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La gestione stragiudiziale del contenzioso La gestione stragiudiziale del contenzioso d'impresa d'impresa Executive Master in Diritto d'Impresa – IFAF Roma, 21 marzo 2009 Avv. Valerio Pandolfini

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Servizi di Assistenza Legale alle Imprese dello Studio Legale Pandolfini: La Gestione Stragiudiziale del Contenzioso d'Impresa Crisi della Giustizia La Transazione La Conciliazione La Conciliazione Societaria L'Arbitrato L'Arbitrato Societario Casi Concreti Riflessioni Conclusive

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La gestione stragiudiziale del contenzioso La gestione stragiudiziale del contenzioso d'impresad'impresa

Executive Master in Diritto d'Impresa – IFAF

Roma, 21 marzo 2009

Avv. Valerio Pandolfini

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Sommario

1. Crisi della giustizia e ADR2. La transazione3. La conciliazione4. La conciliazione societaria5. L'arbitrato6. L'arbitrato societario7. Alcuni casi concreti8. Riflessioni conclusive

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1. Crisi della giustizia e A.D.R.

“Ho avuto due esperienze negative con la legge. La prima quando ho perso una causa.

La seconda quando ho vinto una causa”.

(Voltaire)

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1. Crisi della giustizia e A.D.R.

Controversia giuridica

contrasto di opinioni circa le regole di condotta che disciplinano i comportamenti di due o più soggetti interessati.

Tale contrasto deve essere risolto attraverso uno strumento che conduca al

risultato di individuare, in modo vincolante per i destinatari,

le regole di condotta che li riguardano.

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1. Crisi della giustizia e A.D.R.

Quando la controversia insorta tra le parti ha ad oggetto diritti disponibili, cioè diritti in relazione ai quali le parti hanno potere negoziale

(quali sono normalmente i diritti di contenuto patrimoniale), le parti hanno la possibilità di risolverla in via negoziale,

individuando esse stesse le regole di condotta vincolanti, mediante un atto negoziale (transazione - art. 1965 c.c.; conciliazione).

Talvolta però le parti, seppure non riescono ad individuare un accordo sulla condottapossono trovare un accordo sul mezzo per risolvere la controversia; esse possono così

concordare nel conferire il potere di risolvere la controversia ad un terzo (arbitro), il quale determinerà, in modo per loro vincolante, le rispettive regole di condotta con

riferimento ad un certo diritto.

Se invece le parti non trovano un accordo, o se comunque la lite verte su diritti indisponibili, si rende necessario l’intervento dell'autorità giudiziaria ordinaria,

dotata di potere autoritativo.

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1. Crisi della giustizia e A.D.R.

Strumenti di risoluzione di controversie

(su diritti disponibili)

Autonomi (non aggiudicativi):i soggetti interessati individuano le

regole di condotta, in modovincolante, attraverso un contratto,

tipico (es. transazione) o atipico (es. conciliazione).

Possono anche riguardare diritti diversida quelli in contestazione.

Eteronomi (aggiudicativi):le regole di condotta sono individuate,

in modo vincolante, da un terzo,per la posizione istituzionale (giudice)

o sulla base della volontàdelle parti (arbitro).

Possono vertere solo sui dirittioggetto della contestazione.

Tali strumenti sono del tutto equivalenti e fra di loro fungibili quanto alla efficacia dei risultati (contratto, lodo, sentenza), ma differiscono

quanto al loro regime giuridico (invalidità)

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1. Crisi della giustizia e A.D.R.

Il sistema di giustizia ordinario, davanti al giudice togato, ha da sempre e in tutti paesi alcuni limiti di tipo strutturale, che lo rendono inadatto a gestire le controversie in modo da

assecondare i reali interessi delle parti, in particolare delle imprese.

Tali limiti sono costituiti essenzialmente da: una tendenziale lunga durata del processo, derivante in particolare dalla

necessità di assicurare il diritto di difesa delle parti e dunque più gradi di giudizio; un costo notevole, derivante non solo dal costo della giustizia in sé (in alcuni paesi molto elevato)

ma anche dal costo della difesa tecnica e dei consulenti; l'assenza di riservatezza, con conseguente rischio di divulgazione di informazioni

e/o di danni all'mmagine; un tendenziale difetto di professionalità, in particolare con riferimento a materie

particolarmente complesse e tecniche; l'incapacità di preservare i rapporti commerciali;

un tendenziale difetto di neutralità e terzietà, soprattutto con riferiementoa controversie internazionali.

Per tali motivi, i soggetti (in particolare gli imprenditori), hanno, da sempre e in tutti i paesi, avvertito la necessità di usufruire di sistemi di gestione delle controversie alternativi o aggiuntivi rispetto al al sistema di giustizia ordinario.

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1. Crisi della giustizia e A.D.R.

In Italia, la situazione della giustizia ordinaria è particolarmente grave; il sistema-giustizia è sempre meno in grado di far fronte

alle istanze individuali di tutela in tempi accettabili.

Alcuni dati:

Dal 1975 al 2004 la durata delle cause civili è aumentata del 90%. Tempi medi di durata dei processi (dati relativi al 2006):

887 giorni per una sentenza di primo grado;

808 giorni per una sentenza d'appello;

912 giorni per una sentenza di Cassazione

totale: 2607 giorni, pari a oltre 7 anni. Cause civili pendenti nel 2006: 5 milioni.

Nel 40% dei casi le domande sono rigettate in primo grado.

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1. Crisi della giustizia e A.D.R.

Dal rapporto Doing Business 2008 della Banca Mondiale emerge che la lentezza dei processi costituisce uno dei principali freni allo sviluppo produttivo

dell'Italia, in quanto genera incertezza negli scambi e scoraggia gli investitori. Dei 178 casi analizzati, il nostro Paese risulta al 155° posto.

Questa situazione di quasi collasso del sistema giudiziario vanifica la tutela dei diritti di cittadini e imprese e distorce il regolare funzionamento del mercato, permettendo

l’insorgere di comportamenti scorretti che falsano la concorrenza.

La crisi del sistema di giustizia ordinario si riflette soprattutto sulle controversie di valore patrimoniale medio – basso (come accade spesso in quelle in cui è parte un consumatore), laddove I tempi medi di svolgimento del processo civile, uniti ai costi della difesa, non sono

compensati dai benefici che può apportare un provvedimento giurisdizionale favorevole, pertanto lo stesso consumatore è spesso indotto a rinunciare ai propri diritti.

Emerge pertanto sempre più l'importanza dei meccanismiche consentono di pervenire alla definizione delle controversie

al di fuori del processo ordinario.

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1. Crisi della giustizia e A.D.R. A partire dalla metà degli anni '70 si diffondono, dapprima negli U.S.A.

e successivamente negli altri paesi, strumenti di definzione delle controversie alternative al processo ordinario, per arginare gli effetti della c.d. litigation explosion

e ovviare alle disunzioni della formal justice. Negli USA i Tribunali hanno il potere d’imporre alle parti il ricorso preventivo ad un metodo di risoluzione alternativa prima di un eventuale

procedimento giudiziario e gli avvocati che non segnalano al proprio cliente l’esistenza di tali sistemi commettono errore professionale. Negli USA oltre il 90% delle liti non sfociano in una sentenza.

La diffusione di tali strumenti è principalmente legata a due fattori: la crescente impossibilità della giustizia ordinaria di far fronte alle necessità degli operatori, e in particolare delle imprese, di ottenere

una definizione rapida ed efficace del contenzioso; la necessità, in particolare per le imprese commerciali, di proseguire gli affari

dopo aver definito la controversia.

Tramonta, pertanto, all'idea della priorità della giurisdizione e si affermal'idea della sussidiarietà della giurisdizione: l’intervento autoritativo giurisdizionale –

che resta pur sempre possibile e costituzionalmente dovuto – deve essere considerato l’ultimo strumento a disposizione, al quale ricorrere quando gli altri non riescono allo scopo.

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ADRADR = Alternative Dispute Resolutions = Alternative Dispute Resolutions

1. Crisi della giustizia e A.D.R.

“Procedimenti a cui partecipa un terzo neutrale, anziché il giudice competente, per facilitare la risoluzione delle controversie” (“Alternative Dispute Act”, U.S.A., 1988).

Raggruppa fenomeni molto eterogenei, accomunati dalla estraneità all'esercizio della potestà giurisdizionale statale.

Oltre l'80% delle controversie nel mondo è risolta attraverso un metodo di ADR, anziché attraverso un giudice togato.

In realtà tali sistemi non sono propriamente “alternativi” alla giustizia ordinaria, bensì ad essa complementari, in quanto autonomi e anch'essi finalizzati alla tutela

dei diritti costituzionalmente garantiti. Essi sono essenziali non soltanto come strumento deflattivo del contenzioso ordinario, ma anche quando la giurisdizione

statale offre un “servizio” di buon livello.

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1. Crisi della giustizia e A.D.R.

Metodi di risoluzione delle controversie

CONCILIAZIONECONCILIAZIONE

ARBITRATOARBITRATO NEGOZIAZIONE(TRANSAZIONE)(TRANSAZIONE) GIUSTIZIA ORDINARIAGIUSTIZIA ORDINARIA

A. D. R.

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Sommario

1. Crisi della giustizia e ADR2. La transazione3. La conciliazione4. La conciliazione societaria5. L'arbitrato6. L'arbitrato societario7. Alcuni casi concreti8. Riflessioni conclusive

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2. La transazione

TRANSAZIONE (art. 1965 c.c.):

contratto con il quale le parti pongono fine ad una lite

già incominciata o prevengono una lite che può insorgere tra loro,

attraverso reciproche concessioni.

Presupposti di validità della transazione:1) esistenza (almeno potenziale) di una controversia, cioè di una

divergenza tra le posizioni delle parti (res litigiosa) 2) presenza di reciproche concessioni tra le parti (aliquid datum aliquid retentum).

Il contenuto delle reciproche concessioni può essere il più vario: può consistere anche nella rinuncia ad un diritto, cui corrisponda l’assunzione

di un obbligo nei confronti di un terzo; può riguardare anche liti future non ancora instaurate ed eventuali danni non ancora manifestatisi, purché

ragionevolmente prevedibili; può riguadare diritti diversi da quelli in contestazione. Non occorre che sussista equivalenza tra le reciproche concessioni.

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2. La transazione

La transazione non può avere ad oggetto:

1) diritti indisponibili, ovvero di cui le parti non possono disporre (art. 1966 c.c.).

Sono certamente indisponbili i diritti personalissimi, quali ad es.il diritto alla vita ed all’integrità fisica, l’usufrutto legale spettante ai genitori sui beni

del figlio minore, il diritto agli alimenti, il diritto di uso e abitazione.

Altre fattispecie sono dubbie. Ad es., le posizioni soggettive attinenti laregolarità del procedimento di approvazione del bilancio secondo i principi di

chiarezza, veridicità e correttezza sono indisponibili secondo alcune pronunce, disponibili secondo altre. Le controversie riguardanti la legittimità della delibera di

esclusione del socio investono posizioni soggettive disponibili, a meno che la società sia composta da due soli soci, e dunque l’esclusione coinvolga interessi generali relativi

alla vita stessa della società.

2) contratti illeciti (art. 1972 c.c.)

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2. La transazioneLa transazione può essere:

semplice o conservativa: le parti si limitano a modificare alcuni aspetti di un preesistente rapporto, che per il resto rimane immutato.

(Es.: Tizio e Caio discutono circa l'entità del corrispettivo di un contratto di appalto. Definiscono transattivamente la controversia accordandosi nel senso che Tizio rinunzia a contestare alcuni difetti, e Caio ad esigere l'intero corrispettivo pattuito originariamente).

novativa: le parti estinguono un precedente rapporto e ad esso sostituiscono un diverso rapporto. (Es.: Tizio e Caio discutono circa alcuni vizi dell'opera e la misura del corrispettivo dell'appalto. Definiscono transattivamente la controversia accordandosi nel

senso che l'appaltatore diviene proprietario di quanto realizzato, versando all'appaltante una quota di prezzo commisurata al valore dell'apporto dei materiali forniti da quest'ultimo).

La risoluzione per inadempimento della transazione può essere domandata solo se la transazione non è novativa, a meno che, in tal caso,

le parti non abbiano espressamente previsto tale possibilità (art. 1976 c.c.).

Le parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari e al rimborso delle spese, di cui gli avvocati partecipanti al giudizio negli ultimi

tre anni fossero creditori (art. 68 l.p.)

