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XIV legislatura Documentazione per le Delegazioni presso Assemblee internazionali LA LOTTA AL TERRORISMO DOPO L'11 SETTEMBRE Principali iniziative degli USA e dell'UE Prospettive per la cooperazione transatlantica A cura di Riccardo Alcaro dell'Istituto Affari Internazionali Contributi di Istituti di ricerca specializzati Gennaio 2005

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XIV legislatura

Documentazione per le Delegazioni presso Assemblee internazionali

LA LOTTA AL TERRORISMO DOPO L'11 SETTEMBRE

Principali iniziative degli USA e dell'UE Prospettive per la cooperazione transatlantica

A cura di Riccardo Alcaro dell'Istituto Affari Internazionali

Contributi di Istituti di ricerca specializzati

Gennaio 2005

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Documentazione per le Delegazioni presso Assemblee internazionali

LA LOTTA AL TERRORISMO DOPO L'11 SETTEMBRE

Principali iniziative degli USA e dell'UE Prospettive per la cooperazione transatlantica

A cura di Riccardo Alcaro dell'Istituto Affari Internazionali

Contributi di Istituti di ricerca specializzati

Gennaio 2005

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La lotta al terrorismo dopo l’11 settembre: principali iniziative degli Usa e dell’Ue e prospettive per la

cooperazione transatlantica

Di Riccardo Alcaro, Istituto Affari Internazionali

Sommario 1. Introduzione

2. Caratteristiche distintive del nuovo terrorismo internazionale

3. Le priorità degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nella lotta al terrorismo

- Gli Stati Uniti

- L’Unione Europea

4. Principali iniziative adottate dagli Usa e dall’Ue

- Gli Stati Uniti

- L’Unione Europea

5. L’impegno comune e le iniziative congiunte

- Cooperazione giudiziaria e di polizia

- Scambio di informazioni e protezione della privacy

- Sicurezza dei trasporti e delle relative infrastrutture

- Ruolo delle organizzazioni internazionali e dei paesi terzi

- Difficoltà della cooperazione

6. Approcci strategici diversi

7. Conclusione

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1. Introduzione Da più di tre anni il terrorismo internazionale occupa il primo posto nelle agende di sicurezza degli Stati Uniti e dei paesi membri dell’Unione Europea. Si tratta di un tipo di terrorismo in grado di alimentare una perdurante e onnipresente minaccia di carattere distruttivo. Infatti, il suo spazio d’azione è potenzialmente illimitato e la misura della sua efficacia dipende in larga parte dalla misura dei danni che è in grado di provocare – tanto più grandi questi ultimi, tanto maggiore la prima. Inoltre, non avendo una struttura operativa gerarchica, risulta più impermeabile ad alcune tecniche anti-terroristiche tradizionali (come, per es., l’infiltrazione). Per questa stessa ragione, ha una capacità rigenerativa estremamente sviluppata.

Una minaccia di questo tipo richiede strumenti di contrasto appropriati. Fra questi è di cruciale importanza la cooperazione tra le autorità politiche, giudiziarie e di investigazione dei diversi paesi. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea – sebbene quest’ultima in modo difforme a seconda degli Stati membri – dispongono di notevoli risorse umane, finanziarie e tecnologiche per imbastire strategie di prevenzione e repressione e da tempo hanno cominciato a collaborare nelle attività di contro-terrorismo. Nonostante si basi essenzialmente su dichiarazioni e accordi che in larga parte devono ancora essere applicati, la cooperazione euro-americana nella lotta al terrorismo è giudicata un successo dalla maggioranza degli esperti.

Lo scopo di questo approfondimento è fare il punto sullo stato corrente delle principali iniziative anti-terroristiche adottate dagli Usa e dall’Ue e della loro cooperazione. Dopo avere dato una rapida caratterizzazione del terrorismo internazionale, si passano in rassegna gli aspetti seguenti: le priorità individuate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea; le misure interne più significative; le iniziative congiunte e le relative difficoltà; il coinvolgimento di attori terzi (Stati o organizzazioni internazionali); gli ostacoli di carattere strutturale (problemi tecnico-giuridici o pratici) e politico (differenti approcci strategici). Segue in ultimo una breve conclusione.

2. Caratteristiche distintive del nuovo terrorismo internazionale Il diritto internazionale non fornisce una definizione univoca ed universalmente accettata di terrorismo. Ciò non deve stupire, perché la fluidità costituisce uno degli elementi di forza del fenomeno terroristico internazionale. Naturalmente alcuni Stati hanno formulato una loro definizione. Gli Stati Uniti definiscono “terrorismo” ogni violenza motivata politicamente e praticata contro bersagli non combattenti da parte di gruppi sub-nazionali o agenti clandestini. Un “gruppo terroristico” è un gruppo che pratica attività terroristiche o che contiene sottogruppi che le praticano. Se l’azione violenta coinvolge i cittadini o la proprietà di più di un paese, allora si tratta di “terrorismo internazionale”. Questa definizione non contempla la possibilità di azioni terroristiche compiute da un singolo uomo (il c.d. “lupo solitario”) ed è pertanto insufficiente. Inoltre non è sempre convergente con le opinioni prevalenti in altri paesi.

L’alternativa dell’Ue è contenuta in una Decisione quadro del Consiglio del giugno 2002. Essa contiene una lista di atti che possono essere considerati terroristici; chiama “gruppo terroristico” un’organizzazione di più di due persone

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che agisce di concerto per un dato lasso di tempo per realizzare tali atti; infine dichiara punibili come reati terroristici l’istigazione o l’aiuto a, nonché il tentativo fallito di, commettere atti del genere.1 Tuttavia, alcuni Stati membri hanno accumulato un notevole ritardo nell’adeguare la propria legislazione alla Decisione quadro.

L’emersione del terrorismo internazionale, quindi, ha reso più urgente trovare una formulazione comune per definirlo e nello stesso tempo, data la sua natura, ha complicato questo compito.2

Secondo gli analisti del Congressional Research Service, il centro di studi strategici del Congresso americano, esistono però degli elementi, o delle tendenze, che contraddistinguono la tipologia del terrorismo internazionale rispetto a precedenti forme del fenomeno.3

In primo luogo, il terrorismo internazionale non ha una struttura operativa unica, né conseguentemente una gerarchia definita. Al contrario, si tratta di una rete di cellule. Naturalmente ciò non toglie che i diversi gruppi possono entrare in contatto gli uni con gli altri, collaborare in diverse forme (dallo scambio di informazioni al supporto logistico alle azioni congiunte) e anche organizzarsi. Anche quest’ultimo caso, però, non muta la natura di un fenomeno diffuso su scala mondiale, che rimane pertanto strutturalmente complesso. Quanto al primato di alcuni gruppi, esso discende in massima parte dal prestigio che riescono a conseguire con la propaganda e la lotta armata.

In secondo luogo, le nuove forme di terrorismo usufruiscono di molteplici canali di finanziamento. È possibile che alcuni Stati ne ‘sponsorizzino’ le attività, ma il finanziamento privato, soprattutto attraverso una fitta rete di fondazioni caritatevoli, resta una sua nota distintiva. Questo rende molto più difficile individuare le fonti ed estinguerle.

In terzo luogo, si tratta di un fenomeno chiaramente transnazionale, sia per quanto riguarda lo spazio d’azione che per l’origine dei suoi agenti. Questo non vuol dire però che non possa legarsi a rivendicazioni di carattere nazionale o regionale o ricorrervi per motivi d’opportunismo.

