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La Rassegna d'Ischia 4/1997 33 La lunga storia dei BERSAGLIERI I Fanti piumati sono indub- biamente i militari più noti, più amati e più cari alla sensibilità collettiva degli Italiani. Infatti, ogni qual volta, piume al vento e con il loro caratteristico passo di corsa, sfilano per le stra- de cittadine, preceduti dal suono delle loro squillanti fanfare, sempre suscitano una sensazione di intensa gioia e di grande letizia di Vincenzo Cuomo Con la fine dell’Impero napoleonico (1814) e la ricostituzione delle vecchie mo- narchie europee, anche il regno di Sardegna riacquistava la sua indipendenza. Tra i primi impegni del sovrano restaurato, Vittorio Emanuele I (1802-1821), vi fu la creazione di un nuovo Esercito, nel quale si volle che non venissero affatto trascu- rate quelle esperienze accumulate nel corso degli ultimi decenni. Oltre a Corpi di Artiglieria, Cavalleria, Genio e Fanteria, si vollero costituire anche Battaglioni di Cacciatori, in precedenza inesistenti. Essi, comunque, pur effettuando tutte quelle mansioni che erano richieste ad un particolare settore della fanteria leggera, ancora tuttavia non potevano essere considerati una specializzazione nell’accezione più ampia e completa del termine. Ciò, in quanto tali soldati non venivano per niente sottoposti ad uno speciale addestramento, che ne affinasse la preparazione sino a renderli idonei ad assolvere compiti complessi e fuori dall’ordinario. Era così quindi nell’aria il bisogno di creare un Corpo, diverso dagli altri, in grado di operare ad altissima competenza, in campo limitato, con tecniche particolari. A materializzare questa aspirazione provvide allora il Capitano dei Granatieri Guardie, Alessandro Ferrero de La Marmora. Terzogenito di una famiglia di antica nobiltà sabauda era noto, sin dal 1823, per studi sia sull’organizzazione dell’esercito che sull’evoluzione delle armi da fuoco. Dopo un primo tentativo, che però non era riuscito ad andare a felice conclusione, il 18 giugno 1836 vide la sua Proposizione per la formazione di una Compagnia di Bersaglieri e modello di uno schioppo per l’uso loro accettata da re Carlo Alberto (1831-1849). Il reparto prevedeva unicamente tira- tori scelti, nonché militari atti soprattut- to per un impiego su terreni impervi e montagnosi. Inoltre, avrebbero dovuto anche possedere spiccate capacità di ricognizione e tasteggiamento, nonché saper portare a termine una valida azione di copertura. In sintesi, erano soldati idonei per compiti da svolgere in concerto, ma in modo autonomo, con la Fanteria di linea. Truppa in gra- do di mostrarsi impetuosa, irruente e difficilmente individuabile, ma pure di evacuare, in un tempo piuttosto breve,

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La lunga storia dei

BERSAGLIERII Fanti piumati sono indub-biamente i militari più noti, più amati e più cari alla sensibilità collettiva degli Italiani. Infatti, ogni qual volta, piume al vento e con il loro caratteristico passo di corsa, sfilano per le stra-de cittadine, preceduti dal suono delle loro squillanti fanfare, sempre suscitano una sensazione di intensa gioia e di grande letizia

di Vincenzo Cuomo

Con la fine dell’Impero napoleonico (1814) e la ricostituzione delle vecchie mo-narchie europee, anche il regno di Sardegna riacquistava la sua indipendenza. Tra i primi impegni del sovrano restaurato, Vittorio Emanuele I (1802-1821), vi fu la creazione di un nuovo Esercito, nel quale si volle che non venissero affatto trascu-rate quelle esperienze accumulate nel corso degli ultimi decenni. Oltre a Corpi di Artiglieria, Cavalleria, Genio e Fanteria, si vollero costituire anche Battaglioni di Cacciatori, in precedenza inesistenti. Essi, comunque, pur effettuando tutte quelle mansioni che erano richieste ad un particolare settore della fanteria leggera, ancora tuttavia non potevano essere considerati una specializzazione nell’accezione più ampia e completa del termine. Ciò, in quanto tali soldati non venivano per niente sottoposti ad uno speciale addestramento, che ne affinasse la preparazione sino a renderli idonei ad assolvere compiti complessi e fuori dall’ordinario. Era così quindi nell’aria il bisogno di creare un Corpo, diverso dagli altri, in grado di operare ad altissima competenza, in campo limitato, con tecniche particolari. A materializzare questa aspirazione provvide allora il Capitano dei Granatieri Guardie, Alessandro Ferrero de La Marmora. Terzogenito di una famiglia di antica nobiltà sabauda era noto, sin dal 1823, per studi sia sull’organizzazione dell’esercito che sull’evoluzione delle armi da fuoco. Dopo un primo tentativo, che

però non era riuscito ad andare a felice conclusione, il 18 giugno 1836 vide la sua Proposizione per la formazione di una Compagnia di Bersaglieri e modello di uno schioppo per l’uso loro accettata da re Carlo Alberto (1831-1849). Il reparto prevedeva unicamente tira-tori scelti, nonché militari atti soprattut-to per un impiego su terreni impervi e montagnosi. Inoltre, avrebbero dovuto anche possedere spiccate capacità di ricognizione e tasteggiamento, nonché saper portare a termine una valida azione di copertura. In sintesi, erano soldati idonei per compiti da svolgere in concerto, ma in modo autonomo, con la Fanteria di linea. Truppa in gra-do di mostrarsi impetuosa, irruente e difficilmente individuabile, ma pure di evacuare, in un tempo piuttosto breve,

