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La grande guerra sul fronte italiano Le truppe d’assalto austroungariche Alessandro Massignani La stabilizzazione dei fronti e la guerra di posizio- ne comportarono, oltre che la sperimentazione da parte di milioni di combattenti di una dimensione alienante della quotidianità nella guerra di trincea, anche l’impossibilità di decidere in tempi brevi il conflitto con tutte le implicazioni che ne seguiro- no. Le risposte a questa forma di guerra variarono da esercito a esercito e da fronte a fronte, seguen- do la ricerca sia di nuovi mezzi tecnici da utilizzare nella lotta, sia di nuove formule dottrinali per l’impiego delle truppe. Sul fronte italiano, gli austroungarici introdussero alla fine del 1916 truppe appositamente addestrate (su modello tedesco, come era avvenuto nel 1915 sul fronte occidentale) per la guerra d’assedio, de- nominate Sturmtruppen. Benché si trattasse di re- cepire una formula esistente, gli austroungarici avevano comunque iniziato una riflessione sulla tattica in uso e le variazioni da apportare per ren- derla idonea alla situazione; con una certa inerzia, anche l’esercito italiano arrivò nell’estate 1916 a una nuova regolamentazione tattica cui seguì nella primavera 1917 l’introduzione di truppe d’assalto ispirandosi alle esperienze austroungariche che avevano raccolto nell’insieme successi incorag- gianti. Le strade seguite dai belligeranti si diversi- ficarono, con una maggiore specializzazione da parte italiana, dove gli arditi ebbero una propria distinzione organica e amministrativa, mentre nel- l’esercito austroungarico si tendeva a diffondere l’addestramento nella truppa in maniera capillare con opportune rotazioni. Nel 1917 si accentuò la tendenza a sopperire alle croniche carenze della massa della fanteria imperiale, sempre più logora- ta, con l’impiego di unità scelte e meglio addestra- te nelle operazioni più importanti, o quantomeno in funzione di elemento trainante e modello di ri- ferimento, con il successo in molte azioni di mino- re rilievo. Dato che in campo operativo l’esercito imperialregio aveva perso ormai l’iniziativa, esse influirono in maniera rilevante sul morale della massa delle truppe. Sebbene sia ignorato dalla sto- riografia austriaca e internazionale, il ruolo delle truppe d’assalto austroungariche fu di grande rilie- vo in molte importanti operazioni (dal contrattac- co dell’Ortigara a Caporetto, al Piave, fino ad azioni di polizia nella fase finale della guerra), contribuendo in maniera determinante alla prose- cuzione della lotta. The deadlock on the fronts and the attrition war involved both the experience o f an alienating daily life for millions o f soldiers stuck up in trenches and dugouts and the impossibility to bring soon the conflict to and end, with all the consequences this situation implied. The responses to stalemate varied from army to army and from front to front, depending on the development of new wea- pons as well as o f new tactical approaches. On the Italian front, by the end of 1916 the Au- stro-Hungarians introduced selected units specially trained for siege warfare, the so-called Strumtrup- pen, as previously done on the western front after German patterns. While reproducing an existing model, the Austro-Hungarians had been reflecting on current tactics and their possible adaptations to incumbent needs; with some delay, also inside the Italian army a tactical innovation totok place in 1916 that led by the following spring 1917 to the introduction of assault troops in the wake o f signi- ficant success met with on the Austro-Hungarian side. The roads followed by the bellingerants were soon to differ, with more specialization on the Italian part, the “Arditi” enjoying an organic and admi- nistrative distinction of their own, whereas the Austro-Hungarians tended to generalize special training over the whole combat ranks and file by convenient turnover. During 1917 a growing ten- dency may be observed to cover increasing shorta- ge of troops within the worn-out Imperial-royal infantry by employing special highly trained corps in crucial field operations, at least as sprearhead elements or tactical terms o f reference. With re- peated success in minor actions, since the Impe- rial-royal army had lost initiative on general scale, they greatly helped support the moral of the troops. Though generally overlooked by both Au- strian and international historiography, assault tropps played an important role in a number of major operations ranging from the Ortigara counter-attack to Caporetto and to the Piave bat - tle, up to police tasks during the last phase of the conflict contributing significantly to the conti- nuation o f the war on the part o f the Double Mo- narchy. 'Italia contemporanea”, marzo 1995, n. 198

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La grande guerra sul fronte italianoLe truppe d’assalto austroungariche

Alessandro Massignani

La stabilizzazione dei fronti e la guerra di posizio­ne comportarono, oltre che la sperimentazione da parte di milioni di combattenti di una dimensione alienante della quotidianità nella guerra di trincea, anche l’impossibilità di decidere in tempi brevi il conflitto con tutte le implicazioni che ne seguiro­no. Le risposte a questa forma di guerra variarono da esercito a esercito e da fronte a fronte, seguen­do la ricerca sia di nuovi mezzi tecnici da utilizzare nella lotta, sia di nuove formule dottrinali per l’impiego delle truppe.Sul fronte italiano, gli austroungarici introdussero alla fine del 1916 truppe appositamente addestrate (su modello tedesco, come era avvenuto nel 1915 sul fronte occidentale) per la guerra d’assedio, de­nominate Sturmtruppen. Benché si trattasse di re­cepire una formula esistente, gli austroungarici avevano comunque iniziato una riflessione sulla tattica in uso e le variazioni da apportare per ren­derla idonea alla situazione; con una certa inerzia, anche l’esercito italiano arrivò nell’estate 1916 a una nuova regolamentazione tattica cui seguì nella primavera 1917 l’introduzione di truppe d’assalto ispirandosi alle esperienze austroungariche che avevano raccolto nell’insieme successi incorag­gianti. Le strade seguite dai belligeranti si diversi­ficarono, con una maggiore specializzazione da parte italiana, dove gli arditi ebbero una propria distinzione organica e amministrativa, mentre nel­l’esercito austroungarico si tendeva a diffondere l’addestramento nella truppa in maniera capillare con opportune rotazioni. Nel 1917 si accentuò la tendenza a sopperire alle croniche carenze della massa della fanteria imperiale, sempre più logora­ta, con l’impiego di unità scelte e meglio addestra­te nelle operazioni più importanti, o quantomeno in funzione di elemento trainante e modello di ri­ferimento, con il successo in molte azioni di mino­re rilievo. Dato che in campo operativo l’esercito imperialregio aveva perso ormai l’iniziativa, esse influirono in maniera rilevante sul morale della massa delle truppe. Sebbene sia ignorato dalla sto­riografia austriaca e internazionale, il ruolo delle truppe d’assalto austroungariche fu di grande rilie­vo in molte importanti operazioni (dal contrattac­co dell’Ortigara a Caporetto, al Piave, fino ad azioni di polizia nella fase finale della guerra), contribuendo in maniera determinante alla prose­cuzione della lotta.

The deadlock on the fronts and the attrition war involved both the experience o f an alienating daily life fo r millions o f soldiers stuck up in trenches and dugouts and the impossibility to bring soon the conflict to and end, with all the consequences this situation implied. The responses to stalemate varied from army to army and from fron t to front, depending on the development o f new wea­pons as well as o f new tactical approaches.On the Italian front, by the end o f 1916 the A u­stro-Hungarians introduced selected units specially trained fo r siege warfare, the so-called Strumtrup- pen, as previously done on the western fron t after German patterns. While reproducing an existing model, the Austro-Hungarians had been reflecting on current tactics and their possible adaptations to incumbent needs; with some delay, also inside the Italian army a tactical innovation totok place in 1916 that led by the following spring 1917 to the introduction o f assault troops in the wake o f signi­ficant success met with on the Austro-Hungarian side.The roads followed by the bellingerants were soon to differ, with more specialization on the Italian part, the “A rditi” enjoying an organic and admi­nistrative distinction o f their own, whereas the Austro-Hungarians tended to generalize special training over the whole combat ranks and file by convenient turnover. During 1917 a growing ten­dency may be observed to cover increasing shorta­ge o f troops within the worn-out Imperial-royal infantry by employing special highly trained corps in crucial fie ld operations, at least as sprearhead elements or tactical terms o f reference. With re­peated success in minor actions, since the Impe­rial-royal army had lost initiative on general scale, they greatly helped support the moral o f the troops. Though generally overlooked by both A u­strian and international historiography, assault tropps played an important role in a number o f major operations — ranging from the Ortigara counter-attack to Caporetto and to the Piave bat­tle, up to police tasks during the last phase o f the conflict — contributing significantly to the conti­nuation o f the war on the part o f the Double M o­narchy.

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Le strategie di superamento della guerra di trincea

L’immagine sedimentata della prima guerra mondiale è quella della guerra di trincea, con gli alienanti ingredienti quotidiani di sangue e di fango, sempreché si sorvoli su alcuni suoi aspetti ancora più sgradevoli, che la resero una esperienza di vita quotidia­na definita da D’Annunzio aulicamente “la spelonca che sa di fogna e di sepolcro”1. Della guerra in trincea la memorialistica e la cinematografia ci hanno consegnato l’imma­gine di ripetuti attacchi falliti, spesso ordi­nati da ottusi comandanti in preda al timore di essere “silurati”. Se la ricerca di come la guerra era vissuta dai soldati è stata final­mente incentivata da una ripresa di studi, al­tri aspetti sono rimasti in ombra, per esem­pio l’analisi delle ragioni per cui la guerra di trincea aveva assunto quei caratteri, e il con­seguente esame degli sforzi per superare tale stato di cose. In diversa misura il problema ha interessato nel dopoguerra le storiografie dei belligeranti, alla ricerca di giustificazioni o responsabilità del massacro, di volta in volta individuate nei comandanti, nei politi­ci, nella mentalità o nell’influenza di qual­che pensatore militare, quando non nella semplice “stupidità” . I militari di professio­ne non avevano immaginato — salvo qual­che eccezione — che la guerra avrebbe as­sunto il carattere di assedio, perché non vi erano stati grandi conflitti in Europa dopo la guerra francoprussiana e le esperienze di

conflitti come quello russogiapponese o an­globoero avevano influito soltanto dal pun­to di vista teorico sulla dottrina tattica degli eserciti europei. D’altra parte, l’esperienza della guerra civile americana non aveva avu­to una ricaduta nel dibattito militare in Eu­ropa per i suoi caratteri di guerra combattu­ta in larga parte da civili volontari al di fuori degli schemi tradizionali europei.

La spiacevole sorpresa di una guerra che andava per le lunghe e che persisteva nell’es­sere combattuta secondo modalità ritenute insolite non aveva scalfito la convinzione de­gli ufficiali ai gradi più elevati — che si era­no formati nell’Ottocento, soprattutto stu­diando le campagne di Napoleone — che ben presto, superata la condizione di statici­tà, la “normale” guerra sarebbe ripresa. Ha acutamente osservato Pierluigi Scolè che il nostro addetto militare in Francia non capi­va cosa succedeva nelle trincee perché le visi­tava quando non vi erano combattimenti, e questo stato di cose era generalizzabile al­l’intera classe militare nei gradi più elevati, che non aveva un diretto contatto con quello che avveniva in trincea2.

Di conseguenza, anche l’esigenza di adat­tarsi a una forma di guerra che non era stata prevista se non da qualche osservatore delle cose militari e che appariva tutt’altro che breve e una certa inerzia psicologica impedi­rono una risposta immediata. Tenendo con­to inoltre dei tempi che i cambiamenti della mentalità dominante richiedevano all’inizio del secolo, è più agevole capire la difficoltà

L’autore desidera ringraziare enti e persone che hanno prestato il loro aiuto per agevolare la ricerca: l’Ufficio stori­co dello Stato maggiore dell’esercito; Andrea Curami e Paolo Ferrari; Wolfgang Kuderna del Kriegsarchiv-Wien; Maximiliane Rieder dell’Institut für Zeitgeschichte, München; Christian Haager, Obmann del Kaiserjäger Bund di Innsbruck; Piccinini per il Kaiserschützen Museum di Innsbruck, ed infine Jack Greene, Los Osos, California.1 La citazione è utilizzata da Maravigna come didascalia di una foto di trincea, cfr. Pietro Maravigna, Guerra e vittoria, Torino, Utet, 1927.2 Sulle considerazioni appena fatte gli unici studi in Italia sono dovuti alla pionieristica opera di Scolè. Cfr. Pierlui­gi Scolè, Le lezioni tattiche del fronte occidentale ed il loro mancato riflesso sulla guerra italiana 1915-1917, tesi di laurea, Pavia, 1989-1990, pp. 63 e sg. Si veda anche il suo recente articolo sul capitano francese Laffargue, La tat­tica offensiva nella guerra di posizione: la parte di André Laffargue, “Il Risorgimento”, 1994, n. 1, pp. 149-161.

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di adattamento cui andavano incontro i ge­nerali che non erano presenti sul campo di battaglia.

Una risposta adeguata alla nuova situa­zione venne soltanto gradualmente e sotto diverse forme. Durante la guerra la procedu­ra di attacco assunse due forme più comuni, quella della lunga preparazione, fino a di­versi giorni di bombardamento, il cui potere alienante ci è stato consegnato dalla memo­rialistica oltre che dai recenti studi3, e l’im­piego di vari mezzi per consentire poi alle fanterie di avanzare con il minor numero di perdite possibile, riassunto dal termine “bat­taglia di materiali”, in sostanza una evolu­zione dell’arte dell’assedio favorita dalla di­mensione industriale del conflitto. Chi però non poteva disporre di tante risorse dovette ricorrere a forme più agili e meno costose di attacco, o meglio ancora a contrattacchi, in genere però limitati per scopo e dimensioni, fondati essenzialmente sulla sorpresa e che richiedevano una maggiore abilità di esecu­zione.

