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B E R G A M O BERGAMO LA GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI COMUNALI LA DISCIPLINA DELLE UNIONI DI COMUNI A SEGUITO DEI RECENTI PROVVEDIMENTI GOVERNATIVI

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BERGAMO

BERGAMO

LA GESTIONE ASSOCIATA

DELLE FUNZIONI COMUNALI

LA DISCIPLINA DELLE UNIONI DI COMUNI

A SEGUITO DEI RECENTI PROVVEDIMENTI GOVERNATIVI

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Si riportano di seguito la relazione con cui ho introdotto il convegno del 5 dicembre 2011,

organizzato dalla FP-CGIL di Bergamo sulla gestione associata delle funzioni

comunali, la sintesi dell’intervento in merito ai profili di incostituzionalità della

disciplina delle unioni tra i piccoli comuni, svolto dal dott. Antonio Purcaro, segretario

generale della Città di Treviglio, nonché le slides che hanno accompagnato l’intervento

del dott. Gian Luca Bertagna, esperto di gestione del personale e collaboratore de “Il sole

24 ore” sugli aspetti organizzativi e di gestione del personale che la gestione associata

delle funzioni comunali sollecita.

Al convegno sono intervenuti, anche l’avv. Ivonne Messi in merito ai problemi che la

nuova disciplina presenta rispetto a quella regionale, l’on. Mauro Guerra, vicepresidente

ANCI e coordinatore nazionale ANCI piccoli comuni, che ha rappresentato la posizione di

ANCI, mentre il convegno è stato concluso dal segretario generale della Camera del

Lavoro di Bergamo, dott. Luigi Bresciani.

Ovviamente il testo riportato riprende la disciplina allora esistente, alcune novità, per la

verità meno di quelle che ci si poteva attendere, sono nel frattempo intervenute.

In primo luogo il comma 11 dell’articolo 29 del decreto Milleproproghe ha prorogato di

sei mesi l’esercizio associato obbligatorio di funzioni fondamentali e relativi servizi per i

comuni con più di 1.000 e fino a 5.000 abitanti.

Inoltre l’art. 8 del collegato al bilancio della Regione Lombardia ha previsto che per le

gestioni associate delle funzioni fondamentali previste dall’art. 14 del D.L. 78/2010 la

riduzione del limite di abitanti a 5000 (3000 nel caso di comuni appartenenti a comunità

montane), o pari al quadruplo del numero degli abitanti del comune

demograficamente più piccolo tra quelli associati.

Novità, che come si è detto, non sono di grande impatto sulla disciplina della gestione

associata delle funzioni comunali esistente al momento del convegno, la cui

documentazione appare, pertanto, tutt’altro che superata.

Bergamo, 14 gennaio 2012

F.To Gian Marco Brumana

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LE PROBELMATICHE POSTE DALL’ART. 16 DEL D.L. 138/2011 SULLA GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI COMUNALI

Preliminarmente voglio chiarire un aspetto per evitare eventuali fraintendimenti, e cioè

che per la Funzione pubblica CGIL di Bergamo la gestione associata di funzioni e servizi

tra enti locali rappresenta una positiva opportunità attraverso la quale è possibile,

soprattutto per gli enti di minori dimensioni, svolgere i propri compiti in modo più

qualificato e razionale al fine di offrire migliori servizi ai cittadini. Lo abbiamo detto anche

in passato quando si è trattato di formulare proposte in materia di gestione dei servizi

alla persona o di svolgimento delle funzioni di polizia locale oppure di esprimersi sul

ruolo delle comunità montane.

Nel prossimo futuro probabilmente questa sarà una scelta pressoché obbligata per i

comuni di piccole o piccolissime dimensioni e tuttavia riteniamo che l’aspetto

qualificante della gestione associata di funzioni e servizi risieda nella costruzione di un

modello che sia condiviso ed aderente alla realtà locale, ben ponderato e da sottoporre

alla costante verifica dei fatti e non il risultato della semplice imposizione di regole

astratte concepite lontano.

1) LA GESTIONE ASSOCIATA DI FUNZIONI E SERVIZI NEL TESTO UNICO

SULL’ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI

Come è noto la disciplina generale delle forme associate per l’esercizio di funzioni e

servizi è contenuta nel titolo II°, capo V°, del testo unico sull’ordinamento degli enti

locali (D.Lgs 267/2000). In tale capo si fa riferimento oltre che alla possibile gestione dei

servizi, anche all’esercizio di pubbliche funzioni; capo che risulta ben distinto nel testo

unico da quello relativo alle forme di gestione dei servizi, contenuta nel suo titolo V°.

E’ un’antica distinzione quella tra l’esercizio di pubbliche funzioni ed l’erogazione di

servizi pubblici, distinzione in teoria chiara ma assai difficile da attuare nella pratica.

Infatti se la pubblica funzione risulta caratterizzata dall’esercizio del potere autoritativo

proprio della pubblica amministrazione previsto dalla legge e che si manifesta attraverso

l’adozione di atti amministrativi, l’erogazione di un pubblico servizio, al contrario, si

dovrebbe caratterizzare dall’assenza di tale potere. Spesso, però, la concreta erogazione

di un servizio, presuppone, anche se in via non prevalente, l’adozione di atti di natura

amministrativa come ha sottolineato di recente la sez. regionale della Corte dei Conti del

Lazio, dovendo dirimere la questione relativa alla distinzione tra consorzi di funzioni e

consorzi che erogano semplici servizi.

