La leggenda della porta dei 100 occhi

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In copertina:Conversano, particolare della porta dei 100 occhi.

Retrocopertina:Il manifesto del duello conservato al British Museum e all’Università di Francoforte.

2017 tutti i diritti sono riservati all’autore

Avevo più volte rimandato l’appuntamento, ma alla fine di giugno finalmente si organizza l’incontro in un bar, a Torre a Mare. Era un pomeriggio caldo dopo un mese di piogge e di maestrale, un bel caffè freddo frizzato e subito Agostino mi fa scivolare fra

le mani il documento che ormai da mesi aspettava la mia attenzione: la copia del manifesto del famoso duello di Norimberga del 1673 tra i Carafa e gli Acquaviva, pubblicato nella città tedesca in quell’anno, conservato negli archivi del British Museum e dell’Università di Francoforte.Agostino inizia così a raccontarmi la sua passione per la ricerca storica, il sentirsi ancora fortemente nojano a dispetto di quell’avvenimento che nel 1934 aveva annesso Torre Pelosa al comune di Bari, l’appassionata lettura dell’Ultimo duello e del Destino dei duellanti che narravano le epiche vicende dei nobili Carafa di Noja e degli Acquaviva di Conversano, la sua meticolosa ricerca negli archivi online per recuperare altre notizie. Mi racconta di quella notte in cui digitando “Ritterkampf Caraffa” si aprirono i link del documento, fino allora ai più sconosciuto. Ed eccolo tra le mie mani il manifesto, in copia 30x60 cm, barocca la grafica, con i ritratti dei protagonisti, don Francesco Carafa e don Giulio Acquaviva, in due medaglioni incorniciati con foglie di palma e di alloro, imparruccati, abiti da cerimonia e tutta la descrizione dell’avvenimento nel tedesco del 1600, in sontuosi caratteri gotici.Per la prima volta avevo davanti, con mia grande meraviglia, i ritratti dei due nobili e mi guardavano con occhi quasi di invito a ritornare sulla loro storia,

Torre a Mare: la difesa aragonese contro le incursioni dei saraceni.

a riprenderla con i nuovi documenti per dare un senso più completo all’ultimo duello da loro combattuto.E così incredulo ancora per quel che toccavo e in parte avvertendo un senso di colpa per gli appuntamenti sempre rinviati con Agostino, con la mente iniziavo a rispolverare i ricordi di storie già raccontate: don Francesco Carafa che, spadaccino a Norimberga, diventa dopo qualche anno prelato a Roma. E don Giulio Acquaviva, il vincitore futuro conte di Conversano che, dopo il matrimonio con Dorotea d’Atri, incappa in una brutta storia di peste e muore nel più totale isolamento a Nisida. La fuga d’amore di don Rodolfo Carafa con la monaca Dorotea e l’inquietante presenza della porta dei cento occhi, la mappa del Duca di Noja...

Planimetria originale della Torre Pelosa.

Pompeo Carafa, duca di Noja pag. 9

Il palazzo del Duca pag. 17

1633: I Carafa nel feudo di Rutigliano pag. 23

I conti Acquaviva d’Aragona signori di Conversano pag. 29

Convento di S. Francesco, Rutigliano: la sfida pag. 35

Il campo franco di Norimberga pag. 43

Ritter Kampf: il manifesto pag. 51

Il prelato don Francesco Carafa pag. 59

I debiti del Conte pag. 65

Il muro del diavolo pag. 73

La peste del 1690 pag. 81

La porta dei cento occhi pag. 89

La mappa del Duca pag. 97

Le storie

POMPEO CARAFA, DUCA DI NOJA

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Il nobile normanno Goffre-do di Altavilla, guerriero fiero e generoso, arrestò il suo cavallo nelle terre di Noja in una fredda giornata di primavera dell’an-no 1070. L’abitato era allora un piccolo borgo fondato, come rac-conta un’antica tradizione orale, nel VIII sec. da popolazioni del Montenegro sbarcate sul litorale pelosino per sfuggire a incur-sioni saracene. Gli abitanti si dedicavano all’agricoltura, alla pastorizia e, nel villaggio origi-nario di Torre Pelosa, alla pesca. Continue in quei tempi erano le incursioni dei pirati barbareschi che saccheggiavano il territorio, rapendo e uccidendo le popolazioni in-difese. Per questo il normanno Goffredo di Altavilla decise subito di pro-teggere le terre di Noja dai continui assalti facendo costruire un castello, recintando l’abitato con alte mura e un profondo fossato, diventando così il primo signore di Noja.L’area su cui sorse la fortezza fu quella dell’attuale piazza, con il fossato. Una imponente torre era sul lato orientale. A fianco si apriva il portale d’ingresso ai locali di servizio: la gendarmeria, le stalle, le grandi scuderie. Un ampio fossato con ponti levatoi, difeso da solide mura, circondava il paese. Passando dall’attuale via C. Battisti su cui si affacciano i larghi terrazzati con i famosi giardini pensili, purtroppo oggi ridotti in cattivo stato, le mura e il fossato continuavano a isolare il paese.All’interno del castello, nell’atrio, c’è ancora la pietra della grande cisterna e poi una botola che porta a una galleria sotterranea. Trasformate, ma ancora esistenti, le scale degli accessi ai piani superiori. Nell’interno completamente manomesso, irriconoscibili i saloni e le stanze dove un giorno era passata l’aristocrazia di Bona Sforza e dei Del Balzo.Noja, difesa dalle solide mura normanne, viveva il lungo medioevo senza grandi eventi degni di nota. Nel castello si succedevano i diversi signori

Noicàttaro. Veduta del 1584.

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svevi e aragonesi: la famiglia Del Balzo, i conti Brancaccio e D’Azzia, la regina Bona Sforza, i conti Pappacoda.Ma l’avvenimento che determinò i fatti che sto per raccontare si ebbe nel 1584, quando donna Isabella Pappacoda, erede del feudo, andò in sposa a Pompeo Carafa della Stadera. Chi era Pompeo Carafa? Figlio di Alfonso III duca di Nocera e di Giovan-na Castriota Skanderberg il suo nome è presente in un elenco di coman-danti delle galee napoletane che probabilmente parteciparono alla bat-taglia navale di Lepanto del 1571 e che vide la cristianità vittoriosa sui turchi. Il Carafa era capitano di due galee, la Fiorita e la Sant’Orsola, e anni prima aveva partecipato anche alla guerra di Fiandra con le truppe spagnole. Proprio per i meriti acquisiti sui campi di battaglia, Pompeo Carafa diven-ne un punto di riferimento per la sua famiglia. Nel 1584 sposò Isabella Pappacoda, titolare del feudo di Noja, ottenendo una dote di 8000 ducati e diventan-do anche legittimo possessore del feudo. Nel 1601 è nomina-to dal sovrano spagnolo duca di Noja. Così, all’inizio del ‘600, Noja si trovava a vivere una si-tuazione di grande movimento economico e politico.A cosa era dovuto tutto questo? Quali entrate garantivano la somma di 8000 ducati? Perché il Re di Spagna aveva riconosciuto al territorio il titolo di ducato? Si può rispondere a questi interrogativi utilizzando il diario di un viaggiatore che, attraversando la Puglia, così descriveva le contrade: “Noja e Rutigliano hanno un territorio particolare, dove si raccolgono alcune erbe da tingere e in gran copia il cotone, che è il più bello della provincia. Si raccoglie pure un’erba detta volgarmente pepe e stravisaria. Dai botanici è nomi-nata Delphinium straphisagria. È un’erba velenosissima di cui si servono

Chiesa Madre di Noicàttaro: bassorilievo di Pompeo Carafa.

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gli abitanti del luogo per curare il morbo pedicolare (i pidocchi): se ne fa molto commercio con il Levante ottomano senza saperne l’uso”. Il Galanti, l’autore del diario, fa riferimento prima di tutto alla parti-colarità del territorio, ricco di sostanze nutritive, minerali, dal clima favo-revole, che oggi giustifica la produzione della pregiata uva da tavola. Nel passato però la ricchezza del paese era assicurata da un’agricoltura che si basava sul cotone, ritenuto il più pregiato della Puglia, sulle erbe da tingere, le galle, e sulla stravisaria. A questo punto è opportuno chiarire un momento la natura di questi vegetali da noi oggi scomparsi. La galla, erba da tingere nota come galla corninculata, è un’escrescenza che si for-ma sui tronchi delle quercie, alberi che nel ‘600 popolavano le lame del nostro territorio. Le galle contengono molto tannino utilizzato nella tintura e concia delle pelli. L’altra pianta, la stravisaria, anche questa oggi quasi

Noicàttaro: Arco Franchini, demolito nel 1974.

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scomparsa, era utilizzata dalle popola-zioni pugliesi per curare la calvizie ma soprattutto come infuso per prevenire e combattere i pidocchi. L’autore della descrizione aggiunge che di quest’erba si “fa molto commercio con il Levante ottomano senza sapersene l’uso”. Ma quali erano i veri motivi del successo di quest’erba presso le popolazioni arabe?La chimica e la botanica oggi hanno fi-nalmente svelato questo mistero di cui però i medici arabi, grandi esperti di chimica nel passato, ne erano a cono-scenza. Dalle analisi fatte recentemen-te si è scoperto che la stravisaria, pur essendo velenosissima, contiene degli alcaloidi, principi attivi, importanti per curare l’impotenza maschile. Si spiega

così il grande successo commercia-le della pianta esportata dai noja-ni in Oriente, utilizzando i porti di Mola, Monopoli e Bari. Notevole era anche la produzione e commer-cializzazione dell’olio alimentare e lampante. L’economia agricola del territorio nel ‘600, basata soprattut-to sul commercio di questi vegetali, florida e promettente, giustificò al-lora il grande investimento politico ed economico dei Carafa, potente famiglia del Vicereame di Napoli.

Noicàttaro: via Antica.

Il cippo di Lepanto.

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In via Signora Emilia, nel passato detta via di Gerusalemme, è presente una lapide settecentesca con su scolpito l’emblema del Commissario Generale di Terra Santa. È riportato anche il nome dell’autorità “F. Bernardino da Noja” e la data 1766. Da ricerche fatte nell’archivio notarile di Bari, risulta che la casa su cui è posizionata la lapide, fino al 1934, era di proprietà del Monastero di Gerusalemme.Proseguendo sulla strada, nella traversa di via Antica, sono collocati frontalmente a una vecchia cappella, i due cippi che evocano la battaglia di Lepanto del 1571, dove partecipò come comandante di galee il primo duca di Noja, Pompeo Carafa. Lo stesso duca è raffigurato nella cappella della Madonna di Costantinopoli, nella Chiesa Madre.Sempre su via Antica è collocata una finestra murata che corrisponde a un vano utilizzato a sepolcreto del 1464.

Via Antica: il cippo di Lepanto imbrattato di spray.

IL PALAZZO DEL DUCA

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Quella dei Carafa è sta-ta una delle più nobili e in-fluenti famiglie napoletane, che annoverò tra i suoi mem-bri consiglieri del Re, giudi-ci, letterati di fama europea e persino un pontefice, papa Paolo IV Carafa. A governa-re Noja furono i Carafa della Stadera, uno dei rami della famiglia.I Carafa, a differenza di altre casate nobiliari che preferiro-no amministrare da Napoli i loro domini, abitarono nel pa-ese e gestirono il territorio fino al 1806, anno in cui fu abolita la feudalità.II governo dei Carafa diede subito un nuovo impulso alle attività economiche del ducato. Infatti la popolazione nel ‘600 passò da 2500 abitanti a 3700 circa. Tutto questo apportò grandi modifiche alla struttura urbanistica del nucleo medievale di Noja che ruotava a forma di mandorla attorno alla Chiesa Madre. In questo secolo, per far fronte alla richiesta di nuove abitazioni e soprattutto di locali adatti ad ospitare le attività commerciali e agricole sorte, i duchi Carafa rivoluzionarono il vecchio nucleo abitato favorendo la costruzione del borgo del Carmine sulla strada per Mola, del borgo degli “stazzuni” in via Rutigliano, urbanizzando anche la strada per Bari. L’antico abitato medioevale circondato dalle mura normanne, da bastioni e fossati, venne in parte modificato per accogliere la piccola corte dei Carafa. Le mura e le torri cilindriche furono abbattute e le pietre utilizzate per costruire case, strade, chiese nelle nuove zone di espansione. Il fossato che circondava il paese fu riempito e utilizzato per nuove costruzioni in via C. Battisti, con i relativi giardini.Anche il castello di Noja, costruito dai Normanni a difesa dell’abitato dal pericolo bizantino e turco, subì una notevole trasformazione. In un primo tempo i duchi Carafa lo ristrutturarono utilizzandolo per la loro abitazione.