Secondo una opinione diffusa, gli anglo­francesi, ma anche gli italiani sul proprio fronte, potendo disporre di maggiori risorse rispetto all’avversario, cercarono una solu­zione nell’innovazione tecnologica, svilup­pando la produzione di grandi quantità di artiglierie, quindi di riserve immense di mu­nizioni, e facendo leva su nuovi mezzi come carri armati, aerei, bombarde, ecc., mentre dal canto loro i tedeschi e gli austroungarici

dovettero far maggior conto sul “materiale umano”, dando vita a innovazioni sul piano delle procedure di attacco. Il quartiermastro generale dell’esercito tedesco Erich Luden- dorff aveva espresso queste considerazioni sulle scelte dell’alto comando tedesco nelle sue memorie, e più recentemente qualche sto­rico ha ritenuto che l’eccessiva preoccupazio­ne per le perdite abbia influito su operazioni di vasta portata come l’offensiva austriaca nel Trentino nel maggio del 19164. Anche se questa non è la sede per una discussione in proposito, è opportuno tenere presente che questa schematica interpretazione delle scelte dei belligeranti è stata messa in discussione, per esempio da Bruce Gudmunsson5, perché anche in campo alleato si è cercata l’innova­zione nella tattica, mentre gli Imperi centrali dal canto loro misero in campo tutta una se­rie di nuove armi che costituivano tentativi di superamento della terra di nessuno. C’è chi infine ha trovato insoddisfacente la conclu­sione che l’evoluzione tattica tedesca fosse migliore di quella britannica, rivendicando a canadesi6 e britannici7 in generale una inso­spettata vitalità ideativa nel rispondere alla sfida della nuova forma di guerra.

La dicotomia tra la pratica che si andava imponendo nella guerra di trincea e i concetti che presiedevano alle regolamentazioni tatti­che degli eserciti europei all’inizio del Nove­cento — largamente improntate all’offensiva — è più evidente se la si esamina da vicino. Emerge allora la prosecuzione della tattica

3 Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, Bologna, il Mulino, 1985 (ed. orig. Cambridge, Cambridge U .P ., 1979).4 Così si esprime Manfried Rauchensteiner nel suo recente Der Tod des Doppeladlers. Österreich-Ungarn und der Erste Weltkrieg, Graz, Styria, 1993. Enfasi su questo punto viene posta dallo studio di Gerhard Arte, Die öster­reich-ungarische Südtirol-offensive 1916, Wien, ÖBV, 1983, p. 73.5 Bruce I. Gudmunsson, Stormtroops Tactics. Innovation in German Army 1914-1918, New York, Praeger, 1989, p. 172.6 Ian M. Brown, Not Glamorous But Effective: The Canadian Corps and thè Set-piece Attack 1917-1918, “Journal of Military History”, luglio 1994, pp. 421-444.7 Si veda lo stimolante nuovo volume di Paddy Griffith, Battle Tactics o f thè Western Front. The British Arm y’s Art o f Attack 1916-18, London, Yale U .P., 1994, che scrive a commento della evoluzione delle Sturmtruppen tede­sche: “Tuttavia in questa evoluzione i britannici erano più avanti”. Il lettore che riesca a superare lo sciovinismo che pervade il volume, vi può trovare interessanti spunti di riflessione.

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delle formazioni in linea e colonna delle guerre napoleoniche con i necessari adatta­menti suggeriti dalle esperienze delle guerre successive.

Più precisamente, alla vigilia della guerra la compagnia austroungarica in attacco avanzava su un fronte di tre plotoni per una larghezza di 300 metri circa, mentre un quarto restava in riserva8. L’attacco aveva due momenti: quello “distruttivo” e quello “decisivo”, cioè azione di fuoco prima e as­salto poi, il tutto secondo VExerzierregle­ment del 1911 e il Dienstvorschrift 1911 (ge­neralmente abbreviati rispettivamente E-3 e A-10), equivalenti alle nostre librette dottri­nali. Essi si ispiravano fondamentalmente alle guerre austroprussiana (1866) e franco­prussiana (1870)9, ma dalle ultime edizioni prebelliche si può desumere che la guerra russogiapponese aveva avuto una certa in­fluenza, e infatti, accanto alle consuete for­me di combattimento dette d’incontro (Be­gegnungsgefecht o Rencontre) e di attacco contro nemico disposto a difesa (Angriff ge­gen einen zur Abwehr entwickelten Gegner), era stato inserito anche il combattimento contro posizioni fortificate (Angriff auf be­festigte Stellungen). Questa constatazione però non ci può fornire l’assicurazione che l’esercito fosse stato addestrato seguendo quei principi, e neppure che sul campo di battaglia le norme abbiano trovato puntuale

attuazione. Di fatto questo dipendeva dal grado di addestramento delle unità e dall’at­teggiamento dei comandanti, cioè in buona parte dalla professionalità di questi ultimi. Secondo qualche autorevole testimonianza, l’addestramento all’attacco a posizioni forti­ficate restò spesso lettera morta, lasciando spazio nelle manovre al consueto e ben col­laudato esercizio del combattimento d’in­contro10 11. D’altra parte quanto riferiva il no­stro addetto militare in Russia sulla guerra russogiapponese, e cioè che “Nel circolo de­gli ufficiali di Stato Maggiore esteri è molto criticata la mania russa di scavare trincee ovunque ed in grande quantità” , indica qua­le fosse la mentalità dell’epoca11.

Il capo di Stato Maggiore delle forze ar­mate austroungariche, il generale Franz Conrad von Hòtzendorf, che aveva sempre nutrito un forte interesse per la tattica, ebbe larga influenza con i suoi scritti in materia. Un libro in particolare — apparso nel 1900 e più volte ristampato — costituì la base teori­ca dell’addestramento della fanteria dell’im­pero, ma non prendeva in considerazione ipotesi di attacco diverso di quello in terreno piano o coperto rispetto al fuoco avversario, assumendo che il nemico fosse privo di ripari campali. Interessante invece la previsione di combattimenti invernali, probabilmente col­legata alla sua personale esperienza come co­mandante di truppe al confine con l’Italia12.

8 Erwin Steinböck, Bewaffnung und Kampfweise der österreichisch-ungarischen Infanterie im Ersten Weltkrieg, “Truppendienst”, 1979, n. 3, pp. 232-235; 1979, n. 4, pp. 325-327; 1979, n. 5, pp. 434-438.9 Stampati a Vienna da L.W. Seidel & Sohn nel 1912. La non semplice organizzazione delle forze armate della Du­plice monarchia rifletteva la sua dualità: un esercito comune imperialregio (k.u.k.) e due eserciti nazionali austriaco (k.k.) e ungherese (k.u.). I reggimenti austriaci sono denominati Schützen e quelli ungheresi Honvéd.10 Peter Broucek, Taktische Erkenntnisse aus dem russisch-japanischen Krieg, “Mitteilungen des Österreichischen Staatsarchivs”, voi. 30, 1977, pp. 191-220; 203; 214; si veda anche il commento all’evoluzione della regolamenta­zione austroungarica in Anton von Pitreich, Die Entwicklung unseres Kampfverfahrens vom Kriegsbeginn bis zur Gegenwart, “Militärwissenschatliche und Technische Mitteilungen”, 1935, pp. 401-416; 487-510; 577-594.11 Annotazione del giornale di campagna di F. Camperio, osservatore militare italiano presso l’esercito russo in Manciuria, del 4 luglio 1904, in Antonello F.M. Biagini (a cura di), Documenti italiani sulla guerra russo-giappone­se (1904-1905), Roma, Ussme, 1977.12 Franz Conrad von Hötzendorf, Die Gefechtausbildun der Infanterie, Wien, 1900. Numerose le successive edizio­ni. Quelle consultate del 1913 e del 1917 sono sostanzialmente identiche. Curiosamente tra i terreni fortemente co­perti Conrad citò anche le coltivazioni tipiche italiane, cfr. p. 232.

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Queste norme non erano dissimili da quel­le degli altri eserciti dell’epoca, compreso quello italiano.

Patrimonio comune delle idee che ispira­vano gli eserciti europei era la tendenza al­l’offensiva, sia sul piano strategico (si pensi ai vari piani Schlieffen o XVII francese), sia sul piano tattico13. L’enfasi sullo slancio come fattore di risoluzione del combatti­mento era presente in più di una normativa tattica europea; se è stato commentato che quella austroungarica prevedeva che “la fanteria si sarebbe lanciata all’attacco del nemico senza attendere l’appoggio dell’arti­glieria”14 per sostenere la forte tendenza al­l’attacco, anche quella italiana prevedeva che “l’assalto deve essere eseguito impetuo­samente” e che per essere decisivo “in tutti quelli che assaltano non dev’essere più che un solo pensiero: avanti, avanti sempre e ad ogni costo”15.

Questa fiducia nello slancio restava viva durante la guerra e spesso il fallimento degli attacchi veniva imputato unicamente alla sua mancanza.

Scarsa la comprensione delle possibilità della mitragliatrice: “Non sostituisce perciò né il fucile, né il cannone”, perché il suo ruolo poteva al massimo essere quello di “ausilio prezioso”, a dispetto di chi “va fantasticando che la potenzialità di ognuna di esse o di ogni sezione sia equipollente a quella di un plotone o due di fanteria”16.

Le truppe d’assalto italiane

L’esercito italiano godeva sul proprio fron­te principale di una indiscussa superiorità numerica che gli consentì di assumere un at­teggiamento offensivo senza però che sortis­sero adeguati risultati agli sforzi prodotti. Esso sperimentò sia il sistema dell’attacco preparato con grande uso di artiglieria e forte dispendio di munizioni, sia l’attacco di minori dimensioni affidato alle truppe d’assalto. Un contesto diverso quindi da quello in cui operarono gli austriaci, di di­fensiva strategica, nel quale d’altra parte l’esigenza delle truppe d’assalto era sorta nell’ambito della battaglia difensiva. L’uni­co studio sugli arditi italiani si deve alla pionieristica ricerca di Giorgio Rochat17, che fornisce anche informazioni sulle trup­pe d’assalto austriache e analizza il contesto in cui sorse e si sviluppò la formazione di truppe di élite. Ne risulta che in realtà non esisteva per gli arditi italiani — che inizial­mente si erano ispirati alle truppe d’assalto austroungariche — soltanto una esigenza tattica, ma anche una di carattere morale e propagandistico. Già nel 1915 Cadorna ave­va emanato varianti alle istruzioni tattiche in vigore allo scoppio della guerra perché superate dagli eventi. Di conseguenza, alle norme vigenti (il cui riassunto è spesso defi­nito come “libretto rosso”) emanante nel 191518, che a differenza di quelle austroun-

13 Jack Snyder (a cura di), The Ideology o f thè Offensive. Military Decision Making and thè Disasters o f 1914, Ithaca, Cornell University Press, 1984.14 A. von Pitreich, Die Entwicklung unseres Kampfverfahrens von Kriegsbeginn bis zur Gegenwart, cit., p. 402.15 Ci riferiamo all’analisi comparata delle regolamentazioni italiana, tedesca, francese e austroungarica fatta da Felice Santangelo, Commenti alle nostre norme per il combattimento della fanteria (bozze dì stampa 1911) e norme analoghe sancite dai regolamenti francese, germanico e austro-ungarico, Torino, Tip. Oliviero & C., 1913, p. 398.16 F. Santangelo, Commenti alle nostre norme per il combattimento della fanteria, cit., p. 387.17 Giorgio Rochat, Gli arditi della grande guerra. Origini, battaglie e miti, Milano, Feltrinelli, 1980 e Gorizia, Edi­trice Goriziana, 1990 (seconda edizione).18 Filippo Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, voi. I, Roma, Ussme, 1984, pp. 504 e sgg. La circolare è pubblicata in: L ’esercito italiano nella grande guerra, voi. VI: Le istruzioni tattiche del capo di Stato maggiore dell’esercito negli anni 1914, 1915, 1916, Roma, Ist. Poligrafico dello Stato, 1932, all. 3, pp. 69-97.

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gariche non mettevano in conto l’attacco a posizioni fortificate, Cadorna fece seguire “una completa revisione dei criteri e dei procedimenti d’impiego della fanteria e del­l’artiglieria”, una presa d’atto della batta­glia di materiali in corso che però non ri­nunciava all’azione “violenta e risoluta” come mezzo per concludere a proprio favo­re la battaglia, insistendo particolarmente sulla determinazione dei fanti lanciati al­l’assalto, come se questi avessero potuto ri­solvere il problema con la semplice volon­tà19. Inoltre, la prima grande battaglia di­fensiva italiana nella primavera del 1916 nel Trentino aveva messo in luce carenze strut­turali del nostro esercito, oltre a inadegua­tezze concettuali. In effetti prima di allora l’enfasi era posta sull’attacco più che sulla difesa e in questa l’esercito di Cadorna ave­va subito la superiorità tecnica e di prepa­razione del nemico, il quale poteva avvan­taggiarsi di un anno di esperienza sui campi di battaglia europei, ben superiore a quella della guerra italo-turca. Non che mancasse­ro idee: l’allora colonnello Grazioli propose per esempio l’impiego di una brigata mista libica e italiana per l’assalto e la rottura del fronte nemico “di viva forza”, facendo conto sulla sorpresa e impiegando militari “vergini della deprimente vita di trincea” assieme a un reggimento di colore formato da ascari libici, non si sa se per risparmiare vite italiane o per “far piazza pulita della

trincea conquistata, senza dar quartiere e senza far prigionieri, e ciò per terrorizzare i difensori”20. La proposta non ebbe seguito per problemi politici, per cui sul fronte ita­liano non vennero utilizzati soldati non na­zionali, come invece scelsero di fare francesi e inglesi.

Dopo aver riassunto per tutte le armate dipendenti le impressioni a caldo della re­cente esperienza, Cadorna emanò delle nor­me per l’impiego della fanteria nella guerra di trincea, che, accanto alle nuove norme per l’impiego dell’artiglieria, costituivano il sommario delle esperienze fatte in oltre un anno di guerra21.