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Foto in alto: Bersaglieri impegnati a respingere il nemicoFoto in basso: Bersaglieri a Creta

una vasta superficie, per poi ritrovarsi e ricomporsi, con i quadri intatti, a molte miglia di distanza. Un reparto tanto diverso non poteva non essere dotato anche di un’idonea e particolare uniforme. Pertanto, il La Marmora diede pure una precisa e com-pleta descrizione del modo in cui questi fanti avrebbero dovuto vestire, nonché del loro armamento ed equipaggiamen-to. Sorprendente novità era un comples-so ed insolito cappello piumato, che non trovava riscontro presso nessun’altra specialità, sia dell’Esercito sabaudo che

delle altre Forze armate europee. Su di esso troneggiava il “piumetto”, che in-dubbiamente è, e resta, il particolare più noto e caratteristico di questi soldati: formato da un ricco e folto quantitativo di penne nere, era fissato ad un lato del copricapo di modo che durante la corsa, agitandosi nel vento, desse un brioso e tangibile segno di slancio, impeto ed ardore. Il successo del nuovo Corpo fu imme-diato, tanto che dalle iniziali due Com-pagnie, nel 1849 si era già giunti alla

consistenza di ben cinque Battaglioni. Ovviamente, anche per gli uomini dei successivi reparti vennero seguiti gli stessi criteri di arruolamento. Si evitò cioè di servirsi di soldati a breve ferma, privilegiando la presenza di professio-nisti. La notorietà, la simpatia e l'apprezza-mento, che nel panorama delle Forze Armate avvolgevano i Bersaglieri, in breve trasmigrarono pure all’interno della struttura civile del Regno sabaudo. Infatti, i Fanti piumati, ovunque giun-gessero, mai mancavano di suscitare un coro di simpatie e consensi. Piacevano per la immagine briosa, il gaio passo di corsa, la vivace e squillante fanfara, nonché per il portamento fiero e mar-ziale. Ma più di ogni altra cosa erano amati per quelle piume sul cappello. Dopo che nel corso della Prima Guerra d’Indipendenza i Bersaglieri si erano distinti al Ponte di Goito (8 aprile 1848), a Pastrengo (30 aprile) ed a Governolo (18 luglio), l’organico continuò a lievi-tare, tanto che all’alba del 1855, oltre ad essere la punta di diamante dell’Armata sarda, allineava oramai undici Batta-glioni. In questa stessa data si ebbe poi il loro impiego in Crimea. Lontana terra russa ove la lungimiranza politica del Cavour aveva voluto inviare un Corpo militare piemontese, affinché al succes-sivo tavolo della pace si potesse discu-tere anche della “Questione italiana”. Ivi, i cinque Battaglioni di formazione si distinsero in varie occasioni, tra cui nel corso della battaglia della Cernaia. Durante questa guerra i Bersaglieri, ol-tre ad arricchirsi di Storia e Tradizione, entrarono pure in possesso dell’altro loro particolare copricapo, che insieme al cappello piumato ancora li contraddi-stingue e li rende unici: il fez. Al ritorno in Piemonte, mancava però Alessandro La Marmora, morto di colera, così come tanti soldati, il 7 luglio 1855. L’impegno dei Bersaglieri in Crimea iniziò a dare i suoi frutti nel 1859, al-lorquando il Cavour riuscì a stipulare un’alleanza tra il piccolo Regno di Sardegna ed il potente Impero di Na-poleone III, a danno dell’Austria. Nel momento in cui l’Esercito francese giunse in Italia a tutela dei confini del Piemonte, minacciati dalle Divisioni asburgiche, l’Armata sarda fu ben fe-lice di sostenere la lotta. I Bersaglieri presero così parte a quasi tutti i prin-

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cipali combattimenti, tra cui Palestro (30 maggio) e Magenta (4 giugno). La campagna si concluderà poi con le battaglie di Solferino e San Martino (24 giugno). Scontri decisivi ove questa volta i Battaglioni piumati impiegati furono addirittura otto sui dieci che in tale giorno risultavano essere presenti in zona. Nel 1860, dopo che con l’acquisizione della Lombardia e di larghe fasce dell’I-talia centrale, il Regno sabaudo aveva ingrandito i confini e l’organico del suo Esercito (i Fez cremisi avevano intanto raggiunto la consistenza di ventisette Battaglioni), si ebbe l’impresa dei Mille. In appoggio alle Camicie Rosse di Ga-ribaldi, dal Nord fu fatta partire un’Ar-mata sarda al comando del Generale Cialdini. Tale formazione, che si ispi-rava alle più recenti esperienze militari, quale elemento di punta contava dodici Battaglioni di Bersaglieri. La campagna fu un vero e proprio trionfo per questo Corpo, che mai mancò di porsi in luce, come durante la conquista di Pesaro (12 settembre), la liberazione di Perugia (14 settembre), la presa di Spoleto (17 settembre) e le battaglie di Castelfidardo

