parecchi minuti,rattenendo il respiro finché tutto d’unratto s’abbandonň.



suoi occhi si erano chiusi e le suemembra irrigidite.

Chiunque l’avesse veduto, avrebbe dettoche il fakiro era morto perché il suo pettonon si sollevava piů, né alcun soffiousciva dalle sue labbra. Era appena

caduto quando entrň Barwani seguito daquattro sapwallah. Guardň attentamente ilfakiro sempre irrigidito, gli posň unamano sulle labbra per ben accertarsi che

non respirava piů, poi con due pallottoledi tela spalmata con un po’ di cera gli turňaccuratamente le narici,

— Possiamo seppellirlo - disse. - LaMontagna di luce č nascosta sotto la suafascia. Annodň i quattro angoli del tessutosopra il corpo di Sitama, poi fece un



segno ai sapwallah.

Questi alzarono con precauzione il fakiro

o trasportarono presso la torricella dievante dove dinanzi ad un grossoamarindo era stata scavata una buca

profonda due metri. Il corpo fu calato,

ricoperto d’un nuovo drappo e di ramionde la terra non gravitasse troppo, quinda buca fu riempita di zolle erbose.

Quando il terreno fu ben livellato ecancellate tutte le tracce, Barwani si levňdalle spalle la carabina, dicendo:

— Ed ora, diamo battaglia ai rajaputi.

L’ASSALTO ALLA TOMBA



fakiri dell’India, questi rappresentanti

del piů ributtante fanatismo religioso,sono certamente gli uomini piůstraordinari che esistano sulla terra.Dotati d’una pazienza e d’una tenacia

ncredibili, sono riusciti a compiere dellecose cosě strane, da farsi veramentecredere uomini miracolosi, e nonsolamente dai loro compatrioti.

č cosa comune vedere, nelle cittŕ diquell’immensa penisola, dei fakiri esoprattutto dei gussedn, ossia mendicantireligiosi, tenere le braccia alzate per annteri senza mai abbassarle, neanche

quando dormono, esercizio che potrebbesembrare facile, ma che noi non



riusciremmo di certo a prolungare oltreuna mezz’ora, se giungiamo anche a tanto.č pure anche comune vederne altri tenere

e pugna strette finché le unghie,crescendo, attraversano tutto il palmo,uscendo dall’altra parte, esercizio cherichiede mesi di lunghe sofferenze e che

pure quei fanatici sopportano con unarassegnazione inaudita; oppure altri cheper anni portano dei coltelli infissi nel leoro membra, o che si sottomettono a dei

digiuni prolungati finché il loro

corpo quasi si mummifica, vincendo tutti Succi e tutti i Merlarti della terra. Ma fraante cose straordinarie, quella che ha

maggiormente stupito gli scienziatieuropei ed americani, č il seppellimento

d’un uomo vivo, e che dopo un tempo piů



o meno lungo, ritorna in vita, pur essendorimasto privo d’aria per parecchiesettimane. La cosa sembrerebbe

ncredibile, eppure simili esperimentiassolutamente straordinari, sono statirigorosamente controllati da personedegne di fede, da scienziati, da

governatori, e perfino da viceré inglesidell’india.

Sembra che i fakiri abbiano appreso ilsegreto di mettersi da sé medesimi instato catalessico e d’ipnotismo, perché

diversamente non potrebbero resistere aduna tumulazione che dura talvolta perfinoquaranta giorni Comunque sia, čnecessaria una pazienza che solamente gli



ndiani posseggono per poter abituarsi asospendere il respiro, cosa che nessuno dnoi certo potrebbe fare.

l fakiro dunque, prima di poter

raggiungere quel perfezionamento che čnecessario per poter subire la prova, devesercitarsi per lunghi anni. Si fa scavaredapprima una fossa, deponendovi in fond

un materasso o parechie stuoie e comincia’esercizio della poanayama, ossia della

sospensione del corpo. Per i primi giornisi fa rinchiudere dentro solamente per qualche minuto, in modo che l’aria non vipossa penetrare, poi per due, quindiaumenta sempre, abituandosi in tal modo recitare il suo rosario, in ragione di



seimila sillabe

Prima perň di cominciare quel pericolosoesercizio che puň costargli la vita per asfissia ha la precauzione di traforare il

muscolo che congiunge il lato internodella lingua alla mascella inferiore. Vi fauna piccola incisione ogni settimana, cheripete per ventiquattro volte, poi con

massaggi speciali, e con olii astrin nota: 1l dottor Gibler attualmente dell’ospitale

degli Italiani a New-York, e anche ildottor Honisberger, per citarne qualcuno,hanno assistito ad uno di questiesperimenti a Lahore.



genti, costringe la lingua a ripiegarsi inmodo da otturare completamente laaringe.

Ottenuti questi risultati, che richiedonosovente degli anni, fa il suo esperimenton pubblico, sotto la controlleria di

personaggi eminenti, sovente di rajah, iquali devono chiudere la tomba col lorosigillo che non deve venire spezzato cheal momento della risurrezione.

Vi sono dei fakiri che rimangono chiusinelle loro tombe perfino quaranta giorni!… Eppure non muoiono.

Quando vengono levati, dopo quella lungaumulazione, hanno l’aspetto di veri

cadaveri o meglio di mummie. Solamente



non tramandano alcun odore. Le lorogambe e le loro braccia sembranodisseccate; i loro polsi e anche il cuore e

e tempia non battono piů; il loro corpo čfreddo, eccettuata la testa che conserva uncerto calore.

Si lavano con acqua calda, si operano suloro corpo vigorose frizioni e si mette suloro capo un cataplasma ben caldo di

farina di frumento. Ciň fatto, si sturano le

narici, si apre a forza la bocca per rimettere la lingua nella posizionenormale, onde non chiuda piů la laringe,cosa non sempre facile perché tende adnarcarsi da principio, la si spalma di

burro per restituirle la sua morbidezza,quindi si soffregano le palpebre con del

grasso tiepido e si aprono gli occhi.



Per lo piů al secondo od al terzocataplasma, il fakiro da qualche segno divita. Le sue membra perdono la loro

rigiditŕ e si riscaldano, le narici sidilatano, gli occhi riacquistano il lorosplendore, ed il fakiro, con stuporegenerale, ritorna in vita dopo quattro o

cinque settimane di tumulazione!

Barwani, sepolto il fakiro, si era messoaudacemente all’opera per contrastare ilpasso ai rajaputi, essendo convinto divenire ben presto assalito. Aveva sotto disé venticinque bricconi che avevanosfidata piů volte la morte e che sapevanomaneggiare i fucili con una certa abilitŕ,quantunque non potessero gareggiare coi



rajaputi che sono generalmente buonibersaglieri.

Barricata la porta con blocchi di pietra,formando una trincea alta due metri, avevdisposto una parte dei suoi uomini dietroquella difesa e gli altri sulla muraglia.

Resisteremo qui finché potremo, poi ciritireremo nel mausoleo - aveva detto aisuoi uomini. I rajaputi perň pareva che

non avessero molta fretta ad assalire.

Si tenevano coricati dietro i loro cavalli,imitandosi pel momento a sorvegliare

utta la cinta, onde nessun assediatopotesse sfuggire. — Che aspettino deirinforzi? - si chiese Barwani, connquietudine. - Se approfittassi delle



enebre per tentare una sortita? Sipotrebbe provare. Con un fischio radunň isuoi uomini ed espose loro il suo

progetto, il quale ebbe l’approvazione diutti. Era meglio tentare una lotta disperatfin che i rajaDuti erano pochi, piuttosto dasciarsi rinchiudere in un cerchio di ferr

e di fuoco senza alcuna possibilitŕ dipoterlo piů tardi rompere. E poi avevanoutti il sospetto che Toby ed i rajaputi

aspettassero le guarnigioni dei due fortinidella vallata, prima di dare l’assalto.

Non fate fuoco se prima non ne darň ilcomando - disse Barwani. - Cercheremodi sorprendere gli assedianti.

Ed i cavalli? - chiese un vecchiosapwallah.



Lasciamoli qui; siamo giŕ cosě lesti dasfidare quelli dei rajaputi.

Si disposero in colonna, si misero iarwar dalla lama larga e ricurva fra identi, armarono le carabine e siasciarono scivolare silenziosamente giů

dalla barricata che ostruiva parte dellaporta.

Mi pare che non si siano accorti di nulla

disse Barwani al vecchio sapwallah chegli stava a fianco.

Nessuno si č mosso - rispose questi.

Avviciniamoci piů che possiamo, poifaremo una scarica a bruciapelo, eapprofitteremo del panico per



disperderci. Ognuno pensi a sé e siraccomandi alle proprie gambe.

sapwallah ed i giocolieri si tuffarono frae alte erbe e si misero a strisciare verso primi cavalieri, i quali si trovavanosdraiati a circa trecento metri dalla tomba

banditi avevano giŕ percorsa mezzadistanza e si preparavano a slanciarsinnanzi, quando udirono alcuni nitriti.

cavalli dei rajaputi li avevano sentiti?Era probabile, perché in un momento tuttiquegli animali erano balzati in piediportando in sella i loro cavalieri. Ungrido echeggiň:

Il nemico!…



rajaputi, radunatisi su due colonne conuna rapiditŕ fulminea, caricavano

colle scimitarre in pugno.

sapwallah erano pure balzati in piedi.

Fuoco! - gridň Barwani.Una scarica ruppe le tenebre, ma fu laprima e anche l’ultima.

cavalieri del rajah, senza badare aicaduti, perché alcuni di essi, colpiti dalle

palle, erano precipitati dalle selle, sierano scagliati innanzi sciabolando senza

misericordia. I sapwallah, a loro volta

sorpresi ed impotenti a far fronte a



quell’uragano che li travolgeva, nonostante i sagrati di Barwani, fuggirono aprecipizio verso la tomba della rani,

asciando cinque compagni a terra.

on fu che al di lŕ della barricata che siarrestarono, ricominciando il fuoco, ma i

rajaputi, che non volevano impegnarsi afondo, erano giŕ tornati ai loro postifacendo ricoricare i cavalli. Barwani erafurioso per quel primo scacco che non era

certo incoraggiante.

Non riuscirň a far nulla con femminuccedi questa specie!… - urlava, minacciando

suoi uomini. - Al primo assalto vi faretescannare come montoni!… Il gigante perňesagerava, perché i sapwallah, malgradoquella batosta, avevano occupato



fortemente la barricata, aprendo un fuocovivissimo contro i cavalieri. I rajaputi norispondevano.

Solamente le carabine di Toby e d’Indridi quando in quando rimbombavano, e leoro palle non sempre andavano perdute,

quantunque i compagni del fakiro sienessero nascosti dietro le pietre e gli

stipiti della porta. Quando spuntň il sole,a posizione degli assediati era invariata;

gli assedianti invece si erano ritirati amille metri per mettersi fuori di portatadal tiro delle carabine.

Che cosa aspettano dunque per assalirci? - si domandň Barwani, le cuinquietudini aumentavano.



n quel momento verso la valle del Senar si udirono a echeggiare delle trombe.

Ecco dei rinforzi che giungono airajaputi - disse Barwani, coi denti stretti.

Quei furfanti hanno fatto venire le

guarnigioni degli hudě. La nostra sorteormai č decisa: qui morremo tutti. Potessemorire anche quel cane di Dhundia!… Iocredo che se ne sia andato per non farsi

evare la pelle da Indri.

Salě su una delle torricelle e guardň indirezione della vallata.

on si era ingannato.

un grosso drappello di rajaputi, preceduto

da un pezzo d’artiglieria, s’avanzava



attraverso l’altipiano.

Sono almeno in sessanta - mormorň il

briccone. - Cerchiamo di prolungare laresistenza. Chissŕ!… Forse Dhundia nonha mentito.

La riunione fra i rajaputi degli hudi equelli comandati da Toby e da Indri si eraeffettuata, ed il cannone era stato messo inbatteria di fronte alla barricata. Un

soldato che portava un fazzoletto biancoappeso alla canna della sua carabina,s’avanzň verso la tomba della rani.Barwani, vedendolo, ebbe un sorriso daigre.

Viene per intimarci la resa - disse. - Soquale destino aspetta ai dacoiti che



cadono nelle mani del rajah, e alla forcapreferisco la morte sul campo.

Alzň la sua carabina, strisciň dietro labarricata e mirň il soldato, dicendo:

Sarŕ uno di meno. - Un momento dopo il

parlamentario cadeva col craniofracassato.

Al colpo di fucile aveva subito risposto

un colpo di cannone e una granata era

caduta sopra la barricata, spostando ungran numero di massi e mettendo in

fuga i sapwallah. Un secondo poi un terzoproiettile piombarono dinanzi alla portarovinando gli stipiti e causando il

franamento di quell’ammasso di pietre.



Levato l’ostacolo, quaranta rajaputi sislanciarono coraggiosamente all’assaltomandando urla selvagge, mentre i loro

compagni facevano scariche contro lesommitŕ della cinta per impedire agliassediati di occuparla. I rajaputi siscagliarono attraverso la porta urlando: -

Senzaquartiere! Ammazza!

sapwallah non li avevano perň attesi.Salirono frettolosamente la gradinata che

metteva nel mausoleo e nascostisi dietro adue giganteschi leoni di granito rossoaprirono un fuoco cosě violentissimo daarrestare di colpo lo slancio degliassalitori, quantunque fossero guidati daToby e da Indri. Fatte perň due scariche, isapwallah si rifugiarono nell’interno del

mausoleo, chiudendo con fracasso la port



di bronzo. Toby e Indri sospettando unasorpresa, avevano fatto ritirare i rajaputidietro

a cinta.

Bisognerebbe far saltare la porta - disse

l primo.

Nulla di piů facile, sahib - rispose’ufficiale che aveva ricevuto dal rajah

’incarico di aiutarli nella riconquista delKohinoor. - Vi mettiamo un petardo e la

gettiamo giů.

Ne avete fatto portare qualcuno dal

fortino?



Ne abbiamo due, sahib. ,,,,,,

— Ma vorrei prendere Dhundia vivo -

disse Indri, il quale credeva ancora che

si trovasse fra gli assediati.

Ed anche il fakiro - aggiunse Toby. Sarŕ un po’ difficile - rispose l’ufficiale Se hanno ucciso il nostro parlamentario

č segno che quei miserabili combatterannfino all’ultimo respiro. Nondimenocercheremo di averli vivi.

Orsů facciamo saltare la porta - disseToby. - Sono impaziente di mettere lemani su quella canaglia di Dhundia.

Due rajaputi furono mandati a prendere il



petardo.

Mentre stavano per ritornare, gli

assediati, come se si fossero accorti dellentenzioni dei loro avversari, avevanoripreso il fuoco sparando attraverso ledue finestre che s’aprivano ai lati della

porta.

Le palle fioccavano dappertuttoscrostando la muraglia e sibilando sopra

mas si della barricata, dietro i quali sierano sdraiati i rajaputi. I loro compagniavevano subito risposto con molto vigorequantunque con scarso risultato, perché isapwallah si guardavano bene dimostrarsi troppo.

Solamente le palle del cacciatore



ottenevano buon effetto facendo scoppiaree teste che apparivano sopra il

davanzale.

Cento rupie a chi va collocare ilpetardo!… - gridň Indri.

Un uomo prese la bomba e si slanciňrisolutamente nel cortile, ma non avevafatti dieci passi che cadeva al suolo,fulminato da parecchie palle. Un altro

entň la prova e cadde pure con una gambspezzata.