Noicàttaro: stemma araldico del portale d’ingresso del castellocon i simboli delle famiglie Skanderberg, Carafa,

Pappacoda e Mendoza

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Infatti al duca Pompeo I, nel 1591, si deve l’attuale portale d’ingresso nel castello sormontato dallo stemma della famiglia. In questa opera di grande rinnovamento economico e sociale, i duchi si allearono con la chiesa nojana, potente ed economicamente forte per le notevoli rendite di terreni e fabbricati posseduti. Conseguentemente i Ca-

rafa favorirono l’ampliamento della Chiesa Madre e la costru-zione del convento dei Carmeli-tani in via Mola e dei Cappuc-cini sulla strada per Rutigliano, con annessa la biblioteca famo-sa in tutto il Regno di Napoli. Il governo “illuminato” dei du-chi abolì la famigerata gabella dell’ottava sulle numerose pro-prietà ecclesiastiche. In cambio

Noicàttaro: via Crapruzzi, ipogeo del Greci.

Ipogeo del Greci, epitaffio, 1464.

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della rinuncia ad una così co-spicua rendita, i Carafa si as-sicurarono l’appoggio del clero nell’opera di rinnovamento civi-le ed economico del paese. Ed infatti i risultati di questa poli-tica lungimirante non tardarono a venire. Il clero nojano, libe-rato dalle angherie economiche di Bona Sforza, operò positiva-mente investendo parte delle rendite fondiarie in una scuola di grammatica presso la Chiesa del Soccorso, oggi scomparsa, e istituendo un ospedale presso la Cappella dello Spirito Santo. Numerose furono le confraterni-te dedite all’assistenza dei più bisognosi. Con l’apertura dei Monti di Pietà, dotati di capitale frutto di donazioni private, si intervenne anche per prevenire fenomeni di usura e di estrema povertà conseguenti alle crisi agricole.Grande fu il rinnovamento culturale presso la popolazione, coinvolta in cerimonie religiose solenni e processionali, ma anche in attività teatrali favorite nei locali dei conventi. Infatti risulta attivo in questo periodo un locale teatrale nel convento dei Carmelitani, in via Mola. Ma l’espressione più matura di questo clima rinnovato fu la presenza di tre illustri uomini di cultura, famosi umanisti in tutto il Vicereame di Napoli: David Gallo, Pietro Carocci e Gian Battista Gassi. I tre intellettuali, nati a Noja, si formarono presso le scuole religiose del paese, imponendosi nel ‘600 con produzioni poetiche e teatrali. La ricchezza accumulata dai mercanti (la famiglia Positano era già attiva in questo periodo), 1a coltura estensiva del cotone, delle erbe coloranti e dell’olio, ormai imponevano alla fine del ‘600 scelte coraggiose nell’urbanistica civile e commerciale. Per rispondere alla complessità delle nuove esigenze logistiche, i duchi Carafa decisero di abbandonare in parte il vecchio Castello facendo costruire un palazzo grandioso,

Noicàttaro: Palazzo Carafa.

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imponente, di grande impatto visivo, circondato dal verde, più adatto al ruolo di una dinastia ormai affermata nel sudest barese. La scelta operata per la nuova costruzione cadde su un terreno non lontano dal vecchio castello, collocato tra via S. Anna e via C. Battisti, costruzione conosciuta come palazzo Crapuzzi. L’immobile visibile nella sua splendida simmetrica mole, immerso nel verde di palme e agrumi del vecchio fossato, caratterizzato da barocchi festoni che incorniciano porte e finestre, ha un accesso carrozzabile da un portale seicentesco da via Battisti. Sulla facciata imponente si conserva uno stemma nobiliare, quello della famiglia Caracciolo. L’altro stemma appartenente ai Carafa, sicuramente posizionato simmetricamente sul lato nord della facciata, è andato distrutto insieme ai decori delle finestre, in una ristrutturazione agli inizi dell’800. Lo stemma riprodotto in stucco sulla facciata rappresenta un sole con il volto umano, simbolo di grazia divina provvidenza e fede, cortesia, chiarezza di sangue, sapienza e magnificenza, circondato da venti raggi. Soffia allontanando nuvole di fumo che si alzano dai tre monti rappresentati in rilievo alla base dell’arma. Il nuovo palazzo ducale, voluto per magnificare la potenza della famiglia Carafa, fa completato dal duca Giovanni II e dalla moglie Giovanna Giudice Caracciolo probabilmente nel 1665.

1633: I CARAFA NEL FEUDO

DI RUTIGLIANO

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I duchi di Noja, grazie alla presenza di un gruppo di piccoli imprendi-tori, alle nuove culture impiantate nel territorio, al terreno fertile e soprat-tutto con una perspicace politica familiare tendente a creare alleanze ma-trimoniali con altre casate e tessere rapporti di buona collaborazione con il potere ecclesiastico, erano diventati alla fine del ‘600 una delle famiglie nobili più potenti della provincia di Bari. E così inizia anche una fase di espansione territoriale del feudo nojano: i Carafa prendono in affitto, nel 1633, dal Capitolo di S. Nicola di Bari il feudo di Rutigliano per 70 anni. Quali i motivi di questa acquisizione? Lo storico Solimena afferma che Rutigliano in quel periodo si trovava in difficoltà economiche e finanziarie, perché riusciva a malapena a coprire le uscite con le rendite delle gabelle. I Carafa anticiparono con l’affitto, al comune di Rutigliano, la rilevante somma di 20.600 ducati.

Rutigliano. Chiesa rurale di S. Lorenzo

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Noicàttaro, via Fossato: archetto di collegamento della condotta pluviale con la cisterna.

Noicàttaro: via Fossato, resti della condotta ducale delle acque pluviali portati alla luce a seguito dei lavori di recupero della strada, nel 2016. I reperti sono stati bonificati e interrati.

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Questo uno dei motivi, l’altro va cercato nell’ipotesi avanzata da un altro storico di Rutiglia-no, Cardassi.Noja, alla fine del ‘600, si era espansa al di fuori delle vec-chie mura medioevali. La nuo-va realtà economica soprattutto legata alla commercializzazio-ne del cotone, imponeva una crescente ricerca di risorse idriche, non essendo più suf-ficienti le piccole cisterne do-mestiche sotterranee che rac-coglievano le acque piovane. Il Duca di Noja, preoccupandosi di tutto questo, cercò di dare una soluzione. In che modo?I Carafa fecero ristrutturare, al-largandola, una vecchia cister-na costruita dai Normanni nel castello di Noja, tuttora esi-stente nel piano sottostante l’atrio.Pensarono di collegare poi la cisterna con un canale sotterraneo al pozzo di S. Lorenzo sito presso la chiesa omonima rurale in territorio di Ruti-gliano, ricchissimo di acqua sorgiva, fresca e potabile. Ma questa soluzio-ne non trovò l’accordo dei Rutiglianesi che si presentarono un giorno, nu-merosi e armati, sul cantiere di lavoro del canale, uccidendo l’architetto incaricato dal Duca.A questo episodio si aggiunse la difficoltà nella gestione dell’antica fiera notturna di S. Lorenzo. La fiera in questione, avvenimento religioso ed economico di grande importanza, era stata concessa ai Rutiglianesi da Bona Sforza, regina di Polonia e duchessa di Bari, nel maggio del 1543 dopo che alcuni notabili del paese si erano recati a Cracovia. I Duchi Carafa, cercarono di svilire l’importanza della fiera di S. Lorenzo, che durava nel passato ben otto giorni, istituendo a Noja, a metà luglio, la

Rutigliano. Masseria fortificata di Pannicelli.

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fiera del Carmine, con enorme disappunto dei Rutiglianesi che videro così ridotti i volumi dei loro affari.Ma il motivo di attrito più evidente i duchi Carafa lo ebbero con i conti Acquaviva di Conversano e si verificò nel bosco di Pannicelli.I rapporti tra le due casate nel passato non erano mai stati buoni, ma gra-zie ad alleanze matrimoniali e all’intervento del potere centrale spagnolo, i rappresentanti delle due famiglie riuscivano quasi sempre ad attenuare i naturali attriti che sorgevano anche per le questioni più banali.Così però non avvenne nel 1671!

I CONTI ACQUAVIVA D’ARAGONA SIGNORI

DI CONVERSANO

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È opportuno a que-sto punto parlare della storia della contea di Conversano per meglio comprendere gli svi-luppi degli eventi. La contea nasce nel 1054 con il signore norman-no Goffredo d’Altavil-la. Ebbe come centro la città di Conversano e comprendeva anche Castellana, Noci, Nar-dò e, con il bosco di Marchione, toccava i territori di Rutigliano e Noicàttaro.Nel 1455 il feudo passò agli Acquaviva, grazie al matrimonio tra Cate-rina Del Balzo e Giulio

Antonio Acquaviva, duca d’Atri e conte di Teramo.Da questa data ebbe inizio una lunga serie di conti Acquaviva che, attraverso le intricate e avventurose vicende di 19 titolari diversi, lungo quattro secoli di storia costellati da duelli e patti di sangue, tradimenti e aspri combattimenti con le armi bianche, caratterizzerà profondamente la storia di Terra di Bari.Nell’interminabile serie dei conti Acquaviva, moltissimi sono quelli che si distinsero per il valore guerriero e per l’attenzione prestata alla cultura. Il capostipite degli Acquaviva di Conversano, Giulio Antonio, fu un valoroso guerriero che si distinse nella guerra di Toscana (1478). Tornato in Pu-glia, a seguito dell’arrivo ad Otranto della flotta dei Turchi saccheggiatori, combattè strenuamente i musulmani e cadde ucciso in combattimento il 6 febbraio 1481.A riconoscenza dell’eroica morte dell’Acquaviva, il Re di Napoli Ferdi-nando I d’Aragona, insignì la memoria di Giulio Antonio e dei suoi di-scendenti con il titolo reale d’Aragona.

Conversano: il castello.

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Anche il figlio di Giulio Antonio, Andrea Matteo, fu un coraggioso guerriero ma an-che abile mecenate, traduttore e commen-tatore di Plutarco. Arricchì il castello di Conversano di una preziosissima biblioteca e di una delle prime stamperie del Regno di Napoli.Ed ecco che, finalmente, si incontra la figu-ra più nota: Girolamo II d’Aragona, duca di Nardò, conte di Castellana, conte di Con-versano, il famigerato “Guercio delle Pu-glie” che tenne la contea dal 1626 al 1665.Attorno al personaggio la storia si intreccia con la leggenda: fughe tempestose nei cu-nicoli segreti del castello sino alla lontana chiesa di S. Maria dell’Isola.Molte furono le malefatte del Conte: pare che si divertisse con il fucile a centrare le brocche con cui le popolane attingevano ac-qua dai pozzi di Terra Rossa.

Ed ancora fece decapitare 12 ca-nonici di Nardò, colpevoli di es-sersi opposti al suo potere nella città. Condannato dal Re di Spa-gna, scontò 16 anni in prigione.Nonostante i citati atti di inusita-ta violenza, il Conte fu un uomo dedito alla cultura. Sposò Isabel-la Filomarino dei principi della Rocca, proveniente da una delle famiglie più prestigiose di Napo-li. A lei, donna di sommo avve-dimento e valore, toccò il com-pito di curare gli interessi della contea di Conversano, dopo la condanna del marito. Con Gian-girolamo ed Isabella il nesso tra

Conversano: Santa Maria dell’Isola, monumento funerario

di Giulio Antonio Acquaviva

Conversano: Santa Maria dell’Isola, epitaffio.A Dio ottimo massimo. Giulio Antonio Acquaviva, duca

d’Atri e conte di Conversano, conseguendo una grandissima gloria fra i soldati con impegno e sangue, combattendo

valorosamente al comando dell’esercito del regno di Napoli contro i turchi nemici del Cristianesimo che volevano

sottomettere l’Italia, morì presso Otranto l’8 febbraio 1481, con la gloria del cielo al posto di quella militare.