Tuttavia il richiamo a questa distinzione mi pare doveroso, in quanto evidenzia che

l’ambito delle forme associative attraverso l’uso di convenzioni, consorzi e unioni, fa

riferimento soprattutto alle modalità di esercizio di pubbliche funzioni, in particolare

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delle funzioni fondamentali dei comuni (transitoriamente individuate dall’art. 21 della

legge 42/2009), il cui esercizio, come dispone anche il comma 26, dell’art. 14 del D.L.

78/2010, è “obbligatorio per l’ente titolare”.

E’ noto, inoltre, che alla data di scadenza dei relativi consigli di amministrazione è

prevista la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali in applicazione

dell’art. 2, comma 186, lett. e), della L. 191/2009, questa è ormai l’interpretazione

consolidata (vedasi parere della sez. regionale della Corte dei Conti della Lombardia n.

125 del 3 marzo 2011),

“A regime”, dunque, per l’esercizio associato di funzioni dovrebbero rimanere

esclusivamente le convenzioni previste dall’art. 30 del TUEL e le unioni contemplate

nell’art. 32 dello stesso testo unico, anticipando quanto previsto dal disegno di legge sul

codice delle autonomie locali ormai da tempo giacente in Parlamento.

In merito a tale gestione associata di funzioni e servizi il legislatore è, come si è visto nel

caso dei consorzi, intervenuto più volte con le recenti manovre di carattere finanziario

finalizzate, come sempre, ad assicurare il coordinamento della finanza pubblica ed il

contenimento della spesa degli enti locali, in particolare con l’art. 14, commi da 25 a 31,

del D.L. 78/2010 e, per ultimo, con l’art. 16 del D.L. 138/2011. Disciplina, quest’ultima,

che rappresenta l’oggetto principale di questo convegno.

2) L’OBBLIGATORIA UNIONE PER I COMUNI FINO A 1000 ABITANTI.

L’art. 16 del D.L. 138/2011, nel suo testo definitivo convertito nella legge 148/2011,

prevede che “al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica,

l’ottimale coordinamento della finanza pubblica, il contenimento delle spese degli enti

territoriali e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici”, i

comuni fino a 1000 abitanti debbano esercitare obbligatoriamente in forma associata

tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici mediante unioni di

comuni. Tale disposizione non si applica al comune di Campione d’Italia ed a quei

comuni il cui territorio coincida con quello di una o più isole.

A tali unioni si dovrà applicare, in deroga, alla disciplina contenuta nel testo unico

dell’ordinamento degli enti locali, quella contenuta nello stesso articolo 16 del D.L.

138/2011 che prevede sostanzialmente il trasferimento delle competenze dei diversi

organi comunali all’unione, nonché di tutte le risorse umane e strumentali (compreso

ovviamente quelle finanziarie) dai comuni all’unione. Rimangono, tuttavia in capo al

sindaci dei comuni appartenenti all’unione le funzioni previste dall’art. 54 del TUEL,

esercitate non in qualità di sindaco ma quale Ufficiale di governo, quindi le funzioni in

materia di sicurezza ed ordine pubblico, di sovrintendenza alla tenuta dei registri di

stato civile, elettorale, ecc., i provvedimenti contingibili ed urgenti per la tutela

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dell’incolumità e la sicurezza urbana, ecc. (funzioni di grande rilievo per le quali pare

legittimo chiedersi con quali modalità e risorse potranno essere esercitate).

L’operatività della disciplina dovrà avvenire dal giorno seguente alla proclamazione

degli eletti degli organi del comune che, successivamente alla data del 13 agosto 2012,

per primo sarà interessato al loro rinnovo tra gli enti che costituiscono l’unione.

Da tale data l’unione succede “a tutti gli effetti” nei rapporti giuridici inerenti le funzioni

ed i servizi ad essa affidati dai comuni, ferme restando le disposizioni dell’art. 111 del

codice di procedura civile. Dalla stessa data gli organi di governo dei comuni

appartenenti all’unione sono il sindaco ed il consiglio, mentre le giunte comunali

decadono di diritto.

Le unioni sono istituite in modo che la loro popolazione residente complessiva sia di

norma superiore a 5.000 abitanti (a 3.000 abitanti qualora i comuni appartenenti

all’unione, appartengano anche, o abbiano appartenuto, ad una comunità montana).

E’ comunque facoltà della regione individuare diversi limiti demografici (tale facoltà

doveva essere esercitata dalle regioni entro lo scorso 14 novembre, termine ritenuto

ordinatorio e non perentorio).

Entro il termine perentorio di sei mesi dall’approvazione della legge di conversione

(quindi entro il 14 marzo 2012) i comuni interessati dovranno, con identica

deliberazione del consiglio comunale votata dalla maggioranza dei componenti,

avanzare una proposta di istituzione dell’unione alla regione, la quale entro il termine,

altrettanto perentorio, del 31.12.2012 dovrà, comunque, provvedere all’istituzione

dell’unione anche in assenza di qualsiasi proposta.

Le unioni già costituite, cui appartengano comuni fino a 1.000 abitanti, dovranno

adeguare, inoltre, i loro ordinamenti alla disciplina dell’art. 16 del D.L. 138/2011 entro

quatto mesi dalla citata proclamazione degli eletti.

E’ poi previsto che per dette unioni gli organi di governo siano il consiglio, il presidente e

la giunta. Secondo tale disciplina il consiglio è composto dai sindaci dei comuni

appartenenti all’unione e da due consiglieri di ciascun comune, uno di maggioranza e

uno di opposizione, eletti dai rispettivi consigli comunali entro 20 giorni dalla data di

istituzione dell’unione. Il presidente dell’unione, fino alla sua elezione da parte del

consiglio dell’unione, sarà il sindaco del comune con il maggior numero di abitanti. Al

consiglio spettano tutte le competenze in precedenza attribuite ai consigli comunali.