— Per la mia morte! - urlň Toby, furioso.

A me! Stava per slanciarsi, quandoBandhara lo trattenne.

Lasciate fare a me, sahib - disse il



cornac.

Presso di lui vi era il cadavere d’un

sapwallah che era stato ucciso dalloscoppio d’una delle tre granate.

Lo sollevň abbracciandolo strettamente, i

modo da coprirsi e si scagliň innanzi.

Raccolse il petardo, salě in fretta i gradinsfuggendo a due scariche e si gettň fra le

zampe di uno dei due colossali leoni dipietra.

rajaputi, incoraggiati da quell’esempio,

si erano precipitati entro la cintafulminando le due finestre con un fuocoaccelerato intensissimo, costringendo isapwallah a sgombrare.



Bandhara, collocato il petardo dinanzialla porta e accesa la miccia, erascivolato lungo la parete, rifugiandosi

dietro una delle torrette, onde non esporsinuovamente alle scariche degli assediati.

Anche i rajaputi si erano allontanati per

non venire colpiti dai frammenti dellaporta.

ell’interno del mausoleo si udivano

ntanto i sapwallah a urlare come ossessiCerto si erano accorti del petardo chedoveva rovesciare la loro ultima difesa.

— Pronti per l’assalto! - gridň l’ufficialeai suoi uomini.

La sua voce fu soffocata da uno scoppio



formidabile, seguito da un cuporimbombo.

La porta di bronzo, scardila dalloscoppio, era caduta nell’interno delmausoleo con un fracasso assordante.

— All’assalto! - gridarono Toby, Indri e’ufficiale.

quaranta rajaputi, non badando alle

scariche dei sapwallah, si scaglianonnanzi colla scimitarra in pugno.

Salgono a quattro a quattro i gradini e

rrompono nella sala coll’impeto d’unorrente che straripa.

Sciabolano i primi che si trovano dinanzi

poi si gettano contro il grosso che si č



addossato al sepolcreto della rani.

Barwani, dinanzi a tutti, impugnando lasua carabina per la canna, si difendevacome un leone. Dotato d’una forza

prodigiosa, ad ogni colpo atterrava unuomo.

rajaputi perň, attorno a lui mietevano

rapidamente i sapwallah, i quali, atterriti,non opponevano che una deboleresistenza.

rajaputi non davano quartiere, nonostante le grida di Toby, a cui premevafare qualche prigioniero.

Due minuti dopo non rimaneva in piedi



che Barwani. Quantunque ferito in piůparti e grondante di sangue, continuava laotta balzando fra i cadaveri che lo

circondavano.

Arrenditi! - gli gridň Toby, puntandoglicontro la carabina.

Ecco la mia risposta - urlň il gigante,scagliandosi a corpo perduto sulcacciatore.

Stava per fracassargli il cranio col calciodel fucile, quando l’ufficiale dei rajaputigli scaricň in pieno petto due colpi di

pistola.

Barwani lasciň andare la carabina, siportň ambe le mani sulle ferite, poi cadde



sulle ginocchia, mandando un urlo di tigren furore.

Dov’č Dhundia! - gridň Toby, il qualenon aveva veduto il traditore fra icombattenti.

Dhun… dia - rantolň il gigante, mentre isuoi occhi s’accendevano d’una cupafiamma. - La… gola… Senar… ucci…detelo…

Poi un fiotto di sangue gli montň alla golasoffocandogli la voce, e cadde fra icadaveri, per non piů rialzarsi.

l gigante era morto.



LA CACCIA AL

TRADITORE

Toby, Indri e Bandhara, dopo d’aver constatato, con stupore ed inquietudine,

che fra i morti non vi erano né il fakiro, nDhundia, si erano slanciati verso leorrette, supponendo che si fossero

rifugiati lassů, mentre l’ufficiale ed i

rajaputi frugavano i sapwallah collasperanza di trovare indosso a qualcuno ilKňhinoor. Come si puň ben immaginare,né gli uni, né il famoso diamante eranostati trovati. Nessuno poteva sospettareche il fakiro era invece cosě vicino,sepolto sotto l’ombra del colossale

amarindo.



Dove si saranno rifugiati costoro? - sichiese Toby, dopo d’aver fatto venti voltel giro del mausoleo, di aver visitate le

quattro torrette e di aver fatto percuotereutte le pareti per accertarsi che non vi eraalcun vuoto. - Che siano fuggiti prima delnostro arrivo? Cosa dici tu, Indri?

Io credo che questa volta il Kňhinoor siper sempre perduto per me - rispose l’exfavorito del guicowar, con un sospiro. -

Sono perseguitato dalla fatalitŕ.

Che cosa volevano significare le paroledi quel gigantesco Barwani? - chiese’ufficiale dei rajaputi. - La valle… il

Senar…; che Dhundia si sia rifugiatopresso il fiume?



Stavo appunto pensando a ciň - disseToby. - Io sono quasi certo che Dhundia equel furfante di fakiro hanno derubati

questi sapwallah. del diamante e che sonofuggiti per la valle del Senar.

Noi li inseguiremo anche fra le jungle e

e montagne del Gondwana - rispose’ufficiale. - Abbiamo buoni cavalli e

uomini valorosi.

Lasciamo qui alcuni soldati, ondeseppelliscano i morti e rimangano aguardia del mausoleo, e andiamo aesplorare la valle. Se poi… Uno sparoecheggiato fuori dalla cinta, seguito dalgrido: ŤFerma!…ť gli interruppe la frase

Chi ha fatto fuoco ? - chiese Indri.



Una delle nostre sentinelle - rispose’ufficiale.

Tutti tre si precipitarono fuoridall’edificio, mentre i rajaputis’armavano in

fretta. Una sentinella che vegliava pressouno degli angoli esterni della cinta, aveva

sparato e aveva abbattuto un cavallo, il

quale agitava disperatamente le zampe

sopra le alte erbe.

Contro chi ha fatto fuoco? - chiesero aduna voce Toby e Indri. — Contro unragazzo che non aveva voluto fermarsi.

Un ragazzo! - esclamarono il cacciatore



e l’ex favorito del guicowar, guardandosi’un l’altro.

Poi un grido sfuggě ad entrambi:

Sadras!…

Si erano slanciati verso il cavallogridando a piena gola:

Sadras! Sadras!

Le erbe si erano violentemente aperte, edl ragazzo s’era gettato innanzi, mandando

un grido di gioia. - Sahib.’… Padroni!…

Da dove vieni? - chiese Toby,abbracciandolo.

Sahib… Dhundia… sta per giungere…



ha degli uomini…

Quel miserabile! Cosa ne sai tu? - chies

ndri.

L’ho seguito… presto… nascondetevi…

Rientrarono tutti precipitosamente nellacinta, mentre l’ufficiale faceva richiamaree sentinelle e gli artiglieri che erano

rimasti presso il pezzo.

Parla, Sadras - disse Bandhara il qualeera subito accorso. - Noi ti credevamomorto.

Sě, parla, parla! - esclamarono Toby e

ndri. - Perché ci hai abbandonati?



Per seguire i ladri del diamante - risposl bravo ragazzo. - Vedutili fuggire, avevo

preso un cavallo, quello del povero

Thermati, e mi ero slanciato sulle lororacce, senza occuparmi di voi, ma certodi ritrovarvi piů tardi. Li ho seguiti finoalla valle del Senar, poi quando si

ripiegarono, mi nascosi in questi dintorniStavo per mettermi in cerca del vostrobungalow, quando vidi Dhun dia fuggireassieme ad un sapwallah. Io l’ho seguitoattraverso la valle, sfuggendo allasorveglianza delle guarnigioni degli hudied entrando nel Gondwana. č lŕ che

Dhundia ha assoldato dei montanari cheora conduce con sé. - E perché haarruolato degli uomini? - chiese Toby.

Io lo ignoro, sahib.



Io lo indovino - disse Indri. - Per iberare i sapwallah da noi assediati.

Allora deve essere fuggito quandostavamo per assediare la tomba della rani

Sě, sahib - disse Sadras. - Nel momento

che usciva da qui, io ho udito a echeggiardelle trombe.

Erano quelle dei nostri soldati.

Se lo avessi saputo, vi avrei subitoavvertiti, ma io invece temevo che fosseraltri sapwallah - disse Sadras.

Hai veduto il fakiro insieme a Dhundia? chiese Indri.

No, sahib. Era bensě accompagnato da



un incantatore, perň non era il fakiro.

Dove sarŕ fuggito quel cane?

Ce lo dirŕ Dhundia - disse Toby. -Dimmi, piccolo Sadras, quanti uomini haquel briccone?

Una quarantina.

— Tutti a cavallo, - comando Toby, - e

eniamoci pronti a circondare gli alleati dDhundia. Se non si arrenderanno, daremobattaglia.

— E li mitraglieremo col nostro pezzo -aggiunse l’ufficiale.

Mentre i rajaputi salivano in sella

enendosi nascosti dietro la cinta e gli



artiglieri attaccavano il loro cannone,Toby e Indri salirono su una delle torrettedalle quali si poteva dominare una vasta

estensione dell’altipiano. Vi erano appengiunti, quando videro salire dalla valle ildrappello guidato da Dhundia.

Si componeva d’una quarantina dimontanari del Gondwana, montati supiccoli cavalli e armati parte di vecchifucili e parte di lance.

Non resisteranno ad una sola carica -disse Toby.

E credi tu che il Kohinoor lo abbiandosso Dhundia? - chiese Indri.

— Ho i miei dubbi. Se avesse potuto



prenderlo ai sapwallah, non sarebbe dicerto piů tornato qui. Quell’uomo deveessere una tale canaglia da tradire anche i

suoi amici ed alleati.

E dove vuoi che sia?

Nascosto qui, tale č la mia opinione,ndri.

O in mano di Sitama?

Ah! Mi scordavo il fakiro!… Dove sisarŕ cacciato quel birbante? La suascomparsa č veramente misteriosa, ma

Dhundia ci svelerŕ l’arcano.

Mentre si scambiavano quelle parole, imontanari s’avvicinavano rapidamente

preceduti dal socio di Sitama e di



Barwani.

A cinquecento metri perň, avevano

rallentata la corsa. ProbabilmenteDhundia non era molto rassicurato dalsilenzio che regnava nella tomba dellarani, mentre credeva di vederla assediata

dalle truppe del rajah.

— Scendiamo o quel birbante č capace divolgere le spalle e fuggire dalla parte

donde č venuto - disse Toby.

Avevano appena raggiunto i rajaputi, iquali si tenevano pronti a slanciarsi alla

carica, quando si udirono a squillare lenote acute d’un tare.

— Che nessuno risponda - disse Toby. -



Pronti a partire!…

Un secondo squillo, piů forte del primo,

echeggiň sull’altipiano. Dhundia chiamavsapwallah.

Alla carica! - urlň Toby.

sessanta rajaputi, divisi in duesquadroni, si precipitarono fuori dallacinta a

galoppo sfrenato, mandando urla selvaggee facendo scintillare al sole le loro

affilate scimitarre.

Gli artiglieri li avevano seguiti,rascinando il pezzo in una corsa furiosa.



Vedendosi rovinare addosso quei duesquadroni, i montanari si erano arrestati

preparando le armi, ma dopo una breveesitazione avevano voltate le groppe,

fuggendo disperatamente verso la valle.

Dhundia era stato il primo a dare’esempio, avendo subito riconosciuti fra

rajaputi, Toby, Indri e Bandhara.

Non occupiamoci che di quella canaglia gridň il cacciatore. - Lasciate andare gli

altri!…

montanari, i cui cavalli dovevano esserestanchi, mentre quelli dei rajaputi erano

ben riposati, perdevano via.



Per sfuggire meglio all’inseguimento, sierano dispersi per l’altipiano, prendendovarie direzioni, sicché Dhundia era

rimasto solo.

l traditore galoppava verso la valle, collsperanza di guadagnare la frontiera, ma

Toby, Indri e Bandhara, che erano benmontati, guadagnavano rapidamente su diui.

Fermati, briccone! - urlň Toby. -Fermati, o ti uccido! Dhundia volse laesta, poi spronň il cavallo lacerandogli i

fianchi.

Fermati! - ripetč Toby. - No! Ebbene, tismonterň.



Fece impennare di colpo il cavallo, poicon un volteggio degno d’un cavallerizzoda circo, balzň a terra armando

rapidamente la carabina.

Si era fermato su un piccolo poggioscoperto, da cui dominava l’altipiano eanche il fuggiasco.

ndri e Bandhara avevano invececontinuata la corsa seguiti da otto o diecirajaputi.

Dhundia, che perdeva sempre terreno, nonostante le sue continue spronate. Toby,nginocchiato, colla, carabina bene

appoggiata sul palmo della mano ed il



braccio ripiegato contro l’anca per avereun punto d’appoggio, mirava con estremaattenzione.

Ad un tratto il colpo partě. Il cavallo,colpito alla base della spina dorsale,s’impennň bruscamente mandando un

sordo nitrito, poi cadde pesantemente alsuolo, sbalzando di sella il cavaliere.

Prima che Dhundia si fosse rialzato, Indri

o aveva raggiunto puntandogli sul petto lcanna della carabina.

Arrenditi, birbante! - gli gridň, mentre

Bandhara ed i rajaputi lo circondavano,pronti ad accopparlo coi calci dei fucili.

Grazia, Indri - balbettň il miserabile,



pallido e cogli occhi strambazzati.

Non uccidermi. - Dov’č il Kohinoor?

Rubato, Indri, rubato da Sitama.

Tu menti, canaglia! - gridň Toby, che

giungeva al galoppo. - Noi sappiamoutto!…

Dhundia fece un gesto di furore.

Avete disseppellito Sitama? - chiese,digrignando i denti.

Toby, Indri e Bandhara si erano guardaticon stupore. Avevano disseppellitoSitama! Cosa volevano significare quelleparole?



Legate quest’uomo, - disse Toby,volgendosi verso i rajaputi, - econducetelo nella tomba della rani.

Mi volete uccidere? - chiese Dhundia,battendo i denti.

Sě, ti uccideremo come abbianto giŕ ammazzato Barwani e tutti i suoi banditi,se non parlerai - disse Indri.

Barwani morto!… Allora sono perduto!…

Ora te ne accorgi? - chiese Toby.

l miserabile, accasciato da quella notiziache gli toglieva l’ultima speranza divenire salvato, si era lasciato legare senz

opporre resistenza. Quando giunsero entro



a cinta, trovarono i montanari legati edisarmati, eccettuati dieci o dodici cheerano riusciti a fuggire nella valle, mercé

a velocitŕ dei loro cavalli: si erano arressenza far uso delle armi.

Sahib - disse l’ufficiale, avvicinandosi

Toby. - Cosa dobbiamo fare di questiprigionieri? - Lasciateli andare - risposel cacciatore. - Sono poveri diavoli che

non hanno a che fare col Kohinoor.

Disarmateli, date loro i cavalli, e cheornino alle loro montagne.

Sarŕ fatto - rispose l’ufficiale. - Essibenediranno la generositŕ dell’uomobianco.

Toby, Indri e Bandhara condussero



Dhundia nel mausoleo, e fattolo sedere, ilprimo disse:

Ora, se ti preme la vita, spiegati. Dov’čl Kohinoor.