(18 settembre) ed Ancona (29 settem-bre). Varcato il confine dell’ex Regno delle Due Sicilie sul Colle di Macerone (20 ottobre) i Fanti di La Marmora col-sero un nuovo successo. La spedizione si concluderà poi con l’assedio di Gaeta, ove ancora una volta rifulse il valore dei Fanti piumati. Realizzata così finalmente la tanto auspicata unità d’Italia, i Bersaglieri, oramai non più Corpo dell’Armata sarda bensì dell’Esercito Italiano, nel 1862, guidati dal Colonnello Pallavicini, furono costretti a sbarrare il passo ad una formazione di volontari guidata da Garibaldi e diretta a liberare il Lazio e la città di Roma. Lo scontro, grazie alla maturità dei capi e dei componenti dei due schieramenti, si concluse con pochi danni, anche se con molta afflizione da ambo le parti. La Penisola era appena stata unifica-ta, che nel panorama politico e sociale del Mezzogiorno, faceva prorompente ingresso un nuovo arduo e gravoso pro-blema: il Brigantaggio. La lotta, che in alcuni momenti sembrò diventare una vera e propria guerra civile, durò ben cinque anni e coinvolse intere regioni.

Sin dai primi sussulti fu creduto oppor-tuno farne contrastare l’insorgenza dai Fez cremisi. Ciò, in quanto tali truppe, grazie alla speciale preparazione ricevu-ta, apparivano le più idonee per fronteg-giare un avversario astuto guerrigliero più che valente soldato. Nel 1866 Vittorio Emanuele II ed i liberali del suo governo, nel superiore intento di acquisire al giovane Regno d’Italia anche le restanti regioni al di qua delle Alpi, accolsero una proposta di alleanza militare fatta loro dal Can-celliere prussiano Bismarck. La guerra che ne seguì, a causa di forti dissidi tra i comandi, si concluse con la nostra duplice sconfitta a Custoza (24 giugno 1866) e Lissa (20 luglio 1866). Il Veneto però, grazie alla vittoria dei nostri alleati a Sadowa, riuscimmo ugualmente ad ottenerlo. L’episodio più noto dell’intera campagna fu il cosiddetto “Quadrilatero di Villafranca”. Ivi, i Fanti piumati, che intanto avevano raggiunto la consisten-za di cinquanta Battaglioni, fedeli al loro modo di combattere, invece di andarsi a rinchiudere nel quadrato delle Fanterie, voluto per meglio resistere all’impeto della Cavalleria nemica, si frapposero tra i due schieramenti. Alternando un

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preciso tiro a distanza ravvicinata con veloci attacchi alla baionetta, riuscirono così a frantumare la veemenza della possente carica. Oltre a questo scontro, per tutta la durata del conflitto, sempre comunque i Figli di La Marmora si bat-terono con determinazione e coraggio. Furono infatti essi ad aprire il passo alla Fanteria di linea, nonché a proteggere il ripiegamento dei reparti sconfitti. Disfatto l’Impero di Napoleone III a Sedan (1 settembre 1870), guardingo garante dello Stato pontificio, il Gover-no sabaudo, volendo che anche Roma divenisse italiana, decretò subito un intervento militare. Il Corpo di spedizione, che superò i confini del Lazio, nell’organico aveva pure diciassette Battaglioni piumati. Fuori le mura di Roma, non appena l’Ar-tiglieria ebbe aperto una breccia accanto a Por-ta Pia, i Bersaglieri del 12° Battaglione, a cui si unirono, piume al ven-to, anche quelli del 34°, furono solleciti a partire, con l’impeto veemente del loro passo veloce, nel passaggio appena creato. In seguito a questi primi scontri, non volendo ulte-riori morti, nonché nella certezza dell’inutilità di qualunque altro tentativo di resistenza, Pio IX or-dinò così la resa delle sue truppe. I Fanti piumati, al suono della tromba che annunciava il cessate il fuoco, si lanciarono allora in una festosa corsa verso il cuore della città, percor-rendo quella strada che oggi, a perenne memoria di tale avvenimento, porta per l’appunto il nome di XX Settembre. Dopo che nel 1871 vi era stata la cre-azione dei Reggimenti, a fine secolo ebbe inizio il cammino coloniale degli italiani (1882). Il primo Corpo di spe-dizione che sbarcò ad Assab era com-posto quasi unicamente da Bersaglieri. Aumentato sempre più in relazione a successivi eventi, un primo vero scontro con le forze locali si ebbe a Dogali (26 gennaio 1887). Ivi, nonostante la dura

sconfitta, i Fanti piumati scrissero però ugualmente una indelebile pagina di puro eroismo. Con l’arrivo di ulteriori Battaglioni dei Figli di La Marmora, la realtà fece presto a ristabilizzarsi, tanto che il 1° gennaio 1890 fu anche possibile decretare ufficialmente la nascita della colonia Eritrea. Ricevuta con Crispi nuova linfa la volontà di allargare i confini africani, il nostro esercito subì però da parte degli Abissini delle nuo-

grante di un Corpo militare. Ivi, molto contribuirono a svolgere un’azione di tutela delle popolazioni locali, nonché di vera e propria lotta armata contro i turchi. Nel 1900 poi, un Battaglione piumato di formazione venne inserito in un’altra unità internazionale di soccorso inviata questa volta in Cina. Territorio ove questo contingente si comportò con onore, tanto che fu l’unico contro il quale non venne mossa alcuna critica.

