LA DOMENICA - la Repubblica · Ziggy Stardust & C. Tutti gli alter ego di David Bowie Spettacoli...

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LADOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011 NUMERO 352 CULT CATTANEO E ISAACSON Il libro IRENE BIGNARDI La guerra dell’oppio e altre avventure con Ghosh la storia diventa romanzo All’interno L’intervista CRISTINA NADOTTI George R.R. Martin il re del fantasy “Odio gli imitatori di Tolkien” La mostra ACHILLE BONITO OLIVA Ecco i Surrealisti la pattuglia di Breton che voleva dare forma all’inconscio Il concerto DINO VILLATICO Il grande Gergiev raggela l’impeto e la fantasia di Ciaikovskij Ziggy Stardust & C. Tutti gli alter ego di David Bowie Spettacoli GIUSEPPE VIDETTI Altan e il Cavaliere “Dal 1990 sempre con l’ombrello” L’attualità SIMONETTA FIORI ALESSANDRO BARICCO l’altro. Intanto mi va di parlare di libri, in un momento in cui non sembra più così importante dirsi quali sono belli e quali no, litigar- ne un po’, pronunciarsi. Più facile che lo si faccia coi film, o con la politica. Eppure i libri sono ancora lì, a migliaia, e continuano a de- clinare una civiltà di piaceri pazienti che in modo piuttosto silen- zioso collabora a ridisegnare l’intelligenza e la fantasia collettive. Tutto quel che si può fare per dare evidenza a una simile liturgia mi- te, lo si deve fare. E allora eccomi qui a fare la mia parte. Ma c’è anche, alla fine, un’altra ragione, perfino più importan- te, almeno per me. Ho cercato di riassumerla nel titolo di questo progetto lungo un anno. Una certa idea di mondo. Il fatto è che mi riesce sempre più difficile dire cosa vedo quando mi guardo intor- no, e perfino il concentrarsi su un particolare spicchio di questo gran spettacolo non sembra portare molto lontano: si finisce per impelagarsi in tecnicismi che magari mettono a fuoco il dettaglio, ma perdono la mappa complessiva, l’unica che conta davvero. (segue nelle pagine successive) Una certa idea di mondo BARICCO ALESSANDRO “I migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni” Incomincia il viaggio a puntate dello scrittore su “Repubblica” DISEGNO DI MANUELE FIOR Le nuove regole del genio meglio visionari che intelligenti La copertina D ieci anni fa ho cambiato città. E fin qui, chi se ne fre- ga. Solo che cambiando città ho lasciato nella vec- chia tutti i libri che avevo letto, e sono entrato in una casa in cui non c’era un libro mio. Quindi ades- so, lì dentro, ci sono dieci anni di libri miei, gli ulti- mi dieci anni: li tengo uno di fianco all’altro, non in ordine alfabetico o per tipologia, ma nell’ordine in cui li ho aperti (un sistema, tra l’altro, che consiglio: le sere che ti annoi, passi a guardare i dorsi e, se hai voglia, è come ripercorrere pezzi della tua vita, basta lasciare che il gusto dei giorni in cui li hai tenuti in mano ritorni su: e lo fa, eccome se lo fa). Questa è la ragione per cui sono in grado di dire, con una certa esattezza, quali sono i migliori cin- quanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni. Un tantino più dif- ficile è spiegare come mai ho deciso di dedicare a ognuno di loro un articolo, passandone uno alla settimana, per un anno, ogni do- menica. Perché li leggano anche altri, direi. E già basterebbe. Ma c’è del- Repubblica Nazionale

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LA DOMENICADIREPUBBLICA DOMENICA 13NOVEMBRE 2011

NUMERO 352

CULT

CATTANEO E ISAACSON

Il libro

IRENE BIGNARDI

La guerra dell’oppioe altre avventurecon Ghosh la storiadiventa romanzo

All’interno

L’intervista

CRISTINA NADOTTI

George R.R. Martinil re del fantasy“Odio gli imitatoridi Tolkien”

