LA DOMENICA - Le notizie e i video di politica, cronaca...

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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011 NUMERO 353 I Bocconiani, dentro la fabbrica del potere L’attualità TITO BOERI e ETTORE LIVINI L’esplosivo mercato delle App Next RICCARDO LUNA CULT La copertina BARTEZZAGHI E CASSANO Torna mamma tv: vestirsi o arredare i programmi che insegnano a vivere La recensione VALERIO MAGRELLI Amori e guerre come è difficile la vita in famiglia secondo Veronesi All’interno L’intervista ANAIS GINORI Daniel De Roulet “Il mio romanzo tra Feltrinelli e la maratona” La lirica DINO VILLATICO La “Semiramide” di Rossini splende nella regìa di Ronconi Il libro ALESSANDRO BARICCO Una certa idea di mondo: chi ha inventato il Romanticismo? NEW YORK «L ei pensa che sono indulgente nel giudizio su Mao Zedong? Troppo positivo su Zhou En- lai?». Chi lo avrebbe mai detto: Henry Kis- singer, che ha frequentato con una familia- rità unica al mondo i padri fondatori della Repubblica Popolare ci- nese, scoprendone i vizi e i tic più intimi, legge con attenzione ma- niacale le recensioni del proprio libro, Cina. Sente il bisogno di giu- stificarsi, ribatte con puntiglio. Ecco davanti a me — comunque lo si giudichi secondo criteri politici o etici — un vero gigante della Storia. C’è chi contestò il suo Nobel per la pace, e lo considera responsabile di crimini contro l’umanità, per il ruolo che gli viene attribuito nei bombardamen- ti della Cambogia (1970), o nel golpe contro Salvador Allende in Cile (1973). Ma col passare degli anni, nella sua straordinaria in- fluenza sulle relazioni internazionali il capitolo che s’impone su tutti è l’apertura alla Cina. (segue nelle pagine successive) P erdutamente innamorato di se stesso eppure tormen- tato dall’insicurezza del bambino ebreo bastonato nel- la Germania nazista, Heinz Alfred Kissinger — «Henry» per la Storia — fu il geniale stratega “barbaro” chiama- to a difesa dell’impero americano traballante, nel suo massimo e ul- timo fulgore. Ormai quasi novantenne — è del 1923 — eppure sem- pre evasivo, reticente e vanitosamente bugiardo nel raccontarsi, Kissinger è stato quello che il germanico Flavio Stilicho — Stilicone — fu per la Roma vacillante del Quinto secolo. Il generale converti- to alla causa che riesce a puntellare, e prolungare, l’esistenza di un mondo che sta crollando. Nessun altro uomo nella storia america- na ebbe tanto potere e prestigio senza essere stato eletto a nessun incarico. «Super K», come venne soprannominato all’inizio dei Set- tanta, in coincidenza con il collasso dell’autorità politica incarnata dal suo protettore e succube Richard Nixon, non fece ma fu la poli- tica estera Usa per almeno otto anni, dal 1969 al 1977. (segue nelle pagine successive) Intervista al Doctor K Quarant’anni fa portò la Cina dentro l’Occidente E oggi che la Storia gli ha dato ragione Henry Kissinger confessa: “L’America non ha ancora capito” FEDERICO RAMPINI VITTORIO ZUCCONI FOTO MICHELINE PELLETIER/CORBIS Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 20NOVEMBRE 2011

NUMERO 353

I Bocconiani,dentro la fabbricadel potere

L’attualità

TITO BOERI e ETTORE LIVINI

L’esplosivomercatodelle App

Next

RICCARDO LUNA

CULT

La copertina

BARTEZZAGHI E CASSANO

Torna mamma tv:vestirsi o arredarei programmi cheinsegnano a vivere

La recensione

VALERIO MAGRELLI

Amori e guerrecome è difficilela vita in famigliasecondo Veronesi

All’interno

L’intervista

ANAIS GINORI

Daniel De Roulet“Il mio romanzotra Feltrinellie la maratona”

La lirica

DINO VILLATICO

La “Semiramide”di Rossinisplende nella regìadi Ronconi

Il libro

ALESSANDRO BARICCO

Una certa ideadi mondo:chi ha inventatoil Romanticismo?

NEW YORK

«Lei pensa che sono indulgente nel giudizio suMao Zedong? Troppo positivo su Zhou En-lai?». Chi lo avrebbe mai detto: Henry Kis-singer, che ha frequentato con una familia-

rità unica al mondo i padri fondatori della Repubblica Popolare ci-nese, scoprendone i vizi e i tic più intimi, legge con attenzione ma-niacale le recensioni del proprio libro, Cina. Sente il bisogno di giu-stificarsi, ribatte con puntiglio.

Ecco davanti a me — comunque lo si giudichi secondo criteripolitici o etici — un vero gigante della Storia. C’è chi contestò il suoNobel per la pace, e lo considera responsabile di crimini control’umanità, per il ruolo che gli viene attribuito nei bombardamen-ti della Cambogia (1970), o nel golpe contro Salvador Allende inCile (1973). Ma col passare degli anni, nella sua straordinaria in-fluenza sulle relazioni internazionali il capitolo che s’impone sututti è l’apertura alla Cina.

(segue nelle pagine successive)

Perdutamente innamorato di se stesso eppure tormen-tato dall’insicurezza del bambino ebreo bastonato nel-la Germania nazista, Heinz Alfred Kissinger — «Henry»per la Storia — fu il geniale stratega “barbaro” chiama-

to a difesa dell’impero americano traballante, nel suo massimo e ul-timo fulgore. Ormai quasi novantenne — è del 1923 — eppure sem-pre evasivo, reticente e vanitosamente bugiardo nel raccontarsi,Kissinger è stato quello che il germanico Flavio Stilicho — Stilicone— fu per la Roma vacillante del Quinto secolo. Il generale converti-to alla causa che riesce a puntellare, e prolungare, l’esistenza di unmondo che sta crollando. Nessun altro uomo nella storia america-na ebbe tanto potere e prestigio senza essere stato eletto a nessunincarico. «Super K», come venne soprannominato all’inizio dei Set-tanta, in coincidenza con il collasso dell’autorità politica incarnatadal suo protettore e succube Richard Nixon, non fece ma fu la poli-tica estera Usa per almeno otto anni, dal 1969 al 1977.

(segue nelle pagine successive)

Intervistaal

Doctor K

Quarant’anni fa portòla Cina dentro l’OccidenteE oggi che la Storiagli ha dato ragioneHenry Kissingerconfessa: “L’Americanon ha ancora capito”

FEDERICO RAMPINI VITTORIO ZUCCONI

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Pechino ieri e oggi,la primavera araba,i diritti umani, l’età che avanzaIl campionedella realpolitikraccontail passaggio di secolo

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DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

La copertinaIntervista a Kissinger

mentando il tramonto di Berlusconi michiede se l’Italia abbia rimpianti perGiulio Andreotti; avendo appreso cheho ascoltato il suo libro sull’iPod facen-do jogging a Central Park, si scherniscedi non poter fare altrettanto: «Dovreioperarmi all’anca, ma significa sop-portare sei mesi di immobilità, e allamia età sei mesi sono troppo preziosi».È il suo ultimo libro l’occasione dell’in-tervista. L’opera omnia di Kissingerriempie diversi scaffali, eppure ho lasensazione che per lui Cinasia il più im-portante. Perché affronta l’eredità piùduratura del Kissinger-statista. E per-ché nei confronti della Cina il Kissin-ger-studioso dispiega la sua insaziabi-le curiosità intellettuale. Non è un caso

se, in un segno di inconsueta modestia,il pronome «io» vi appare solo a pagina213 dell’edizione americana. Certo,quella è per molti lettori la parte piùghiotta: il racconto in prima persona diun exploit formidabile, il “disgelo” Wa-shington-Pechino preparato qua-rant’anni fa dalla sua sapiente regia.Ma prima di arrivare a quelle pagine diretroscena avvincenti su sua maestàimperiale Mao che umilia un Kruscevin mutande in piscina, e sul mandari-no-filosofo Zhou, Kissinger impone allettore una lezione di storia, lo accom-pagna nella scoperta di una civiltà, de-cifra le radici della «visione del mondo»che guida Pechino. Dalla strategia mi-litare di Sun Tze al gioco del Go o “wei-

qi”, una sorta di antenato cinese degliscacchi, indispensabile per capire le«strategie di accerchiamento», Kissin-ger ci guida nei meandri di una culturamillenaria. L’immenso rispetto che haverso quella civiltà mi spinge a chie-dergli se pensa che vivremo in un «se-colo cinese», nel senso di un nuovo or-dine mondiale disegnato da Pechino.«Non credo — risponde — perché i lea-der cinesi pensano che un ordine mon-diale esiste già, non vedono la necessitàdi costruirne un altro. Considerano na-turale che la Cina debba avervi un ruo-lo primario, che le altre nazioni devonoriconoscerle. Noi abbiamo un’ideadelle relazioni internazionali fondatesu basi di tipo legalistico. I cinesi le ve-

dono organizzate attorno al rispettoper le loro dimensioni. Se la Cina con-quista una posizione preminente, que-sto è il fondamento del nuovo ordine,non la struttura legale». Uno scopo delsuo saggio è didattico: offrire agli ame-ricani le chiavi interpretative di unmondo per loro ancora misterioso.Uno degli effetti della crisi iniziata nel2008, è che i tempi del sorpasso econo-mico Cina-Usa si stanno accorciando.Ne sono consapevoli i suoi concittadi-ni? È preparata l’America ad affrontar-ne le conseguenze? La sua riposta è sec-ca: «No. Gli americani nell’insieme tut-tora trovano difficile credere che qual-siasi altra nazione possa raggiungere laparità con loro. La crisi ha costretto gli

(segue dalla copertina)

Non è esagerato affer-marlo: il mondo in cuiviviamo, questa econo-mia globale plasmatadall’irruzione del colos-so asiatico, porta le in-

confondibili impronte digitali di Doc-tor Kissinger. Doctor, è il titolo con cuitutti lo chiamano, anche oggi nello staffdi specialisti che lavorano per lui al 350di Park Avenue, presso la Kissinger As-sociates, società di consulenza geo-strategica che annovera tra i clientimolti governi (quasi sempre anonimi:Kissinger rinunciò a presiedere la com-missione d’inchiesta sull’11 settem-bre, quando gli fu chiesto di divulgare inomi dei suoi clienti onde evitare con-flitti d’interessi). Doctor, il titolo che inAmerica distingue chi ha completatol’iter accademico del Ph.D. Per Kissin-ger la dimensione dello studioso è sem-pre stata essenziale. È uno strumentoper sovrastare i suoi interlocutori — in-clusi otto presidenti degli Stati Uniti —con una “potenza di fuoco” intellettua-le soverchiante. Nato 88 anni fa in Ba-viera, in una famiglia di ebrei tedeschifuggiti dalle persecuzioni naziste nel1938 e rifugiati a New York, nella sua se-conda patria Kissinger è stato anzitut-to uno studioso d’eccezione: Harvard,e una serie di opere memorabili sugliequilibri politico-diplomatici nell’Eu-ropa di Metternich. La sua carriera go-vernativa in senso stretto è durata solootto anni, dal 1969 al 1977, come segre-tario di Stato di Richard Nixon e GeraldFord. Anni memorabili, certo, perchécoincisero con l’apice e poi la fine dellaguerra del Vietnam, l’avvio della politi-ca di “distensione” con l’Urss, la guer-ra del Kippur e i due shock petroliferi.Ma il capolavoro di Kissinger, il dialo-go-alleanza con la Cina comunista diMao, ha fatto sì che la sua influenza sisia estesa ben oltre le AmministrazioniNixon e Ford. Tutti i presidenti succes-sivi, incluso Obama, hanno consultatoKissinger prima e dopo ogni summitcon un presidente cinese. E a Pechino,tre generazioni di leader da Deng Xiao-ping a Jiang Zemin a Hu Jintao hannocontinuato a ricevere Kissinger comeun “plenipotenziario ombra”. Lo ha vi-sto di recente il leader in pectore, il fu-turo presidente Xi Jinping.