Tali militari, infatti, mai rubarono, mai abusarono delle persone e dei loro beni e mai si macchiarono di crimini contro l’Umani-tà. Sempre seppero essere Uomini e Soldati. Nei primi anni del nuo-vo secolo non è errato affermare che i Fanti piu-mati vissero una vera e propria epopea di gloria. Erano amati sia dal nuovo sovrano Vittorio Emanue-le III (1900- 1946) che dal più umile dei cittadini. Pertanto, ogni qual volta, baldi ed audaci, sfilavano per le vie di una città, accompagnati dalle loro squillanti fanfare, sempre facevano scattare la molla della simpatia e del calore. A suscitare tanti consensi di sicuro contribuì anche quell’aiuto, generoso e disinteressato, tante volte recato alle popolazioni civili colpite da calamità naturali. Dopo che molti reparti dei Figli di La Marmora erano stati forniti di un

nuovo entusiasmante mezzo di locomo-zione: la bicicletta, nell’ottobre del 1911 un Corpo di spedizione italiano sbar-cava in Tripolitania. Scopo dell’azione era sottrarre tale territorio e l’accosta Cirenaica alla sovranità del decadente Impero turco di Costantinopoli. Nel rag-gruppamento, oltre alle tante unità delle varie Armi, erano presenti pure l’8°, l’11° ed il 4° Reggimento Bersaglieri. Sul posto, una serie di battaglie favorevoli consentirono nel giro di qualche anno di acquisire il possesso dell’intera su-perficie. Gli scontri ove maggiormente rifulse il valore piumato furono quelli

ve sconfitte: Amba Alagi (7 dicembre 1895), Macallè (gennaio 1896) e Adua (1 marzo 1896). Località quest’ultima ove quattro Brigate, formate per la maggior parte da Fez cremisi, vennero disfatte da un immenso numero di nemici. In bre-ve, tuttavia, sempre grazie al valore dei nostri Bersaglieri e di alcuni prestigiosi Ufficiali, tra cui Marcello Prestinari, la situazione si riequilibrò con grandi spazi di territorio nuovamente assegnati all'Italia. Nel prosieguo del loro essere attivi sullo scacchiere internazionale, nel 1897 furono a Creta, quale parte inte-

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di Lebda (2 maggio 1912), Sidi Said (14 luglio), Due Palme (12 marzo) e Ham-magi. In merito alla presenza di questa nostra Specialità militare in Africa, non va dimenticato che tanto risultarono impegnati anche nel campo della civi-lizzazione di quelle terre. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale tra le iniziali azioni di un certo rilievo che vide protagonisti i Fez cremisi vi fu la battaglia sul Monte Mrzli (giugno ’15). Con il passare dei mesi, nel momento in cui la lotta si trasfor-mò in una dura permanenza in scavi di terra, fortificazioni e camminamenti, lo spirito dei Bersaglieri fatto di velocità, impeto e movimen-to, ne venne molto a soffrire. Comunque, nonostante ciò, sem-pre stettero in prima linea ogni qual volta era comandato un attacco contro gli austriaci. Pertanto, durante le lunghe e dure battaglie dell’I-sonzo, combattero-no con tale costante valore, sino a susci-tare ammirazione finanche tra le stesse file avversarie. Par-lando dei Figli di La Marmora presenti in questa guerra una citazione a parte me-rita la sublime figura di Enrico Toti. Incu-rante del fatto che era privo di una gam-ba, ugualmente volle essere mandato al fronte. Colpito dalla fucileria nemica (16 agosto 1916), prima di morire, con un gesto di estremo disprezzo, scagliò la gruccia contro il nemico. Il getto di quella stampella, entra to nella storia con lui, è poi divenuto il simbolo del riscatto morale di un intero popolo, anelante a liberarsi di una pesante e condizionante servitù straniera. Respinta, grazie anche al valore dei Bersaglieri, la “Strafexpedition”, l’of-fensiva italiana riprese con la conquista del Monte San Michele e del caposaldo del Sabotino sino al Podgora (agosto 1916). L’abnegazione e l’eroismo dei Fanti piumati in queste battaglie che condussero pure alla liberazione di Go-rizia fu veramente notevole, tanto che

gli austro-ungarici iniziarono a temerli sino ad appuntare soprattutto contro di loro la propria azione di fuoco. Di conseguenza, per cercare di proteggerli da tale rabbia, per un lungo periodo di tempo, fu loro imposto di andare all’assalto senza il tradizionale piumetto sull’elmo. Dopo mesi di alterne vicende, nell’ottobre del 1917 il nostro fronte venne sfondato a Caporetto. Nei giorni che seguirono i Fanti di La Marmora stettero costantemente in lotta contro gli avversari nell’intento di ritardarne l’avanzata. L’impegno della 1a e della 5a