In quarto luogo, è fortemente caratterizzato dal punto di vista ideologico, sebbene le finalità politiche siano piuttosto vaghe e mutevoli. L’ideologia del terrorismo

1 Decisione quadro del Consiglio sulla lotta al terrorismo, 2002/475/GAI, 13 giugno 2002. 2 Recentemente, lo “High-level Panel on Threats, Challenges and Change” delle Nazioni Unite, incaricato dal Segretario generale Kofi Annan di suggerire una serie di proposte per riformare le Nazioni Unite stesse, ha fornito una definizione compatibile con quella vigente negli Usa e con la Decisione quadro del Consiglio dell’Ue: “any action, in addition to actions already specified by the existing conventions on aspects of terrorism, the Geneva Conventions and Security Council resolution 1566 (2004), that is intended to cause death or seriously bodily harm to civilians or non-combatants, when the purpose of such an act, by its nature or context, is to intimidate a population, or to compel a Government or an international organization to do or to abstain from doing any act” (cfr. A more secure world: our shared responsibility, report of the UN High-level Panel on Threats, Challenges and Change, dicembre 2004, url: http://www.un.org/secureworld/report2.pdf). 3 Rafael Perl, Terrorism and National Security: Issues and Trends, CRS Issue Brief for Congress, Congressional Research Service, Washington DC, 21 dicembre 2004, url: http://www.fas.org/irp/crs/IB10119.pdf.

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internazionale ha preso la veste del radicalismo religioso ed in particolare del radicalismo islamico.

Un quinto elemento che lo caratterizza è la tendenza a sovrapporsi ad altri tipi di minacce globali. In particolare, esso acuisce la sua pericolosità quando può operare in uno spazio privo di controllo statale. Tende per questo ad aumentare le sue capacità operative quando agisce nei c.d. failed States (“Stati falliti”), cioè gli Stati incapaci di controllare il proprio territorio, o nei rogue States (“Stati canaglia”), cioè governati da regimi che ne tollerano, proteggono o favoriscono la presenza. Uno scenario particolarmente inquietante è l’eventualità che uno Stato possa vendere o in altro modo fornire a un gruppo di terroristi armi di distruzione di massa (Adm) o relativi materiali. La combinazione di questi elementi – Stati inaffidabili dal punto di vista della sicurezza, cellule terroristiche organizzate e dotate di risorse finanziarie, disponibilità di Adm o relativi materiali – rappresenta una delle principali minacce alla sicurezza globale.

Con l’espressione “terrorismo internazionale”, quindi, non si indica tanto un soggetto concreto quanto un tipo di minaccia con caratteristiche particolari. Questo vuol dire che l’eliminazione degli agenti del “terrore” non coincide necessariamente con l’eliminazione della minaccia.

3. Le priorità degli Stati Uniti e dell’Unione Europea nella lotta al terrorismo

3.1. Gli Stati Uniti

Dopo l’11 settembre, negli Stati Uniti il terrorismo internazionale è immediatamente diventato la massima priorità nazionale. Per indicare la misura degli sforzi tesi a combatterlo e debellarlo, le massime autorità dello Stato, a partire dallo stesso presidente, George W. Bush, si sono riferite alle iniziative anti-terroristiche intraprese dagli Stati Uniti come ad una “guerra”, più precisamente una “guerra globale al terrore” (global war on terror).

A fine 2002 il presidente e il Congresso hanno istituito una commissione parlamentare di inchiesta per stabilire fatti e responsabilità dell’11 settembre e per suggerire una serie di raccomandazioni. La “Commissione nazionale sugli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti” (National Commission on the Terrorist Attacks upon the United States), più nota come 9/11 Commission, ha pubblicato il suo rapporto finale nell’agosto 2004. Nonostante non ci sia piena aderenza tra le raccomandazioni della commissione e le politiche della Casa Bianca, è indubitabile che le priorità indicate costituiscano il punto di riferimento dell’azione di governo, passata e futura, nella global war on terror.

Gli obiettivi primari individuati dalla 9/11 Commission sono tre, strutturalmente connessi tra loro: la repressione della rete terroristica; la prevenzione della continua rigenerazione del fenomeno; la protezione da nuovi attacchi e l’allestimento di un adeguato sistema di risposta alle conseguenze di attentati che non è stato possibile evitare.

Il primo obiettivo implica la distruzione fisica delle cellule terroristiche, con particolare riguardo ai luoghi di raccolta, addestramento e pianificazione (i c.d. “santuari”). La rimozione forzata del regime dei Taliban in Afghanistan, che

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ospitava e proteggeva il più noto dei gruppi terroristici internazionali, al Qaeda, rientra in questo contesto.

Il secondo obiettivo presuppone un disegno politico a largo raggio, che accompagni all’azione armata misure di carattere diplomatico, economico, umanitario, volte a promuovere una migliore immagine degli Usa e ad intaccare le radici socio-politiche della diffusione del fenomeno terroristico nel mondo islamico e arabo in particolare. La decisione di invadere l’Iraq ha innegabilmente avuto un pessimo ritorno di immagine per gli Usa, e non solo all’interno della sterminata ‘comunità’ islamica. Facendo riferimento alle raccomandazioni della 9/11 Commission, molti analisti ritengono che l’intervento nel Golfo stia avendo un effetto complessivamente negativo sulla lotta al terrorismo internazionale. I sostenitori della guerra sostengono invece che l’effetto a lungo termine sarà positivo, se verrà realizzato attraverso la democratizzazione dell’Iraq.

Il terzo obiettivo implica la ristrutturazione dei sistemi di raccolta e condivisione delle informazioni, di gestione delle frontiere e controllo delle dogane, di capacità di risposta alle emergenze, comprese quelle critiche. Su questo fronte l’amministrazione Bush è stata molto attiva (alcune delle misure più significative vengono considerate nelle sezioni seguenti).

Nel delineare le modalità di perseguimento degli obiettivi prioritari individuati, la 9/11 Commission ha posto l’accento sul rafforzamento delle strutture governative con competenze di contro-terrorismo, sia all’interno che all’esterno dei confini degli Usa, e ha suggerito la nomina di un Direttore nazionale dell’intelligence, che riferisca direttamente al presidente, fornito di ampi poteri esecutivi e incaricato di coordinare le attività delle numerose agenzie di intelligence. La commissione ha invitato a rafforzare, parallelamente, i poteri di supervisione e controllo del Congresso sui servizi di sicurezza. In ultimo, ha ricordato come la cooperazione con i paesi terzi sia un passaggio obbligato per contrastare esaurientemente il terrorismo internazionale.4

In effetti, nonostante gli Stati Uniti siano il bersaglio più ambito dei terroristi internazionali e considerino pertanto la questione come un’urgenza nazionale, la minaccia riguarda direttamente molti altri paesi del mondo. Fra questi, come testimoniano gli attentati di Istanbul (dicembre 2003) e Madrid (marzo 2004), figurano anche i paesi europei.

3.2. L’Unione Europea

Subito dopo gli attentati di New York e Washington il Consiglio Giustizia e Affari interni (Gai) dell’Unione Europea, riunitosi in via straordinaria, ha riconosciuto nel terrorismo internazionale una minaccia alla sicurezza degli Stati membri. Si è acuita la percezione della maggiore efficacia di un’azione contro-terroristica comune rispetto ad iniziative condotte in modo isolato dagli Stati membri. Posta di fronte a sfide alla sicurezza globale di carattere esplosivo, come la combinazione del terrorismo con la proliferazione di Adm, l’Ue è stata continuamente sollecitata, sia dai governi che dall’opinione pubblica, a definire il

4 Il rapporto della “National Commission on the Terrorist Attacks upon the United States” è disponibile sul sito web http://www.9-11commission.gov/report/index.htm.

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suo profilo internazionale. Si è così dotata, per la prima volta, di una strategia di sicurezza comune.

La Strategia di sicurezza europea5, redatta sotto la responsabilità dell’Alto rappresentante della Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), lo spagnolo Javier Solana, è un documento di analisi strategica, nel quale vengono definite le maggiori minacce alla sicurezza dell’Unione e suggerito un approccio comprensivo per farvi fronte. Tra le minacce, accanto al terrorismo internazionale, la proliferazione di Adm e i failed States, figurano anche il crimine organizzato e le crisi regionali. In entrambi i casi, si tratta di fenomeni che possono interagire con il terrorismo internazionale. Il crimine organizzato, infatti, ha potenzialmente molto da offrire a gruppi di terroristi in possesso di ingenti risorse finanziarie: informazioni, armi, materiali, ecc. Dal canto loro, le crisi regionali, soprattutto quelle che travagliano la macro-regione che gli americani chiamano il “Grande Medio Oriente” (dal Marocco al Pakistan), alimentano il furore ideologico di cui si nutre il terrorismo internazionale, fornendo in continuazione non solo nuove reclute, ma anche nuove ragioni per associarvisi.