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potere e cultura divenne assai stret-to, tanto che la loro città si arricchì di numerose opere d’arte: si pensi agli affreschi della Chiesa di S. Co-sma, di S. Benedetto e del Carmine eseguiti dal grande pittore napole-tano Paolo Finoglio, autore delle 10 enormi tele sul tema della “Gerusa-lemme Liberata” di Tasso. Risiedendo costantemente a Con-versano, i conti Acquaviva fece-ro del castello la propria dimora e adeguarono l’antica struttura milita-re alle proprie esigenze. Ampliaro-no le fabbriche con nuovi spazi e con ambienti dotati di funzionalità, ma non mancarono di rinforzarli con solide strutture.La torre cilindrica posta al vertice nord del castello è opera del conte Giulio Antonio. In corrispondenza dell’angolo orientale, nel 1503, fu costruita la compatta torre poligonale, adeguata alle nuove tecniche militari che facevano uso di armi da fuoco. La condotta dei conti successivi toccherà alti e bassi. Il figlio del Guercio, Cosimo, morì in un duello contro il duca di Martina. Il nipote, Giulio II, sarà l’autore della guasconata a carico del Duca di Noja e il protagonista del famoso duello di Norimberga.

Paolo Finoglio: autoritratto.

Conversano. Il castello: torre poligonale.

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A DIO OTTIMO MASSIMOA GIANGIROLAMO ACQUAVIVA

IX CONTE DI CONVERSANO E III DUCA DI NOCI E A SUA MADRE CATERINA ACQUAVIVA DUCHESSA

DI NARDO’BIAGIO ACCOLTI GIURECONSULTO COSTRUITO LA CASA

PER DONO DEGLI OTTIMI PRINCIPIALLA QUALE E’ STATA CONCESSA L’IMMUNITA’

PROMETTE DI LEGARE IL PROPRIO ANIMOE DI CONSACRARE PER SEMPRE LA PROPRIA VOLONTA’.

1616

Conversano: palazzo Biagio Accolti-Gil.

CONVENTO DI S. FRANCESCO, RUTIGLIANO:

LA SFIDA

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Lo storico conversanese Bolognini così descrive il grave episodio che portò al duello... “Già da gran tempo forti ran-cori e inimicizie, per contese giurisdizio-nali, dividevano le due potenti famiglie baronali del nostro territorio, gli Acqua-viva di Conversano e i Carafa di Noja, per culminare ed esplodere nel 1671. Ecco cosa accadde: il Duca di Noja don Giovanni Carafa, avendo acquistato come si è detto dalla Chiesa S. Nicola di Bari la giurisdizione civile sulla masseria for-tificata di Pannicelli, in territorio di Ru-tigliano, emanò un bando con cui indice-va che nessuno senza sua licenza poteva far la caccia in quella terra di recente comprata confinante con quelle del conte di Conversano Giangirolamo II Acquavi-va, fratello di Giulio.Gli Acquaviva, che in passato avevano sempre esercitato in quei luoghi la caccia ai cinghiali, si ritenevano padroni di essi e, a dispetto del bando ducale,

continuarono nel loro preteso diritto. Infatti nella primavera del 1670, mentre amici ecclesiastici e familiari dei Carafa cacciavano nel bosco, improvvisamente furono circondati da armigeri del conte di Conversano e, condotti in prigione, accusati ingiustamente di aver invaso un territorio non di loro pertinenza.La reazione da parte del duca Carafa di Noja non si fece troppo aspettare, giacché ad un vassallo del conte di Conversano, un certo tavernaio di Castellana, recatosi in Noja per vendere il vino, furono per ordine del Carafa, tagliati il naso e le orecchie, con dichiarazioni che tale sfregio era inteso fatto allo stesso Conte suo padrone.L’offesa era troppo atroce per gli Acquaviva per rimanere invendicata. Il conte Giangirolamo affidò al fratello Giulio il compito di vendicare l’oltraggio”. Don Giulio Acquaviva, futuro conte, era un giovane aitante nella persona, d’ingegno fervido e vivace, d’indole irrequieta e torbida e

Rutigliano: croce dei Cappuccini in via Adelfia.

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valentissimo tra i primi nelle arti cavalleresche. Il giovane Acquaviva fece pervenire a Francesco Maria Carafa un atto di sfida registrato dal notaio Angelo Buono, invitandolo a presentarsi presso il convento di S. Francesco in Rutigliano per regolare con un duello la contesa territoriale. Il duca Carafa non si presentò all’appuntamento presumibilmente perché i duelli erano stati vietati dalla Chiesa e dalle autorità spagnole, pena la confisca dei beni. Il verbale della mancata sfida fu scritto dal giudice rutiglianese Domenico Carnale che così racconta l’episodio: “3 settembre 1670 in Terra Rutiliani e propriamente nel Convento di San Francesco.Ad istanza fatta per parte dell’Ecc.mo Conte della città di Conversano… hoggi predetto giorno tre del corrente siamo stati chiamati noi Giudice Notaro e Testimoni ad hore dieci nove e mezza in questo Convento dei Pa-dri Conventuali di Rutigliano ove ci habbiamo ritrovato S. Ecc.za del Sig. Conte di Conversano rapresentandoci che stava in detto luoco aspettando il Sig. D. Franc. Maria Carrafa per causa di disfida, secondo il viglietto

mandatoli per mano di Notar Angelo Buono e mentre in detto viglietto si diceva che si stava aspettando detto Sr D. Franc. Maria per tutto li ventitre hore di questo presente giorno e per non essere comparso nel tempo determinato nel presente luoco, ci ha richiesto che facessimo atto pubblico per intendità di detto Ecc.mo Sig. Conte, come già habbiamo stipulato in pre-senza di detto Ecc.mo Signore dopo finito le vinti tre hore…Coram Donato Ant. Capotorto, Hieron. Pascalicchio e Grazio dell’Erba di Rutigliano testi-bus”.L’offesa dunque restava inven-dicata.

Rutigliano: particolare della croce, simbolo di eterna fedeltà dell’Ordine al Signore Crocifisso.

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I nobili Acquaviva trascorsero l’inverno a rimuginare sulla contesa ancora aperta e a trovare una soluzione. Alla fine prevalse l’irruenza del giovane rampollo Giulio Antonio, nipote del conte di Conversano. All’alba del 14 marzo del 1671 irruppe con 500 cavalieri nel Palazzo Ducale di Noja: il duca Carafa e la moglie Teresa Giudice Caracciolo erano ancora a letto.Un cameriere del Carafa, continua lo storico Bolognini, gridando al tra-dimento, volle opporsi, ma ebbe subito il capo mozzato da uno sgherro dell’Acquaviva. Questi intanto con i suoi più fidi, penetrato a spada tratta nella camera da letto del Duca, lo apostrofò dicendogli: “Duca di Noja mi conosci?.” “Ti conosco, rispose il Duca, sei don Giulio Acquaviva”, e nel dire così tentò di buttarsi dal letto, ma fu trattenuto per il naso dall’Ac-quaviva, e subito ordinò ad un suo schiavo, armato di rasoio, di tagliare il naso e le orecchie al Duca di Noja.La Duchessa in preda già al più grande spavento, nell’udire il crudele ordine dato dall’Acquaviva, levatesi seminuda dal letto, gli gridò spaven-tata: “Signor don Giulio, comportatevi da cavaliere… non uccidere il mio Duca!”E don Giulio, fermando in tempo il braccio allo schiavo, rispose con ga-lanteria: “Obbedisco, perché così comanda la signora Duchessa. Il Duca però verrà con me in un’altra camera con promessa di rispettargli la vita”.

Rutigliano: Convento di S. Francesco, resti.

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Si dice che il nobile conversanese in cambio della pena prestabilita aves-se sacchettato con sabbia l’infelice Duca e gli avesse strappato due ciuffi di capelli, costringendolo a firmare una ricevuta per l’offesa patita.Ritornati nella stanza da letto don Giulio, dopo aver dato uno spintone al suo avversario buttandolo in malo modo addosso alla Duchessa semiviva, con aria di spavalderia, sparò alcune pistolettate al capezzale del letto per lasciare tracce della sua personale presenza.Si vuole anche che uno dei bravacci di Giulio, preso da subitaneo e matto furore, si fosse lanciato sul povero Duca per evirarlo.Alle grida strazianti della Duchessa, l’Acquaviva fu pronto ad impedire il barbaro scempio, ma non impedì che i suoi sgherri si dessero a sac-cheggiare il Palazzo Ducale. Per un così crudele oltraggio l’infelice Duca di Noja morì poco dopo in Bari, nel 1671. La spedizione punitiva era or-mai avvenuta e la notizia di essa, diffusasi rapidamente per ogni dove e giunta a co-noscenza dei fratelli del Ca-rafa, don Francesco e don Ridolfo, che erano in Napo-li, destò subito nell’animo di costoro fiera e assillante l’idea della vendetta.I Carafa tentarono prima di far arrestare don Giulio che però, nel frattempo, aveva trovato rifugio a Venezia.Allora nella Repubblica Veneta i Duchi di Noja in-viarono un sicario, l’abate Milone, con il compito di uccidere don Giulio. Il fu-turo Conte di Conversano, informato in tempo dalla nonna Contessa Filomarino del complotto organizzato, uccise l’abate, lo scorticò e

Noicàttaro: Palazzo Carafa.

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della sua pelle fece un trofeo tenuto esposto nella sala d’armi del castello di Conversano.Dopo questo episodio, la tensione tra le due famiglie salì alle stelle e molti tentativi di mediazione e di pacificazione furono intrapresi da più parti. Alla fine, nel 1672, si decise di chiudere con un duello la contesa familiare, affidando l’onore del ducato di Noja a don Francesco Carafa e quello del casato di Conversano, a don Giulio Acquaviva. Solo una città, nell’occidente cristiano, concesse lo steccato per la sfida: Norimberga, in Germania.

Norimberga: stampa dell’epoca con il combattimento a due mani.

IL CAMPO FRANCO DI NORIMBERGA

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Perché la scelta del luogo del duello cadde su Norimberga, città tede-sca della Baviera, distante da Noja e Conversano ben 1400 Km? E proprio da una lettera di don Giulio Acquaviva si viene a conoscenza dei particolari della richiesta del campo franco nella lontana città bavare-se, in quella Germania protestante che non aveva mai condiviso i decreti dei papi. In questa preziosa lettera don Giulio spiega i motivi del suo trasferimento nella città bavarese: “Gli imbarazzi nati due anni sono tra la nostra casa di Conversano con quella di Noja sono stati stimati sempre da persone di sano e di spassionato giudizio da doversi terminare fra noi per via di duello con armi da cavaliere, ma per diverse diligenze, che si siano fatte dall’una e dall’altra parte per via di manifesti e di chiamate, non è stato possibile mai appurarsi il fatto del modo che lo richiedeva e richiede il caso, per essersi di continuo attraversati inopinati impedi-menti, e particolarmente quello del non potersi avere campo franco. Per la qual ragione e anche per appurare ogni altra difficoltà e differenza, mi sono trasferito in questa città di Norimberga, città libera e franca, e an-che protestante, non soggetta al Papa, dove da Signori Illustrissimi Sena-tori e Governatori d’essa città è ottenuta detta assicurazione.

Norimberga. Veduta degli inizi del ‘600.