Quando mi accoglie nel suo studionewyorchese, questa longevità dellasua influenza sull’asse Washington-Pechino è il primo tema della nostraconversazione. «Sì — osserva Kissinger— questo è il capitolo della politicaestera americana dove c’è più conti-nuità. Si sono succedute otto ammini-strazioni, senza discostarsi veramenteda quell’indirizzo. All’inizio dei loromandati, solo Reagan e Clinton prova-rono a cambiare qualcosa nella politi-ca verso la Cina, ma poi rientrarononella continuità. La mia eredità princi-pale? È il riconoscimento dell’impor-tanza di un riavvicinamento tra Ameri-ca e Cina, di una politica diretta allacooperazione». Oggi tante cose ci sem-brano scontate: non dico le favole di unG2, un direttorio sino-americano pergovernare il mondo, ma semplicemen-te l’intensità dei rapporti bilaterali, ilcredito cinese che finanzia il Tesoro diWashington, le cordialità che Obama eHu Jintao si scambiano in questi giorninei vertici Apec e Asean da Honolulu aBali; tutto ciò era impensabile quandola Cina di Mao era un «impero del Ma-le». Kissinger colse il momento per unamossa tattica vincente — profittò delloscisma comunista tra Pechino e Mosca— per alterare i rapporti di forze nellaGuerra fredda. Così pose le premesseper l’ingresso della Cina nel “nostro”universo contemporaneo.

Kissinger è in una forma strepitosa,all’altezza della sua leggenda anche neiminimi dettagli, dall’eleganza dellebretelle all’umorismo caustico: com-

FEDERICO RAMPINI

CON RICHARD NIXON

Uomo della realpolitik,

nel 1968 viene nominato

Consigliere per la sicurezza

nazionale al fianco

del presidente Richard Nixon

IL NOBEL CONTESTATO

L’impegno per la fine

della guerra in Vietnam gli vale

il Nobel per la pace (1973),

contestato per il presunto

ruolo nel golpe di Pinochet

L’APERTURA ALLA CINA

Dopo i viaggi segreti in Cina

nel ’71, gli incontri ufficiali

Nelle foto a destra dal basso:

con Mao (1972), Zhou Enlai

(1973), Deng Xiaoping (1974)

POLITICA DELLA DISTENSIONE

Dal 1973 Segretario di Stato,

lavora ai trattati Salt e Abm

per allentare la Guerra fredda

Negozia per la pace in Kippur

(a lato nel ’74 con Rabin)

“Quandoho scoperto

la Cina”

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DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

Stati Uniti a riconoscere l’importanzadel loro indebitamento verso la Cina,con la quale tuttavia devono anchecompetere. In questo senso, la loro con-sapevolezza ha raggiunto il livello piùelevato con Obama. Fino al 2000 nessu-no qui considerava la Cina come unavera concorrente, alla pari».

Fra le accuse rivolte a Kissinger c’èquella di avere promosso una realpoli-tik attenta ai rapporti di forza, agli inte-ressi strategici, poco sensibile ai dirittiumani. Lo provoco quindi sulla durez-za con cui il governo di Pechino ha rea-gito alla “primavera araba”, con un gi-ro di vite sui dissidenti. Lui che fre-quenta i leader cinesi, ha la percezioneche paventino un contagio? Sospetta-

no che gli Stati Uniti possano destabi-lizzare la Repubblica Popolare appog-giando qualche “rivoluzione arancio-ne”? «I dirigenti cinesi — mi risponde— credono certamente che qualcosa disimile a una “primavera araba” sia pos-sibile anche in Cina, ma non per effettodi un contagio o di ispirazione da altreparti del mondo. Non li preoccupa lapossibilità che un giorno il popolo ci-nese dica “facciamo anche noi come aPiazza Tahrir”, però hanno visto all’o-pera nel mondo arabo delle forze po-tenti, delle reti di comunicazione, chepossono essere replicate. Il governo ci-nese ha censito molte migliaia di “inci-denti sociali”, cioè rivolte. In quantoagli Stati Uniti, il governo di Pechino

diversamente. Ma stiamo attenti a nonravvivare nei cinesi i ricordi del loroXIX secolo, nel senso delle umiliantiinterferenze occidentali che furonocostretti a subire». (Avendo appresoche ho vissuto cinque anni a Pechino,scatta da parte sua un lungo contro-in-terrogatorio, un’intervista alla rove-scia: si capisce che il Doctor Kissingerha un lungo addestramento al lavorodi intelligence). Il colloquio scivolaverso i ricordi, affiora la nostalgia diKissinger per quei «lunghi dibattiti trame e Zhou Enlai, più adatti a due pro-fessori di filosofia». Infine un aneddo-to recente, di quest’estate: «Ero di nuo-vo in Cina a luglio. Gli organizzatorihanno fatto in modo di riunire tutte lepersone ancora vive, che avevano la-vorato a preparare il mio primo arrivodi quarant’anni fa. Tutti vecchi, perforza. C’erano una figlia di Deng Xiao-ping e una nipote di Mao. C’era perfi-no un anziano che all’epoca della miaprima missione segreta a Pechino la-vorava nei servizi di sicurezza. Mi haconfessato qual era l’incubo degli ad-detti alla nostra sorveglianza: che ladelegazione americana rubasse le pre-ziose porcellane custodite nel palazzodi Stato dove venivamo ospitati».

Il super guardianodel mondo in 2D

VITTORIO ZUCCONI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

(segue dalla copertina)

Tutte le grandi scelte strategiche destinate a cambiare il ruolo dell’A-merica nel mondo, e dunque il mondo, dal Vietnam alla Cina, dalla di-stensione con l’Urss di Breznev ai negoziati fra arabi e israeliani che

condussero alla pace fra Egitto e Israele portano il suo sigillo.Kissinger era un autentico, profondo conservatore, non un “neo”, un “po-

st”, una colomba o un falco, ma uno studioso di storia moderna che avevasposato come proprio ideale l’Europa ingessata dal cancelliere Metternichdopo la grande paura della Rivoluzione francese, nel 1815. Il mondo sogna-to da «Super K», che le copertine dei settimanali disegnavano nel 1973 conla cappa e la calzamaglia di Superman sotto il volto carnoso e le lenti da sec-chione anni Cinquanta, era un mondo rigidamente bipolare, fissato attor-no al duello fra Urss e Usa, “rossi” e “blu”, il colore assegnato all’Occidentecapitalista nei giochi di guerra. Tutto, dal Medio Oriente all’Africa, dove aogni nazione conquistata dai “rossi” nel risiko globale doveva corrisponde-re un altro governo arruolato dai “blu”, non importa quanto ripugnante.Ogni mossa, come la sua più ammirevole intuizione, la “carta cinese” cala-ta contro Mosca, doveva essere funzionale al mantenimento dell’equilibriofra l’impero americano e le tribù che premevano ai suoi lontani confini.

A questo obbiettivo sacrificò molto. La verità, prima di tutto. La sua capa-cità di mentire era leggendaria. Negoziava con arabi e israeliani fingendo diavere ottenuto concessioni di una parte per ingannare l’altra. La sua defini-zione del diplomatico, «un signore in smoking pagato per mentire per con-to del suo Paese», sintetizzava perfettamente la sua visione dei rapporti franazioni e corrispondeva alla personalità del suo “ultimo imperatore”, quelpresidente Nixon che lo volle come primo consigliori per la sicurezza na-zionale e poi come Segretario di Stato, pur diffidandone. Nixon era invidio-so del successo e della popolarità di “K”, dopo il grande colpo cinese, ma ful’ultima persona sulla cui spalla pianse la sera della dimissioni.

Nel creare il vortice dei successi, dell’adulazione, della vanità, la sua sto-ria personale era stato un vento formidabile. La fuga, nel 1938, dunque dal-l’ultima crepa ancora aperta in Germania prima del genocidio, con il padre,maestro di scuola a Fuerth. L’arruolamento nella Us Army allo scoppio del-la guerra, per ottenere la cittadinanza subito. La sua assegnazione ai repar-ti di intelligence dopo la Normandia e di denazificazione nei villaggi dellaGermania occupata. Il ritorno negli Usa, il Ph.D., il dottorato a Harvard, conuna tesi appunto sull’Europa dopo il Congresso della restaurazione post-napoleonica. Un titolo, quello di “dottore”, che nel suo incancellabile ac-cento germanico suonava sempre come «Doktor», al quale tiene moltissi-mo, anche più del discutibilissimo Nobel per pace dopo anni di guerra inVietnam. Ma fu l’incontro con David Rockefeller che fece di lui il futuro man-darino dell’impero americano. Gli fu affidato, nel 1973, il compito di forma-re la Commissione trilaterale, insieme lobby e think tank che raccolse i mi-gliori di Europa, Usa e Giappone, sempre per solidificare il campo dei “buo-ni” contro i “cattivi”, dal Pacifico all’Atlantico. E in questo mondo bipolare,dunque bidimensionale, lui era il grande giocatore pronto a tutto, anche alavorare per quel colpo di stato violento in Cile che uccise Salvador Allendee che pesa sulla sua reputazione. Tutto doveva essere sacrificato al mondoa due dimensioni, tranne il calcio, per il quale aveva una passione che lo por-tava spesso allo stadio di Torino con Gianni Agnelli anche se detestava, melo disse in un’intervista, il catenaccio e il difensivismo all’italiana.

La sua gloria, ma non i suoi guadagni attraverso le consulenze principe-sche offerte allo studio Kissinger Associates per sfruttare le sue relazioni pla-netarie, si sarebbe offuscata e poi appannata con la nascita di un mondo in3D, del mondo multidimensionale nel quale oggi viviamo. Lo stratega a duedimensioni non poteva essere anche l’uomo a tre dimensioni che questonuovo pianeta, che dal 1991 si è rimesso in moto, richiede.

LA CONSULENZA

Negli anni Ottanta fonda

una società di consulenza,

la Kissinger Associates,

specializzata nelle relazioni

tra i governi

IL LIBRO

Il saggio di Henry Kissinger,

Cina (Mondadori, 528 pagine,

22 euro), sarà in libreria

da martedì. Nella foto a sinistra

Kissinger di spalle nello Studio

Ovale con Ford (1975)

Nella foto di copertina

è nel suo ufficio nel 1973

© RIPRODUZIONE RISERVATA

CON GERALD FORD

Nel 1974 Nixon si dimette

per lo scandalo Watergate

Kissinger mantiene lo stesso

incarico con il nuovo

presidente Ford, fino al 1977

non pensa che incoraggino delle ribel-lioni cinesi, e tuttavia prevede che se ungiorno quelle rivolte dovessero avveni-re secondo dinamiche autonome, èprobabile che gli Stati Uniti finirebbe-ro per appoggiarle». Dunque, signormaestro della realpolitik, come possia-mo appoggiare i diritti umani in Cina?«Dobbiamo capire — dice Kissinger —che cosa intendiamo esattamentequando parliamo di diritti umani. Èutile che i dirigenti cinesi sappianoquali sono i nostri principi. Dobbiamorenderli consapevoli che pagherannoun prezzo quando violano i nostri va-lori. Io ho sempre trovato che l’ap-proccio più efficace è quello non osti-le. Capisco che altri possano pensarla

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MILANO

ario Monti? Non pervenuto. L’UniversitàBocconi è fatta così. Il 16 novembre il suopresidente sbarca a Palazzo Chigi. CorradoPassera, ex allievo e membro del cda — unwho’s who dell’Italia che conta — si acco-moda al suo fianco come super-ministrodell’Economia. Applaudito da un presiden-te della Confindustria, Emma Marcegaglia,laureata pure lei in via Sarfatti. Nasce il “go-verno dei bocconiani”, strepitano i detratto-ri. Ma il sito della Harvard dei Navigli ha altrodi cui occuparsi. Supermario può attendere.Niente foto, zero celebrazioni in home page.L’eroe del giorno — parola di www.uniboc-coni.it — è Carlo Edoardo Filippo Maria «fi-glio di papà, accento milanese, snob, vizia-to, abiti firmati», protagonista di 18 e lode, lanuova sitcom a episodi di BStudentTv, la te-levisione online autogestita dagli studentidell’ateneo.