Se avete dissotterrato Sitama, č inutile

che vi indichi dove si trova.

Che cosa vuoi dire con queste parole?

Dhundia guardň Toby e Indri con stupore,poi un lampo feroce balenň nei suoisguardi.

Ah! Voi non avete trovato Sitama! -esclamň. - Stupido! Stavo per tradirmi. Iomorrň, ma tu, Indri, diverrai un paria,perché la Montagna di luce rimarrŕ dove

si trova.



Mi odi tanto, Dhundia? - chiese Indri. -Sě, ora ti odio perché ho perduto ilKohinoor e perderň anche la vita, ma

Parvati mi vendicherŕ.

Parvati! - esclamň Indri. - Tu dunque erid’accordo con lui per perdermi! Il

miserabile non rispose. Forse si erapentito d’aver detto troppo.

Toby si volse verso due rajaputi che si

erano messi a guardia della porta, e disseoro:

— Scavate una fossa nel cortile; vi č un

uomo da fucilare. Dhundia aveva alzatavivamente la testa.

Voi non potete giudicarmi; solo il



gukowar ne ha il diritto, essendo io suosuddito.

Qui siano sul territorio del rajah diPannah, e quello di Baroda non ha chefare - rispose freddamente Toby. - Tu cihai derubati e traditi, sei stato l’alleato

dei dacoiti, hai fatto uccidere i miei servie noi ora fucileremo te.

Ma non avrete il Kohinoor!

Lo troveremo, dovessimo far saltarequesto edificio e scavare il suolo a centometri di profonditŕ. Vieni, Indri. Andiamo

a scegliere gli uomini che devonofucilarlo. Uscirono mentre Dhundia siaccasciava su se stesso, mandando rauchigemiti.



Vuoi proprio fucilarlo? - chiese Indri.

Voglio spaventarlo - rispose Toby. -

Quel briccone č cosě vile che quando sivedrŕ presso la fossa, coi soldati di fronteconfesserŕ tutto.

rajaputi avevano scavato rapidamente ilerreno, servendosi delle larghe lanceprese ai montanari, e dieci di loro sierano collocati a dieci passi, colle

carabine puntate.

Dhundia fu condotto o meglio portato nelcortile. Il miserabile batteva i denticonvulsivamente e non poteva quasireggersi in piedi.



Vedendo la fossa ed il drappello armatoche doveva fucilarlo, impalliděspaventosamente e girň verso Toby e Indr

uno sguardo smarrito, pieno di terrore.

Grazia - balbettň.

Legatelo presso la fossa - disse inveceToby. - Mirate giusto e fulminatelo sulcolpo.

Io non voglio morire! - urlň Dhundiafuori di sé. - Parlerň… vi darň ilKohinoor…

Ti decidi a parlare? - chiese Toby,avvicinandoglisi.

— Sě, ma ad una condizione. - A quale?



Che mi fate giudicare dal guicowar.

— Te lo accordo - disse Indri.

Il Koihinoor si trova sepolto presso ilamarindo della torre di levante, assieme

al fakiro.

č morto, Sitama? - chiese Toby.

No, sarŕ vivo.

Comprendo - disse, Indri. - Quelbriccone si č fatto seppellire per nascondere il Kohinoor. Ho veduto altri

fakiri rimanere sotterrati parecchiesettimane. Andiamo a cercarlo. Slegaronoa Dhundia le mani e lo costrinsero acamminare fino al tamarindo. Bandhara,

che osservava attentamente il terreno,



s’accorse subito della fossa.

č sepolto qui - disse. - La terra č stata

smossa e poi livellata.

Scavate - comandň Toby ai rajaputi. -Badate di non ferirlo perché mi preme di

averlo vivo.

soldati sollevarono il terreno conprecauzione, adoperando le lance e le

mani, finché misero allo scoperto lo stratoformato da rami intrecciati, onde impediralla terra di schiacciare il fakiro.

Adagio - disse Indri. - Il nostro uomo čě sotto. Levarono i rami con precauzione

e misero allo scoperto Sitama.

l fakiro pareva morto, essendo stato



sepolto da sole quattordici ore, non avevaancora perduto la sua tinta abbronzata, ee sue membra conservavano ancora un

po’ di tiepore.

Fu levato dalla fossa e spogliato. Nelevargli la larga fascia che gli stringeva i

fianchi, il diamante cadde al suolo,scintillando vivamente sotto i raggi delsole. Indri lo aveva raccolto mandando unurlo di gioia.

Ecco la salvezza!…

Poi si precipitň fra le braccia di Toby e d

Bandhara, stringendoseli al petto.

Amici - disse, con voce rotta per ’emozione. - Grazie… Non diverrň piů



un paria!…

Parvatě č ancora potente - disse

Dhundia, con voce cupa.

Lo faremo precipitare nella polvere, nondubitare - rispose Toby. - I traditoripagheranno le loro infamie.

Dhundia chinň il capo e non rispose.Cominciava a dubitare anche del suoprotettore.

Mentre Indri, pazzo di gioia, facevascintillare al sole il diamante, due rajaputstrofinavano vigorosamente il corporrigidito del fakiro. Distesa la lingua,

onde non chiudesse piů la laringe, gli



aprirono gli occhi soffregandoglieggermente le palpebre, poi lo bagnarono

con un po’ d’acqua che era stata scaldata

nella gamella d’un soldato con dell’erbasecca. Non erano trascorsi cinque minuti,quando Sitama emise un profondo respiroStette ancora qualche momento immobile,

poi s’alzň bruscamente, girando intornouno sguardo smarrito. Aveva veduto irajaputi, Indri, Toby, e anche Dhundia.

— Dove sono? — chiese con vocestrozzata.

Nelle nostre mani - rispose Toby, conaccento beffardo. - Una brutta sorpresa, čvero, Sitama?

Il Kohinoor! - urlň il fakiro cercando la



ciarpa che piů non aveva.

— Non inquietarti: č al sicuro.

Sitama dardeggiň su Dhundia uno sguardovelenoso.

Miserabile! - esclamň. - Mi hai tradito!…

O meglio siamo stati tutti traditi, -

rispose Dhundia, - perché anch’io sonoprigioniero e non so se salverň la pelle.

E Barwani?

Morto - rispose Toby.

Siate maledetti da Siva!



Grazie, ma Siva č cosě lontano e cosěoccupato da non pensare a noi in questomomento - disse il cacciatore, sempre

beffardo. - Legate questi due bricconi, eorniamo a Pannah. La nostra missione čfinita.



LA FUGA DEL

FAKIRO

Lasciato l’incarico ai cavalieri dellafrontiera di seppellire i cadaveri, i quali

cominciavano giŕ a dar segno dicorrompersi, stante l’intenso calore,Toby, Indri ed i loro compagni, scortatidai rajaputi, lasciavano poco dopo la

omba della rani per far ritorno a Pannah,dove il rajah li attendeva. Dhundia eSitama, avviliti e cupi, erano staticollocati in mezzo alla scorta, onde

mpedire loro la fuga. Per maggior precauzione erano stati legati solidamentealla sella dei loro cavalli.



Quattro ore dopo, ossia un po’ prima chel sole scomparisse, il drappello entravan Pannah, muovendo subito verso il

palazzo reale. Il rajah, avvertito del lororitorno, li aspettava nella sala del trono,assieme ai suoi ministri ed ai suoifavoriti.

Sono lieto di vedervi ritornare vincitori disse dopo d’aver stretto la mano a Tob

ed a Indri. - Mi sarebbe immensamente

rincresciuto che il Kohinoor fosse rimastonelle mani di quei bricconi.

— Nessuno piů ce lo riprenderŕ, altezza -rispose Toby. - I dacoiti sono stati tuttidistrutti, meno due.

Che consegnerete a me, onde io li



punisca come meritano - disse il rajah. —Voi mi avete reso un immenso servigio,sbarazzando il mio stato da quei

pericolosi bricconi, che da qualche tempocommettevano numerosi delitti.

Non ve ne lasceremo che uno, altezza,

perché abbiamo promesso al nostro excompagno di farlo giudicare dal guicwar di Baroda.

Il quale spero che non peccherŕ disoverchia generositŕ verso quel traditore.

Non vorrei essere nella pelle di Dhundi

rispose Toby.

Quando partite?

Domani mattina - disse Indri. - Abbiamo



fretta di tornare a Baroda.

Comprendo la vostra impazienza. I miei

rajaputi vi scorteranno fino alla frontiera.

l rajah chiamň il suo primo ministro e glidiede alcuni ordini, poi rivolgendosi

verso Indri e Toby, riprese:

Il bungalow che vi avevo destinato č avostra disposizione. Riposatevi e fate

buon viaggio.

Si alzň e prese una scatola d’oro che ilministro gli aveva recata.

L’aprě e levň due anelli adorni di duediamanti grossi quasi quanto una piccola

nocciuola e d’uno splendore



meraviglioso.

Li conserverete per mio ricordo, - disse

e domani troverete le centomila rupieche vi ho assegnate, quale premio per ’uccisione delle due tigri.

Tese la mano ad entrambi e si alzňdicendo:

Non dimenticatemi: vi considero come

amici.

Quando tornarono al bungalow trovaronoun altro maggiordomo. Il primo era

scomparso dopo la loro partenza e forseera stato ucciso nell’assalto della tomba.L’indomani, dopo una notte tranquilla,venivano svegliati da barriti formidabili



che echeggiavano proprio sotto le finestredel bungalow. Un superbo elefante, altoquanto il povero Bangavady, con una

ricca haudah posata sopra una gualdrapparossa trapunta in oro, stava fermo dinanzialla gradinata, circondato dalla scorta deirajaputi.

A chi appartiene quell’elefante? - chieseToby, stupito, al maggiordomo che recavaa colazione. - č vostro, sahib - rispose

’indiano. - č un regalo del rajah.

Questo principe vuole ammazzarci acolpi di generositŕ - mormorň il bravocacciatore. - Prima il Kohinoor, poicentomila rupie e gli anelli che valgonouna bella somma, ed ora un elefante!…Ecco un paese dove si farebbe fortuna



presto!… Quando uscirono trovaronoDhundia nell’haudah, guardato dal piccolSadras e da Bandhara. Era stato perň

egato cosě bene da impedirgli di farequalsiasi movimento.

Partiamo, sahib - disse l’ufficiale della

scorta a Toby. - Vi condurremo fino allafrontiera.

— Grazie, amico; noi ti compenseremo

dei tuoi preziosi servigi.

Salirono nell’haudah, sedendosi suicuscini di velluto, mentre Bandhara

riprendeva le sue funzioni di cornacassieme ad un mauth del rajah che giŕ conosceva l’animale.



l principe aveva mantenuta la suapromessa. Oltre ad aver approvvigionata’haudah, in una cassetta di acciaio aveva

fatte rinchiudere le centomila rupie.

— Partiamo - disse Toby allegramente. -Spero che il nostro ritorno a Baroda si

compirŕ felicemente.

L’elefante si mise subito in marciafiancheggiato dalla scorta. Attraversň con

passo rapido le vie principali di Pannah,n quell’ora quasi deserte, essendosi il

sole appena alzato, e si diresse verso laporta di mezzodě. Giŕ non distava chequalche chilometro, quando l’elefante furaggiunto da un cavaliere del rajah ches’era avanzato a briglia sciolta.



Qualche novitŕ ancora? - chiese Toby,facendo cenno al cornac d’arrestare ilgigantesco pachiderma.

— Sahib - disse il cavaliere, volgendosiverso il cacciatore bianco. - Il miosignore vi prega di uscire dalla parte

d’occidente, anziché per quella dimezzodě.

Per quale motivo ci fa cambiare via? -

chiese Indri, sorpreso da quello stranoordine.

Ve lo dirň quando uscirete dalla cittŕ -

rispose il cavaliere, con un sorriso.

Obbediamo - disse Toby, quantunqueassalito da una certa inquietudine.



Che cosa ne dici, Indri?

Che il rajah abbia voluto prepararci

qualche sorpresa?

O che si sia pentito d’averci ceduta laMontagna di luce?

Non č possibile, Toby; non lo crederňmai.

Eppure non sono tranquillo; non c’č maida fidarsi di questi piccoli re che sonocapricciosi all’eccesso.

Non ci avrebbe regalato questo superboelefante e nemmeno le rupie ed i gioielli.

Vedremo - concluse Toby, scuotendo il

capo.



L’elefante aveva cambiata direzione,

dirigendosi verso la porta d’occidente, laquale d’altronde non era molto lontana.Dhundia aveva udito l’ordine dato dalcavaliere, ma era rimasto impassibile.

Perň nei suoi sguardi si leggeva unprofondo terrore. Forse temeva che ilrajah si fosse pentito di averlo lasciatonelle mani di Indri e di Toby e che

volesse farlo giustiziare prima che’elefante uscisse dalla cittŕ.

Alle sei del mattino il pachiderma e lascorta attraversavano il bastione,passando sopra un lungo e robusto ponte



evatoio, guardato da una compagnia disceikki.

Alzando gli sguardi verso la vecchia torremerlata che difendeva l’estremitŕ del ponte Toby e Indri scorsero, con una certaemozione, un corpo umano che pendeva

da un arpione di ferro, e sul quale giŕ volteggiavano numerosi uccelli di rapina.

signori, - disse il cavaliere del rajah,

ndicandolo loro, - lo conoscete? Ecco

perché il mio signore desiderava farviuscire da questa porta.

Qualche assassino? - chiese Toby,guardandolo attentamente. - No, non lo



conosco.

Guardatelo bene, sahib.

Vi ripeto che non ho mai veduto quelvolto, e tu, Indri? - Nemmeno io.

Se č il fakiro!… - Sitama! - esclamaronad una voce Indri e loby.

SI, lui!… č stato appiccato a mezzanotte

L’ex’favorito del guicowar ed ilcacciatore di tigri si guardarono consgomento.

Hanno ingannato il rajahl… - gridarono

l cavaliere fece un gesto che pareva

volesse dire:



O sono pazzi, o non lo conoscono piů!…

L’ufficiale della scorta aveva spinto il

proprio cavallo sotto l’appiccato.

Anche a lui era sfuggito un grido:

Siamo stati giuocati!… Quell’uomo nonč Sitama!…

La cosa per quanto dovesse essere

straordinaria, era vera. L’appiccato, chegiŕ

gli uccelli di rapina cominciavano a

beccare, era bensě alto come il fakiro ecol volto cosě truccato da rassomigliarsiun po’, ma meno magro. Toby e Indri, cheo avevano avuto in mano, non potevano

ngannarsi.



Come era avvenuta quella sostituzione?Qualche compagno devoto aveva tolto diŕ il vero fakiro per dargli onorevole

sepoltura, mettendo al suo posto qualchedisgraziato, oppure l’audace bricconeaveva mistificati i carcerieri del rajahfacendo appiccare un compagno in vece

sua? O, peggio ancora, era riuscito afuggire?

Toby, in preda ad una viva ansietŕ, erasceso dall’elefante, seguito subito da Indre da Bandhara.

Fate levare quell’uomo - disse aglisceikki che guardavano il ponte. - Centorupie per voi, se fate presto.



Due soldati salirono sulla torre eagliarono la fune, facendo precipitare al

suolo l’appiccato.

Guardalo, Bandhara - disse Toby.

— Non č lui - rispose il cornac. — Lo

conoscevo troppo bene per potermi orangannare.