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Pertanto io don Giulio Antonio Acquaviva d’Aragona manifesto al mondo la chiamata che faccio al signor don Francesco Carafa di Noja

al detto luogo, dichiarando chiamarlo e lo chiamo a sin-golar duello con le sopradette armi per la soddisfazione che mi deve come cavaliere per la tagliata del naso da esso temerariamente operata per mezzo dei suoi agenti in per-sona d’un nostro vassallo in mio pregiudizio, assegnando un mese e mezzo di tempo dal dì della chiamata che si fa oggi con questo manifesto in Napoli. Anzi per mia maggior sicurezza se ne fanno far co-pie e si faranno pubblicare per molte e cospicue città del Re-gno, e a suo tempo anche per

molte città d’Italia, d’Alemagna e di altri Regni.”Quindi a Norimberga, città libera e franca e protestante, ma soprattut-to non soggetta al Papa, come dice don Giulio Acquaviva, lontana dalla Puglia 1400 km: per raggiungerla i due nobili avrebbero dovuto attraver-sare mezza Europa, a piedi, a cavallo o il mare Adriatico fino a Venezia, affrontando pericoli d’ogni genere.Ebbene, tutto questo non fermò gli impavidi duellanti che, con le rispet-tive compagnie, raggiunsero Norimberga nell’agosto del 1673. Adesso è opportuno dare la parola alle cronache tedesche del tempo che raccon-tarono in presa diretta il duello.In questo capitolo infatti, nella traduzione dei testi originali dei mano-scritti custoditi nell’Archivio della città di Norimberga, viene descritto quello che accadde il 5 novenbre 1673.

Norimberga: Schöner Brunnen, particolare.

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In una piazza antistante il lazzaret-to, migliaia di persone, cavalieri, dame e nobili accorsi da tutta l’Eu-ropa, attendevano trepidanti il tan-to atteso evento. Il Carafa e l’Acquaviva, con ca-micie ricamate in oro e argento e i lunghi capelli legati, si affronta-vano nell’ultimo duello per porre fine, nella lontana Germania, alle annose lotte delle famiglie più po-tenti del Viceregno di Napoli.

14 agosto 1673Dipartimento delle scuole tedescheAl qui presente rappresentante del Casato di Conversano si deve per-mettere (anche se non è scritto sul salvacondotto) che insieme ai suoi possa mangiare in una locanda e rimanere lì per un pò di tempo.

Novembre 1673In quest’anno due principi spagnoli, un certo Acquaviva e Carafa, si sono battuti alla loro maniera a piedi con spade e pugnali vicino all’o-spedale militare. Sono venuti da Napoli fin qui per battersi, perché non volevano farli bat-tere a nessuna altra parte.L’Acquaviva era un uomo molto alto, alloggiava al Bitterholz ed ha aspettato il Carafa per molto tempo. Durante l’attesa si esercitò con il fioretto e il pugnale. Quando il Carafa arrivò, alloggiò all’Oca d’Oro. Fu concordato che dovevano battersi fino all’ultimo sangue, ma con la me-diazione di altri cavalieri, fu deciso che il duello doveva durare fino al ferimento di uno dei due e così fu. Dopo di che ben vestiti raggiunsero la piazza con una carrozza, si tolsero le giacche e dopo l’inchino cominciò

Norimberga: Schöner Brunnen, particolare.

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il duello. Il Carafa cadde all’in-dietro, ma gli accompagnatori, il signor Kresser e il colonnello Muenster intervennero in modo da farlo rialzare. Dopo aver duellato a più riprese, il Carafa fu ferito al braccio. In seguito a ciò deposero pugnali e spade e si abbracciarono, diventando di nuovo amici, si sedettero vicini nella carrozza e si diressero alla locanda Oca d’Oro.

5 Novembre 1673: il duello.Il 5 novembre due principi na-poletani, don Giulio Antonio

Acquaviva d’Aragona e don Francesco Carafa di Noja dopo due anni e tanti mesi di odio si sono ritrovati di fronte. Per mettere fine a quest’o-dio non c’era rimedio se non un duello da cavalieri. Per battersi hanno scelto la Germania, un posto tranquillo di una piazza presso il lazzaretto all’entrata di Norimberga. L’Acquaviva arrivò molte settimane prima del Carafa, aspettando il Carafa al Bitterholz insieme a diverse persone. Quando finalmente arrivò il Carafa, che alloggiava all’Oca d’Oro, fu scelto per il duello il 5 novembre.Il giorno del duello arrivarono entrambi, prima lo sfidato e poi l’altro, ognuno con i suoi accompagnatori.La piazza fu circondata da cavalli e cavalieri. Alla presenza di più di duemila persone di alto e basso rango, gli sfidanti con camicie ricamate in oro e argento e capelli legati, si scontrarono con pugnali e spade in modo così violento da destare stupore. Questo scontro durò così a lun-go finché finalmente al settimo assalto, dal momento che non volevano smettere fino a quando uno dei due non veniva colpito a sangue, il Ca-rafa subì una ferita da taglio al braccio che sanguinava. Sebbene aves-

Norimberga: Schöner Brunnen, particolare.

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se ancora voglia di continuare a combattere, ciò gli fu impedito dai suoi accompagnatori. Gli sfidanti vennero convinti a deporre le armi. Dopo di ciò oltre a stringersi la mano, si abbracciarono e baciarono. Si misero nella carrozza e si recarono nelle locande dove alloggiavano.

7 novembre 1673II sig. Friederick Volkamers ha fatto un rapporto riguardante il sig. Giu-lio Antonio Acquaviva in persona e Francesco Carafa rappresentato da un amico.

Nel rapporto si accenna al fatto che i cavalieri napoletani si sono presentati in municipio per riferire delle corte-sie e dei favori ricevuti da un nobile e saggio consigliere. E per questo han-no pubblicamente ringraziato.Friederick Volkamers

8 novembre 1673Ai sigg. Giulio Antonio Acquaviva e Francesco Carafa devono essere rega-late 18 brocche di vino a testa, conse-gnate dal commissario Kucheln, che può comunicare in latino o italiano.Il Borgomastro

Fin qui i registri del comune di Norimberga.Qualche tempo dopo, per festeggiare la felice conclusione del duello, uno sconosciuto tipografo di Norimberga pubblicò e fece diffondere in Germania un manifesto celebrativo, di cm 60x30 circa. Il manifesto pre-sente al British Museum e nell’Università di Francoforte, è stato casual-mente individuato da Agostino Montedoro nell’archivio digitale delle suddette istituzioni.

Norimberga. Riproduzione del manoscritto originale.

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Il manifesto della sfida al duca di Noja. Napoli, 1673.

RITTER KAMPF: IL MANIFESTO

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“I nostri due cavalieri cercano di far rivivere valori fuori dal tempo come virtù, gagliardia, ardire. E’ significativo che i signori di Noja e Conversano non accettino la degradazione della loro storia, la loro storia va difesa anche a costo di farla diventare un evento ludico, un evento quasi sportivo. Però dietro tutto questo gioco c’è la volontà di riaffermare una storia centenaria di famiglie che non vogliono cedere potere alla modernità e allo stato moderno e in qualche modo rivendicano dei valori che stanno entrando in crisi sostituiti non necessariamente da valori migliori.”Così inizia il suo intervento il prof. Sebastiano Valerio nel pomeriggio di lunedì 8 agosto, in occasione della consegna simbolica del manifesto di Norimberga al Comune di Conversano nelle mani del sindaco Giuseppe Lovascio.“Siamo nel 1673, nel trionfo delle armi da fuoco, e vediamo come questo duello sembra fuori dal tempo, combattuto con spada e pugnale come cavalieri medievali. Una controversia tra famiglie finisce per diventare uno spettacolo. Guardiamo il manifesto, sembra più manifesto di una partita di calcio che di un duello all’ultimo sangue. È questo il periodo del barocco e il duello viene elevato a spettacolo: i ritratti aulici dei duellanti, il pubblico numeroso accorso da tutta Europa, i padrini. Diamo uno sguardo anche al paratesto, frasi che circondano tutto il duello, di Sallustio… l’armonia fa crescere le piccole cose, la discordia fa impoverire, e di Plinio…nessun corvo attacca i leoni.. Detti che sembrano contraddire proprio il duello stesso, in realtà per mettere in evidenza l’atto finale: l’abbraccio e la ritrovata pace tra le due famiglie.”

Manifesto del Duello pubblicato a Norimberga nel 1673.

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Folate di aria fresca e molti curiosi che si avvicinano attratti dall’insolito evento collocato nelle manifestazioni delle “Notti della Contea”. Conclude il professore richiamando le tavole di Finoglio della Gerusalemme Liberata, commissionate proprio dagli Acquaviva, “dove proprio nel duello tra Tancredi e Clorinda troviamo la chiave di volta per comprendere gli ideali a cui si ispiravano i nobili duellanti: celebrare un’idea di nobiltà e di giustizia fra nobili, rifiutando il codice civile dello stato moderno che si stava affermando”

Qui di seguito il testo originale tedesco del manifesto con la traduzione italiana.Der TextFuertrefflicher Ritter=Kampf / Der zweyen Neapolitanischen Fuersten D. Francesco Carafa de Noja. und D. Guilio Antonio Aquaviva de Aragona. am 5 15. Novemb. 1673.Die Wolmeinung der unpartheyisch-verstaendigen ist jederzeit dahin gegangen / daB die zwischen beyden hohen Neapolitanischen Haeusern de Conversana und di Noja, biB auf zwey Jahr und etliche Monat ausgeschlagene Tod=Feindschafft / am besten durch ein Duell mit Ritterlichen Gewehren koenten ausgetragen und beygelegt werden: Zu dem End dann gleich Anfangs ein bequemer Platz zu Vollziehung dessen gesucht / niemals aber gefunden worden / als am 5/15 Novemb. dieses

Ritratti dei duellanti di Norimberga.

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Jahrs / da auf ordentliche Ausforderung / von D. Aquaviva geschehen / D. di Noja, mit beyderseits erbetenen Secunden erschienen / die zweyfache Gewehre / als Dolchen und Degen gegeneinander gemessen / und darauf in Beyseyn und Ansehen etlich 1000 hoher und niderer Personen aufeinander gegangen. Der KreiB war von Pferden und Reutern umschlossen. D. Aquaviva so der erste / als Forderer / auf dem Kampf= Platz gewesen / erwartet / mit besonders verspurtem Eifer / biB D. Carasa sich zum ersten Gang in Postur stellen wuerde. S auch nicht gesaeumet. Sie stunden beyde mit subtilen von Silber und Gold ausgemachten Camisolen zugegen / die noch vor dem Kampf von denen Secunden eroeffnet / und ob kein Vortheil darunter verborgen / besichtigt worden. Vorhero aber liesen sie ihre Haare aufbinden / und erwarteten einander mit blosen Haeuptern. Der Angriff geschahe mit solcher Annehmlichkeit der Geberden gegen die Anwesende / daB sie gleichsam / als ihnen fiir die Beywohnung zu danken / sich darstellten / so auch bey jedes Gangs Anfang wiederholet wurde. Hoechstgefaehrlich schien der erste Gang durch ohne Unterschied angebrachte Hieb und Stich / daB es scheinbarlich fuer eine Unmoeglichkeit gehalten wurde / es mueste dann einer der Kaempfer / sonderlich auch wegen der anhaltenden Zeit=Laenge / im Stich und auf dem Platz bleiben. Der andere Gang war zwar etwas kuerzer / weilen sie von dem ersten noch etwas ermuedet schienen: desto hitziger aber die folgenden / da nicht allein Herr Aquaviva / durch das Hembd und an das Knie getroffen worden / sondern D. Carafa auch einen ungefehrten Fall thate / und wiewol man vermeinte / sie dardurch zu Aufhebung deB Duells zu bewegen / mit Zusprechung / daB ein jeder das seinige Ritterlich gethan / und also der Sach ein Genuege geschehen sey / wollten sie sich doch nicht eher bequemen / es haette dann einer derselben eine blutige Wunde empfangen / welches erst im siebenden Gang geschehen / da D. Carafa in den Arm einen Stich bekommen / daB er davon geblutet / und sich auf dem Platz muessen verbinden lassen. Er lieB nichts desto weniger eine Begierde weiter zu fechten spueren / so aber von denen Herrn Secunden verwehret wurde / die sie zu Ablegung der Waffen beredet / auch endlich dahin gebracht / daB sie nicht allein die Haend einander freundlich gereichet / sondern sich auch umhalset und gekuesset / welches dann bey den Zuschauern eine sonderbare Bewegung der Gemuether verursacht. Worauf sie sich zusamm in die Karete gesetzt / und einander in die vorher ingehabte

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Herberge begleitet. Der Tag hiese nicht umsonst Blandina / an welchem so hefftige Feinde wieder dergestalt zu Freunden worden / daB sie einander geliebkoset.