Data la natura multiforme delle origini delle minacce globali, il documento Solana pone l’accento tanto sulla repressione, compreso l’uso della forza armata, quanto sulle politiche di cooperazione nei confronti di quei paesi dove il ‘germe’ terroristico è particolarmente virulento, alcuni dei quali fanno parte dell’immediato vicinato dell’Ue. Inoltre auspica un ruolo più incisivo da parte delle istituzioni multilaterali.

Il documento di Solana non offre però alcun elemento concreto sui modi di agire. Esso si limita all’analisi, senza fornire una dottrina – l’indicazione cioè dei mezzi più adatti a raggiungere gli scopi prefissi. Questo limite discende direttamente dall’incompletezza istituzionale dell’Ue, che non dispone di una struttura esecutiva unica e riposa su organi istituzionali in grado di attuare solo un raccordo o coordinamento tra gli apparati esecutivi nazionali.

La priorità dell’Unione dopo l’11 settembre è stata l’intensificazione della cooperazione tra i diversi settori delle amministrazioni nazionali coinvolti nella lotta al terrorismo. In particolare, gli Stati membri hanno tentato, fra molte difficoltà, di rafforzare la cooperazione giudiziaria, di polizia e di intelligence e di integrare il più possibile la gestione delle frontiere.

Rispetto agli Stati Uniti, però, le capacità dell’Ue di riformare le sue strutture amministrative sono molto limitate. Gli Stati membri dell’Ue non sono stati finora in grado di adottare un approccio sistematico, sulla base del quale attuare una riforma davvero incisiva delle strutture preposte alla lotta al terrorismo. Anche la creazione di nuove istituzioni e il rafforzamento di organi già esistenti hanno una portata più ridotta a paragone dei loro corrispettivi americani. Pertanto, la collaborazione con gli Usa, che l’Ue considera un elemento costitutivo della sua strategica anti-terroristica, risulta tanto più importante.

5 Approvata dal Consiglio europeo, che ne aveva richiesto la stesura, nel dicembre 2003 (cfr. A secure Europe in a better world – European Security Strategy, url: http://ue.eu.int/uedocs/cmsUpload/78367.pdf).

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4. Principali iniziative adottate dagli Usa e dall’Ue 4.1. Gli Stati Uniti

Le riforme introdotte dall’amministrazione americana dopo l’11 settembre hanno toccato in particolar modo il settore della sicurezza interna. I provvedimenti hanno espanso i poteri delle autorità investigative e centralizzato le attività di intelligence e di controllo del territorio.

Il 26 ottobre 2001 è diventato legge lo Usa Patriot Act6, il primo provvedimento legislativo redatto in risposta agli attentati dell’11 settembre. In sintesi, lo Usa Patriot Act consente un maggiore scambio di informazioni tra le agenzie di intelligence Usa e le autorità investigative; elimina una serie di restrizioni al potere dello Stato di accedere e trattare i dati personali, con particolare riguardo alle fonti elettroniche; allenta i vincoli alle perquisizioni; espande i poteri federali nella regolamentazione delle istituzioni finanziarie americane e nel modo in cui queste ultime intrattengono rapporti con cittadini stranieri; crea nuovi reati e pene conseguenti in relazione ad atti terroristici.

Approvato in grande fretta nel periodo immediatamente successivo all’11 settembre, lo Usa Patriot Act è un provvedimento controverso, oggetto di un acceso dibattito, perché considerato da molti lesivo di alcune libertà costituzionali.7 La legge rafforza considerevolmente i poteri delle autorità investigative, ma secondo alcuni commentatori non fornisce in cambio un appropriato sistema di garanzie che eviti o almeno riduca i rischi di un uso arbitrario dei poteri che istituisce.

Nel novembre 2002 il Congresso ha approvato lo Homeland Security Act, che concentra numerose agenzie governative – tra cui l’Immigration and Naturalization Service, la Cost Guard e la Border Patrol – in un nuovo ministero federale, il Dipartimento della Sicurezza interna. Settori come il controllo delle frontiere o la gestione dei flussi migratori sono passati dunque sotto il coordinamento di un unico organo centrale. La sua missione primaria è prevenire attacchi terroristici all’interno degli Stati Uniti; ridurre la vulnerabilità al terrorismo; minimizzare il danno di un attacco terroristico negli Usa e contribuire alle operazioni di soccorso. Il nuovo ministero ha tra i suoi compiti l’analisi di intelligence, la protezione delle infrastrutture, le contromisure per attacchi di tipo non convenzionale (biologici, chimici, nucleari, radiologici), la sicurezza dei trasporti e delle frontiere, la risposta rapida alle emergenze, il coordinamento tra le autorità esecutive dei vari Stati, le entità regionali o locali e il settore privato. I poteri del nuovo Segretario della Sicurezza interna sono molto ampi e gli garantiscono l’accesso a tutte le informazioni concernenti la sicurezza delle infrastrutture e le attività terroristiche, vere o presunte, all’interno degli Usa. Dietro autorizzazione del presidente, inoltre, può accedere anche ad altri tipi di informazioni sensibili.

6 Contrariamente alle apparenze, si tratta di un acronimo che sta per “Uniting and Strenghtening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act”. 7 Una ricostruzione analitica del testo della legge, della sua storia e del dibattito che ne è seguito (e che è ancora in corso) è disponibile sul sito web http://www.epic.org/privacy/terrorism/usapatriot/.

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Lo Homeland Security Act è all’origine della più profonda riforma delle strutture di governo dai tempi del National Security Act (1947)8. È una riorganizzazione burocratica che si realizza all’insegna della crescente concentrazione delle priorità strategiche sulla sicurezza interna e che rispecchia la tendenza a considerare più sfumato il confine tra l’‘elemento interno’ e l’‘elemento esterno’, ovvero tra difesa e sicurezza interna. Anche lo Homeland Security Act ha suscitato molte proteste a causa dell’eccessivo controllo sulla vita privata dei cittadini che, a parere dei suoi critici, consegna allo Stato.

Nel dicembre 2004, infine, con l’adozione dell’Intelligence Reform and Terrorism Prevention Act, è stata raccolta una delle più urgenti raccomandazioni della 9/11 Commission: la creazione di un Direttore nazionale dell’intelligence, nominato dal presidente – di fronte al quale è responsabile –, e confermato dal Senato. In sostanza, si tratta del ‘capo’ dell’intero e complesso sistema di intelligence americano. Ha l’incarico di coordinare tutte le attività di intelligence interna, esterna e di difesa e dispone di ampi poteri di budget. Lo affianca il National Counterterrorism Center, una sorta di ‘banca’ delle informazioni di intelligence su terroristi noti o sospetti, con il compito di coordinare e monitorare i piani e le attività di contro-terrorismo di tutte le agenzie governative.

4.2. L’Unione Europea

Anche in Europa nel periodo successivo a settembre 2001 è stata intrapresa un’opera di riassetto interno. Tuttavia, due elementi la differenziano da quelle attuate negli Stati Uniti. Entrambi derivano dalla natura ibrida dell’assetto istituzionale dell’Ue. In primo luogo, piuttosto che potenziare le autorità nazionali competenti in materia di contro-terrorismo con nuovi poteri, gli Stati membri hanno dato molto più spazio alla cooperazione reciproca. In secondo luogo, l’Ue nel suo complesso ha posto più degli Usa l’accento sugli strumenti diplomatici e sul ruolo delle istituzioni multilaterali come base per una strategia di lungo periodo per intervenire sulle cause sociali e politiche che nutrono la minaccia terroristica.