La mostra

ACHILLE BONITO OLIVA

Ecco i Surrealistila pattuglia di Bretonche voleva dareforma all’inconscio

Il concerto

DINO VILLATICO

Il grande Gergievraggela l’impetoe la fantasiadi Ciaikovskij

Ziggy Stardust & C.Tutti gli alter egodi David Bowie

Spettacoli

GIUSEPPE VIDETTI

Altan e il Cavaliere“Dal 1990 semprecon l’ombrello”

L’attualità

SIMONETTA FIORI

ALESSANDRO BARICCO

l’altro. Intanto mi va di parlare di libri, in un momento in cui nonsembra più così importante dirsi quali sono belli e quali no, litigar-ne un po’, pronunciarsi. Più facile che lo si faccia coi film, o con lapolitica. Eppure i libri sono ancora lì, a migliaia, e continuano a de-clinare una civiltà di piaceri pazienti che in modo piuttosto silen-zioso collabora a ridisegnare l’intelligenza e la fantasia collettive.Tutto quel che si può fare per dare evidenza a una simile liturgia mi-te, lo si deve fare. E allora eccomi qui a fare la mia parte.

Ma c’è anche, alla fine, un’altra ragione, perfino più importan-te, almeno per me. Ho cercato di riassumerla nel titolo di questoprogetto lungo un anno. Una certa idea di mondo. Il fatto è che miriesce sempre più difficile dire cosa vedo quando mi guardo intor-no, e perfino il concentrarsi su un particolare spicchio di questogran spettacolo non sembra portare molto lontano: si finisce perimpelagarsi in tecnicismi che magari mettono a fuoco il dettaglio,ma perdono la mappa complessiva, l’unica che conta davvero.

(segue nelle pagine successive)

Una certaidea

di mondo

BARICCOALESSANDRO

“I miglioricinquanta libriche ho lettonegli ultimidieci anni”Incominciail viaggioa puntatedello scrittoresu “Repubblica”

DIS

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NO

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Le nuove regoledel geniomeglio visionariche intelligenti

La copertina

Diecianni fa ho cambiato città. E fin qui, chi se ne fre-ga. Solo che cambiando città ho lasciato nella vec-chia tutti i libri che avevo letto, e sono entrato inuna casa in cui non c’era un libro mio. Quindi ades-so, lì dentro, ci sono dieci anni di libri miei, gli ulti-mi dieci anni: li tengo uno di fianco all’altro, non in

ordine alfabetico o per tipologia, ma nell’ordine in cui li ho aperti(un sistema, tra l’altro, che consiglio: le sere che ti annoi, passi aguardare i dorsi e, se hai voglia, è come ripercorrere pezzi della tuavita, basta lasciare che il gusto dei giorni in cui li hai tenuti in manoritorni su: e lo fa, eccome se lo fa). Questa è la ragione per cui sonoin grado di dire, con una certa esattezza, quali sono i migliori cin-quanta libri che ho letto negli ultimi dieci anni. Un tantino più dif-ficile è spiegare come mai ho deciso di dedicare a ognuno di loroun articolo, passandone uno alla settimana, per un anno, ogni do-menica.

Perché li leggano anche altri, direi. E già basterebbe. Ma c’è del-

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DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

Novembre 1971: un ancora oscuro musicistasi inventa la figura di una rockstar aliena

di nome Ziggy Stardust.È la prima trasformazionedell’uomo che più di tutti anticipò e cambiò la musica,la moda, l’arte. Come racconta ora il concept book definitivo

SpettacoliStarman

Bowiediventò

Quando

1974

1962

1963

1964

1965 1966 1967 1968

1969

1970

1971

19721973

David

IL LIBRO

Any Day Now. David Bowie. Gli anni londinesi: 1947-1974curato da Kevin Cann uscirà il 23 novembre per Arcana