Ma la riflessione in proposito era ancora in atto, perché il Comando supremo chiese in agosto alla l a armata quali metodi aves­sero usato gli austriaci nell’azione offensiva “per lo studio delle norme tattiche più ap­propriate per avere ragione del nostro nemi­co”22. In effetti non solo gli insegnamenti del fronte francese ebbero limitata ricaduta sugli italiani23, ma anche le esperienze di ca­sa propria sembravano non essere partico­larmente fruttuose in tempi brevi. Nella nor­mativa emanata da Cadorna in luglio l’at­tacco era ancora visto a ondate successive e la maggior garanzia di riuscita sembrava an­cora essere la profondità del dispositivo di attacco. Accanto alla costante sottolineatura della essenzialità della “decisa volontà di vincere” come premessa indispensabile per

19 F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’esercito italiano, voi. I, cit., pp. 655 e sgg.20 “Studio per la costituzione e l’impiego di un gruppo tattico speciale per l’attacco di viva forza (brigata mista d’as­salto)”, senza data ma trasmesso a Cadorna il 1° maggio 1916, in Archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’esercito (Aussme), E l, racc. 145. Esistono diverse stesure nella primavera del 1916 dello stesso studio.21 L ’esercito italiano nella grande guerra, voi. VI: Le istruzioni tattiche del capo di Stato maggiore dell’esercito ne­gli anni 1914, 1915, 1916, cit., all. 27, pp. 298 sg.; F. Stefani, La storia della dottrina e degli ordinamenti dell’eser­cito italiano, voi. I, cit., p. 639 commenta giustamente che in quei mesi si registrò una evoluzione dei criteri d’im­piego.22 Comando supremo a l a armata, lettera prot. n. 15.296 dell’ 11 agosto 1916: “Quesiti sui metodi tattici usati dagli austriaci”, in Assme, FI, 261, fase. 1.23 Questa constatazione si basa sulle ricerche di Giorgio Rochat, La preparazione dell’esercito italiano nell’inverno 1914-15 in relazione alle informazioni disponibili sulla guerra di posizione, “Il Risorgimento”, 1961, 1, pp. 10-12 per il periodo della neutralità e di P. Scolé, Le lezioni tattiche del fronte occidentale ed il loro mancato riflesso sulla guerra italiana 1915-1917, cit. per il periodo successivo.

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riuscire negli attacchi, si consigliava anche di distribuire a tutti gli attaccanti “qualche bomba a mano”24.

Quindi, ancora prima di essere sorpresi dalle operazioni delle Sturmtruppen austro- ungariche, gli italiani avevano valutato a va­ri livelli l’inadeguatezza delle norme dottri­nali anteguerra nella guerra di trincea in cor­so, anche se persisteva la convinzione della provvisorietà di questo aspetto del conflitto. Questa impressione riceve conferme dalle istruzioni che venivano emanate; per esem­pio, ancora alla fine del 1916, dopo un anno e mezzo di guerra, il manualetto dell’ufficia­le di complemento, curato dal generale Giu­seppe Pennella, non rinunciava ai concetti tattici prebellici, ma inseriva ad uso dei gio­vani subalterni un capitoletto sulla guerra di trincea, dato che in questa “il combattimen­to si svolge con norme le quali si diversifica­no notevolmente da queste [in campo aper­to] [...] e che è essenzialissimo di studiare bene a fondo, data l’applicazione continua che se ne fa25” .

La comparsa a fine anno di nuovi proce­dimenti austriaci di derivazione tedesca co­strinse gli italiani a un loro esame che però non significò un cambiamento radicale nelle norme di impiego, comportando piuttosto la riflessione sulla utilità, d’altronde sancita dai risultati sul campo, di costruire reparti analoghi a quelli d’assalto austroungarici. In questo giocava anche un proprio ruolo il morale delle truppe, perché dalla documen­

tazione emerge che i comandi soffrivano considerevolmente dell’iniziativa austroun­garica nel campo delle piccole azioni, spesso condotte con successo proprio da truppe d’assalto26.

Questo spinse la 3a armata, schierata sul Carso, a tradurre e dare alle stampe le istru­zioni per l’addestramento delle truppe d’as­salto austroungariche, distribuendole ai re­parti dipendenti. Cadorna lasciò infatti alle armate dipendenti il compito e l’autonomia per raccogliere quanto vi era di positivo nel­l’impiego delle nuove truppe austroungari­che. Questa influenza dell’avversario non andò oltre l’impostazione generale, dato che le truppe d’assalto italiane ebbero alcune lo­ro peculiarità, per esempio nella costituzio­ne di specifiche unità, mentre nell’esercito austroungarico gli uomini delle unità d’as­salto venivano inviati ai loro reparti di origi­ne quando non erano impiegati. Lo stesso dicasi per l’uniforme e il trattamento econo­mico e disciplinare; il soldato che prestava il servizio d’assalto (Sturmdienst) non dispo­neva di particolari accessori nell’uniforme se non i sacchi che servivano per portare a tra­colla le bombe a mano. Spesso l’uso dell’el­metto viene associato alle formazioni d’as­salto, ma in realtà questo accessorio aveva avuto diffusione in tutta la fanteria, anche se, laddove la disponibilità non era suffi­ciente, le truppe d’assalto avevano la prece­denza nel suo utilizzo rispetto ad altri repar­ti. Una volta decisa la loro costituzione, in-

24 L'Esercito italiano nella grande guerra, voi. IV, Le istruzioni tattiche del capo di Stato maggiore dell’esercito de­gli anni 1914-1915-1916, Roma, Ist. Poligr. dello Stato, 1932, p. 306. A fine anno finalmente il Comando supremo ravvisò la necessità dell’addestramento di tutti al lancio delle bombe a mano proprie e nemiche. Cfr. Id., Disposi­zioni relative all’impiego delle bombe a mano, allegato 33, pp. 347-350. Formalmente la circolare del Comando su­premo è corretta e individua i punti che avrebbero potuto migliorare la qualità degli attacchi, ma a patto che la fan­teria o almeno le truppe delle prime ondate e l’artiglieria di appoggio avessero ricevuto un adeguato addestra­mento.25 Giuseppe Pennella, Vademecum dell’allievo ufficiale di complemento, Roma, Tip. del Senato, dicembre 1916,pp. 20-1.26 Sulla costituzione dei reparti d’assalto cfr. la circolare n. 21.000 del 5 luglio 1917: “Addestramento dei riparti d’assalto”, in Aussme, F2 - 18, fase. 5. Nel documento si legge: “[...] (colpi di mano), ai quali appunto saranno più specialmente adibiti i riparti d’assalto”.

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vece, gli italiani dotarono i reparti d’assalto di proprie distinzioni nell’uniforme, come le fiamme nere (o cremisi per i reparti a preva­lenza di bersaglieri), la giubba aperta da ber­sagliere ciclista e l’armamento particolare (pugnale, moschetto, bombe a mano). Inol­tre l’addestramento venne impostato su due livelli: personale addestrato all’assalto da te­nere presso i reparti e personale destinato al­la formazione di reparti d’assalto veri e pro­pri a livello battaglione. A differenza dell’e­sercito austroungarico, il Comando supre­mo italiano aveva disposto che la compagnia fosse il reparto minimo autonomo per i re­parti d’assalto27.

I principi addestrativi non differivano granché da quelli austroungarici, dato che gli italiani utilizzarono lo schema base del nemico per il loro addestramento28, ma la differenza più rilevante rispetto agli avversa­ri era nei concetti che si possono dedurre dalla diversa organizzazione: per gli italiani era importante sviluppare uno spirito di cor­po, che necessariamente doveva avere come supporto qualche elemento di distinzione dal fante comune associato all’inferno im­mobile della trincea, sia nell’uniforme, sia nello spirito che si tendeva a formare, con l’intenzione di dar vita a un modello di rife­rimento29.

Benché Cadorna non avesse rilevato gran­di novità nell’addestramento delle truppe d’assalto austriache, nel 1917 apparvero nuove istruzioni per l’attacco nella guerra di trincea, che precisavano: “[...] quando l’ar­tiglieria inizia l’allungamento del tiro, la pri­

ma ondata giunga presso la posizione nemi­ca per aggredire l’avversario con lancio di bombe o con la baionetta, mentre è ancora nascosto nei suoi ripari”30.

Il procedimento non mancava di sollevare remore nella realizzazione pratica, la quale non poteva essere improvvisata. Infatti la circolare riconosceva che “qualche perdita, [...] con tale procedimento si potrà avere dalla propria artiglieria” .

Lo sviluppo degli arditi italiani prima di Caporetto avvenne con una certa len­tezza, ma visti i “risultati veramente prezio­si” che questi conseguivano, venne deciso di costituire un reparto per ogni corpo d’ar­mata.

Accanto alla conferma della volontarietà del reclutamento delle truppe d’assalto, emerge dalla documentazione anche qualche pressione sui soldati dovuta al malinteso or­goglio dei comandanti desiderosi di fare bel­la figura proponendo un alto numero di vo­lontari31.

Dopo Caporetto venne posta — almeno per quanto concerne la 3a armata — “ogni cura a che tali reparti siano sollecitamente riordinati e completati” . Al dicembre 1917 la 3a armata disponeva di quattro reparti (dal 19° al 22°) e si procedette di pari passo all’attiva propaganda per ottenere volontari prima di tutto dai bersaglieri, poi dalle com­pagnie di fanteria e mitraglieri. La ragione risiede probabilmente anche nel fatto che nel corso della battaglia di arresto i reparti d’as­salto avevano prestato valido aiuto anche nella difesa, agendo come “pompieri” nelle

27 Circolare n. 117.050 del Comando supremo del 21 settembre 1917: “Equipaggiamento armamento composizione organica dei riparti d’assalto”, in Aussme, F2, racc. 18, fase. 5.28 In proposito si veda il programma austroungarico diffuso dal Comando supremo in L ’Esercito italiano nella grande guerra, voi. VI: Le istruzioni tattiche del Capo di Stato maggiore dell’esercito, 1917-1918, Roma, Ussme, 1980, pp. 86-88 ed i commenti di G. Rochat, Gli arditi della grande guerra, cit., p. 24.29 G. Rochat, Gli arditi della grande guerra, cit., passim.30 Regio esercito italiano, Comando supremo, Riparto operazioni, Istruzione provvisoria sull’attacco delle minori unità dì fanteria nella guerra di trincee, circolare a stampa del 1917, p. 18.31 3a armata ai corpi dipendenti, lettera prot. n. 32.755 del 28 settembre 1917: “Riparti d’assalto” e n. 35.297 del 18 ottobre 1917 con lo stesso oggetto, in Aussme, F12, racc. 18, fase. 5.

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situazioni difficili32. Già nelle battaglie di­fensive della fine del 1917 sul Piave e sulla zona montana del Grappa e dell’altipiano, entrambi i contendenti fecero uso nelle si­tuazioni più difficili di truppe d’assalto (tor­neremo oltre sul tema con un esempio au­stroungarico), sia in attacco che in difesa. Se ne può dedurre che l’addestramento impar­tito consentiva alla fanteria — naturalmente a una parte selezionata per qualità fisiche e idoneità psichica — di riuscire laddove la massa dei combattenti trovava impossibile esprimere lo slancio più volte invocato dalle circolari del Comando supremo.

I risultati comunque ottenuti dal limitato sviluppo del 1917 costituirono evidentemen­te la base della realizzazione nel 1918 di grandi unità d’assalto, arrivando fino al cor­po d’armata d’assalto.

Gli arditi restavano comunque unità d’éli­te, al contrario delle Sturmtruppen, che non ricevevano l’attenzione della propaganda.

Se si analizzano i combattimenti nel corso dell’ultimo tentativo offensivo della Duplice monarchia, nel giugno 1918, si può consta­tare come i successi parziali e comunque si­gnificativi delle truppe austroungariche nella fase iniziale della lotta fossero ottenuti pro­prio da truppe d’assalto, mentre i contrat­tacchi italiani riusciti appaiono nella mag­gioranza dei casi condotti proprio da truppe d’assalto, una caratteristica eminente del fronte italiano.

Le truppe d’assalto austroungariche: l’organizzazione33

La storiografia anglosassone ha dedicato per scopi speculativi una considerevole at­tenzione alle Sturmtruppen tedesche e al lo­ro significato nella evoluzione dei procedi­menti tattici durante la prima guerra mon­diale, cercando di individuare le ragioni — anche in campo sociale — alla base del suc­cesso nello sviluppo della regolamentazione tattica di quell’esercito34. Meno attenzione ha destato l’analogo procedere degli eserciti della Duplice monarchia, per quanto utili notizie, desunte dall’esperienza sul campo e da documenti austroungarici, fossero state fornite da Salvatore Farina nella sua storia delle truppe d’assalto italiane35.

Ma anche rAustria-Ungheria, fin dal ral­lentamento delle operazioni di movimento e dalle prime battaglie, constatò che i regola­menti tattici avevano rivelato la loro inade­guatezza davanti alla potenza di fuoco che la difesa era in grado di sviluppare. Tuttavia ogni cambiamento radicale delle procedure sembrava essere rinviabile perché ci si attende­va che il campo di battaglia tornasse ad assu­mere le caratteristiche fino allora conosciute.

Occorre però dire che fin dal 1915 si ri­scontrano tracce di azioni mirate al supera­mento della staticità delle linee con fulminei colpi di mano. Valga ad esempio l’impresa dei Landesschutzen tirolesi contro la testa di ponte russa di Zaleszczyki nel maggio del 19 1 536, condotta in maniera efficiente, rapi-

32 3a armata lettera prot. n. 40.675 del 19 dicembre 1917: “Battaglioni d’assalto”, in Aussme, F12, racc. 18, fase. 5.33 L’argomento delle truppe d’assalto austroungariche è stato introdotto in Alessandro Massignani, Jack Greene, Le Sturmtruppen sul fronte italiano. Nascita e affermazione delle truppe d ’assalto dell’esercito austroungarico (1916-1917), “Storia militare”, 1994, n. 15.34 Una approfondita analisi di queste opere è in Lucio Ceva, Riflessioni e notizie sui sottufficiali, “Nuova antolo­gia” , aprile-giugno, 1992, fase. 2182, pp. 331-353.35 Salvatore Farina, Le truppe d ’assalto italiane. Con cenni sulle truppe d ’assalto straniere, Roma, Tip. “Lavoro fascista”, 1938, pp. 343-361.36 Eduard Czegka, Der Kaiserschiitzen-Handstreich auf Zaleszczyki am 8. Mai 1915, “Militàrwissenschaftliche Mitteilungen”, 1931, n. 1, pp. 1-25.