Die Sinnspruche in den Randverzierungen lauten:Seitlich links: ,,Durch Zweytracht nimt ein groB Gut ab /”Seitlich rechts: ,,Durch Eintracht waechst die kleine Gaab.”Unten links: ,,Kein Loew faellt Loewen an / kein Schlang ein andre sticht / Kein Rab den andern hackt / kein Wasser=Thier auch nicht”Unten rechts: ,,Der Mensch nur suchet / sich in Menschen=Blut zu baden /Und will dem andern mehr / als Loew und Schlangen / schaden.”

Traduzione.Da tempo era opinione diffusa che, per porre fine all’odio mortale tra gli alti casati napoletani di Conversano e di Noja che durava già da due anni e più mesi, sarebbe stato opportuno organizzare un duello da cavalieri, con armi da cavalieri. Per questo si doveva trovare un posto adatto per lo svolgimento del duello stesso, posto che non fu mai trovato. Infine si

Conversano: la relazione del prof. Sebastiano Valerio.

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decise di farlo a Norimberga tra il 5 e il 15 novembre su proposta di don Giulio Acquaviva. Lo stesso e don Francesco di Noja si presentarono con i padrini del duello, con spade e pugnali, alla presenza di un migliaio di persone di alto e basso rango. Lo steccato del duello fu attorniato da cavalli e cavalieri. L’Acquaviva come sfidante fu il primo ad essere sul campo e attendeva impaziente fino a che don Carafa si mise in posa per il primo attacco. I duellanti indossavano delle camiciole con sottili filamenti d’argento e d’oro. Prima del duello furono controllati dai padrini per vedere se nascondevano qualcosa di illecito. Si fecero legare i capelli e si misero in posizione d’attacco a capo scoperto. Prima del combattimento i due ringraziarono i presenti e lo fecero anche per le riprese successive. Il primo attacco sembrò essere molto pericoloso e senza esclusione di colpi, il secondo fu più breve perchè sembravano affaticati: in compenso i successivi furono più violenti perchè non solo l’Acquaviva fu colpito di striscio alla camicia e al ginocchio, ma anche per la caduta del Carafa.

Si pensò anche di annullare il duello. Alla settima ripresa, don Carafa fu pugnalato al braccio che cominciò a sanguinare e dovette essere soccorso sul posto. Nonostante la ferita sanguinante, voleva a tutti i costi continuare a combattere. Ma i padrini rifiutarono e dopo uno scambio di vedute, decisero di far deporre le armi, cosa che avvenne. Dopo di ciò i duellanti si diedero la mano, si abbracciarono e si baciarono sul collo mentre il pubblico, sorpreso da ciò, acclamava. Successivamente, dopo aver firmato il verbale del duello, salirono in carrozza e si avviarono al

Conversano: Agostino Montedoro consegna copia del manifesto al Sindaco Avv. Giuseppe Lovascio.

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loro ostello. Tale giorno in seguito venne chiamato “Blandina”, perchè in quel giorno i due acerrimi nemici diventarono amici con un abbraccio.Paratesto:L’armonia fa crescere le piccole cose la discordia fa impoverire (Sallustio)Nessun leone attacca i leoni, nessun serpente morde un altro. Nessun corvo becca un altro, e nemmemo i pesci usano crudeltà tra loro.L’essere umano cerca solo di fare il bagno nel sangue umano e danneggia gli altri più dei leoni e serpenti. (Plinio il Vecchio)

Norimberga: Schöner Brunnen, particolare.

IL PRELATO DON FRANCESCO CARAFA

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Il duello di Norimberga pose fine ai contrasti e alle inimicizie tra gli Acquaviva e i Carafa. Infatti Francesco Carafa scrisse al conte di Conversano parole di estrema cortesia, offrendo i propri servigi: “Giungerà a Vostra Signoria doppiamente caro questo avviso soprattutto per l’esito del duello a mio sfavore, grazie al valore della mano che mi ha provocato la ferita, quella di vostro fratello Giulio. Spero con l’aiuto divino che la ferita non mi toglierà l’uso del braccio, perché meglio con le opere possa sempre impiegarlo in servigio di tutta la casa di Vostra Signoria. Certo

che ella mi abbia compatito nel progresso di questi disturbi passati , mi ratifico. Aff.mo Francesco Carafa”Ma la felice conclusione del duello, se portò tranquillità nei rapporti tra le due famiglie, tuttavia non modificò assolutamente il comportamento dei due duellanti, prepotenti con le loro bravate e illegalità nei confronti dei sudditi dei rispettivi territori e delle autorità governative.Adesso cercherò di raccontare, per sommi capi, qualche episodio delle tante malefatte commesse da Francesco Carafa di Noja.Don Francesco, insieme al fratello Rodolfo, praticava infatti contrab-bando di generi alimentari con l’impero ottomano e gli altri stati costieri dell’Adriatico. Il contrabbando esercitato anche da nobili non deve me-ravigliare più di tanto, perché va detto che avevano continuamente biso-gno di introiti per mantenere una vita lussuosa tra feste e banchetti e av-venture galanti nella capitale del regno, Napoli. Ma il contrabbando era anche un modo per accumulare moneta necessaria per pagare tasse esose

Noicàttaro: Palazzo Carafa, portale.

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che la Spagna, da cui dipendeva in quel tempo la Terra di Bari, impone-va anche ai baroni per finanziare le guerre contro la Francia e l’Olanda.Dopo questo piccolo riferimento storico, è opportuno ritornare in Puglia e parlare delle ribalderie di don Francesco Carafa. Nell’anno 1692, ai due nobili nojani, il Governatore di Bari sequestrò un vascello carico di olio di contrabbando. Ma i due non si diedero per vinti e con un numeroso gruppo di armati entrarono nella città di Bari e assediarono le casa del Governatore. Raggiunsero il porto e liberarono l’equipaggio prendendo possesso della nave e del suo contenuto. Questo episodio destò forte clamore nella Provincia e consacrò l’egemonia del casato Carafa proprio grazie alla spavalderia dimostrata nell’azione contro le autorità governative spagnole.Non contento di questi atti, don Francesco Carafa assunse un atteggiamento alquanto discutibile anche all’interno della sua famiglia mettendo in discussione i rapporti di potere con suo nipote, don Carlo, legittimo Duca di Noja.

Noicàttaro: il portale del castello in piazza Umberto I.

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Infatti è nota una preziosa lettera di Donna Teresa del Giudice, duchessa, che denunciò, protestando alla suprema autorità regia: “… il tirannico procedere del cognato Francesco che, sperando di diventare lui il vero padrone di questa povera terra di Noja, con diaboliche invenzioni crea dissapori con mio figlio, con grave pregiudizio della stima di cui godo nel popolo. Vi confesso che mi vedo sull’orlo della disperazione, perché screditando mio figlio, impedisce a lui di sposarsi e avere eredi. In questo modo, in caso di una sua morte, possa lui diventare Duca soddisfacendo così i suoi torbidi disegni.”Ma si conosce, dai fatti accaduti in seguito, che la situazione nel ducato

di Noja si tranquillizzò per l’intervento diretto del potere centrale e so-prattutto di alti esponen-ti della famiglia Carafa che cercarono di allonta-nare don Francesco dai territori pugliesi facen-dolo nominare prelato presso la sede pontificia a Roma.Si concludeva in questo modo inaspettato la car-riera di un nobile che, abile duellante e famoso ribaldo e contrabbandie-re, divenne in seguito un conclamato religioso a Roma.

Noicàttaro: Via S. Anna, muro esterno del castello.

I DEBITI DEL CONTE

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Altre e diverse vicen-de interessarono invece don Giulio Acquaviva, il vincitore di Norimber-ga.Per comprendere alcuni episodi che poi in se-guito saranno indicati da alcuni storici come qualificanti della perso-nalità del futuro conte di Conversano, non bi-sogna perdere di vista il clima politico del tem-po. Per questo va detto che nel 1674 scoppiava a Messina, in Sicilia, una gravissima rivolta contro il governo spa-gnolo che in quel tempo dominava il meridione d’Italia.I siciliani protestavano perché non arrivava più grano in città e il vicerè spagnolo, per non perdere un porto strategico come Messina, spese per bloccare l’insurrezione ben 15 milioni di ducati in quattro anni.L’economia spagnola era in crisi anche per le continue guerre in Europa e per l’esaurirsi delle ricchezze americane e quindi il vicerè inasprì fortemente le tasse imponendo ai baroni meridionali una politica dura di prelievi fiscali nei territori di loro competenza. Ed ecco che in questo contesto don Giulio si attivò, come tanti altri nobili, spadroneggiando nella sua contea con una squadra di masnadieri armati.

Conversano: il Conte Giulio II Acquaviva d’Aragona.

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Alcuni episodi sono significativi per capire quello che accadde: a Noci, città della contea di Conversano, don Giulio fece rapire due ragazze per costringere il padre a pagare i tributi. A Conversano il futuro conte si presentò presso la bottega di un barbiere con un folto gruppo d’armati e tentò anche qui di rapire la moglie. Ma questa volta la reazione popolare non mancò e mise in fuga i malintenzionati.Anche i Conti di Conversano, come altri baroni meridionali indebitati per la vita che conducevano, più o meno ufficialmente, dovettero utilizzare un’altra strategia per finanziare le proprie casse: il contrabbando di sale e tabacco nel mare Adriatico con le popolazioni della costa dalmata.In questo caso gli Acquaviva affrontarono la difficoltà dell’accesso al mare, dal momento che i Principi di Polignano negavano loro l’uso della costa per le attività illecite.Per questo comportamento poco civile, dopo qualche tempo arrivarono a Napoli le proteste di cittadini che denunciavano don Giulio per le continue malversazioni. Il vicerè decise allora di usare il pugno duro nei confronti del nobile conversanese per tacitare così l’opinione pubblica

Conversano: il chiostro medievale di San Benedetto.

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che accusava gli Spagnoli di connivenza con i baroni: don Giulio fu arrestato e chiuso per qualche tempo in prigione a Castel dell’Ovo, nel 1678. E mentre don Giulio era chiuso in carcere per scontare la pena, il fratello maggiore Giangirolamo Acquaviva, conte di Conversano, moriva il 5 settembre 1681 ad Amendolara, in Calabria.A Conversano ebbero luogo i solenni funerali con la partecipazione di tutta la famiglia, assente don Giulio. Presenti erano anche i duchi Carafa di Noja con cui, dopo la pace fatta a Norimberga, i rapporti erano diventati molto stretti. Le spoglie del conte Giangirolamo furono tumulate nel monastero di S. Benedetto.Adesso si presentava il problema della successione nella contea, perché il conte Giangirolamo non aveva lasciato eredi e quindi legittimo successore diventava don Giulio che era in carcere. E così, il 31 gennaio del 1682, don Giulio ebbe in prigione la nomina ufficiale a conte di Conversano. Paradossale diventò però la situazione perché un barone di grande prestigio e con un vasto territorio da gestire con relative entrate tributarie, non poteva restare a lungo in carcere. Oltretutto la corona spagnola aveva sempre un grande bisogno di moneta. E per queste

Nell’antico monastero di S. Benedetto del XII sec., su un capitello di una colonna della prima campata ovest, è raffigurato un labirinto unicursale. Questo labirinto non prevede percorsi ciechi ma un unico percorso tortuoso che dall’esterno conduce al centro dello stesso labirinto. Il valore simbolico di questo labirinto è dato dal percorso tortuoso che l’uomo deve fare per raggiungere il regno dei cieli.La leggenda vuole che proprio nella cripta della chiesa sia stato sepolto il conte Giangirolamo II, detto il Guercio delle Puglie”.