(336 pagine, 39,50 euro). Definito dal Daily Express“libro musicale del decennio”, raccoglie 850 documenti

fotografici (alcuni illustrano queste pagine) che ricostruiscono

quasi giorno per giorno la vita di David Bowie dalla nascita

all’apice del successo con la pubblicazione di Diamond DogL’autore è stato per quasi vent’anni il curatore dell’archivio

di Bowie e ha avuto accesso a rarissimi memorabilia –

locandine e biglietti dei concerti, copertine e ritagli di riviste

e una miriade di fotografie – affiancati da interviste

a centinaia di amici e collaboratori del Duca Bianco

Il libro è prenotabile da oggi online su www.lafeltrinelli.it

TRASFORMAZIONI 1955. A scuola a Bromley, un sobborgo di Londra (DELL PUBLISHING); 1962. A quattordici anni, prima dell’incidente all’occhio (COLLEZIONE DELL’AUTORE); 1963. A Londra (ROY AINSWORTH/DAVID BOWIE COLLECTION);

1964. Primo servizio fotografico da professionista (DEZO HOFFMAN/REX FEATURES); 1965. Alla Emi (EMI); 1966. Il David modernista dei primi mesi del ’66 (PICTORIAL PRESS/ALAMY);

1967. Uno dei primi esperimenti col trucco (GERALD FEARNLEY); 1968. Nell’appartamento di Tony Visconti a Lexham Gardens (RAY STEVENSON/REX FEATURES); 1969. Ai Paddington Street Gardens (KENNETH PITT);

1970. Nell’estate a Haddon Hall (KEITH MACMILLAN/DAVID BOWIE ARCHIVE); 1971. Foto per la quarta di copertina di Oh You Pretty Things (BRIAN WARD/DAVID BOWIE ARCHIVE/TERRY PASTOR);

1972. Si prepara a salire sul palco (BYRON NEWMAN); 1973. Servizio fotografico per Aladdin Sane (DUFFY ARCHIVE); 1974. Foto per la copertina di Diamond Dogs (TERRY O’NEILL/GETTY IMAGES)

GIUSEPPE VIDETTI

1955

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DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

La copertina

“Vi racconto i migliori cinquanta libri che ho letto negli ultimidieci anni. Così vi parlo di quello che mi piace e non mi piacedel mondo. Non i libri più belli della mia vita, quella sarebbeun’altra cosa”. Alessandro Baricco incomincia il suo viaggioa puntate ogni domenica su “Repubblica”Primo titolo: “Open” di Andre Agassi,il ragazzo che odiava il tennisma doveva finire la partita“che poi è la stessa che giochiamo tutti”

‘Mi resta ancora del gioco, non

eh, non l’ha scritto lui, d’accordo. L’ha scritto J. R. Moehringer, uno che nel2000 ha vinto il Pulitzer per il giornalismo: e che, obbiettivamente, è di unabravura mostruosa. Non bisogna pensare però che si sia limitato a fare daghostwriter: gli è riuscito di dare ad Agassi una voce (una vita l’aveva già, e mi-cidiale) e una diabolica abilità nel raccontare. Risultato: di Moehringer tiscordi subito e ti ritrovi in viaggio con un Agassi che non ti saresti mai aspet-tato e che non smette un attimo di parlare. Se parti, non scendi più fino al-l’ultima pagina. Roba che i famigliari protestano e sul lavoro non combinipiù un granché.

In genere, quando un libro riesce a ottenere un simile risultato contieneuna di queste quattro domande: chi è l’assassino? Il protagonista troverà sestesso? Ma alla fine si sposeranno? Chi dei due vincerà? Open ne contiene tre

su quattro, e le intreccia molto bene: le possibilità di sottrarsi alla trappola so-no pari a zero. (Manca l’omicidio, ma se si largheggia un po’, l’idea di far alle-nare il proprio figlio di sette anni tirandogli 2.500 palline al giorno assomigliamolto a una specie di avvelenamento metodico, e quella era l’idea di educa-zione che aveva in testa il padre di Agassi).