Monti, assicura chi lo conosce, non si ècerto offeso. Lui, ovvio, è il fiore all’occhiellodell’università. Ma è il primo a sapere che iMonti del futuro iniziano a formarsi avent’anni nelle aule milanesi di fronte agli al-beri secolari del Parco Ravizza. ImpastandoKeynes e reality-fai-da-te, esami a raffica efeste sulle piste del Divina, gli ingredientieterogenei di quella misteriosa ricetta che ha

plasmato negli anni il mito della “lobby boc-coniana”, arrivata oggi, premier in primis, aoccupare molte delle poltrone di vertice delnostro paese.

«Una lobby? Io so solo che studiare qui è unpo’ come fare il militare negli Alpini» scherzaMario, 22enne studente del terzo anno, im-pegnato a dribblare i due leoni di marmo nel-l’ingresso di via Sarfatti, portatori — vuole lavulgata che nessuno osa contraddire — diun’antica maledizione (“Chi passa tra i leoninon si laurea alla Bocconi”). «Fai test durissi-mi per entrare — assicura — . Sottoscrivi uncodice d’onore vincolante. Impari a lavorarein gruppo, il rigore e l’eccellenza. Ma poi hai iltempo di fare il dj a Bocconi Radio o far tardicon i compagni ballando al Divina o al Lime-light. Valori e storie che ti entrano sotto pellesenza che tu te ne accorga e che ti porti dietrotutta la vita, come fanno i reduci della Juliacon il loro cappello con la penna».

La rete dei bocconiani nasce così. Arriva inalto (da qui sono usciti tra gli altri Marco Tron-chetti Provera, Alessandro Profumo, EnricoTommaso Cucchiani, Vittorio Grilli, PaoloScaroni, Tommaso Padoa Schioppa ed Em-ma Bonino), ma parte dal basso. «È una cosadifficile da spiegare — dice Luca De Vecchi exrappresentante degli studenti nel Consiglio

accademico e oggi avvocato — . Il senso di ap-partenenza a Mamma Bocconi inizia dallaquotidianità del primo anno di corso, come inun college Usa». Studi, dai esami, vai agli eu-ropei universitari di pallavolo a Istanbul, in-contri aziende e poi, nel weekend, sfidi glistudenti della Columbia e di Warwick nel-le regate di Santa Margherita. «E maga-ri ti capita, è successo a me, che men-tre sposti un tavolone di marmo perun incontro tra studenti arrivi Ma-rio Monti, si rimbocchi le mani-che, e si metta lì a darti una manocome una matricola qualsiasi»racconta De Vecchi. Chi non siadegua a questi ritmi a metàtra l’Ivy League e il villaggioValtur si arrangia. Una vol-ta perso il passo dei frene-tici tempi bocconiani — èil lato oscuro di via Sarfat-ti — sei tagliato fuori. Re-cuperare il terreno per-duto — anche se è statosolo un inciampo — èdifficile. Vale l’impie-tosa legge della sele-zione darwiniana ese abbandoni l’uni-versità, dice la tradi-zione, sai già che daqueste parti (qual-cuno dice si debbaproprio firmare unimpegno scritto)non potrai più met-tere piede.

Detto così pareun gioco per ricchi.E gli stereotipi ap-piccicati indelebil-mente ai bocconiani— dagli yuppie diSergio Vastano nelDrive indegli anni ’80fino al Carlo EdoardoFilippo Maria di 18 e lo-de — sono lì a confer-mare i cliché. Ma larealtà è un’altra cosa.Certo la retta annua me-dia (calcolando i 43.500euro di costo dei master) èdi 10.400 euro. «Ma qua c’ètanta gente che arriva da fuo-ri, studia dalla mattina alla se-ra, torna a casa una volta ognidodici mesi e riesce a mantener-si grazie alle borse di studio del-l’università», racconta AlessandraSanchi, studentessa al secondo an-no ma già bocconiana dentro. L’ate-neo ha garantito nel 2010 (per questio-ni di merito o di reddito) 23 milioni di eu-ro come borse e 1.500 posti letto a prezziagevolati nel mitico pensionato. Un altrodei toponimi dove tra pigiama party e lungheserate sui libri nasce e si consolida il senso diappartenenza all’istituzione. «Io ero romano,sono arrivato qui e dopo un po’, proprio alpensionato, ho conosciuto la donna che è di-ventata mia moglie», ha raccontato Fabrizio

LA DOMENICA■ 32

DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

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L’attualitàRagazzi di via Sarfatti

1903, LA BIBLIOTECA

Viene inaugurata

la biblioteca,

oggi considerata

tra le più importanti

d’Europa

con un patrimonio

di oltre 600mila volumi

1902, LA FONDAZIONE

L’imprenditoreFerdinando Bocconifonda a Milanol’UniversitàCommercialeLuigi Bocconi,in ricordo del figlio

IL CENTENARIO

Nel 2002l’universitàmilanesefesteggia i suoiprimi 100 anniemettendoun francobollocelebrativo

CELEBRITIES

Enrico

Tommaso

Cucchiani,

Luigi

Einaudi,

Vittorio Grilli,

Emma

Marcegaglia,

Tommaso

Padoa

Schioppa,

Alessandro

Profumo,

Paolo

Scaroni,

Nouriel

Roubini,

Fabrizio

Saccomanni

Luigi

Zingales

ETTORE LIVINI

il tempo impiegato per trovare

lavoro dal laureato

16 mesigli studenti iscritti

alla Bocconi

13.807la percentuale

degli stranieri

15%ammissioni ogni anno,

circa 8.000 le richieste

2.550

Il giorno in cui Mario Montisi insediava a Palazzo

Chigi,sul sito dell’ateneo l’eroe era il protagonista della sitcomautoprodotta “18 e lode”

RITI SCARAMANTICI

“Chi passa tra i leoni

non si laurea alla Bocconi”:

una “maledizione” obbliga

gli studenti a dribblare

i due leoni di marmo

all’ingresso dell’università

I Bocconiani

Il suo presidente è diventato Presidente del Consiglio

Dal suo cda arriva anche il super ministro dell’EconomiaSui suoi banchi hanno studiato sia il leader di Confindustria che il capodi Bankitalia. Per i detrattori è solo una lobby, per altriè l’università che produce classe dirigenteSiamo andati a vedere come funziona

Repubblica Nazionale

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Keynes e reality fai-da-te, esami a raffica e pigiama party, cultura del gruppoma soltanto se riesci a tenerne il passo “Cattivo ma fortificante,

è questo lo stile del nostro ateneo”dicono orgogliosigli studenti dell’Harvard milanese. Che dopo anni

di accuse di yuppismo oggi chiedono un Paese in cuici sia più meritocrazia e meno raccomandazioni

Saccomanni, direttore generale di Bancad’Italia.

La macchina della Bocconi, naturalmen-te, non lascia niente al caso. Il modello delcollege Usa (presto sarà pronto il nuovocampus da 100 milioni di via Castelbarco) èstato studiato a tavolino. L’università aiuta esostiene una lunga serie di associazioni chefanno gruppo: c’è quella per le danze balca-niche, una per gli studenti salentini, quella

legata alla Milton Friedman Society. Dapoco è nata Best, organizzazione che pro-muove «il rispetto tra le molte identitàdell’ateneo», decollata dopo la sospen-sione per un anno (la sanzione previstadal Codice d’Onore) di uno studentereo di aver pronunciato frasi controgli omosessuali. Tutto fa rete. E ilmeccanismo funziona.

Basta vedere cos’è successogiovedì scorso quando il corteodegli studenti “indignati” ha cer-cato di assediare l’università.«Noi ex allievi ci siamo auto-convocati via web. L’idea era difare un cordone attorno a viaSarfatti tenendo in mano unlibro di microeconomia —racconta De Vecchi — . L’o-biettivo? Spiegare ai ragazziche l’ateneo non è il simbolodei poteri occulti ma un po-sto dove si studia e si fa cul-tura». La chiamata alle armi,una cosa più da Templariche da ex-studenti di eco-nomia, non è stata necessa-ria. La polizia ha fermato ilcorteo prima che arrivassein via Sarfatti. Ma sul web, afutura memoria, è rimasto ilpost scritto di getto sul suoblog (Diario di una Biblioma-ne) dalla studentessa ChiaraDonadi «demoralizzata» per

la manifestazione. Un Bigna-mino che aiuta a capire dal di

dentro perché, dopo la laurea, siresta bocconiani tutta la vita: «La

Bocconi non è il paradiso né l’in-ferno, ma è uno dei pochi luoghi

in Italia che riesce a dare ai giova-ni l’orgoglio di un’identità — scrive

nel blog — . Ogni università dovreb-be essere come la nostra. Cattiva ma

fortificante come una maestra severadelle elementari. Deve farti piangere e

sentire solo, ma anche felice come dopouna lunga giornata di lavoro. Dandoti il

diritto di non aspettare raccomandazioni.O l’amico politico di tuo cugino. O l’avvoca-

to che ti prende in studio se ti fai scopare unavolta a settimana». Il blog di Chiara è statosubissato di centinaia di commenti di com-pagni di corso. Tutti d’accordo con lei. L’eradi Nicole Minetti e delle Olgettine è (speria-mo) in archivio. Pensionata, forse non è uncaso, da Mario Monti, l’archetipo della lobbydei bocconiani. Ma dietro di lui la nuova ge-nerazione della rete di via Sarfatti sta già af-filando le armi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pedalando verso la Bocconi in questigiorni di primo freddo dovrei forsesentirmi come Jinni Herf, il prota-

gonista di Manhattan Transfer, mentrescende a piedi lungo Broadway proce-dendo spedito verso Wall Street. In viag-gio verso il “centro delle cose”, nel cuorepulsante del governo dei poteri forti. Gliindignati americani diretti a Wall Streetsono stati bloccati sul ponte di Brooklyn.Gli studenti nostrani che protestavanocontro le banche sono arrivati fino inCorso Italia, a poche centinaia di metridalla Bocconi, la meta finale della loromanifestazione. Eppure nonostante lemie assidue e prolungate frequentazionidell'ateneo (ieri sera ho rischiato di rima-nervi chiuso dentro), vi assicuro che nonmi è mai capitato di incontrare nei corri-doi emissari di Goldman Sachs o di altrecentrali finanziarie internazionali inten-ti a tessere la loro ragnatela. A tarda serasi vedono solo assistant professors e stu-denti di dottorato dall’aria stralunataperchè magari non riescono in una di-mostrazione. Entrando nelle aule semi-nari, non ho mai avuto l’impressione diinterrompere delle cospirazioni; sem-mai ho potuto assistere a un fuoco amicodi critiche feroci a qualche ricercatoreche non era riuscito a convincere i colle-ghi che aveva davanti. Le sale del nuovoedificio hanno molta luce. Eppure chi as-simila Gordon Gekko alla Bocconi mi favenire in mente un vecchio proverbio ci-nese: “È molto difficile vedere un gattonero in una camera buia; soprattuttoquando il gatto non c’è”.