Per tutte le tigri dell’India!… Era un

demonio, costui? - urlň Toby furioso. Sivolse verso il sergente che comandava glsceikki di guardia:

Non avete veduto nessuno avvicinarsieri sera alla torre?

No, sahib - rispose l’interrogato.



— Siete certo di ciň?

Due dei miei soldati hanno vegliato

all’estremitŕ del ponte, proprio sotto’appiccato, e se qualcuno si fosseaccostato, l’avrebbero veduto edarrestato.

Sono fedeli i vostri uomini?

Ne rispondo come di me stesso.

— Chi ha appiccato quest’uomo? -Noi,sahib.

Chi ve lo ha consegnato?

Quattro guardie del rajah.

Le conoscete?



Sě, sahib.

— L’uomo che vi hanno condotto, era

proprio questo?

Oh!… Non posso ingannarmi.

Non ha protestato od opposto resistenzal condannato?

— Non lo poteva perché era ubriaco

d’oppio e di liquori.

Indri - disse Toby, con voce alterata. -Sitama č fuggito, te lo dico io.

Allora noi non abbiamo distrutti tutti isuoi complici!

Lo vedi.



Che cosa fare ora, Toby?

Accertarci, prima di tutto, se č

veramente riuscito a fuggire dalle carceridel rajah…

Sahib - disse l’ufficiale della scorta,

facendosi innanzi. — Io torno in cittŕ efaccio arrestare le quattro guardie chehanno condotto qui questo disgraziato eche lo hanno fatto appiccare invece del

fakiro. Voi potete continuare il vostroviaggio; io vi raggiungerň prima cheabbiate lasciato l’altipiano.

Questa sera ci accamperemo nella valledel Senar - disse Toby. - Lŕ viattenderemo.



— Se Sitama si trova ancora nellecarceri, pregherň il rajah di farlo subitoap

piccare e vi porterň la sua testa, onde nonvi rimanga piů alcun dubbio sulla morte dquel miserabile.

Toby risalě nell’haudah, prese unacassetta che pareva assai pesante,ridiscese e la mise nelle mani

dell’ufficiale, dicendogli:

Queste sono diecimila rupie chedividerete con tutti i coraggiosi che ci

hanno aiutati a conquistare il Kohinoor.

Viva il principe di Baroda! Viva ilcacciatore bianco! - gridarono i rajaputi,



scaricando in aria i loro fucili.

Nella valle del Senar! - gridň Toby,

rimontando sull’elefante con Indri eBandhara.

Manterrň la mia parola - rispose

’ufficiale.

Partiamo - disse Indri. - Partiamo subitosenza arrestarci un solo momento. Io ho

paura, Toby, e non sarň tranquillo finchénon rivedrň le mura di Baroda.

Non allarmarti troppo, amico - rispose

’inglese. - Forse Sitama, non ha ancoraavuto il tempo di fuggire, e chissŕ, forse sč trattato d’un equivoco.

E come?



Avranno appiccato quel disgraziatoprigioniero credendolo il fakiro.

— Tu dunque credi che Sitama si troviancora nelle carceri del rajah! - chiesendri, mentre il suo volto si rasserenava.

Non ti rispondo per non crearti dellellusioni. Lo sapremo questa sera. Stetteun momento silenzioso, poi fissando conuno sguardo quasi feroce Dhundia, il

quale stava sempre rannicchiato in unangolo dell’haudah tenendo gli occhisemichiusi, gli disse:

Tu potresti parlare.

L’anima dannata del ministro non rispose

Se noi ti promettessimo salva la vita,



parleresti? - rispose Toby, dopo qualchestante d’inutile attesa.

Un leggero trasalimento scosse le membradi Dhundia.

Tu puoi dirci se Sitama aveva in Pannah

altri complici.

— Lo ignoro - rispose il prigioniero,

O non vuoi dirlo? - chiese Indri.

Credi quello che vuoi; ormai piů nullaho da dire. So la sorte che mi aspetta a

Baroda, e l’aspetto senza paura.

Ah! Diventi coraggioso, ora!

Dhundia alzň le spalle e guardň altrove



per non incontrare gli sguardi dell’indiane del cacciatore, stringendocontemporaneamente le labbra come se

avesse avuto il timore che qualche parolagli fosse sfuggita.

Sia, - disse Indri, - ma a Baroda

’aspetta un supplizio che tu ancora non teo immagini e che Parvati dividerŕ con te.

Dhundia impallidě: perň serbň il silenzio

L’elefante intanto marciava con passorapido attraverso l’altipiano, dirigendosiverso la valle del Senar, nel cui fondo si

vedeva svolgersi, con larghiondeggiamenti, il fiume omonimo.

Alle dieci si trovava giŕ nei pressi delle



ombe, attorno alle quali si vedevanoancora volteggiare immense bande dimarabů, e alle undici scendeva i primi

scaglioni, difesi dai due fortini. La marciasi era rallentata, perché la discesadiventava pericolosissima. L’elefanteprocedeva con mille precauzioni,

assicurandosi prima della soliditŕ delerreno, onde non causare qualche frana.

La valle si restringeva sempre, lasciandoa malapena il passo. Da un lato scorreval fiume scrosciando furiosamente,nterrotto di quando in quando da superbe

cascate; dall’altro invece la montagna

scendeva quasi a picco.Guai se Sitama, ammesso che fosseriuscito a fuggire ed a precederli, avesse

entato un attacco in quel luogo



pericolosissimo. L’elefante sarebbenevitabilmente capitombolato nel fiume

che si trovava cinquanta e piů metri sotto

l sentiero.

Per buona fortuna quella gola selvaggia,al di lŕ dei due fortini, pareva che non

fosse abitata da alcun essere umano.

Solamente sulle falde piů ripide dellemontagne si vedeva apparire qualche raro

montone selvatico e qualche servai,specie di gattone che non č affattopericoloso.

La marcia dell’elefante si prolungň finoalle cinque del pomeriggio, poi cessň suuna specie di spianata larga unacinquantina di metri e che era sufficiente



per accamparsi.

Aspettiamo qui l’ufficiale del rajah -

disse Toby, scendendo dal pachiderma.

Avendo noi camminato adagio, non sarŕmolto lontano.

Siamo sicuri in questo luogo? - chiesendri, il quale era diventato

eccessivamente sospettoso.

Chi vuoi che venga ad importunarci?Anche ammesso che Sitama sia riuscito afuggire, non puň aver avuto il tempo di

radunare un’altra banda e di lanciarlasulle nostre tracce. Per ora non abbiamonulla da temere, mio buon Indri, e laMontagna di luce non corre alcun



pericolo.

Tuttavia sarei ben lieto di trovarmi a

poche miglia da Baroda. Domanispingeremo l’elefante a tutta corsa, e fraotto giorni tu vedrai il guicowar. Feceroaccendere un falň con dei rami secchi

raccolti fra le fenditure e le piccole goledella montagna che strapiombava sullapiattaforma e sul sentiero, esaccheggiarono le provviste del rajah.

Dhundia non era perň stato levatodall’haudah; anzi Bandhara, semprediffidente, gli aveva legate le gambe per paura che l’astuto briccone cercasse difuggire approfittando d’un momento didistrazione dei suoi guardiani.



on credendosi ancora sufficientementegarantito, aveva ordinato al piccoloSadras di non lasciarlo solo un minuto

secondo.

Non si sa mai quello che puň accadere -si era detto il bravo cornac. - Sitama

potrebbe portarcelo via di sotto gli occhi

Avevano appena terminata la cena,quando udirono in lontananza il galoppo

d’alcuni cavalli.

Degli uomini scendevano la valle di

carriera, accostandosi rapidamente.

— Che sia l’ufficiale del rajah1. - chiesendri, che per precauzione si era subito

mpadronito della carabina.



— Non puň essere che lui - avevarisposto Toby. - Chi oserebbe, di notte,attraversare questa gola?

Quale notizia ci recherŕ?

— Io spero che ci porti la testa del

maledetto fakiro.

Bandhara, che era salito su una roccia,dalla cui vetta si poteva dominare un

ungo tratto della valle, li avvertě che trecavalieri stavano scendendo l’ultimo

scaglione.

Essendovi ancora un po’ di luce, avevapotuto scorgerli distintamente.



Sono rajaputi? - chiese Toby.

— Mi parvero tali.

Andiamo ad incontrarli, Indri. Preferiscche Dhundia nulla sappia della sorteoccata al suo complice.

Presero le armi, raccomandarono ai duecornac di non allontanarsidall’accampamento e risalirono il

sentiero, costeggiarne il fiume.

l galoppo s’avvicinava sempre,affrettatissimo. Si comprendeva che gli

uomini che montavano i destrieridovevano avere molta premura digiungere all’accampamento, il cui fuocodoveva giŕ essere stato scorto. Toby, che



precedeva il compagno, ad un certomomento si volse, e lo vide pallidissimo.

Che cosa ti dice il cuore, Indri? - chiese

— Mi predice una sventura - rispose l’exfavorito del guicowar, con un sospiro.

— Le mie pene non sono ancora finite.

Pensa che la Montagna di luce č innostra mano e che noi siamo uomini danon lasciarcela rubare.

Eppure sono inquieto come il giorno incui io salivo, per la prima volta,’altipiano.



Dhundia č in nostra mano.

— Lui rappresentava l’idea, ma Sitamaera il braccio che agiva.

— Eccoli!Allo svolto del sentiero erano comparsire cavalli lordi di schiuma fino al ventre

montati da tre rajaputi armati di fucili e dscimitarre.

Vedendo quei due uomini, con una

violenta strappata, fecero impennare icavalli, a rischio di venire sbalzati nelfiume, poi tirarono le scimitarre,gridando:



Largo o passeremo sopra di voi!

Amici! - urlň Toby, che aveva

riconosciuto in uno di loro l’ufficiale delrajah.

Non ci conoscete piů?

Il cacciatore bianco! - esclamň’ufficiale, balzando rapidamente a terra.

E l’elefante?

č poco lontano, non preoccupatevi.Dunque? Recate la testa di Sitama?L’ufficiale lo guardň senza rispondere,

facendo perň un gesto di sconforto.

Fuggito? - chiese Indri, slanciandosiverso di lui.



Sě, sahib, fuggito.

Maledizione! - urlň Toby.



UN TRIPLICE

ASSASSINIO

Lo stupore e la collera causata da quellanotizia, avevano resi muti Toby e l’ex

favorito del guicowar.

Sitama ancora libero voleva significarenuove sorprese, nuovi tranelli, pericoli

d’ogni specie e la ripresa della lunga esorda guerra mossa dal luogotenente ecomplice di Dhundia.

l Kohinoor, che aveva costato tantisacrifici e che rappresentava la salvezza a redenzione d’Indri, non era dunque

ancora al sicuro, perché Baroda era



ancora troppo lontana.

Fuggito! - disse finalmente Indri con

voce cupa. - Quell’uomo lo troveremoancora sulla nostra strada.

Ma in quale modo č riuscito a riprender

a libertŕ? - chiese Toby, pallido d’ira.

— Sono dunque cosě malsicure le carceridel rajah o cosě malfidi i suoi guardiani?

č stato aiutato da complici misteriosi.

Affiliati anche essi all’infame setta deidacoiti?

Certo, sahib - rispose l’ufficiale.

č scomparso solo?



No, assieme a due carcerieri e allequattro guardie che hanno consegnato aglisceikki della porta d’occidente l’uomo

che abbiamo veduto appiccato.

E chi era quel disgraziato?

— Un povero diavolo che era statoarrestato alle miniere per aver inghiottitoun diamante, onde trafugarlo. I carcerierio avevano ubriacato in modo da non

poter piů parlare, né ribellarsi, poi’avevano consegnato alle guardie.

E gli sceikki lo hanno appiccato

credendolo il fakiro? - chiese Indri.

Sě. sahib.



— E noi che avevamo creduto d’aver distrutti tutti i dacoiti di pannah! - esclamToby, mordendosi rabbiosamente le

unghie. - Si sa almeno dov’č fuggito quelcane di Sitama?

Nessuno lo ha piů veduto. Il rajah ha

fatto frugare stamane tutte le case dellacapitale ed ha lanciate le sue miglioriruppe attraverso l’altipiano, senza alcun

esito. Né Sitama, né i due carcerieri, né le

quattro guardie sono stati trovati.Solamente…

Ah! Continuate.

č stata notata la improvvisa scomparsad’una banda di giocolieri che da tresettimane dava spettacoli sulla piazza



della grande pagoda.

Forse dei complici di Sitama?

— Lo si ignora; perň se ne ha il sospetto,perché quei giocolieri sono fuggiti dinotte, abbandonando le loro tende ed i

oro arnesi.

Che si siano lanciati dietro di noi? -chiese Indri, fremendo.

Avete incontrato nessuno? - chieseToby.

No, sahib - rispose l’ufficiale. - La viaera deserta.

Indri, appena l’elefante si sarŕ un po’

riposato, riprenderemo la corsa - disse



Toby. - Una sorpresa in questa vallesarebbe disastrosa per noi. Quandosaremo nel Gondwana, avremo molto

meno da temere.

E sorvegliamo soprattutto Dhundia -disse Indri.

Al primo tentativo di fuga, lo ucciderňcome un cane.

Signori, - disse l’ufficiale, - io ritornoper perlustrare l’altipiano, dove ho i mieirajaputi. Ho dato anche ordine alleguarnigioni dei fortini di sorvegliare tutti

passaggi e di far fuoco su qualunquebanda cerchi di scendere verso questavalle. Signori, buon viaggio e contate sudi me.



Risalě a cavallo, fece un saluto collascimitarra e s’allontanň seguito daicompagni.

Non disperiamo, amico mio - disseToby, vedendo Indri accasciato. - Forsequel briccone č ancora sull’altipiano e

enta invano di passare attraverso icavalieri del rajah. Domani noi usciremodalla valle e saremo nelle foreste delGondwana e fra due giorni entreremo a

Sagar.

Le selve del Gondwana sono menosicure degli altipiani di pannah - disse’ex favorito del guicowar. - Tu non

conosci quelle folte jungle, rifugi dei me-riah, gi’indigeni che compiono i sacrificiumani.



Se sarŕ lŕ che Sitama vorrŕ aspettarci,sapremo affrontarlo e anche ucciderlo.Ritorniamo, Indri, e lasciamo questa

valle.

A mezza via incontrarono Bandhara, ilquale, inquieto per la loro prolungata

assenza, non era stato capace di trattenerspiů a lungo all’accampamento.Apprendendo la notizia recatadall’ufficiale, la sua fronte si oscurň.

Sě, - disse poi, - Sitama non ci lascerŕ ranquilli, ma io veglierň e chissŕ che non

scopra i suoi disegni prima che li metta inazione.

Quando giunsero all’accampamento,’elefante non si era ancora coricato.



Aveva divorata la sua cena e stavascherzando col suo cornac, orasollevandolo colla proboscide fino

all’altezza delle vicine rocce, ed orarotolandolo al suolo, senza perň farglialcun male.

Se giuoca, non deve essere molto stanco disse Toby. - Potremo marciare per

alcune ore ancora, č vero, cornac? - Sihornulla rifiuta al suo guardiano - rispose

’interrogato. - Fino alla mezzanotte puňresistere, purché gli sia data una buonarazione di zucchero.

Ti permetto di raddoppiarla, se vuoi.

Fra cinque minuti Sihor ripartirŕ.