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considerazioni politiche, il processo venne rivisto e il vicerè decretò la liberazione del conte Giulio dietro il pagamento di una forte ammenda, 50.000 ducati, e il suo confino nel castello di Conversano. Iniziò in questo modo uno dei periodi forse più tribolati della storia della contea pugliese. Il conte Giulio II dovette subito affrontare la pesante situazione debitoria con il vicerè di Napoli, perché alla sua forte personale ammenda di 50.000 ducati si aggiungevano altri 20.000. Per risolvere le pendenze finanziarie l’unico modo era quello di ricorrere in parte al prelievo fiscale sulla popolazione dei suoi territori, già provate e in crisi per il cattivo raccolto, ma soprattutto Giulio II riaprì nuovamente la vecchia pratica del contrabbando costiero. Il territorio di Conversano non aveva sbocchi al mare e quindi gli scali obbligati erano S. Vito e la zona di costa Ripagnola: ma questo era il territorio del barone di Polignano che non permetteva intromissioni sulle coste di sua pertinenza. Il contrasto tra le due casate ebbe un epilogo tragico: infatti nel 1684 la

Conversano, Chiesa di S. Benedetto. Particolare decorativo dell’altare della Madonna del Rosario.

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famiglia Acquaviva venne accusata di omicidio del barone di Polignano Barattucci, ucciso a sacchettate di arena. Il vicerè richiamò a Napoli l’Acquaviva per aprire un processo a suo carico. Ma il processo si chiuse con un nulla di fatto per mancanza di prove e il conte Giulio ritornò a Conversano. Nel suo breve soggiorno a Napoli, le cronache raccontano che il nobile cercò di riannodare la vecchia relazione amorosa con Candida Pisano: ma i tentativi furono vani. Il cuore del conte Giulio si apprestava però a trovare una sistemazione meno chiacchierata e più consona al suo lignaggio, per lasciare un degno erede alla contea.

Conversano, Chiesa di S. Benedetto, campanile.

Il MURO DEL DIAVOLO

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Labbra carnose, occhi neri, profondi e intensi, capelli folti, lunghi, corvini, baffetti curati, alto e nobile nel portamento, spadaccino tra i più famosi d’Europa e cavaliere impeccabile. Si presentava così il conte di Conversano, Giulio II, quando decise di contrarre matrimonio, nel dicembre del 1685, con sua cugina Dorotea Acquaviva, nobildonna ventenne, sorella del duca d’Atri.Atri, una città dell’Abruzzo, a venti chilometri da Pescara, era feudo della famiglia Acquaviva fin dal 1395.E Giulio II, sposando un’Acquaviva del ramo abruzzese, riunificava dopo duecento anni l’originaria contea, diventando uno dei baroni più potenti del viceregno di Napoli. Infatti vastissimi erano i territori di sua competenza, da Atri in Abruzzo, a Conversano, Castellana, Noci, Palo del Colle e Nardò nelle Puglie: alta era anche la rendita annuale fondiaria stimata in 40.000 ducati.Le cronache dell’epoca raccontano in questo modo la cerimonia nunziale nella città abbruzzese “…. il matrimonio fra il conte Giulio II e la duchessa Dorotea Acquaviva fu celebrato nella cattedrale di Atri alla presenza del vescovo Luigi Scarcia, di molti familiari, di notabili e

Atri: il Duomo.

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di tanti vassalli accorsi numerosi dalle varie contrade. Giulio e Dorotea figuravano come due stelle di prima grandezza nel firmamento dei fedeli convenuti nella cattedrale. Il vescovo Scarcia, durante l’omelia ricordò il grande filantropo Giulio Antonio Acquaviva, duca d’Atri, trapiantato a Conversano. Ora Dorotea di Atri si apprestava a vivere nel castello di Conversano, dopo quasi due secoli.Nel salone ducale tutti gli invitati presero posto con al centro gli sposi. La tavola era imbandita di ogni varietà di cacciagione, frutta di stagione e vini prelibati. La festa era allietata da musici…”A Conversano non furono da meno le feste di accoglienza per la nuova duchessa. Un visitatore del tempo, l’abate Pacinelli, racconta che il castello per l’occasione era stato addobbato con “ …tele di eccellenti pennelli e sontuosi letti e apparati tutti ricamati in oro, con diverse livree di scarlatto. All’arrivo della Duchessa la strada era stata adornata di archi trionfali. Furono aperte fonti di vino, fuochi d’artificio illuminarono le serate e rappresentata in un novello teatro di legno l’opera drammatica la Berenice..”

Atri: il chiostro del Duomo.

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Per l’occasione Giacomo Lubrano, poeta marinista, ammirato anche dal filosofo Gianbattista Vico, scrisse un sonetto che definiva Dorotea, dono divino, e il conte Giulio, emulator dè Numi.Il matrimonio con Dorotea recò grande beneficio alla contea di Conversano: infatti non si registrarono per tre anni fatti di sangue o malversazioni. Evidentemente la presenza di Dorotea aveva prodotto un grande cambiamento nell’atteggiamento del conte Giulio verso la popolazione del contado ma anche nei rapporti con le autorità regie. Si parla, nelle cronache dell’epoca, della convocazione di una assemblea dei vassalli per stabilire modalità di pagamento di tributi con dilazione per i coloni che avessero subito calamità atmosferiche e di trasformazione fondiaria con estensione delle superfici coltivate. Nello stesso tempo, nel 1687, il conte chiese ufficialmente al vicerè di rinviare il pagamento delle pendenze tributarie nei territorii di sua competenza. La pace, dopo tanto tempo di tribolazioni, cominciò a regnare nella contea.A dimostrazione dei cambiamenti avvenuti e del nuovo clima sociale ma anche della maturazione personale di Giulio II, i documenti storici e leggende popolari parlano di due grandi iniziative urbanistiche intraprese dal conte per rendere la città un centro degno delle passate tradizioni

Conversano: il Boschetto.

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culturali, non inferiore a quelle del paese originario della duchessa Dorotea, cioè di Atri: il conte investì 18.000 ducati per intraprendere alcuni significativi cambiamenti.Infatti decise di costruire nel castello di Conversano un teatro, per il momento in legno. Alcuni documenti del tempo localizzano il manufatto nell’atrio attuale del maniero: era dotato di un grande palcoscenico, di sedie e fondali scenografici. Nel 1687 venne inaugurato con la rappresentazione di un dramma di De Villegas “La Berenice regina degli Argivi”, con musica di Gaetano Veneziano.Quali i motivi di questa scelta nella pur vasta produzione teatrale dell’epoca?La risposta è nell’antiprologo dell’opera dell’autore spagnolo.Si parla degli amori della ninfa Aretusa con il fiume Alfeo: la trama di questa parte iniziale è la chiave di lettura per capire il nuovo clima idilliaco che si era creato nella corte di Conversano dopo il matrimonio del conte.Infatti Aretusa era, nella mitologia greca, una ninfa dei boschi prediletta di Diana, dea della caccia. Un giorno, mentre Aretusa faceva il bagno in un torrente che apparteneva al dio Alfeo, questi apparve e le dichiarò il suo amore. Aretusa fuggì attraverso l’oceano fino all’isola di Ortigia, dove Diana la trasformò in fonte. L’innamorato Alfeo inseguì la ninfa e mescolò le proprie acque alle sue.La scelta di questa opera teatrale che richiama amori arcadici nella natura, fu l’ideale di vita a cui si ispirarono i conti di Conversano, novelli sposi, quando decisero di intraprendere l’altra grande iniziativa urbanistica: la costruzione del famoso “boschetto”, nel 1687 circa.Il Boschetto è tuttora localizzato a tre km. da Conversano sulla strada rurale che porta a Turi, nella omonima contrada. Il viandante occasionale che percorre la strada, nota una muraglia lunga 300 metri e alta quasi cinque, con un portale ad arco nella parte centrale: la caratteristica della costruzione consiste nella particolarità dell’impasto di terra e calce che tiene le pietre per tre metri in altezza, mentre la malta è del tutto assente nei due metri soprastanti. Infatti le pietre sono posate a secco. L’opera

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in questione è chiamata dai contadini, ancora oggi, il muro del diavolo, perché si dice che sia stato costruito nell’arco di una sola notte! Opera straordinaria, quindi diabolica!Il muro continua sui lati inoltrandosi per quasi 700 metri e si chiude nel retrostante con una forma non del tutto regolare, quasi asimmetrica: oggi purtroppo il manufatto non è del tutto integro in quanto in alcuni punti è sbrecciato.Il muro, così alto e massiccio, racchiudeva una superficie di circa 25.000 mq. con querce, carrubbi, pini, corbezzoli e arricchita da selvaggina, soprattutto daini e cinghiali. Ma la bellezza e anche la grandiosità di siffatta muraglia non può giustificarsi solo come un recinto edificato per la caccia del signore: bisogna inoltrarsi per cinquecento metri circa per capire cosa si nasconde aldilà del muro. Allora cerco di immaginare quello che non c’è oggi, cioè una fitta boscaglia: al centro è collocata un’opera, questa per fortuna oggi esistente, una grande vasca di forma ovale del diametro di 50 metri circa e profonda tre. Ha due accessi: una

Conversano: il Boschetto.

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grande scalinata, comoda e degradante che porta in acqua nel lato nord ovest, nella parte opposta si accede al laghetto da un elegante torrino che pare contenesse all’origine pompe idrauliche. Strutturalmente l’opera è ancora integra nelle pietre perfettamente squadrate che raccolgono, a distanza di tre secoli, l’acqua in parte piovana e trattengono con un perfetto anello a scarpa in calcare il terreno circostante.A cosa poteva servire un così elegante manufatto costruito a regola d’arte, immerso nel verde totale della natura, lontano dagli occhi indiscreti dei passanti? Sicuramente il riferimento letterario al mito di Alfeo e Aretusa può essere una chiave di lettura per capire la costruzione di questo singolare manufatto.Ma il tempo degli amori pei i giovani sposi stava per finire….

Conversano, convento di S. Benedetto. Pittura su plafone ligneo raffigurante la dea dell’abbondanza Demetra che salva la figlia Persefone dalle acque del fiume. Il manufatto è collocato nella cella della badessa.

LA PESTE DEL 1690

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Il 22 marzo del 1688, improvvisamente, il conte di Conversano venne richiamato a Napoli dal vicerè e messo subito agli arresti nel castello di Sant’Elmo per essere sottoposto a giudizio.Cosa era successo di così grave per giustificare tale atto?Il conte Giulio, mentre si trovava a Nardò, suo feudo, fu accusato dell’omicidio di un canonico. L’unica colpa del povero canonico era stata quella di aver portato al conte una lettera del vescovo con l’ordine di togliere il baldacchino baronale dalla cattedrale della città leccese.Per meglio intendere l’accaduto è opportuno allora fare qualche riferimento storico alla questione dei baldacchini in Terra di Bari. Già da tempo, nel viceregno di Napoli e quindi nella nostra regione, i baroni avevano fatto collocare nelle cattedrali delle città più importanti, un baldacchino dove il nobile prendeva posto nelle funzioni religiose: questo per testimoniare l’autorità del potere temporale anche nelle sedi ecclesiastiche.Nella seconda metà del Seicento, nelle città di Ceglie, Acquaviva delle Fonti, Andria, Corigliano, Nardò e Conversano incominciarono a verificarsi dei problemi nei rapporti tra i baroni e i vescovi perché questi ultimi volevano smantellare i baldacchini per significare l’assoluta autonomia della autorità ecclesiastica da ogni forma di ingerenza politica: un giusto inizio della divisione del potere politico da quello religioso. L’atteggiamento dei vescovi seguiva una volontà ispirata da Roma dove i papi, Alessandro VIII prima, e poi Innocenzo XII, ormai

Conversano: la Cattedrale, particolare.

