La figura di Eugenio Cefis - pionierieni.it · ex manager Eni, l' ingegner Camillo D' Amelio, a cui...

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La figura di Eugenio Cefis Da Wikipedia - Eugenio Cefis (Cividale del Friuli, 21 luglio 1921 – Lugano, 28 maggio 2004) è stato un dirigente d’azienda e imprenditore italiano. Fu consigliere dell’AGIP, presidente dell’ENI e presidente della Montedison. Nel 1963 venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce, massimo riconoscimento della Repubblica Italiana. Per il suo ruolo nella loggia massonica P2 e i forti sospetti avanzati da Mauro de Mauro e Pier Paolo Pasolini su un suo coinvolgimento nell’attentato a Enrico Mattei, cui succedette come Presidente dell’ENI, è una delle figure più controverse dell’ambiente imprenditoriale italiano. All'età di quindici anni si iscrisse all'Accademia Militare di Modena. Proveniente dalla carriera militare, durante la Resistenza fu vice comandante della Divisione Valtoce con il soprannome «Alberto». Fu tra i fondatori della Repubblica dell'Ossola. In quegli anni conobbe Enrico Mattei, che affiancò nell'attività di ristrutturazione dell'AGIP e, in seguito, nella fondazione dell'ENI. Alla morte di Mattei, occorsa in un attentato aereo nel 1962, divenne presidente dell'ENI Marcello Boldrini; Cefis gli succedette alla guida dell'ente petrolifero nel 1967. Secondo alcune voci della cultura italiana, Cefis avrebbe avuto tuttavia un ruolo oscuro nella morte di Enrico Mattei. Giorgio Steimetz (alias Corrado Ragozzino) lo descrisse come un nemico che tramava nell'ombra per ottenere la presidenza dell'ENI e neutralizzare la politica fortemente indipendente di Mattei: è la tesi espressa nel volume intitolato Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, Agenzia Milano Informazioni, Milano 1972. Il libro di Steimetz fu subito ritirato dal mercato e da tutte le biblioteche italiane, sparendo completamente dalla circolazione. In questo senso, Cefis avrebbe agito come rappresentante di poteri che volevano ricondurre la politica energetica italiana in orbita atlantica, con un comportamento coerente con i dettami delle multinazionali angloamericane del petrolio. Godette dell'appoggio di Amintore Fanfani e dei leader DC del Triveneto. In campo finanziario, seppe come ottenere la fiducia di Enrico Cuccia, il banchiere al vertice di Mediobanca. L'istituto di via Filodrammatici vantava dei crediti di difficile riscossione nei confronti della Montedison, il colosso chimico nato nel 1966 dalla fusione della Montecatini con l'ex azienda elettrica Edison. Cefis trovò il modo di aiutare Cuccia, iniziando segretamente a comprare azioni della Montedison con i soldi dell'Eni e i dovuti appoggi politici a Roma. Cominciò così la sua scalata al gigante chimico, che si concluse nel 1971, quando Cefis abbandonò l'ENI e divenne presidente della stessa Montedison. Questa mossa sollevò molte polemiche: egli infatti aveva utilizzato il denaro dell'ENI (cioè denaro pubblico) per diventare presidente di una società privata. Cefis progettò di fare della chimica un settore competitivo a livello internazionale sulla base di due considerazioni: a) le enormi potenzialità legate alla petrolchimica; b) la precisa convinzione dell'esistenza in Italia dello spazio per un solo grande operatore. Ma si rese ben presto conto che il governo, tramite le Partecipazioni statali, voleva entrare anche nella chimica e non gli avrebbe lasciato le mani libere. Dopo aver respinto una scalata alla Montedison condotta dalla "sua" ENI e da Nino Rovelli, appoggiati da Giulio Andreotti, decise che era il momento di attuare quella strategia che egli rivelerà alcuni anni più tardi in una delle sue rare interviste: "Non si può fare industria senza l'aiuto della politica e un giornale può servire da moneta di scambio". Cefis instaurò così un braccio di ferro con Gianni Agnelli, che non aveva nessun tipo di feeling con Fanfani ed era padrone de La Stampa di Torino, oltre ad essere nella proprietà del Corriere della Sera. Nel 1974 lo scontro ebbe come teatro la presidenza di Confindustria. L'Avvocato fece il nome del repubblicano Bruno Visentini, Cefis replicò con quello di Ernesto Cianci. Dopo un gioco di veti incrociati, alla fine si arrivò a un compromesso: Agnelli presidente e Cefis vicepresidente. L'intesa riguardò anche i giornali: Cefis ebbe via libera per Il Messaggero (il quotidiano più venduto di Roma), Agnelli ottenne che La Gazzetta del Popolo non desse più fastidio alla Stampa (infatti verrà chiusa nel giro di pochi anni) e in cambio acconsentì che la Rizzoli acquistasse il Corriere. A metà degli anni settanta il suo potere