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Sommario

1. Crisi della giustizia e ADR2. La transazione3. La conciliazione4. La conciliazione societaria5. L'arbitrato6. L'arbitrato societario7. Alcuni casi concreti8. Riflessioni conclusive

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3. La conciliazione

CONCILIAZIONE:

strumento di risoluzione delle controversie fondata sull'accordo delle parti, in base alla quale un terzo imparziale, il conciliatore, assiste le parti in conflitto

guidando la loro negoziazione e orientandole verso la ricerca di un accordo reciprocamente soddisfacente.

La conciliazione è quindi un procedimento volontario di negoziazione facilitata che si basa su un soggetto, il conciliatore, il quale, in qualità di terzo, imparziale e privo di poteri decisori, si adopera per individuare i reali interessi in gioco e addivenire ad un

nuovo assetto di rapporti, che soddisfi entrambe le parti e consenta loro di proseguire i rapporti (win-win).

Il conciliatore aiuta le parti a trovare una soluzione alla loro controversia, cercando di favorire (non di imporre), la soluzione migliore possibile per il futuro, anche in vista di

un mantenimento dei loro rapporti.

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3. La conciliazione

Uno degli esempi utilizzati presso la Scuola di Negoziazione di Harvard per illustrare la differenza che si trova tra un procedimento giurisdizionale ed una

procedura di conciliazione è la ben nota storia delle due sorelle che litigavano per l’unica arancia rimasta in frigorifero. La loro madre, nel tentare una soluzione il più possibile imparziale, pensò bene di separare il frutto a metà, dandone la medesima

quantità ad ognuna delle figlie.

La nonna, che osservava attenta la scena, decise di chiedere a ognuna delle bambine per quale motivo volessero l’arancia. La più piccola rispose che aveva molta sete e voleva berne il succo; la più grande, invece, rispose che, avendo

molta fame, con la buccia avrebbe voluto preparare dei canditi per una torta. Cosi la nonna tagliò la buccia dell'arancia e la offrì ad una delle nipoti, mentre

spremette l’intera polpa offrendola all'altra. In questo modo tutte e due le bambine furono soddisfatte al 100%, senza doversi accontentare di soluzioni non

gratificanti appieno i loro interessi.

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3. La conciliazione

La conciliazione consente di ottenere un risultato positivo (accordo), che spesso le parti non riuscirebbero ad ottenere attraverso un negoziato diretto tra loro.

Infatti, dato il carattere comunicativo della negoziazione, una parte normalmente fa conoscere all'altra la propria posizione, ovvero la propria pretesa, esposta attraverso

un’argomentazione giustificativa con prevalenza di elementi retorici (questioni di principio).La parte non rivela invece, normalmente, il proprio interesse sottostante alla posizione,

cioè ciò che vuole effettivamente ottenere (“la misura della negoziazione”).

Il conciliatore dovrebbe essere in grado di identificare i reali interessi delle parti e di pervenire ad un accordo attraverso la combinazione tra gli interessi comuni alle parti e quelli

diversi. Tale risultato è raggiungibile utilizzando una serie di tecniche, mirate a creare un clima disteso, partecipato, cooperativo e di fiducia tra le parti e tra esse e il conciliatore.

Una delle tecniche più efficaci consiste nell'uso della parafrasi, cioè nel riformulare le posizioni delle parti in modo oggettivo e con tono neutro, eliminando la carica negativa. E'

inoltre indispensabile che il conciliatore possegga doti di comunicazione, disponibilità, flessibilità, pazienza, autocontrollo, tenacia, empatia ed autorevolezza, imparzialità.

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3. La conciliazione

CARATTERISTICHE DELLA CONCILIAZIONE:

Può avere ad oggetto solo diritti disponibili.

Si basa sulla volontà delle parti, per quanto attiene alla scelta iniziale, nel senso che le parti partecipano alla conciliazione per decisione propria (ad eccezione

della conciliazione c.d. obbligatoria), al metodo con cui viene condotta e al suo risultato (in quanto le parti possono decidere di portare a buon fine il tentativo di

conciliazione sol o se lo considerano conveniente per i loro interessi). In qualunque momento, e a maggior ragione in caso di mancato raggiungimento di un

accordo, le parti possono decidere di abbandonare il tavolo delle trattative, mantenendo il diritto di ricorrere alle forme tradizionali di giustizia. Il tentativo di conciliazione, cioè, non implica una preventiva rinuncia alle vie giudiziarie che potranno essere adite liberamente

nel caso di infruttuoso tentativo.

L'accordo conciliativo può avere qualsiasi contenuto, modellato sulla misura degli interessi e dei bisogni delle parti. In particolare, può prescindere dal requisito delle

concessioni reciproche (le parti possono quindi adottare un nuovo accomodamento che soddisfi gli interessi di una sola di esse).

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3. La conciliazione

CARATTERISTICHE DELLA CONCILIAZIONE:

E' una procedura essenzialmente informale, priva di formalità procedurali (tranne quelle eventualmente previste dal regolamento della istituzione, solitamente derogabile dalle

parti). Non è necessario il rispetto del principio del contraddittorio (a differenza dell'arbitrato), né è necessaria la difesa tecnica.

E' una procedura riservata. Nulla di ciò che emerge dalle udienze di conciliazione potrà essere rivelato dal conciliatore, né dalle parti, senza il loro consenso.

Contrariamente a ciò che accade per l'arbitrato (v. art. 829 c.p.c.) il mancato rispetto delle regole del procedimento di conciliazione non costituisce ragione di invalidità dell’accordo

raggiunto dalle parti. Nel procedimento di conciliazione, il mancato rispetto delle regole può rendere più difficile o finanche impedire il raggiungimento dell’accordo, ma se questo è

comunque raggiunto, il contratto non è invalido per il solo fatto che le regole del procedimento sono state violate.

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3. La conciliazione

CARATTERISTICHE DELLA CONCILIAZIONE:

L'accordo (eventualmente) raggiunto al termine della conciliazione vincola le parti come un qualsiasi contratto (il cui inadempimento è fonte di responsabilità e

può dare luogo al risarcimento dei danni).

Può avere efficacia di titolo esecutivo (come la sentenza o il lodo arbitrale) solo se autenticato da un pubblico ufficiale, limitatamente alle obbligazioni di somme di

denaro (art. 474 c.p.c.), o qualora la legge lo preveda espressamente

(v. as. la conciliazione in materia societaria o di lavoro).

Se invece le parti non pervengono ad un accordo, non perdono alcun diritto e possono in ogni momento avviare un arbitrato o una procedura davanti ad un giudice ordinario. Tuttavia,

l'esito (negativo) del procedimento conciliativo può avere conseguenze nel successivo procedimento ordinario, sul piano della condanna al pagamento delle spese di giudizio

(v. ad es. la conciliazione in materia societaria)

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3. La conciliazione

Modalità di conciliazione:

Facilitativa:il conciliatore aiuta le parti ad individuare

soluzioni costruttive alla controversia, astenendosi da qualunque valutazione

in ordine alla fondatezza delle rispettive pretese delle parti e cercando

una soluzione tale da soddisfaregli interessi delle parti. L’obiettivo principale

del conciliatore è quello di agevolare la trattativa tra le parti in modo che

esse stesse stabiliscano i termini dell’accordo.

Valutativa:il conciliatore valuta la

fondatezza delle rispettivepretese delle parti e formula una

proposta di accordo. Può spingersi ad anticipare l’eventuale esito,

favorevole o sfavorevole, del giudizio, qualora l’accordo

non venisse raggiunto.

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3. La conciliazione

Nella conciliazione facilitativa (o “interest-based mediation”), il conciliatore cerca di individuare i veri interessi delle parti, al di là delle pretese formalizzate in termini giuridici;

non cerca la soluzione “giusta”, ma la soluzione “conveniente”. Le parti tendono ad apportare non gli argomenti idonei a convincere il conciliatore che hanno ragione, ma quelli che indicano i loro veri interessi, sì che il conciliatore possa fare una proposta

conveniente per entrambe, e da entrambe accettabile.

Nella conciliazione valutativa (o “rights-based mediation” ) il conciliatore valuta le pretese delle parti, le quali tendono a portare gli argomenti che ritengono più utili ad incidere sul giudizio del conciliatore, in modo da ottenere la proposta più favorevole. Ciò

rende più difficoltosa l’individuazione dei reali interessi delle parti, e conseguentemente il raggiungimento di un accordo, il cui contenuto sia in grado di

soddisfare gli interessi sottostanti (v. ad es. la conciliazione societaria, infra).

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3. La conciliazione

La conciliazione può essere ad hoc (regolamentata dalle parti) o amministrata (regolamementata da un'istituzione, es. CCIAA)

La conciliazione può essere preventiva o (più raramente) successiva al sorgere della controversia (c.d. contratto di conciliazione).

Nel primo caso, essa si fonda sulla c.d. clausola conciliativa, cioè su un accordo in virtù del quale le parti si impegnano ad esperire un procedimento di conciliazione, prima di proporre

domanda in sede giurisdizionale o arbitrale.

Qualora una delle parti, anziché esperire la conciliazione, si rivolga direttamente al giudice o all'arbitro, si avrà inadempimento contrattuale (con conseguente obbligo, a carico della parte

inadempiente, di risarcire i danni all'altra parte), ma non vi è alcun impedimento alla proposizione della domanda giudiziale, in quanto, in mancanza di una esplicita previsione normativa, le parti non possono, neppure consensualmente, ostacolare o

impedire l'accesso alla giustizia ordinaria o arbitrale. Una disciplina parzialmente diversa è però prevista nella conciliazione societaria (v. infra).

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3. La conciliazione

Un tertium genus è costituito dalla conciliazione c.d. paritetica, che prende origine da protocolli stipulati da un'impresa e le associazioni di consumatori, soprattutto nel settore dei servizi (es.

controversie banche-clienti) e delle telecomunicazioni, e si sviluppano attraverso una negoziazione tra i rispettivi rappresentanti. I servizi sono offerti gratuitamente dalle imprese.

Il consumatore, nel presentare la domanda, sceglie l’associazione di consumatori dalla quale intende essere rappresentato. La segreteria del procedimento, valutata l’ammissibilità della domanda, convoca

la Commissione di conciliazione, alla quale partecipano un rappresentante dell’azienda ed un rappresentante dei consumatori. Le riunioni della Commissione non sono pubbliche. Al termine del

procedimento, i componenti della Commissione redigono un verbale di accordo, che se positivo ha efficacia di accordo transattivo.

La conciliazione paritetica si differenzia dal modello di conciliazione tradizionale, in quanto:a) Non sempre il consumatore viene interpellato per decidere se accettare l’ipotesi di accordo; alcuni

regolamenti (es. Telecom) prevedono che il cliente, nel momento in cui presenta la domanda di conciliazione, dia pieno mandato a transigere al suo rappresentante, impegnandosi anche ad accettare

quanto deciso dal rappresentante stesso. Ciò comporta che l’utente perda ogni potere sulla controversia, delegando ad un soggetto terzo la decisione sulla lite come nei procedimenti decisori.

b) Non è prevista la presenza di un terzo, indipendente e neutrale; le due parti (una in rappresentanza dell’impresa, l’altra del cliente) negoziano direttamente tra loro.

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3. La conciliazione

La conciliazione paritetica sicuramente agevola l’accesso alla giustizia diconsumatori e utenti, favorendo la soluzione dei reclami rivolti alle grandi

imprese ed offrendo procedure semplici ed estremamente rapide.

Inoltre, la conciliazione paritetica risponde ad una meritevole policy aziendale, secondola quale il ricorso ad essa per risolvere le controversie di modico valore,

permette di evitare le forti spese legali e di favorire la fidelizzazione del cliente.

Tuttavia, forse a causa delle modalità attraverso le quali si sviluppa,ovvero il fatto che essa è offerta gratuitamente da un’impresa al propriocliente per gli eventuali contenziosi che possano sorgere nell’ambito del

proprio rapporto contrattuale, attraverso la negoziazione diretta tra le parti,sembra rappresentare una forma più evoluta di ufficio reclami interno, anche

se resa maggiormente equilibrata grazie all’intervento delle associazioni diconsumatori, piuttosto che una vera e propria conciliazione gestita da un

terzo neutrale ed imparziale.

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3. La conciliazione

Ipotesi di conciliazione:

Facoltativa:le parti non hanno alcun obbligo di esperire un tentativo di conciliazioneprima di instaurare un procedimento

ordinario o arbitrale; decidono di avviare tale procedimento del tutto

spontaneamente (sia pure, eventual-mente, sulla base di una

clausola conciliativa).