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da e tale da realizzare la sorpresa. Delle ri­flessioni in atto sui procedimenti tattici delle varie armi e soprattutto della fanteria tro­viamo traccia anche alPindomani dell’offen­siva nel Trentino del maggio 1916 contro l’I­talia — nota anche come Strafexpedition. In un documento riservato del I corpo d’arma­ta austroungarico, schierato sull’altopiano di Asiago, si poneva forte accento sulla ne­cessità che le truppe in attacco, comprese le riserve, si portassero a distanza di assalto (all’incirca 200 passi) dalle trincee nemiche durante il fuoco della propria artiglieria. Se questo, come si è già notato, era un fattore essenziale nella riuscita degli attacchi degli austroungarici contro le posizioni italiane, nondimeno la necessità del superamento del tratto scoperto e della conquista di settori molto articolati di trincee comportava l’ela­borazione di procedimenti particolarmente accurati di attacco con l’uso di armi di vario tipo. Già nel corso dell’operazione un uffi­ciale italiano in quel settore del fronte aveva notato come la fanteria avversaria apportas­se variazioni alla tattica d’attacco avanzan­do “a piccoli drappelli, a sbalzi periodici di poche diecine di metri”, sfruttando al massi­mo le asperità del terreno e senza sospendere il fuoco dell’artiglieria37.

Sempre nell’estate del 1916, il comando della l a armata italiana lamentò che l’avver­sario compiva azioni di sorpresa che ottene­vano successi locali grazie alla scarsa vigi­lanza delle prime linee38. Si andava anche diffondendo nell’esercito austroungarico l’impiego di pattuglie particolarmente adde­strate al lancio di bombe a mano che utiliz­zavano i migliori lanciatori serviti da apposi­ti portatori.

Nella seconda metà del 1916 gli austroun­garici avevano finalmente messo a frutto le esperienze negative delle grandi battaglie sul fronte serbo, russo e italiano. Occorreva trovare una risposta alla nuova forma di guerra di posizione per sbloccare la guerra di assedio. La forma di combattimento del­l’attacco a posizioni fortificate, pur non es­sendo una novità, richiedeva truppe parti­colarmente addestrate. L’esercito di cam­pagna non poteva essere sottoposto a tale necessario addestramento, per cui si comin­ciò a preparare un nucleo scelto e adegua­tamente addestrato per ogni unità a livello di reggimento, con l’intenzione di estende­re questo moderno addestramento, al pun­to da prevedere che avrebbe persino costi­tuito la base di quello futuro in tempo di pace, anche perché l’Armeoberkommando si rendeva conto che addestrare in tempo di guerra tutto l’esercito era impresa dispera­ta39.

Nel quadro della collaborazione tra tede­schi e austroungarici, che si spingeva fino al­la intersezione di unità tedesche come “cor­setti da busto” tra quelle dell’alleato (sorge spontaneo il parallelo con le abitudini adot­tate un quarto di secolo dopo da tedeschi e italiani), vennero organizzati dei corsi co­muni di ufficiali, in specie sul fronte occi­dentale, per l’addestramento al combatti­mento. Nel novembre 1916 si svolgevano tali corsi per i sistemi di attacco e analoghe ini­ziative vennero adottate dal Comando supe­riore del fronte orientale. Un primo esempio di attacco austroungarico condotto secondo procedure nuove e organizzato sotto coman­do tedesco, era peraltro già avvenuto alla te­sta di ponte di Zarecze (sul fronte russo) il

37 Valentino Coda, Due anni di guerra con la Brigata Liguria, Milano, Sonzogno, s.d., p. 103.38 Operazioni l a armata gennaio-giugno 1917: n. 28.542 del 18 agosto 1916 del comando l a armata: “Azioni di sorpresa nostre ed avversarie”, in Aussme, Fondo EI, race. 17.39 “Sturmformationen - beabsichtigte Organisation zur Stellungnahme” in Armeoberkommando, Operationen (cioè atto riguardante le operazioni, d’ora in poi Aok, Op.) n. 42.363 del 30 giugno 1917, in Staatsarchiv-Kriegsar­chiv Wien (di seguito Ka). Si veda anche “Referat über Benennung und Bezeichnung der Sturmtruppen”, in Ka, Aok, Op. n. 43.614.

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18 settembre 1916, dove 17 compagnie tede­sche e sette austroungariche avevano cattu­rato oltre 2.500 russi lamentando solo 18 morti e 150 feriti40. A impiego ultimato le unità partecipanti, provenienti da svariati reggimenti, erano rientrate alle unità di ap­partenenza.

Anche l’attacco della 121a divisione tede­sca il 1° novembre dello stesso anno a Wito- niez, sempre contro i russi, in quanto con­dotto con un esemplare appoggio dell’arti- glieria austroungarica, pare essere stato un esempio di impiego più preparato41. Alcune notizie del tempo di guerra — peraltro prive di conferme — indicherebbero delle azioni analoghe presso la 55a divisione sul fronte russo42.

Alla fine del 1916, sull’esempio delle trup­pe d’assalto tedesche, e grazie ai corsi svolti da ufficiali austroungarici sul fronte occi­dentale e all’addestramento condotto anche all’interno di unità tedesche, la Duplice mo­narchia poteva mettere in campo delle pattu­glie dette di “Sturmtrupps” oppure “Stoss- trupps” , cioè piccole unità a livello squadra, che dovevano agire in piccole azioni integra­te con altre armi, e in particolare con l’arti­glieria, in perfetto sincronismo. L’influenza dell’alleato tedesco era pesante non soltanto a livello di condotta strategica della guerra, specialmente dopo il disastro dell’offensiva di Brusilov (giugno 1916), ma anche a livello

tattico e normativo. La relazione ufficiale austriaca riferisce in proposito che le espe­rienze del fronte occidentale avevano costi­tuito la base delle nuove norme organiche e addestrative con il travaso delle specifiche tedesche nell’esercito austroungarico43. La funzione delle truppe d’assalto, salvo opera­zioni minori isolate, doveva essere quella di “apripista” per il resto della fanteria che do­veva occupare in forze le posizioni espu­gnate.

Come obiettivo generale il Comando su­premo si proponeva di arrivare ad avere al­meno una o due pattuglie per ogni compa­gnia di fanteria che fossero addestrate nel corso dell’inverno alla lotta corpo a corpo con mezzi moderni. In questa prima fase i sottufficiali — in analogia ai colleghi tede­schi — svolgevano un ruolo importante in quanto comandanti delle Sturmpatrouil- len44.

L’apparizione di truppe austroungariche addestrate in maniera particolare divenne più evidente nella primavera del 1917, e in­fatti in quel periodo, terminati i primi corsi organizzati per battaglioni di Sturmtruppen d’armata, le pattuglie austroungariche adde­strate per l’assalto intensificarono le piccole azioni sperimentali. Occorre rilevare però che una istruzione per il loro addestramento era stata data alle stampe nel dicembre del 1916; si trattava delle Anweisungen fùr die

40 Österreich-Ungarns letzter Krieg (di seguito abbreviata Öuik), voi. V, Das Kriegsjahr 1916, Zweiter Teil, Wien, 1993, pp. 410-411.41 Öulk, voi. V, Das Kriegsjahr 1916, p. 460.42 Handbook o f the Austro-Hungarian Army in War. June, 1918, London, Imperial War Museum & Battery Press, 1994 (ristampa dell’originale 1918), p. 55.43 Öulk, voi. VI: Das Kriegsjahr 1917, a cura dell’Österreichisches Bundesministerium für Landesverteidigung und vom Kriegsarchiv, Wien, Verlag der militärwissenschaflitche Mitteilungen, 1936, p. 44.44 A proposito del ruolo dei sottufficiali tedeschi nell’evoluzione della nuova tattica, si veda L. Ceva, Riflessioni e notizie sui sottufficiali, cit., pp. 331-353. Una conferma del ruolo comparabilmente assai più limitato dei sottuffi­ciali nell’esercito italiano si apprende anche dalla lettura di qualche disposizione di attacco come quella del VI cor­po d’armata schierato sull’Isonzo in occasione di un’offensiva nella primavera 1916, che ricordava che “gli ufficiali debbono di massima restare in coda ai rispettivi riparti con la pistola in pugno”, cfr. n. 2.470 del 24 aprile 1916: “Concetti secondo cui indirizzare la preparazione della truppa e dei quadri per l’eventualità di ulteriori operazio­ni”, in Aussme, E l - Racc. 145.

48 Alessandro Massignani

Ausbildung der Sturmtruppen45. In realtà si ha notizia di truppe, specialmente tra le più fidate, addestrate già a fine del 1916, come nel caso del 27° reggimento di fanteria im- perialregio, composto unicamente di perso­nale reclutato in Stiria e quindi probabil­mente con i requisiti per essere una delle pri­me unità interessate al nuovo addestramen­to. I corsi avevano una durata di sei settima­ne: la storia del 27° ricorda che nel febbraio alcune pattuglie erano tornate alle unità già preparate46. Però già nel mese di gennaio gli italiani erano stati sorpresi dall’attività di queste nuove formazioni, come si apprende da una circolare riservatissima di Cadorna del 31 gennaio 1917 alle armate dipen­denti47.

Da questa si evince anche che le prime prove effettuate già tra la fine 1916 e l’inizio del 1917 sul fronte italiano avevano avuto tutte successo. Questo contrasta con quanto si legge spesso a proposito dell’impiego delle nuove tecniche d’attacco austroungariche in occasione del famoso contrattacco contro la

posizione di Flondar — sul fronte dell’Ison­zo — del 4 giugno 1917, nella fase finale del­la 10a offensiva isontina. In realtà la storia delle operazioni, rimasta alquanto arretrata, nota raramente la presenza di truppe speciali nei combattimenti, mettendo in ombra il lo­ro funzionamento e non potendo di conse­guenza spiegare le ragioni di alcuni risulta­ti48.

Un esempio relativamente conosciuto di reparto d’assalto austroungarico, nell’ambi­to di una generale carenza di fonti per la ri- costruzione della storia dei reparti, è costi­tuito dal battaglione dell’ 11a armata impe- rialregia schierata nel Trentino, costituito da quattro compagnie che riunivano elementi di tutta l’armata, ciascuna delle quali aveva quattro plotoni, ognuno su quattro pattuglie Sturm di nove uomini ognuna49.

Il battaglione aveva la propria sede adde- strativa a Levico, non lontano da Trento, dove, come a Tenna e Aldeno, si svolsero fi­no alla fine della guerra corsi per truppe d’assalto50. I corsi specifici del battaglione

45 K.u.k. Armeeoberkommando Op. Nr. 36.300, Anleitung für Ausbildung der Sturmtruppen, Dezember 1916. Si tratta di un libretto di 56 pp. La definizione utilizzata per le Sturmtruppen era “formazioni speciali” della fanteria. Tra le poche carte disponibili sull’argomento nella biblioteca del Kriegsarchiv di Vienna c’è un regolamento presso­ché coevo, emanato per il 6° battaglione d’assalto bavarese nel gennaio del 1917 dal suo comandante per l’esecuzio­ne di un addestramento particolare dell’unità (Bayer. Sturmbatl. Nr. 6, Sonder-Ausbildung von Sturmabteilungen, Januar 1917) che, pur essendo improntato alle esperienze del fronte occidentale, sottolinea concetti comuni a quelli in via di applicazione in Austria-Ungheria, desumibili in particolare da schizzi uguali a quelli utilizzati dal manuale austriaco.46 Hermann Fröhlich, Geschichte des steirischen k.u.k. Infanterie-Regiment Nr. 27 für den Zeitraum des Weltkrie­ges 1914-1918, 2 voll., Graz, Selbstverlag des 27er-Kameradschaftsbünde, 1937, II, p. 184.47 Riservatissima n. 1975 del 31 gennaio 1917, in Museo 3a armata (Padova), Diario storico 3a armata, annotazio­ne del 31 gennaio 1917.48 G. Rochat, Gli arditi della Grande Guerra, cit., pp. 45-46.49 l a compagnia dal 3°, 23° e 26° reggimenti Schiizen; la 2a proveniente dai quattro reggimenti reclutati in Bosnia- Erzegovina; la 3a dai reggimenti Kaiserschützen I e II e dai reggimenti fanteria 14° e 59° e la 4 a compagnia infine era costituita da elementi dei quattro reggimenti Kaiserjäger. Il tutto appoggiato da una batteria di obici da monta­gna, da una compagnia mitragliatrici, una batteria lanciabombe e mortai e un plotone pionieri con lanciafiamme. Cfr. Karl Karlik, Sturmbataillone der österreichisch-ungarischen Armee, Wien, s.d., p. 2. Avvertiamo il lettore che la numerazione dei reggimenti Kaiserschützen utilizza — unica eccezione — numeri romani anziché arabi.50 Dai verbali di pagamento delle requisizioni effettuate si desumono frequenze numerose presso lo Sturmlehrkurs di Levico, che appare essersi specializzato in diverse sezioni, come quella dei mezzi per combattimento corpo a cor­po. A Levico i campi addestrativi paiono essere stati tre: Barco, stazione e Selva. Ad Aldeno sappiamo di sette cor­si ai quali parteciparono Kaiserjäger. Cfr. Archivio Comunale di Levico (Trento), racc. 259, diversi 1918, 259 cart. 299, 457 e 488 e racc. 260, cart. 796.

La grande guerra sul fronte italiano 49

dell’ 11a armata iniziarono nel gennaio del 1917. Il personale era in forza al comando della 18a divisione di fanteria schierata in Valsugana e veniva addestrato da ufficiali e sottoufficiali addestrati a loro volta presso il battaglione d’assalto tedesco Ovest (Deut­sche Sturmbaon West); il comandante era il capitano Proksh. Riguardo al trattamento economico, non risulta sia esistita una parti­colare indennità, ma venivano comunque assegnati premi in danaro, come nel caso del comando della suddetta 18a divisione, che metteva a disposizione 200 corone mensili come premio particolare per il personale del­le truppe d’assalto51. Il 1° aprile 1917 la 5a armata schierata sull’Isonzo (o Isonzoar- mee, comandata dal feldmaresciallo Sveto- zar Boroevic von Bojna) riferiva al Coman­do supremo che anche nel proprio ambito era stato creato uno Sturmbaon composto da cinque compagnie, una per ogni settore di corpo, per un totale di 900 uomini52. Il gruppo di armate Kòvess aveva dato vita an- ch’esso a un battaglione d’assalto con sede a Nayaradszereda, formato da uomini prove­nienti da una cinquantina di reggimenti e battaglioni autonomi diversi, con sedi distri­buite sull’intero territorio del gruppo d’ar­mate53.