Entro trenta giorni dalla data di istituzione dell’unione viene eletto il presidente

dell’unione tra i propri componenti, presidente che dura in carica due anni e mezzo e che

esercita le funzioni previste dall’art. 50 del TUEL.

La giunta, infine, che esercita le funzioni prima demandate alle giunte dei diversi

comuni appartenenti all’unione, è composta dal presidente dell’unione e da un numero

di assessori scelti tra i sindaci dei comuni dell’unione non superiore a quelli di un

comune di pari popolazione.

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Lo statuto dell’unione, che indica le modalità di funzionamento dei propri organi, è

approvato (diversamente che nel caso delle unioni di cui all’art. 32 del D.Lgs 267/2000)

dal consiglio dell’unione a maggioranza dei suoi componenti entro 20 giorni dalla data

di istituzione dell’unione stessa.

Infine, dal 2014, queste unioni di comuni saranno sottoposte alle regole del patto di

stabilità interno.

Questa, in sintesi, è la disciplina dell’istituzione di unioni obbligatorie per i comuni fino a

1.000 abitanti, tenuto conto che il comma 2 dell’art. 16 del D.L. 138/2011 prevede che a

tali unioni hanno facoltà di aderire anche comuni con popolazione superiore a 1.000

abitanti purché esercitino tutte le funzioni fondamentali loro spettanti e tutti i

servizi inerenti tramite la stessa unione, in modo da dare attuazione, per una diversa

via, alla disciplina dei commi da 28 a 31 del D.L. 78/2010.

Ricordo che per funzioni fondamentali dei comuni s’intendono quelle indicate nell’art. 21,

comma 3, della legge 42/2009 sul federalismo fiscale e precisamente:

1. le funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura

complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio

disponibile alla data di entrata in vigore della stessa legge 42/2009;

2. le funzioni di polizia locale;

3. quelle relative alla istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli

di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

4. le funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

5. quelle riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il

servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia, nonché per il

servizio idrico integrato;

6. le funzioni del settore sociale.

Quindi si possono far rientrare nelle funzioni fondamentali quasi tutte le funzioni

esercitate dai comuni.

Dal tenore letterale del comma 9 dell’art. 16 del D.L. 138/2011 sembrerebbe che la

disciplina riguardante i comuni fino a 1.000 abitanti sia integralmente applicabile

(compreso la decadenza della giunta) anche a quelli che decidono di aderire pur avendo

una popolazione superiore solo nel caso in cui gli stessi optino per il conferimento

all’unione di tutte le funzioni e tutti i servizi e non solo di quelle fondamentali,

rimangono, tuttavia, non pochi dubbi in proposito. Tale interpretazione sembrerebbe

avvalorata anche dalla previsione che i rispettivi consigli comunali mantengono ferme le

loro funzioni normative “in riferimento alle funzioni non esercitate mediante unione”.

Pare abbastanza evidente che questa disciplina, oltre che di dettaglio, di complessa e

difficile applicazione (è complicato adattare la realtà territoriale ai limiti puramente

demografici tracciati dal legislatore) si presenta come lesiva dell’autonomia

organizzativa costituzionalmente garantita alle autonomie locali, in particolare ai

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comuni, ed in sostanziale contrasto con l’art. 133 della Costituzione in quanto svuota

nei fatti i comuni fino a 1.000 abitanti delle proprie competenze

Tuttavia, il comma 16, del citato articolo 16, prevede che l’obbligo di istituzione di un

unione per i comuni fino a 1.000 abitanti non trovi applicazione nel caso in cui gli

stessi comuni alla data del 30 settembre 2012, “risultino esercitare le funzioni

amministrative e i servizi pubblici, di cui al comma 1 mediante convenzione” (in

merito c’è da chiedersi se attraverso una o più convenzioni, vista la vigente disciplina la

seconda opzione sembrerebbe possibile).

In questo caso i comuni trasmettono al Ministero dell’Interno entro il successivo 15

ottobre, “un’attestazione comprovante il conseguimento di significativi livelli di

efficacia ed efficienza nella gestione, mediante convenzione, delle rispettive

attribuzioni”. Con proprio decreto, da adottare entro tre mesi dall’approvazione della

legge di conversione del D.L. 138/2011 (14 dicembre 2011), il Ministro dell’Interno dovrà

determinare contenuti e modalità delle attestazioni, mentre entro il 30 novembre 2012,

sempre con decreto, dovrà indicare l’elenco dei comuni obbligati e di quelli esentati

dall’ esercizio delle funzioni ed dei relativi servizi tramite unione.

Inutile dire che tutta la disciplina fin qui esposta appare quantomeno farraginosa e

necessaria di non pochi e ulteriori interventi normativi per darvi attuazione.

3) CONVENZIONI ED UNIONI PER I COMUNI CON PIU’ DI 1.000 ABITANTI.