Al già ricordato Consiglio Gai del 21 settembre 2001 i ministri degli Interni e della Giustizia europei hanno indicato alcune misure ritenute necessarie per rendere la cooperazione giudiziaria e di polizia più efficiente: trovare il consenso per definire in modo univoco il terrorismo e le sue pratiche; sostituire le procedure di estradizione con un più rapido mandato di cattura europeo; creare delle Squadre di investigazione composte da agenti di polizia e magistrati di diversi paesi membri; sviluppare un meccanismo regolare di scambio di informazioni; istituire presso Europol un’Unità anti-terrorismo; accelerare i tempi per l’istituzione di Eurojust; incrementare la sicurezza delle infrastrutture e dei sistemi di trasporto; congelare per mezzo di iniziative legislative ed esecutive comuni le sorgenti finanziarie del terrorismo. Infine, i ministri europei hanno sottolineato la necessità di trovare un equilibrio tra le esigenze investigative e la protezione dei dati personali.

8 Il National Security Act è la legge che ha creato il National Security Council e la Central Intelligence Agency (Cia), e ha suddiviso i diversi dipartimenti militari all’interno del Dipartimento della Difesa.

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Le misure anti-terroristiche decise dall’Ue sono state inserite in un Piano d’azione per la lotta al terrorismo, che viene aggiornato di continuo e sottoposto a revisione da parte del Consiglio europeo due volte l’anno.9

La già ricordata Decisione quadro del Consiglio sulla lotta al terrorismo, adottata nel giugno 2002, ha cercato di rimediare alla mancanza di una definizione comune delle pratiche terroristiche.10

Il mandato di cattura europeo, destinato a sostituire le più complesse procedure di estradizione, implica il mutuo riconoscimento della richiesta di consegna di una persona, da compiersi entro novanta giorni, da parte dell’autorità giudiziaria di un paese membro. L’accordo sul mandato di cattura è stato raggiunto nel dicembre 2001 ed il provvedimento è stato approvato con una Decisione quadro del Consiglio nel giugno 2002.11

In quella stessa occasione, il Consiglio ha anche adottato la Decisione quadro sulle Squadre investigative unificate,12 che consente a due o più Stati membri che abbiano a disposizione informazioni sui rischi di attività terroristiche in corso o sul punto di essere intraprese, di impiegare funzionari di polizia o magistrati per un’indagine comune. Le Squadre devono essere fornite di un mandato preciso, che specifichi anche i tempi dell’operazione. Si distinguono da altri gruppi operativi che l’Ue promuove tra i suoi membri e con i paesi terzi. Questi ultimi sono squadre multinazionali ad hoc con compiti limitati allo scambio di informazioni di intelligence sulle attività terroristiche, mentre le Squadre investigative unificate hanno un mandato più ampio, che comprende anche la fase delle indagini.

Europol, la cui convenzione è in vigore dall’ottobre 1998, è pienamente attiva dal luglio 1999. Nel luglio 2002 un protocollo ne ha esteso i compiti. Ha l’incarico di migliorare la cooperazione tra le autorità investigative degli Stati membri nella lotta alla criminalità organizzata internazionale. Poiché il rapido scambio di informazioni e il coordinamento delle attività anti-terroristiche delle varie polizie europee sono delle priorità nella lotta al terrorismo, è evidente che Europol può avere un ruolo importante. Essa fornisce infatti rapporti per valutare le minacce, nonché analisi delle attività criminali sulla base delle informazioni e dell’intelligence che le vengono passati dalle autorità nazionali degli Stati membri. Il più delle volte, però, informazioni ed intelligence arrivano incomplete o con una certa lentezza, e ciò costituisce senza dubbio il principale ostacolo alle sue attività. Europol contiene anche un’Unità di contro-terrorismo che raccoglie, analizza e diffonde le informazioni riguardo al terrorismo internazionale. Infine, Europol può partecipare, dietro richiesta di uno Stato membro, alle Squadre investigative unificate, ma solo dopo che il protocollo del 2002 sarà stato ratificato da tutti i membri dell’Ue.

9 L’ultimo aggiornamento risale al dicembre 2004. Il Piano d’azione è disponibile in rete, url: http://ue.eu.int/uedocs/cmsUpload/EUplan16090.pdf. 10 Cfr. supra, p. 3. 11 Decisione quadro del Consiglio, 2002/584/GAI, 13 giugno 2002. 12 Decisione quadro del Consiglio sulle Squadre investigative unificate, 2002/465/GAI, 13 giugno 2002.

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Nel febbraio 2002 una Decisione del Consiglio ha istituito Eurojust,13 l’altro organo europeo per lo scambio di intelligence operativa. È composto da un rappresentante per Stato membro, un giudice o un procuratore di alto livello. Il suo compito è facilitare la cooperazione giudiziaria, in primo luogo l’esecuzione degli accordi di mutua assistenza legale, che hanno grande importanza nella cooperazione multilaterale nella lotta al terrorismo.

Esistono poi numerosi altri organi europei che in qualche modo intervengono nelle attività di contro-terrorismo. In seno al Segretariato del Consiglio il Terrorism Working Group (Twg) valuta le minacce interne e tenta di assicurare la cooperazione pratica e il coordinamento tra i vari organi europei; il Coter (CFSP Working Party on Terrorism) valuta le minacce esterne e monitora l’attuazione delle convenzioni sul terrorismo patrocinate dall’Onu; il Cats, più noto come “Comitato dell’articolo 36” (del Trattato di Nizza) coordina i lavori dei vari organi operanti nel terzo pilastro; il Comitato strategico per l’immigrazione, le frontiere e l’asilo (Scifa) coordina le operazioni dei vari gruppi di lavoro che si occupano di immigrazione, gestione delle frontiere e asilo; il Comitato politico e di sicurezza (Cops) coordina i diversi gruppi di lavoro nelle aree Pesc e Pesd; infine SitCen (Joint Situation Centre) fornisce rapporti di analisi strategica trasversalmente ai diversi pilastri. In ultimo, esiste anche una Task Force dei Capi di Polizia degli Stati membri, riunitasi per la prima volta nell’aprile 2000, che si incontra periodicamente nel tentativo di incrementare, anche a livello informale, l’interazione tra le varie polizie nazionali.

Purtroppo, molte di queste iniziative, portate a compimento a livello europeo, accusano un pesante ritardo a causa del mancato adeguamento alle norme europee da parte di alcuni Stati membri. Ancora alla fine di marzo 2004, dopo che l’Europa era stata scossa dalla strage di Madrid, il Consiglio europeo è stato costretto a sollecitare gli Stati membri inadempienti ad adottare la normativa conforme alle Decisioni quadro sul mandato di cattura europeo; sulle Squadre investigative congiunte; sulla lotta al terrorismo; sul riciclaggio di denaro, l’identificazione, il congelamento e la confisca degli introiti del crimine. Inoltre non tutti gli Stati membri si sono adeguati alle Decisioni del Consiglio sulla creazione di Eurojust e sull’attuazione di alcune misure per la cooperazione giudiziaria e di polizia per combattere il terrorismo.14

Secondo alcuni esperti, la deficienza fatale all’origine degli attentati dell’11 marzo in Spagna è stata la mancanza di coordinamento e comunicazione tra le diverse agenzie di intelligence, sia a livello nazionale che internazionale.15 Gli Usa e alcuni Stati europei, come la Germania o la Gran Bretagna, hanno reagito a questo tipo di problema riorganizzando il loro sistema di intelligence. Nell’Ue, poiché non esiste un singolo organo che tratta tutte le questioni legate al terrorismo, è

13 Decisione del Consiglio che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità, 2002/187/GAI, 28 febbraio 2002. 14 L’Italia è l’unico paese membro che non ha ancora adottato la normative conforme alla Decisione quadro sul mandato di cattura europeo. Inoltre, insieme a Belgio, Cipro, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo e Repubblica Ceca, non ha ancora introdotto nella sua legislazione la nozione di “Squadre investigative unificate”. 15 Cfr. Mirjam Dittrich, Facing the global terrorist threat: a European response, Epc Working Paper n. 14, European Policy Centre, Bruxelles, gennaio 2005.