Nell’aprile del 1917, quando la presenza di queste formazioni cominciò a essere più evidente, la consistenza delle Sturmtruppen nell’esercito austroungarico era la seguente, per quanto concerne il principale fronte, cioè quello italiano:

— 5a armata: una compagnia addestra­mento per settore di corpo d’armata;

— 10a armata: una compagnia e due di addestramento;

— l l a armata: un battaglione su 4 com­pagnie, oltre ad un corso ad Aldeno; XX corpo: una mezza compagnia per brigata e nei Rayon I e II: soltanto due pattuglie.

Sugli altri fronti esistevano nel comples­so due battaglioni e mezzo, oltre a uni­tà addestrative, alcune delle quali erano distaccate presso battaglioni d’assalto tede­schi54.

Alla fine della guerra — a titolo di para­gone — le truppe d’assalto tedesche erano costituite dai battaglioni dall’ 1 al 12 e dal 14 al 17, più le compagnie d’assalto dal 13 al 17, in totale sedici battaglioni e cinque compagnie55, mentre virtualmente ogni divi­sione austroungarica possedeva un proprio battaglione d’assalto.

L’organizzazione delle Sturmtruppen au­stroungariche non corrispondeva a uno schema fisso, ma consisteva in linea di mas­sima di unità a vari livelli, plotone, compa­gnia, riunite in battaglioni che inizialmente dipendevano direttamente dal comando di armata, agendo in un certo senso da “pom­pieri” per situazioni difficili e mai per im­pieghi a massa.

Nel giugno del 1917 il Comando supremo di Baden indicò come segue la consistenza nelle diverse unità delle truppe d’assalto: per ogni compagnia una pattuglia (10 uomi­ni); quindi per battaglione un plotone; quindi per reggimento 3-4 plotoni, cioè una compagnia; quindi per divisione un batta­glione su 3-4 compagnie56.

51 K.u.k. Aok Nr. 316/5 del 31 gennaio 1917, in Ka, Neue Feld Akten (di seguito Nfa), 11.AK (Gstb.), cartone 831.52 K.u.k. 5 Aok Nr. 24/30 del 1° aprile 1917: “Sturmbaon und Sturmpatr. - Stände”, in KA, Nfa, HF u. HGK, 5. Op. AK (1917), cartone 1598.53 Aok n. 110.569 del 9 agosto 1918: “Sturmbaon des FI. Gr. Kmdos. FM. Baron Kövess”, in Ka.54 Aok Op. nr. 42.363 del 30 giugno 1917, in Ka, Aok.55 Hermann Cron, Geschichte des deutschen Heeres im Weltkriege 1914-1918, Osnabrück, Biblio, 1990 (ristampa dell’edizione del 1937), p. 127.56 Aok Op. n. 42.363 del 30 giugno 1917, in Ka, Aok.

50 Alessandro Massignani

Sull'Isonzo la formazione del battaglione della Isonzoarmee andava incontro a qual­che difficoltà a causa delle situazioni parti­colari delle divisioni lì schierate e al fatto che mancavano località idonee per l’adde­stramento. Altre difficoltà nella costituzione delle unità d’assalto nascevano dalla caren­za di armi e mezzi, ma in proposito l’Arme- oberkommando (Aok) pensava che quanto era disponibile era opportuno concentrarlo in mani capaci e ben addestrate.

Sul fronte russo sembra che l’introduzio­ne sia avvenuta più lentamente. Il reggimen­to “Hoch und Deutschmeister”, per esem­pio, costituì dal 12 luglio 1917 “sull’esempio del battaglione del Sudtirolo [dello stesso reggimento] inizialmente nel primo, poi in tutti gli altri battaglioni del reggimento la stessa organizzazione”57.

Un altro reggimento scelto dell’esercito comune, il 73°, ricevette ordine l’8 dicembre 1916 di inviare proprio personale a frequen­tare un corso a Monterovere, sull’altopiano di Lavarone, per l’addestramento d’assalto sulla falsariga di quello tedesco. Ogni batta­glione doveva avere almeno un ufficiale im­piegato per questo addestramento, mentre ogni compagnia doveva fornire due sottuffi­ciali e sei uomini. Questi ultimi rientrarono a fine gennaio in tempo per organizzare un colpo di mano utilizzando un tunnel scavato sotto la neve58.

Secondo il tenente Ernst von Verdroß del

battaglione d’assalto dei Kaiserjàger, allora comandante di plotone sul fronte italiano, che ci ha lasciato un diario insolitamente non conformistico59, la diversa provenienza dei militari delle diverse compagnie provo­cava qualche rivalità tra le varie nazionalità, come, a quanto sembra, nel caso dei rappor­ti tra slavi del sud e ungheresi. In ogni mo­do, benché le truppe bosniache abbiano tra­mandato nella tradizione orale una spiccata presenza nelle formazioni d’assalto, non esi­ste nessuna prova a nostra conoscenza che induca a pensare che esse venissero inserite di preferenza nelle unità Strumtruppen. Queste di regola erano infatti tratte da ogni reggimento della divisione. Ciò non toglie che ancora oggi si ricordi la particolare fero­cia delle truppe bosniache e croate. Invece, anche in una recente storia popolare delle truppe reclutate in Bosnia-Erzegovina, l’ad­destramento all’assalto occupa ben poco spazio, a conferma del fatto che le truppe bosniache erano addestrate come gli altri reggimenti60. Sembra invece che sia stata cu­rata l’omogeneità etnica delle compagnie. L’l l a armata aveva disposto infatti che per completare le compagnie del battaglione si dovesse ricorrere a truppe di diversi corpi designando la nazionalità in anticipo. Ne ri­sultavano due compagnie tedesche, una sla­va e una ungherese61. Dato il tipo di terreno in cui l’armata operava, al corso d’assalto che si teneva a Levico vennero destinate an-

57 Max Hoen, Josef Waldstätten-Zipper, Josef Seifert, Die Deutschmeister. Taten und Schicksale des Infanteriere­giments “Hoch und Deutschmeister" Nr. 4 insbesondere im Weltkriege, Wien, Druck und Verlag der öst. Staat­sdruckerei, 1928, p. 756.58 Max Ritter von Hoen, Geschichte des ehemalihen Egerländer Infanterie-Regimentes Nr. 73, Wien, Amon Franz Goth, 1939, pp. 400 e sg.59 Ernst von Verdroß, Kriegserlebniße eines österreichischen Sturmzugskommandanten, estratto da “Schweizeri­sche Monatschrift für Offiziere aller Waffen”, 1929.60 Werner Schachinger, Die Bosniaken kommen! Elitetruppen in der k.u.k. Armee 1879-1918, Graz, Stöcker, 1989. Occorre anche dire che l’autore è sensibile più alla descrizione, piuttosto retorica, dei combattimenti, che agli aspetti organizzativi. Che poi i bosniaci fossero tra i primi a macchiarsi di crimini di guerra, ricorre anche nei ver­bali di interrogatori: cfr. “Diario storico 3a armata”, Notiziario n. 673, p. 6, in Aussme, B l, voi. 13a.61 La compagnia d’assalto del 18° reggimento impierialregio, reclutato con personale austriaco, divenne oggetto di attenzione affinché fosse mantenuta la sua “forza d’urto” senza mescolarla nella riorganizzazione di fine 1917 con altre nazionalità. Cfr. Aok, Op. n. 46.549 del 24 ottobre 1917: “Sturmkompagnie des IR 18 - Stand”, in Ka, Aok.

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che truppe alpine per alta montagna, per un totale di otto ufficiali e 145 uomini destinati a costituire una Sturmhalbkompagnie, cioè mezza compagnia d’assalto di guide al­pine62.

Con la successiva estensione dell’adde­stramento e quindi con la costituzione di battaglioni divisionali, i quali rappresenta­vano una tappa della diffusione dell’adde­stramento a tutta la fanteria, cambiarono anche gli organici che possiamo illustrare sulla base di alcuni esempi, come quello del famoso battaglione della 22a divisione Schützen, composto da quattro compagnie d’assalto, con la seguente provenienza:

l a compagnia, dal 3° reggimento Schützen;2a compagnia, dal 26° reggimento Schützen;3a compagnia, dal I reggimento Kaiser­

schützen;4a compagnia, dal II reggimento Kaiser­

schützen;

appoggiato inoltre da una compagnia mi­tragliatrici e da una di mezzi di combatti­mento corpo a corpo. Completava l’organi­co un plotone pionieri63.

Altro caso di battaglione particolarmente curato fu quello della divisione Edelweiss, costituito e addestrato su ordine dell’Aok di fine febbraio 1918 a Bruck-Kiralyhda con una forza di 20 ufficiali e 800 uomini e di­pendente tramite il comandante della divi­sione direttamente dall’Aok64. I reggimenti 14°, 59°, 107° e 114° vennero istruiti per l’invio del personale specializzato65.

A ogni battaglione, dove erano state di­stribuite anche Hand-Maschinengewehre, cioè mitragliatrici “a mano”, venne assegna­to infatti anche un plotone lanciafiamme

con sei armi da 15 litri del tipo M.18 (26 passi di gittata, appena 20 metri, 18 secondi di durata dell’effetto, possibilità di 36 lan­ci). Anche le mitragliatrici portatili vennero sviluppate, prendendo a esempio la nostra Villar-Perosa, la quale venne riprodotta con la ridotta cadenza di tiro di 800 colpi al mi­nuto.

Ma l’arma principe fu la bomba a mano, che venne prodotta su campione tedesco, nelle forme con manico e a uovo, lanciabile da un esperto a 50 metri e con un notevole effetto. L’addestramento delle truppe d’as­salto verteva sul lancio delle bombe a mano in rapida sequenza da posizioni e su obiettivi diversi. Un esercizio consisteva nel lanciare le bombe in buche a distanze e direzioni va­riabili, da fermi, in corsa, in piedi, in ginoc­chio. La “ripulitura” delle trincee avversarie avveniva con l’inondazione delle stesse di bombe a mano e con l’ausilio dei lancia- fiamme. Anche l’addestramento ginnico aveva un suo spazio.

Nel corso delle operazioni sul campo vige­va poi una serie di regole importanti, come l’assoluto silenzio, la mancanza di ordini gridati come segnali per l’attacco (in contra­sto con i nostri “Savoia!”), che avveniva al­l’ora esatta dopo accurata regolazione degli orologi, il divieto di parlare sulle prime linee e per telefono delle operazioni d’assalto nei giorni precedenti. Inoltre non era consentito di occuparsi dei prigionieri, dei feriti, del bottino, se non delle armi per rivolgerle con­tro il nemico finché l’occupazione dell’o­biettivo non fosse stata portata a termine.

Ancora nel settembre 1917, l’organizza­zione delle truppe d’assalto dell’esercito im-

62 K.u.k. Aok Nr. 2046/26 del 28 ottobre 1917 e Nr. 317/67 del 4 giugno 1917, in Ka, Nfa, 11.Ak (Gstb.), cartone 831.63 K. Karlik, Sturmbataillone der österreichisch-ungarischen Armee, cit.64 Aok Op. n. 102.958 del 28 febbraio e 104.266 del 21 marzo 1918: “Sturmbaon der Edelweiß-Division Formier­rung”, in Ka, Aok.65 Aok Op. n. 104.096 del 16 marzo 1918: “Beistellung von Personal für das Sturmbaon der Edelweiß-Division”, in Ka, Aok.

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perialregio non corrispondeva a uno schema prestabilito, bensì alle esigenze specifiche di ogni teatro di guerra. L’organizzazione fu­tura, nell’ambito di una profonda trasfor­mazione dell’intero esercito, veniva però de­lineata confermando la creazione di un bat­taglione per ogni divisione, laddove non fos­se già stato fatto, avente una compagnia per ogni reggimento, il tutto perché “l’addestra­mento della fanteria tutta deve avvenire più rapidamente”66.

La positiva prova sul campo delle unità così addestrate aveva consigliato i comandi di espandere queste formazioni, talché nel­l’ambito della sola l l a armata si sarebbe ar­rivati a sette battaglioni. A questa riorganiz­zazione venne provveduto con lo sciogli­mento, nell’ottobre 1917, degli Sturmbatail- lone divisionali; il battaglione dell’ 11a ar­mata sarebbe stato formato e addestrato con elementi tratti dai quattro reggimenti Kaiser- jàger. Infatti, poiché il complesso delle azio­ni delle Sturmtruppen aveva avuto successo, si previde che unità scelte come i reggimenti Kaiserjàger fornissero ben 60 ufficiali e 1.500 uomini per l’addestramento d’assalto, dando così origine a uno Sturmbaon Kaise­rjàger. Questo fu protagonista di una serie di azioni coronate da successo che spiegano alcuni rovesci italiani sugli altipiani nel pe­riodo della battaglia difensiva a seguito dello sfondamento di Caporetto.

Il 9 gennaio 1918 veniva ufficialmente sciolto il battaglione d’armata e istituito in sua vece l’Armee-Sturmlehrkurs, con la san­zione quindi di una tendenza in atto che confermava il ruolo delle truppe d’assalto quali istruttori della massa della fanteria

dell’esercito. Un tratto questo che le con­traddistingue nettamente dagli arditi italia­ni, come giustamente hanno messo in luce ricerche sulla evoluzione tattica dell’esercito italiano67. Una differenza considerevole tra le Sturmtruppen austroungariche e gli arditi italiani risiedeva anche nel criterio di impie­go, che restava a livello compagnia-batta­glione per gli imperiali, mentre in Italia il Comando supremo pensava nel 1918 a corpi d’armata d’assalto. Infatti era intenzione del Comando supremo austroungarico che “L ’istruzione nel servizio d ’assalto deve di­ventare bene comune di tutta la fanteria”68, per quanto non poche difficoltà si frappo­nessero a questa realizzazione.