Brigata salvò così da sicura distruzione grosse unità del nostro Esercito. E di

sicuro non è errato affermare che se le Forze italiane riuscirono ad attestarsi sul Piave, senza dover arretrare ancora di più, gran merito va a questi soldati piumati che a prezzo di un alto contri-buto di sangue riuscirono a contenere il procedere delle Divisioni asburgiche. Dopo la creazione degli Arditi, la cui componente proveniente dai Bersaglieri prese il nome di “Fiamme Cremisi”, i Fanti piumati continuarono a battersi con valore e successo, come a Fagarè (dicembre 1917). Località ove, pur di cogliere la vittoria, lasciarono sul ter-reno oltre seicento morti. Iniziata la riscossa delle Armi italia-ne, destinata a condurre al trionfo di Vittorio Veneto, i Figli di La Marmora molto contribuirono a questo successo finale. Successo che doveva concludersi

con il completamento della nostra unità nazionale, per la quale tanti soldati, Fez cremisi in testa, avevano sofferto, lottato e dato la loro giovane vita. Superato un momento di crisi, du-rante il quale si era giunto finanche a paventare lo scioglimento del Corpo, in Italia si ebbe l’avvento del Fascismo. Nel corso di questo particolare venten-nio i Bersaglieri si arricchirono di una nuova specialità: i motociclisti. Nel 1935 alcune unità piumate furono presenti in Etiopia, nel corso di quella campagna destinata a concludersi con la creazione dell’Impero Italiano in Africa orienta-le. Dopo la partecipazione alla guerra

civile spagnola, nel 1939, alcuni reparti risultarono operan-ti pure in Albania per la programma-ta conquista di quel Regno. Iniziato il Secondo Conflitto mondiale, il Cor-po dei Bersaglieri risultava presen-te all’interno del nostro panorama militare con i suoi oramai tradizionali dodici Reggimenti, suddivisi in Batta-glioni autoportati e ciclisti. Ad essi era-no poi da affiancare pure Compagnie di motociclisti, non-ché unità dotate di

mortai e cannoni. Alcuni Reggimenti, durante gli anni dell’ostilità, verranno altresì dotati di mezzi corazzati. Dopo i brevi combattimenti sulle Alpi contro la Francia, ove ebbero modo di distin-guersi il 4° ed il 9°, il 28 ottobre 1940 iniziò l’attacco contro la Grecia. A sot-tomettere tale paese balcanico, durante una campagna iniziata, contrariamente a qualunque saggio principio strategico, ad inizio della stagione invernale, ven-nero inviati anche il 1°, il 2°, il 4° ed il 5° Reggimento cremisi. Superato il confine, l’avanzata, carat-terizzata dai reparti piumati in avan-guardia, fu però fermata a Kalibaki, nonostante un incisivo intervento del 2° Reggimento. Con l'inizio della controf-fensiva, i Bersaglieri, volendo evitare che le nostre Armate fossero ricacciate

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indietro, compirono allora veri e propri prodigi di valore. La marcia nemica non riuscirono comunque ad arginarla, anche se il loro intervento fu in grado di contenere i danni in attesa della ripresa da parte delle unità italiane. Ripresa sorretta dall’arrivo di una Forza tedesca, la quale, prima di giungere in Grecia, compì pure una rapida occupazione della Jugoslavia. Nuovo fronte dei com-battimenti sul quale non mancarono di dare il loro contributo anche i Fez cremisi. Nei primi mesi del 1941, nonostante alcuni iniziali successi, la fosca previ-sione circa la difficile difesa del nostro Impero appariva completamente con-fermata. Difatti era impossibile sperare che le truppe ivi stanziate potessero da sole fronteggiare un avversario meglio equipaggiato, quasi completamente motorizzato ed in grado di ricevere con-tinui e costanti aiuti dai paesi limitrofi, nonché in possesso di un ben più fornito parco di velivoli aerei. Iniziato l’attacco britannico, gran parte delle Forze ita-liane andarono ad attestarsi a Cheren. Zona ove i nostri soldati fronteggiarono ininterrottamente gli avversari dal 3 febbraio al 27 marzo, data in cui furono costretti ad arrendersi. Di conseguenza anche le tante località oltre i confini che i Fez cremisi erano riusciti a conqui-stare vennero perdute. Infine, con la resa dell’ultima posizione difensiva su l’Amba Alagi (18 maggio), con le truppe britanniche che rendevano l’onore delle armi ai vinti, era l’intera guerra che ave-va termine in quel lontano scacchiere. Nell’infuocato deserto libico la lotta ebbe uno svolgimento molto più lungo ed articolato. Su quest'area un nostro primo tentativo di raggiungere Il Cairo fu fermato da una controffensiva britan-nica (19 dicembre 1940). Travolgente avanzata che in poco tempo portò gli inglesi ad occupare Bardia e Tobruk. Nel desiderio di porre fine a questa fase così negativa per le Armi italiane, oltre ad altre unità, tra cui l’8° ed il 7° piumato, vennero fatte giungere di rinforzo anche alcune Divisioni tedesche, al comando del generale Rommel. Ripresa la mar-cia verso l’Egitto su tre colonne celeri (3 marzo 1941), ove in ognuna erano presenti reparti di Bersaglieri, dopo una lunga corsa le truppe dell’Asse riguada-gnarono quel territorio in precedenza perduto dagli italiani.