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necessario per lo meno introdurre un meccanismo di rapida acquisizione e condivisione delle informazioni.

Il Trattato costituzionale contiene degli elementi potenzialmente molto utili. Esso estende, infatti, il voto a maggioranza qualificata ad una serie di importanti elementi dell’area Gai: l’approssimazione di alcuni aspetti di diritto e procedura penali; il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie; lo sviluppo di Europol e Eurojust. Inoltre, l’articolo III-261 istituisce un Comitato permanente, in sostituzione del Comitato dell’articolo 36, per promuovere la cooperazione in materia di sicurezza interna tra i vari organi deputati a questo compito negli Stati membri.16

In attesa che il Trattato costituzionale entri in vigore, ammesso che tutti gli Stati membri lo ratifichino, il Consiglio europeo del 25 marzo 2004 ha approvato una serie di misure per ovviare alle difficoltà della cooperazione.

In primo luogo, i Capi di Stato e/o di governo europei hanno preso la decisione di applicare la clausola di solidarietà, prendendola a prestito dal Trattato costituzionale, che prevede la mutua assistenza in caso di attacco terroristico in uno Stato membro. Il Consiglio ha poi istituito la figura del Coordinatore per l’anti-terrorismo dell’Ue, il cui compito principale è di coordinare le attività correlate al terrorismo in seno al Consiglio, facendo sì che le misure legislative adottate siano correttamente applicate dagli Stati membri. Non ha voce in capitolo, invece, nella formulazione delle strategie di contro-terrorismo dell’Ue. Un’altra innovazione importante è la creazione dell’Agenzia europea per le frontiere,17 che sarà attiva a partire dal primo maggio 2005 e avrà il compito di coordinare le operazioni delle polizie di frontiera. Infine ha sottolineato l’importanza di progredire verso la creazione di una banca-dati europea per le persone condannate per atti di terrorismo o di una certa gravità.18

Al Consiglio europeo del novembre successivo, i Capi di Stato o di governo europei hanno approvato il c.d. Programma dell’Aia, un piano d’azione per la cooperazione giudiziaria e di polizia per il periodo 2005-2009. Il Programma estende il compito dei servizi di sicurezza nazionali alla protezione del territorio di tutti gli Stati membri dell’Ue e stabilisce che entro il primo gennaio 2008 lo scambio di informazioni investigative dovrà basarsi sul “principio di disponibilità”, il che vuol dire che funzionari di polizia di uno Stato membro, soddisfatti certi requisiti, potranno a richiesta ottenere informazioni da altri Stati membri.19

16 Alcuni esperti hanno sottolineato come la creazione del Comitato permanente rientri tra le possibili anticipazioni del Trattato costituzionale (cfr. Ettore Greco e Gianluigi Tosato, Riflessioni in tema di ratifica e anticipazione del Trattato costituzionale per l’Europa, Documento Iai IAI0417, 2004, url: http://www.iai.it/pdf/DocIAI/iai0417i.pdf). 17 Regolamento del Consiglio n. 2007/2004 che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea, 26 ottobre 2004. 18 Cfr. la Dichiarazione sulla lotta al terrorismo del Consiglio europeo del 25 marzo 2004, http://ue.eu.int/uedocs/cmsUpload/DECL-25.3.pdf. 19 Il Programma dell’Aia è allegato alle Conclusioni finali della Presidenza del Consiglio europeo del 4 e 5 novembre 2004, 14292/1/04.

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5. L’impegno comune e le iniziative congiunte La questione del terrorismo internazionale, dunque, ha impegnato i governi europei e americano in ampie opere di riforma degli organismi deputati alla sicurezza. Da questo punto di vista, gli Usa e l’Ue hanno seguito strade simili, ma parallele e separate.

Il terrorismo internazionale però ha dettato anche l’agenda della politica estera. All’indomani delle stragi dell’11 settembre gli europei hanno assicurato agli Usa solidarietà e piena disponibilità a collaborare nella lotta al terrorismo.20 Il Consiglio Atlantico ha invocato l’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord – la clausola di difesa comune21 – e la maggior parte degli alleati europei ha preso poi parte alle operazioni militari in Afghanistan. Il 20 settembre 2001 le autorità europee ed americane hanno rilasciato una Dichiarazione ministeriale congiunta Usa-Ue sulla lotta al terrorismo, in cui i partner si sono ripromessi di intraprendere “uno sforzo collettivo, costante e sistematico per eliminare il terrorismo internazionale”.22

La Dichiarazione ministeriale congiunta Usa-Ue ha indicato le principali aree di collaborazione: la sicurezza dei trasporti, la cooperazione giudiziaria e di polizia, la lotta al finanziamento delle attività terroristiche, nella gestione delle frontiere, nella lotta alla proliferazione di Adm.

A più di tre anni di distanza, la cooperazione euro-americana ha ricevuto una notevole, seppure irregolare, accelerazione. Il dialogo sulle strategie e le pratiche di contro-terrorismo è avviato a più livelli, e molti esperti salutano con favore il fatto che numerose agenzie europee ed americane, che prima avevano pochi contatti o nessuno fra loro, abbiano avviato un regolare confronto.23

Almeno una volta l’anno il Segretario di Stato, il Segretario della Sicurezza interna e il Procuratore generale (il ministro della Giustizia) degli Usa si incontrano con le loro controparti europee, mentre un gruppo di lavoro composto da funzionari di alto livello si riunisce più o meno ogni sei mesi per discutere le principali questioni che riguardano la cooperazione giudiziaria e di polizia. Inoltre, è stato istituito un dialogo di alto livello sulla gestione delle frontiere e la sicurezza dei trasporti. A giugno 2004, nel contesto del meeting semestrale Usa-Ue, è stata resa pubblica una nuova Dichiarazione euro-americana sulla lotta al terrorismo24, dove i partner hanno indicato i punti salienti dell’agenda anti-terroristica futura: il sostegno al ruolo chiave dell’Onu e l’attuazione universale

20 Il fatto che alcuni dei diciannove attentatori avessero vissuto ad Amburgo, in Germania, ha reso più urgente prendere delle contromisure. 21 Gli Usa hanno comunque preferito agire in Afghanistan fuori del contesto Nato. 22 La Dichiarazione è disponibile in rete, url http://europa.eu.int/comm/external_relations/us/news/minist_20_09_01.htm. 23 Cfr. D. L. Aaron, A. M. Beauchesne, F. G. Burwell, C. R. Nelson, K. J. Riley, B. Zimmer, The Post 9/11 Partnership: Transatlantic Cooperation against Terrorism, Acus Policy Paper, The Atlantic Council of the United States, Washington DC, dicembre 2004, url: http://www.acus.org/Publications/Default.htm; cfr. anche Kristin Archik, US-EU Cooperation Against Terrorism, CRS Report for Congress, Congressional Research Service, Washington DC, 19 gennaio 2005, url: http://www.fas.org/man/crs/RS22030.pdf. 24 La Dichiarazione è disponibile in rete, url http://ue.eu.int/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/en/er/81249.pdf.

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delle convenzioni sul terrorismo e delle risoluzioni 1373 e 1267 del Consiglio di Sicurezza; il sostegno al lavoro della Financial Action Task Force (Fatf) per essiccare le fonti finanziarie del terrorismo; la continua valorizzazione della cooperazione tra le autorità giudiziarie e investigative; il rafforzamento della protezione delle strutture per i trasporti; la sicurezza delle frontiere; lo sviluppo di una rapida capacità di gestione delle conseguenze di un attacco terroristico grave; la necessità di affrontare le radici socio-politiche della diffusione del terrorismo, indirizzando i propri sforzi verso quei paesi che sono più vulnerabili di altri all’insorgere del fenomeno.

Finora, nonostante le iniziative avviate siano di scala ridotta e abbiano bisogno di miglioramenti consistenti, le parti hanno dimostrato una chiara volontà politica di collaborare, come testimonia l’intenso sforzo che è stato fatto da una parte e dall’altra dell’Atlantico per superare le non poche, e non irrilevanti, difficoltà incontrate.