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La figura di Eugenio Cefis

Da Wikipedia - Eugenio Cefis (Cividale del Friuli, 21 luglio 1921 – Lugano, 28 maggio 2004) è stato un dirigente d’azienda e imprenditore italiano. Fu consigliere dell’AGIP, presidente dell’ENI e presidente della Montedison. Nel 1963 venne insignito dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce, massimo riconoscimento della Repubblica Italiana. Per il suo ruolo nella loggia massonica P2 e i forti sospetti avanzati da Mauro de Mauro e Pier Paolo Pasolini su un suo coinvolgimento nell’attentato a Enrico Mattei, cui succedette come Presidente dell’ENI, è una delle figure più controverse dell’ambiente imprenditoriale italiano.

All'età di quindici anni si iscrisse all'Accademia Militare di Modena. Proveniente dalla carriera militare, durante la Resistenza fu vice comandante della Divisione Valtoce con il soprannome «Alberto». Fu tra i fondatori della Repubblica dell'Ossola. In quegli anni conobbe Enrico Mattei, che affiancò nell'attività di ristrutturazione dell'AGIP e, in seguito, nella fondazione dell'ENI. Alla morte di Mattei, occorsa in un attentato aereo nel 1962, divenne presidente dell'ENI Marcello Boldrini; Cefis gli succedette alla guida dell'ente petrolifero nel 1967.

Secondo alcune voci della cultura italiana, Cefis avrebbe avuto tuttavia un ruolo oscuro nella morte di Enrico Mattei. Giorgio Steimetz (alias Corrado Ragozzino) lo descrisse come un nemico che tramava nell'ombra per ottenere la presidenza dell'ENI e neutralizzare la politica fortemente indipendente di Mattei: è la tesi espressa nel volume intitolato Questo è Cefis. L'altra faccia dell'onorato presidente, Agenzia Milano Informazioni, Milano 1972. Il libro di Steimetz fu subito ritirato dal mercato e da tutte le biblioteche italiane, sparendo completamente dalla circolazione. In questo senso, Cefis avrebbe agito come rappresentante di poteri che volevano ricondurre la politica energetica italiana in orbita atlantica, con un comportamento coerente con i dettami delle multinazionali angloamericane del petrolio.

Godette dell'appoggio di Amintore Fanfani e dei leader DC del Triveneto. In campo finanziario, seppe come ottenere la fiducia di Enrico Cuccia, il banchiere al vertice di Mediobanca. L'istituto di via Filodrammatici vantava dei crediti di difficile riscossione nei confronti della Montedison, il colosso chimico nato nel 1966 dalla fusione della Montecatini con l'ex azienda elettrica Edison.

Cefis trovò il modo di aiutare Cuccia, iniziando segretamente a comprare azioni della Montedison con i soldi dell'Eni e i dovuti appoggi politici a Roma. Cominciò così la sua scalata al gigante chimico, che si concluse nel 1971, quando Cefis abbandonò l'ENI e divenne presidente della stessa Montedison. Questa mossa sollevò molte polemiche: egli infatti aveva utilizzato il denaro dell'ENI (cioè denaro pubblico) per diventare presidente di una società privata.

Cefis progettò di fare della chimica un settore competitivo a livello internazionale sulla base di due considerazioni: a) le enormi potenzialità legate alla petrolchimica; b) la precisa convinzione dell'esistenza in Italia dello spazio per un solo grande operatore. Ma si rese ben presto conto che il governo, tramite le Partecipazioni statali, voleva entrare anche nella chimica e non gli avrebbe lasciato le mani libere. Dopo aver respinto una scalata alla Montedison condotta dalla "sua" ENI e da Nino Rovelli, appoggiati da Giulio Andreotti, decise che era il momento di attuare quella strategia che egli rivelerà alcuni anni più tardi in una delle sue rare interviste: "Non si può fare industria senza l'aiuto della politica e un giornale può servire da moneta di scambio".

Cefis instaurò così un braccio di ferro con Gianni Agnelli, che non aveva nessun tipo di feeling con Fanfani ed era padrone de La Stampa di Torino, oltre ad essere nella proprietà del Corriere della Sera. Nel 1974 lo scontro ebbe come teatro la presidenza di Confindustria. L'Avvocato fece il nome del repubblicano Bruno Visentini, Cefis replicò con quello di Ernesto Cianci. Dopo un gioco di veti incrociati, alla fine si arrivò a un compromesso: Agnelli presidente e Cefis vicepresidente.