Non sempre però i comandi in sottordine comprendevano lo spirito e lo scopo dell’ad­destramento specifico delle truppe d’assalto, tanto che nel settembre del 1918 l’Aok do­vette fornire precisazioni con una circolare ai comandi dipendenti, dove sembravano “esistere in più parti dubbi sull’impiego” . L’Aok avvertiva che il battaglione d’assalto divisionale non era il “13° battaglione della divisione”, non era cioè un altro battaglione da tenere unito, ma che doveva di regola es­sere suddiviso in compagnie tra i reggimenti: “In combattimento non si può quindi di re­gola parlare di Sturmbaonen”. A differenza dei corrispondenti arditi italiani, che costi­tuivano corpo a sé stante, nei periodi di quiete le unità minori Sturm dovevano im­pegnarsi come istruttori di combattimento per il resto della fanteria. Inoltre la circolare precisava che non esisteva una “speciale” formazione d’assalto, e neppure uno “spe­ciale” servizio d’assalto69. A titolo di esem-

66 Kriegsministerium Abteilung, 5, Nr. 11.000 res. von 1917, “Neuorganisationen während des Krieges, Evident bis 15. September 1917”, p. 23. Le parole virgolettate nel documento dell’Aok già citato Op. 42.363.67 G. Rochat, Gli arditi, cit., pp. 23 sg.; Pierluigi Scolè, Le lezioni tattiche del fronte occidentale ed il loro mancato riflesso sulla guerra italiana 1915-1917, cit., p. 185.68 Aok Op. Nr. 43.785 del 22 agosto 1917. L’enfasi è nell’originale, in Ka, Aok.69 Seguito all’Aok Op. Nr. 43.785 dell’ 11 settembre 1918: “Sturmbaone - Ständefestsetzung, Klärung von Zwei­fel”, in Ka, Aok.

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pio, potremmo citare il caso di personale distaccato al battaglione Sturm dell’ 11a ar­mata da unità successivamente trasferite ad altra armata; il Comando supremo intimò all’ 11a armata di restituire questo personale alle unità di origine70.

Persino il distintivo previsto per le Sturmtruppen doveva essere portato unica­mente dagli elementi che tra di esse avesse­ro dato particolare prova di valore. Di fre­giarsene davanti al nemico era del tutto fuori discussione71.

Il procedimento tattico delle Strumtrup- pen, che ricalcava il modo di operare delle analoghe truppe tedesche, tendeva a risol­vere il problema di come superare la “terra di nessuno” in presenza di una reazione di­fensiva molto forte, in un ambiente pa­ragonabile a quello della guerra d’asse­dio; in sostanza attaccando una fortifi­cazione, conquistandola e mantenendola al­meno contro i primi contrattacchi avversa­ri.

In generale lo studio preliminare accurato del terreno del combattimento desunto an­che dalle foto aeree costituiva il primo sta­dio di questa procedura che arrivava alla ri- costruzione sul terreno della situazione per poi sperimentarla nell’addestramento fina­lizzato a quella specifica impresa. Il supera­mento della terra di nessuno avveniva sotto il tiro della propria artiglieria, un espediente tutt’altro che nuovo, che però richiedeva sangue freddo e addestramento. La tempe­stività nella successione delle azioni, come l’avvicinamento, l’apertura dei varchi nei

reticolati e poi la ripulitura programmata delle trincee a colpi di bombe a mano con la cattura delle unità nemiche ancora nei ri­coveri e l’eliminazione delle postazioni di mitragliatrici, avvenivano in rapido e pia­nificato susseguirsi delle fasi, in ciascuna delle quali ogni componente delle squadre d’assalto conosceva i propri compiti. Da parte austroungarica questo tipo di adde­stramento venne inteso — come giustamen­te rileva Rochat anche per l’esercito italia­no — come il normale addestramento della fanteria che non era possibile impartire a tutti nel corso della guerra. Il conflitto in­fatti aveva comportato un rapido avvicen­darsi della truppa e sempre meno tempo a disposizione per addestrarla. Di conseguen­za da parte austroungarica si voleva arriva­re a rendere gli uomini delle Sturmtruppen i portatori dei nuovi sistemi di combatti­mento di cui si doveva impadronire tutta la fanteria72.

Nel 1918 la riorganizzazione della fante­ria in corso, con la riduzione dei reggimenti a tre battaglioni e la conseguente struttura divisionale a dodici battaglioni, impose an­che la ristrutturazione degli Sturmbaone d’armata.

Ogni battaglione avrebbe fornito un plo­tone e la compagnia avrebbe avuto una forza di 135 uomini con quattro ufficiali e nove cavalli, mentre si cercava di dare una durata minima del corso di quattro-sei set­timane, poiché in molti casi le esigenze bel­liche avevano limitato l’addestramento a soli otto-dieci giorni73.

70 Aok Op. Nr. 48.749 del 15 dicembre 1917, in Ka, Aok. La mutevole composizione non impedì che il battaglione d’assalto in questione si comportasse assai bene in molte occasioni. Il 26 dicembre 1917 venne segnalato all’impera­tore per il valore in combattimento.71 Aok Op. Nr. 44.356 dell’agosto 1917, in Ka, Aok. Soltanto a fine ottobre 1918 venne proposto un distintivo pa­ragonabile a quello dei piloti da dare agli appartenenti alle Sturmtruppen: cfr. Aok Op. Nr. 114.322 del 28 ottobre 1918.72 Aok Op. n. 43.785 del 22 agosto 1917: “Organisation der Sturmtruppen”, in Ka, Aok. Restava requisito minimo la presenza di due Sturmtrupps per compagnia, ognuna di otto uomini e un sottufficiale.73 Op. n. 3090 dell’11 aprile 1918: “Organisation der Sturmtruppen - Neue Stände”, in Ka, k.u.k. 2 Aok.

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Le truppe d’assalto austroungariche: i combattimenti

A differenza delle imprese degli arditi italia­ni, i combattimenti che coinvolsero le Strumtruppen austroungariche si confondo­no spesso nell’ambito di altre operazioni per una significativa rinuncia a farne un model­lo di impiego da parte dei comandi e della storiografia austriaca.

Spesso si trattava di azioni minori che coinvolgevano soltanto delle pattuglie e che quindi finivano per essere classificate anche dai comandi italiani come azioni minori di cui si faceva un riassunto periodico. Nella prima metà del 1917 queste azioni avevano irritato non poco non solamente Cadorna ma anche i comandi in subordine. Se ne tro­va traccia nelle carte della I a armata: una circolare del 22 maggio 1917 del comandan­te Pecori Giraldi imputava alla “poca vigi­lanza per parte specialmente delle vedette” e al mancato intervento dell’artiglieria, ma anche alla “mancanza assoluta di [...] spiri­to combattivo” la riuscita di fulminee azioni avversarie. Pareva intollerabile che “un ne­mico a noi inferiore numericamente e moral­mente” potesse ottenere tali risultati. D’al­tro canto se le considerazioni di Pecori Gi­raldi sono franche e giuste, non si trova traccia di comprensione, né in questa circo­lare, né nelle carte relative alle inchieste ori­ginate da questi episodi, del diverso adde­stramento impartito in molti casi alle truppe nemiche che raccoglievano questi successi. Inizialmente non sempre le azioni delle trup­pe d’assalto furono coronate da successo, almeno per quanto si può desumere da un rapporto sulle esperienze avute nell’ambito della 5a armata sull’Isonzo o Isonzoarmee,

che lamenta molte azioni minori fallite o con esiti di scarso rilievo.

Non è facile stabilire quali siano stati i primi riscontri pratici dell’impiego delle nuove formazioni d’assalto, né interessa qui fornire una elencazione delle imprese delle Sturmtruppen. Un esame completo di alcu­ne azioni significative risulta comunque dif­ficile perché i rapporti di combattimento di parte austroungarica conservati al Kriegsar- chiv di Vienna sono riuniti in un fondo che risulta “in riordino” . Si deve pertanto ricor­rere alle fonti italiane e a quelle a stampa per illustrare alcune rilevanti applicazioni relative alle tecniche apprese nei campi di addestramento delle Sturmtruppen.

Anche sul fronte trentino vi furono diver­se azioni locali di tipo sperimentale, nelle quali è difficile capire il reale ruolo delle truppe d’assalto. Prendiamo l’esempio di un attacco invernale sul fronte dell’altopiano di Asiago, nei pressi del monte Forno, poco a sud del monte Ortigara, presidiato dal già citato 27° reggimento. Questa unità organiz­zò un attacco alle linee avversarie che ebbe luogo il 15 marzo 1917 sfruttando la sorpre­sa ma con un successo iniziale parziale, poi vanificato da una reazione molto efficace del battaglione alpini “Bassano”. Interessa qui notare la preparazione dell’attacco che comportò lo scavo di due gallerie nella neve per avvicinarsi al nemico, nonché, e soprat­tutto, l’addestramento del personale del 27° destinato all’azione secondo le istruzioni del servizio d’assalto, addestrato anche su posi­zioni assai simili a quelle da attaccare. Dal febbraio, da quando cioè le prime pattuglie furono pronte, vennero diramate istruzioni affinché venissero messe alla prova74. Agiro­no con colpi di mano in diverse occasioni

74 Hermann Frölich, Geschichte des steirischen k.u.k. Infanterie-Regiment Nr. 27 für den Zeitraum des Weltkrie­ges 1914-1918, cit., voi. II, p. 185-186. Secondo S. Farina, Storia delle truppe d ’assalto italiane, cit., p. 348, si è trattato del primo impiego di Sturmtruppen. Contrasta però con questa ipotesi la lettera di Cadorna del 31 gennaio 1917.

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nella medesima area, come il 15 aprile (Cor­no della Segala) e il 15 maggio (Busa della Crea). Alla fine di marzo anche il famosissi­mo reggimento “Hoch und Deutschmeister” costituì una mezza compagnia d’assalto for­mata da “gente ben scelta” . Un’azione nella notte del 6 marzo da parte di pattuglie d’as­salto del reggimento a est della località di Pedescala era però fallita essendo mancata la sorpresa.

Dicevamo che non sempre queste prime azioni erano coronate da successo. Un altro esempio è quello dell’attacco nella notte tra il 24 e 25 maggio 1917 alla posizione di quo­ta 1.472 del monte Maio nel settore del IV/14° fanteria austriaco (altro famoso reg­gimento a reclutamento austriaco, con sede a Linz), a opera del 3° plotone della 4a com­pagnia che subì gravi perdite sotto il fuoco dell’artiglieria italiana. Altrove tuttavia le cose andarono meglio. Nella notte tra il 20 e il 21 maggio 1917 si svolse un attacco sul fronte trentino, in corrispondenza del mas­siccio del Pasubio, che tendeva ad alleggeri­re assieme ad altre azioni analoghe il fronte isontino. L’azione venne preparata e svolta dai tre plotoni d’assalto del 1° reggimento Kaiserjàger, col supporto di tre pattuglie d’assalto di armata, della pattuglia d’assalto della compagnia sciatori e di una pattuglia zappatori. L’orientamento avvenne grazie a “foto aeree, d’amatore, schizzi, pattuglie ed anche ricognizioni personali sul terreno. Inoltre l’attacco venne provato su un terre­no dietro al fronte che assomigliava a quello dell’attacco”75. Grazie alla violenta azione dell’artiglieria tra le 10.45 e le 11 della sera, accompagnata dal tiro delle mitragliatrici in appoggio, le Sturmtruppen, suddivise in due gruppi, riuscirono ad avvicinarsi alle posi­zioni italiane e a lanciarvi parecchie bombe

a mano, con le quali vennero sostanzialmen­te eliminate le mitragliatrici e le vedette, co­gliendo di sorpresa le truppe ammassate nei ricoveri e riuscendo quindi a farle prigionie­re con facilità. Il plotone di Kaiserjàgen riu­scì quindi ad allargare la breccia sfruttando il successo e restando nelle posizioni italiane fino alle 12.15 della notte, riuscendo poi a ritirarsi “inosservati alle fanterie nemiche” . Il bottino fu, secondo gli austriaci, di quat­tro ufficiali e 189 fanti del 65° fanteria e di cinque mitragliatrici catturate, contro una perdita di quattro morti, due dispersi e 22 feriti76, mentre nelle versioni italiane l’attac­co apparve come appoggiato da grande quantità di artiglieria (vero) e condotto da forti colonne (meno vero), indice della diffi­coltà a comprendere come pochi uomini be­ne addestrati avessero ragione di molti nemi­ci presi di sorpresa. A margine di questo epi­sodio è doveroso segnalare che non è chiaro nei resoconti austriaci il reale effetto della reazione italiana del battaglione del maggio­re Bussi della Brigata Liguria nei confronti delle pattuglie di assaltatori che miravano a risalire i canaloni verso le posizioni più alte del Pasubio.

In inverno le condizioni climatiche favori­vano soltanto piccole imprese e quello del 1916-1917 non fece eccezione. In occasione di più importanti operazioni il ruolo delle truppe d’assalto assunse un carattere di maggior rilievo, al punto che spesso il con­trattacco di Flondar, che colse un successo tattico notevole per gli austroungarici, viene considerato il primo impiego di nuove tecni­che da parte dell’esercito imperiale, ma pro­babilmente questa impressione deriva dalla rilevanza del bottino realizzato.

In questa occasione le forze impiegate da­gli austroungarici furono circa una decina di

75 Rudolf Blaas, 1. TKJ Regiment, voi. 2, Der Krieg gegen Italien, p. 519 (dattiloscritto inedito presso il Tiroler Museum Ferdinandeum di Innsbruck).76 Secondo Viktor Schemfil, 1916-1918. La grande guerra sul Pasubio, Milano, Arcana, 1985, pp. 210-216, gli ora­ri sono leggermente diversi ma in sostanza le versioni coincidono.

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battaglioni, e tra queste anche la l a, 2a e 3a compagnia Sturm dello Sturmbaon (abbre­viazione di Sturmbataillon) della 5a armata, che agirono appunto come “apripista” scar­dinando le difese italiane. Il sincronismo dell’attacco con un aderente e violentissimo fuoco di artiglieria (con perdite tra gli stessi attaccanti) ebbe come risultato un successo tattico considerevole che causò la cattura di circa 10.000 prigionieri italiani con 100 mi­tragliatrici e la riconquista di parecchio ter­reno perduto. Secondo il rapporto del co­mando del III settore difensivo austrounga­rico, che tra l’altro aveva riconosciuto anche una tenace difesa italiana nella fase iniziale della battaglia, la via era stata aperta dalle compagnie Stumtruppen77.