Nel momento in cui l’Esercito italo-te-desco iniziò ad arretrare a causa di una potente controffensiva britannica (18 novembre 1941), si registrò allora l’epi-sodio della disperata eroica difesa di Bir el Gobi, attuata da alcuni Battaglioni di Giovani Fascisti, unitamente a forma-zioni piumate. Non appena, tuttavia, lo slancio nemico iniziò a dare segni di affievolimento, il Generale tedesco fu sollecito ad ordinare una nuova avan-zata (21 gennaio 1942). Nelle colonne marcianti vennero inquadrati pure l’8° ed il 9° Reggimento Fez cremisi, mentre a Tripoli, tra i rinforzi provenienti dalla madrepatria, giungeva altresì il 12° Reggimento. In seguito a tali eventi loro sfavorevoli, gli inglesi andarono allora a trincerarsi in una linea fortificata co-struita tra Ain el Gazala e Bir Hacheim. Al fine di annientarla l’8° Reggimento ebbe l’incarico di aggirarla dal sud. Operazione che, grazie anche all’aiuto di una Divisione germanica, si concluse felicemente. Sfruttando il momento favorevole, Rommel sferrò un attacco pure contro la piazzaforte di Tobruk, che ancora resisteva. Alla sua quasi immediata resa (21 giugno) presero parte anche i Fanti piumati, che furono tra l’altro i primi soldati dell’Asse a porre piede nell’abitato. Dopo un nuovo scontro a Marsa Matruk, oltre il confine egiziano, i britannici si attestarono ad El Alamein, ove gli italo-tedeschi subirono una bat-tuta di arresto, nonostante l’impegno del 7°, 8° e 9° Reggimento Bersaglieri. La travolgente cavalcata attraverso il deserto era definitivamente terminata! Dopo alcuni mesi di relativa stasi, il 23

ottobre 1942, la ricostituita 8a Armata britannica si metteva in movimento. Iniziava così l’ultima “oscillazione” di questi due eserciti, destinata a conclu-dersi con la definitiva sconfitta dell’As-se. Nel corso dei combattimenti a nulla servì comunque l’audacia dei Figli di La Marmora che compirono dei veri e pro-pri prodigi di valore. Come allorquando, scattando veloci da quelle buche, che avevano predisposto nella sabbia, si lan-ciavano, armati unicamente di bombe a mano e bottiglie incendiarie, contro i carri armati nemici. Nonostante il suc-cessivo arrivo del 5° Reggimento e del Generale piumato Giovanni Messe, la campagna si concludeva in Tunisia (13 maggio 1943) con la resa delle truppe italo-germaniche. Sul fronte russo, tra i Corpi inviati dall’Italia per sostenere lo sforzo bellico dei tedeschi, vi fu anche il 3° Reggimen-to Bersaglieri, al comando di un uomo il cui nome sa di leggenda: Aminto Caretto. Dopo un primo scontro con il nemico nella cosiddetta Battaglia dei Due Fiumi (30 luglio-12 agosto 1941), l’unità iniziò quella lunga marcia desti-nata a concludersi sulle rive del Don. La penetrazione nel territorio sovietico fu irta di difficoltà logistiche, ma pure e soprattutto di disagi causati da neve, gelo ed una temperatura molto rigida. Non solo, in quanto si ebbero anche momenti altamente drammatici, come la perdita del Cappellano militare Don Giovanni Mazzoni (Natale ’41) e la mor-te dello stesso comandante, avvenuta nell’agosto del 1942.In seguito ai duri combattimenti dei primi mesi del 1942, dall’Italia giun-

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geva di rincalzo pure il 6° Reggimento piumato. Subito inviato in prima linea, versò così anch’esso copiosamente il sangue dei suoi uomini. Dopo l’ingran-dimento del contingente, che da CSIR diveniva ARMIR, nel dicembre del ’42, con quella che è passata alla storia come la seconda battaglia del Don, iniziava il ripiegamento delle nostre truppe. Fu allora chiesto ai Fez cremisi di proteg-gere le grandi formazioni in ritirata e nel contempo cercare di ritardare il più possibile l’avanzata nemica. Entrambi i Reggimenti, a perenne ricordo di un puro eroismo, non contaminato da si-stemi ideologici o riferimenti politici, si impegnarono in tale operazione sino al loro totale annientamento (21 dicembre 1942). Con la cattura dei resti dell’AR-MIR, la campagna di Russia usciva dalla realtà per entrare nella Storia. Dopo uno sbarco di truppe alleate in Sicilia, che in breve occupò l’intera isola (luglio ’43) ed il crollo del regime fascista (25 luglio 1943), l’Italia, dopo un’ulteriore avanzata degli angloame-ricani, venne a trovarsi divisa in due tronconi, il cui confine coincideva con la linea fortificata di Cassino. Mentre nel Nord la Repubblica Sociale si ar-ricchiva anch’essa di alcuni Battaglioni piumati, nel Sud il nuovo governo, pre-sieduto da Badoglio, fu autorizzato dal Comando militare alleato a costituire un raggruppamento che cooperasse al riscatto del resto della Penisola. Tra le tante specialità risultò così presente pure il 51° Battaglione Bersaglieri, com-posto interamente da volontari. Questo reparto a Monte Lungo (8 dicembre) ebbe occasione di porsi prepotentemen-te in luce nella lotta contro i tedeschi. L’azione costò un gran numero di morti e feriti. Tuttavia, tutti seppero e vollero combattere con coraggio ed onore a tu-tela di quei perenni ideali di Giustizia e Libertà, ma anche a difesa della propria Patria oltraggiata dal furore teutonico. Tale Corpo di Liberazione, ingranditosi sempre più, continuò poi a sostenere ininterrottamente gli Alleati, sino alla totale liberazione della Penisola.