L'intesa riguardò anche i giornali: Cefis ebbe via libera per Il Messaggero (il quotidiano più venduto di Roma), Agnelli ottenne che La Gazzetta del Popolo non desse più fastidio alla Stampa (infatti verrà chiusa nel giro di pochi anni) e in cambio acconsentì che la Rizzoli acquistasse il Corriere. A metà degli anni settanta il suo potere

era enorme. Nel 1977 Cefis lasciò improvvisamente la scena pubblica per ritirarsi a vita privata in Svizzera e gestire il suo patrimonio, stimato allora in cento miliardi di lire.

Dal Corriere della Sera - Se si nomina Enrico Mattei il primo nome che viene in mente subito dopo è Eugenio Cefis. Ma mentre ancora di recente la pubblicistica sul primo è di una ricchezza incredibile e continuano ad uscire o ad essere annunciati libri e lavori sulla sua figura, di quello che è stato prima il suo più stretto collaboratore e poi il suo successore alla testa dell' Eni si sa tutto sommato ancora poco. È un caso in cui gli interrogativi, o se vogliamo le leggende, prevalgono. È una figura ancora avvolta nel mistero e gli storici avranno il loro da fare per venire a capo di alcuni quesiti rimasti insoluti. Cefis è scomparso due anni fa a 82 anni e una delle disposizioni che ha lasciato alla segretaria e assistente che lo ha seguito per una vita, Franca Micheli, è stata quella di distruggere il suo ricco archivio privato. La ricerca della massima privacy è stato del resto per il successore di Mattei un chiodo fisso tanto da far sua la battuta di un altro gelosissimo custode dei suoi segreti, Enrico Cuccia, che amava dire: «Non fa niente se un manager va a caccia di donne, guai però se parla con i giornalisti». Ho conosciuto Eugenio Cefis nel 2002 e mi è capitato di incontrarlo diverse volte nel suo studio di Lugano o in quello milanese di via Chiossetto. Sono stati lunghi colloqui ai quali ha partecipato un ex manager Eni, l' ingegner Camillo D' Amelio, a cui Cefis era rimasto legato sia dal punto di vista professionale che umano. Le lunghe discussioni che avemmo con Cefis sugli anni della vita partigiana, sulla nascita dell' Eni e il rapporto con le Sette Sorelle, sulla scalata della Montedison e i rapporti con Cuccia furono condensati poi in un progetto di lunga intervista che spaziava da Mattei fino agli anni dell' Italia berlusconiana. Il testo fu a lungo rivisto dallo stesso Cefis sempre con la fattiva collaborazione dell' ingegner D' Amelio. Per volere dell' anziano manager solo una parte dell' intervista sarebbe dovuta uscire con lui ancora in vita, la seconda mi disse «la pubblichi solo quando io sarò morto». Così è stato e sul Corriere della Sera del 6 e 7 dicembre 2002 uscirono in due puntate i ricordi di Eugenio Cefis su Mattei. La seconda parte dell' intervista è inedita e ve la proponiamo in due puntate. Per onestà va detto subito che non ci sono scoop o rivelazioni sensazionali, si tratta però sicuramente di un documento che può essere utile per chi vorrà scrivere la storia di un' epoca del nostro capitalismo. Del resto la figura di Cefis ha alimentato le ricostruzioni e la fantasia del giornalismo economico. Nasce con lui la definizione di «razza padrona» e in fondo è stato proprio l' ex comandante partigiano ad essere individuato come il primo dei poteri forti, una personalità all' intreccio tra economia e politica capace di condizionare gli assetti del Paese. A Lugano Cefis si era trasferito nel 1977 quando, sorprendendo tutti, si dimise da presidente della Montedison a soli 56 anni e tornò a fare l' imprenditore, in Canada e in Italia dedicandosi molto alla casa d' aste Finarte che amava molto. Fino all' ultimo conservò forte il senso del comando che gli era stato inculcato dall' esperienza partigiana quando i partigiani bianchi arrivavano a contendersi a fucilate con i rossi di Cino Moscatelli i lanci aerei yankee. «Lavorando fianco a fianco con i militari americani capii che solo uno sprovveduto come Mussolini poteva mettersi in guerra contro l' America», ebbe a dire raccontando la vita sulle montagne in attesa dei rifornimenti di armi (ma anche di cioccolata e persino di preservativi), che venivano lanciati con il paracadute. «Una volta un quadrimotore calò addirittura una macchina da scrivere richiesta da loro comandante ed ogni settimana arrivava, lanciata sempre con il paracadute, la posta dagli Usa». In montagna nasce il rapporto con Mattei e così, finita la guerra, «fondammo con il 50 per cento ciascuno una società in comune, una piccola azienda chimica che produceva materie plastiche e lavorava l' urea. Fu Cefis, nome di battaglia Alberto, a presentargli (a Cefis veniva da dire «mettergli a disposizione») uno dei politici più brillanti che l' Italia abbia avuto, Giovanni Marcora, il cui nome di battaglia da partigiano non a caso era Albertino. «Quando morì Ezio Vanoni, Mattei rimase scoperto politicamente. Allora partendo dal niente Marcora fondò la corrente della Base. Aveva in ogni comune una persona fidata per il tesseramento. E la Dc di Milano si trovò che la Base era diventata maggioranza». Mattei volle coinvolgere Cefis nell' avventura Eni. «Mi chiese: "Mi puoi dare una mano per seguire almeno alcune attività Snam?". Nel frattempo Enrico era stato convinto dall' ingegner Zanmatti della certezza che a Cortemaggiore ci fosse del gas metano». Ma oltre a reclutare persone a lui vicine il presidente dell' Eni seppe porsi in maniera adeguata e professionale il compito di formare una nuova classe dirigente, i mitici corsisti Eni. «L' amministratore delegato Mincato è uno di quelli - ricordava Cefis -. Lo vedi da come si muove, ha lo stampino dei corsisti di Mattei». Non sempre però le idee di Cefis e Mattei collimavano, per esempio sulla chimica. Cefis amava dire che «noi italiani siamo un popolo di navigatori, non di chimici. L' industria chimica non nasce come il radicchio dalla mattina alla sera. Richiede una scuola come del resto ce l' avevano tedeschi, inglesi e americani. L' Italia non ha tradizioni eccezione fatta per la giovane scuola di Natta alla Montecatini». Dall' Eni, Cefis se ne andò 4-5 volte e almeno in venti occasioni aveva minacciato le dimissioni. Raccontava di aver iniziato a collaborare alla Snam come vicepresidente incaricato di seguire acquisti, appalti e la produzione di contatori gas a Talamona, «un impiego di qualche pomeriggio alla settimana». Nel giro di pochi mesi l' incarico si era esteso all' Anic, poi all' Agip Mineraria, poi ad altri settori e