Obbligatoria:la legge prevede che le parti debbano obbligatoriamente esperire un tentativo

di conciliazione, che costituisce unacondizione di procedibilità per

l’accesso alla tutela giurisdizionale (Es.: conciliazione obbligatoria davanti alle

Direzioni provinciali del lavoro, ex art. 410 c.p.c., o davanti ai Corecom, ex L. n. 249/1997)

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3. La conciliazione

Tipologie di conciliazione:

GIUDIZIALESi svolge durante un processo

già iniziato davanti a un giudice.

STRAGIUDIZIALESi svolge al di fuori del processo

• Art. 183 c.p.c. (Tribunale)• Art. 322 c.p.c. (Giudice di Pace)

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3. La conciliazione

A partire dalla seconda metà degli anni 90’, accanto ad alcune misure adottate dal Parlamento per la riduzione dell’arretrato (sezioni stralcio) e per l’accelerazione dei tempi

del processo (giudice unico), il legislatore – anche su imput delle istituzioni comunitarie (v. libro verde del 2002) - ha ravvisato l’opportunità di prevedere e potenziare lo strumento

della conciliazione stragiudiziale, in particolare amministrata, nell’intento di diffondere anche nel nostro paese le positive esperienze dei paesi anglosassoni. E' stato quindi

previsto il ricorso a strumenti di natura conciliativa in varie discipline di settore.

La legge n. 580/1993, di riforma delle Camere di Commercio, ha previsto la costituzione di commissioni di conciliazione presso le CCIAA per la risoluzione delle

controversie tra imprenditori e fra imprenditori e consumatori e utenti. A partire dal 1993, quindi, le Camere di Commercio offrono un servizio di conciliazione mediante uno sportello ad hoc, servizio retto da un regolamento, un tariffario e da norme di comportamento dei

conciliatori sancìti dall'Unione delle Camere di Commercio (Unioncamere).

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3. La conciliazione

Dopo la legge 580/1993 si sono succedute altre leggi che hanno previsto un ruolo attivo delle Camere di Commercio nella conciliazione:

la legge istitutiva dell’Autorità per l’energia ed il gas (l. n. 481/1995) individua le CCIAA come possibili soggetti competenti in materia di risoluzione delle controversie

tra utenti e gestori dei servizi; la legge sulla subfornitura nelle attività produttive (l. n. 192/1998) prevede, all’art. 10,

l’esperimento di un tentativo “obbligatorio” di conciliazione relativamente ai contratti di subfornitura presso le CCIAA; inoltre, nel caso in cui tale tentativo dia esito negativo, prevede la possibilità di

rimettere la controversia ad una commissione arbitrale istituita presso le CCIAA; la legge quadro sui diritti dei consumatori e degli utenti (l. n. 281/1998) stabilisce,

all’art. 3, che le associazioni dei consumatori possono attivare, prima di adire le vie giudiziarie, la procedura di conciliazione davanti alle CCIAA;

la legge di riforma della legislazione nazionale sul turismo (l. n. 135/2001) individua, all’art. 4, le CCIAA quali commissioni arbitrali e conciliative delle controversie tra imprese e tra

imprese e consumatori inerenti la fornitura di servizi turistici; la legge di riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 5/03) dedica ampio spazio alle procedure

arbitrali e alle soluzioni alternative al processo (v. infra);

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3. La conciliazione

la delibera n.182/2002 di attuazione della legge istitutiva dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni prevede, all'articolo 12, il tentativo obbligatorio di

conciliazione davanti ai Corecom; la legge per la disciplina dell’affiliazione commerciale (franchising) (L. n. 129/04), prevede, all’art. 7, la possibilità di risolvere le eventuali controversie tra

franchisor e franchisee mediante una clausola contrattuale che preveda il tentativo di conciliazione presso la CCIAA;

L'art. 696-bis c.p.c. (consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite) (v. slide seguente);

Il D.Lgs. n. 206/05 (Codice del Consumo) prevede, all’ art. 141, il ricorso alla procedura conciliativa nelle controversie tra professionisti e consumatori.

Il D.lgs. n. 179/2007 ha previsto una procedura di conciliazione presso la Consob, per la risoluzione delle controversie tra investitori ed intermediari, in merito alla

violazione ad opera di questi ultimi degli obblighi inerenti l'informazione, correttezza e trasparenza nei confronti degli investitori stessi (v. Regolamento Consob del

29.12.2008).

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3. La conciliazione

L'art. 696-bis c.p.c. (consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite) prevede un tentativo di conciliazione da parte del consulente tecnico preventivo, ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o

inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito (es.: difetti dell'opera nell'esecuzione di un contratto di appalto; quantificazione di invalidità permanente o

provvisoria da infortunio stradale e conseguente risarcimento danni, etc.).

Il consulente, prima del deposito della perizia, può espletare il tentativo di conciliazione. Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione, cui può essere

attribuito con decreto efficacia di titolo esecutivo, ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

Il processo verbale e' esente dall'imposta di registro.

Se invece il tentativo di conciliazione ha esito negativo, le parti hanno facoltà di chiedere l'acquisizione agli atti della relazione depositata dal consulente. In proposito sembra

doversi escludere che il contegno delle parti in sede di tentativo di conciliazione abbia valenza probatoria nel processo; probabilmente di esso il giudice potrà tenere conto in

sede di responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c.

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Sommario

1. Crisi della giustizia e ADR2. La transazione3. La conciliazione4. La conciliazione societaria5. L'arbitrato6. L'arbitrato societario7. Alcuni casi concreti8. Riflessioni conclusive

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4. La conciliazione societaria

Gli artt. 39-40 D.Lgs n. 5/2003 hanno previsto una disciplina organica

sulla conciliazione in materia societaria. Questa disciplina è diventata loschema di riferimento anche per successive norme in materia di conciliazione

(franchising – l. n. 129/2004; patto di famiglia – art. 768-octies c.c.; legge sulla tutela del risparmio – Dlgs. n. 179/2007).

Si tratta di una conciliazione facoltativa (le parti sono libere di adìrel'organo conciliativo se lo ritengono opportuno), anche se ricalca alcuni aspetti

della conciliazione obbligatoria, per quanto attiene alle spese processuali del successivo eventuale giudizio (v. infra).

La conciliazione si applica a qualsiasi tipo di società e a tutte le controversie di cui all'art. 1 del D.Lgs. n. 5/2003, ovvero in particolare:

accertamento, costituzione, modificazione o estinzione di un rapporto societario; azioni di responsabilità;

trasferimento delle partecipazioni sociali; patti parasociali;

rapporti di intermediazione mobiliare.

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4. La conciliazione societaria

La conciliazione è affidata ad appositi organismi, pubblici o privati, iscritti in un apposito registro tenuto presso il Min. Giustizia (conciliazione “amministrata”). L'iscrizione nel registro è subordinata ad una verifica di serietà ed efficienza degli enti, secondo le modalità previste dal d.m. n. 222/2004. Le CCIAA sono invece iscritte di diritto. Il

decreto dirigenziale del 24.7.2006 ha previsto i criteri di accreditamento dei soggetti autorizzati alla formazione dei conciliatori e quindi al rilascio di idoneo titolo di

abilitazione.

Il ruolo del conciliatore può essere ricoperto soltanto da: 1) un magistrato in quiescenza;

2) un professore universitario di ruolo di materie giuridiche o economiche; 3) un professionista iscritto in albi professionali di materie giuridiche o economiche da

oltre 15 anni anche se successivamente cancellati non per motivi disciplinari; 4) un laureato in materia giuridiche o economiche, ovvero un iscritto in albi professionali

in materia giuridiche o economiche con anzianità inferiore ai 15 anni, purché abbia seguito con successo un corso specifico di formazione per conciliatori.

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4. La conciliazione societaria

La procedura conciliativa non è prefissata per legge in modo uniforme, ma è stabilita dai regolamenti dei singoli organismi conciliativi.

Le modalità di svolgimento della conciliazione non possono quindi essere scelte dalle parti, dovendosi applicare il regolamento e le tabelle di indennità che ciascun organismo di conciliazione è tenuto ad adottare ed a sottoporre all’approvazione del Min. Giustizia.

Nel 2005 Unioncamere ha redatto un Regolamento Unico di conciliazione, checostituisce un modello al quale sostanzialmente si unifomano i regolamenti dei singoli enti.

Generalmente il procedimento conciliativo si articola nelle seguenti fasi:

1. Fase iniziale, con deposito dell'istanza conciliativa presso l'ente.Generalmente vi è un modulo di domanda standard, in cui le parti devono indicare i propri dati, quelli del soggetto nei confronti del quale viene attivata la procedura, una breve esposizione dei

fatti e specificazione delle richieste (sul cui importo vengono calcolate le tariffe).

2. Fase preparatoria: la segreteria dell'ente invia la domanda alla controparte e la contatta, per farle comprendere alla parte l’utilità dell’incontro di conciliazione.

Potrebbe raggiungersi già un accordo in questa fase (eventualità rara)

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4. La conciliazione societaria

3. L'ente nomina un conciliatore, il quale fissa un incontro con le parti. L'incontro (che spesso è l'unico) si articola come segue:

a) Sessione congiunta iniziale: presentazione del Conciliatore e delle posizioni delle parti circa la controversia. Il Conciliatore dovrebbe esporre le rispettive posizioni ricorrendo a

parafrasi, tentando di smorzare i toni e di delineare il conflitto nel modo più obiettivo possibile.b) Sessioni private (caucuses), in cui il conciliatore approfondisce con ciascuna parte, in maniera confidenziale, i rispettivi interessi latenti (spesso non giuridici) nonché que, chialle circostanze che una parte non sarebbe mai disposta ad ammettere in presenza dell'altra, chiarendo e ponendo in ordine gerarchico i loro obiettivi e le aree di possibile accordo.

c) Sessione congiunta finale, in cui il conciliatore, identificati gli interessi delle parti, dovrebbe essere in grado di aiutarle a riformulare il conflitto in termini d’interessi, favorendo un accordo.

4. Il conciliatore redige un verbale di accordo, positivo o negativo.Nel caso di intervenuto accordo, il verbale avrà efficacia di contratto tra le parti. In ogni caso, il verbale contiene solo i termini dell'accordo o l'attestazione del non

accordo, senza alcuna menzione di ciò che è avvenuto durante il procedimento conciliativo, in omaggio al principio di riservatezza.

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4. La conciliazione societaria

La conciliazione è affidata ad appositi organismi, pubblici o privati, iscritti in un

apposito registro tenuto presso il Min. Giustizia (conciliazione “amministrata”). L'iscrizione nel registro è subordinata ad una verifica di serietà ed efficienza degli enti,

secondo le modalità previste dal d.m. n. 222/2004. Le CCIAA sono invece iscritte di diritto.Il decreto dirigenziale del 24.7.2006 ha previsto i criteri di accreditamento dei soggetti autorizzati alla formazione dei conciliatori e quindi al rilascio di idoneo titolo di abilitazione.

Si prevede espressamente un obbligo di riservatezza circa le notizie e i dati emersi durante lo svolgimento della conciliazione.

Il conciliatore non può rendere note a una parte le informazioni di cui sia venuto a conoscenza durante colloqui separati con l'altra parte

né divulgare notizie a terzi, mentre le parti non possono divulgare informazioni né durante il procedimento conciliativo né nel successivo procedimento giudiziario

(in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione).

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4. La conciliazione societaria

Al fine di favorire lo sviluppo della conciliazione, è prevista l’esenzione di tutti gli atti, documenti e provvedimenti del procedimento da ogni imposizione fiscale, nonché l’esenzione dall’imposta di registro del verbale di conciliazione, entro il valore di 25.000€. Ciò rende la conciliazione più “appetibile” della normale transazione, che è

soggetta al pagamento di una imposta nella misura del 3%. Da notare però che i verbali di conciliazione giudiziale entro il valore di 50.000€ sono esenti da imposta di registro

(art.9 L. 488/1999).

Sempre in tale ottica, si prevede un controllo del Min. Giustizia sulleindennità spettanti agli organismi di conciliazione, che risultano

notevolmente inferiori ai costi di un processo ordinario.

L'istanza conciliativa, comunicata alla controparte con qualsiasi mezzo idoneo a dimostrare l’avvenuta ricezione, produce gli stessi effetti della domanda giudiziale, ovvero

l'interruzione della prescrizione e l'impedimento della decadenza del diritto controverso. Da ciò si ricava che tale istanza deve individuare esattamente il diritto sostanziale

e i termini della controversia di cui si tenta la composizione.