5.1. Cooperazione giudiziaria e di polizia

Nel 2001 e nel 2002 gli Stati Uniti hanno concluso due accordi con Europol, con l’intento di consentire alle autorità investigative americane e a Europol stessa di condividere informazioni di tipo sia “strategico” (soffiate, valutazioni di rischi, indicazione di possibili attività criminali ecc.) che “personale” (nomi, indirizzi, precedenti penali e così via). Inoltre, Europol ha distaccato due ufficiali di collegamento a Washington, e l’Fbi ne invierà a sua volta uno presso l’Unità di contro-terrorismo di Europol, a L’Aia.25

Nel giugno 2003, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno firmato i trattati sulla mutua assistenza legale e sull’estradizione, per promuovere una migliore cooperazione investigativa e semplificare il processo di estradizione. Questi accordi mirano a modernizzare e armonizzare i trattati vigenti a livello bilaterale tra gli Usa e gli Stati membri dell’Ue, che pertanto non verranno sostituiti. Tuttavia, a causa del ritardo nella ratifica, i trattati non sono ancora entrati in vigore.

L’accordo sull’estradizione riduce i tempi delle procedure attraverso l’ammorbidimento dei requisiti legali e la semplificazione della documentazione necessaria per presentare domanda di estradizione. Dichiara inoltre estradabile chi sia indagato per un crimine punibile con una pena superiore ad un anno di prigione. L’accordo sulla mutua assistenza legale dà la possibilità alle autorità investigative dell’Ue e degli Usa di accedere ai conti bancari nei rispettivi territori, a patto che l’investigazione in corso riguardi reati gravi, come il crimine organizzato e finanziario e naturalmente il terrorismo. Inoltre il trattato permette la creazione di squadre investigative congiunte Usa-Ue.

Gli accordi hanno presentato numerose difficoltà in sede di trattative, soprattutto da parte europea. I problemi principali riguardano l’uso dei dati personali; la compatibilità delle prove addotte a giustificazione della richiesta di estradizione con i regimi giuridici degli Stati in cui è detenuta la persona indagata; l’estradizione di cittadini europei negli Usa; il rischio che gli indagati di cui viene 25 In realtà, un ufficiale di collegamento era già stato distaccato presso Europol, ma in seguito è stato richiamato.

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chiesta la consegna debbano fronteggiare, se giudicati colpevoli, la pena di morte. Pertanto gli europei hanno preteso ampie garanzie in merito, lasciandosi aperta la possibilità di rifiutare l’estradizione. Gli Usa, inoltre, hanno assicurato che i sospetti estradati non saranno soggetti al rischio di pena di morte. Gli europei, infine, si sono riservati la possibilità di trasferire un sospetto sotto la giurisdizione del Tribunale penale internazionale anche in presenza di una richiesta di estradizione da parte americana.

5.2. Scambio di informazioni e protezione della privacy

Le informazioni utili nelle indagini in merito ad attività terroristiche provengono da tre fonti: i servizi di intelligence, le cui fonti sono riservate e spesso fuori della portata dell’apparato investigativo/giudiziario; le inchieste ufficiali, in cui tanto le fonti quanto le informazioni sono soggette ai regimi giuridici nazionali; e il settore privato, dove le fonti sono soggette agli obblighi imposti dai regimi di protezione della privacy. Attivare un proficuo scambio di informazioni tra questi tre livelli è oltremodo difficile. I servizi di sicurezza, per esempio, sono tradizionalmente molto restii a condividere le informazioni ottenute, e ancor di più a mettere a disposizione le proprie fonti, non solo con i servizi segreti di altri paesi, ma anche con altre agenzie di intelligence nazionali. Anche la cooperazione tra le autorità giudiziarie/investigative e il settore privato presenta notevoli difficoltà, in primo luogo per ciò che riguarda la gestione dei dati personali.

Le difficoltà nello scambio e nell’uso delle informazioni, inoltre, sono anche di natura tecnica. In Europa ogni Stato membro possiede distinte banche-dati per i visti di ingresso, la concessione del diritto d’asilo, il controllo delle dogane. Integrarle è un’operazione molto complessa e costosa. Nell’ambito del Trattato di Schengen è in corso il tentativo di adattare alle esigenze dell’anti-terrorismo lo Schengen Information System (Sis), un complesso di banche-dati collegate che contengono informazioni sui visti o altri aspetti legati al controllo delle frontiere. Tuttavia, il fatto che non tutti i paesi membri dell’Ue non facciano parte del trattato di Schengen ha reso necessario lo sviluppo di un nuovo sistema di banche-dati, il Sis II, in cui la gestione delle informazioni verrebbe centralizzata in un’unica agenzia Ue. Il Sis II dovrebbe entrare in vigore tra il 2006 e il 2007.

Un altro esempio di difficoltà tecniche è legato all’obbligo imposto ai viaggiatori in entrata negli Usa di fornire dati biometrici per l’identificazione. A partire dall’ottobre 2004, questo provvedimento è valido anche per i cittadini di paesi terzi che, in base ad accordi bilaterali, non hanno bisogno del visto di ingresso per gli Usa. Nonostante gli europei abbiano acconsentito a soddisfare i requisiti richiesti dagli americani, le difficoltà tecniche legate alla produzione dei nuovi documenti non ha permesso a molti di loro di essere pronti per ottobre 2004. Il Congresso Usa è quindi andato loro incontro prorogando la scadenza di un anno. In ogni caso i cittadini di questi paesi devono ora sottoporsi a controlli biometrici al loro arrivo negli Usa (in base allo US Visit Program).

La protezione della privacy è stata all’origine di un altro contrasto euro-americano, quello relativo al c.d. Passenger Name Record (Pnr). Il Pnr corrisponde alle informazioni (nome, indirizzo, data di nascita, modalità di pagamento ecc.) che ogni viaggiatore fornisce alle compagnie aeree al momento della prenotazione e che poi viene inserito in un archivio elettronico, detto

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Advanced Passenger Information System (Apis). In base all’Aviation and Transportation Security Act (2001), le autorità americane hanno cominciato a richiedere alle linee aeree accesso al Pnr dei viaggiatori diretti negli Usa. Ciò però contrasta con la Direttiva europea sulla privacy. Le compagnie aeree si sono così trovate impossibilitate a soddisfare entrambe le richieste e condannate pertanto a pagare una multa o agli Usa o all’Ue.

Dopo molte difficoltà, il Dipartimento della Sicurezza interna e la Commissione europea hanno trovato, nel maggio 2004, un accordo: il governo Usa ha acconsentito a cancellare certe informazioni (come le preferenze alimentari, che possono rivelare la religione di una persona); a trattenere le informazioni solo per tre anni e mezzo; ad utilizzare i dati solo per propositi specifici, tra cui la prevenzione del terrorismo; a stabilire un canale di comunicazione diretto tra le autorità per la privacy dell’Ue e il Dipartimento della Sicurezza interna per eventuali indennizzi richiesti da cittadini europei. Il Parlamento europeo si è opposto all’accordo. Esso ha quindi contestato la competenza della Commissione e ha adito la Corte di giustizia europea. La Corte ha acconsentito a trattare la causa, ma non si pronuncerà in tempi brevi.

Il governo americano ha tentato di aggiornare e migliorare il sistema di raccolta di informazioni dalle compagnie aeree. Ha quindi proposto l’adozione di una misura cautelativa, nota come Secure Flight, in base alla quale solo i funzionari governativi e non gli impiegati delle compagnie aeree hanno l’autorità di confrontare gli elenchi dei passeggeri con le liste di persone sospette o potenzialmente tali. Secure Flight, che al momento è in fase di sperimentazione, desta comunque le preoccupazioni degli europei perché presuppone la trasmissione dei dati sui passeggeri alle autorità prima e non dopo la partenza verso gli Usa. Gli americani hanno acconsentito a testare il loro programma solo sulle compagnie americane, ma non a stralciare i cittadini europei dalle liste sottoposte ad ispezione nel caso di voli interni agli Usa.