E tu preparerai…

Toby non terminň la frase. Alcuni spari

erano echeggiati verso l’alta valle,rumoreggiando lungamente fra i burroni ee montagne del Senar.

Delle fucilate! - aveva gridato Indri,accorrendo. - Contro chi hanno fattofuoco?

Toby non disse verbo. Si spinse verso ilfiume e si curvň sull’abisso, tendendo gliorecchi.

Due altri spari, poi altri quattrorombarono cupamente, propagandosiungo il corso del fiume.

Sei colpi, - contň Toby, - e cinque prima



formano undici. Hanno sparato contro’ufficiale ed i suoi due compagni.

Che siano stati invece i soldati deifortini che hanno fatto fuoco su qualchebanda?

Gli hudi sono armati di cannoncini, equesti sono stati colpi di fucile.

Allora Sitama ha teso un agguato

all’ufficiale.

Lo temo - mormorň Toby, con angoscia.

Padrone, fuggiamo - disse Bandhara. -Ci troviamo in una posizione difficile, equi un combattimento finirebbe male per noi.



E lasceremo l’ufficiale forse moribondo

Puň essere giŕ morto!

No - disse Indri. - Non dobbiamoabbandonarlo, Toby, vieni!

Non commetteremo noi una imprudenza? si chiese il cacciatore, il quale esitava, Se durante la nostra assenza quei banditipiombano sull’elefante? Chi difenderŕ il

Kohinoor?

Io ne rispondo - disse Bandhara. -Lancio l’elefante e vado ad attendervi

all’uscita della valle, dove sorge unvecchio fortino. I banditi non potrannoenerci dietro.

Va’ - rispose Indri. - Bada a Dhundia.



piattaforma, piů larga di quella che avevaservito loro d’accampamento, e chescendeva verso il fiume un po’

dolcemente, permettendo di raggiungerlosenza esporsi al pericolo di rompersi ilcollo.

Anche verso la montagna il penděo erameno aspro, interrotto da profondespaccature che pareva salissero fino allacima.

č in questi dintorni che devono esserestate sparate quelle fucilate - disse Toby. Ghe gli assalitori si siano tenuti nascost

fra queste spaccature?

O che siano discesi lungo il fiume ondemeglio sfuggire alla vigilanza dei fortini,



e che siano saliti attraverso le rocce dellariva? - chiese Indri, lanciando all’intornosguardi inquieti.

Ma qui non vedo nessuno.

L’ufficiale ed i suoi compagni saranno

sfuggiti all’agguato.

Hum! Gl’indiani non sono cosě cattivibersaglieri da mancare tre persone con

undici palle.

Vuoi che ci spingiamo piů innanzi,Toby?

Tu sai, Indri, che io sono tutt’altro cheun poltrone, eppure preferirei tornarmeneQui fiuto odor d’imboscate.



Duecento soli passi.

Sia, ma non di piů.

Armarono le carabine e le pistole,diedero uno sguardo al fiume che scorrevncassato fra le sue ripide sponde, un altr

verso le pareti rocciose della montagna,poi si spinsero innanzi, tenendosi nascostsotto l’ombra proiettata dalla paretegranitica.

Avevano percorsi quasi tutti i duecentopassi, quando scorsero, presso l’orlodella riva, una massa oscura.

Cos’č? - chiese Indri, puntando lacarabina.

Lo si direbbe un cavallo - rispose Toby



arrestandosi.

Allora č qui che hanno assalito

’ufficiale.

Vedi nulla tu, verso la montagna? -No,Toby.

Ed io non scorgo niente sulle rocce delfiume.- Erano neri i cavalli dei rajaputi, čvero? - Sě, Indri.

Andiamo a vedere.

Ascoltarono prima per qualche istante,

poi, non udendo altro che lo scrosciaredelle acque, uscirono dall’ombra eattraversarono rapidamente il sentiero,spingendosi verso la riva.



Era proprio un cavallo quello che giacevasull’orlo del Senar, un bell’animale dalmantello nero e lucido, tutto macchiato di

schiuma e bardato con una sella assaibassa, con gualdrappa rossa a franged’oro e le staffe corte. Aveva ricevute dupalle nel cranio che gli avevano

fracassate le terapia, facendogli uscire,assieme al sangue, brani di materiacerebrale.

č un cavallo dei rajaputi! - esclamňndri, rabbrividendo. - Dove sarŕ andato i

suo cavaliere?

E mi pare quello che montava l’ufficiale aggiunse Toby, con emozione.

Che il suo padrone sia stato ucciso?



Taci.

Cos’hai udito?

Un gemito.

Dove?

Giů, nel fiume.

Che i miserabili che hanno ucciso il

cavallo, abbiano poi precipitato ilcavaliere nel Senar?

Una voce fioca, appena distinta, era salita

n quel momento fra le rocce checosteggiavano la riva:

Aiuto… muoio!…



Indri, scendiamo - disse Toby. — Lopotremo noi?

Vedo lŕ una spaccatura che ci permetterŕdi giungere fino all’acqua.

E se ci prendono alle spalle?

č vero, Indri. Tu rimani qui, nascostodietro il cavallo per proteggermi; ioscendo.

Toby, senza attendere la risposta delcompagno, raggiunse in due salti laspaccatura, la quale pareva che si

prolungasse fino alla base della riva. Ladiscesa, che dapprima sembravadifficilissima, non presentava invecegrandi difficoltŕ. Bastava lasciarsi



scivolare per toccare il fondo, e fu quelloche fece Toby.

n meno di mezzo minuto si trovň sullescogliere, contro le quali si rompeva lacorrente del fiume.

Subito distinse un corpo umano, coricatopresso la sponda, colle gambe in acqua ee mani strette sulla testa.

Chi siete voi? - chiese Toby,accostandoglisi.

Udendo quella voce, il ferito fece unosforzo per alzarsi, poi ricadde mandandoun lugubre gemito.



Voi!… - esclamň Toby, riconoscendo inquel disgraziato l’ufficiale del rajahdiPannah.

Sě… sahib… — articolň il moribondo.

Chi vi ha gettato nel fiume? - Lui… i

dacoiti… -Sitama?

L’ufficiale fece col capo un cennoaffermativo.

L’avete veduto?

Sě - mormorň il ferito, con voce quasi

spenta. - Dove?

L’ufficiale indicň il fiume.

Sono scesi lungo il Senar? - sě…



sahib…

— Sono fuggiti, poi? - Sě… sě…

Ed i vostri compagni? - chiese ancoraToby, affannosamente.

Mor… ti con… me… Maledizione!… Potete ancora parlare?

l disgraziato non rispose. Si eraabbandonato completamente, chiudendogli

occhi.Un tremito agitň per un momento il suocorpo, poi cessň bruscamente.



Toby gli scoprě il petto e gli mise unamano sul cuore: non batteva piů.

— Morto! - mormorň. - Noi tivendicheremo, te lo giuro.

Ritirň il cadavere, onde la corrente non lo

portasse via, lo depose in una specie dibuca, poi s’arrampicň per la spaccatura,raggiungendo Indri, il quale si era sempreenuto dietro al cadavere del cavallo,

sorvegliando attentamente i dintorni.

— Sitama qui! - esclamň l’ex favorito delguicowar, quand’ebbe udito tutto quello

che gli aveva narrato Toby.

— Sě, i dacoiti sono scesi lungo il fiumeper evitare i fortini.



Come hanno potuto compiere una simile

mpresa, e di notte, con tante cateratte?

Io non lo so, - rispose Toby, - macomincio a credere che quegli uomini

siano veri demoni.

Torniamo, amico mio, e raggiungiamo’elefante. Puň darsi che Sitama ed i suoi

compagni stiano per assalirlo.

— Sě, andiamo, e di corsa.

Stavano per alzarsi, quando scorseroalcune ombre calarsi dalle rupi chefiancheggiavano la montagna. Scendevanosilenziosamente, aiutandosi le une colle

altre, spiccando talora salti da sfidare i



piů agili quadrumani.

Uomini o scimmie? - chiese Toby,

gettandosi precipitosamente dietro ilcavallo.

Mi sembrano uomini - rispose Indri.

E da dove sono discesi costoro?

Dalla montagna.

Se ha le pareti quasi lisce e tagliate apicco!

Ti dico che sono uomini, Toby. - Icompagni di Sitama?

Lo sospetto.



Allora devono essersi divisi in duebande per meglio sfuggire ai cavalieri derajah e alle sentinelle degli hudi. Mentre

una scendeva lungo il fiume, l’altra sicalava dalle montagne, passandoattraverso picchi e burroni impraticabili.ndri, amico mio, qui non soffia buon

vento per noi, e temo un disastro.

Pel Kohinoor, č vero? - chiese l’exfavorito diventando spaventosamente

pallido.

Piů per noi che pel diamante, almeno peora.

Credi tu che quegli uomini ci abbiano giveduti e che scendano per attaccarci?



Vedremo, Indri; intanto nonabbandoniamo questo cadavere che puňservirci da trincea. Bene armati lo siamo,

iratori infallibili pure, e daremo moltofilo da torcere a quei bricconi se vorrannprenderci.

Gli uomini che avevano varcata lamontagna, continuavano le loro manovrepericolose per calarsi sul sentiero chefiancheggiava il Senar. Erano una

quindicina, tutti quasi nudi, non avendondosso che un piccolo languti che

avvolgeva a malapena le loro anche, mautti armati di fucili e di pugnali.

Si trovavano ancora ad un’altezza di tre oquattrocento piedi e dovevano calarsiattraverso a rocce quasi perpendicolari;



perň non vi era da dubitare cheriuscissero a giungere sul sentiero, dallasicurezza e dall’agilitŕ con cui

manovravano.

Quando le rupi diventavano lisce, sienevano per le mani e per le gambe,

mitando le scimmie, e ben prestoraggiungevano le piattaforme inferiori,mprovvisando delle piramidi umane per

far scendere gli ultimi. Talvolta invece si

servivano di corde che poiabbandonavano appese alle rocce. — Chediavoli d’uomini - borbottava Toby,meravigliato.

Sono giocolieri e saltimbanchi -rispondeva Indri. - E poi tu conosci lasorprendente agilitŕ degl’indiani.



E li lasceremo scendere? Secominciassimo invece il fuoco?

— No, Toby; forse non ci hanno veduti,ed eviteremo un combattimento, le cuiconseguenze potrebbero essere fatali per noi. Sono in quindici o sedici, e noi, due.

E poi saranno soli? Sitama puň essere piůvicino di quello che possiamo supporre.

Hai ragione, Indri; aspettiamo.

dacoiti, tali almeno dovevano essere,giunti sull’ultima piattaforma,s’arrestarono alcuni minuti per riprendere

ena e per cercare il mezzo di scendere’ultima rupe, la quale cadeva a piombo

sul sentiero, senza crepacci e senzaspaccature.



La loro esitazione non durň molto. Furonoveduti annodare parecchie fasce, quelleche sorreggevano i loro ěanguti, poi,

formata una corda, la lanciarono.L’estremitŕ non toccava ancora il sentieroma che cos’era un salto di quattro metriper quegli uomini cosě agili e cosě

elastici?

l primo si lasciň scorrere lungo la corda,poi si lasciň risolutamente cadere. Cadde

poi si rialzň mandando un grido di trionfo

Gli altri imitarono quell’ardita manovra,senza badare che se cadevano malepotevano fracassarsi le gambe.

Radunatisi tutti sul sentiero, si gettarono aerra, mettendosi a strisciare come



serpenti e nascondendosi dietro i massiche incontravano.

Si dirigono verso di noi! - mormorňndri. - Non li vedi?

Per la mia morte! - esclamň Toby. -

Siamo stati scoperti!

Salviamoci nel fiume.

Ci fucilerebbero prima d’averloattraversato.

Rimarremo qui? Ci prenderanno.

Abbiamo duecento colpi da sparare, e cne basteranno quindici o venti.

Diamo battaglia?



Sě, Indri.

A me il primo colpo!

L’indiano s’alzň sulle ginocchiaguardando sopra il cavallo. I dacoiti nonerano che a cinquanta passi e

continuavano a strisciare sul suolo,muovendo verso l’animale.

Chi vive ? - gridň Indri.

Soldati degli hudi - rispose una voce.

Allora che il comandante si avanzi solo

onde noi possiamo accertarci se č unsoldato del rajah di pannah.

Eccomi!



Un uomo s’alzň dietro un masso, manvece di farsi innanzi, puntň rapidamentel fucile e fece fuoco sull’ex favorito del

guicowar.

A quello sparo un altro era rimbombato.Toby aveva fatto fuoco sul traditore, e

come sempre non aveva mancato albersaglio. Il dacoito si era portato ambee mani sul petto lasciando cadere l’arma

poi era caduto nel fiume, fracassandosi il

cranio sulle rocce sottostanti.

Sei ferito? - aveva chiesto il cacciatoredi tigri ad Indri.

No, la palla č passata sopra di me.



— Non esporti altro; ora sappiamo conchi abbiamo da fare.

— Non mi mostrerň, Toby.

dacoiti, spaventati dalla matematicaprecisione di quel colpo di fucile,

avevano arrestata la loro marcia,schiacciandosi, per cosě dire, contro ilsuolo, onde offrire meno bersaglio.

— Si sono raffreddati - disse Toby.

Perň non accennano a ritirarsi.

— Quando ne avremo abbattuti sette odotto, vedrai che si decideranno a lasciarcranquilli.

— E dove sarŕ Sitama?



— Non occupiamoci di lui, per ora.

— E se allarmato da questi spari tornasse

ndietro e ci prendesse alle spalle?

— Lo vorrei, Indri. -Perché, Toby?

Per ucciderlo con una buona palla in

mezzo al petto.

Guarda!

— Che cosa vedi?

— Alcuni dacoiti cercano di scendere nel

fiume per girare la nostra posizione.



— Vediamo un po’; devono passare sottol fuoco della mia carabina.

Toby alzň la testa gettando un rapidosguardo verso il fiume. Quattro uoministrisciavano lungo la sponda tentando diraggiungere la spaccatura, per la quale

poco prima egli era disceso.

— Li vedo - disse. — Ora si scoprirannomeglio.

Si allungň meglio che potč, caricň lacarabina, poi la puntň verso due rocce, frae quali dovevano passare i quattro

dacoiti. Una testa si mostrň, poi subito siritrasse.

— Hanno paura — mormorň Toby. - Si



sono accorti che io li aspetto a quelpassaggio.

Passarono alcuni secondi, poi la testariapparve. Il cacciatore di tigri, prontocome il lampo, premette il grilletto. Ladetonazione fu seguita da un grido.

l dacoito s’alzň di scatto, agitandopazzamente le braccia, poi piombň alsuolo. Subito gli altri tre si slanciarono

nnanzi per passare sul cadavere eprecipitarsi verso la spaccatura, ma anchendri sorvegliava il passaggio.

S’udě un secondo sparo, ed un altro uomocadde.

E tre - disse Toby, mentre i compagni



dei due morti retrocedevanoprecipitosamente. - Non ne rimangono cheredici e abbiamo ancora centonovanta

sette cariche. Non possiamo lamentarcidei nostri colpi. Ah! Cominciano ancheoro! Fortunatamente siamo al coperto.

dacoiti, furiosi di essere tenuti in scaccoda due soli uomini, avevano aperto unfuoco vivissimo.