Il citato articolo 16, peraltro, interviene anche sulla disciplina della gestione associata

tramite unione o convenzione delle funzioni fondamentali dei comuni sopra i 1.000

abitanti che non optino per l’unione in precedenza descritta, ma intendano applicare

la disciplina prevista dall’art. 14 del D.L. 78/2010. Infatti per tali enti, con popolazione

compresa tra più di 1.000 e fino a 5.000 abitanti (3.000 per i comuni appartenenti o già

appartenenti a comunità montane) viene previsto un limite demografico minimo per la

gestione associata obbligatoria delle funzioni fondamentali e dei servizi inerenti pari a

10.000 abitanti, mentre viene anticipato al 31 dicembre 2011 il termine per il

completamento dell’attività amministrativa per l’attuazione della la gestione associata di

almeno due funzioni fondamentali ed al 31 dicembre 2012 il termine per il

completamento dell’attività amministrativa per l’attuazione della gestione associata di

tutte e sei le funzioni fondamentali. Sono esclusi da tale obbligo il comune di

Campione d’Italia e i comuni il cui territorio coincide con quello di una o più isole.

Spetta, comunque, alla legge regionale, in applicazione del comma 30 dell’art. 14 del

D.L. 78/2010, individuare una diversa dimensione territoriale ottimale per la

gestione associata delle funzioni fondamentali, indicando un diverso limite demografico

entro il 14 novembre 2011 (il termine, ormai scaduto, é ritenuto, tuttavia, ordinatorio e

non perentorio).

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Si ricorda che in applicazione del comma 29 del citato articolo 14 i comuni non possono

svolgere singolarmente le funzioni fondamentali, svolte in forma associata, mentre

la stessa funzione fondamentale non può essere svolta da più di una forma

associativa. Risulta, pertanto, possibile esercitare una o più funzioni fondamentali

tramite unione ed altre tramite convenzione, oppure tramite più unioni o più

convenzioni.

L’eventuale istituzione di queste unioni di comuni segue, peraltro, la disciplina

contenuta nell’art. 32 del testo unico sull’ordinamento delle autonomie locali, e

non quella indicata nell’art. 16 del D.L. 138/2011.

Le modifiche apportate alla disciplina dell’art. 14 del D.L. 78/2010, pur lasciando aperta

per i comuni con popolazione superiore a mille abitanti l’opzione per una modalità di

gestione associata di funzioni e servizi meno rigida rispetto a quella prevista dall’art.

16 del D.L. 138/2011, hanno previsto tempi di attuazione assai più ravvicinati, tali da

esporre i comuni interessati, nel caso in cui cerchino di dare attuazione a tali

disposizioni, al concreto rischio di scelte affrettate o quantomeno poco ponderate, scelte,

comunque, tali da comportare conseguenze di grande rilievo per il futuro.

Non risulta chiaro, infine, se le unioni eventualmente costituite in applicazione delle

sopraccitate disposizioni risulteranno sottoposte alle regole del patto di stabilità

interno dal 2013, come i comuni con più di 1.000 abitanti di cui sono composte, o dal

2014 come previsto per le unioni relative ai comuni con meno di mille abitanti,

certamente, si ritiene, non potranno esserne escluse, anche non mi risulta esista una

alcuna esplicita disposizione che le sottoponga alle regole del patto di stabilità.

4) ALCUNE BREVI CONSIDERAZIONI

In merito alla disciplina esposta, senza voler né anticipare né sostituirmi alle relazioni

che verranno svolte di seguito dagli esperti, mi pare comunque opportuno svolgere

alcune brevi considerazioni

a) La prima riguarda un aspetto particolare inerente l’eventuale svolgimento delle due

funzioni fondamentali tramite unione da parte di comuni con popolazione superiore a

1.000 abitanti. Pare sicuramente molto complicato attribuire all’unione, tra le prime due

funzioni fondamentali, quella relativa allo svolgimento delle funzioni generali di

amministrazione, di gestione e di controllo come previste dall’art. 21 della legge

42/2009, in particolare quelle relative alle gestione finanziaria e contabile, considerato

che, comunque, ciascun comune associato dovrà provvedere per un anno a tale gestione

per le rimanenti funzioni.

b) Un’altra considerazione riguarda le comunità montane che sembrerebbero essere

escluse dalla possibilità di rappresentare l’unione prevista sia dall’art. 16 del D.L.

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138/2011, che dall’art. 14 del D.L. 78/2010, considerato che per entrambe le discipline,

nel prevedere le dimensioni demografiche della costituenda unione, si fa riferimento a

comuni che appartengono o siano appartenuti a comunità montane, come se

quest’ultime si configurassero come qualcosa di diverso e separato rispetto all’unione.

Questo, nonostante, le comunità montane, ai sensi dell’art. 28 del TUEL siano forme

speciali di unioni di comuni titolari di funzioni proprie e di funzioni conferite e per

l'esercizio associato delle funzioni comunali.

c) L’eventuale esclusione delle comunità montane dal rappresentare una possibile scelta

per l’applicazione della gestione associata di funzioni e servizi tramite unione, in

applicazione della disciplina in commento, porta, peraltro, ad una ulteriore

considerazione, quella del evidente contrasto di tale disciplina con la recente legge

regionale sul “Riordino delle comunità montane della Lombardia, sulla disciplina delle

unioni di comuni lombardi ed il sostegno all’esercizio associato di funzioni e servizi

comunali”.

Infatti l’art. 9 della legge regionale 19/2008 prevede che: “La comunità montana, oltre

alle funzioni conferite dalla legge, può gestire in forma associata funzioni e servizi

delegati dai comuni e, quando previsto, dalla provincia, dandone comunicazione alla

Regione. Ogni funzione o servizio gestito in forma associata dalla comunità montana è

regolato da apposita convenzione, che ne determina le modalità e condizioni di

svolgimento, l'imputazione delle relative spese, incluse quelle riferibili all'organizzazione,

nonché gli obblighi reciproci degli enti.”