Un requisito chiave per la cooperazione futura tra Usa e Ue in questo settore è garantire la compatibilità giuridica e tecnologica dei sistemi di integrazione di informazioni e di protezione della privacy. L’alternativa è la proliferazione di banche-dati (su Pnr, visti ecc.) differenziate ed incompatibili. Per questo motivo alcuni esperti ammoniscono gli Usa e l’Ue di sviluppare sistemi come Sis II, Secure Flight o altre iniziative tenendo conto di alcune questioni cruciali: i tempi e i modi della cancellazione dei dati; le procedure per lo scambio di informazioni con i paesi terzi; le forme di indennizzo per i cittadini. Egualmente importante è sfruttare le potenzialità del settore privato. La partecipazione delle banche europee alle norme contro il riciclaggio di denaro può offrire in merito un punto di riferimento.26

5.3. Sicurezza dei trasporti e delle relative infrastrutture

Nel dicembre 2003, gli europei hanno appreso dai giornali che il Dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti aveva proposto la presenza di guardie armate (i c.d. skymarshals) a bordo di voli considerati a rischio. La costernazione

26 D. L. Aaron, A. M. Beauchesne, F. G. Burwell, C. R. Nelson, K. J. Riley, B. Zimmer, op. cit., p. 16.

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europea è stata superata poco dopo, quando europei e americani hanno raggiunto una serie di accordi per consentire la presenza delle guardie armate oppure, in alternativa, per intensificare i controlli a terra.

Nel caso degli skymarshals la Commissione europea non ha obiettato alla stipulazione di intese bilaterali tra gli Stati membri e gli Usa. Le cose sono andate diversamente a proposito di un’altra iniziativa intrapresa dagli Usa, la Container Security Initiative (Csi). Promossa nel gennaio 2002, essa garantisce accesso privilegiato nei porti Usa a quelle navi che sono state controllate nel porto d’origine, secondo una procedura stabilita dagli americani e monitorata da agenti delle dogane americani distaccati in loco. Gli Usa avevano in un primo momento raggiunto un accordo con le autorità francesi, per il porto di Le Havre, e olandesi, per quello di Rotterdam. La Commissione, che ha piena competenza in materia di unione doganale, ha obiettato che gli accordi erano contrari alle regole del mercato unico, perché avrebbero privilegiato Le Havre e Rotterdam rispetto agli altri porti europei. La Commissione ha conseguentemente avviato un’azione legale contro gli Stati membri (otto) che avevano preso parte alla Csi. La questione si è risolta definitivamente nel marzo 2004, quando il Custom Service americano e la Direzione generale “Tasse e Unione doganale” della Commissione hanno raggiunto un accordo che ha incluso quelli precedenti, stipulati a livello bilaterale. La realizzazione delle procedure di ispezione previste dalla Csi è cominciata subito dopo.

La sicurezza e la protezione dei trasporti e delle relative infrastrutture occupa un posto importante nella lotta al terrorismo. Ulteriori sforzi euro-americani per diffondere standard di sicurezza a livello globale sono pertanto auspicabili. Alcuni suggeriscono che Stati Uniti ed Europa potrebbero negare l’accesso ai bastimenti provenienti da porti dove non è in vigore l’International Ship and Port Facility Security Code (Ispc), il codice di condotta patrocinato dall’Organizzazione marittima internazionale per la sicurezza delle infrastrutture portuali. Inoltre, anche in questo settore è necessario coinvolgere maggiormente il settore privato, che negli Usa possiede il 70% delle infrastrutture chiave (in Europa il 20%). Esso può garantire un contributo essenziale al rispetto delle norme di sicurezza, così come alla raccolta di informazioni su movimenti, aziende o carichi sospetti.

5.4. Ruolo delle organizzazioni internazionali e dei paesi terzi

Nella Dichiarazione euro-americana sulla lotta al terrorismo, resa pubblica nel giugno 2004, gli alleati si sono impegnati ad assicurare sostegno all’Onu, in particolare al Comitato Anti-terrorismo. In più hanno sottolineato l’importanza dell’applicazione delle diverse convenzioni sul terrorismo. In linea con il loro tradizionale multilateralismo, i governi europei giudicano la cooperazione con i paesi terzi un fattore essenziale nella lotta al terrorismo. A questo riguardo hanno deciso di inserire una “clausola sul terrorismo”, così come una “clausola sulla non proliferazione”, nei trattati internazionali stipulati dall’Ue. Inoltre, in accordo con gli Usa, si sono ripromessi l’assistenza ai paesi terzi nell’attuazione di misure di sicurezza basilari, come la già ricordata Ispc.

Gli Stati europei, naturalmente, cooperano con gli Usa anche fuori del contesto Ue. Alcuni membri europei della Nato, per esempio, partecipano alla missione

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Nato Active Endeavour, volta al pattugliamento del Mediterraneo orientale in funzione anti-terroristica.

Gli Stati Uniti hanno promosso iniziative anche di carattere informale, la maggiore delle quali è la Proliferation Security Initiative (Psi). La Psi è stata sottoposta in primo luogo agli altri partner che compongono il G-8, ma coinvolge un numero superiore di paesi. Si tratta in sostanza di un accordo volontario per monitorare ed intercettare mezzi di trasporto di terra, d’aria e marini (soprattutto questi ultimi) sospetti di trasportare Adm o vettori delle stesse. Nonostante la base legale di questa specie di operazioni di polizia internazionale non sia chiara e venga anzi discussa da paesi come la Russia o la Cina, gli Usa e i loro alleati ritengono che la Psi abbia un prezioso potenziale: essa può scongiurare il rischio che un gruppo di terroristi entri in possesso di armi di distruzione di massa o relativi materiali.

Il G-8 ha discusso anche altre misure, come la decisione di distruggere i lancia-missili portatili, noti come manpads, in eccesso. Si tratta di armi manovrabili da un singolo uomo ed in grado di abbattere elicotteri ed aerei sia civili che militari, e per questo estremamente pregiate da gruppi armati para-militari, quali possono essere i gruppi di terroristi.

5.5. Difficoltà della cooperazione

I casi sopra illustrati danno un’idea delle enormi difficoltà ad interagire incontrate dalle autorità europee e americane, anche quando esiste una chiara volontà politica di cooperare. Problemi di compatibilità giuridica, di sviluppo tecnologico, di risorse umane e finanziarie complicano di continuo il lavoro delle istituzioni e delle agenzie governative chiamate a collaborare.

Inoltre, non è sempre chiaro se l’interlocutore degli Usa debba essere l’Unione Europea nel suo complesso o i singoli membri. Le autorità Usa, che vantano in alcuni casi legami di lungo corso con i loro equivalenti europei, hanno tardato a riconoscere l’importanza crescente del livello europeo. Ne è una valida testimonianza la diatriba apertasi a proposito della Container Security Initiative, che avrebbe garantito vantaggi a determinati porti europei rispetto ad altri. La vertenza si è chiusa solo quando gli Usa hanno negoziato un accordo direttamente con l’Ue.

In altri casi però, le autorità americane non sono disposte ad allargare il novero dei loro interlocutori. Per fare l’esempio più significativo, un’estensione della tradizionale cooperazione tra i servizi di intelligence americani e britannici ad altri paesi europei non rientra negli interessi degli Usa né della Gran Bretagna. Più in generale, nell’ambito del secondo e del terzo pilastro dell’Unione Europea la costante tensione tra livello europeo e livello nazionale genera un effetto schizofrenico con cui gli americani trovano difficoltà a misurarsi.

6. Approcci strategici diversi Non sempre le difficoltà sono di carattere strutturale, cioè tecnico o pratico. Naturalmente anche le opinioni politiche influenzano le decisioni dei governi. A questo proposito, la principale differenza tra America ed Europa concerne la

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percezione del fenomeno terroristico, che si riflette in una diversa valutazione dei mezzi più adatti per farvi fronte.