Le palle entravano, con sordo rumore,nella carcassa del cavallo, senza riusciread attraversarlo, non avendo molta

penetrazione. Toby e Indri, sdraiati alsuolo, li lasciavano fare, non osandoesporsi. Quando perň gli sparirallentavano, alzavano un momento la



esta, per vedere se gli assalitori siavvicinavano. Quella fucilata durň cinqueminuti, poi cessň.

Alcuni uomini, credendo che Indri e Tobyfossero stati uccisi, abbandonarono i loronascondigli e si spinsero innanzi.

Attento - disse il cacciatore di tigri, alcompagno. - Vengono! Faremo un beldoppietto. Č carica la tua carabina?

Sě, Toby.

Preparati a riceverli.

dacoiti s’avanzavano cautamente, a passdi lupo, tenendosi curvi e stringendo imoschetti. Ogni due o tre passi si

arrestavano per ascoltare, poi, rassicurati



dal silenzio, tornavano a spingersi innanzper altrettanti. Erano cinque, guidati da uncapo, a quanto pareva, il quale dava di

quando in quando qualche ordine aicompagni. Toby e Indri non fiatavano:attendevano che quegli avversari sirovassero vicini per fucilarli a

bruciapelo.

Alto! - disse ad un tratto l’uomo che liguidava. — Lesto, Indri - mormorň Toby.

Balzarono in piedi simultaneamente,scaricando le loro carabine proprio inmezzo al gruppo, che si era arrestato asoli quindici passi. L’effetto di quellamprovvisa scarica fu disastroso. Tre

uomini caddero l’uno sull’altro; gli altri,spaventati da quell’inaspettato



ricevimento, fuggirono a rompicollo,salutati da due colpi di pistola. Era troppper quei banditi.

Senza pensare a far uso dei loromoschetti, si gettarono all’impazzataattraverso la spaccatura, lasciandosi

scivolare fino nel fiume, dove sinascosero in mezzo alle scogliere.

Ecco il momento di andarcene - disse

ndri. - II sentiero ormai č libero.

Adagio, amico - rispose Toby. - Nonfacciamoci vedere. -Perché?

Per non farci inseguire. Striscia dietro ilcavallo, raggiungi quei massi e allontanatenendoti sempre al coperto. Quei



bricconi crederanno che noi non abbiamoasciato il posto, e non oseranno, per ora,

di risalire.

E noi guadagneremo intanto via.

Sě, Indri.

Tu saresti riuscito un famoso generale.

Ed invece ho terminata la mia carriera

col grado di sergente - rispose ilcacciatore, ridendo. - In ritirata!

Girarono con precauzione attorno al

cadavere del cavallo, poi rincularono finoalla linea dei massi, tenendo sempre glisguardi fissi sulla riva del fiume, per temche i dacoiti avessero lasciati i loro

nascondigli.



Quando si trovarono sotto l’ombra dellaparete rocciosa, s’alzarono e si misero acorrere a tutte gambe, scendendo il

sentiero.

Percorsero cosě un buon chilometro, tuttod’un fiato, aumentando sempre la velocitŕ

poi si fermarono di comune accordo,ndicandosi il fiume.

Li vedi? - chiese Toby.

Sě - rispose Indri.

Che siano quelli che ci hanno assaliti, o

altri?

Ecco quello che vorrei sapere, ma credoche non siano gli stessi. Non muoverti, e

vediamo se fra costoro vi č quel



maledetto fakiro.

L’INSEGUIMENTO DEI DACOITI

Un’altra banda d’indiani saliva in quelmomento il corso del Senar, tenendosisulla riva opposta. Erano dodici o

quattordici, nudi al pari degli altri edegualmente armati e certo non meno agili,perché balzavano da uno scoglio all’altrocon straordinaria sicurezza, senza mai

cadere in acqua. Non dovevano esserequelli che avevano assaliti Indri e Toby,perché invece di salire la corrente,’avrebbero discesa, colla speranza di



agliare ancora il passo ai fuggiaschi.

Probabilmente si trattava della banda

capitanata da Sitama, la quale, comeaveva detto l’ufficiale, era fuggita lungo iSenar.

Udite quelle scariche, che in quella valleprofonda, chiusa da montagne altissime,dovevano essersi propagate a grandedistanza, accorreva per portare aiuto

all’altra truppa che era scesa attraverso lerupi.

Che vi sia il fakiro fra di loro? - aveva

chiesto Indri, dopo essersi gettato al suoloper non venire scoperto.

č probabile - aveva risposto Toby.



he si dirigano su questa riva?

Lo desidererei, ma per ora mi pare che

non ne abbiano intenzione. Ah!… Sepotessi vedere il/okiro!… Come lofucilerei volentieri!…

Quegli uomini sono troppo lontani per poterli distinguere, e poi si tengono sotto

e ombre proiettate dalle scogliere. Checosa mi consigli di fare, Toby?

l cacciatore rimase silenzioso.

— Parla, amico - riprese Indri. - Nonpossiamo rimanere qui, mentre gli altri sisono giŕ rimessi in caccia.



— č vero, ci sono gli altri - disse Toby,con ira. - Se fossimo riusciti a respingerlisulla montagna, avrei voluto seguire

questa banda e aspettare in qualche luogoSitama. Almeno la sarebbe stata finita, eogni pericolo sarebbe scomparso per noi

Si alzň tendendo gli orecchi.

Mi pare che vengano - disse. -Fuggiamo, Indri. Devono essersi accorti

della nostra ritirata.

Sě, andiamo, e raggiungiamo l’elefante.Questa valle minaccia di diventare la

nostra tomba.

Ripartirono di corsa, seguendo sempre ilsentiero che serpeggiava



capricciosamente fra la montagna ed ilfiume.

Una viva ansietŕ li spingeva, temendo che’elefante fosse stato assalito dalla bandache avevano veduto risalire il fiume.

A mezzanotte, dopo d’aver percorsi altriquattro o cinque chilometri, giungevanoall’estremitŕ della valle del Senar.

Colŕ le montagne si scostavano le unedalle altre ed il fiume si allargava,scorrendo meno impetuoso.

Piů lontano si cominciavano a vedere foltboschi di banani selvatici e di tek, e sulmargine d’una vasta spianata si elevavanoe muraglie merlate d’un vecchio fortino



semidiroccato.

Ci siamo - disse Toby, rallentando la

corsa. - Non ne posso piů.

Saranno lŕ dentro i nostri compagni? -chiese Indri, con ansietŕ.

Mi pare di vedere della luce attraversoe crepature delle muraglie.

n quell’istante udirono il sonoro barritod’un elefante, poi una voce, quella delfedele Bandhara, che gridava:

Chi vive? Rispondete o faccio fuoco!…

Giů la carabina, amico mio - disse Indri Siamo noi.



Voi, padrone!… Finalmente!…

Ci siete tutti? - ituti, sahib.

— E Dhundia?

č guardato da Sadras e dal cornac.

— Hai veduto nessuno durante la nostraassenza?

Sě, padrone; degli uomini sono venuti aronzare attorno al fortino, e sonoscomparsi dopo il primo colpo di fucile.

Quanti erano? - chiese Toby. Non ho potuto contarli, perché sienevano nascosti fra gli sterpi.



Puň ripartire l’elefante?

Ancora? Sarŕ stanco, signor Toby.

č necessario lasciare subito questa vallee rifugiarsi nel Gondwana, perché Sitamac’insegue.

Bandhara impallidě.

L’avete veduto? - chiese.

Abbiamo respinto una delle sue bande -disse Indri.

Quanto accanimento in quell’uomo! -mormorň il cornac. — Non ci lascerŕ ranquilli finché non lo avremo ucciso.

Entrarono nel fortino: era una vecchia



costruzione composta d’un piccolofabbricato quasi tutto diroccato e d’unacinta merlata, tutta crepacci, che non

poteva ormai piů servire.

Non potrebbe giovarci - disse Toby, chea osservava.

Avresti voluto fermarti qui? - chiesendri.

Sě, se questo fortino fosse stato in ottimcondizioni.

E lasciarci assediare?

— Avrei avuto qualche probabilitŕ dimandare una palla nel cranio di queldannato f akiro.



— č tutto diroccato qui.

Lo vedo, e andremo ad aspettare Sitama

nei boschi. Sono sicuro che farŕ ognisforzo per impedirci di rifugiarci a Sagar

— Sě, Toby - disse Indri. - Riusciremo a

sfuggire alle sue imboscate?

Speriamolo, Indri: mi pare che la fortunci abbia finora sempre protetti. Perché

dovrŕ stancarsi?

L’elefante si era coricato presso il cornace russava beatamente, ben lungi dal

sospettare di doversi rimettere in marciadopo quella faticosa discesadell’altipiano.

Dhundia invece, sempre legato, vegliava



accanto al fuoco, guardato dal piccoloSadras, il quale teneva sulle ginocchia unpaio di pistole. Il bravo ragazzo non

aveva ancora chiusi gli occhi, anziseguiva attentamente il piů piccolomovimento del prigioniero, temendosempre che gli fuggisse. Fu svegliato il

cornac, facendogli comprendere ilpericolo che correvano tutti fermandosipiů a lungo in quel fortino, che non potevaoffrire alcun rifugio.

Sihor č bravo e farŕ uno sforzo ancora -rispose il conduttore. - Povera bestia, nonsarŕ troppo contento d’interrompere il suosonno; tuttavia per due o tre orecamminerŕ, non di piů perň.

Basteranno - disse Toby.



L’elefante, svegliato da un secchiod’acqua versatogli sul capo, s’alzň bronto

ando e scuotendo le orecchie conmpazienza, perň si calmň subito udendoa voce del fedele cornac.

Divorň in meno d’un minuto un paio dichilogrammi di zucchero, vuotň unmastello d’acqua, entro la quale era stataversata mezza bottiglia di gin, poi quando

utti furono saliti sulla sua robustaschiena, uscě dal fortino, abbattendo, conun colpo di spalla, un pezzo di muraglia.

Brontolava e sbuffava dimenando’enorme testaccia per dimostrare il suo

malumore, perň appena fu all’aperto edebbe aspirata la fresca brezza della notte,



prese un piccolo galoppo, dirigendosiverso le boscaglie che si estendevanoungo la riva destra del Senar.

essun uomo era stato veduto, né fuori dafortino, né sulle rive del fiume. Si potevaquindi sperare che quella partenza non

avesse avuto alcun testimonio.

ondimeno Toby e soprattutto Bandhara,che conoscevano la prodigiosa abilitŕ del

fakiro nel ritrovare e anche seguireungamente una traccia, non si illudevanoroppo.

Erano certi che presto o tardi quelbriccone avrebbe trovate le orme lasciatedall’elefante.



La valle continuava intanto ad aprirsi ed adiventare meno difficile a percorrersi. Lediscese si raddolcivano e si succedevano

pianure coperte da erbe altissime e dagiganteschi bambů, tatara alti sedici eanche diciotto metri, sormontati da enormmazzi in forma di scopa che il venticello

agitava. L’elefante, sempre incoraggiatodal cornac che lo accarezzavasussurrandogli parole dolci, si eracacciato risolutamente fra quelle erbe chegli giungevano fino al petto, fugandostormi di pavoni e di tortorelle bianche.Si dirigeva verso le foreste che

oscuravano l’orizzonte, dove era certo dirovare frutta in abbondanza e foglieenere.

Cominciava a spuntare l’alba, quando



giunse dinanzi ai primi alberi, deglimmensi banian dal folto fogliame, con

centinaia e centinaia di tronchi. Col largo

e possente petto s’aprě il passo,abbattendo a destra ed a manca rami eronchi; poi, dopo d’essersi inoltrato per

cinque o seicento metri, s’arrestň

scrollando le orecchie e la proboscide, emandando contemporaneamente un lungobarrito.

č stanco e si rifiuta di avanzare - disse icornac, volgendosi verso Toby.

Quanto credi che abbia percorsodall’ultima fermata? - chiese questi.

Mezza dozzina di miglia, sahib.



Possiamo concedergli due o tre ore diriposo. Basteranno?

Sě, se troverŕ qui cibo in abbondanza.

Scendiamo - disse Indri. - Pel momentonon abbiamo da temere alcuna sorpresa d

parte di Sitama.

Udendo quelle parole, sfuggitenavvertentemente all’ex favorito,

Dhundia, che durante quella secondacorsa non aveva mai aperto bocca néaperti gli occhi, fece un soprassalto.

Sitama! - disse, guardando Indri. - Ah! Čancora vivo!…

E tu speri, canaglia, che venga a

iberarti, č vero? - chiese Toby. Dhundia



si morse le labbra, seccato di aver pronunciate quelle parole, ma poi ripreseguardando insolentemente il cacciatore:

Sitama almeno mi vendicherŕ.

č meno vicino di quanto tu credi.

Vi raggiungerŕ egualmente.

E ci ucciderŕ?

Almeno farŕ il possibile per farlo -rispose Dhundia con un sorriso maligno.

Tu non ci vedrai a cadere, te lo diceToby, il cacciatore di tigri; perché alprimo assalto da parte di quei bricconi tifaccio scoppiare la testa con un colpo di

pistola.



Non l’oserete.

E chi me lo impedirŕ?

Solo il guicowar ha il diritto di punirmi

Ed io, che sono uno dei principi di

Baroda - disse Indri. - E siccome Toby čmio amico, fin d’ora gli accordo ilpermesso di sopprimerti.

E Parvati mi vendicherŕ, se Sitama nonpotrŕ farlo.

Lo vedremo - rispose Indri,

ronicamente. - Credo perň che ancheParvati potrŕ fare ben poco per te, anzi ionon vorrei trovarmi nella sua pelle. - Edo…



Basta, o ti faccio mettere un bavaglio -disse Toby, con voce minacciosa. -Neabbiamo abbastanza delle tue chiacchiere

Dhundia, sapendo che l’ex sergente nonera uomo da scherzare, non fiatň piů e siasciň trasportare a terra, dove giŕ

Bandhara ed il cornac avevanomprovvisata una piccola tettoia formata

con foglie di banano, sorrette da alcunibastoni incrociati.

Fecero colazione colle provviste cheancora rimanevano, aggiungendovi degliaranci e dei banani, poi, essendostanchissimi e certi di non veniredisturbati, Toby e Indri si sdraiarono suun fascio di foglie fresche, accanto alpiccolo Sadras, giŕ addormentato.



Bandhara invece, dopo d’aver legate lebraccia e le gambe a Dhundia e di averloraccomandato al cornac, prese una

carabina e si cacciň sotto gli alberi. Ilbravo e fedele servo del favorito non eraaffatto tranquillo e voleva assicurarsi coipropri occhi se nessun pericolo

minacciava il padrone ed i suoi compagniSapeva che ilfakiro era tale uomo da nonabbandonare il suo progetto d’impa

dronirsi del famoso diamante e tanto menodi abbandonare il suo complice nelle mandei suoi nemici. Era quindi convinto divederlo giungere da un momento all’altron compagnia dei suoi bricconi.

Quando meno ce l’aspetteremo, Sitamaci piomberŕ addosso - si era detto il



cornac. - Cerchiamo quindi di prevenirlo

Le foreste non avevano segreti per lui e

sapeva attraversarle senza esporsi alpericolo di smarrirsi e senza far piůrumore d’un serpente. Si gettňrisolutamente in mezzo alle macchie piů

folte, dove il sole non poteva penetrare, esi mise a camminare celermente, evitandocon agilitŕ straordinaria, le radici ed irami bassi.