Un caso pratico di impiego delle truppe d’assalto è desumibile dall’interrogatorio di prigionieri ruteni in forza al 22° Schützen austriaco: dopo aver frequentato lo Sturm- kurs nel febbraio del 1917 a Sagorie, con “lancio di granate a mano, e esercizi ginna­stici”, entrarono a far parte della compagnia d’assalto dello Sturmbaon che comprendeva altre compagnie provenienti dai reggimenti 24°, 41° e 30° imperialregi e dal 20° Schüt­zen. Per l’impiego il battaglione fu spostato a Opcina per ferrovia e poi verso la linea con autocarri e venne apparentemente im­piegato per recuperare pezzi d’artiglieria perduti78. Sempre dagli interrogatori si ap­prende che le pattuglie d’assalto che prece­devano le truppe attaccanti austroungariche avevano una dotazione “solita” , cioè elmet­to, pugnale, cinque bombe a mano e 160 cartucce. Inoltre si avvalevano di una

Sprengpartie (nucleo pionieri) di sei uomini con esplosivi destinati a far saltare i reticola­ti79.

La dimostrazione dell’efficacia delle nuo­ve formazioni ebbe luogo in maniera ecla­tante con il contrattacco lanciato dagli au­stroungarici nella notte tra il 25 ed il 26 giu­gno per riconquistare la perduta posizione del monte Ortigara. Questa operazione ven­ne effettuata a causa della situazione di peri­colo per il sistema difensivo austroungarico originata da una mastodontica operazione offensiva lanciata il 10 giugno all’estremità settentrionale dell’altopiano dei Sette Co­muni dalla 6a armata italiana. Questa gran­de unità era stata costituita a quello scopo, con lo schieramento di 154 battaglioni sul­l’altopiano, appoggiati da 1.072 bocche da fuoco oltre a 569 bombarde. A fronteggiare questa enorme massa d’urto, che avrebbe gravitato sull’estremità settentrionale, cioè il monte Ortigara, vi erano una quarantina di battaglioni austriaci (con poche truppe non tedesche, per lo più bosniache) appoggiati da circa 400 cannoni.

Il 10 giugno gli italiani avevano conqui­stato solo l’anticima quota 2.101 dell’Orti- gara, chiamata Lepozze o quota 2.071 dagli austriaci. A questo punto gli austroungarici lanciarono un primo contrattacco che spesso viene dimenticato, con il nome di copertura di operazione “Anna”, nella notte sul 15. L’operazione, guidata dal colonnello Baszel del 14° reggimento fanteria, e preceduta da un bombardamento dalle 2 alle 2,30, fu con­dotta da due compagnie del IV /14° e prece­duta da una compagnia del battaglione d’as-

77 Op. Nr. 24/52 del 3 luglio 1917, in Ka, Nfa, 5. Aok. La famosa accusa di defezione è stata generata dal tele­gramma inviato personalmente dal generale Vanzo il 5 giugno al generale Capello, che riferiva come pressoché ac­certata la “defezione di tre reggimenti composti massima parte siciliani.” Cfr. “Diario storico 3a armata”, in Auss- me, B l, 13a.78 Notiziario n. 689 della 2a sezione informazioni: “Notizie desunte dall’interrogatorio di due prigionieri della Sturmcompagnie” del 22° Schützen “Landwehr” datato 4 giugno 1917, in Aussme, “Diario storico 3a armata”, B l, voi. 13a.79 “Diario storico 3a armata”, notiziario n. 706, in Aussme, B l, voi. 13a.

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salto dell’l l 3 armata e dai plotoni d’assal­to di tre famosi reggimenti austriaci, il 14°, il 17° e il 59°80. L’attacco all’inizio riuscì co­me nei piani, ma gli italiani reagirono dimo­strando una forte combattività, ricaccian­do gli assaltatori dalle proprie posizioni. Anche un ulteriore tentativo intorno alle 3,30 fallì, con la perdita totale di circa 600 uomini.

Inoltre all’alba l’artiglieria italiana aprì il fuoco sulla cima principale e gli alpini con­trattaccarono. Anche se l’addestramento su­periore aveva arrecato agli alpini italiani (che stavano tra l’altro eseguendo un cam­bio in linea) maggiori perdite (1.444 uomi­ni), l’episodio dimostrò che la nuova tecnica poteva fallire.

Se “Anna” non diede i risultati sperati, secondo gli austriaci a causa della superiori­tà numerica dei difensori e della scarsa co­noscenza del terreno da parte del comandan­te Baszel, il secondo contrattacco, con il no­me di copertura di “Wildbach”, ebbe un ri­sultato eccellente. L’operazione divenne ur­gente e necessaria a seguito della conquista italiana della quota maggiore (2.105 metri) dell’Ortigara il 19 giugno, eseguita dagli al­pini della 52a divisione e dalla Brigata Pie­monte a prezzo di un grave sacrificio di san­

gue, mettendo in serio pericolo l’intero siste­ma difensivo austroungarico. In questo caso l’operazione austroungarica venne preparata con maggiore cura, affidata a un esperto co­mandante esterno (tenente maresciallo Lud- wing Goiginger), escludendo quindi i co­mandi locali dall’operazione. Il terreno ven­ne studiato dettagliatamente e così anche l’artiglieria italiana; vennero utilizzati due battaglioni di truppe scelte tirolesi partico­larmente motivate (I/I e III/II Kaiserschiit- zen, comandati dal colonnello Sloninka von Holodow), che attaccarono precedute dai propri plotoni d’assalto e da ben 11 plotoni d’assalto dell’onnipresente Sturmbaon dell’l l 3 armata81. L’artiglieria austroungari­ca — probabilmente in grado di sparare a massa82 — aprì un fuoco molto preciso alle 2,30 consentendo l’avvicinamento durante il bombardamento degli assaltatori che si muovevano su tre gruppi coprendo una di­stanza di 400-600 metri senza particolari cautele, e spostò il tiro dopo soli dieci minu­ti, sparando a gas nelle immediate retrovie, mentre i plotoni d’assalto di punta penetra­vano nelle posizioni italiane con lanciafiam­me e bombe a mano. Le Sturmtruppen era­no equipaggiate con 150 cartucce, sei bombe a mano, sei sacchi per sabbia, due razioni di

80 Le due compagnie che dovevano seguire erano la 5a e 16a del 14° reggimento Hessen. Per i dettagli rimandiamo ai rapporti di combattimento pubblicati in Gianni Pieropan (a cura di), 1917 Gli austriaci sull’Ortigara, Milano, Mursia, 1988, non senza però rinunciare a verificare gli originali, in questo caso Adolf Sloninka von Holodow, Un­sere Kaiserschützen. Die Kämpfe um die Ortigara-Lepozze Stellung in Juni 1917, Hall in Tirol, Geschftsstelle des Offiziersbundes der Kaiserschützen-Regimenter, 1927 e la sintesi di Heinz von Lichem, Speilhahnstoß und Edel­weiß. Die Friedens- und Krieseschichte der Tiroler Hochebirstruppe “Die Kaiserschützen” von ihren Anfänen bis ¡918, Graz, Stöcker, 1977.81 Adolf Sloninka von Holodow, comandante della 98a brigata Kaiserschützen, organizzò l’operazione. I due bat­taglioni erano comandati da I/I von Forbelsky, III/II Kaiserschützen maggiore Karl von Buoi, che diedero il nome alle due maggiori colonne d’attacco. La denominazione in numeri romani è un’eccezione dei reggimenti Kaiser­schützen.82 La battaglia dell’Ortigara, al di là della sua modesta importanza nell’economia generale della guerra, dovrebbe essere studiata anche come esempio di funzionamento dell’esercito nel 1917 sotto vari profili, non ultimo quello dell’artiglieria incapace, nonostante la superiorità numerica, di reprimere quella avversaria. D ’altronde sulla scarsa propensione all’utilizzo in controbatteria si veda tra l’altro P. Scolè, Le lezioni tattiche del fronte occidentale, cit., p. 173, nota 3; L ’esercito italiano nella grande guerra, voi. IV, cit., all. 14, pp. 147-149; memorandum di due pagi­ne “Caracciolo. Evoluzione dei concetti d’impiego dell’art. [iglieria],” in Civiche raccolte storiche del Comune di Milano, Museo del Risorgimento, Fondo Di Breganze, cartella 109.

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riserva, oltre a dieci bombe a mano e 300 cartuccie in sacchi.

Gli austroungarici si avvalsero del fuoco ravvicinato delle bombarde, un accompa­gnamento classico delle truppe d’assalto, che evitava l’impiego dei grossi calibri che avrebbero probabilmente colpito anche gli attaccanti, 12 pezzi da 120 e 140 erano im­mediatamente a ridosso della posizione d’assalto.

Alle 3,12 ogni resistenza italiana era finita e gli austriaci poterono contare circa 2.000 italiani catturati con perdite proprie intorno al 30 per cento83. L’artiglieria italiana non aprì il fuoco di repressione sulle posizioni oc­cupate dai Kaiserschiitzen — ma aprì quello fuori tempo di sbarramento contro le posi­zioni di partenza austriache — fino alle 5 del mattino84. Ogni ulteriore tentativo di analisi di questi combattimenti esulerebbe da questo articolo, ma ora preme almeno notare che questa quasi perfetta sincronia tra artiglieria e fanteria all’attacco, il cui ruolo nella limi­tazione delle perdite appare evidente, non era esclusivo patrimonio dell’esercito au­stroungarico, che pure tradizionalmente riu­sciva a valersene in maniera certo più regola­re. Infatti, a conclusione della offensiva au­striaca del Trentino nella primavera del 1916, le notizie raccolte dagli italiani negli in­terrogatori di prigionieri austroungarici ave­vano chiarito che “nell’azione delle fanterie italiane manca quasi sempre l’accordo per­fetto con l’artiglierìa” , perché la fanteria se­guiva dopo un intervallo eccessivo di tempo, e il risultato era che l’effetto dell’artiglieria ne veniva vanificato85.

Insegnamenti questi che vennero a volte raccolti. Secondo gli austriaci, la conquista italiana della cima maggiore dell’Ortigara era avvenuta grazie all’appoggio dell’arti­glieria italiana, che aveva sparato fino a che la propria fanteria non era arrivata a qua­ranta passi dall’obiettivo, mentre questo non era avvenuto in occasione del primo at­tacco il 10 giugno a causa della nebbia che impediva l’osservazione.

Un altro esempio di operazione delle truppe d’assalto è costituito dall’attacco del 2 novembre 1917, nel corso dell’insegui­mento dopo lo sfondamento di Caporetto, effettuato da due Sturmpatrouillen e dalla 14a compagnia d’assalto del IV/4° reggi­mento, reclutato in Bosnia-Erzegovina, per il passaggio del Tagliamento presso Corni­no, effettuato dopo altri infruttuosi tenta­tivi del 33° reggimento di fanteria, e riu­scito con la solita tecnica dell’avanzata nel fiume col favore dell’incerta luce dell’alba mentre l’artiglieria imperiale continuava a sparare.

Nella successiva battaglia d’arresto, gli austroungarici impiegarono spesso la tattica delle Strumtruppen. Un caso particolare, perché vide in azione un intero battaglione, fu l’attacco del 12 dicembre 1917 da parte dello Sturmbataillon 4 (al comando del capi­tano Kiihnel) alla quota dello Spiedon (1.476 metri) sull’Asolone, più volte ricca­mente descritto da un protagonista, il tenen­te Otto Gallian, allora comandante del plo­tone di punta della 99a Sturmkompagnie86. Il battaglione era stato strutturato su tre compagnie (88a, 99a, 8a) che portavano i

83 Gli austriaci riferiscono le perdite del III/II (46 morti e 311 feriti, il I/I 60 e 300 circa. Non sono note le perdite del 111/57°, un reggimento polacco utilizzato parzialmente per portare munizioni, specialmente bombe a mano, che perse il 25 per cento degli effettivi).84 Rapporto di combattimento del XX corpo d’armata n. 1159 del 3 luglio 1917: “Relazione su avvenimenti 25-26 giugno 1917”, in Aussme, F12, racc. 4.85 L ’Esercito italiano nella grande guerra (1915-1918), voi. VI: Le istruzioni tattiche del capo di Stato maggiore dell’esercito 1917-1918, cit., all. n. 109: n. 14.250 del 31 luglio 1916, a firma Cadorna, pp. 504 sgg.86 Otto Gallian, Die Erstürmung des Spiedon am 11. Dezember 1917, “Militärwissenschaftliche und Technische Mitteilungen”, 58, 1927, n. 1/2, pp. 12-18; Id., Monte Asolone. Kampf um einen Berg, Leipzig, Hase & Koehler,

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numeri dei rispettivi reggimenti di apparte­nenza e che vennero riunite in questa occa­sione di impiego, disposte per l’attacco in questo ordine, e mosse fino al limite dei ce­spugli sotto la cresta nel corso della notte. A metà del fuoco di preparazione, che ebbe luogo dalle 7,30 alle 8,30, il battaglione mosse verso le linee italiane, anche se que­sto movimento era previsto per le 8.15, pro­tetto nel primo tratto da una zona morta che i difensori non potevano osservare a causa della curvatura del terreno. I reparti ebbero a subire alcune perdite a causa della propria artiglieria, esperienza che accomuna i combattenti di tutti gli eserciti ma che nel­la fattispecie indica l’aderenza dell’appog­gio fornito dalle batterie. Arrivati allo sco­perto vennero accolti dal fuoco incrociato di due nidi di mitragliatrici italiane ed ebbe­ro perdite considerevoli, restando pressoché bloccati, salvo che per gli spostamenti che gli abbondanti crateri esistenti rendevano possibili.

La situazione venne sbloccata dal coman­dante del battaglione che, con l’impiego di lanciafiamme, eliminò una mitragliatrice, probabilmente grazie anche al forte effetto morale che questa arma ebbe sugli altri di­fensori, consentendo alla 99a compagnia di prendere la posizione italiana. Il tutto era avvenuto prima che il fuoco di artiglieria austroungarico cessasse, per cui la massa dei difensori era ancora nei ricoveri e non poteva opporre resistenza. La compagnia del tenente Gallian su 97 uomini aveva avu­to tra morti, feriti e dispersi 47 perdite, il che significa che in mancanza della copertu­

ra della propria artiglieria l’azione sarebbe stata probabilmente stroncata dalla difesa italiana.