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4. La conciliazione societaria

Esito della conciliazione:

Positivo:

si redige un processo verbale, chepuò acquisire efficacia esecutiva

in seguito ad omologa del Tribunale,dopo un controllo meramente formale.

Negativo:si redige un processo verbale in cui si dà atto della posizione delle parti. Di esse potrà tenereconto il Tribunale in sede di liquidazione delle

spese del successivo giudizio. Se entrambe le parti lo richiedono,

il conciliatore fa una proposta, rispetto alla quale ciascuna delle parti, se la conciliazione

non ha luogo, indica la propria posizione.Anche di essa il Tribunale può tenere conto

ai fini delle spese del giudizio.

a

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4. La conciliazione societaria

Si prevede quindi che la mancata comparizione di una delle parti e le posizioni assunte dinanzi al conciliatore sono valutate dal giudice nell’eventuale successivo

giudizio ai fini della decisione sulle spese processuali.

Nel primo caso, se (com’è probabile) il rifiuto proviene da colui che sarà soccombente nel processo giurisdizionale, la conseguenza potrà essere la

condanna dello stesso ai danni ex art. 96 c.p.c. Se invece il rifiuto proviene da chi sarà vittorioso nel processo, il giudice potrà compensare le spese, o anche

condannarlo a pagare le spese alla parte soccombente.

Nel secondo caso invece (procedimento conciliativo svolto con la presenza di tutte le parti, e concluso con la proposta del conciliatore), il giudice dovrà fare una

comparazione fra le posizioni assunte dalle parti e la sua decisione, e vedere quale delle parti aveva preso la posizione più vicina a quello che è stato l’esito del

processo. Se è stata la parte vittoriosa a rifiutare una proposta del conciliatore che, nella sostanza, gli avrebbe dato quello che ha poi ottenuto nel processo,

allora il giudice potrà compensare le spese, o anche condannare la parte vittoriosa a pagare, in tutto o in parte, le spese alla parte soccombente. Se è stata la parte

soccombente a rifiutare una proposta del conciliatore che, nella sostanza, riconosceva alla controparte quello che poi quest’ultima ha ottenuto nel processo, allora vi potrà essere la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.

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4. La conciliazione societaria

Tale disciplina rischia di disincentivare il ricorso alla conciliazione, in quantole parti potrebbero “non scoprirsi”, consapevoli che il loro comportamento

potrà essere valutato nel successivo giudizio di merito.

Inoltre, in caso di esito negativo della conciliazione cade l'obbligo di confidenzialità, dato che il giudice può conoscere dei contenuti della lite

ai fini della condanna alle spese di giudizio.

Si prevede infine che se le parti abbiano inserito una clausola di conciliazione nel contratto o nello statuto della società, qualora una delle parti non rispetti tale clausola

e promuova un giudizio ordinario, la parte convenuta può eccepire la violazione dell’obbligo assunto nella sua prima difesa. In tal caso il giudice sospende il processo ed

assegna un termine compreso fra 30 e 60 gg. per la proposizione dell’istanza di conciliazione. Se il tentativo di conciliazione non viene promosso nel termine assegnato

o venga espletato con esito negativo, il processo può essere riassunto.

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Sommario

1. Crisi della giustizia e ADR2. La transazione3. La conciliazione4. La conciliazione societaria5. L'arbitrato6. L'arbitrato societario7. Alcuni casi concreti8. Riflessioni conclusive

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5. L'arbitrato

ARBITRATO (artt. 806 e ss. c.p.c.):

procedimento in base al quale le parti conferiscono ad un terzo neutrale (arbitro) il potere di decidere in modo vincolante una controversia già insorta o

insorgenda.

L'arbitrato è stato oggetto di ben tre riforme negli ultimi anni: la L. n. 28/1983; la L. n. 25/1994;

il D.lgs. n. 40/2006.

Quest'ultimo - che si applica a tutti i procedimenti arbitrali nei quali la domanda sia stata proposta dopo il 1º marzo 2006 - ha profondamente innovato l'istituto,

consacrando la natura giurisdizionale (e non contrattuale) dell'arbitratoed equiparandolo sostanzialmente alla giustizia ordinaria.

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5. L'arbitrato

La convenzione arbitrale è un contratto, che tuttavia non ha effetti sostanziali (non costituisce, modifica od estingue un rapporto giuridico sostanziale), bensì processuali, in

quanto con esso si costruisce lo strumento (lodo) che poi produrrà effetti sul piano sostanziale.

La clausola compromissoria è autonoma rispetto al contratto principale in cui è inserita (art. 808, co. 3, c.p.c.). Tale principio fa sì che:

l'invalidità del contratto principale non si ripercuote necessariamente sulla clausola compromissoria, la quale potrà essere utilizzata per dirimere proprio quelle stesse (eventuali) controversie insorte anche circa il vizio di invalidità del negozio principale;

spetta agli arbitri a giudicare circa la invalidità del contratto principale, contenente la clausola compromissoria;

la cessione del contratto principale non trasferisce automaticamente la clausola compromissoria, ma occorrerà un distinto ed ulteriore negozio di cessione che specificamente riguardi quest'ultima.Tuttavia, in caso di cessione d'azienda si

trasferiscono automaticamente al cessionario, in mancanza di diversa indicazione delle parti, anche i contrattii contenenti clausole compromissorie.

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5. L'arbitrato

Figure affini all'arbitrato:

ARBITRAGGIO (art. 1349 c.c.): contratto con il quale le parti incaricano un terzo di procedere, in modo vincolante, alla

determinazione di un elemento mancante del contratto. L’arbitrato è finalizzato a risolvere una controversia insorta in ordine ad un rapporto già completo, mentre

l’arbitraggio ha la funzione di integrare il contratto (es.: determinazione/integrazione del prezzo di una compravendita azionaria). L'arbitratore può agìre con mero arbitrio (nel qual caso la decisione è impugnabile solo in caso di mala fede) o con equo apprezzamento (nel

qual caso la decisione è impugnabile per manifesta iniquità o erroneità).

PERIZIA CONTRATTUALE:

contratto con il quale le parti incaricano un terzo, scelto per la particolare competenza tecnica, di risolvere una questione di natura tecnica (non  giuridica) (es.: individuazione

dell'ammontare del danno di un sinistro) 

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5. L'arbitrato

CONVENZIONE di ARBITRATO:

CLAUSOLA COMPROMISSORIA(art. 808 c.p.c.).

Precede il sorgere della controversia.

COMPROMESSO(art. 806 c.p.c.)

E' successiva al sorgere della lite

Nella prassi, difficilmente le parti stipulano un compromesso, in quanto i rapporti sono ormai deteriorati; è sufficiente che una delle parti mostri di avere preferenza per la soluzione arbitrale della lite per indurre nella controparte la convinzione opposta. Inoltre, poiché

l’arbitrato viene prescelto per la sua maggiore speditezza rispetto al giudizio ordinario, c’è spesso una parte che pensa di avere maggiori probabilità di avere torto o di dover pagare e

quindi ha interesse a ritardare il più possibile la decisione. Il compromesso viene quindi stipulato nei (rari) casi in cui una decisione immediata è ritenuta utile da tutte le parti. La

maggioranza degli arbitrati si fonda su una clausola compromissoria.

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5. L'arbitrato

ARBITRATO:

AD HOC:

le regole del procedimento vengono scelte dagli arbitri oppure dalle parti

nella convenzione arbitrale

AMMINISTRATO:

le regole del procedimento sono contenute in un regolamento

stabilito da un’istituzione apposita(es. CCIAA)

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5. L'arbitrato

La riforma del 2006 ha disciplinato l'arbitrato amministrato (art. 832 c.p.c.).

La convenzione d’arbitrato può fare rinvio a un regolamento arbitrale precostituito.Problema: se le parti prevedono nella clausola che la sola nomina degli arbitri avvenga secondo il

regolamento di una CCIAA, si applica tale regolamento solo per la nomina degli arbitri o per l’intero procedimento?

In caso di contrasto tra il regolamento e la clausola arbitrale, prevale la clausola.Se tuttavia le parti stabiliscono una regola procedimentale che snatura il regolamento predisposto

dall’ente, questo potrà rifiutarsi di amministrare l’arbitrato; in tal caso, la clausola compromissoria non perde efficacia e l’arbitrato ridiventa ad hoc.

Se il regolamento dell'ente cambia durante il procedimento arbitrale, si applica il regolamento in vigore al momento in cui il procedimento arbitrale ha avuto inizio.

Nella prassi accade che la parte, davanti ad una clausola compromissoria per arbitrato ad hoc, deposita una domanda di arbitrato presso una istituzione arbitrale, per vedere amministrato il

procedimento secondo il suo regolamento. In questi casi, di solito l'ente notifica tale proposta alla controparte, affinché questa, a sua volta, si pronunci in merito alla gestione dell’arbitrato da parte

dell’ente. Se questa aderisce, la clausola compromissoria viene integrata a lite già insorta.

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5. L'arbitrato

EFFETTI dellaCONVENZIONE di ARBITRATO:

POSITIVO:le parti conferiscono all'arbitro

il potere di decidere la controversia in modo vincolante.

NEGATIVO:Le parti impediscono che

una controversia possa essere decisa dal giudice.

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5. L'arbitrato

ARBITRATO:

RITUALE:le parti conferiscono all'arbitro

il potere di decidere la controversia in modo vincolante.

Il lodo ha efficacia di sentenza.

IRRITUALE:Le parti conferiscono all'arbitro un

mandato a definire in via contrattuale una controversia.

Il lodo ha efficacia contrattuale.

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5. L'arbitrato

L'arbitrato irrituale (o libero) è un istituto inventato dalla prassi allo scopo principale di evitare le formalità dell'arbitrato rituale. Si tratta di un fenomeno di cooperazione tra le parti ed un terzo (l’arbitro) nella formazione di un regolamento negoziale, affine all'arbitraggio.

Era abbastanza diffuso prima della riforma del 1994, perché le parti evitavano il deposito del lodo negli uffici giudiziari (il deposito era allora obbligatorio ai fini della equiparazione del lodo

rituale alla sentenza) evitando la pubblicità e risparmiando la tassa di registro.

La distinzione tra i due tipi di arbitrato non era spesso agevole, occorrendo interpretare la volontà delle parti. Di fronte a clausole ambigue, secondo la giurisprudenza doveva

presumersi la natura irrituale dell'arbitrato.

Le principali conseguenze pratiche della distinzione erano che: a) in presenza di un arbitrato rituale, il lodo poteva essere impugnato in Corte d’Appello in

base agli artt. 829-830 c.p.c., mentre in caso di arbitrato irrituale la parte insoddisfatta poteva far valere i suoi diritti nei consueti tre gradi di giudizio ordinario, potendo tuttavia impugnare il

lodo solo per vizi contrattuali (errore, dolo, violenza);b) in caso di arbitrato irrituale le parti non potevano chiedere provvedimenti

cautelari all'A.G. (sul punto è poi intervenuta prima la Corte Cost. e poi il legislatoreche con l'art. 669-quinquies c.p.c. ha previsto tale possibilità)

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5. L'arbitrato

La riforma del 2006 ha disciplinato per la prima volta l'arbitrato irrituale (art. 808- ter c.p.c.), allo scopo, da un lato, di delineare la differenza con l'arbitrato rituale, e dall'altro di

sottolineare la residualità di tale arbitrato rispetto a quello rituale.

Si conferma la natura contrattuale dell'arbitrato irrituale, il quale termina con una “determinazione contrattuale”, che (a differenza del lodo rituale) non ha effetti di sentenza

e non è suscettibile di omologa.

Solo una chiara ed espressa pattuizione delle parti può consentire la devoluzione delle controversie ad arbitrato irrituale; nel dubbio l’arbitrato deve ritenersi essere rituale.

Il lodo irrituale (contrattuale) è annullabile (non per vizi della volontà) bensì per violazione del mandato, per vizi di procedimento o per violazione del contraddittorio. Si introduce quindi una disciplina più vicina a quella dell’arbitrato rituale,

procedimentalizzando in parte l'istituto.

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5. L'arbitrato

A seguito della riforma, le uniche differenze tra arbitrato rituale e irrituale sono: il lodo irrituale non può costituire titolo esecutivo; quindi per ottenerne l'adempimento

coattivo occorre proporre azione di inadempimento contrattuale; il lodo irrituale ha una impugnabilità più limitata rispetto al lodo rituale.