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cercavano di dare alla Chiesa una maggiore indipendenza nei confronti delle grandi potenze di quel tempo, la Spagna e la Francia.Nel nostro caso però, in Terra di Bari, non bisogna dimenticare che i

vescovi per decidere l’abbattimento dei baldacchini dovevano chiedere il permesso al Re di Spagna. Questo non avvenne nella città di Nardò e quindi il conte Giulio punì, un pò eccessivamente, il rappresentante del vescovo che chiedeva l’eliminazione del simbolo politico in chiesa. Il vicerè, in seguito, diede ragione al conte, perché il vescovo della città leccese non aveva infatti chiesto nessuna autorizzazione a Napoli. E a Conversano, capitale del feudo, il vescovo Brancaccio dopo qualche timido tentativo di osservanza delle direttive papali, in seguito all’episodio di Nardò, fu costretto ad accettare la volontà del conte lasciando il baldacchino nella cattedrale della città. Anzi il vescovo venne richiamato dalle autorità spagnole e costretto a rifugiarsi a Roma: si racconta che nel momento del suo allontanarsi, il prelato abbia battuto più volte le scarpe a terra per togliere qualsiasi residuo di polvere in segno di apostolica riprovazione!Il conte Giulio così, ancora una volta, uscì vincitore in un duello combattuto non con la spada ma con le armi più temibili e subdole della politica. Però il conte aveva sottovalutato i suoi avversari: Il vescovo infatti, partendo da Conversano, aveva scomunicato l’Acquaviva e interdetto l’accesso della cattedrale ai fedeli.Nel frattempo, il destino che decide le sorti di un individuo spesso in contesti a lui lontani e inimmaginabili, stava preparando per il conte un colpo a sorpresa che avrebbe ribaltato la vittoria appena ottenuta: a

Conversano: la Cattedrale, particolare.

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fine settembre del 1690, dal mare approdava sulla costa di Ripagnola un piccolo veliero….Nel mese di dicembre del 1690, mentre il conte Giulio si trovava a Napoli per discutere ancora sui fatti di Nardò, giunse notizia che in Puglia, a Conversano, era scoppiata una gravissima epidemia. Il vicerè ordinò subito un’inchiesta inviando il consigliere Brancaccio, parente del vescovo, con un gruppo di medici.L’indagine portata avanti accertò che si trattava di peste, ma cercò di risalire anche all’origine del male. Da varie testimonianze raccolte risultò che un barcone proveniente da Smirne appestata, era approdato in una cala di costa Ripagnola, sbarcando notte tempo quantità imprecisate di pelli e tabacco. La merce infetta venne acquistata di contrabbando da Giuseppe Schiavelli, agente del conte di Conversano, e venduta agli artigiani della città. In questo modo la pestilenza si diffuse rapidamente

nei territori del feudo, colpendo anche Monopoli e Polignano: si calcola che a Conversano perirono quasi 10.000 persone.Le indagini della commissione accertarono anche che ci fu da parte dei funzionari del conte molta reticenza a comunicare alle autorità della provincia la diffusione della malattia per nascondere gli illeciti traffici da cui la stessa era stata causata.Le cronache dell’epoca raccontano episodi atroci accaduti a Conversano: per le strade si sentiva il cigolio dei carri che portavano i morti, seguiti dai becchini con croci rosse sul petto. Molte persone impazzivano, altre affrettavano la morte gettandosi dai balconi o nelle cisterne delle case: i cadaveri venivano bruciati su cataste di alberi di olive.

Conversano: la Cattedrale, particolare.

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Intanto a Napoli le preoccupazioni aumentarono quando, per la gravità del contagio, si interruppero le comunicazioni con la Puglia: la popola-zione della capitale partenopea corse subito, presa dal panico, a ritirare la moneta dalle banche. Per evitare il peggio il vicerè mandò a Conver-sano un suo fiduciario, il reggente Garofalo, sostituendo il Brancaccio, anche per evitare maldicenze. Infatti si disse che quest’ultimo avesse ac-cusato il conte del contagio pestifero, per vendicarsi dell’affronto fatto al Vescovo, suo fratello. Nello stesso tempo si vietò l’ingresso in Napoli delle merci e delle persone provenienti dalle zone appestate, murando i palazzi dei nobili che avevano ritirato merci dalla Puglia. E tra questi anche la famiglia del conte Giulio che appunto in quel periodo si tro-vava a Napoli: sotto il suo palazzo, nella zona di via Toledo, si radunò una folla armata inveendo contro il conte di Conversano. E così il vicerè decise di far allontanare il nobile e la sua famiglia dalla città obbligando-lo al soggiorno coatto nell’isola di Ischia. Molti malignarono sulla reale intenzione della decisione: si disse che le autorità, cogliendo la palla al balzo, cercassero così di sbarazzarsi di un barone molto potente che tanti problemi aveva generato alla Spagna con atti di insubordinazione e di contrabbando. Ma aveva anche creato instabilità nei difficili rapporti tra la Chiesa e la Spagna nella polemica dei baldacchini.

Conversano: la Cattedrale, particolare.

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Intanto nell’isola di Ischia, dopo l’approdo della famiglia del conte, ci fu quasi una sollevazione popolare. Il vicerè, per evitare il peggio, il 4 gennaio del 1691, annunciò alla popolazione di Napoli che il conte e la sua famiglia erano stati trasferiti nel lazzaretto dell’isola di Nisida.Nisida, piccolo isolotto nel golfo di Napoli di fronte al capo di Posillipo, ospitava in quel tempo un castello e, poco lontano, un lazzaretto utilizzato per far trascorrere la quarantena a coloro che provenivano da zone appestate. Nel lazzaretto Giulio Acquaviva fu confinato con i suoi familiari: tra questi anche la moglie Dorotea che era in attesa del primogenito del conte. Il morbo tuttavia continuava a diffondersi. A Napoli il vicerè, per esorcizzare il pericolo della peste, cercò di riallacciare buoni rapporti con la Chiesa chiedendo al Papa di far togliere l’interdizione alla cattedrale di Conversano: in questo modo il buon Dio si sarebbe commosso e avrebbe fatto cessare la pestilenza Infatti in quel tempo poco si sapeva della terribile malattia: le cure erano inefficaci perché solo alla fine dell’800 il medico svizzero Yersin isolerà il bacillo della peste presente nel sangue dei topi.E mentre si cercava di fermare in ogni modo il male, inattesa arrivò a Napoli la notizia della morte del conte di Conversano: ammalatosi per una infiammazione alla gamba, il conte morì il 31 gennaio del 1691 sull’isola di Nisida. Il suo corpo fu seppellito dopo due giorni nell’arenile.Molti, nella capitale del regno, gioirono alla notizia perché così veniva a mancare il colpevole di tante malefatte, altri invece accolsero l’evento increduli, dubbiosi della morte di “quel signore che pareva un gigante, non essendo in regno chi l’uguagliasse, in altezza di corpo, ripieno e di bellissimo aspetto, d’anni circa quaranta”.La morte del conte, sicuramente accolta bene nei palazzi del potere a Napoli e a Roma, provocò cambiamenti politici a Conversano.

LA PORTA DEI 100 OCCHI

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“D. Dorotea Acquaviva ex Adriae ducibus, Cupersani Comitessa portam hanc extrui, ingressum ampliari, atrium operiri ac columnis ornari curavit.Cal. Septembris A.D. MDCCX.”Sul fregio del portale del castello di Conversano sono scolpite nella pietra queste parole che ricordano come la contessa Dorotea, dopo la morte del marito a Nisida, ancora giovanissima, abbia continuato a governare per quasi 20 anni amministrando bene il feudo, rinnovando il patrimonio edilizio e fondando nuove chiese.Infatti il castello di Conversano subì negli anni di Dorotea una radicale trasformazione: costruzione del nuovo ingresso e suo ampliamento, ristrutturazione dell’atrio con le belle colonne ancora ben visibili .Il governo della duchessa cercò di smussare alcuni aspetti radicali della politica del marito, e per ingra-ziarsi le autorità ecclesiastiche, fece togliere il baldacchino ba-ronale ottenendo così la riaper-tura della cattedrale di Conver-sano ai fedeli.Il nuovo corso voluto da Doro-tea portò benefici ristabilendo relazioni positive con il potere centrale di Napoli: la duchessa ottenne dal vicerè il disseque-stro dei beni della casa e degli ori di famiglia e la proroga del pagamento di vecchie pendenze fiscali del conte deceduto.La politica illuminata della con-tessa creò una rete di ottimi rap-porti all’interno dei territori feu-dali: donna Dorotea confermò per la città di Noci immunità e

Conversano: Pinacoteca del castello, la porta dei 100 occhi.

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privilegi, mentre a Castellana fece edificare il convento di S. Maria della Vetrana. Consolidò gli ottimi rapporti con la famiglia Carafa di Noja.Infatti il 3 novembre del 1695, in occasione della cerimonia di insediamento della badessa di S. Benedetto, donna Dorotea invitò il duca Carlo Carafa di Noja con i suoi familiari, e tra questi era presente don Rodolfo Carafa, che godeva di una fama di grande ribaldo.Adesso è opportuno parlare di questo nobile nojano per capire gli sviluppi dei fatti.Don Rodolfo, parente del duca nojano, dopo la scomparsa del conte Giu-

lio Acquaviva, non ebbe in provincia di Bari avversari per continuare traffici illeci-ti ed angherie nei confronti delle popolazioni. Divenne in breve tempo, con la com-plicità di un manipolo di masnadieri, il vero arbitro della città di Bari e potente in provincia, controllando le esportazioni di olio e grano. Alcune relazioni del tem-po descrivono don Rodolfo come una “spina e pertur-batore della pubblica pace di cui sbarazzarsi il più pre-sto possibile”. Per questo, il responsabile del vicerè in provincia di Bari al fine di controllare la situazione e portare pace, inviò uno squa-drone di armati nella città di Noja, mantenuto a spese del duca Carlo Carafa.

Conversano: Pinacoteca del castello, la porta dei 100 occhi, particolari dello spioncino e della maniglia.

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Dopo questo breve riferimento, cosa succede a Conversano nel monastero di S. Benedetto, mentre si sta insediando la nuova badessa donna Isabella Tom-masa dei conti Acquaviva?“È successo in questi giorni un gravis-simo eccesso nella città di Conversano. Il sig. don Rodolfo Carafa, della casa di Noja, ha rapito dal monastero di San Benedetto di Conversano, con il suo

consenso, donna Dorotea Acquaviva, monaca professa, sorella carna-le del conte Giulio…Questa fuga è stata fatta attraverso un’apertura nel muro del convento, corrispondente nella bottega di un falegname, corrot-to dal Carafa con promesse e regali.”Così un giornalista napoletano dell’epoca, Domenico Confuorto, descrive lo scandaloso rapimento della professa Dorotea, al secolo Vita Modesta, avvenuto negli ultimi giorni di maggio del 1697.Molti malignarono sulle vere intenzioni del “rapimento” affermando che il Carafa in questo modo agiva per vendicare l’onta di Norimberga. Ma va detto che il “gravissimo eccesso” cadeva dopo 25 anni dall’assalto al palazzo ducale di Noja.Allora la verità forse è un’altra: si trattò di una vera fuga d’amore a conclusione di un rapporto iniziato molto tempo prima nelle rituali frequentazioni tra le due famiglie. Le fonti del tempo dicono che relazione non era vista bene dagli Acquaviva sia per la cattiva fama di don Rodolfo sia per l’età della nobildonna conversanese, più giovane di vent’anni. E per le forti pressioni familiari la nobile Dorotea fu costretta ad abbandonare la via del cuore e obbligata ad entrare nel convento delle monache cistercensi di S. Benedetto, a Conversano.Nel convento, il cosiddetto “monstrum Apuliae” governato dalle potenti badesse mitrate fin dal 1266, trovavano anche collocazione ragazze di famiglie nobili e benestanti di Terra di Bari non sempre votate alla clausura per personale convinzione, bensì costrette a quella scelta per

Conversano: la serratura della porta.

