La Grammatica Di Dio (1)

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La grammatica di Dio Storie di solitudine e allegria di Stefano Benni © Giangiacomo Feltrinelli Editore da Boomerang Improvvisamente, un giorno, il signor Remo iniziò a odiare il suo cane. Non era un uomo cattivo. Ma qualcosa si era rotto dentro di lui quando era rimasto vedovo. Aveva perso la moglie e gli era restato il cane, un botolo salcicciometiccio, grasso e nerastro, con orecchioni da pipistrello. Si chiamava Bum, ovvero Boomerang, perché riportava indietro qualsiasi cosa gli tirassero, con prontezza e perseveranza. Un tempo il signor Remo e Bum avevano fatto lunghe passeggiate insieme e conversato del mondo umano e canino, di Cartesio e Rin Tin Tin. C’era grande intesa tra loro. Ma ora non si parlavano più. Il signore stava seduto in poltrona guardando il vuoto e Bum si accucciava ai suoi piedi, guardandolo con smisurato affetto. Era quello sguardo di assoluta dedizione e totale fiducia che il signor Remo soprattutto detestava. Il mondo non era che perdita, solitudine e dolore. Che senso aveva in questo pianeta orribile quella creatura incongrua, che scodinzolava e uggiolava di gioia, e riempiva del suo peloso, sovrabbondante amore una casa desolata? Il padrone iniziò a non dar più da mangiare al cane. Lo lasciava anche due giorni senza cibo. Ma Bum continuava a seguirlo amorosamente. Quando il signor Remo si sedeva a tavola per il suo pasto, il cane non chiedeva nulla, né si avvicinava. Guardava con mite curiosità, e negli occhi aveva scritto: se tu mangi, ebbene anche io mi sazio. E più il padrone si ingozzava, ostentatamente e rumorosamente, più tenero diveniva lo sguardo di Boomerang. E quando finalmente il cane veniva sfamato, non correva frenetico alla ciotola, no... scodinzolava composto e riconoscente come per dire: avrai le tue buone ragioni se mi hai fatto digiunare, ti ringrazio oggi che ti sei ricordato. Il padrone, forse avvelenato dall’ultima stilla di rimorso, si ammalò. Gli venne la febbre alta e Bum lo vegliò. Nella notte, quasi nel delirio, il signor Remo si destava e vedeva gli occhi spalancati e amorevoli del cane, e le lunghe orecchie dritte, come antenne. E sembrava dire: anche la morte morderò, padrone mio, se si avvicina a te. Nell’anima ormai riarsa del signor Remo, l’odio per quell’amore smisurato crebbe. Non portò fuori il cane per quattro giorni. Bum aprì con la zampa la porta del terrazzo e lì pisciò con discrezione. Contrasse il suo metabolismo a venti gocce di urina e un cece fecale ogni due giorni. Non guaì, né diede segni di nervosismo, solo ogni tanto guardava il giardino fuori dalla finestra emettendo un piccolo sbuffo, come un sospiro di nostalgia, ma niente più. Il padrone guarì e, appena rimessosi in piedi, senza una ragione, tirò un calcio al cane. Bum si nascose sotto il letto e il signor Remo si vergognò. Lo chiamò, il cane venne. Il padrone gli fece una carezza falsa e forzata e disse: – Bum, devo abbandonarti. Mi dispiace. Non riesco più a occuparmi di te. Anzi, ma questo tu non lo puoi capire, ti detesto. Il cane lo guardò con infinito affetto e dedizione. Perché non lo affidò a un canile o a qualche conoscente? Per pigrizia, anzitutto. Ma anche perché ricordava una frase della moglie. Gli aveva detto: Remo, se io morissi, mi raccomando, non lasciare solo il nostro Bum. Allora Remo si era arrabbiato per quella frase: come si poteva dubitare di questo? E invece, povera Dora, lei conosceva bene il grumo di cattiveria dentro al cuore del marito. Lei lo aveva abbandonato. E abbandonando il cane, ora lui si prendeva una folle rivincita sul destino.