La scarna discilplina legislativa lascia aperti una serie di problemi interpretativi. Quali norme (processuali) regolano l'arbitrato irrituale (oltre l'art. 808- ter c.p.c.), in assenza

di indicazioni espresse delle parti? Escludendo le due tesi estreme (totale autonomia contarttuale delle parti/applicazione di tutte le norme previste per l'arbitrato rituale), e

possano applicarsi per analogia, alcune norme ettate per l’arbitrato rituale (es. nomina degli arbitri, decisione del lodo, ricusazione).

La clausola compromissoria per arbitrato irrituale è vessatoria, con applicazione dell’art. 1341 c.c. o degli articoli 33-36 Cod. Consumo?

Tali dubbi potrebbero provocare la definitiva emarginazione dell’istituto, scoraggiando le parti dal ricorrere ad uno strumento di risoluzione delle controversie la cui disciplina appare oggi,

paradossalmente più che in passato, lacunosa ed incerta.

L'arbitrato irrituale è tuttavia frequentemente utilizzato soprattutto presso le CCIAAmerceologiche, dove in genere rappresenta il primo step nella risoluzione dei conflittitra gli associati, diretto a indagare la qualità della partita oggetto di contestazione.

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5. L'arbitrato Sia il compromesso che la clausola compromissoria devono avere

forma scritta a pena di nullità (ad substantiam).

La forma scritta s’intende rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telefax o messaggio telematico (nuovo art. 807 c.p.c.).

Non è indispensabile che vi sia un unico atto che raccolga le dichiarazioni di volontà delle parti, essendo queste ultime libere di manifestare il proprio volere tramite atti diversi e formati in tempi diversi, sempre che i due documenti siano inscindibilmente collegati (ad es., scambio

di lettere fra le parti). Se la clausola compromissoria è contenuta inun atto separato al contratto, è comunque opportuno indicare specificatamente gli estremi del

contratto cui si riferisce (la data di stipulazione, le parti, l’oggetto, gliobblighi dei contraenti) e datare la scrittura privata.

o

Qualora la clausola compromissoria sia inserita in contratti con condizioni generali predisposte da uno solo dei contraenti o conclusi con sottoscrizione di moduli o formulari, essa deve

essere approvata specificatamente per iscritto (art. 1341 c.c.). Se però la clausola è inserita in un contratto per adesione stipulato fra un consumatore e un professionista essa è ritenuta

vessatoria ex lege (artt. 33-35 D.lgs. n. 206/2005) e perciò nulla a meno che il professionista dimostri che è stata oggetto di trattativa individuale.

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5. L'arbitrato

Tutte le controversie possono essere demandate alla cognizione arbitrale (nuovo art. 806, 1° comma c.p.c.) , ad esclusione:

delle controversie per le quali la legge vieti espressamente l'arbitrabilità (es.: opere publiche).

delle controversie che abbiano per oggetto diritti indisponibili.La materia contrattuale è considerata integralmente disponibile alle parti,

anche qualora si controverta sulla nullità del contratto, da qualsiasi causa dipenda, ivi compresa l’illiceità dell’oggetto o della causa.

Anche se la lite verte su materie indisponibili, la competenza degli arbitri sussistequalora si tratta di pretese di natura contrattuale, come ad es. quando si verta in tema di

inadempimento di un contratto di franchising per mancato pagamento di una royalty derivante dalla nullità di un contratto per violazione della normativa antitrust, o della

violazione di un accordo sulla ripartizione delle quote di mercato.

Da notare che l'art. 134 C.P.I. prevede che gli arbitrati in materia di proprietà industriale sono regolati dalle norme in tema di arbitrato societario (con conseguente potere cautelare degli

arbitri: v. infra).

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5. L'arbitrato

La clausola compromissoria può inoltre avere ad oggetto anche controversie relative arapporti non contrattuali determinati (nuovo art. 808-bis c.p.c.).

Sono quindi arbitrabili anche illeciti aquiliani connessi ad un determinato contratto (ad es: esistenza del contratto – responsabilità per trattative precontrattuali – danno all’immagine derivante dall’inadempimento di un licenziatario – danni derivanti da contratto di trasporto - atti di

concorrenza sleale in un contratto di fornitura di merce).

In caso di dubbio circa l'oggetto della clausola compromissoria, la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto cui la clausola si riferisce (nuovo art. 808-quater

c.p.c.). Se dunque le parti intendono circoscrivere le controversie da arbitrare, devono farlo espressamente, limitandone l’applicazione solo ad alcuni aspetti della

materia (es. “controversie relative la risoluzione del contratto”), oppure escludendo particolari procedimenti (es.: “Sono di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria le controversie

relative al pagamento del compenso, anche mediante procedimento monitorio”).

In ogni caso, gli arbitri possono decidere incidentalmente (senza autorità di giudicato) qualsiasi questione pregiudiziale, anche su materia non compromettibile (art. 819 c.p.c.).

Non è quindi più possibile rallentare il giudizio arbitrale, sollevando una causa pregiudiziale e rimettendola al giudice ordinario.

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5. L'arbitrato

Il procedimento arbitrale prende avvio con la notifica della c.d. domanda di arbitrato, atto con il quale una parte, in ragione dell’esistenza di una convenzione arbitrale, dichiara

la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede alla nomina degli arbitri.

La domanda di arbitrato deve contenere la formulazione della pretesa, cioè la specificazione analitica del petitum e della causa petendi. Questi ultimi nella prassi sono

formulati come quesiti, cioè interrogativi specifici rivolti agli arbitri, sui quali essi dovranno decidere.

Le parti possono comunque precisare o modificare di quanto richiesto nel corso del giudizio, o anche proporre domande nuove, sempre che l'altra parte sia posta in

condizione di contraddire. Qualora una parte introduca una domanda estranea all'oggetto della convenzione arbitrale, l'altra parte deve eccepire l’incompetenza degli arbitri ai sensi

dell’art. 817 c.p.c. nel corso del procedimento arbitrale, non potendo, in mancanza, il relativo vizio essere dedotto per la prima volta in sede di impugnazione del lodo.

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5. L'arbitrato

Possono essere nominati più arbitri, purché di numero dispari. In caso di mancata nomina (entro 20 gg. dalla notifica dell'atto di nomina dell'altra parte) o in caso di indicazione in

numero pari, provvede il presidente del Tribunale (art. 809 c.p.c.).

Gli arbitri non rivestono la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio. Ciò rafforza il carattere di riservatezza dell'arbitrato.

Salva diversa disposizione di legge (v. arbitrato societario), gli arbitri non possono concedere provvedimenti cautelari (art. 818 c.p.c.).

Le parti dovranno pertanto, anche in pendenza di arbitrato (rituale o irrituale) rivolgersi al giudice che sarebbe competente a conoscere del merito (art. 669-quinquies c.p.c.).In caso di arbitrato irrituale, sembra tuttavia possibile solo la tutela cautelare di tipo anticipatorio, che non esige necessariamente l’instaurazione della causa di merito

(provvedimenti di urgenza ex art. 700 c.p.c.)

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5. L'arbitrato

Un arbitro può essere ricusato nei casi in cui, per motivi di carattere deontologico, non dovrebbe accettare l’incarico per mancanza di terzietà, ovvero (art. 815 c.p.c.):

se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti; se è amministratore della società o ha interesse nella causa;

se egli o il coniuge è parente fino al IV grado o è convivente di una delle parti o dei suoi legali o difensori;

se egli o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, un suo rappresentante legale o suoi difensori;

se è legato ad una delle parti, ha legami di carattere societario o legato da rapporto di lavoro subordinato o da rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da

altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza; se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della

vicenda o abbia deposto come testimone.

Nella prassi (sopratutto negli arbitrati amministrati), gli arbitri sottoscrivono una dichiarazione di indipendenza, indicando ogni relazione con le parti ed i loro difensori rilevante in relazione alla loro imparzialità e indipendenza. Spetta poi alle parti, preso atto dei rapporti dichiarati,

valutare se possano costituire o meno motivo di ricusazione.

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5. L'arbitrato

In caso di instaurazione di un giudizio avanti l’autorità giudiziaria in presenza di una clausola compromissoria, il convenuto ha l’onere di eccepire l’incompetenza del giudice per effetto

della clausola compromissoria nella comparsa di costituzione, a pena di decadenza: la mancata proposizione tempestiva dell’eccezione esclude la competenza arbitrale, seppur

limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio (art. 819-ter c.p.c.).

La pendenza del giudizio ordinario non impedisce comunque alla parte di adire gli arbitri sulla medesima questione: non vige quindi più il

principio della prevenzione, in forza del quale in caso di parallela pendenzadel giudizio arbitrale e di quello ordinario sulla medesima questione,

aveva prevalenza quello anteriormente instaurato.La parte che intende far valere la clausola compromissoria può, ora, promuovere il giudizio arbitrale, pur in pendenza di quello ordinario, in attesa della pronuncia sulla competenza. Si

tratta tuttavia di una soluzione teorica, dati i costi relativi all’instaurazione contemporanea dei due giudizi.

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5. L'arbitrato

La riforma ha introdotto una disciplina dell’arbitrato con pluralità di parti (art. 816-quater c.p.c.), che prevede soluzioni graduate al fine di evitare, fatta salva l’ipotesi di default di

tutte le alternative, la improcedibilità dell’arbitrato.

Si immagini un contratto stipulato da cinque persone e contenente una clausola arbitrale: nel caso in cui sorgesse una controversia tra una parte contro gli altri quattro e la clausola

arbitrale disponesse che ognuna delle parti nomini un arbitro, si avranno cinque arbitri. Nella sostanza tuttavia il collegio arbitrale sarà composto da cinque arbitri di cui quattro

sostanzialmente nominati da un solo centro di interessi.

La norma prevede che l'arbitrato possa essere unico se la convenzione arbitrale devolve a un terzo la nomina degli arbitri, se questi sono stati nominati con l’accordo di tutte le parti oppure, dopo che la prima parte ha nominato l’arbitro o gli arbitri, le altre parti nominano

d'accordo un ugual numero di arbitri o ne affidano a un terzo la nomina. Altrimenti l'arbitrato si scinde in diversi procedimenti.

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5. L'arbitrato

Le parti hanno la facoltà di stabilire nella convenzione arbitrale le norme del procedimento che devono essere osservate dagli arbitri nel corso del giudizio arbitrale e la lingua

dell'arbitrato. In mancanza, spetta agli arbitri dettare le regole del loro procedimento, nel modo che ritengono più opportuno (art. 816-bis c.p.c.).

Vale comunque sia per le parti che per gli arbitri il limite del rispetto del principio del contraddittorio. Gli arbitri devono quindi assegnare alle parti termini per presentare

documenti e memorie e per esporre le loro repliche. La violazione del principio del contraddittorio provoca la nullità del lodo (art. 829 c.p.c.).

Gli arbitri non hanno l’ampiezza di potere istruttorio proprio del giudice ordinario; in special modo mancano i poteri coercitivi (ad es., il potere di imporre la comparizione dei

testimoni e di sanzionare il teste che ignora la richiesta).Per effetto della riforma del 2006 sono tuttavia aumentati i poteri degli arbitri

nell’istruzione probatoria (art. 816-ter c.p.c.), attraverso una forma di collaborazione tra arbitri e giudice ordinario. Gli arbitri possono infatti chiedere al Tribunale di ordinare la comparizione del testimone che rifiuti di comparire (con possibile lesione del principio di

riservatezza) e possono chiedere alla P.A. informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa che è necessario acquisire al giudizio.

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5. L'arbitrato

Le parti possono, nella loro autonomia fissare un termine per la pronuncia del lodo.In mancanza tale termine è di 240 gg. dall'accettazione della nomina

(rispetto ai 180 gg. originari).

Tale termine può essere prorogato, oltre che su assenso delle parti, di 180 gg. non solo in caso di necessità di assumere mezzi di prova ma anche in caso di

CTU, di pronuncia di lodo non definitivo o parziale, di modifica del collegio o di sostituzione dell’arbitro unico (art. 820 c.p.c.).

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5. L'arbitrato

Gli arbitri decidono secondo le norme di diritto, se le parti non abbiano disposto che essi pronuncino secondo equità (art. 822 c.p.c.).

L'equità è un concetto non ben definito. Non significa che gli arbitri decidono cercando la giustizia del caso concreto secondo criteri non giuridici, bensì che cercano e applicano i valori oggettivi formatisi nel contesto sociale. In pratica, tali valori sono quasi sempre

tradotti in norme di diritto positivo, per cui è difficile immaginare un lodo di equità difforme da un lodo secondo diritto. Infatti, non è impugnabile il lodo deciso dagli arbitri di equità secondo diritto, qualora gli arbtri ritengano (anche implicitamente) che diritto ed equità

coincidano.