con la creazione dell' Eni si manifestò la necessità di lavorare a tempo pieno a Roma. «In quegli anni - mi disse Cefis - avevo comprato una tenuta di caffè in Tanzania e in quell' occasione avevo conosciuto Cuccia». Un incontro che si rivelerà fondamentale e che Cefis raccontava così. «All' Eni lavoravano due dirigenti italiani, il dottor Bartolotta e l' ingegner Campanini, che erano andati in Africa con l' Impero, là erano stati catturati e fatti prigionieri dagli inglesi assieme anche a Cuccia. Bartolotta mi disse che Cuccia mi voleva conoscere e così ci incontrammo. Lui mordeva il freno perché diceva "lei lavora solo con l' Imi e con Mediobanca niente". Io ancora non conoscevo Mediobanca e poi i soldi allora le banche ce li tiravano addosso». Il sodalizio con Cuccia durerà per anni. Sarà il banchiere siciliano molti anni dopo a insistere presso Cefis perché comprasse azioni Montedison e porre le premesse per il blitz che avrebbe portato l' Eni (pubblica) a condizionare l' azienda privata di Foro Bonaparte e poi Cefis a trasferirsi armi e bagagli dall' una all' altra sponda. Un' avventura che non fu delle più fortunate, causa prima lo shock petrolifero che sconvolse i prezzi, rese impossibile il risanamento e spinse la dirigenza Montedison ad avviare una gestione finanziaria aggressiva. Nel ' 77 però Cefis lasciando Foro Buonaparte spiazzò tutti e lo stesso Cuccia, che ne rimase fortemente contrariato. «Mi ha lasciato solo come un birillo tra le bocce», disse e proseguì «caro dottor Cefis, pensavo che lei facesse il golpe e invece se ne è andato». Ma di che tipo di golpe parlasse il grande vecchio della finanza italiana non è affatto chiaro. Un golpe militare in senso stretto o più probabilmente un rovesciamento dei rapporti tra industria pubblica e privata, una sorta di commissariamento dell' establishment? Vicinissimo alla Dc e a uno dei suoi capi più longevi, Amintore Fanfani, anticomunista ma rispettoso della forza del Pci e del prestigio dei suoi capofila, Cefis amava ricordare anche i suoi rapporti con il mondo politico laico. In particolare con Ugo La Malfa di cui rammentava l' abitudine di passare qualche giorno di vacanza a Stresa. «Nuotando a rana», raggiungeva Cefis ad Airolo sempre sul Lago Maggiore «prendeva il caffè e tornava indietro». In campo socialista al conflitto aperto che lo oppose a Giacomo Mancini l' ex presidente dell' Eni metteva come contraltare le ottime relazioni che aveva avuto con Francesco De Martino. Quanto all' ipotesi che pure aveva ampiamente animato le cronache dell' epoca che lo stesso Mattei un giorno o l' altro sarebbe entrato direttamente in politica l' opinione di Cefis era che non gli interessasse. Il Mattei visto dal suo successore era un uomo che «amava le realizzazioni» e non i cerimoniali di stato, «il risultato operativo» piuttosto che le burocrazie politiche.