La formula global war on terror, con cui comunemente le autorità nazionali e i media americani indicano la nuova dimensione strategica in cui si muovono gli Usa, non è solamente un’espressione retorica. Negli ultimi tre anni la politica estera e di sicurezza interna americana è stata completamente dominata dal tema.

Dall’intervento in Afghanistan (ottobre 2001) ad oggi, il governo Usa ha fatto largo uso delle forze armate nel quadro della global war on terror. L’Afghanistan ospita ancora rilevanti operazioni militari, mentre l’Iraq è ora teatro di una guerriglia in cui il terrorismo internazionale, ammesso che lo si consideri non un soggetto ma una tipologia di minaccia, gioca un ruolo importante, sicuramente più importante di quello precedente l’invasione.

La “guerra al terrore” ha inoltre innescato, come si è visto, una serie di rilevanti innovazioni nell’apparato di governo americano, fra cui la riforma del sistema di intelligence e la creazione di una specie di ministero degli interni, il Dipartimento della sicurezza interna. La global war on terror viene presentata come una risposta ad un attacco contro gli Usa perpetrato per ragioni fondamentalmente ideologiche. Nell’opinione pubblica è diffusa la percezione del “terrore” come minaccia incombente, portata da un nemico che potrebbe colpire di nuovo in maniera devastante. Di conseguenza, la global war on terror è diventata il punto di riferimento immediato per definire il ruolo degli Usa nel mondo non solo per il governo, ma anche per l’opinione pubblica. Essa, anche quando recepita criticamente, è penetrata a fondo nell’immaginario collettivo degli americani. Il tema ha avuto una parte importante, anche se forse non decisiva, nel determinare l’esito delle elezioni presidenziali del 2 novembre 2004, che hanno confermato il presidente in carica.

L’idea che gli europei siano più ‘soft’ in materia di terrorismo non rende giustizia ad una realtà più complessa. In realtà, tutti i membri dell’Ue hanno posto la lotta al terrorismo internazionale tra le loro priorità. Tuttavia, a differenza degli Stati Uniti, dal 2001 ad oggi gli europei hanno dovuto quotidianamente affrontare altre questioni di rilevanza storica: basti pensare all’economia stagnante, alla riforma costituzionale dell’Ue (il processo di ratifica del Trattato costituzionale continuerà ad essere centrale nelle agende dei governi), e alla gestione dell’allargamento dell’Unione verso est e sudest (che riguarda, fra l’altro, anche un paese del calibro della Turchia).

Molti paesi europei, inoltre, tra cui la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, l’Italia e la Spagna, hanno sperimentato sulla propria pelle forme anche molto violente e organizzate di terrorismo. L’esperienza accumulata li porta a ritenere più opportuno reagire alla minaccia terroristica con gli strumenti di repressione tradizionali, come i servizi di sicurezza, la polizia e la magistratura, sviluppando nel contempo una strategia politico-diplomatica per eliminare gli appoggi di cui godono i gruppi terroristici. L’opzione militare viene vista più come una soluzione d’emergenza straordinaria che come un asse portante della strategia contro-terroristica.

Gli europei non disconoscono neppure il carattere originale del terrorismo internazionale. Lo ritengono, però, strutturalmente legato alle altre minacce

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globali e conseguentemente credono più opportuno sviluppare strategie di risposta che facciano fronte, simultaneamente, alle diverse radici da cui quelle minacce traggono linfa vitale. Grande importanza viene assegnata alle ragioni politiche, sociali ed economiche che spingono singoli individui o gruppi a legarsi ad associazioni estremiste, pronte anche a richiedere il ‘martirio’ dei loro affiliati in attentati kamikaze. Rispetto agli Usa, i governi europei danno maggiore risalto alle politiche di apertura e cooperazione con i vicini arabi, nonché al ruolo delle organizzazioni multilaterali. Non a caso, alcuni paesi europei si sono rifiutati di inserire Hizbollah nella lista dei gruppi terroristici stilata in accordo con gli Usa e hanno mostrato grande riluttanza ad includervi anche l’“ala politica” di Hamas, distinta da quella “militare”.

Su queste basi, alcuni in Europa considerano questo tipo di terrorismo un fenomeno proprio di società travagliate da complesse crisi regionali o nazionali, in cui entrano in gioco fattori politici, sociali, culturali, religiosi ecc. Pertanto, “eliminare” il terrorismo alla maniera in cui si sconfigge in guerra un nemico appare illusorio.

Non è un caso, quindi, che le maggiori tensioni tra europei e americani in materia di lotta al terrorismo riguardino l’uso della forza armata. Per gli Usa il terrorismo è una minaccia di tipo straordinario che riguarda la sicurezza nazionale. Pertanto la loro strategia contro-terroristica globale è inquadrata in una prospettiva militare e contempla un uso massiccio delle forze armate. Per gli Stati europei, invece, il terrorismo internazionale è una minaccia straordinaria che riguarda in primo luogo la sicurezza delle persone. La ‘lotta’ al terrorismo – significativamente gli europei evitano di riferirsi alle attività contro-terroristiche come ad una “guerra” – è così essenzialmente un problema di ordine interno con diramazioni all’estero, che richiede pertanto un uso limitato e selettivo, e comunque ausiliario, della forza armata.

7. Conclusione Pur fra tante difficoltà, europei ed americani hanno mostrato determinazione nel contrastare le attività terroristiche, avviando anche iniziative comuni che sembrano avere potenzialità di sviluppo. Gli stessi esempi – come la Csi, il Pnr, i dati biometrici ecc. – che hanno messo in luce le molte difficoltà legate ai meccanismi di cooperazione, testimoniano la risolutezza con cui Usa ed Ue hanno preso di petto e superato di comune accordo alcuni ostacoli. Neanche la forte tensione che ha scosso i rapporti transatlantici e intra-europei in occasione dell’intervento militare a guida americana in Iraq ha impedito il dialogo e la cooperazione tra le autorità europee ed americane. Gli europei sembrano poi sempre più convinti della necessità di raggiungere un superiore livello di integrazione in quei settori del cosiddetto terzo pilastro – la cooperazione giudiziaria e di polizia – che sono cruciali nella lotta al terrorismo.

Stando agli analisti del Congresso, l’amministrazione Bush si è persuasa che i benefici di una più intensa cooperazione giudiziaria e di polizia con l’Unione Europea valgano il rischio, paventato dai più scettici, di indebolire i tradizionali rapporti bilaterali che gli Usa intrattengono con alcuni paesi europei.27 Gli Stati

27 Cfr. Kristin Archick, op. cit., p. 6.

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Uniti e l’Unione Europea hanno creato un canale di consultazione regolare a più livelli, avviato iniziative comuni e concluso trattati internazionali di una certa rilevanza. Questi ultimi, tuttavia, devono ancora entrare in vigore, mentre le iniziative in corso si trovano in fase sperimentale o comunque iniziale. Manca, per forza di cose, una verifica credibile della loro efficacia.

Un altro elemento da non sottovalutare è la carenza di personale in grado di fare da liaison tra le diverse autorità coinvolte. Il problema non sta tanto nella scarsa dimestichezza con i dossier relativi alla lotta al terrorismo, quanto nella difficoltà di trovare meccanismi che consentano di attivare forme efficaci di cooperazione in materia di anti-terrorismo. Per gli americani è essenziale sapere quando conviene loro rivolgersi all’Unione Europea e quando invece ai singoli Stati membri. Sotto questo rispetto, è essenziale che gli Stati membri realizzino un effettivo coordinamento a livello Ue delle operazioni anti-terroristiche. Ciò faciliterebbe la cooperazione con gli Usa. È comunque opportuno che siano definiti con maggiore precisione i limiti delle competenze nazionali e comunitarie, in modo da evitare l’insorgere continuo di ostacoli, ritardi, incomprensioni. La maggioranza degli esperti considera i risultati raggiunti finora un successo, a patto però che li si consideri come l’inizio di una cooperazione che dovrà ulteriormente intensificarsi per garantire effettivamente un superiore livello di sicurezza.

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