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Terminata l’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale, fornace di fuoco e fiamme nella quale avevano trovato la morte circa cinquanta milio-

ni di individui, in Italia, con il ritorno della pace, oltre alla rinascita politica si ebbe anche quella militare. Dalle sue ceneri risorgeva così una nuova Forza Armata, che si ispirava unicamente a principi di difesa della Libertà, della Democrazia e della Dignità dell’Uomo. Pure i Bersaglieri, cessati i combatti-menti, iniziarono, tra rinnovamento e costante fedeltà ai loro ideali di sempre, a svolgere compiti di salvaguardia e rap-presentanza dell’attuale Civiltà, nonché di amalgama tra Esercito e Nazione, ma anche di assistenza alla popolazione civile ogni qual volta una sciagura o una calamità naturale giungeva ad arrecare loro danno. Uno dei primi rilevanti interventi in tal senso fu il soccorso dato agli abitanti del Polesine (1951) minacciati da una disastrosa alluvione. Il 26 ottobre 1954 ai Fanti piumati venne concesso di vivere un momento particolarmente solenne. Furono infatti i primi soldati italiani ad entrare nella città di Trieste, nuovamente restituita alla nostra Nazione. A Longarone poi, nell’ottobre del 1963, in occasione di una valanga d’acqua che, superata una diga, si era abbattuta sull’abitato, rifulse nuovamente la loro formazione filantro-pica. Dopo l’aiuto recato a Firenze pro-strata da un’improvvisa piena dell’Arno (1966), nel corso del 1975, in seguito ad un nuovo criterio di utilizzo dei repar-ti, tutti i Reggimenti vennero sciolti. I Battaglioni, che restarono l’unità base di impiego, diventarono così essi i custodi della Bandiera e delle Tradizioni dello scomparso Reggimento. Nel prosieguo dell’attività umanitaria, i Bersaglieri, nel maggio del 1976, furono in prima fila a portare soccorso agli abitanti del Friuli annientati da un violento terre-moto. Infine, non va dimenticato che nel novembre del 1980, vennero nuo-vamente mobilitati per recarsi in alcune regioni dell’Italia meridionale anch’esse sconvolte da un catastrofico sisma. I Fanti piumati, grazie a preparazio-ne, addestramento e cultura militare, negli ultimi anni sono stati presenti, quale forza ONU, in molti Paesi, ove feroci guerre civili erano intervenute a turbare il tranquillo svolgimento della vita quotidiana. Dal 1982 al 1984 in Li-bano hanno così costituito una rilevante unità operativa a favore della pace, assolvendo al delicato compito con competenza e professionalità. Anche

in Somalia (Operazioni IBIS 1992-94), ove la popolazione era divenuta vittima di una nuova categoria di “Signori della Guerra”, hanno agito con dedizione, coraggio ed abnegazione, dando nel contempo pure un notevole contributo di vite umane. Ivi, terminata la missio-ne, come del resto già tante altre volte era accaduto nel corso della loro lunga storia, nulla chiesero quale ricompensa per tanto sacrificio. Le grandi tradizioni di civiltà, onestà e lealtà, presenti nel loro animo, ancora una volta avevano consentito di operare con disinteresse, spirito filantropico ed amore per il pros-simo. Intanto, in Italia, a causa di una particolare situazione che era venuta a determinarsi, grandi reparti militari furono destinati a svolgere compiti di sorveglianza e controllo sul territorio. Ciò, non isolatamente, bensì in concorso con la Forze dell’Ordine, soprattutto al fine di prevenire e reprimere qualun-que tipo di reato. Ovviamente, anche i Bersaglieri vennero chiamati a dare il loro contributo. Il primo intervento in tal senso fu la partecipazione ai “Vespri Siciliani”. Alla vasta attività di servizio era stato dato tale nome in riferimento a quella rivolta che nel 1228 i siciliani avevano attuato contro la prepotenza e l’arroganza dei soldati francesi di Car-lo I d’Angiò. L’auspicio, ovviamente, era cercare di coinvolgere, soprattutto spiritualmente, tutta la popolazione a sostenere l’Esercito contro dei nuovi nemici, questa volta non più invasori, bensì criminali mafiosi usciti dalle stes-se fila degli abitanti dell’isola, ma certo non per questo meno insidiosi e violenti. La presenza di uomini e mezzi delle nostre Forze Armate intervenne così a mutare la realtà ambientale di un’intera regione, facendo sentire ai siciliani forte e prorompente la presenza dello Stato, delle sue Leggi e delle sue Istituzioni. Sul posto i Fanti piumati mostrarono un consapevole senso di responsabilità, nella convinzione di essere stati chiama-ti a svolgere una missione socialmente utile. Durante il periodo in cui stettero impe-gnati ad adempiere tale mansione, i Ber-saglieri vennero impiegati a proteggere costruzioni, semplici simboli di libertà, tradizione, civiltà e progresso, immagini profondamente odiate da un certo tipo di criminalità. Il loro contributo non si