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salvaguardare l’integrità del patrimonio familiare a favore dei figli maschi, per evitare matrimoni compromettenti, per nascondere relazioni inconfessabili. Le novizie che manifestavano il loro disappunto per la vita conventuale venivano isolate e chiuse nella cella di rigore, controllate e spiate attraverso la misteriosa porta dei cento occhi: occhi senza volto che scrutavano persino l’ombra dell’anima. La porta, rinvenuta nel monastero e restaurata nel 2014, è conservata oggi nella Pinacoteca del castello di Conversano: è così chiamata perché su una facciata è raffigurato il mitico gigante Argo Panoptes, la mano destra impugna un lungo coltello insanguinato mentre il braccio sinistro sostiene la pelle della mostruosa vipera Echidna, appena uccisa. Il gigante Argo è completamente ricoperto da occhi aperti, tutti uguali, e si pensa possa simboleggiare la novizia che per liberarsi dai peccati uccide la belva della lussuria e della libidine. Alla base della porta, nel cartiglio, si legge in latino “Qui potest capere capiat”, chi può comprendere, comprenda. Due serrature con chiavi diverse garantivano il totale isolamento. Sul lato destro della porta, in alto, è praticato un foro per spiare l’interno della cella ubicata al primo piano del convento.Proprio questi ultimi particolari non lasciano spazio all’immaginazione: si intuiscono il clima di severo controllo presente nel convento e le puni-zioni inflitte alle novizie ribelli. Si ha il presagio di comportamenti vio-

lentemente crudeli nei con-fronti di chi non accettava le regole. Dopo questa divagazione sto-rica e ritornando alla vicenda narrata, si deve riferire di una leggenda popolare diffusa a Conversano che racconta del-la cella delle punizioni in cui la monaca Dorotea veniva se-gregata, scrutata e controllata attraverso lo spioncino della Conversano: Pinacoteca del castello, la porta dei 100 occhi.

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porta dei cento occhi per impedire ogni tentativo di comunicazione con il suo amato Rodolfo.Suor Dorotea Acquaviva tuttavia non aveva rinunciato alla sua aspirazione di libertà e al suo profondo sentimento e, nonostante il rigido controllo della badessa Isabella Tommasa, trovò il modo per mantenere la tresca con il nobile nojano tanto da organizzare un meticoloso piano di fuga che si concretizzò in una notte di maggio.Il giornalista Confuorto aggiunse i particolari dell’avventurosa fuga dal convento: “si dice per certo la fuga dal monastero essere stata di notte in un calesse, avendo la monaca indossato l’abito di maschio e, essendo la mattina presto giunti a Polignano, si imbarcarono. Prima di imbarcarsi, avendo chiamato il parroco di quella città, si sposarono clandestinamente a San Vito con le parole vis et volo, dicendo la monaca di non essere mai stata professa perché costretta con il coltello alla gola dai fratelli a entrare nel convento…. Dopo la cerimonia privata, ove siano andati non si sa di certo, volendo alcuni che siano andati tra i protestanti in Germania. Altri dicono che essendosi imbarcati a San Vito, si sono diretti a Ragusa, in Dalmazia. Altri affermano che sono nascosti in Italia, sperando di ottenere la dispensa dal Papa per potersi sposare. La monaca, da molto tempo prima, aveva fatto istanza a Roma per l’annullamento della professione, asserendo che l’aveva fatto a forza…”Il peccaminoso comportamento della professa Dorotea non fu assolutamente condiviso dalla sua famiglia, né da meno furono i Carafa di Noja che, temendo nuove guerre con i vicini di Conversano, fecero

Conversano: la porta dei 100 occhi, frase pronunciata da Gesù Cristo nel Vangelo di Matteo.

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un manifesto nel regno promettendo di pagare diecimila scudi per avere la testa del sacrilego congiunto Rodolfo. Il vicerè a Napoli ebbe a preoccuparsi molto, memore dei duelli e delle tensioni tra le due famiglie. Per ovviare a questo nuovo caso dagli imprevedibili sviluppi, a Conversano la contessa Dorotea, cognata della ex monaca, pregò il vescovo Brancaccio di partire per Roma per supplicare il papa Innocenzo XII a voler concedere la dispensa matrimoniale. Finalmente, dopo tante preghiere, nel mese di luglio del 1698 la Chiesa invalidò la professione monacale di Dorotea, confermando il matrimonio con il nobile nojano don Rodolfo.I due novelli sposi, non avendo più da temere dai poteri costituiti, si trasferirono a Roma. Nel regno di Napoli il vicerè tirò un sospiro di sollievo e le due famiglie, a Noja e Conversano, rinfoderarono spade e pugnali.

Pergamena del monastero di S. Benedetto: 4 novembre 1447, Papa Nicolò V incarica il vescovo di Bisceglie di immettere Sancia Fugetta del monastero

di Nardò come badessa in San Benedetto di Conversano.

LA MAPPA DEL DUCA

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Ma la felicità conquistata da Dorotea e Rodolfo, dopo tante traversie e trepidazioni, durò poco: il sogno d’amore venne tragicamente interrotto l’anno successivo.Infatti nei primi giorni di marzo del 1699, Rodolfo Carafa improvvisamente moriva a Roma mentre si festeggiavano gli ultimi giorni di carnevale. Fu sepolto nella chiesa di S. Andrea della Valle. Lasciava due figlie orfane in tenerissima età. Qualche anno dopo Dorotea Acquaviva si risposò con un gentiluomo trasferendosi in Lombardia. La figlia Lucrezia Carafa invece sposava il cugino Pompeo, sesto duca di Noja, e da questo matrimonio nacque, il 4 giugno del 1715, Giovanni Carafa. Nel corso degli anni successivi la tragica vicenda familiare che aveva coinvolto le famiglie Acquaviva e Carafa, catastrofica dal punto di vista umano, si rivelò straordinariamene positiva per il destino che attendeva don Giovanni, il discendente degli

Noicàttaro: Palazzo della Cultura, riproduzione della mappa.

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Acquaviva e Carafa e futuro duca di Noja. Lo spirito della storia a volte prepara percorsi inattesi rispetto alle prospettive di partenza.Infatti il nobile Giovanni trascorse la gioventù nel palazzo Carafa a Noja, educato agli studi umanistici per trasferirsi poi a Napoli, entrando in contatto con gli ambienti letterari accademici e con il poeta Metastasio. Uomo di grande gentilezza e affabilità nei costumi, più tardi scoprì di avere interessi per gli studi scientifici e per la matematica, diventando docente di ottica e di matematica all’università della capitale.Nel 1736, all’età di 21 anni, ereditò il ducato di Noja e partecipò alla guerra di successione austriaca al comando di un reggimento di fanteria costituito da contadini arruolati nella Terra di Bari. Ottenne una clamorosa vittoria a Velletri e per questo Carlo III di Borbone gli affidò l’incarico di costruire i modelli delle fortezze più importanti del regno, permettendogli anche di intervenire con il suo reggimento nel restauro di alcuni manufatti militari.Ritornato a Napoli, organizzò privatamente una ricca collezione di mo-nete e medaglie antiche raccolte negli scavi di Ercolano e Pompei. Com-pì numerosi viaggi in Europa e in Francia ebbe modo di conoscere il na-turalista Buffon e il filosofo Voltaire, diventando socio delle accademie di Parigi, Londra e S. Pietroburgo grazie agli studi sull’elettricità della

La mappa di Napoli: particolare.

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tormalina. Il re borboni-co Carlo III, che proprio in questo periodo aveva avviato grandi riforme nel regno, costruendo tra l’altro la reggia di Caserta per fare di Napoli la capi-tale d’Europa, lo chiamò nella sua cerchia. E dopo la felice realizzazione dei plastici dei castelli, grazie alla sua esperienza carto-grafica, don Giovanni ri-cevette dal comune della città partenopea, nel 1750, l’incarico per l’elaborazio-ne della mappa topografi-ca, “opera così difficile, da nessun altro mai più pensata né tentata in altro tempo”, così si esprimeva lo storico Meola. La mappa si rendeva necessaria per una urbanizzazione razionale di Napoli che contava allora oltre 300 mila abitanti. Il duca Carafa si mise al lavoro su lastre di rame, ma l’impresa incominciò a diventare proibitiva per la complessità dell’opera e per le ingenti spese: per far fronte all’impegno, il nobile nojano ipotecò tutte le sua proprietà. Nel mese di luglio del 1768 però il duca, improvvisamente, moriva a 53 anni, dopo quattro giorni di atroci dolori addominali, lasciando incompleta la mappa. L’opera, portata a termine nel 1775 dai suoi collaboratori, si rivelò un successo in considerazione delle ricostruzioni aeree della città e delle mirabili decorazioni di contorno: suddivisa in 35 fogli, misurava 5 metri di larghezza per 2,30 di altezza e ancor oggi è ritenuta un “documento di assoluto valore della topografia settecentesca europea”.

La mappa di Napoli: particolare.

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Giovanni Carafa, duca di Noja, fu sepolto nella chiesa di S. Efrem dei Cappuccini, a Napoli. Si chiude così una complessa e turbinosa storia di amori, contese, duelli e significative testimonianze culturali, vissuta dalle famiglie nobili più importanti del sudest di Bari: gli Acquaviva d’Aragona e i Carafa. Una storia di famiglie ma anche di forti personalità che partendo da una contesa territoriale per la caccia al cinghiale, alla periferia del regno di Napoli nel pieno della Controriforma, approdò nell’ Europa illuministica del 1700, testimoniando l’adesione della nobiltà meridionale al rinnovamento culturale e politico del tempo. Quindi, per questo motivo, i fatti che ho raccontato tra leggenda e verità, si possono considerare degni di essere letti perché gli eroi devono essere sempre ricordati e i miti e le leggende non devono morire mai.

Noicàttaro, Palazzo della Cultura, nel passato Convento dei Carmelitani.

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Le fonti:

Autori vari Il tesoro di S. Benedetto, Grenzi Editore, 2017Cavina Marco Il sangue dell’onore, Laterza, 2005Didonna Vito L’ultimo Duello, Noja edizioni, 2008Didonna Vito Il destino dei Duellanti, Noja edizioni, 2009Dipierro Franco I ricordi e le testimonianze storiche di devozione religiosa Noja Edizioni 2P, 2014Fanizzi Antonio Armi e Baroni, Bari, 1985Filamondo Raffaele Il genio bellicoso di Napoli, 1694Giannuzzi Mario Frammenti di storia di Conversano attraverso le epigrafi, 2013L’Abbate Vito Storia e cultura in Terra di Bari, Conversano 1983Pacucci Angela L’inquietante porta dei 100 occhi, Barinedita 2016Perfido Paolo Una macchina bellica del sec. XV. Crescamus 2016Sforza Michele I Carafa di Noja e la Terra di Bari, Nicolaus, 2012Sforza Michele Giovanni Carafa duca di Noja, Bari, 2005Sirago Maria Il feudo acquaviviano in Puglia, Brindisi, 1986.

Si ringraziano per la collaborazione Agostino Montedoro, Tonino Armagno, Francesco Rizzo, Gisella Carrieri, Katia Sportelli, Gabriele Corianò, Giacomo Rizzello e Gianni Capotorto.

Un ringraziamento particolare al prof. Sebastiano Valerio per la relazione di lunedì 8 agosto 2016 in occasione della consegna del manifesto al Comune di Conversano.

Contributi tecnici e storici dei professori Michele Sforza e Piero Pellegrino, e degli architetti Dino Petrosino e Giuseppe Positano.

Traduzione dei testi dal tedesco: Francesco Bellisario e Elena Affatati.Fotografie di Vito DidonnaImpaginazione e grafica di Mimmo Di DonnaSito web: www.scaffale.org

l’Autore:

Vito Didonna, ricercatore e documentarista, ha pubblicato numerosi saggi di storia locale, analizzando in particolar modo i rapporti tra gli Acquaviva di Conversano e i Carafa di Noja (Noicàttaro) nel 1600.

Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli.

Chiuso in tipografia nel mese di Febbraio 2017

Stampa:Grafica 2P s.n.c. (Noicàttaro)

www.grafica2p.it