Il contrasto risulta, peraltro, evidente anche in relazione alla disciplina regionale delle

unioni di comuni, che appare alla luce dell’art. 16 del D.L. 138/2011 del tutto superata,

anche se ben più rispettosa dell’autonomia organizzativa degli enti locali.

d) Sono già presenti, inoltre, sul territorio provinciale ambiti di gestione associata di

funzioni e servizi nel settore sociale in applicazione della legge 328/2000 e della

conseguente legge regionale. Tali ambiti di gestione associata hanno assunto forme

diverse in relazione delle scelte operate dai comuni appartenenti a ciascun ambito

territoriale. C’è chi ha preferito delegare la comunità montana, chi ha costituito aziende

speciali di tipo consortile o, invece, chi ha utilizzato semplicemente lo strumento della

convenzione, con la costituzione o meno di un ufficio comune. L’art. 16 del D.L.

138/2011 sembra sovrapporsi a questa diversificata realtà, determinata, peraltro, da

una legge dello stato, senza prenderla in considerazione, imponendo ai comuni la

gestione associata delle funzioni fondamentali, tra cui rientrano anche quelle del settore

sociale, che per una parte più o meno rilevante, risultano già esercitate in forma

associata anche con comuni di grandi dimensioni, a cui il citato articolo 16 non si

applica direttamente e che forse non hanno alcuna intenzione di associare ulteriori

funzioni. Sicuramente credo che, al di là della possibile separazione, comunque non

sempre semplice, tra esercizio di pubbliche funzioni ed erogazione dei servizi, la

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disciplina contenuta nella recente manovra economica ponga non pochi problemi di

coordinamento con altre disposizioni.

e) Un’altra considerazione riguarda un aspetto di natura prettamente sindacale e

relativo all’obbligo di preventiva informazione alle RSU e alle OO.SS. territoriali in caso

di istituzione di un’unione di comuni o di gestione associata tramite convenzione che

preveda o meno la costituzione di un ufficio comune. Tale obbligo lo si ricava dal

disposto degli articoli 5, comma 2, e 6, comma 1, del D.Lgs 165/2001 nella sua attuale

versione, nonché dalla disciplina contrattuale vigente a seguito della cosiddetta “riforma

Brunetta”. Infatti sia l’istituzione di un’unione, che comporta la costituzione di un

nuovo ente locale, sia la gestione di funzioni fondamentali tramite convenzione,

implicano scelte di forte impatto per l’organizzazione degli uffici e dei servizi, materia

sulla quale non è in discussione lo specifico obbligo della preventiva informazione.

Spesso a questi aspetti, che costituiscono un tratto essenziale della parte obbligatoria

dei contratti collettivi, viene dedicata scarsa attenzione dalle amministrazioni. Inoltre,

considerato che entro il prossimo mese di marzo, si dovrebbero svolgere le elezioni per il

rinnovo delle RSU, pare evidente la necessità che le OO.SS. conoscano quanti e quali

sono gli enti in cui si vota, nonché gli elenchi del relativo personale (vedasi accordo

nazionale quadro sull’elezione delle RSU)

f) L’ ultima considerazione riguarda il fatto che, in caso di mancata applicazione nei

tempi indicata delle disposizioni relative alla gestione associata contenute nell’art. 16 del

D.L. 138/2011 non è prevista alcuna esplicita procedura sanzionatoria, diversamente

da quanto è, invece, disposto in tema di liquidazione o di cessione delle partecipazioni di

società di capitali.

In conclusione dovendo dare attuazione alle disposizioni sulla gestione associata di

funzioni e servizi ci si potrebbe affidare a quel proverbio che dice che “la fretta è una

cattiva consigliera”, in particolare nel caso di istituzione di unioni di comuni, scelta

che non si può certo assumere a cuor leggero attuandola nei tempi ristrettissimi voluti

dal legislatore nazionale; scelta da cui poi non è così semplice recedere considerato che

comporta la costituzione di un nuovo ente locale, con un proprio statuto ed un proprio

ordinamento.

Se si vuole dare attuazione alla gestione associata di funzioni e servizi pare sicuramente

meno complicato, in questo momento ed almeno per un certo periodo, l’utilizzo dello

strumento della convenzione, magari ampliando quelle già esistenti.

5 dicembre 2011

Gian Marco Brumana

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NOTE A MARGINE DELL’ART.16 DEL DECRETO LEGGE 138/2011: PROFILI DI INCOSTITUZIONALITA’ DELLA DISCIPLINA

DELLE UNIONI TRA I PICCOLI COMUNI.

di ANTONIO PURCARO

Segretario generale della Città di Treviglio (Bergamo) Cultore di diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo

L’articolo 16 del Decreto Legge n. 138/2011, convertito nella legge n. 148/2011 (Manovra bis 2011) detta disposizioni per obbligare i piccoli comuni alla gestione associata di funzioni e servizi. La legge è stata ed è fonte di ampi dibattiti sia tra gli studiosi che tra gli operatori delle autonomie locali. Molti si interrogano sulla legittimità costituzionale di tale norma che pare in contrasto con i principi che si ricavano dall’art.5 della Carta ed con lo stesso art.5. La critica è ancor più verificabile con riferimento alla previsione contenuta nell’art.16 in ragione della quale le Unioni di comuni da costituirsi obbligatoriamente tra gli enti con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti sono destinate a succedere in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi degli stessi comuni. E’ evidente che privare un comune della titolarità di rapporti giuridici equivale a negarne la stessa esistenza giuridica! Con riguardo a questa considerazione vi è chi per confutarla argomenta operando una scissione concettuale tra “autonomia locale” e “ente comunale”. Le autonomie locali si identificherebbe con le comunità stabilmente insediate su determinate porzioni del territorio nazionale e non già con i rispettivi enti territoriali considerati quali mere formule organizzative. Poiché la comunità è una realtà in continua evoluzione ne consegue che la sua organizzazione non può essere decisa e fissata una volta per tutte. Questa ricostruzione, anche se non priva di fascino, tuttavia non convince. L’art.114 del riformato titolo V della Costituzione afferma che la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città Metropolitana, dalle Regioni e dallo Stato.