Il vero potere forte della Bocconi risie-de nel fatto che uno spezzone importan-te della classe dirigente sente un debitointellettuale verso l’università. Purtrop-po il fundraising fra questi ex alunni è increscita, ma ancora molto al di sotto diquello degli altri atenei nel mondo. Tra idocenti della Bocconi si trovano anchegli editorialisti delle maggiori testate ita-liane, da Alesina (part time in Bocconi) aGiavazzi, da Perotti a Tabellini, un grup-po con opinioni spesso molto distanti tradi loro, di cui anch’io penso di far parte.Non dovremmo essere molto influentidato che nessuna delle proposte da noiformulate su queste testate, mi risultache sia stata mai attuata.

La vera forza della Bocconi sono i suoi13.000 studenti, sempre più internazio-nali perché nel 15 per cento dei casi pro-vengono da paesi sparsi per il mondo eperchè durante il corso di studio vengonoaccettati per stage o programmi post lau-rea nelle migliori università del mondo. Lareputazione internazionale dell’univer-sità è in gran parte legata alla performan-ce di questi studenti nelle loro esperienzeoltre confine durante e dopo il corso distudio (uno su 5 trova lavoro all’estero).Sono proprio gli studenti, assieme al per-sonale amministrativo, a tenere insiemela baracca. Tre quarti delle entrate dellaBocconi è rappresentata dalle tasse diiscrizione. Sono alte, ma vengono appli-cate con maggiore progressività che le tas-se sul reddito degli italiani, anche perchévengono concesse 2000 borse di studio,1500 prestiti di studio e 1500 posti alloggia studenti bisognosi di aiuto. I lavoratoriautonomi vengono collocati automatica-mente nella fascia più alta. Se vogliono pa-gare di meno perchè hanno redditi piùbassi, spetta loro l’onere della prova.

Per molti anni la Bocconi ha avuto uncorpo docente quasi interamente italia-no. Ora si sta internazionalizzando:quattro nuovi incarichi su cinque sonostati affidati negli ultimi anni a docentistranieri, strappati alle migliori univer-sità europee e a qualche università ame-ricana di medio livello. Il vertice dell’Ate-neo — il Comitato esecutivo, oggi com-posto oltre che da Monti, dal rettore Ta-bellini, il vicepresidente Guatri, il consi-gliere delegato Pavesi e Antonio Borges(già rettore Insead) — ha il merito di ave-re molto sostenuto l’internazionalizza-zione dell'università. Ma poi tutto cam-mina sulle gambe dei docenti e degli stu-denti che affollano l’Università anche inquesti nebbiosi weekend milanesi. Sonoquesti ultimi i veri poteri forti: di talentoe determinazione.

TITO BOERI

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1941, LA NUOVA SEDE

Per motivi di spazio,

la sede originaria viene

spostata da largo Notari

a via Sarfatti 25

per un progetto curato

dall’architetto

Giuseppe Pagano

CONTESTAZIONE

Il vento del ’68scuote l’ateneoNel ’73 lo studenteRobertoFranceschimuorenegli scontricon la polizia

LUIGI EINAUDI

In occasionedel 50° anniversariodalla sua fondazione,il Presidentedella RepubblicaLuigi Einaudi presenziaalla cerimonia

DRIVE IN

Gli anni Ottanta sono

gli anni dello “yuppismo”,

la Bocconi diventa meta

dei giovani “rampanti”

ma anche bersaglio

dei comici in tv

Dentrola fabbricadell’Italia che conta

© RIPRODUZIONE RISERVATAposto nella classifica mondiale

2010 del Financial Times

25°il costo medio di un master

in Business Administration

43.500 eurole borse di studio

stanziate nel 2010

23milioni di euro

Dove stala forza

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La sua graphic novel, “L’approdo”,ha commosso il mondo. Poi è arrivato l’Oscarper “Oggetti smarriti”. Ora l’artista australianoha aperto i suoi taccuini popolati di re uccelli,animali meccanici, fantasmiAbbiamo chiesto a un suo illustrecollega e ammiratore di leggerliper noi a pochi giornidalla pubblicazione in Italia

L’immagineRecensioni d’autore

rrivano due libri. Li ho fatti mandare all’indi-rizzo di mia madre perché io sono spesso ingiro e i pacchi arrivano fino al cancello di ca-sa, rimbalzano nel campanello senza rispo-sta e tornano indietro. Magari non subito, sifanno qualche giorno all’ufficio postale, poitornano indietro.

Mia madre mi ha chiamato. Il pacco con i li-bri, come avevo chiesto, era indirizzato a lei. Loha aperto, c’era un biglietto, lo ha letto. Mi hachiamato, impaurita: è arrivato un pacco e c’èun biglietto dove «qualcuno» ha scritto chespera che questo sia il primo pacco, che pos-sano essercene altri in futuro. Mi dice che te-me di dover pagare qualcosa a qualcuno.

Quel pacco, che ho fatto inviare a casa dimia madre, conteneva due libri disegnati daShaun Tan.

Questo giornale mi ha chiesto di leggere(guardare) questi due libri e scrivere questotesto. Ho risposto che non avrei saputo farlo,credo di averlo ripetuto più volte, poi ho accet-tato. Masochismo. Sapevo che avrei soffertoguardando (leggendo?) i libri di Tan.

Shaun Tan è un grandissimo disegnatore.Anni fa ha pubblicato un volume, intitolatoL’approdo, che gli ha dato, anche da noi, unacerta notorietà. Io quel volume l’ho visto sulbanco di un editore a una fiera di fumetti. Nonricordo quale. L’ho visto, sapevo che nel 2008aveva vinto un premio prestigioso al festival diAngoulême, in Francia.

L’ho visto. L’ho toccato. L’ho sfogliato. Nonl’ho comprato.

Quel libro conteneva dei disegni meravi-gliosi. Anche io sono un disegnatore. O meglio,ho fatto il disegnatore per tantissimi anni, poiqualcosa si è rotto.

Per questo non ho comprato il libro di Tan.In quelle pagine c’erano disegni bellissimi eogni sguardo mi provocava una fitta precisa alfegato.

Il dolore dell’invidia. Non pensate subito male. Il sentimento del-

l’invidia è stato, per me, uno stimolo e un mo-tore che spingeva a disegnare, a raccontare, asperimentare, per tanti anni. Un’invidia dolce,che non provoca reazioni dannose per gli altri,ma solo questo cucinarsi un male al fegato.

Succede che, vedendo il lavoro di altri chesono andati più avanti di noi e che hanno avu-to maggiore costanza e migliori intuizioni, sipossa provare questo dolore. L’importante ètramutarlo in lavoro e non fargli prendere quelconnotato distruttivo e maligno al quale il ter-mine stesso di “invidia” viene automatica-mente associato.

Le tavole (una tavola è una pagina disegna-ta) di Shaun Tan in L’approdo erano magnifi-centi. Provavo invidia anche solo a immagina-re il tempo che era riuscito a dedicare a ognisingolo disegno. Quanta resistenza era riusci-to a offrire alla vita vera, quella che chiama ol-tre la porta, fuori dalla finestra, via dal tavolo dadisegno? In passato, quando il Dio del disegnonon mi aveva ancora abbandonato (tornerà?)

GIPI

A

L’uomo che disegnacome un bambino

INEDITI

I disegni di queste

pagine sono tratti

da Il re degli uccelli

di Shaun Tan

e sono un collage

di tutte le tecniche

dell’artista

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disegno (di cui sopra) e il foglio.Shaun Tan cambia stile in questi disegni e

cambia tecnica come fa un disegnatore inna-morato del mezzo che ha nelle mani, con la vo-glia di giocare che è tipica del disegnatorebambino, del disegnatore bravo.

Non avrei voluto scrivere questo testo, in-tanto perché quando si passa a parlare del la-voro degli altri significa che si è finiti nellasquadra di quelli che parlano, vuol dire che leparole hanno vinto sulle cose da fare. Bruttosegno, per me. E perché conoscendo l’enor-me talento di Shaun Tan sapevo che avreisofferto.

Ho accettato lo stesso. È andata così. Masochismo e meraviglia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I LIBRI

Re degli uccelli, terranauti, cinghialimeccanici, gufi fantasma. Uno dopol’altro i personaggi che popolanola fantasia di Shaun Tan insiemeai bozzetti, gli appunti e i ritrattiscorrono nei suoi taccuini di lavoroElliot li pubblica con il titoloIl re degli uccelli in una raffinataedizione moleskine (128 pagine, 18,50 euro) insieme alla nuova graphicnovel del disegnatore australianoscritta da Gary Crew: Memorial(32 pagine, 16,50 euro)Entrambi i volumi saranno in libreriada martedì. I disegni che illustranoqueste pagine sono tratti dai taccuini

L’ARTICOLO

Gipi, vero nome Gianni Pacinotti, è uno dei più bravi disegnatori italiani

Collabora con Repubblica ed è autore di graphic novel come Appunti per una storia

di guerra, LMDM, Diario di fiume e altre storie, Verticali, tutte edite da Coconino Press

Ha vinto prestigiosi premi internazionali come quello di Angoulême e quest’anno

ha debuttato come regista. Il suo L’ultimo terrestre, prodotto da Fandango,

era in concorso alla Mostra del cinema di Venezia

questo genere di trauma mi portava a stringe-re i denti e mettermi al tavolo da lavoro. Neglianni vissuti a Parigi, in stretta vicinanza conamici e autori di fumetto di enorme talento,questa invidia era comparsa più volte. Veden-do le tavole nascenti di Cinquemila chilometrial secondo di Manuele Fior, per esempio, o ilnuovo vitale e raffinatissimo stile grafico deiQuaderni ucraini di Igort, o, ancora, l’umori-smo graffiante e stralunato dei racconti diAlessandro Tota e il genio della narrazione diGiacomo Nanni. Spesso, con gli altri autori cimostravamo i lavori in corso. Credo di poter di-re che il sentimento di “invidia costruttiva”provato da me nel vedere i loro lavori sia statocorrisposto, a volte. Lo spero, almeno.

La cosa buffa è che questo sentimento non

ci allontanava, al contrario ci avvicinava comese giocassimo nella stessa squadra e, in qual-che modo, ogni passo in avanti di uno potessefacilitare l’avanzare di un altro. Certo, quelpasso doppio avremmo voluto farlo tutti noi,ma in quel momento lo aveva fatto solo uno,sarebbe arrivato il turno di ognuno, infine.

Eravamo amici.Quando ho aperto il pacco, a casa di mia ma-

dre, cercando di spiegarle che no, non avreb-be dovuto pagare niente, che non era una ven-dita di libri per corrispondenza e che il mondonon sempre è malvagio, ho tirato un sospiro disollievo. Il re degli uccelli e altre creature, il librodi Tan che stava nel pacco, era un volume dischizzi, idee e disegni preparatori per altri pro-getti. Non c’erano i disegni monumentali de

L’approdo dentro. La parte invidiosa di me hasubito provato un sottile piacere.

Mi sbagliavo. Arrivato a casa ho letto l’intro-duzione dell’artista a questo libro di schizzi eappunti e progetti. Leggetela, ne vale la pena.Il suo amore per il disegno traspare dalla primariga. I disegni sono schizzi, alcuni veloci, altrisenza apparente importanza, ma ugualmentevitali e pieni di “voglia di disegnare”.