Il volta faccia di Cefis di Benito Li Vigni Da A ruota libera

Eugenio Cefis, vice presidente dell’Eni, lasciò l’ente nel gennaio del 1962. Motivazione: doveva occuparsi degli affari della moglie. I suoi dissensi con Mattei risalivano all’estate del 1961 quando si pensava che era difficile per l’Eni, oberata di impegni finanziari, ritardare ulteriormente la resa dei conti. Ma, soprattutto, quando Mattei e il “Matteismo”, divennero un casus belli per il Foreign Office britannico, preoccupato che il Presidente dell’Eni stesse per spezzare la morsa costruita attorno a lui dal cartello petrolifero che aveva a Londra, nella British Petroleum e nella Royal Dutch Shell, il centro decisionale e strategico. La preoccupazione britannica verrà così espressa dal Foreign Office in suo rapporto confidenziale del 19 luglio 1962: «Il Matteismo è potenzialmente molto pericoloso per tutte le compagnie petrolifere che operano nell’ambito della libera concorrenza. Non è una esagerazione asserire che il successo della politica “Matteista” rappresenta la distruzione del sistema libero petrolifero in tutto il mondo». Era dunque logico che Eugenio Cefis, assurto alla guida dell’Eni alla morte di Mattei, non fosse disposto a scontrarsi con i centri del potere britannico tanto più che la sua politica finanziaria prevalente sulle scelte manageriali non poteva inimicarsi la finanza mondiale che aveva a Londra i suoi sacrari inviolabili.

A giustificazione del suo volta faccia Cefis sostenne che la situazione dell’Eni era disastrosa e non mancò di accusare Mattei di mettere in pericolo l’alleanza atlantica. In una testimonianza resa, nel 1989, al giornalista Nico Perrone, Cefis affermò: «Dire che la situazione dell’Eni era disastrosa “è un eufemismo”: il rapporto mezzi propri indebitamento, tranne che per la Snam, era un disastro. Avere una situazione economica solida e finanziaria tranquilla, era necessaria per fare quello che voleva fare Mattei. L’unico modo era l’autosufficienza economica e finanziaria. Sotto questo profilo la situazione invece era disastrosa. Andava negli occhi della classe che contava in Italia e nel mondo, le “Sette Sorelle” e la NATO. Gli unici alleati di Mattei erano il Pci e l’Unione Sovietica: ecco perché quella situazione era importante».

Cefis, dunque, non condivideva la politica di rottura portata avanti da Mattei nei confronti dei potentati economici e finanziari anglo-americani. A motivazione di questo dissenso lo accusò di aver voluto gestire politicamente l’Eni. «Tra me e Mattei», disse in una intervista «c’era una sostanziale diversità sulla gestione: il mio era un approccio di operatore industriale e basta, il suo era anche un approccio da operatore politico. Naturalmente anch’io accettavo la componente politica, ma essa era per me soltanto l’ultimo addendo all’interno

di un ragionamento che doveva arrivare alla conclusione partendo dalla valutazione prioritaria degli aspetti imprenditoriali e aziendali. In Mattei per le sue responsabilità e per la sua configurazione di uomo con un piede nel mondo imprenditoriale e con l’altro in quello della politica, la componente politica aveva, nella valutazione delle iniziative industriali, un peso di gran lunga superiore».

Appare quanto mai significativo che il volta faccia di Cefis avvenne nel momento in cui stavano per aprirsi prospettive migliori che l’Eni mai aveva avuto in precedenza, prospettive che non piacevano a determinati centri di potere nazionali e internazionali. I pozzi di petrolio del Sinai erano promettenti, le speranze del petrolio libico non erano del tutto tramontate stante la precarietà del potere di re Idris, l’intesa con l’Algeria era vicina come pure la collaborazione tra Algeria, Francia e Italia, in seguito estensibile alla Germania. La collaborazione avrebbe comportato la fornitura di gas naturale dall’Algeria all’Italia attraverso un gasdotto e la fornitura da parte italiana di servizi tecnici attraverso la costituzione di società miste. L’Eni avrebbe ottenuto la diretta proprietà su parte del greggio estratto. Inoltre, si era alla vigilia di un’intesa con gli americani e di un riconoscimento politico di Kennedy. «Mattei stava preparando una risposta così importante», ha scritto Marcello Colitti, «da cancellare d’un sol tratto tutte le difficoltà: l’accordo con la Esso. L’Eni aveva bisogno di greggio; gli americani e la Esso avevano paura dell’offensiva sovietica, e si rendevano conto che per batterla dovevano accettare condizioni e formule contrattuali relativamente nuove… Il programma americano non poteva riuscire più gradito a Mattei. Esso gli appariva come una vera e propria apoteosi, il riconoscimento pubblico e solenne della realtà dell’Eni e della politica petrolifera italiana; e tutto ciò senza che egli avesse ritrattato nulla, senza che avesse cambiato una virgola alla sua politica anti-colonialista e filo-araba. È facile immaginare il battage propagandistico e di stampa che ne sarebbe seguito, e il vantaggio politico che Mattei, accettato dagli americani e non più pericoloso, ne avrebbe tratto sul piano delle sue difficoltà con il centro-sinistra, con le banche italiane e internazionali e con i giornali che l’attaccavano. Aveva bisogno di un altro anno soltanto…».