Poco tempo dopo, il 18 dicembre 1917, lo stesso Gallian partecipò a un attacco del 4° battaglione d’assalto alla posizione di Ca’ d’Anna (sul massiccio del Grappa), dove due comandanti di compagnia caddero, e il terzo rimase gravemente ferito. L’alta per­centuale di perdite di ufficiali costrinse i co­mandanti a dare maggiore autonomia e re­sponsabilità ai sottufficiali, per consentire il proseguimento dell’azione. Del tutto diver­samente che dall’esercito italiano, la fiducia e l’autonomia accordata ai sottufficiali delle truppe d’assalto era molto alta. Ricorda Gallian:

Come comandante di compagnia d’assalto avevo osservato che proprio questo addestramento [col­laborazione con mitragliatrici] aveva suscitato un grande interesse tra sottufficiali e uomini [...] senza comandanti di plotone. [...] Era un piacere stare a guardare come i comandanti di squadra e di nucleo mitragliatrici collaboravano in maniera eccellente dopo pochi giorni. [...] Le decisioni ve­nivano prese dai sottufficiali, e persino, se io li escludevo, dai singoli soldati con sorprendente si­curezza87.

Molte delle riuscite conquiste di posizioni italiane del periodo vanno ascritte a opera­zioni di truppe d’assalto, come nel caso del monte Sisemol sull’altopiano di Asiago, pre­so dalle Sturmtruppen del Io reggimento Kaiserjàger88, oppure del gruppo di monti conosciuti come Melette (Fior, Miela, Bade- necche, Tondarecar), dove un battaglione di

1935, pp. 14 sg.; Id., Maschinengewehre im Gebirge, “Militärwissenschaftliche und Technische Mitteilungen”, 58, 1927, n. 9/10, pp. 595-605, qui pp. 600-601; si vedano inoltre le parti opera di Enrico Acerbi, in Heinz von Licheni, Alessandro Massignani, Marcello Maltauro, Enrico Acerbi, L ’invasione del Grappa. L ’attacco austro-tedesco di novembre-dicembre 1917, Valdagno, Rossato, 1993, pp. 295-300.87 Otto Gallian, Aufgaben des Sturmtruppführers, “Militärwissenschafltlihe und Technische Mitteilungen”, 58, 1927, n. 1/2, p. 32. La circostanza delle elevate perdite di ufficiali di truppe d’assalto è riferita anche da Jakoncig, cfr.: Guido Jakoncig, Tiroler Kaiserjäger im Weltkrieg. Eine Regimentsgeschichte in Bildern, Innsbruck, Universi­tät-Verlag Wagner, 1931, p. XXXV.88 G. Jakoncig, Tiroler Kaiserjäger im Weltkrieg, cit., p. XXXIV.

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Kaiserschützen, tra le varie unità parteci­panti, fu guidato all’attacco da una compa­gnia d’assalto, un sistema che era entrato in uso già da qualche tempo ed era stato utiliz­zato anche a Caporetto.

Nel 1918 ogni divisione di fanteria aveva costituito un proprio battaglione d’assalto che funzionava come centro di addestra­mento per la fanteria, ispirato in generale a una nuova circolare apparsa nell’aprile del 1918 che derivava a sua volta dalle esperien­ze tedesche. Le nuove norme d’attacco, cui a breve sarebbero seguite quelle per la dife­sa, delineavano lo sfondamento mobile, e vennero organizzati corsi per comandanti di reggimento a Bressanone e vicino a Codroi- po. Queste nuove regolamentazioni per l’at­tacco mutuavano molti dei principi base del­le truppe d’assalto, come la sorpresa, l’accu­rata pianificazione e la tempestività delle va­rie azioni. Tuttavia, le analisi compiute dagli italiani e dagli alleati britannici non coglie­vano elementi di grande novità in questi cambiamenti nell’esercito austroungarico. La valutazione dell’esercito austroungarico effettuata dallo Stato maggiore britannico confrontandolo con quello tedesco, sulla ba­se delle proprie esperienze sul fronte franco­belga, era sfavorevole, e imputava l’arretra­tezza austroungarica alla necessità di opera­re su un terreno più difficile, ma anche a un esercito complessivamente assai meno so­lido.

Nello stesso periodo gli austroungarici previdero la riunione ai fini di specifiche operazioni offensive dei battaglioni d’assal­to delle divisioni in gruppi d’urto, intensa­mente addestrati nelle retrovie, che doveva­no rompere le difese nemiche. Queste notizie sono fornite da Farina, che ebbe l’opportu­nità di consultare documenti austroungarici catturati, ma nella pratica le procedure mes­se in atto durante la battaglia del giugno

1918 indicano che in genere gli austriaci at­taccavano facendo aprire la strada ai batta­glioni da una compagnia d’assalto. Natural­mente è difficile capire fino a che punto l’addestramento fosse stato diffuso nell’am­bito delle unità di linea89.

In vista dell’offensiva che la monarchia dovette lanciare sul fronte italiano nel giu­gno 1918, l’addestramento di gruppi di bat­taglioni venne intensificato, prevedendo an­che il forzamento di corsi d’acqua. Quando l’offensiva venne scatenata a metà giugno, conseguì sorprendenti successi parziali, no­nostante lo stato delle truppe e dei riforni­menti fosse piuttosto precario. E proprio questi risultati, come le teste di ponte sul Piave o la conquista di importanti posizioni sul massiccio del Grappa, furono realizzati da unità d’assalto che costituivano la punta dello sforzo di penetrazione austroungarico.

Si trattò comunque — accanto a brillanti piccole operazioni sulle Alpi — del canto del cigno di queste formazioni speciali, poiché la fine della guerra non avrebbe consentito la realizzazione del proposito di addestrare la fanteria in generale, ma l’addestramento delle truppe d’assalto divenne comunque la base dell’addestramento moderno della fan­teria.

Conclusioni

Il fronte italiano fu l’unico a vedere l’impie­go di truppe d’assalto come tentativo di su­peramento delPimmobilismo della nuova forma di guerra che si era imposta. Le unità d’assalto si andarono affermando in relazio­ne alle esperienze del fronte francobelga, dove anche l’artiglieria, per citare un altro caso di dottrina d’impiego tutta da studiare,

89 S. Farina, Le truppe d ’assalto italiane. Con cenni sulle truppe d ’assalto straniere, cit., p. 359-360.

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aveva avuto un’altra evoluzione, da un lato, e, dall’altro, anche per sopperire alle caren­ze delle unità. Infatti, nel caso delle truppe austroungariche si può notare come in deter­minati casi si sia ricorsi indifferentemente alle truppe d’assalto come a reparti organici di fanteria appartenenti a reggimenti parti­colarmente efficienti (come il 14° a recluta­mento austriaco che riconquistò una posi­zione sull’Ortigara e il San Gabriele, o com­pagnie d’alta montagna per imprese partico­larmente audaci dal punto di vista alpinisti­co e tattico).

Secondo diversi autori, come Istvan Deak o John Gooch, l’esercito austroungarico, ad onta dei rovesci — talora clamorosi — quando non era sostenuto dal potente allea­to germanico, godeva di una certa superiori­tà sull’avversario, in particolare sul fronte italiano90. Questo giudizio può essere condi­viso solo distinguendo i diversi periodi della guerra e vari livelli di analisi. Sul piano poli­tico, strategico, in parte anche operativo, la prova della guerra non può che dare un giu­dizio univoco, per quanto si possano consi­derare elementi apparentemente estranei al­l’ambito dell’efficienza militare, come la fa­me, il tradimento, l’insufficiente produzione bellica o altro. Anche questi fattori entrano nel computo della guerra totale che impegna tutta la nazione, e fin dal 1917 l’esercito au­stroungarico non fu più in grado di condur­re operazioni offensive contro gli italiani senza ricorrere all’alleato.

Diverso il discorso sul piano tattico. Ana­lizzando molte operazioni sul fronte italia­

no, si nota come fin dall’inizio l’esercito au­stroungarico abbia goduto di una certa supe­riorità, dovuta in buona parte al vantaggio acquisito dall’esperienza di un anno di guer­ra europea, un’esperienza che indirettamen­te viene riconosciuta quando la storiografia austriaca lamenta che i serbi avevano alle spalle le recenti guerre balcaniche. Il che è particolarmente evidente se si esaminano le prime avanzate contro il fronte dell’Isonzo, dove allo slancio delle fanterie italiane veni­va opposto un fronte apparentemente nep­pure molto robusto, con trincee scarsamente profonde, ma bene armato di mitragliatrici e cannoni ben mascherati, mentre alla fanteria erano state distribuite considerevoli scorte di bombe a mano e davanti alle trincee era sta­to posato del filo spinato. Un quadro classi­co della grande guerra, ma una grande sor­presa per i teorici della tattica italiani91. An­che nell’evoluzione dottrinale gli austroun­garici riuscirono a conservare, quantomeno grazie all’alleato tedesco, un vantaggio sugli italiani, e questo riguarda pure l’introduzio­ne delle truppe d’assalto in quanto fanteria addestrata per quel tipo di guerra. Anche al­tri settori delle procedure di combattimento e dell’armamento, come lanciafiamme, lan­ciagranate, gas, artiglieria, subirono il bene­fico influsso dell’alleato. Soltanto per fare un esempio, il lancio di gas sul monte San Michele del Carso il 29 giugno 1916 fu una conseguenza diretta dell’addestramento ef­fettuato sul fronte occidentale92.

Che in molti casi le truppe austroungari­che siano state guidate da reparti specifica-

90 Istvan Deak, Beyond Nationalism. A Social & Political History o f the Habsburg Officer Corps 1848-1918, New York, Oxford University Press, 1990 (traduzione italiana: Gli ufficiali della monarchia asburgica. Oltre il naziona­lismo, Gorizia, Ed. Goriziana, 1993); John Gooch, Italy during the First World War, in Allan R. Millet, William­son Murray (a cura di), Military Effectiveness, voi. 1: The First World War, Boston, Unwin Hyman, 1988, pp. 157-189.91 La lettura del diario storico della 3a armata è istruttiva in questo senso e consente di percepire il disorientamento italiano davanti alla prassi austriaca che derivava da un anno di sanguinosa esperienza (in Museo storico 3a arma­ta, Padova).92 Si veda il piano d’attacco austroungarico che prevedeva di respingere gli italiani fino all’Isonzo, in Aok, Op. Nr. 24.944, in: Ka, Nfa, Hf u. Hgk, 5. Op. Ak (1917), Karton 1598.

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mente addestrati per l’assalto, spiega alme­no in parte alcuni esiti sfavorevoli per le ar­mi italiane. Certo non del tutto, perché il vantaggio iniziale goduto dalla maggiore esperienza bellica austroungarica non venne colmato che con grande difficoltà. È co­munque difficile riuscire a determinare il reale influsso dell’addestramento d’assalto sulla riuscita delle operazioni. Certo è però che le unità d’assalto avevano un ruolo im­portante nella condotta delle operazioni li­mitate e quando si trattò di effettuare opera­zioni importanti, vennero impiegate come apripista. Secondo il colonnello Hermanny- Mitsch l’addestramento venne intensificato prima di Caporetto proprio perché su questo si basava la superiorità sugli italiani93. Ma in queste operazioni influiva anche la diffusio­ne — di cui è difficile accertare l’ampiezza — dell’addestramento all’assalto che avveni­va per buona parte delle unità che inviavano a rotazione delle squadre a brevi corsi di 10- 12 giorni. Questa abitudine testimonia, se non altro, che lo standard dell’addestramen­to nell’esercito austroungarico era superio­re, benché una larga parte della massa dai combattenti fosse profondamente logorata dalla guerra, ma anche che attori principali delle operazioni rimanevano i reparti scelti.

Se in molti casi gli italiani si ostinavano a non trarre tutte le conseguenze dalle espe­rienze altrui o proprie, spesso riuscivano pe­rò ad avere ben chiari i motivi del successo

avversario. Infatti, mentre per le piccole azioni avversarie subite nella guerra di posi­zione di norma l’attenzione dei comandi era rivolta unicamente alla ricerca delle respon­sabilità, un esempio di chiara analisi è offer­to dalla riconquista austriaca dell’Ortigara, che venne così giudicata dal XX corpo d’ar­mata italiano:Non è già che il 25 giugno il nemico si sia avvalso di metodi nuovi, e di mezzi non ancora conosciu­ti, e che abbiano potuto sorprenderci. In realtà non ha fatto che impiegare per la prima volta sul­l’altipiano i noti mezzi d’offesa più moderni, con­centrandoli per questa operazione dell’Ortigara94.

Nonostante ciò, nel corso del 1917 l’intro­duzione delle truppe specificamente adde­strate per la guerra di trincea nell’esercito italiano avvenne in maniera assai meno si­stematica e con considerevoli ritardi rispetto all’avversario. Nel 1918, però95, l’esercito italiano, probabilmente sotto la spinta degli eventi, recuperò il terreno perduto sotto il profilo delle procedure di combattimento e riuscì a mettere in pratica i molti insegna- menti recepiti sia dall’avversario che dagli alleati, schierando così un esercito con un’efficienza complessiva a livello degli altri contendenti. Le truppe d’assalto costituiro­no un passo in questa direzione, sebbene at­tuato con una eccessiva lentezza rispetto al­l’avversario.

Alessandro Massignani

93 Hermanny-Mitsch, Die Durchbruchschlacht bei Flitsch im Oktober 1917. Die Ereigniße bei der 22. Schützendivi­sion im Allgemeinen und beim Kaiserschützenreiment Nr. lim Besonderen, Absam bei Hall in Tirol, s.d., p. 15.94 XX corpo d’armata n. 1159 del 3 luglio 1917: “Relazione su avvenimenti 25-26 giugno 1917”, p. 3, in Aussme, F12, racc. 4.95 Per esempio, si può vedere il Breviario tattico del maggiore Cesare Festa (Milano, R. Ghirlanda, 1918) per veri­ficare come la guerra avesse cambiato i procedimenti dell’esercito.

Alessandro Massignani vive e lavora a Valdagno, dove svolge attività commerciale nel settore dei ser­vizi. Si occupa di storia militare da quando era in servizio nell’esercito; ha studiato in particolare le due guerre mondiali, con ricerche negli archivi italiani, austriaci e tedeschi e collabora regolarmente a diverse riviste storiche. Tra i suoi lavori: Alpini e tedeschi sul Don, Valdagno, Rossato, 1992; Rom- mel’s North Africa Campaign. September 1940-November 1942 (in collaborazione con Jack Greene), Pennsylvania, Combined Books, 1994; La guerra aerea sul fronte italiano, in Paolo Ferrari (a cura di), La grande guerra aerea 1915-1918, Valdagno, Rossato, 1994.