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Non viene fatta alcuna menzione alle Unioni di Comuni, che sono pertanto enti eventuali e non necessari, enti, questi sì, che possono essere cancellati dal Legislatore con una tratto di penna. I Comuni, anche quelli di piccole dimensioni, sono enti necessari, soggetti indefettibili chiamati al pari di Province, Città metropolitane, Regioni e con lo Stato a dare vita e forma alla Repubblica. Lo stesso art.114 continua affermando che “i Comuni, le Provincie, le Città Metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”. Il Comune non può essere spogliato delle sue funzioni e dell’esercizio dei propri poteri. L’affermazione contenuta nell’art.5 della Carta in virtù della quale “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” sta proprio a significare che è compito della Repubblica prendere atto della pre-esistenza delle Autonomie Locali valorizzandole. Com’è noto il riconoscimento avviene a favore di un soggetto che preesiste. Il Costituente non si limitò a prevedere che l’ordinamento centrale non potesse prescindere dal riconoscimento delle autonomie locali, anzi attribuì alla Repubblica il compito di valorizzarle e quindi di attribuire alle stesse compiti e funzioni e risorse adeguate al loro ruolo. Il riconoscimento non poteva e non può che operare nei confronti della autonomie locali per come esse sono: enti di piccoli, medie e grandi dimensioni. In ragione dell’art.5 e dei principi da esso ricavabili e da quanto introdotto con la riforma del Titolo V della costituzione operata nel 2001, di cui ricorre il decimo anniversario, i Comuni hanno ottenuto il riconoscimento pieno e la garanzia costituzionale della loro autonomia normativa ed organizzativa. E’ pur vero che detta autonomia si svolge all’interno della cornice delineata dal legislatore, statale e regionale, ma è altrettanto vero che il legislatore è tenuto a salvaguardare e valorizzare il contenuto dell’Autonomia Locale. Sempre all’114 si legge che “i comuni sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. I comuni, in ragione del principio di sussidiarietà verticale, sono le amministrazioni naturalmente preposte all’esercizio di ogni funzione amministrativa, salvo che per assicurarne l’esercizio unitario, l’esercizio delle funzioni sia allocato a livello provinciale, regionale o statuale. L’art.118 così recita “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che per assicurarne l’esercizio unitario …….. sulla base dei principi di sussidiarietà, differenzazione e adeguatezza”. Il legislatore costituzionale utilizza i termini differenziazione ed adeguatezza per rappresentare l’avvertita esigenza, a tutela dei diritti dei cittadini, che le funzioni amministrative siano nei fatti esercitate da organizzazioni e da apparati strutturati per il migliore esercizio delle stesse.

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Viene quindi in rilievo il tema delle gestioni associate; quindi la necessità per il legislatore statale ovvero regionale, di individuare meccanismi e forme di cooperazione tra enti che consentano di allocare l’esercizio delle funzioni ad un livello adeguato. In altre parole il tema che il legislatore è chiamato ad affrontare è quello della ricerca della dimensione ottimale per l’esercizio del governo locale. Si tratta di individuare, anche con l’ausilio delle tecniche di organizzazione aziendale, la forma e la dimensione maggiormente adeguata per conseguire economie di scala e di scopo nel governo delle comunità di base e nell’utilizzo delle risorse finanziarie. La risposta all’avvertita esigenza di costruire modelli efficienti per l’allocazione delle risorse nelle aree caratterizzate da conurbazioni ha fatto nascere il modello, successivamente costituzionalizzato, delle Città Metropolitane, mentre nelle aree marginali caratterizzate da un eccessiva frammentazione politica-amministrativa, la risposta del legislatore, fin dal lontano 1990, è stata l’Unione di Comuni. Due erano le possibili alternative, due le possibili strade che il legislatore poteva percorrere: la fusione tra i piccoli comuni, fino a conseguire una dimensione organizzativa adeguata, oppure l’incentivazione delle forme di gestione associata. Il nostro attuale sistema amministrativo è oggi caratterizzato dalla presenza di oltre 8.000 comuni, tra di loro dissimili quanto a dimensioni demografiche, i quali sono organizzati, salvo limitate e parziali distinzioni, secondo lo stesso modello e sono destinatarie dell’esercizio delle medesimi funzioni da svolgersi secondo gli stessi procedimenti. Questo modello mutuato dal vecchio sistema amministrativo francese, non ha negli anni seguito l’evoluzione del Paese d’Oltralpe, che invece ha sviluppato forme efficienti di gestione associata, ma è rimasto fermo al suo impianto originario. La contesa è tra la difesa del principio di uguaglianza e l’affermarsi di una disciplina uniforme e la necessità di affermare il principio di ragionevolezza con la necessità di una disciplina differenziata. La dottrina si è interrogata sul punto ed ha trovato una possibile soluzione ipotizzando la scissione tra titolarità ed esercizio della funzione amministrativa. Mentre la titolarità delle funzioni amministrative rimane in capo a tutti i Comuni, prescindendo dalla loro dimensione demografica, l’esercizio della funzione è consentito solo ai comuni di una certa dimensione demografica, in possesso quindi di un apparato amministrativo e di strutture adeguate, ovvero allo associazioni tra comuni che raggiungano una dimensioni organizzativa allo stesso modo adeguata. Il legislatore è stato quindi chiamato a scegliere tra l’omogeneità del modello organizzativo e la differenziazione dei modelli organizzativi. Tuttavia l’art.16 conferma la scelta dell’uniformità e lascia irrisolto il tema della dimensione ottimale per l’esercizio delle funzioni amministrative. La creazione obbligatoria, nel caso dei piccoli comuni, di organizzazioni, unioni di comuni, che raggruppino almeno 3.000, se in zone montane, o 5.000 abitanti lascia il tema irrisolto, ciò posto che anche detti enti intermedi si presentano quali soggetti non adeguatamente strutturati per esercitare tutte le funzioni amministrative. Il legislatore non opera alcuna differenziazione, attribuendo a detti corpi amministrativi le stesse funzioni attribuite ad esempio ai comuni capoluogo.