Prima della riforma del 2006, il lodo reso secondo equità non era impugnabile per inosservanza delle regole di diritto; attualmente invece il regime di impugnazione è identico

(art. 829 c.p.c.: vedi infra). In ogni caso, l’arbitrato di equità consente agli arbitri di essere svincolati dal l'osservanza

delle norme di diritto e rende maggiormente difficile l’impugnativa per contraddittorietà della motivazione.

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5. L'arbitrato

Il lodo dalla data della sua ultima sottoscrizione ha gli stessi effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria (nuovo art. 824-bis c.p.c.).

Dunque il lodo (non impugnato) incide sui rapporti giuridici, e fa stato, non solo tra leparti ma anche tra i loro eredi o aventi causa o i terzi titolari di diritti dipendenti,

come la sentenza (art. 2909 c.c.).

Per acquisire anche efficacia di titolo esecutivo (per ottenere l’esecuzioneforzata dell’eventuale condanna o la trascrizione nei registri immobiliari), il lodo deve

ottenere il c.d.exequatur, cioè deve essere omologato con decreto del Tribunale (art. 825 c.p.c.).

Quindi un lodo che pronunci su rapporti immobiliari sarà opponibile a terzi solo se, avendo ottenuto l'exequatur, sia stato trascritto, mentre un lodo che pronunci su

rapporti mobiliari produce effetto e fa stato rispetto ai terzi anche senza l'exequatur.

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5. L'arbitrato

Il lodo può essere impugnato per nullità, entro 90 gg. dalla notifica del lodo o un anno dall'ultima sottoscrizione del lodo, nei seguenti casi (art. 829 c.p.c.):

1) invalidità della convenzione arbitrale;2) regolare costituzione del tribunale arbitrale;

3) incapacità dell'arbitro;4) lodo pronunciato fuori dai limiti della convenzione d'arbitrato;

5) vizi formali del lodo;6) lodo emesso dopo la scadenza del termine;

7) inosservanza delle forme prescritte dalla parti sotto pena di nullità;8) lodo contrario ad altro lodo o sentenza definitivi;

9) inosservanza del principio del contraddittorio;10) omessa pronuncia nel merito;

11) contraddittorietà del lodo;12) mancata pronuncia su domande o eccezioni.

ll lodo impugnato può essere sospeso dalla Corte, qualora sussistano gravi motivi.

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5. L'arbitrato

La facoltà di impugnativa è stata limitata dalla riforma del 2006, in quanto: a) la parte che ha dato causa a un motivo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha

eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può impugnare il lodo; b) l’impugnazione per violazione delle regole di diritto è ammessa soltanto se

espressamente disposta dalle parti o dalla legge. Dunque se le parti hanno previsto la decisione secondo diritto, senza tuttavia prevedere l’impugnabilità del lodo, eventuali errori commessi dagli arbitri nell’applicare o interpretare le norme di legge

non potranno essere denunciati all’autorità giudiziaria.

Qualora la Corte d'appello accolga l'impugnativa del lodo (art. 830 c.p.c.):a) dichiara la nullità del lodo;

b) decide nel merito la controversia solo se le parti non hanno stabilito diversamente nella convenzione di arbitrato e solo se il lodo è annullato per alcuni motivi di cui all'art. 829, 1° comma (nn. 5, 6, 7, 8, 9, 11 e 12) nonché per errori di diritto. In tal caso, la Corte decide del merito con cognizione piena (prescindendo dai

motivi di impugnazione e dal lodo arbitrale).Altrimenti, la Corte non decide nel merito e occorre riproporre la domanda agli arbitri.

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Sommario

1. Crisi della giustizia e ADR2. La transazione3. La conciliazione4. La conciliazione societaria5. L'arbitrato6. L'arbitrato societario7. Alcuni casi concreti8. Riflessioni conclusive

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6. L'arbitrato societario

La riforma del diritto societario (artt. 34-36 D.lgs. n. 5/2003) ha dettato norme speciali in materia di arbitrato societario, fortemente innovative, allo scopo di

favorire lo sviluppo dell'istituto in tale settore. Tali norme si applicano alle sole clausole compromissorie statutarie (non in caso di compromesso o clausole non statutarie, come ad

es. quelle inserite in un patto parasociale) e a tutte le società commerciali, purché non facciano ricorso al mercato di capitale di rischio.

Sono compromettibili in arbitri tutte le controversie relative a diritti disponibili tra soci o tra soci e società e, se lo statuto lo prevede espressamente, anche le controversie

promosse da o contro amministratori, liquidatori e sindaci.Sono espressamente ricomprese le questioni di validità di deliberazioni assembleari

(sempre su materie disponibili) ma in tal caso gli arbitri devono decidere secondo diritto e il lodo è sempre impugnabile sul merito.

Resta quindi confermata la compromettibilità delle sole controversie su diritti disponibili, che riguardano interessi individuali dei soci (es.: controversie sulla liquidazione della quota

sociale, recesso, conferimenti, esclusione del socio) e non di quelle che riguardano interessi della società o interessi collettivi dei soci e dei terzi (es.: delibera di approvazione dello statuto, di

approvazione del bilancio, di aumento o riduzione del capitale, di scioglimento)

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6. L'arbitrato societario

Per l’introduzione o la soppressione della clausola è necessario un elevato quorum, la maggioranza dei 2/3 del capitale sociale ed è riconosciuto, ad assenti e dissenzienti, il

diritto di recesso (art. 34, 6° co., D.lgs. n. 5/2004).

La clausola compromisoria deve prevedere, a pena di nullità, la nomina di tutti gli arbitri da parte di un soggetto estraneo alla società

(art. 34, 2º co. ,D.lgs. n. 5/2004).

L’attribuzione del potere di nomina degli arbitri a soggetto estraneo alla società, risponde a due esigenze: rafforzare l’indipendenza e l’imparzialità dell’arbitro, eliminando la possibilità che tale ruolo sia svolto da soggetti interni alla società stessa (il collegio

sindacale, gli amministratori, i probiviri) ed evitare i problemi dell’arbitrato multiparte che, tipicamente, ha luogo in materia societaria.

Tale disciplina si spiega in quanto la clausola arbitrale è vincolante per la società e per tutti i soci (inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia) e ad essi è

opponibile il lodo arbitrale (pur essendo terzi). Inoltre, la clausola arbitrale può avere ad oggetto controversie promosse da amministratori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in

tal caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è per costoro vincolante (art. 36 co.3-4, D.lgs. n. 5/2004).

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6. L'arbitrato societario

In assenza di una disposizione transitoria, quid iuris per le clausole statutarie arbitrali tradizionali, che non prevedono la nomina degli arbitri da parte di un soggetto terzo (bensì

ad es. che ciascuna parte nomina il proprio arbitro e che le due parti o i due coarbitri, d’accordo, nominano il terzo), e che non siano state modificate?

Giurisprudenza e dottrina prevalenti sostengono che tali clausole siano nulle, con conseguente necessità di soci ed organi della società a rivolgersi all’autorità

giudiziaria ordinaria. Altro orientamento ne ritiene invece la validità, ritenendo che sopravviva, accanto al nuovo arbitrato societario, il modello tradizionale

di diritto comune (c.d. doppio binario). Un terzo orientamento ritiene infine che la clausola sia nulla ma solo quanto al sistema di

nomina, rimanendo in vita la scelta dell’arbitrato come modalità di risoluzione della lite (con conseguente nomina degli arbitri effettuata dal presidente del tribunale, ex art. 809 c.p.c.).

Si è dunque ceata una situazione di incertezza, con il rischio o di vedere duplicati i tempi di giustizia o di vedersi negare giustizia, qualora siano decorsi i termini di decadenza

(ad es. per l'impugnazione di una delibera assembleare).

Il problema non si pone qualora la clausola statutaria tradizionale prevedal'arbitrato amminstrato, in quanto in tal caso gli arbitri saranno nominati in conformità

al regolamento dell'ente (che è soggetto esterno).

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6. L'arbitrato societario

Devono essere depositate presso il registro delle imprese le domande di arbitrato proposte dalla società o contro di essa (dunque, con esclusione delle domande di

arbitrato tra due soci e, in generale, di tutte quelle che non vedono la società come parte del procedimento). Devono inoltre essere depositati presso il registro, a cura degli amministratori, i dispositivi dell’ordinanza di sospensione della delibera assembleare e del lodo che decide sull’impugnazione della stessa. Ciò allo scopo di assicurare la pubblicità nei confronti degli altri soci e dei terzi, anche in vista della

possibilità del loro intervento.

I poteri degli arbitri sono stati fortemente accresciuti. Gli arbitri hanno il potere di disporre la sospensione dell’efficacia della delibera, con ordinanza non

reclamabile.E' quindi esclusa la competenza sulla sospensiva dell’autorità giudiziaria ordinaria

nel processo arbitrale, anche irrituale (sempre che si verta in materia di diritti disponibili, e si sia già formato il collegio arbitrale). L'ordinanza dell'arbitro non è

comunque coercibile.

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Sommario

1. Crisi della giustizia e ADR2. La transazione3. La conciliazione4. La conciliazione societaria5. L'arbitrato6. L'arbitrato societario7. Alcuni casi concreti8. Riflessioni conclusive

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7. Alcuni casi concreti

CASO 1. Conciliazione

Alfa S.r.l., con sede a Milano, nello svolgimento della propria attività di tour operator, stipula con l'imprenditore Tizio, un ristoratore bolognese, un contratto di

somministrazione di un pasto caldo per il giorno 15 febbraio 2004, presso il ristorante di proprietà di Tizio, per 80 turisti giapponesi, impegnati in un giro turistico. Viene

concordato un prezzo unitario di E. 20, pari a un totale di E. 1.600.

Tizio, al fine di assicurare un servizio ottimale visti gli spazi amplissimi del proprio locale, decide di riservare quest'ultimo interamente alla comitiva giapponese,

dichiarando il ristorante chiuso per tutti gli altri clienti.

Il 15 febbraio alle 13.00 Tizio riceve una telefonata da un dipendente di Alfa, il quale lo avvisa che la comitiva giapponese salterà la tappa bolognese del tour, dato il ritardo

precedentemente accumulato e la necessità di anticipare la partenza dall'aeroporto milanese di Malpensa, in modo da evitare lo sciopero di piloti e assistenti di volo,

improvvisamente proclamato.

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7. Alcuni casi concreti

Tizio pretende ugualmente il pagamento della somma concordata, aumentata di E. 800 a titolo di risarcimento del danno derivante dalla chiusura del ristorante all'altra

clientela. Il dipendente di Alfa, pur dicendosi rammaricato dell'inconveniente, rigetta le richieste di Tizio, adducendo l'assoluta imprevedibilità sia del ritardo che dello

sciopero.

Dopo aver inutilmente riproposto le proprie richieste ad Alfa a mezzo di lettera raccomandata a/r, Tizio decide di rivolgersi il 21 febbraio 2004 al Servizio di

conciliazione presso la CCIAA di Bologna.

Il responsabile del Servizio informa per iscritto Alfa della istanza di conciliazione presentata da Tizio e successivamente contatta telefonicamente il legale

rappresentante di Alfa. Ottenutone il consenso alla procedura conciliativa, fissa l'incontro di conciliazione per il 4 giugno 2004.

La Commissione conciliativa per le controversie tra imprese, su proposta del responsabile del Servizio e in considerazione della natura della lite, nomina in data 8

maggio 2004 l'avv. Caio quale conciliatore.

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7. Alcuni casi concreti

All'incontro di conciliazione, Caio invita dapprima le parti ad esporre le rispettive posizioni e richieste. Tizio conferma la sua richiesta di risarcimento danni, chiarendo

come la somma aggiuntiva di E. 800 sia stata calcolata ipotizzando 40 coperti “sostitutivi”, che laddove il preavviso fosse stato tempestivo si sarebbero potuti

realizzare riaprendo per tempo il locale all'altra clientela. Il legale rappresentante di Alfa ribadisce che non intende pagare alcunché per un servizio che non è stato effettivamente prestato, pur riconoscendo che per questo Tizio non ha alcuna

responsabilità.