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  • La grammatica di DioStorie di solitudine e allegria

    di Stefano Benni Giangiacomo Feltrinelli Editore

    da Boomerang

    Improvvisamente, un giorno, il signor Remo inizi a odiare il suo cane.Non era un uomo cattivo. Ma qualcosa si era rotto dentro di lui quando era rimasto vedovo. Aveva perso la moglie e gli era restato il cane, un botolo salcicciometiccio, grasso e nerastro, con orecchioni da pipistrello. Si chiamava Bum, ovvero Boomerang, perch riportava indietro qualsiasi cosa gli tirassero, con prontezza e perseveranza.Un tempo il signor Remo e Bum avevano fatto lunghe passeggiate insieme e conversato del mondo umano e canino, di Cartesio e Rin Tin Tin. Cera grande intesa tra loro. Ma ora non si parlavano pi. Il signore stava seduto in poltrona guardando il vuoto e Bum si accucciava ai suoi piedi, guardandolo con smisurato affetto.Era quello sguardo di assoluta dedizione e totale fiducia che il signor Remo soprattutto detestava.Il mondo non era che perdita, solitudine e dolore. Che senso aveva in questo pianeta orribile quella creatura incongrua, che scodinzolava e uggiolava di gioia, e riempiva del suo peloso, sovrabbondante amore una casa desolata?Il padrone inizi a non dar pi da mangiare al cane. Lo lasciava anche due giorni senza cibo. Ma Bum continuava a seguirlo amorosamente. Quando il signor Remo si sedeva a tavola per il suo pasto, il cane non chiedeva nulla, n si avvicinava. Guardava con mite curiosit, e negli occhi aveva scritto: se tu mangi, ebbene anche io mi sazio. E pi il padrone si ingozzava, ostentatamente e rumorosamente, pi tenero diveniva lo sguardo di Boomerang. E quando finalmente il cane veniva sfamato, non correva frenetico alla ciotola, no... scodinzolava composto e riconoscente come per dire: avrai le tue buone ragioni se mi hai fatto digiunare, ti ringrazio oggi che ti sei ricordato.Il padrone, forse avvelenato dallultima stilla di rimorso, si ammal. Gli venne la febbre alta e Bum lo vegli. Nella notte, quasi nel delirio, il signor Remo si destava e vedeva gli occhi spalancati e amorevoli del cane, e le lunghe orecchie dritte, come antenne. E sembrava dire: anche la morte morder, padrone mio, se si avvicina a te. Nellanima ormai riarsa del signor Remo, lodio per quellamore smisurato crebbe. Non port fuori il cane per quattro giorni.Bum apr con la zampa la porta del terrazzo e l pisci con discrezione. Contrasse il suo metabolismo a venti gocce di urina e un cece fecale ogni due giorni. Non gua, n diede segni di nervosismo, solo ogni tanto guardava il giardino fuori dalla finestra emettendo un piccolo sbuffo, come un sospiro di nostalgia, ma niente pi.Il padrone guar e, appena rimessosi in piedi, senza una ragione, tir un calcio al cane.Bum si nascose sotto il letto e il signor Remo si vergogn.Lo chiam, il cane venne. Il padrone gli fece una carezza falsa e forzata e disse: Bum, devo abbandonarti. Mi dispiace. Non riesco pi a occuparmi di te. Anzi, ma questo tu non lo puoi capire, ti detesto.Il cane lo guard con infinito affetto e dedizione.Perch non lo affid a un canile o a qualche conoscente? Per pigrizia, anzitutto. Ma anche perch ricordava una frase della moglie. Gli aveva detto: Remo, se io morissi, mi raccomando, non lasciare solo il nostro Bum.Allora Remo si era arrabbiato per quella frase: come si poteva dubitare di questo?E invece, povera Dora, lei conosceva bene il grumo di cattiveria dentro al cuore del marito.Lei lo aveva abbandonato.E abbandonando il cane, ora lui si prendeva una folle rivincita sul destino.

  • Cos il signor Remo prese la macchina e port Boomerang fuori citt, in un grande prato dove spesso giocavano insieme.Il padrone camminava dietro e il cane davanti.Remo not la caratteristica camminata aritmica di Bum. Ogni dodici passi ne zoppicchiava uno, alzando la zampetta posteriore come se il terreno bruciasse.Spesso lui e la moglie avevano trovato buffa e irresistibile questa andatura.Ora il padrone guardava ondeggiare il grasso sedere di Bum con disgusto.Perci, quando furono lontani da occhi indiscreti, leg il cane a un albero e senza voltarsi se ne and.Torn a casa, e cucin con cura, come non faceva da tempo.Calci la ciotola di Bum in un angolo.Prese il guinzaglio e la museruola, e li butt nella spazzatura.Ma quella notte verso le tre, sent grattare alla porta. Era Boomerang.Un po sporco e bagnato, gli salt addosso festoso, e fece il giro della casa per manifestare la sua gioia. Non sospettava nulla. Non cera posto per il tradimento, nel suo cuore semplice e quadrupede.Il signor Remo quasi non dorm per la rabbia. Sogn massacri di foche e colbacchi di barboncino. []

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