Salito al vertice dell’Eni dopo la tragedia di Bascapè, Cefis, coerente alla linea di interessi particolari, assicurò che il piano strategico di Mattei naufragasse. Come vedremo, egli condusse le trattative con l’Algeria impostate da Mattei per poi ripudiare l’accordo, alla vigilia della firma del contratto e distruggere la credibilità che l’Eni si era costruita negli anni. Cadeva, dunque il progetto concepito da Mattei per una cooperazione energetica europea (senza gli inglesi) e si dissolveva la sua politica mediterranea e i presupposti che stavano alla base della linea di approvvigionamento europeo dall’Algeria. Dopo la morte di Mattei, infatti, il progetto Europa e l’azione mediterranea, con le loro innegabili implicazioni politiche, lasciarono il posto alla politica di Cefis, volta a stabilire rapporti di collaborazione con le grandi del petrolio evitando di turbare i vecchi e consolidati equilibri mondiali, specie quelli che più interessavano gli inglesi. Il Foreign Office britannico in un suo rapporto del 4 gennaio 1963, non mancò di sottolineare come la morte di Mattei avesse creato «un’atmosfera di sollievo per la perdita di un uomo che non tollerava nessun tipo di opposizione e che sarebbe stato difficile per qualunque governo, supponendo che qualcuno ci abbia mai provato, andare contro il volere di un uomo di questo tipo». E questo rapporto, emblematico dell’estrema avversione britannica nei confronti di Mattei, dava per scontato che Cefis sarebbe stato «più incline a favorire un corretto commercio del settore petrolifero e del gas e che il governo italiano avrebbe riportato l’Eni sotto il suo controllo confinandolo alle attività per le quali era stato creato (di operare a livello nazionale; n.d.a)».

Eugenio Cefis, uomo di smisurate ambizioni e abilissimo nel gestire gli affari, anche propri, installatosi al vertice dell’Eni, si preoccupò subito di «far pace» con le Sette Sorelle del petrolio e fu spontaneo mettere a raffronto la sua etica «liberista» con quella dello «Stato imprenditore» di Enrico Mattei, considerato il «padre di tutti i corruttori» della Prima Repubblica, l’antesignano delle commistioni fra industria pubblica e politica. Al momento della morte violenta l’inventore dell’Eni, colui che aveva fatto tremare le multinazionali petrolifere, viveva con la moglie in due stanze dell’hotel Eden di Roma. Né ville, né yacht, né proprietà terriere, né grandi patrimoni. Alla vedova il direttore del personale dell’Eni, consegnerà l’assegno della liquidazione: 54 milioni.

Ebbene, Cefis trasformò l’Eni in un “mercante” che opera entro spazi che altri gli assegnano, attuando con spregiudicatezza la politica di liquidazione dell’eredità di Mattei e di trasformazione dell’ente petrolifero di Stato in un soggetto subalterno alle grandi compagnie internazionali. Eliminò, inoltre, le tensioni sotterranee che esistevano prima tra il capo dell’Eni e coloro che per ruolo istituzionale ne avrebbero dovuto controllare l’operato. Fugò ogni preoccupazione di Fanfani su problemi internazionali e interni, quest’ultimi inerenti la sua “corrente”.