Come racconta Tan nel testo introduttivo, ecome ogni disegnatore sa bene, negli schizzifatti in libertà si può trovare una carica di ener-gia che è difficile mantenere nel disegno defi-nitivo. Questi schizzi spesso contengono tuttoil segreto e la magia del disegno, delle cose chevengono dalla mano quando non si esiste, nonsi pensa e si diventa solo il tramite tra il Dio del

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SpettacoliUtopie

PARIGI

C’è voluto un secolo. Ma finalmente, dopomontagne di libri e seminari, si scopre che perFritz Lang era tutto un gioco. Lui. I suoi film.Persino Metropolis, e forse tutto il cinema

espressionista. Un gioco che però il regista giocava con regoleprecise che oggi per la prima volta vengono svelate. Invano lostesso Lang aveva provato a tenerle nascoste, a depistare tutti.«Che pensa lei dell’espressionismo?», si sentiva domandare ilDottor Mabuse. «Non è che un gioco. E perché no? Tutto oggi ègioco». Era un gioco sì, ma serio, disciplinato, gelosamente cu-stodito. E oggi arriva la conferma. Con l’autorità di una mostraesemplare della Deutsche Kinemathek — Metropolis, a Parigi fi-

no al 19 gennaio alla Cinémathèque Française — integrata dal-la possente collezione della stessa Cinémathèque, e il sostegnod’un volume che l’accompagna, il fondamentale Fritz Lang autravail di Bernard Eisenschitz (Cahiers du Cinéma).

Il gioco comincia al culmine della tragedia, nella famosa sce-na dell’inondazione, quando la folla s’abbarbica sulla scalinata,grappolone di braccia, mani tese, disperate in cerca di salvezza.Chi ha visto Metropolis, sia pure in una delle mille improbabiliversioni ricavate dalle manipolazioni subite dall’originale al-l’indomani della prima il 10 gennaio 1927 a Berlino, ricorderà ilsenso di malessere anche fisico, da mal di mare, davanti a quel-la sequenza. La mostra alla Cinémathèque ne rivela il dietro lequinte: in due foto di set, il regista è impegnato personalmentein possenti carrellate avanti e indietro della cinepresa, installa-ta sul sedile di un’altalena: «Nulla di meglio per trasmettere allaplatea un senso d’angoscia», glossava Lang.

Metropolis — lugubre utopia d’una gigantesca metropoli-fabbrica alimentata da operai-schiavi — fino a poco tempo faera un puzzle in libertà. Ha ritrovato la forma e la durata dellaprima volta grazie alla scoperta a Buenos Aires di una copia in16mm clonata dall’originale del 1927 che ha restituito i 25 mi-nuti (cioè 90 scene) mancanti. E ora la mostra parigina celebra

MARIO SERENELLINI

Quasi ottant’anni facon “Metropolis” anticipò“Star Wars”, “Blade Runner”e “Matrix”. Ha inventato i primieffetti speciali e cambiatol’immaginario del cinemaOra in Francia una mostrae un libro svelanoper la prima volta i segreti,i trucchi e le abilitàartigianali del registapiù visionario della storia

SCRIPT

Appunti di lavoro

di Fritz Lang:

dall’alto,

il risultato

che vorrebbe

ottenere

in un’inquadratura

di Bassa marea

(1950); indicazioni

di camera

per La donna

del ritratto (1944);

un bozzetto

per Metropolis

(1927) e, a destra,

sceneggiatura

di You and Me

(1938)

Nella foto, sul set

di La strada

scarlatta (1945)

L’officinadel futurofatto in casa

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la rinascita del film, quasi 85 anni dopo, anatomizzandolo,smembrandolo di nuovo (anche le cineteche giocano?), per in-trodurre lo spettatore in un making of dal vivo, nell’“officina”giocherellona di Lang.

Si scopre così che quella macchina gigantesca e magica nonera che una bottega artigiana, molto sudore e tanta inventiva,sulla scia dell’ancora contemporaneo Méliès, ma già in anticiposu Star Warse Matrix. Esempio, i cerchi magnetici che inanella-no l’automa al momento della metamorfosi in donna — iconache campeggia al cuore dell’esposizione — non erano altro cheun su e giù di tubi circolari al neon. Essa stessa itinerario-labo-ratorio, la rassegna svela strategie di ripresa e repertorio di truc-chi, dagli esiti sontuosi ma di natura candidamente fatta in ca-sa, come i giochi di specchi per combinare persone reali con sce-nografie in miniatura o il ricorso alla più elementare stop mo-tion nelle panoramiche sulla megalopoli — in scala ridottissima— con le auto spostate di un centimetro a ogni scatto, i pedonidi qualche millimetro e gli aeroplanini, appesi a capelli, di duecentimetri. Ma forse gli effetti più straordinari, e prediletti daLang, oltre che dal suo primo operatore, la superstar KarlFreund, sono quelli ottenuti con la sola cinepresa: come nella se-

quenza in un buio totale dove Maria, come un insetto spaven-tato, è incalzata dai sadici cerchi di luce della torcia elettrica.

Se cartapesta e bricolage di genio, oltre che stupefacenti sce-ne di massa, fanno di Metropolis uno dei film più visionari nel-la storia del cinema, la sua rappresentazione immobile di unagerarchia rigidamente piramidale è parsa subito inaccettabileallo stesso Lang: «Ho amato il film quando lo giravo, l’ho odia-to quando l’ho finito». «Due film incollati per la pancia», scri-verà il giovane Buñuel. La ricetta messianica di una riconcilia-zione tra olimpo dei ricchi e sottoproletariato — «tra cervello emani deve fare da intermediario il cuore» — era già diventataindigesta al regista a mano a mano che procedeva nelle riprese.Scontento del “messaggio”, che piacerà alla Germania di Hitler(e sembrerà propaganda comunista agli americani), Langprenderà sempre più le distanze dal nazismo, a differenza del-la moglie sceneggiatrice, Thea von Harbou, che finirà per ade-rirvi. Tanto che nel 1933, ne Il testamento del Dottor Mabuse, at-

tribuirà al diabolico protagonista propositi palesemente hitle-riani. È allora che il regista sarebbe stato convocato da Goebbels,incontro descritto da Lang più volte e con particolari sempre piùsuggestivi, come nella Conversation del 1975 con WilliamFriedkin: i corridoi interminabili del Terzo Reich, il salone im-menso da cui spunta il ministro e il colloquio kafkiano nel qua-le, contro le previsioni del cineasta di punizioni e censure per ilMabuse, si sente proporre il posto di regista ufficiale della Ger-mania nazista, in riconoscimento del suo cinema «che piacemolto al Führer». Alle prudenti resistenze di Lang, che evoca ladiscendenza ebrea (la nonna materna), risponde l’accomodan-te Goebbels: «Siamo noi a decidere chi è o non è ebreo».

Così, quella sera stessa, riempita in fretta una valigia, Langprende il primo treno per Parigi, per poi proseguire il suo lungoesilio artistico a Hollywood. Una tranche de vie che ha il tagliod’una sceneggiatura. E infatti è pura invenzione dell’autore. Co-me hanno dimostrato vari studiosi, tra cui Michel Ciment (Lemeurtre et la loi, Découvertes Gallimard), la cronaca di Lang ècontraddetta dai numerosi visti Germania-Francia sul passa-porto nelle settimane successive. Ed è anche sospetto il fatto chenei diari minuziosissimi di Goebbles non si trovi neanche unariga su quell’incontro. Perciò, pur dando atto di fermezza eticaa Lang, che qualche mese dopo lascerà la Germania per gli Usa,facendovi ritorno solo nel 1959, gli va anche riconosciuto lo spi-rito ludico con cui traduce in finzione la realtà.

Com’era già successo nel 1924, quando il regista aveva indi-cato nella scoperta entusiasmante dei grattacieli di Manhattanla scintilla ispiratrice di Metropolis, mentre di fatto la sceneggia-tura era già pronta. Anche New York è un’altra favola di Lang, mala lettura delle sue note («...strade che sono pozzi di luce... e al disopra, molto più su delle auto e del metrò aereo, torri blu e dora-te, bianche e porpora, che si spingono fino al cielo...») è di nuo-vo rivelatrice del suo modo di essere e di lavorare. Anche se giàesisteva sulla carta, è in questo sguardo affascinato che prendecorpo per la prima volta quella città del futuro da cui nasceràl’immaginario fanta-metropolitano di un intero secolo, daAlphaville a Brazil, a Blade Runner. In Lang prima viene l’im-magine, poi la traduzione di uno scritto in film (o, nel caso-Goeb-bels, prima l’immaginazione, poi i fatti). È lo sguardo incande-scente di chi si è sempre proclamato ein Augenmesch, un uomodell’occhio, a caricare di futuro e di leggenda ciò che vede. Pri-ma del film, talvolta meglio del film.

Anche in altri casi il film non comincia a esistere che a parti-re da un clic, una visione: che fossero o non fossero già stati sce-neggiati, anche Caccia all’uomo del ’41 nasce da un fucile dalmirino telescopico puntato su Hitler, Il covo dei contrabban-dieri del ’55 dalla vela rossa che porta via un morto e l’ultimoMabuse, nel 1960, da un ago tirato nel cervello del bersaglio. Ènello scatto iniziale della visione che il regista ha sempre gio-cato la sua partita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Raccontava di quando

disse no a Goebbelso dell’illuminazione mistica che ebbealla nascita del suo capolavoroMa erano solo le ennesime invenzioni

SUL SET

A sinistra, alcune

scene di Metropolis:

nella prima a sinistra

Lang dà istruzioni

a Brigitte Helm

Sotto, storyboard

di Lang

per Caccia

all’uomo (1941)

LE INIZIATIVE

Mentre è in corso fino al 19 gennaio

alla Cinémathèque Française di Parigi

la mostra Metropolis che celebra

l’anniversario del film dell’anno

prossimo, è uscito per le edizioni

dei Cahiers du Cinéma Fritz Lang au travail

di Bernard Eisenschitz (272 pagine,

illustrazioni, 59,95 euro) da cui sono tratte

alcune delle immagini di queste pagine

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NextFacile facile

Nate cinque anni faper il primo modello

dell’iPhone, subitosi trasformarono

in un potentissimoe trasversale

strumentodi gioco o di lavoro

Oggi sonodiventate

il nuovo web,mentre l’anno

prossimo si calcolache il mercato

registreràcinquanta miliardi

di downloadEcco chi lo alimenta

E come fa

Sono passati quasi cinqueanni. Per la precisionecinquantotto mesi equalche giorno in cui cir-ca 500 mila apps sonostate scaricate più di di-

ciotto miliardi di volte. Ora lo possia-mo dire: quel giorno Steve Jobs haavuto torto. Eppure era probabil-mente al massimo della sua forma.Era il 9 gennaio 2007 e al MosconeCenter di San Francisco presentava ilprimo modello di iPhone: il 2g. “Ap-ple reinventa il telefono” era lo slo-gan. Per come sono andate le cose,non era affatto esagerato. «Ohhhh»,faceva la folla ogni volta che Jobs sve-lava una nuova funzione. «It’s likemagic», diceva lui. Quel discorso fe-ce epoca. Una frase però la notaronosolo gli hacker. Diceva più o meno: leapplicazioni dentro l’iPhone ce lemettiamo noi della Apple e basta.Jobs, infatti, non voleva che nessunopotesse sporcare, danneggiare omodificare quell’apparecchio che aisuoi occhi era perfetto così. Nienteapps esterne, quindi. Fu un errorestrategico clamoroso. Ma fu ancheun veto che per sua fortuna durò po-co, anzi, nulla: il tempo di far arriva-re gli iPhone nelle mani degli hackerdi tutto il mondo. E la rivoluzione eb-be inizio.