Il conciliatore fa uscire il rappresentante di Alfa e tiene una sessione riservata con Tizio, durante la quale il ristoratore espone il proprio rammarico per la possibilità, a

seguito di questa controversia, di compromettere i rapporti d'affari con Alfa. Egli confida a Caio che riesce a tenere aperto il ristorante unicamente integrando i ricavi

dell'attività ordinaria con la fornitura di pasti ai turisti, in base a contratti con tour operators, prima tra tutti proprio Alfa. Si dice pertanto disposto a rinunciare alla

somma aggiuntiva di E. 800, pur di poter continuare ad intrattenere rapporti commerciali con Alfa.

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7. Alcuni casi concreti

Caio tiene successivamente una sessione riservata con il rappresentante di Alfa, il quale ammette che la società era al corrente dello sciopero già dal giorno 14 febbraio e che

frequentemente si rende necessario saltare qualche tappa “minore” di un tour, per tentare di recuperare il ritardo sul programma giornaliero. Ritiene che la qualità dei pasti

forniti solitamente da Tizio sia eccellente – anche in riferimento al rapporto qualità/prezzo – e si dice perciò disposto a pagare metà della somma richiesta, cioè E.

1.800, manifestando al contempo l'intenzione di rivolgersi a Tizio per altre iniziative turistiche nella zona bolognese.

Dopo aver riunito nuovamente le parti, il conciliatore, dietro specifica autorizzazione delle stesse, riferisce i termini delle rispettive nuove proposte. Al termine di un

approfondito scambio di vedute, le parti raggiungono il seguente accordo conciliativo:a) Alfa pagherà entro l'8 giugno 2004 a Tizio la somma (inizialmente dovuta) di E.

1.600, quale compenso per il servizio di ristorazione poi non concretamente tenutosi per cause assolutamente indipendenti ed estranee ala volontà di Tizio;

b) Tizio rinuncia a qualsiasi altra pretesa risarcitoria nei confronti di Alfa;c) Alfa si impegna inoltre ad assicurare a Tizio per la restante parte del 2004 la fornitura di pasti alle proprie numerose comitive turistiche di passaggio nella zona bolognese, alle

condizioni già concordate.

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7. Alcuni casi concreti

CASO 2. Arbitrato e impugnazione del lodo

Nel maggio 2005, la società olandese Alpha BV stipulava con la società italiana Beta S.p.A. una Letter of intent (LOI) avente ad oggetto la vendita da parte di Beta ad Alpha della totalità delle azioni della società italiana Gamma S.p.A. La LOI, redatta in lingua

inglese e sottoscritta in Italia, pur lasciando a successiva negoziazione svariati elementi dell’operazione, stabiliva che il perfezionamento dell’affare darebbe avvenuto in tre fasi

successive, per un prezzo complessivo di € 10.500.000. La LOI conteneva una clausola compromissoria del seguente tenore: “Qualsiasi controversia dovesse insorgere dalla presente lettera d'intenti sarà deferita alla

decisione di un Arbitro Unico, amichevole compositore, in conformità al Regolamento Arbitrale della Camera di Commercio di Milano, al quale le parti fanno riferimento per lo svolgimento di tutto il procedimento arbitrale. L’Arbitro Unico giudicherà senza formalità

di procedura, con un lodo arbitrale, da pronunciarsi entro 120 giorni lavorativi dall'accettazione dell' arbitro. L’Arbitro Unico, in ogni caso (deciderà) circa l’ammontare

delle spese e degli onorari a lui dovuti in conformità alle tariffe professionali forensi, nonché delle spese e degli onorari di assistenza legale delle parti; stabilirà anche su

quale parte o su quali parti debbano ricadere se in tutto o in parte”.

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7. Alcuni casi concreti

Dopo la sottoscrizione della LOI, Alpha attuava una serie di investimenti prodromici all’acquisizione, pari a € 3.000.000 che, per una serie di complicanze, lasciavano la

medesima Alpha in una condizione di sofferenza economica tale da far temere a Beta il buon esito dell’intera operazione.

Tali preoccupazioni venivano a più riprese esplicitate da Beta ad Alpha in una serie di lettere con le quali Beta lamentava l’insorgere di ingenti danni derivanti dal ritardo che

l’operazione stava subendo; ciò in quanto Beta, avendo dato ad Alpha la propria disponibilità ad alienare l'intero pacchetto azionario di Gamma, aveva intrapreso studi e

valutazioni per il reimpiego del ricavato dalla vendita; quantificati in € 1.500.000.Beta aveva inoltre ottenuto un diritto di opzione per l'acquisto di un'area edificabile,

corrispondendo la somma di € 1.350.000. La situazione di incertezza che si era venuta a creare circa l'impossibilità per Alpha di dar corso all'acquisto delle azioni di Gamma

costringeva Beta a non avvalersi del diritto di opzione, con perdita della citata somma.

Alpha veniva quindi a conoscenza del fatto che Beta aveva intrapreso nuove trattative con la società francese Delta s.a., finalizzate, a loro volta, alla conclusione di un contratto per la cessione della totalità del capitale sociale di Gamma. Alpha veniva, inoltre, a sapere che

l’operazione avrebbe avuto un valore economico complessivo di € 8.000.000.

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7. Alcuni casi concreti

Nel marzo 2006 Alpha depositava domanda di arbitrato presso la Camera Arbitrale di Milano nei confronti di Beta, chiedendo che l’Arbitro Unico, previa declaratoria: a) della natura rituale dell’arbitrato; b) della applicazione in via principale delle norme di diritto sostanziale previste dalla legge italiana ed, in subordine, delle norme d’equità per la

sola determinazione del quantum; c) dell’uso della lingua italiana: 1) dichiarasse che Beta era ingiustificatamente receduta dalle trattative consacrate

nella LOI senza preavvertire Alpha ed in violazione del principio di buona fede stabilito dagli artt. 1337 e 1175 c.c., incorrendo conseguentemente nella responsabilità

precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c.; 2) di conseguenza, condannasse Beta a risarcire i danni, consistenti nei costi sostenuti

a seguito dell’investimento di € 3.000.000 effettuato in vista dell’acquisizione della partecipazione azionaria nonché di tutti gli altri costi sostenuti per assistenza legale,

fiscale e commerciale, viaggi, etc. fino alla data in cui Alpha era venuta a conoscenza della instaurazione di trattative parallele di Beta con Delta, pari a € 250.000.

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7. Alcuni casi concreti

Beta si costituiva nel procedimento arbitrale chiedendo che l’Arbitro Unico, previa declaratoria: a) della natura irrituale e di equità dell’arbitrato; b) della applicazione in via principale delle

norme di diritto sostanziale previste dalla legge inglese; c) dell’uso della lingua italiana, rigettasse la domanda di Alpha, in quanto:

a) Beta non era incorsa in alcuna violazione del principio di buona fede nella fase precontrattuale, dato che, tra l'altro, la LOI non vietava ipotetiche trattative con terzi, e d'altra parte nel commercio internazionale l’obbligo di agire con correttezza non comporta di per sé il

divieto di condurre trattative in parallelo; b) Beta non aveva venduto le azioni di Gamma, che deteneva ancora interamente;

c) viceversa era stato proprio il comportamento di Alpha a determinare la rottura delle trattative, in quanto Alpha non aveva comunicato a Beta una circostanza assolutamente

rilevante dell’affare, quale il mutamento delle proprie condizioni economiche, in violazione del principio di buona fede derivante dalla sottoscrizione della LOI;

Beta chiedeva quindi la condanna in via riconvenzionale di Alpha al risarcimento dei danni, pari a € 100.000, per spese inutilmente sostenute in vista dell’affare con Alpha, € 150.000 per spese inutilmente sostenute in vista dell’operazione immobiliare ed € 1.350.000 per un diritto

di opzione che non ha potuto esercitare, il tutto per complessivi € 1.600.000.

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7. Alcuni casi concreti

Veniva nominato, in conformità del Regolamento della Camera Arbitrale di Milano, l'Arbitro Unico, il quale, espletato inutilmente il tentativo di conciliazione e concessi alle parti termini per il deposito di memorie, nel settembre 2006 emetteva il lodo arbitrale, nel quale riteneva che:

1) l'arbitrato doveva intendersi irrituale, pur in assenza di inequivoca qualifica in tal senso nella convenzione arbitrale, in quanto: a) in tal senso deponevano alcuni termini contenuti nella

convenzione arbitrale, quali “amichevole compositore” e “giudicherà senza formalità di procedura”; b) secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, in caso di dubbio circa la

natura dell'arbitrato questo doveva considerarsi irrituale; c) alla clausola compromissoria non poteva applicarsi il nuovo art. 808-ter c.p.c., in quanto precedente al D.lgs. n. 40/2006.

2) Il diritto applicabile al merito della controversia era il diritto italiano, visto che la controversia presentava la più stretta connessione con il territorio italiano.

3) Entrambe le domande di Alpha e Beta dovevano essere respinte, in quanto: a) Beta non aveva violato l'obbligo di condurre le trattative negoziali secondo buona fede, anche perché la LOI non

prevedeva l’obbligo di negoziare in via esclusiva con Alfa e quindi a Beta non era precluso di contattare soggetti terzi quali Delta. c) Alfa non aveva violato il proprio obbligo di buona fede, non avendo interrotto le trattative, collocandosi gli investimenti da questa eseguiti in una sfera

unicamente rientrante nella discrezionalità del relativo organo amministrativo e non essendo certo preordinati ad impedire la positiva conclusione delle trattative in esecuzione della LOI.

In virtù della soccombenza reciproca, l’Arbitro Unico dichiarava quindi compensati fra le parti gli onorari spettanti ai rispettivi difensori e le spese della procedura arbitrale.

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7. Alcuni casi concreti

Alpha impugnava il lodo arbitrale davanti alla Corte d'Appello di Milano, sostenendo che l'arbitrato dovesse qualificarsi come rituale e che l'Arbitro avesse nella fattispecie male

applicato gli artt. 1337 e 1175 c.c. Beta chiedeva il rigetto della domanda.

Con sentenza dell'ottobre 2008, la Corte d'Appello accoglieva la domanda di Alpha nella parte relativa alla qualifica dell'arbitrato, ritenendo di qualificarlo come rituale. La Corte riteneva infatti di applicare il nuovo art. 808-ter c.p.c., in quanto la domanda di arbitrato era stata proposta successivamente al 2.3.2006, con conseguente applicazione del D.lgs. n. 40/2006; pertanto, in assenza di espressa indicazione delle parti circa la natura irrituale

dell'arbitrato, doveva ritenersene la natura rituale.

Per lo stesso motivo, tuttavia, respingeva la domanda di Alpha nel merito, non essendo ammissibile l'impugnazione del lodo arbitrale per violazione delle regole di diritto, data la

mancanza nella clausola arbitrale di una espressa previsione in tal senso, ai sensi del nuovo art. 829 3° comma c.p.c.

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Sommario

1. Crisi della giustizia e ADR2. La transazione3. La conciliazione4. La conciliazione societaria5. L'arbitrato6. L'arbitrato societario7. Alcuni casi concreti8. Riflessioni conclusive

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8. Riflessioni conclusive

Il contenzioso, in particolare nei rapporti tra imprese, costituisce una situazione non patologica, bensì fisiologica, e in quanto tale necessita di accurata gestione

e pianificazione, già in sede di redazione del contratto.

E' quindi indispensabile che si crei nell’impresa (e nei suoi consulenti) la consapevolezza della esigenza di considerare la gestione dei conflitti come

uno strumento di riduzione dei rischi d'impresa.

Il modo con cui un’impresa riesce a prevenire o, in caso negativo almeno a risolvere, le proprie controversie, giova grandemente al suo “appeal” sul

mercato di riferimento, sui potenziali clienti, sugli investitori, sul suo globale modo di porsi nella realtà in cui vuole fare e mantenere il proprio business.

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8. Riflessioni conclusive

La performance globale di un'impresa si misura anche mediante l’utilizzo da parte di

quest’ultima di strumenti efficaci di risoluzione delle controversie, che non necessariamente consistono nel ricorso alla giustizia ordinaria.

Sempre più un’impresa necessita di strumenti snelli, veloci, economici, riservati, con cui risolvere problematiche insorte tra partners, clienti o fornitori. Il ricorso alla giustizia ordinaria sempre meno consente il raggiungimento di tale obiettivo, soprattutto quando i legami tra imprese sono “transnazionali”, riguardando

ordinamenti differenti la cui individuazione, in caso di disputa, non è sempre facile, visti tutti i problemi che possono insorgere di ricerca della lex fori di competenza.

L'esigenza di preservare la competitività dell'impresa impone quindi semprepià il ricorso a sistemi di ADR, che consentono di assecondare le esigenze della

moderna impresa.