A volere Cefis alla guida dell’Eni fu proprio Amintore Fanfani che di Mattei non approvava la diplomazia parallela che copriva ampi spazi della politica estera italiana, diventandone spesso il protagonista. Tra gli

elementi del risentimento di Fanfani nei confronti del presidente dell’Eni, oltre ai problemi internazionali che investivano i rapporti con i governi americano e inglese, c’era il “complotto” di Mattei contro la sua corrente politica in Sicilia mandata all’opposizione dall’operazione Milazzo; e c’era un problema di gestione dei fondi Eni di finanziamento dei partiti che Mattei disponeva a suo piacimento. Una somma enorme che poteva fare la forza di un partito, di una corrente politica, di un uomo politico determinandone il peso e anche il successo. Era dunque uno strumento di forza e di potere che, venendo a mancare, penalizzava ogni velleità di supremazia politica all’interno del partito e più in generale, nell’ambito più ampio della lotta politica tra i vari schieramenti. Fanfani, di cui era nota l’aspirazione alla presidenza della Repubblica, come vedremo più avanti, aveva seri motivi di risentimento nei confronti di Mattei connessi alla sua gestione dei cospicui fondi Eni. A complicare i rapporti c’era l’emergente ruolo politico di Mattei sulla scena italiana, connesso alla mediazione di Kennedy e che avrebbe trovato la risoluta opposizione di Fanfani, in quel momento presidente del Consiglio.

* * *

«Era questa la politica che Cefis proponeva nell’estate del 1961, allorché Mattei, aveva invece deciso di ampliare il suo raggio d’azione?». Se lo chiede Giorgio Galli nel libro “La Regia occulta”, e si da questa risposta: «E probabile. La versione secondo la quale le dimissioni di Cefis furono sollecitate da Mattei perché questi si era reso responsabile di speculazioni in proprio in Sicilia, fornisce un elemento aggiuntivo, ma non determinante, della decisione del presidente dell’Eni di porre fine a una collaborazione quasi decennale. […] Si può ragionatamente supporre che Cefis avesse fatto presente questa sua posizione, a uomini della Dc (Fanfani in primo luogo), già nell’estate del 1961. vi erano senza dubbio dirigenti democristiani che anche prima della morte di Mattei sapevano che esisteva una politica dell’Eni alternativa a quella del presidente dell’Eni e un uomo (Cefis, appunto) in grado di attuarla. Questa politica aveva il vantaggio di assicurare alla Dc, nella fase di avvio del centrosinistra che tante ostilità suscitava nei settori conservatori della borghesia italiana, l’appoggio dell’amministrazione americana e dei potenti gruppi che con quell’amministrazione (impersonata da Kennedy) erano in eccellenti rapporti». E non è senza significato che «Vincenzo Cazzaniga, uomo di fiducia della Esso in Italia e ottimo amico di Cefis, diventa dopo la morte di Mattei l’intermediario più idoneo di una politica che assicura alla Dc la protezione e le tangenti delle grandi compagnie».

Nel 1977 Cefis lascia la Montedison, ma continua a lavorare dietro le quinte. Pare che si occupi delle sue proprietà, pare in Canada, e c’è qualcos’altro che lo impegna, qualcosa sul versante della loggia P2 che lo vedrebbe protagonista, anzi fondatore. Ci sono due appunti riservati del Sisde e del Sismi, decisamente inquietanti. Il 17 settembre del 1982 il Sisde scrive: «Intensi contatti sarebbero intercorsi in Svizzera fino ad agosto tra Licio Gelli ed Eugenio Cefis, presidente di Montedison International». Il 20 settembre 1983, è la volta del Sismi: «Notizie acquisite da qualificato professionista vicino a elementi iscritti alla P2 dei quali non condivide le idee: la loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita sino a quando è rimasto presidente della Montedison. Da tale periodo ha abbandonato il timone, a lui è subentrato il duo Ortolani-Gelli».

Anche la politica ha invaso spesso il terreno della giustizia attraverso ingiustificate e ingiustificabili intromissioni. Ne è un esempio l’interpellanza parlamentare del 24 gennaio 2001, presentata al Ministro della giustizia dall’onorevole Carlo Giovanardi, esponente del centrodestra, duramente rivolta contro il giudice Calia e la sua difficile inchiesta..

Nel 2004 il giudice Calia ha depositato una sentenza di archiviazione presso il Tribunale di Pavia che di fatto nega, a livello di pubblica conoscenza, l’esplosione in volo dell’aereo di Mattei. E se l’aereo non è esploso non è stato commesso alcun crimine. Dunque non ci sono colpevoli. Enrico Mattei aveva sognato un’Italia che stupisse il mondo, creando un gruppo dove c’era lavoro vero, risorse reali, immaginazione imprenditoriale, passione creativa, competizione accanita. Dopo Mattei ci sarà l’Eni di Eugenio Cefis e del suo «impero». Ci sarà l’Italia dei “fondi neri”, delle stragi, del potere economico-politico e dei suoi legami con le varie fasi dello stragismo. Ci sarà l’Italia degli scandali e della corruzione: dai veleni interni all’ente petrolifero nazionale fino a Tangentopoli, all’Enimont, alla madre di tutte le tangenti. Ci sarà la nebbia che avvolge da troppo tempo il caso Mattei (e tanti altri delitti), diventato uno dei grandi misteri italiani, in cui si proietta l’ombra sinistra del complotto di Stato; una macchia intollerabile per la nostra democrazia.