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Residuano pertanto le difficoltà per i piccoli comuni di sviluppare un’azione amministrativa secondo il modello delineato dalla Costituzione ed allo stesso tempo dubbi sulla legittimità costituzionale della novella introdotta che esonera i piccoli comuni dallo svolgimento delle funzioni fondamentali, così di fatto esautorandoli. Del resto come non rilevare come le riforme organiche necessitino della procedura legislativa ordinaria e non possano essere introdotte con lo strumento della decretazione di urgenza. Diversi sono quindi i profili di incostituzionalità. Oltre alla mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza che legittimavano il ricorso allo strumento del decreto legge, altri sono i possibili vizi. L’Unione dei comuni non è l’unica forma per sviluppare la gestione associata (obbligatoria) di tutte le funzioni. Ai comuni il legislatore offre anche la possibilità di utilizzare lo strumento della convenzione. Tuttavia la scelta tra le due forme non è libera. E’ stata in modo surrettizio introdotto una forma di controllo di merito, tipologia espunta dal nostro sistema giuridico, sulle scelte compiute dai consigli comunali. Il legislatore attribuisce al Ministero dell’Interno il compito di approvare o meno la forma della convenzione quale alternativa all’Unione. L’art.16 non considera poi il ruolo delle Comunità Montana, già espressamente definite dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento delle autonomie locali, quale “unioni di comuni montani”. Il tema delle Comunità Montane e del ruolo da riconoscere loro nell’ambito dell’associazionismo tra comuni solleva la questione della competenza legislativa in merito alle forme di collaborazione e cooperazione tra Comuni. In effetti sia l’art.16 che l’art.14 del D.L. 78/2010, antesignano dell’ultima riforma, chiamano in causa le Regioni, affidando ad esse tutta una serie di compiti. Pur tuttavia ridimensionano il ruolo assegnato alle Regioni dal riformato Titolo V della Costituzione. In proposito va detto con chiarezza che spetta alle Regioni il compito di riorganizzare nell’ambito dei propri territori i piccoli comuni attraverso forme associative, così come è stato a più riprese chiarito dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenze 244 e 456 del 2005, 397 del 2006 e 237 del 2009). L’art.117 della Costituzione si limita infatti ad attribuire alla competenza legislativa dello Stato la materia delle legislazione elettorale, l’indicazione degli organi di governo degli enti locali e l’individuazione delle funzioni fondamentali che riguardano il livello minimo di funzioni amministrative che deve essere attribuita a tutti gli enti locali in tutto il territorio nazionale. Ogni altro aspetto dovrebbe essere rimesso alla competenza del legislatore regionale, avendo cura di residuare un ambito per l’esercizio della potestà regolamentare delle stesse autonomie locali, che com’è noto, hanno competenza regolamentare in ordine alla propria organizzazione ed alle modalità di svolgimento delle proprie funzioni. La riforma costituzionale non ha riservato allo Stato la disciplina dei raccordi di tipo orizzontale tra livelli di governo. Pertanto la materia delle forme associative tra Enti locali rientra nella competenza legislativa regionale residuale.

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Si diffonde quindi tra gli studiosi e gli operatori la consapevolezza della ineluttabile necessità di adattare l’attuale situazione strutturale dei nostri Comuni al nuovo quadro costituzionale dopo la riforma del 2001. Qualora il Giudice delle Leggi dovesse ritenere sussistere le illegittimità prospettate il Legislatore sarebbe nuovamente chiamato a intervenire per delineare i tratti di un possibile modello organizzativo che preservando l’autonomia di ciascun ente locale sappia coniugare l’autonomia locale con il principio costituzionale del buon andamento. La riforma dell’ordinamento delle Autonomie Locali una questione di metodo e di merito! Bergamo, 5 dicembre 2011

ANTONIO PURCARO

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La Gestione Associata delle Funzioni Fondamentali

ASPETTI ORGANIZZATIVI

E DI GESTIONE DEL PERSONALE

GIANLUCA BERTAGNA www.gianlucabertagna.it

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COSA CAMBIA AL PERSONALE INTERESSATO ALLA GESTIONE ASSOCIATA IN CASO DI CONVENZIONE (EX ART. 30 TUEL) In caso di gestione tramite convenzione (art. 30) il personale comunale coinvolto viene «distaccato ai soli fini gestionali e per la durata della convenzione» al servizio associato. Il distacco funzionale non modifica lo stato giuridico ed economico del dipendente presso l’amministrazione di appartenenza, sulla quale continua ad incombere l’obbligo retributivo (fisso ed accessorio) e contributivo. Con la convenzione viene disciplinato, in modo distinto, il rapporto organico (o di impiego) e il rapporto funzionale (o di servizio) dei dipendenti interessati. Il rapporto organico resta in capo al Comune di appartenenza, mentre il rapporto funzionale sarà di competenza del Servizio associato.