Quando incontrava degli strati di fogliesecche, s’aggrappava alle pianteparassite, e con una manovra daquadrumane, vi passava sopra, evitandocosě gli scrosci che potevano tradirlo.

Si era avanzato cosě per circa un



chilometro, quando i suoi orecchi furonocolpiti da uno scricchiolěo che si ripetčquasi subito.

Si gettň prontamente a terra,nascondendosi sotto le immense foglied’un banano, e armň silenziosamente la

carabina.

Che quei bricconi siano giŕ giunti qui? -si chiese. - Se č vero, devono aver

galoppato come cavalli per seguire cosěda vicino l’elefante.

Stette in ascolto rattenendo il respiro e

udě un altro ramo a spezzarsi.

Puň essere una tigre od una pantera -mormorň. - Stiamo in guardia, perché



valgono Sitama ed i suoi banditi.

Appoggiň un orecchio al suolo, poi rialzň

a testa gettando all’intorno uno sguardonquieto.

Due uomini s’avanzano - disse. -

Saranno gli esploratori della banda?Strisciň fuori dal fogliame, senza produrrl menomo rumore, e s’irrigidě subito,asciandosi ricadere al suolo.

Due indiani s’avanzavano lentamenteattraverso la foresta, curvandosi diquando in quando verso terra, come se

cercassero delle tracce. Erano affattonudi, madidi di sudore, colle barbe indisordine e lorde di fango, e ansavanofortemente, come se avessero fatto una



unga corsa. Sul capo portavano, l’uno uncalottina gialla, l’altro rossa con unpiccolo serpente dipinto di azzurro. In una

mano tenevano il moschetto, nell’altra unaspecie di yatagan, di cui si servivano per agliare i rami e le radici che impedivano

a loro il passo.

Sono uomini di Sitama - mormorňBandhara. - Se li uccidessi?

due indiani si erano arrestati a soli ventipassi da lui, sedendosi sull’enorme radicd’un banian.

Fermiamoci un momento - aveva dettoquello che portava la calottina gialla. -Siamo giŕ sulla buona via.



Che l’elefante sia montato da loro o daaltri? - aveva chiesto l’altro.

Sitama mi ha detto che avevano lasciatopAannah su un elefante donato loro dalrajah.

Come puň averlo saputo?

Glielo hanno detto le guardie che lohanno aiutato ad evadere - rispose

’indiano dalla calotta gialla.

Se gli altri non fanno presto a giungere,ci sfuggiranno. Chi puň seguire un

pachiderma per lungo tempo?

Il favorito del guicowar si sarŕ fermaton qualche luogo. Non puň forzare troppo

l suo animale. Scommetterei anzi che ci



sono vicini.

Come lo sai? - chiese l’indiano dalla

calottina gialla.

Sento odor di fumo. — Che fiuto!

Bagandi non s’inganna mai. Torniamo?

Al contrario, andremo innanzi finchéscopriremo l’accampamento del favorito.Se potessimo sorprenderli tutti! IlKohinoor non andrebbe di certo a finire

nelle mani nel guicowar di Baroda.

Bricconi - mormorň Bandhara. - Saremoperň noi che vi sorprenderemo. Vi

precederň al campo e vi preparerň



un’imboscata che non saprete evitare.Aveva rinunciato all’idea di far fuoco sudi loro. Quantunque buon bersagliere,

emeva che qualche ramo potesse deviarea palla della sua carabina, e poi nonaveva che un solo colpo da tirare.

Anche ammesso che ne avesse atterratouno, il compagno poteva fargli fronte erispondere subito. - Andiamo ad avvertiresahib Toby ed il padrone - disse. - Li

prenderemo egualmente.

Stava per strisciare fuori dalla macchia,quando vide a pochi passi, arrotolato suse stesso, un cobra-capello, il quale lofissava coi suoi occhietti scintillanti,sormontati da quella specie d’occhialigialli, che danno a quei rettili



pericolosissimi un aspetto che mettepaura.

Non ci mancava che questo! - mormorňBandhara, rabbrividendo. - Se si slancia,sono perduto!

l serpente non pareva che avessentenzioni bellicose. Si accontentava diguardare il povero cornac, come seavesse voluto affascinarlo e di agitare la

inguetta biforcuta con dei rapidimovimenti.

Bandhara sudava freddo: aveva la morte

dinanzi e di dietro, con nessunaprobabilitŕ di sfuggirla.

Se il rettile si slanciava e tentava di



difendersi, i due indiani, attratti dalrumore, non avrebbero certamentemancato di accorrere e di ucciderlo, o pe

o meno di catturarlo.

Quell’agonia durň due minuti, lunghi comdue ore pel disgraziato cornac, poi il

velenosissimo rettile svolse lentamente glanelli e si diresse verso un cespuglio,scomparendovi dentro.

Ecco un supplizio che non augurereinemmeno a Sitama - mormorň il cornac,asciugandosi la fronte. - Credevo disentire i denti del cobra piantarmisi nellacarne ed il veleno scorrermi pel corpo.

Guardň dietro di sé e non vide piů i duendiani.



Si sono allontanati seguendo le ormedell’elefante - pensň. - Cerchiamo diprecederli e di non farmi sorprendere.

Attraversň velocemente la macchiaguardando il cespuglio per paura di vederricomparire il terribile cobra, poi si

slanciň a tutte gambe attraverso la forestacercando di tenersi ben lontano dalsentiero aperto dall’elefante e che i duebanditi dovevano percorrere.

Venti minuti dopo, ancora spaventatodall’incontro fatto, e affannato, giungevaall’accampamento.

L’elefante dormiva al pari d’Indri, diToby e di Sadras; il cornac invecevegliava seduto dinanzi a Dhundia, il



quale fěngeva di russare.

Quali nuove? - chiese il cornac, vedend

Bandhara coi lineamenti sconvolti.

Mi sembri spaventato.

Bisogna ripartire. Ancora? Hanno scoperto le nostre tracce.

L’elefante non si alzerŕ cosě presto. Habisogno di riposo.

Cerca d’indurlo a muoversi.

Mi proverň.

Bandhara si cacciň sotto la piccola tettoia

e svegliň Indri e Toby informandoli



dell’avvicinarsi dei due esploratori diSitama.

Quel fakiro č piů feroce d’una tigre! -esclamň Toby. - Che non ci lasci unmomento dě tranquillitŕ?

Non dormiremo tranquilli finché non’avremo ucciso o ci avrŕ carpito ilKohinoor - disse Indri.

Sahib - disse in quel momento il cornacavvicinandosi a loro. - L’elefante sirifiuta d’alzarsi. Io non oso ricorrere aimaltrattamenti.

Lo sapevo - disse Indri. - Non si puňpretendere l’impossibile.

Eppure non possiamo fermarci qui, in



mezzo al bosco - disse Toby. - Sarebbestato meglio fermarci al fortino.

Vi č un’altra rovina non molto lungi daqui - disse il cornac. - č un’antica pagoda

Potrŕ servirci? - chiese Indri.

La cinta č crollata, perň l’interno deveessere in buone condizioni.

Andiamo a visitarla - disse Toby. - E’elefante?

Quando non vedrŕ piů il suo cornac e

udrŕ le prime fucilate, verrŕ a raggiungerc disse Bandhara.

Prendiamo la Montagna di luce, le nostr

rupie, le armi ed i viveri, e sgombriamo -



comandň Toby. - Forse a quest’ora idacoiti sono entrati nella foresta e hannoraggiunti gli esploratori.

Vuotarono l’haudah, si caricarono diquanto conteneva, non dimenticandosoprattutto le munizioni, slegarono le

gambe a Dhundia e s’avviarono sotto lepiante, preceduti dal cornac.

L’elefante, vedendo il suo conduttore

andarsene, mandň due o tre barriti, poi sidecise a seguirlo, quantunque brontolandocontinuamente. Toby, che portava le armisi era messo alla retroguardia per proteggere il piccolo drappello.



LA TESTA DEL

FAKIRO

La foresta diventava sempre piů folta,perň si capiva che in epoche remote

doveva essere stata abitata e ancheoccupata o da un grosso villaggio o da unpiccola cittŕ, perché di passo in passo che

fuggiaschi si avanzavano, incontravano

blocchi di pietra scolpiti, pezzi dicolonnati che i muschi e le pianteparassite non avevano ancora interamentecoperti, capitelli, arcate cadute e qualchepezzo di muraglia.

on č raro incontrare nell’India, anche frae jungle piů fólte, ormai diventate rifugi



dei serpenti, delle tigri e delle pantere,degli avanzi di cittŕ scomparse forse damigliaia di secoli.

Quando il viaggiatore od il cacciatoremeno se lo immagina, si trova dinanzi apalazzi diroccati, un giorno sede di

opulenti rajah, o di moschee, o di pagodecadute ormai in rovina e sepolte sottommensi cespugli. La vegetazione

d’altronde, in quei paesi del sole, č cosě

possente, che un campo lasciato inabbandono da un solo anno, diventaassolutamente irriconoscibile. Gli alberied i cespugli si moltiplicano constraordinaria rapiditŕ e fanno scomparireogni traccia di coltivato.

l cornac, pratico della foresta che aveva



percorso chissŕ quante volte, seguiva unaraccia invisibile agli altri, senza mai

esitare, quantunque fosse sfornito di

bussola.

Si affidava al suo istinto d’uomo deiboschi, ed era certo di non ingannarsi.

L’elefante li seguiva sempre, aprendo unvero sentiero attraverso i mille e millevegetali, continuando ad abbattere adestra ed a sinistra giovani alberi, piante

parassite, radici e mazzi di bambů.

Peccato che non ci preceda - dicevaToby. - Almeno ci faciliterebbe la marciaAprirŕ invece il passo ai bricconi cheaccompagnano Sitama.

Una mezz’ora dopo il cornac, dopo aver



attraversato un terreno cosparso d’unnumero infinito di rottami, s’arrestavadinanzi ad una piccola radura, nel cui

centro s’innalzava una pagoda diproporzioni gigantesche, in forma dicupola, con gradinate superbe, arcate dimarmo, finestre larghissime e una

moltitudine di statue rappresentanti lenumerose incarnazioni di Visnů. Tutta lacinta, salvo un piccolo tratto, eradiroccata e giaceva al suolo, fra le pianteche avevano ingombrata la spianata; lacupola invece aveva resistitomeravigliosamente alle ingiurie del tempo

e le sue pareti non mostravano alcuncrepaccio.

Che cosa ne dite? - chiese il cornac,

volgendosi verso Toby ed Indri, i quali



ammiravano quella superba costruzione,che doveva essere stata eretta tre oquattromila anni prima.

Meravigliosa - disse l’ex sergente. - Euna vera fortezza che ci offrirŕ un ottimorifugio.

E l’elefante potrŕ entrare? - chiese Indri

Una gradinata non lo spaventa e mi

seguirŕ - rispose il cornac.

Andiamo a visitare la nostra fortezza -disse Toby.

Salirono una delle gradinate, laprincipale, che era vastissima, edentrarono nel tempio che pareva fosse

stato dedicato a Sasarruadi, moglie di



Brahma, essendovi sulla cima della portauna figura di quella dea, rappresentata dauna donna che in una mano teneva un libro

e nell’altra un forieri, specie di liraprimitiva.

La pagoda era immensa, di forma

rettangolare, ma priva d’ogni cosa.Solamente sulle pareti si vedevano deibassorilievi rappresentanti Brahma invarie pose e tutti guasti dal tempo e

dall’umiditŕ.

Le muraglie erano massicce, ancora inottimo stato, capaci di resistere anche adun cannone; solamente una parte dellammensa cupola era caduta e si vedevanorottami accumulati in un angolo.



Anche la porta, tutta di bronzo cesellato,colle figure di Siva, di Visnů, di Brahma di coleri, ossia di geni malefici indiani,

era di tale spessore da sfidare qualsiasiariete.

Ecco una fortuna insperata per noi -

disse Toby. - Qui potremo resistereungamente agli assalti di Sitama e della

sua banda.

Non vi sono feritoie per far fuoco -osservň Indri.

Ci collocheremo sulla cupola - rispose

’ex sergente. - Vedo una scala che cipermetterŕ di raggiungerla.

— Che colpo d’occhio.



Sarei diventato generale, se non avessiabbandonato l’esercito. Me lo hai detto.

— E che generale!

— Sě, senza quelle maledette tigri chehanno divorata mia moglie - disse Toby,

con un sospiro e con voce triste. - Orsů,noi pensiamo al passato. Taci!…

— Che cos’hai udito, Indri.

— L’elefante barrisce come quando fiuta,un pericolo.

— Che gli uomini di Sitama siano giŕ giunti?

Stava per slanciarsi verso la porta,

quando vide entrare Sihor. Il pachiderma,



non vedendo piů il cornac, aveva salita lagradinata, d’altronde comodissima ancheper un animale di quelle dimensioni, e si

mostrava assai inquieto. Sbuffava, sivoltava di frequente verso la porta,agitava gli orecchi e brontolavasordamente.

— Sahib - disse il cornac, appressandosia Toby. - Sihor ha veduto qualche cosa odha udito qualche rumore.

— Chiudete la porta! - comandň l’exsergente, con voce tuonante. - E tu, Indri,seguimi sulla cupola con Bandhara.

E Sadras?

— Che rimanga a guardia di Dhundia



assieme al cornac. Ah!

— Cosa vuoi ancora, Toby?

L’ex sergente chiamň il fanciullo.

Mio bravo Sadras, - gli disse, - puň

darsi il caso che noi veniamo uccisi,perché non si sa mai quello che puňaccadere in un combattimento. Se ci vedicadere, giurami di uccidere Dhundia.

Ve lo prometto - rispose il piccolondiano, con voce ferma.

Poi, se lo potrai, fuggirai a Pannah collaMontagna di luce e andrai a raccontare alrajah quanto sarŕ accaduto a noi. Eglialmeno penserŕ a vendicarci.



Sě, sahib; Sadras č piccolo e puňsfuggire agli sguardi dei dacoiti e anche dSitama.

Contiamo su di te.

Manterrň la parola o mi farň uccidere.

— Ed ora, Indri, andiamo a dare battagliaa quei bricconi - disse Toby. -Mostreremo loro che l’ex sergente dei

sipoi e l’ex favorito del guicowar nonhanno paura. A noi, Bandhara! Portaquante munizioni puoi.

Chiusero la porta di bronzo, facendoviappoggiare contro l’elefante, poi sislanciarono sulla scaletta che giravantorno alla cupola e che terminava sotto



a cima. Colŕ s’apriva un foroperfettamente circolare, il quale mettevasu un terrazzi

no riparato da un parapetto in muratura,sufficiente ad arrestare le palle degliassalitori.

Da qui potremo far fuoco in tutte ledirezioni, senza esporci ai colpi deidacoiti - disse Toby.

E domineremo tutti i dintorni dellapagoda - aggiunse Indri. - Troveranno unosso ben duro da rodere.

E daremo loro una tale lezione daricordarsene per sempre, amico mio. Ah!Volete la Montagna di luce! Invece del



diamante, vi daremo del piombo, che foraed ammazza, miei cari bricconi.

Perň finora non si vedono.

V’ingannate, padrone - disse Bandhara,l quale da qualche istante fissava un folto

gruppo di banani che si trovava di frontealla gradinata. - Ho scorto or ora balenaresotto il fogliame o la canna d’un fucile oa lama d’una sciabola. Fra poco si

mostreranno e vi prego di non esporviroppo.