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esaurì certo qui, in quanto effettuarono anche moltissimi posti di blocco, blitz e rastrellamenti, in campagna, boschi ed abitati. Inoltre, isolarono pure aree su cui era segnalata la presenza di latitanti e fronteggiarono episodi di microdelinquen-za. Nel momento in cui conclusero il ciclo, unanime fu il plauso, non solo da parte delle Autorità, ma an-che di semplici cittadini, per il rigore, lo zelo e la serietà con cui avevano svolto l’incarico. In merito, non possiamo non rilevare altresì che con tale operazione l’Esercito si avviava a grandi passi sulla strada di una radicale trasformazione delle sue funzioni storiche. Non più quindi solo difesa dell’indipendenza e della sovranità del Paese da un proba-bile nemico esterno, ma pure tutela dei cittadini da un non meno devastante pericolo interno, causato da una feroce criminalità, organizzata e non. A metà del 1993, in tutta l’Italia eb-bero luogo le significative e suggestive cerimonie di ricostituzione di quei Reg-gimenti, che tanto avevano significato e rappresentato all’interno del cammino nel tempo del Corpo dei Fanti piumati. Tale ricostituzione, voluta al fine di dare un migliore assetto a tutti i reparti operativi, non coinvolse tuttavia solo le unità cremisi, in quanto pure gran parte degli altri contingenti delle Forze Armate ne vennero beneficiati. Essa non comportò però alcun aumento dell’orga-nico, in quanto, a differenza di ciò che era accaduto in passato, i Reggimenti questa volta risultarono articolati uni-camente su un Battaglione. Comunque, l’aspetto più importante della questio-ne, al di là di quella tecnica, fu l’aver voluto dar seguito ad una Storia ed una Tradizione che, momentaneamente interrotte, ritornavano ora prepotente-mente ad imporsi all’attenzione di tutti ed a costituire per i soldati uno stimolo a dare il meglio di sé nel ricordo di un passato glorioso. Sempre nel superiore intento di con-trastare una criminalità organizzata ed onnipresente, nel corso del 1994 si sono avute nuove operazioni di ordine pub-blico, denominate “Riace 1” e “Riace 2”. I Bersaglieri hanno così compiuto azioni ad ampio raggio, come allorquando se-tacciarono gran parte dell’Aspromonte. Intervento che permise, tra l’altro, il sequestro di armi con matricola abrasa e relative munizioni. Inoltre, vennero

anche individuate vaste estensioni coltivate a canapa indiana, che subito furono distrutte dai militari. Per il resto il servizio non si discostò molto dai pre-cedenti. Pertanto, vennero così eseguiti posti di blocco, controlli di zone abitate, di boschi, campi, grotte e cunicoli che consentirono, oltre alla scoperta di covi di latitanti, pure il ritrovamento di bino-coli a grande potenza e radio portatili. Materiale sempre giudicato di rilevante importanza ai fini dell’attività investiga-tiva da parte dell’autorità giudiziaria. Dal dopoguerra ai giorni nostri, non solo le unità da combattimento hanno rappresentato in Italia o all’estero que-sto prestigioso Corpo, ma anche le tante Fanfare. Le quali, all’apparire in piazze, stadi o arene, sempre hanno suscitato quell’entusiasmo e consenso che co-stantemente le ha accompagnate sin dai lontani giorni della loro creazione. Ciò, sia durante semplici rappresentazioni, che in occasione di importanti manife-stazioni e festival internazionali. La no-torietà acquisita e la bravura dimostrata nel corso di perfette esecuzioni, nel 1969 consentirono allora alla Fanfara del 3° Reggimento di potersi esibire pure alla presenza della Regina di Inghilterra. L’ingresso a passo di corsa, le squillanti note ed il suono forte e preciso, manda-rono in visibilio i presenti. L’entusiasmo contagiò poi la stessa sovrana, la quale al termine dello spettacolo espresse il desiderio di conoscere di persona i com-ponenti piumati di tale straordinario complesso. Le dimostrazioni all’estero non si racchiudono però solo in questa, in quanto nel corso degli anni, tali corpi strumentali sono stati presenti fuori dai confini anche moltissime altre volte,

con un ritmo incalzante, in proporzione alla loro aumentata notorietà. L’ottimo livello raggiunto è stato possibile veri-ficarlo nel 1970 in Olanda, allorquando al “Taptoe”, l’unica rappresentanza stra-niera a cui venne concesso di potersi esibire, fu l’oramai ben nota Fanfara del 3° Reggimento. L’impegno umanitario dei Fanti piu-mati, fuori dai confini nazionali, si è poi materializzato nuovamente alla fine del 1995, allorquando l’8° Reggimento, raf-forzato da aliquote tratte sia dal 7° che dal 18°, è stato fatto giungere a Sarajevo. Sul posto i Bersaglieri, al comando del generale Pedone, hanno fatto parte di un contingente internazionale di soc-corso (IFOR), ivi inviato da una volontà politica superiore, al fine di tutelare la dignità e la vita stessa di una popolazio-ne civile martoriata da un’interminabile guerra civile. Oggi il Corpo dei Bersaglieri è una struttura complessa e ben amalgama-ta nel panorama delle Forze Armate italiane. Altamente addestrato ed in possesso di una rara professionalità, appare quindi militarmente idoneo per ogni tipo di impiego. Esso è però anche un chiaro punto di riferimento per la nostra passata storia, simbolo di devozione alla Patria, garanzia di tutela per le nostre tradizioni, nonché severo custode di quel cammino risorgimentale voluto dai nostri Padri. I Fanti piumati sono tuttavia pure la certezza del rispet-to delle Istituzioni democratiche, della dignità dell’Uomo e della sacralità della vita. Ciò, non solo in Italia, ma anche e soprattutto durante i loro interventi fuori dai confini nazionali.

Vincenzo Cuomo