Angela Molteni

Enigma Pasolini Appunti su Pier Paolo Pasolini, su Petrolio, sull'assassinio mai chiarito dello scrittore,

sulle connessioni con i casi Mattei-De Mauro. Protagonisti, ipotesi, testimonianze.

Mattei e Cefis: sintesi e breve cronologia dell'ENI

La storia del petrolio in Italia nel secondo dopoguerra, e per certi aspetti fino ai nostri giorni, è legata alla figura di Enrico Mattei. All'inizio della guerra Mattei era un piccolo imprenditore di successo, al termine della guerra era il comandante militare di forze partigiane“bianche”. Durante un lungo e pericoloso periodo di clandestinità aveva dimostrato eccezionali capacità di organizzatore, portando i partigiani cattolici da 2.000 a 65.000. All'indomani della Liberazione, il 30 aprile 1945, Mattei fu nominato Commissario Straordinario dell'AGIP. Nelle intenzioni del Governo avrebbe dovuto liquidare la Società, ma Mattei si fece forte della grande importanza del gas metano, poi del petrolio, scoperti a Cavriaga, e di tutte le esplorazioni positive condotte dall'AGIP nella pianura padana. Una volta salvata l'azienda, Mattei guidò l'AGIP alla scoperta di numerosi altri giacimenti e alla metanizzazione del paese. Nel 1953, con l'istituzione dell'ENI, Mattei portò avanti a livello internazionale una spregiudicata e fruttuosa penetrazione dell'Italia nei santuari petroliferi delle grandi multinazionali americane e anglo-olandesi. Questa sfida gli costò la vita. Mattei morì in un attentato il 27 ottobre 1962: l'evento fu classificato come incidente aereo fino agli anni 2000, quando il magistrato di Pavia Vincenzo Calia, a seguito della riapertura dell'inchiesta sulle cause della morte di Mattei, provò che il piccolo aereo a reazione sul quale viaggiava insieme a due altre persone fu sabotato all'aeroporto catanese di Fontanarossa e fatto esplodere con un meccanismo collegato al sistema di apertura del carrello, cosa che avvenne nei cieli di Bascapè, in prossimità dell'aeroporto milanese di Linate. Un “mistero” risolto a metà, quello della morte di Enrico Mattei, poiché – malgrado alcune ipotesi molto realistiche che riconducevano a Eugenio Cefis e alla manovalanza mafiosa – non si sono potuti raccogliere sufficienti elementi giudiziari che avessero valenza di prove. Il gigantesco sforzo dell'industria di Stato sotto la direzione di Mattei può essere racchiuso tra due cifre. Nel 1953 furono estratte in Italia 85.000 tonnellate di petrolio, nel 1961 la cifra aveva raggiunto 1.400.000 tonnellate.

Breve cronologia - Anni '50: accordi dovuti a rapporti personali di Mattei instaurati in Marocco, Urss, Libia, Iran, Tunisia, Nigeria, Sudan, Pakistan, Egitto, Cina per bypassare la dipendenza dalle grandi compagnie petrolifere americane (le cosiddette Sette sorelle) - 1957: Cefis entra all'ENI come vicedirettore. Ne esce nel 1960, sospettato di interessi lobbistici e di accordi segreti con le concorrenti americane - 1962: Boldrini succede a Mattei nella presidenza dell'ENI, ma senza un reale potere. Esplode la lottizzazione delle correnti Dc. Il governo reale dell'ENI è in mano a Eugenio Cefis (cattolico di destra, con una visione autoritaria, forse golpista, della politica; fermamente antisindacale; doppiogiochista con la Dc). Ritornato all'ENI come vicepresidente collabora con le Sette sorelle. L'ENI ne guadagna in forniture dal Medio Oriente e nell'ammissione a consorzi privati per le ricerche nel Mare del Nord. Si chiudono le operazioni in Marocco e in Sudan e si indebolisce la posizione complessiva dell'ENI in Africa - 1965: Rivincita degli ex sostenitori della privatizzazione dell'elettricità. Nasce la Montedison. È l'inizio di un lungo conflitto con l'ENI - 1967: Cefis diventa presidente ENI - 1971: Cefis lascia l'ENI per la Montedison sotto la regia di Mediobanca (Cuccia) e della Banca d'Italia (Carli). È esclusa qualsiasi ingerenza di ENI in Montedison. Raffaele Girotti assume la presidenza dell'ENI. - 1973: Crisi petrolifera (guerra del Kippur) [73]. - 1975: Pietro Sette succede a Girotti - 1977: Eugenio Cefis lascia improvvisamente la vita pubblica per ritirarsi a vita privata in Svizzera e gestire il suo patrimonio personale