Che sia giunta solamente l’avanguardia?

chiese Toby.

č probabile - rispose Indri. - Il grossosarŕ ancora in marcia.



Chi vede Sitama, faccia fuoco su di lui.Morto il capo, gli altri forse rinuncerannoall’impresa.

— Il mio primo colpo sarŕ per quelbrigante — disse Indri.

Se si mostrerŕ. Sa che siamo abilibersaglieri e si terrŕ ben nascosto -osservň Bandhara. - Spingerŕ i suoibanditi all’assalto e non comparirŕ se non

quando la vittoria sarŕ assicurata.

Sě, ora li vedo - disse Toby. - Anch’ioho scorto il luccicare d’un fucile sotto il

fogliame di quei banani. Cerchiamo disloggiare l’avanguardia, prima chevengano gli altri.



Stava per armare la carabina, quando tre quattro lampi balenarono sotto la

macchia. Toby ed i suoi compagni ebberoappena il tempo di gettarsi dietro al

parapetto.

proiettili erano passati fischiando soprae loro teste ed una aveva scrostata la

cima della parete.

Eh! Eh! - esclamň Toby, con voceranquilla. - Non tirano male, quei

bricconi! Noi perň sappiamo colpiremeglio. Indri, vuoi cominciare? Vedo lŕ uno di quei banditi che striscia fra icespugli per… La sua voce si perdette fra

un clamore spaventevole, scoppiato



mprovvisamente tra i boschi checircondavano la pagoda.

Degli uomini, nudi come vermi, balzavanfuori dai cespugli alzando e agitandominacciosamente i loro fucili e le lorosciabole.

Erano almeno un centinaio. Si dimenavancome fossero in preda ad un vero delirio,urlavano come demoni, si spingevano gli

uni cogli altri, balzando come tigri infurore. Fecero, correndo come cavallisbrigliati, il giro della vecchia pagodasempre vociferando, poi scomparvero neiboschi prima ancora che Toby, Indri eBandhara, stupiti da quell’improvvisarruzione, pensassero a salutarli con una

scarica.



Dove Sitama puň aver trovato tantiuomini? - si chiese Toby, sconcertato.

E poi, sono uomini, o demoni?

E sapremo noi resistere a costoro? - sidomandň Indri, atterrito.

La porta č solida e le pareti enormi -disse Bandhara.

Sě, ma io comincio a dubitare dellanostra vittoria - rispose Toby. - Centouomini! E se saranno tutti quelli cheabbiamo veduti.

Ed armati di fucili - disse Indri.

E noi non siamo che in cinque, compreso

un ragazzo! Bah! Se dobbiamo morire, ne



ammazzeremo molti prima di cadere!Bandhara, va’ a chiamare anche il cornacSarŕ un fucile di piů.

E Dhundia? - chiese Indri.

Sadras basterŕ a guardarlo. Ha due

pistole, e non esiterŕ a scaricarle addossoal traditore.

n quel momento una voce potente, che

riconobbero subito, s’alzň fra la macchiadei banani.

Che il cacciatore bianco ed il favorito

del guicowar mi ascoltino.

Sitama! - esclamarono ad una voce l’exsergente e Indri, fremendo.



Mi avete udito? - gridň il fakiro.

Parla - disse Toby, il quale si preparava

a far fuoco.

Volete la pace o la guerra?

Che cosa desideri per concederci lapace?

La Montagna di luce e la libertŕ di

Dhundia - rispose il fakiro.

— Vieni a prendere l’una o l’atro, se nehai il coraggio - disse Toby, ironicamente

Rifiutate?

Sě, finché avremo la speranza di fartiscoppiare la testa con una palla, e di

purgare la terra d’un miserabile della tua



specie.

Ho cento uomini.

E noi abbiamo cinquecento cartucce.

č la guerra che volete? Sia! - urlň il

fakiro, con voce minacciosa. Successe unbreve silenzio, poi tutto d’un tratto i centodemoni irruppero per la seconda volta daboschi, ululando come fiere, e si

sparpugliarono intorno alla pagodaaprendo un fuoco infernale contro lasommitŕ della cupola. Indri, Toby,Bandhara ed il cornac, il quale li aveva

raggiunti, si erano inginocchiati dietro alparapetto, decisi a vendere ben cara lavita e di massacrare quanti piů uominipotevano.



Tu occupati a ricaricare le nostre armi -disse Toby al cornac. — Hai portato lecarabine di ricambio?

Sě, sahib.

Allora fuoco a volontŕ, e badate di non

mostrare la testa, perché grandmaerribilmente.

Gl’indiani continuavano a sparare

all’impazzata, balzando ora a destra edora a sinistra per non venire presi di miraed incoraggiandosi con urla terribili.Toby e Indri cominciarono ben presto a

rispondere vigorosamente, validamenteappoggiati da Bandhara, il quale era uniratore non disprezzabile, essendo staton altri tempi un buon cacciatore. I primi



colpi fecero subito comprendere agliassalitori con quali temibili avversariavevano da fare. Toby e Indri non

cosumavano inutilmente le loro munizioniOgni colpo di fucile segnava la morte diun avversario.

on potevano perň far fuoco troppoceleremente, perché anche le palle degliassediati giungevano sulla cima dellacupola, sgretolando il parapetto e

sfiorando sovente la testa dei difensori.

Dopo dieci minuti, una dozzina d’indianigiaceva a terra, ed altri, piů o meno feritisi trascinavano al suolo, lasciandosidietro strisce di sangue. Sitama perň nonsi mostrava. Si udiva di quando in quandoa sua voce uscire dalla macchia dei



banani, ma si teneva ben nascosto dietro aqualche tronco enorme.

Toby aveva fatto fuoco piů volte in mezzoalla macchia, colla speranza di colpirlo, esempre invano.

Quella fucilata durň ininterrotta e semprepiů furiosa venti minuti, poi gl’indianicominciarono a tentennare ed a ritirarsiverso le piante. Le perdite enormi subite,

avevano raffreddato il loro coraggio.

ondimeno vollero tentare ancora unosforzo supremo, colla speranza di coglier

difensori alle spalle.

Quindici o venti dei piů audaci, sollevatoun enorme tronco di ték, caduto per



decrepitezza od abbattuto dal fulmine, siprecipitarono verso la gradinata, col’intenzione di assalire la porta di bronzo

e di sfondarla.

Fuoco su quelli! - grido Toby, che sen’era accorto.

ndri e Bandhara, non badando alle palleche continuavano a fioccare, s’alzaronomirando quel gruppo.

Due uomini caddero, poi altri tre, magl’indiani continuarono la corsa, salironovelocemente la scala e cozzarono contro

a porta con tale fracasso che l’interacupola tremň come se fosse stata scossadal terremoto. Nell’interno della pagodas’udě un barrito spaventevole: era Sihor



che montava in furore. La porta,scardinata dal colpo formidabile, eracaduta addosso all’elefante. Questi si era

alzato cieco di rabbia. Vedendogl’indiani, che stavano per precipitarsinell’interno della pagoda, si scagliň inmezzo a loro, spazzandoli via a colpi di

romba.

Si udirono urla strazianti mescolate aibarriti del pachiderma, poi si videro

alcuni uomini precipitarsi pazzamente giůdalla gradinata, salvandosi nei boschi.

Bravo Sihor! - gridň Toby. - Ecco unamico, sul quale non contavo!

Ma la porta č abbattuta - disse Indri.



S’incaricherŕ Sihor di difendere’entrata.

E se lo uccidono! E Dhundia č giů colpiccolo Sadras!

— Mille tuoni! Mi ero dimenticato del

raditore! Bandhara, cornac, presto,scendete e portatelo qui.

due indiani si slanciarono giů dalla

scala, mentre Toby e Indri continuavano asparare contro tutti gli avversari cheosavano mostrarsi. Non era trascorso unminuto che i due servi risalivano portando

Dhundia sempre legato. Sadras li avevaseguiti impugnando le pistole dategli daToby.



č caduta la porta? - chiese, Indri.

— Sě - rispose Bandhara. - E l’elefante?

Sbarra il passaggio.

Potrŕ resistere?

Mi pare che abbia accoppato una mezzadozzina d’uomini, padrone. Gli altri nonvorranno certo provare la sua proboscide

Hum! - dice Toby, scuotendo la testa. -Troveranno qualche modo per allontanarlo: lo vedrete.

dacoiti, dopo essersi riorganizzati,ricominciarono a comparire riprendendol fuoco. Non si esponevano perň come

prima, conoscendo ormai l’infallibilitŕ de



iro di Toby e dell’ex favorito.

Approfittavano dei cespugli per

nascondersi e delle pieghe del terreno.Alcuni rotolavano dei tronchi d’alberocercando di avvicinarsi alla gradinata.

Prevedo che finiranno coll’invadere lapagoda - disse Toby, un po’ scoraggiato. Bandhara, hai portato quassů anche lacassetta che racchiude il diamante e le

rupie?

Sě, sahib.

— Allora entrino pure. Ah! Ve lo dicevoo?

Gl’indiani che rotolavano i tronchi, giunti

presso lo scalone, si erano messi a



anciare verso la porta delle palle dicotone infiammato per allontanare’elefante. Sihor barriva sempre piů

spaventosamente, senza osare di uscireper caricare gli assalitori. Anzi, dinanzi aquella pioggia di fuoco, indietreggiavaverso il fondo della pagoda, per cercare

un’altra uscita.

Toby ed i sui compagni avevanoconcentrati i loro tiri verso gli uomini che

forzavano lo scalone e con poco successoperché i tronchi li riparavano. E poi nonpotevano troppo esporsi, continuando glialtri a bersagliare la cupola ed ilparapetto del terrazzino.

D’un tratto per la seconda volta la cupolaoscillň. Giů, nella pagoda, si era udita



come una detonazione, seguita da unospaventevole rombo metallico.

Bandhara! - grido Toby. - Cos’č saltato?

č l’elefante che ha rovesciata una portache si trovava all’altra estremitŕ della

pagoda - rispose il cornac.

E fugge?

Se n’č giŕ andato, sahib.

Ecco il momento terribile! Mio carondri, non ci resta che morire!

Sono pronto - rispose l’ex favorito, convoce tranquilla. - Meglio morirecombattendo che vivere paria.



dacoiti, vedendo fuggire l’elefante, sierano precipitati entro la pagoda,salutando quella prima vittoria con

clamori assordanti.

Toby si affacciň sulla rotonda e scaricň ilsuo fucile in mezzo all’orda urlante,

abbattendo un uomo. Vi risposero diecifucilate. - č finita - mormorň, balzandoestamente indietro. - Fra cinque minuti

anche la terrazza sarŕ invasa. Ah! Volete

Dhundia! - esclamň ad un tratto, conaccento feroce. - Lo troverete morto!

Strappň a Sadras una pistola e l’armňprecipitosamente.

Che cosa fai? - chiese Indri.



Uccido questo miserabile, che č la causaprincipale della tua disgrazia.

Fa’ come credi.

Toby stava per avventarsi contro ilraditore, quando in mezzo ai boschi si

udirono echeggiare delle trombe.

Suonano la carica! - esclamň Indri,arrestandogli il braccio.

Le trombe dei rajaputi! - gridň il cornacraggiante. - Siamo salvi!…

Fra lo squillare delle trombe, si udivanocolpi di carabina e nitriti di cavalli.Pareva che un grosso nucleo di cavalieriattraversasse il bosco come un uragano. I

dacoiti, stupiti, spaventati, avevano



cessato il fuoco, guardando attraverso aglalberi. Anche quelli che erano entratinella pagoda non sparavano piů, anzi

fuggivano a rompicollo giů dallo scalone.Urla di terrore s’alzano da tutte le parti. - rajaputi di pannah! Fuggite!

Troppo tardi. Uno squadrone di superbicavalieri, coi manti svolazzanti e gli altiurbanti variopinti, irrompe a briglia

sciolta nella radura, sciabolando i dacoiti

che non pensano piů ad opporreresistenza.

un altro squadrone sopraggiunge dal latoopposto e prende in mezzo i fuggiaschi,fucilandoli a bruciapelo.



Bravi rajaputi! - grida Toby. - Giů senzamisericordia! Viva il rajah di pannah.

L’ufficiale che comanda il secondosquadrone, udendo quelle grida alza laesta e fa a Toby un saluto colla

scimitarra, poi balza a terra, stacca dalla

sella un involto grondante sangue e sislancia verso la pagoda.

— L’hai riconosciuto Indri? - chiese il

cacciatore.

Sě, č l’ufficiale che ci aveva fatto usciredalla porta d’occidente, credendo di

mostrarci il cadavere del /okiro.

Sě, Indri č lui!

l comandante rajaputo sale lestamente la



scaletta intema della pagoda e giungesulla terrazza.

Apre l’involto, ne trae una testa appenaspiccata e mostrandola a Toby ed a Indri,dice loro con un crudele sorriso:

Ora non mi direte piů che questa non siaquella di Sitama. Guardatela!…

— Il fakiro! - esclamarono il cacciatore e

’ex favorito, indietreggiando inorriditi.

L’ho sorpreso nel momento in cui stavaper fuggire e con un buon colpo di

scimitarra l’ho decapitato.

Ma chi vi ha avvertito che quei banditici avevano assediati in questa pagoda? -

chiese Toby.



Le sentinelle dei fortini avevano vedutodacoiti calare dalle montagne e scendereungo il Senar. Avvertitici, mentre noi

perlustravamo l’altipiano, siamo accorsi,sospettando che vi dassero la caccia per riprendervi il Kohinoor. Come vedete,sahěb, non ci eravamo ingannati.

Poi afferrando la testa sanguinante delfakiro, la scagliň giů dalla cupola,dicendo:

— Va’! Tu non sei degno d’aver sepoltura.



CONCLUSIONE

La sconfětta dei dacoiti era statacompleta. La maggior parte erano cadutisotto

e scimitarre e le fucilate dei rajaputi epochissimi erano riusciti a salvarsi nei

boschi.

Onde perň non potessero radunarsi emolestare ancora i possessori delKohinoor, parecchi drapelli di cavalierisi erano messi in caccia, decisi asterminarli

utti.



Toby e Indri ricompensarono largamente

quei valorosi che li avevano sottratti aduna morte sicura, poi alla sera di quellostesso giorno risalivano sull’elefante, ilquale era stato ritrovato poco lontano, in

mezzo ad una macchia di tamarindi.Avevano fretta di attraversare ilGondwana e di giungere a Baroda dovealmeno sapevano di non dover piů correre

pericolo alcuno. Due giorni dopo siarrestavano a Sagar, una delle cittŕ piůsettentrionali del Gondwana, quindi, dopoun riposo brevissimo s’inoltravanoattraverso il Sindhia, passandosuccessivamente per Bilsa, Bhopal eDhar. Tre settimane piů tardi facevano la

oro entrata in Baroda, la capitale dello



Stato del guicowar, il piů ricco ed il piůsplendido principe dell’India occidentaleFu una entrata veramente trionfale, perché

l rajah, avvertito da Bandhara, il qualeaveva preceduto il padrone su un rapidocavallo, aveva mandato incontroall’elefante una turba dei suoi superbi

cavalieri.

La notizia che Indri tornava col Kohinoar si era subito sparsa per la cittŕ e tutta la

popolazione, che aveva nutrita sempre unviva simpatia pel generoso e cavalieresco

La Montagna Di Luce - Salgari Emilio

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