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8. Riflessioni conclusive

Tra i metodi di ADR, la conciliazione consente di risolvere la controversia occorsa in maniera pacifica e negoziata, in termini di completa soddisfazione di interessi e

bisogni; ciò permette di mantenere relazioni commerciali solide e proficue.

I principali vantaggi della conciliazione sono costituiti da:

Controllo diretto sulla controversia Contenimento dei costi(v. tabella slide seguente)

Controllo e contenimento dei tempi (durata media del procedimento: 35 gg. - dati CCIAA Milano)

Mantenimento delle relazioni commerciali Alte percentuali di successo

(il procedimento di conciliazione termina con il raggiungimento di un accordo nel 95% dei casi - dati CCIAA Milano)

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8. Riflessioni conclusive

Tabella spese di conciliazione CCIAA Milano – 2009 (comprensive di IVA)Valore della lite (indicato nella domanda di conciliazione) Spesa per ciascuna parte

  Fino a € 1.000 € 40

 Da € 1.001 a € 5.000   € 100

 Da € 5.001 a € 10.000   € 200

 Da € 10.001 a € 25.000   € 300

 Da € 25.001 a € 50.000 € 500

 Da € 50.001 a € 250.000   € 1.000

 Da € 250.001 a € 500.000   € 2.000

 Da € 500.001 a € 2.500.000   € 4.000

 Da € 2.500.001 a € 5.000.000  € 6.000

 Oltre € 5.000.000   € 10.000

In caso di particolare complessità della controversia, le spese possono essere aumentate fino al 5%.

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8. Riflessioni conclusive

Nonostante gli indubbi vantaggi della conciliazione, le novità legislative in materia e l'attività posta in essere dalle CCIAA, la conciliazione rimane ancora un fenomeno

marginale nella prassi della risoluzione delle controversie, soprattutto tra le imprese.

In Italia operano 160 centri di conciliazione, di cui 104 presso le CCIAA. Il numero di conciliazioni è passato da circa 15.000 nel 2005 a circa 50.000 nel 2007, di cui oltre 33.000

presso i Corecom e 14.000 presso le CCIAA. Il valore medio delle liti conciliate è di circa 17.000 €. La durata media del procedimento conciliativo è di 70 gg. Il valore medio delle liti

conciliate che coinvolgono le imprese è di circa 365.000 € (fonte: Secondo rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia)

Il valore delle controversie che vengono conciliate è quindi piuttosto ridotto, e nella maggior parte dei casi la controversia che viene sottoposta al tentativo di conciliazione

vede come attore un consumatore.

La conciliazione è ancora scarsamente utilizzata dalle imprese.

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8. Riflessioni conclusive

Cause della mancata diffusione della conciliazione:

eterogeneità del quadro normativo disinformazione

mancanza di cultura “conciliativa” mancanza di adeguati incentivi (in particolare fiscali)

mancanza di necessaria professionalità del conciliatore mancanza di efficacia esecutiva immediata dell'accordo conciliativo.

Fattori decisivi per il successo della conciliazione come sistema di risoluzione delle controversie, anche tra imprese, sono:

la professionalità del conciliatore; il successo di un tentativo di conciliazione risiedeessenzialmente nella capacità del conciliatore di intravedere e favorire un nuovo assetto di

interessi soddisfacente per entrambe le parti il ruolo del consulente legale nel far comprendere alla parte l'utilità e i vantaggi della conciliazione e nel suggerire (al cliente e al conciliatore) la soluzione migliore per la

definizione della controversia.

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8. Riflessioni conclusive

Principali vantaggi dell'arbitrato:

la rapidità (tale aspetto non è sempre presente: v. l'aumento del termine per il deposito del lodo a 240 gg., e le possibili ulteriori slittamenti)

la riservatezza (soprattutto in caso di arbitrato ad hoc, sempre che il lodo non venga impugnato davanti all'A.G.)

la competenza tecnica degli arbitri (possibilità di collegi misti) La flessibilità (le parti hanno la possibilità di scegliere le regole procedurali)

La neutralità (soprattutto in caso di arbitrati internazionali) La sostanziale equivalenza del lodo arbitrale rispetto alla sentenza del giudice

ordinario, sotto il profilo dell'efficacia.

Gli svantaggi dell'arbitrato, che costituiscono anche le cause della relativa scarsa diffusione dell'istituto in Italia, sono costituiti da:

mancanza di informazione e resistenze culturali maggiori costi rispetto ad una causa ordinaria

impossibilità per gli arbitri di emettere misure cautelari

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8. Riflessioni conclusive

Un notevole risparmio di costi e tempi è possibile ricorrendo: • all'arbitro unico anziché al collegio arbitrale. Tale soluzione è tuttavia seguita poco

frequentemente (fa eccezione la CCIAA di Milano, con il 50% circa di procedure con arbitro unico).• ad un collegio misto, con la presenza di arbitri tecnici, che permette di ridurre le spese e i

tempi di consulenze tecniche (ad es., collegi composti da un presidente avvocato e co-arbitri ingegneri in caso di controversie per appalti, oppure di co-arbitri commercialisti in casi di

cessione di rami d’azienda).

L'arbitrato amministrato presenta il vantaggio di consentire una concentrazione delle udienze, che comporta una contrazione dei tempi per il deposito del lodo. La durata media degli arbitrati

amministrati in Italia è di 138 gg., e il valore medio delle controversie è di circa 132.000 €. Gli arbitrati gestiti dalla CCIAA di Milano hanno una durata media di 13 mesi e

un valore medio superiore a 3.000.000€ (fonte: Secondo rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia).

Ciò lascia ipotizzare che gli arbitrati di ingente valore tra imprese sono prevalentemente gestiti con arbitrati ad hoc.

Uno svantaggio dell'arbitrato amministrato rispetto a quello ad hoc è costituito dai maggiori costi (parametrati sul valore di lite, cioè sulla somma delle domande presentate dalle parti).

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8. Riflessioni conclusive

Tabella tariffe Camera Arbitrale di Milano – 2009 (comprensive di IVA)Valore della lite Onorari Cam. Arb. Onorari Arb. Unico Onorari Coll. arb.

  min – max min - max

 Da € 250.000 a 500.000 € 5.000 € 10.000 – 20.000 € 25.000 - 50.000 Da € 500.000 a € 1.000.000 € 8.000 € 20.000 - 30.000 € 50.000 - 75.000

 Da € 1,000.000 a € 2.500.000 € 12.000 € 30.000 - 50.000 € 75.000 - 120.000

 Da € 2.500.000 a € 5.000.000 € 18.000 € 50.000 - 80.000 € 120.000-180.000

Per una controversia di medio valore (450.000 €), le spese sono risultate complessivamente 5.000 € per l’onorario dell’Ente, 37.000 € per i compensi del collegio arbitrale e 49.000 € per le spese legali

dei difensori (circa il 10% del valore di lite le spese di arbitrato, circa il 12% le spese per i difensori).

Per una controversia di alto valore (7.000.000 €), le parti hanno sostenuto un onere di 25.000 € per l’onorario della Camera Arbitrale (0,36% valore di lite), di 180.000 € per i compensi del collegio

arbitrale (2,57%) e di 217.000,00 € per spese legali (3%).Statisticamente le spese legali per i difensori superano le spese di arbitrato.

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8. Riflessioni conclusive

COMPARAZIONE TARIFFE per Collegi Arbitrali *

Valore della lite Tariffe Coll. Arb. Cam. Arb. MI Onorari Avvocati Coll. arb. **

  min – max min - max

Da € 50.000 a € 100.000   € 7.500 - 13.500 € 6.500 - 14.000

Da € 250.000 a 500.000 € 30.000 – 55.000 € 22.500 – 58.000

Da € 500.000 a € 1.000.000 € 58.000 - 83.000 € 42.000 -116.000

Da € 1.000.000 a € 2.500.000 € 87.000 -132.000 € 42.000 -116.000

Da € 2.500.000 a € 5.000.000 € 138.000 - 198.000 € 67.000 – 141.000

** Occorre aggiungere l'eventuale costo di segreteria (5-10% circa) e l'eventuale maggiorazione fino al doppio in caso di controversie di particolare complessità e/o importanza

* L’art. 24 d.l. n. 223/2006 (c.d. “Decreto Bersani”) ha previsto l’applicazione della tariffa degli avvocati a tutti gli arbitri.

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8. Riflessioni conclusive

ARBITRATO AD HOC:

ARBITRATO AMMINISTRATO:

PRO CONTRA PRO CONTRA

massimo grado di imprevedibilità su trasparenza del minore riservatezza,

autonomia delle parti, ciò che non è previsto procedimento (no- procedimentalizzazione,

semplicità procedimentale, dalle parti (tempi, costi, mina arbitri, costi, costi per i servizi dell'ente

riservatezza svolgimento procedura) tempi)

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8. Riflessioni conclusive La scelta di ricorrere alla conciliazione o all’arbitrato non deve essere effettuata o esclusa a priori, ma deve essere motivata da un confronto concreto fra i vantaggi che deriverebbero

dalla introduzione di una clausola arbitrale o conciliativa ed il tradizionale ricorso alle giustizia ordinaria, in relazione alle caratteristiche del contratto e delle parti. Tra le variabili

da considerare emergono le seguenti:

il contenuto economico del contratto: se esso è limitato, non ha molto senso ricorrere ad un procedimento arbitrale; in ogni caso, sarà opportuno prevedere un arbitro unico invece del

collegio arbitrale, riducendo così i tempi e i costi. la natura della prestazione che deve essere fornita e del tipo di conflitti che può generare. Se la tipologia di contenzioso che può sorgere, ad es., è solo inerente la valutazione economica (come nel caso di in una cessione di quote) si può optare per un arbitraggio che pare

più rapido e risolutivo. Di fronte ad un contratto di fornitura con un cliente particolarmente importante, con il quale vi è interesse a portare avanti il rapporto anche in caso di conflitto, può

essere consigliabile proporre un tentativo di conciliazione, in modo da trovare alternative che risolvono il conflitto, permettendo così la prosecuzione dei rapporti.

La complessità tecnica del rapporto tra le parti. In caso di controversie in ordinea rapporti caraterizzati da un alto tasso di complessità tecnica (appalti, compravendite

azionarie, joint ventures etc.) l'arbitrato (in particolare misto) è in grado di assicurare una competenza tale da garantire la risoluzione più adeguata.

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8. Riflessioni conclusive

In caso di scelta dell'arbitrato come metodo di soluzione delle controversie, è opportuna (soprattutto in caso di arbitrato ad hoc) una particolare attenzione in fase di redazione

della clausola arbitrale, che dovrà essere il più possibile completa, esauriente ed autosufficiente, per ciò che attiene in particolare a:

l'oggetto della controversia (che può essere ristretto ad alcuni rimedi o procedimenti, dato che, in mancanza, la clausola riguarderà tutte le liti derivanti dal contratto)

la tipologia di arbitrato (rituale/irrituale; di diritto/di equità; amministrato/ad hoc)

la composizione e la modalità di nomina degli arbitri (arbitro unico/collegio; autorità di nomina del terzo arbitro con funzioni di Presidente del collegio);

il procedimento (tempi, sede, compenso degli arbitri , impugnabilità del lodo) e la lingua, anche in caso di arbitrato amministrato (derogando al regolamento dell'ente)

La legge applicabile al merito (in caso di arbitrato internazionale)

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8. Riflessioni conclusive

Può essere opportuno inserire nel contratto una clausola c.d. «multistep», con la quale si costruisce un percorso articolato e alternativo di dispute processing,

prevedendo che, qualora dovesse insorgere controversia tra le parti, le stesse dovranno in prima battuta tentare di trovare un accordo conciliativo entro un certo periodo di

tempo, fallito il quale potranno rivolgersi agli arbitri.

Sarà in tal caso opportuno prevedere che sia il tentativo di conciliazione che l'eventuale successivo arbitrato siano entrambi amministrati, e che quest'ultimo sia sospesofino all'esito del tentativo di conciliazione (analogamente a quanto previsto in

ambito societario dall'art. 40 D.lgs. n. 5/2003), in modo da consentire all’istituzionedi dilazionare l’avvio del procedimento arbitrale, per consentire il preventivo svolgimento

del tentativo di conciliazione. Ciò in presenza di un orientamento giurisprudenzialeche nega l’esistenza di un potere delle parti di disporre convenzionalmente

impedimenti processuali.

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GRAZIE PER L'ATTENZIONE

Avv. Valerio Pandolfinivia dei Martinitt, 3

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