In Italia il primo a metterci sopra lamani fu iRev, alias Max Uggeri, 45 an-ni oggi, già noto come “Il Reverendo”dai tempi in cui era minorenne e fa-ceva impazzire la polizia postale conle sue incursioni informatiche; e poipassato dalla parte dei buoni ad oc-cuparsi di sicurezza digitale. iRevsmontò l’apparecchio, «perché solocosì capisco che roba è», disse «wow»e in pochi minuti la prima app era giàpronta: si chiamava Free Contact, unmodo per scambiarsi i contatti dellerubrica con un clic (fece 15 milioni didownload ufficiosi...). Ora, va dettoche questa stessa cosa capitava con-temporaneamente in tutto il mondo:nuove apps nascevano alla velocitàdella luce. Non si potevano fermare,andavano cavalcate. E così fu. A giu-gno Jobs aprì uno negozio ufficiale,dove venderle dopo averle vistate eapprovate, e la storia è cambiata.

Oggi le app sono il nuovo web. Unindicatore su tutti. «Fino a qualchetempo fa le aziende chiedevano diavere un sito per comunicare con iclienti: ora vogliono un’app» osservaSilvia Vianello, docente di marketingalla Bocconi e conduttrice di un pro-gramma tv quotidiano sul tema,Smart&Apps. È più di una moda. Leapps in fondo sono software che ser-vono a fare velocemente e facilmen-te delle cose: giocare, informarsi, la-vorare, comprare, filmare, socializ-zare insomma più o meno tutto. E vi-sto che funzionano su un telefonino,danno la sensazione inebriante diavere il mondo in tasca. Per questostanno esplodendo. Secondo la ri-cerca più aggiornata, nel 2012 il mer-cato registrerà cinquanta miliardi didownload (era a sette miliardi nel2009). Naturalmente non c’è soloApple, anzi la leadership del merca-to (44 per cento contro 31) è appenapassata nelle mani di Google con il si-stema operativo Android che è usatoda telefonini di moltissime marche;

RICCARDO LUNA

In pochi clicNon esiste piùuna distinzionefra chi sa fare una appe chi invece noOrmai tuttipossono farla,in pochi clice senza neppureconoscereil software

SILVIA VIANELLO

conduttrice

del programma tv

Smart & Apps

THE WEATHER

CHANNEL

Una vera e propria

stazione

meteorologica

a portata di mano,

con previsioni,

mappe e dati

sulle condizioni

atmosferiche

in tutto il mondo

ANGRY BIRDS

Disponibile

per iPhone, iPad,

Android e WP7,

gli “uccelli

arrabbiati” hanno

raggiunto gli oltre

300 milioni

di downloads

in meno

di due anni

FACEBOOK

Scrivere status,

parlare con amici,

pubblicare foto

e video anche

dal proprio

smartphone

Indispensabile

per restare

sempre connessi

col mondo

Social Network

TopTen

Giochi Lifestyle MeteoKINDLE

Semplice e utile,

permette

di leggere e-book,

scrivere note,

inserire segnalibri

e sincronizzare

l’avanzamento

della lettura

su altre

piattaforme

Un mondo tutto da scaricare(ma soprattutto da inventare)

‘‘

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

seguono Microsoft, Nokia, Rim e glialtri. Con quei numeri stratosferici,c’è spazio per tutti.

Il lato più interessante della storiadelle apps però non è chi le scarica ele utilizza, ma chi le inventa e le rea-lizza. Facendo a volte moltissimi sol-di. Il caso limite sono i cugini finlan-desi Mikael e Niklas Hed che con ilgiochino “Angry Birds”, scaricato da75 milioni di utenti, hanno incassato50 milioni di euro in un anno inve-stendo... 51 tentativi sbagliati. All’i-nizio gli sviluppatori di apps erano iwebmaster, quelli che facevano i siti.Oggi sono tutti. Per restare all’Italia,c’è il genio del software Gionata Met-tifogo che ha lasciato la Microsoft aSeattle per realizzare una app cheporta i giornali di mezzo mondo suiPad (Paperlit); e c’è l’esperto d’arteRoberto Carraro che ha realizzatouna app immersiva lodata proprioda Jobs all’ultima uscita, “Virtual Hi-story Roma”; c’è il maestro elemen-tare Italo Ravenna che ha scritto unaapp-fiaba con i disegni dei suoi allie-vi (“La marcia dei folletti”); e ci sonoi baby sviluppatori, come FedericoCella e Francesco Puddu che a dodi-ci anni hanno alle spalle una app disuccesso come “Lucky Battles” cheha permesso loro di creare unasoftware house. «Tutti ormai posso-no sviluppare una app, basta avereuna buona idea», sostiene Silvia Via-nello. Non è solo uno slogan: da seimesi infatti è stata lanciata una piat-taforma per farsi una app in quattroclic per tutti i tipi di telefonino: sichiama “apps-builder”, l’idea è Da-niele Pelleri e Luigi Giglio che hannotrovato supporto in due venture ca-pital e oggi contano duemila apps almese fatte a modo loro.

Tra l’Italia e il resto del mondo nonci sono grandi differenze. Facciamoil caso dell’istruzione. Un anno fa l’u-niversità di Stanford ha lanciato uncorso per insegnare a sviluppare ap-plicazioni: ha avuto così successoche è stato messo gratuitamente sulcanale iTunesU, dove è rimasto me-si in cima alla classifica. E lo stesso hafatto l’università di Pisa: prima uncorso per apps tutto esaurito, poi lascalata della classifica di iTunes e in-fine, da venerdì scorso, persino unmaster del dipartimento di informa-tica per lo sviluppo di applicazionimobile. I corsi non davano crediti ac-cademici, erano semplici test: il ma-ster è un’altra storia, è un riconosci-mento solenne.

È una rivoluzione, dice nel suomanifesto la community di svilup-patori riunita sotto le insegne diwhymca che da anni organizza even-ti. Intanto un grande format mon-diale sta per sbarcare in Italia: si chia-ma Bemyapp e il prossimo weekendarriva a Bari con il tutto esaurito.Mentre è appena partito il filone del-le applicazioni civiche, ovvero appssocialmente utili realizzate a partiredai dati pubblici (verde, parcheggi,mobilità). Fino al 10 gennaio si puòpartecipare al contest apps4italy, ol-tre trentamila euro di montepremi.Lo aveva annunciato il ministro Bru-netta lo scorso 18 ottobre: «Ora nonsolo non c’è più il ministro, ma nep-pure il ministero», osserva uno deipromotori Lorenzo Benussi. Le appsinvece vanno avanti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

BRUSHES

Una divertente

applicazione

che trasforma

qualsiasi utente

in pittore

Pensata per iPhone,

iPod touch e iPad,

ha vinto nel 2010

l’Apple Design

Award

SHAZAM ENCORE

“Chi canta questa

canzone? Come

si intitola?” Il dubbio

è presto risolto:

attivando Shazam,

nel giro di pochi

secondi la risposta

arriva direttamente

sullo schermo

del cellulare

CAMERA+

Permette

di scattare foto,

catalogarle

e modificarle

Ha una grafica

semplice

e intuitiva

ed è considerata

una delle migliori

app per iPhone

DROPBOX

Permette

di accedere

da ogni postazione

ai file inseriti

nell’apposita

cartella

È possibile

la condivisione

con altri utenti

Privacy garantita

MYFITNESSPAL

Con un database

di oltre 1 milione

di cibi e 350 tipi

di esercizi ginnici,

l’app è una valida

alleata

per mantenere

la linea,

monitorando

le calorie assunte

TRIPIT

Informa su orari

di partenza

e arrivo dei voli,

gates e tipo

di aeroplano

È possibile

ricevere, via sms

ed email, avvisi

in caso di ritardi

e cancellazioni

Software che aiutano l’utentea fare una determinata cosaLe apps in particolare sonoquelle applicazioniche stanno prevalentementenegli smartphone

Apps

Glossario

Il negozio online dovesi scaricano le appsIl più famoso è di AppleMa ci sono anche quellidi Google, BlackBerry,Nokia, Microsoft Phone,Amazon e Facebook

Appstore

Le apps sono realizzateda sviluppatori di softwareMa oggi il processo si è cosìfacilitato che alcuni ormairealizzano appspur non conoscendo i software

Sviluppatore

Le apps si scaricanodagli store. Se lo sviluppatorefa modifiche migliorativealla sua app, l'utente riceveuna notifica e viene invitatoa scaricarla di nuovo

Download

Il linguaggiocon cui si scrivono appsmultimediali che si vedonosui siti webma funzionano su tutte le piattaforme dei telefoniniAncora in fase di sviluppo

Html5

Intrattenimento Musica Fotografia Utilità Benessere In viaggio

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LA DOMENICA■ 40

DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

I saporiGiù al Sud

Mauro Uliassi nel suo locale

di Senigallia crea piatti

dal pescato dell’Adriatico

Come in questa ricetta

che celebra il pesce azzurro,

ideata per i lettori

di Repubblica

10 alici freschissime 1/2 kg. di sale grosso 100 gr. di succo di arancia1/2 tazzina di aceto di vino rosso 5 gr. di finocchio selvatico

Per la marmellata di ananas 50 gr. ananas 25 gr. zucchero il succo di 1/2 lime buccia d’arancia bio5 gr. di zenzero grattugiato

Per la gelatina di mandarino 50 gr. di succo di mandarino 1/2 foglio di colla di pesce

LA RICETTA

LICIA GRANELLO

«Un giorno le prepareròun pesce all’arancia.È un piatto che va cu-cinato in casa, richie-de del tempo. Maadesso il tempo ce

l’ho». È un piatto salato all’arancia, quello chein un momento di disperata vedovanza tentail commissario Carvalho di Manuel VázquezMontalbán in Storie di fantasmi. Perché la cu-cina degli agrumi non fa distinzioni, non divi-de ricette buone e cattive, di prima classe o dirisulta. Soprattutto, non separa il dolce dal sa-lato, lasciando al cuciniere di turno onere eonore della scelta: primo piatto o dessert, car-ne o pesce, da bere o da mangiare.

Le arance sono così, facili e ubique, prontealla bisogna in qualsiasi punto del menù e oradella giornata, dalla spremuta a colazione (dacorreggere con mezzo limone per arancia,così da renderla più digeribile) fino alle irresi-stibili scorzette candite, tuffate nel cioccola-to fondente sciolto a bagnomaria, nella ver-sione più golosa del pianeta.

In realtà, la cucina firmata dalle arance èlunga un millennio abbondante, perché findal Medioevo gli agrumi hanno abbondante-mente accompagnato pranzi e cene, graziealla loro doppia valenza, simbolica e gastro-nomica. Da una parte, le arance — molto piùricche di semi rispetto a oggi — erano consi-derate portatrici di fecondità, con tanto dilancio nelle feste di Carnevale a rappresenta-

re l’inseminazione. D’obbligo, quindi, utiliz-zarle in cene rituali e pranzi celebrativi, siasotto forma di succhi che a fette e spicchi. Dal-l’altra, il mix di dolce e acido era consideratoperfetto per sgrassare le carni del maiale —più grasse di oggi — soprattutto in tandemcon le mele.

Rispetto agli altri agrumi, infatti, le arancevantano un equilibrio gustativo originale e af-fascinante, fatto di profumo, freschezza emorbidezza zuccherina. Qualità culinarieche si aggiungono al potere delle vitamine eall’azione di prevenzione delle malattie delfreddo. Ma è l’appeal della cucina di pescecrudo ad avere dato nuova linfa al coté salatodelle ricette aranciate, soprattutto per quan-to riguarda varietà delicate, che non regge-rebbero l’acidità acuta del limone o l’amarodel pompelmo. Così dagli scampi alle cape-sante, l’emulsione di olio agrumato (codifi-cata addirittura al frantoio con la spremituracontemporanea di olive e arance nella cam-pagna marchigiana) battezza in maniera soa-ve, ungendo e profumando senza aggredire.