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COSA CAMBIA AL PERSONALE INTERESSATO ALLA GESTIONE ASSOCIATA IN CASO DI UNIONE (EX ART. 32 TUEL)? In caso di gestione tramite Unione dei Comuni (art. 32) il personale viene trasferito dai comuni a seguito della gestione associata della Funzione a cui sono preposti. Ulteriore personale (in genere non addetto alle Funzioni associate) è possibile reperirlo tramite assunzioni a tempo indeterminato o determinato; mobilità da altri enti; comandi; utilizzo del comma 557, art. 1, L. 311/2004; convenzione ex art. 14 CCNL 22/01/2004. Nelle Unioni i dipendenti trasferiti con i servizi che si associano, diventano, a tutti gli effetti, dipendenti dell’Unione e la procedura di trasferimento è disciplinata dall’art. 31 del D.Lgs. n. 165/2001 (Testo Unico del Pubblico Impiego), rubricato «Passaggio di dipendenti per effetto di trasferimento di attività».

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COSA SONO LE FACOLTA’ PREVISTE DALL’ART. 14 DEL CCNL 22/01/2004 E QUELLE DELL’ART. 1, COMMA 557, DELLA LEGGE 311/2004?

L’art. 14 del CCNL 22/01/2004 prevede che gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d'obbligo mediante convenzione e previo assenso dell'ente di appartenenza. La convenzione definisce, tra l'altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell'orario settimanale d'obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. La utilizzazione parziale, che non si configura come rapporto di lavoro a tempo parziale, è possibile anche per la gestione delle funzioni e dei servizi ex art. 30 TUEL. I lavoratori utilizzati a tempo parziale possono essere anche incaricati della responsabilità di una posizione organizzativa nell'ente di utilizzazione o nei servizi convenzionati. In questo caso la retribuzione di posizione può essere elevata sino a €. 16.000,00 annui e la retribuzione di risultato sino al 30% della retribuzione di posizione.

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L’art. 1, comma 557, della Legge 311/2004 (finanziaria 2005), è una norma speciale che consente ai comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, alle Unioni dei comuni ed alle comunità montane di servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni. L'orario giornaliero e settimanale non potrà superare, nel cumulo dei due rapporti, la durata massima consentita dall'art. 3 del D.Lgs. n.66/2003 e smi (h. 36+12). Sull’argomento, per approfondimento, si rinvia alla lettura: 1.del parere del Consiglio di Stato, Sez. I, n. 2141 del 25/05/2005; 2.della circolare n. 2 del 21/10/2005 del Ministero dell’Interno; 3.del parere del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 34/2008.

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SPESE DI PERSONALE DELIBERA N. 8/2011 – CORTE DEI CONTI SEZIONE AUTONOMIE In tale legislazione manca una espressa previsione riguardante l’ipotesi di trasferimento di funzioni e di personale dai singoli Comuni alle Unioni dei comuni. Tuttavia, ove si realizzi tale ipotesi, non può ritenersi che il regime vincolistico diretto al contenimento della spesa subisca deroghe, ovvero possa essere escluso. Deve ritenersi invece ragionevole e aderente al sistema che anche in tale ipotesi debbano operare le regole di contenimento della spesa, pur in assenza di una espressa previsione legislativa riguardante tale specifico aspetto. Circostanza che induce a concludere che il contenimento dei costi del personale dei Comuni debba essere valutato sotto il profilo sostanziale, sommando alla spesa di personale propria la quota parte di quella sostenuta dall’Unione dei comuni. Soluzione che consente di affermare che la finalità perseguita dal legislatore in materia di contenimento della spesa di personale debba essere realizzata anche in ipotesi di gestione di servizi comunali da parte di Unioni di comuni, rappresentando che una diversa soluzione potrebbe aprire varchi di elusione di rigorosi vincoli di legge. In tale ottica emerge una considerazione sostanziale della spesa di personale, secondo la quale la disciplina vincolistica in tale materia non può incidere solo per il personale alle dirette dipendenze dell’ente, ma anche per quello che svolge la propria attività al di fuori dello stesso e, comunque, per tutte le forme di esternalizzazione. Allo scopo si dovranno reperire ed adottare idonei criteri per determinare la misura della spesa di personale propria dell’Unione che sia riferibile pro quota al Comune. IL BLOCCO DEGLI INTEGRATIVI – ART. 9 COMMA 2BIS DAL 2011 AL 2013 A decorrere dal 1°gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all’ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.

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Le Strutture Organizzative

Una questione importante in merito ai Servizi Associati è la scelta della struttura organizzativa. Dietro la STRUTTURA (parola asettica e burocratica) in realtà ci stanno le PERSONE; con le loro storie e conoscenze; le loro aspettative; le loro vite professionali. La riforma – vissuta nelle realtà piccole e medie - ci spinge verso tre direzioni nuove: -dal TUTTO COSI’ COSI’ (omnicomprensività) al MENO, MA MEGLIO (specializzazione); -fare DI PIU’ con MENO (razionalizzazione delle strutture, economie di scala, qualità, efficienza, efficacia e tempestività dei servizi); -Utilizzare al massimo le potenzialità delle NUOVE TECNOLOGIE (in particolare per tutte le attività di back office, modulistica, ecc.).

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