Se non avete tempo o modo di regalarvi unweekend nelle terre delle arance nel momen-to topico della produzione, fate una gita vir-tuale sul sito di due ragazzi catanesi, Silvio eNadia (arancedagustare.it), che coltivano unagrumeto senza chimica nella campagna diAcireale. Per non sottostare ai diktat di com-mercianti e intermediari, «che non hannomai versato una goccia di sudore sulla terra diSicilia», hanno deciso di vendere i loro agru-mi squisiti solo su Internet. A forza di spre-mute, carpacci e tortini, l’inverno volerà viasenza un raffreddore.

I due voltidell’agrumepasse-partout

Ingredienti per 4 persone Pulire le alici, lavarle, asciugarleSotto sale aperte per 20’. Sciacquare,chiuderle asciutte tra due fogli di cartada forno, appoggiare su vassoio in freezerper 48 ore (anti rischio anisakis). Prepararela marmellata con l’ananas a tocchetti,bollire per 15 minuti con gli ingredientiFar raffreddare. Frullare il succodi mandarino col mezzo foglio di collaammollata e strizzata, far riposare 1orain frigo, sbriciolare con una forchettaMescolare l’aceto col succo di arancia Servire 2 alici a piatto, con pois di marmellatadi ananas (scorzette comprese), dadinidi gelatina di mandarino, semi di finocchioRifinire col succo di arancia all’aceto

AranciaAll’

Da bere o da mangiare, salutista o trasgressiva, primo piatto o dessert,con la carne o con il pesce. Da secoli si sa che è il frutto della fertilità,che fa bene e fa digerire, che consola e riscalda dal freddo dell’inverno

Ma nessuno ha mai svelatoil mistero che la rende idealeper ogni contraddizione

gastronomica

Alici in zuppa d’arancia (con marmellata di ananas e gelatina di mandarino)

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DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

Gli indirizzi

arancia in Sicilia è di sinistra. Ma cominciamo con il li-mone. Il dottore lo prescriveva contro raffreddore, diar-rea, cistite, calcoli, bronchite, mal di gola, mal di mare,mal di testa, mal di piedi, arteriosclerosi, singhiozzo ecretinismo. E la panettiera Silvana raccontava che il se-greto della sua bellezza — «della mia salute» — era il de-

cotto di limone 42 giorni all’anno. Bolliva mezzo limonee aggiungeva olio di oliva. Il secondo giorno 2 mezzi li-moni e 2 cucchiai d’olio, e così sino a 11. Poi scalava sinoal mezzo limone di partenza. Il tabaccaio diceva: «Libidi-nosa è, ma acida». In realtà il limone diventa dolce con ilsale. E una volta, nei cinema, passavano i venditori con lefette in una mano e il sale nell’altra. Ancora oggi la be-vanda più popolare è selz limone e sale.

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1

2

5 CarpaccioPesce spada marinato in emulsione di olio

e succo d’arancia. Nel piatto, sovrapposizione

d’olio, fettine d’arancia, pesce, pinoli tostati,

buccia grattugiata

6 Maiale arrostoCarne rosolata con aglio, salvia e rosmarino,

infornata fino a cottura. Succo d’arancia

a deglassare il fondo e, a nappare, le fette

Spicchi a contorno

3

4

Orata al fornoPesce pulito, salato, messo in pirofila

con extravergine, vino bianco, pangrattato

e fettine d’arancia. Durante la cottura,

bagnare con il succo di cottura

7

8

Campari orangeDue fette di arancia e un cucchiaino di zucchero

di canna schiacciati nel bicchiere alto

Poi ghiaccio tritato, una parte di bitter

e tre di arance spremute

Sulla strada

Il giardino dei tarocchi

DOVE DORMIREPALAZZO PENNISI DI FLORISTELLA

Piazza Lionardo Vigo 16

Acireale (Ct)Tel. 095-7633079

Camera doppia da 70 euro, colazione inclusa

CASALE DEL SIMETO

Contrada Schettino

Paternò (Ct)Tel. 328-4856436

Camera doppia da 50 euro, colazione inclusa

VILLA SAN LEO

Contrada San Leo

Belpasso (Ct)Tel. 095-5186104

Camera doppia da 80 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREOPERA PRIMA (con camere)

Piazza Garibaldi 27

Acireale (Ct)Tel. 095-608666

Sempre aperto, menù da 35 euro

GIARDINO DI BACCO

Via Piave 3

San Giovanni la Punta (Ct)Tel. 095-7512727

Chiuso lunedì, menù da 40 euro

VILLA TAVERNA

Corso Cristoforo Colombo 42

Trecastagni (Ct)Tel. 095-7806239

Chiuso lunedì, menù da 30 euro

DOVE COMPRAREAZIENDA BIOAGRICOLA

SPICCHI DI SICILIA

Via Marchese di Sangiuliano 99

Acireale (Ct)Tel. 331-2058884

PRODUTTORI

ARANCE ROSSE ROSARIA

Contrada Porticelli

Belpasso (Ct)Tel. 095-7913562

BIOAGRITURISMO RUVITELLO

(con camere)

Contrada Cuba

Località Fondo Ruvitello (Ct)Tel. 095-451405

FRANCESCO MERLO

L’

ILLU

ST

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AR

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ST

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GA

AranciaLe arance invece sono dolci e rosse: ricchezza, bellezza eprogresso. E infatti chiamiamo «giardino» l’arancetoperché è l’oasi sempre verde assediata dal mondo aridoe primitivo. È la Sicilia dei colori e dell’ombra, della zaga-ra, delle masserie, dell’ingegneria idrica e del mercatoche significò porti e navi. Un muro a secco la separa dal-l’immenso giallo bruciato che una volta era il grano e oraè sterpaglia: il latifondo è sempre stato un “non luogo”. Ela questione meridionale è estetica. Lucio Tasca Bordo-naro, che non voleva capire, nel 1944 la chiamava «diffa-mazione fotografica».

E però vero che lemon in americano è imbroglio, bido-ne. E l’arancia migliore è “tarocco”: c’è sempre la frega-tura nella perfezione. Da Lentini a Cleveland l’agrumeaumentava di prezzo ad ogni passaggio di mano e la ma-fia diventava broker capitalism. Ecco, si parte da un’a-rancia e si arriva a Gesù: le arance sono le palle di Natale,addobbavano le case durante la Novena. Ma si arriva an-che al sesso e alla violenza “meccanica” di Burgess e Ku-brick. C’è il mondo in un’arancia.

InsalataFinocchi tagliati sottili e arance pelate a vivo

A scelta, uvetta, pinoli, olive nere, semi di zucca

Condire con emulsione di succo d'arancia,

olio e sale

1

Anatra caramellataCottura parziale in forno, poi in casseruola

nel fondo deglassato con una tazza di brodo,

arance spremute, profumo di cognac,

scorzette sbianchite

Spaghetti sicilianiAcciughe sciolte nell’olio a fuoco dolce

A seguire, succo, scorze, spicchi d’arancia

tagliati a vivo e pane grattugiato

Saltare la pasta in padella

5

32

6

4

8

7

VellutataCarote (mezzo chilo), un’arancia e una patata

tagliate a tocchi, bollite fino a renderle

di consistenza morbida. Frullare insieme

a un’arancia spremuta, sale e pepe

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA■ 42

DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

Autodidatta della chitarra, ha fattoper venticinque anni il capostazionePoi un giorno lo chiama l’Olympiadi Parigi e si ritrova artista. Eppureancora oggi, mentre esce il suo ottavo

album, continua a essere più famoso all’estero che in Italia“Faccio fatica a considerare la musica un lavoro

Sarà che sono rimasto un figlio

di contadinie che la sera ciòche più mi preme è ritornare a casa”

Ci sono artisti che più del-la fama inseguono tena-cemente la coerenza. E

che difendono la propria creativitàsenza curarsi dei diktat commerciali.Lo chansonnier-ferroviere GianmariaTesta è uno di questi e, quando una cal-da mattina d’autunno lo incontro sullaterrazza di un bar con vista sulle collinedelle Langhe, mi vengono in mente leparole di uno dei suoi primi pezzi, Laterra delle colline: “rossa / la terra dellecolline / rossa di ferro e sudore”. Conotto album dal ’94 a oggi, tutti a metàstrada fra jazz e canzone d’autore (l’ul-timo, Vitamia, è uscito in questi giorni)e più di duemila concerti in tutto ilmondo (comprese cinque serate al-l’Olympia di Parigi, il tempio della mu-sica europea che lo consacra star inter-nazionale), ancora oggi Testa è forsepiù conosciuto all’estero che in Italia, eforse proprio per quel suo carattereschivo, riservato, refrattario ai com-promessi.

Occhialini alla John Lennon, sguar-do diretto, sorriso caldo sotto i baffi sor-nioni, chitarra sempre accanto, guardaammirato la dolcezza delle colline cheha davanti: «Sono i posti dove sono cre-sciuto, non potrei vivere da un’altraparte. Ho viaggiato tanto per lavoro,ma mi ha sempre accompagnato il sen-so profondo del tornare a casa. Se lavo-

ri la terra, ti sporchi le mani, hai unapercezione diversa del territorio che ticirconda. Conosco tutti gli odori e i co-lori di questi luoghi in cui ho semprevissuto». Il suo segreto è tutto qui. Lasua indifferenza al successo e l’attacca-mento a un’etica d’altri tempi hannoradici lontane, che affondano nella fa-tica del lavoro manuale e nella sempli-cità della vita di campagna.

Racconta con voce pacata: «Sononato in una famiglia contadina, primodi quattro fratelli. Vivevamo a Madon-na del Pilone, coltivavamo una terrapovera e difficile. Per anni il mio micro-cosmo è stato quello, tutto ciò che sol’ho imparato lì. A dieci, undici anni ilmio unico immaginario erano i libriche leggevo nell’enorme biblioteca diuna villa di signori di Torino, di cui fa-cevamo i custodi. A tredici anni mio pa-dre mi ha regalato la prima chitarra. Sicantava in famiglia tutti insieme. Miamadre e i miei zii avevano voci bellissi-me. A quattordici anni il liceo scientifi-co a Fossano. Mi alzavo alle cinque delmattino per mungere le vacche, poi an-davo a scuola. Era frequentata dai figlidi notai, farmacisti, veterinari. C’eranosolo due figli di contadini, io e un altroragazzo. Ci siamo riconosciuti subito,dall’odore di stalla, che non va vianeanche a lavarlo».

Testa è un autodidatta, si è formatosulle canzoni dei grandi cantautori, daDe André a Bob Dylan. «Strimpellavo lachitarra, scrivevo pezzi ma non ho po-tuto studiare musica, a casa bisognavalavorare. Mi sono comprato i fascicoliChitarristi in 24 ore e ho imparato suquelli. Così mi sono creato un mio sti-le». Uno stile sempre riconoscibile, fat-to di toni lievi, intimi e malinconici e ac-compagnato da testi poetici e evocati-vi. Uno stile che non rinuncia a tinger-si di sonorità più rock soprattutto inpresenza di contenuti più politici e im-pegnati, come alcune canzoni dell’ul-timo album (Sottosopra e Cordiali sa-luti). «La svolta è avvenuta quando hoascoltato per la prima volta Il gorilla diDe André, che riadattava una canzonedi Brassens. Ho capito che a differenzadelle canzonette suonate per radio sipoteva musicare anche un’invettiva ouno sberleffo. E che esisteva qualcosache andava al di là della logica dellospettacolo. Alla fine degli anni Sessan-ta il mondo stava cambiando. Volevofare il magistrato e mi sono iscritto agiurisprudenza, ma non ce l’ho fatta,dovevo anche lavorare. Nell’82 sono

entrato nelle ferrovie come caposta-zione di Cuneo. E lì mi si è aperto unmondo. Allora esisteva una ferrovia so-lidale, il rapporto tra colleghi era since-ro, andavo a lavorare contento. Ho fat-to quel lavoro per venticinque anni. Milasciava abbastanza tempo libero perdedicarmi alla musica».

Finché, quasi per caso, Testa inviauna cassetta registrata chitarra e voceal Festival di Recanati e, con sua sor-presa, lo vince per due anni di seguito.«La prima volta fu nel ’93, avevo sceltoRecanati perché c’era un comitato ar-tistico di garanzia: De André, FernandaPivano e Dario Bellezza. Mi hanno da-to un milione di lire e la possibilità di re-gistrare due canzoni. Mi ha cercatoqualcuno, ma nel frattempo mi eranonati due gemelli, continuavo il lavoroalle ferrovie, avevo poco tempo. E poimi chiedevano di crearmi un perso-naggio. Per me erano allucinazioni.

L’anno dopo rivinco il concorso. Pen-so: è l’ultima cosa che faccio, poi chiu-do. Al festival c’è una produttrice fran-cese che tre mesi dopo mi contattachiedendomi se può occuparsi di me inFrancia. Registro il mio primo disco adAmiens e inizio a fare qualche concer-to in Francia. Finché mi chiama il di-rettore artistico dell’Olympia propo-nendomi una serata. Esce un pezzo suRepubblica: “Il signor Nessuno al-l’Olympia”. E così anche in Italia si ac-corgono di me».

Nel corso degli anni suona e collabo-ra con i grandi nomi del jazz: da PaoloFresu a Enrico Rava, da Stefano Bollania Enzo Pietropaoli. Ma anche con scrit-tori e attori in spettacoli itineranti: An-drea Bajani, Erri De Luca, Marco Paoli-ni, Giuseppe Battiston e Jean-ClaudeIzzo, a cui è legato da una forte amiciziae che lo cita in Marinai perduti e nellatrilogia marsigliese. Ma Gianmaria Te-sta continua a presentarsi sul palco nelsolito modo: seduto su uno sgabello,chitarra in mano, giacca casual e im-mancabile bicchiere di vino bianco perammorbidire la voce. «La notorietà èarrivata per caso, Paolo Conte avevaaperto una strada in Francia, ho avutoil privilegio di usare una lingua evoca-tiva e musicale come quella italiana.Seguo ancora la regola di pubblicare undisco solo se ho qualcosa da dire. Que-sta per me è la libertà. Ma la libertà ècomplicata, o te la compri o te la sudi.Io l’ho difesa con il lavoro di ferroviere,è stato un baluardo in favore della nor-malità. Ancora oggi non riesco a consi-derare la musica un lavoro. Mio padrenon è mai venuto a un mio concerto. Midiceva: “Cosa vuol dire cantare?”. Luistesso cantava meglio di me. Tuttosommato sono d’accordo con lui».

Quando compone o sale su un palcocon la chitarra sente responsabilità neiconfronti del pubblico? «Tra le arti lacanzone è quella che maggiormentepossiede il dovere di non mentire per-ché è la più diffusa e popolare, quellache si è più venduta al mercato. Perquesto ogni pezzo musicale deve inti-mamente rappresentarmi, contenereuna piccola verità che è la mia. Quel-l’ancora di verità è il mio punto di par-tenza. Comporre è una necessità, nonposso farne a meno. Parto sempre daun’emozione, prendo la chitarra estrimpello qualcosa che poi lascio lì.Voglio essere sicuro che quella canzo-ne non sia solo frutto di un’immedia-tezza istintiva. Se dopo mesi me la ri-

cordo ancora e risuonarla mi dà le stes-se emozioni allora la scrivo. Non è fon-damentale che venga pubblicata. Ne-gli ultimi album ho sentito il dovere neiconfronti dei miei figli di parlare di im-migrazione. È assurdo che proprio inItalia che ha rimpolpato il mondo diemigranti esista una legge sui respingi-menti. Eppure è più forte la disperazio-ne di chi attraversa il mare».

Come si immagina il suo futuro?«Ho cinquantatré anni, tra venti sperodi sedermi a un tavolo senza vergo-gnarmi mai di quello che ho fatto.Quando osservo la bellezza, le collinedavanti a noi in una giornata stupendacome questa, ne vengo travolto. Nonsono credente, ma ho sempre sentitoun legame con qualcosa di spiritualeche non riesco a codificare. Come Fo-scolo, credo che il paradiso stia nel la-sciare qualcosa. La vita è un’occasioneche abbiamo tra le mani, non ha sensosprecarla. A maggior ragione avendodei figli». Figli che ora sono tre dopo lanascita di Nicola, sei anni fa, cui è de-dicato Nuovo, la prima ballata di Vita-mia. «Speravo di poter vivere con unapresunzione di innocenza rispetto al-la vita, ma non ne sono stato capace oforse è impossibile che accada. Il fattoche occupi uno spazio vitale, anche sepiccolo, non ti permette di non nuoce-re a nessuno. A volte dico che vorreifermarmi, coltivare l’orto, osservare lanatura e i figli crescere. Poi vado avan-ti, ma quello che più mi preme è ritor-nare sempre a casa».

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L’incontroChansonnier

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Mio padrenon è mai venutoa un mio concertoMi diceva: “Cosavuol dire cantare?”Forse aveva ragioneE cantavameglio di me

Gianmaria Testa

BENEDETTA MARIETTI

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CASTIGLIONE

FALLETTO (Cuneo)

Repubblica Nazionale

Page 15: LA DOMENICA - Le notizie e i video di politica, cronaca ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2011/20112011.pdf · Pechino ieri e oggi, la primavera araba, i diritti umani, l’età

DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

dalla biologia e/o dalla legge.Passerete a Fox Life e alla Sette:S.O.S. Tata avrà molto da inse-gnarvi anche nel campo dellapuericoltura.

Se si riesce a non farsenetroppo suggestionare, sono an-che programmi divertenti. Laloro distanza rispetto al restodell'offerta televisiva è merito-riamente astronomica, anchese non è che tutto quanto sialontano dalla tv generalista be-cera sia per ciò stesso davverovicino alla realtà. Per fare la pro-va-realtà non c'è che da andarenegli stessi negozi in cui le caviedi Ma come ti vesti? si rifanno ilguardaroba (tre mise a testa: la-voro, tempo libero, sera) conmillecinquecento euro in tutto.

Il fatto è che con questi pro-grammi la tv spara forse la suaultima cartuccia verso un tar-get sempre più remoto e mobi-le. Cattiva o buona che sia stata(secondo la linea popperiana oquella antipopperiana), la tv èstata maestra in modo quasisempre subliminale. Con que-st'altra tv, l'intento formativodiventa un obiettivo esplicito;direbbero loro: una mission.

Dal «generalismo» al «parti-culare», dal budget alto al bud-get basso, dal formato-show al-l'agile formato-blog; nei conte-nuti, dall'offerta da editoria dimassa (fiction, giornalismo, di-battito, spettacolo) alla ma-nualistica sui temi della vitaquotidiana. Non è mai troppotardi per tornare alla tv di Non èmai troppo tardi. Ma è ancheuna tv che ha una sua audience(numericamente non trascu-rabile). Chi è che trova (o: comemai troviamo) divertenti, e se-

gretamente istruttivi, pro-grammi in cui si parla di abiti dasposa, modi di apparecchiarela tavola, alternative analcoli-che per l'ora dell'aperitivo opiegature della pochette a se-conda della formalità dell'oc-casione? È un dubbio che si puòfacilmente rovesciare: a chichiedere, oggi, se la cravattagialla starà bene in tv, il punto dicottura giusto per il trancio dispada o come evitare che i bam-bini devastino la tavola anzichécenare?

I saperi si tramandano perdue vie: in una cultura testuale,contano gli esempi; in una cul-

a come ti vesti? La domandaprende quel tono scherzosa-mente drammatico che carat-terizza una certa ironia miran-te allo chic. Nel caso è rivolta aun prestante giovanotto, il qua-le indossa camicie bianche sot-to le quali si vedono T-shirt conscritte spiritose («Terrone al100%»): così conciato svolgefunzioni di agente immobilia-re. Se ne meravigliano i dueconduttori, che si chiamanoCarla Gozzi e Enzo Miccio e de-vono intendersi di moda, per-ché una voce fuori campo li hadichiarati «Maestri del fashionstyle» e «Pronti a svelarvi i se-greti dell'eleganza».

Teniamo nel giusto contoche si tratta pur sempre di tele-visione: show, finzione, mon-taggio, gioco. Pazienza, allora,se l'eleganza dovrebbe sempreessere più velata che svelata;pazienza anche se nel concettodi eleganza dei due disinvoltiemuli di Petronio Arbitro rien-trano locuzioni come «Ti vesticosì e poi vai a vendere loca-tion» (= case) o «Sempre la stes-sa cravatta, si vede che le pia-ce». Si vede che piace loro il ter-ribile leusato in Lombardia perrivolgersi a un uomo.

Eleganza, del resto, è anchestare bene nei propri panni. Manon siamo noi che li vogliamocambiare a loro, bensì loro cheli vogliono cambiare a noi: e insenso letterale, perché Ma co-me ti vesti ? è uno, probabil-mente il più fortunato, dei for-mat televisivi che stanno carat-terizzando il canale satellitareReal Time e occhieggiano peròanche altrove. C'è il program-ma che vi dice come rifare il

guardaroba, ed è appunto que-sto. Il programma che vi consi-glia l'alimentazione più giustaper le vostre patologie, se avetel'ulcera smettete la spremutad'arancia e i gin tonic (si chia-ma Zenzero). Quello che fa con-trollare il vostro modo di rice-vere gli ospiti da un'architetta,da uno chef e da un «esperto inbuone maniere» (prende il no-me dal romanzo Cortesie per gliospiti di Ian McEwan, che nes-suno deve aver letto a Real Timeperché non è affatto accomo-dante e glam). C'è il program-ma per trovare casa, o se prefe-rite location, e il programmaper venderla. C'è il programmache vi insegna a riciclare vecchioggetti per farne di nuovi. C'è ilprogramma che organizza ri-cevimenti matrimoniali. Ai for-mat italiani si assommano ori-ginali americani, che sono mol-to più avanti sulla stessa stradae hanno titoli come Myshocking body (history case diobesi redenti e brutti anatroc-coli trasformati) o Malattie im-barazzanti. E poi c'è natural-mente il famoso boom delletrasmissioni culinarie, quelleche hanno improvvisamentemesso a profitto la sinestesiagusto-vista che già praticavanoi ristoranti giapponesi, quandomettevano in vetrina le racca-priccianti riproduzioni in pla-stica dei piatti serviti della casa.Il concetto è quello.

Se seguite l'allegro tirociniovi emenderete da tutte le vostreannose magagne, quelle eredi-tate e quelle acquisite. Finirete,così, quasi inevitabilmente pertrovare il partner e per avere fi-gli, almeno nei casi consentiti

M

Cucinare, vestirsi, arredare una casa, educare

i figli e fare sesso nel modo giusto. Dopo i manuali è l’ora dei programmi che insegnano

come vivere. A metà tra documentari e reality, tra orientamento e intrattenimento.Perché, in un mondo che cambia in fretta,piacciono gli esperti, spesso severi, che danno consigli e istruzioni. I tutor che,

dal video, si prendono (un po’) cura di noi

MAMMA TVÈ TORNATA

STEFANO BARTEZZAGHI

La televisione di ieriè stata una maestra,cattiva o buona,ma quasi semprein modo subliminalementre oggi l’intentoformativo è esplicito

L’intento

Siamo pur sempresul piccolo schermoquindi show e giocosi mescolano in questiallegri tirocini cheora sostituiscono gliesempi tradizionali

La tradizione

CULT

Repubblica Nazionale