Adesso che sono stato ad ascoltarlo, so che Agassi ha vissuto come giocavaa tennis, cioè i piedi ben dentro al campo, ad aggredire la pallina mentre sale(tutti buoni a prenderla mentre scende), immaginando tutto a una velocitàirragionevole, e collezionando sciocchezze mostruose e invenzioni sublimi.Intanto che faceva tutto questo, cercava un senso alla sua vita, e se si ritornacon la mente a quel pagliaccio in hot pants di jeans e capelli tinti sparati sullatesta che giocava come un flipper, la cosa risulta poco credibile: ma non seapri il libro e gli dai una chance. Alla fine bisogna arrendersi, sembrava defi-ciente ma non lo era. O almeno: era intelligente in un modo molto barbaro, equindi affascinante.

Non sarebbe poi stato molto differente, il giovane Werther, se solo nasce-va nel 1970 a Las Vegas. Tutto molto superficiale, ma quando ad esempio ti facapire le porzioni di vita che possono viaggiare in una pallina da tennis cheschizza su del cemento, in assenza di qualsiasi profondità, e nell’ossessiva ri-cerca di poche linee dipinte di bianco, un’idea te la fai, molto fisica, di come

(segue dalla copertina)

altra parte, come si faa stare zitti, con tuttoquel che accade intorno,

e soprattutto se ti guadagni il panelavorando con l’intelligenzae il gusto? È un lusso che nonci si può permettere. Alla finemi son ricordato di una cosache ho imparato dai vecchi: falliparlare di quello che veramenteconoscono e amano, e capirai cosapensano del mondo. (Chiediglicome si immaginano il Paradiso,se vuoi capire cosa pensanodella vita: non so più chi l’ha detta,ma è vera). Io di cose che conoscodavvero, e amo senza smetteremai, ne ho due o tre. Una è i libri.Mi è venuta un giorno questa idea:che se solo mi fossi messo lìa parlare di loro, prendendone unoper volta, solo quelli belli, senzasmettere per un po’ — beh,ne sarebbe venuta fuoriinnanzitutto una certa ideadi mondo. C’erano buonepossibilità che fosse la mia.Dunque eccoci qua. Vorrei solopuntualizzare che ci sarà di tutto,romanzi, saggi, fumetti, libriappena usciti, testi forse già sparitidal Catalogo: purché abbianoforma di libro. E vorrei ricordareche non sono i cinquanta libri piùbelli della mia vita, quella sarebbestata un’altra cosa, una speciedi Canone personale che non misarebbe mai venuto in mentedi fare: sono il frutto del caso, di ciòche casualmente ho letto in unpezzo della mia vita, niente di più.Non ci sarà Viaggio al terminedella notte, per capirsi (l’ho lettoquando avevo vent’anni).Né Anna Karenina (me lo tengoper qualche lungo degenza,augurandomi di non leggerlo mai).Ho semplicemente sceltoi migliori cinquanta libritra quelli che ho letto di recente.Sono quelli di cui parlocon gli amici, quando abbiamofinito di litigare su film e politica.Si meritavano qualcosa di più.

(a.b.)

ALESSANDRO BARICCO

‘ (Comprato perché me l’hanno consigliato due amici,tutt’e due più giovani di me, tutt’e due sceneggiatori.Sempre fidarsi degli sceneggiatori, quando leggono)

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IL LIBRO

Andre Agassi,

Open. La mia storiaEinaudi Stile Libero

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l’infinito possa correre sulla pelle del mondo senza prendersi la briga di scen-dere in qualche altro posto, nel sottosuolo. Serve giusto una mente altrettan-to veloce e leggera, e poi tutto ritorna a posto.

Agassi aveva (ha) una mente di quel tipo, e ce l’avevano (magari in modoun po’ più rudimentale) quelli intorno a lui. (Gente capace di dire frasi comequesta: «Andre, certe persone sono termometri, altre termostati. Tu sei un ter-mostato. Non registri la temperatura in una stanza, la cambi». Brutale, sem-plicistico, ma anche vero, in un certo modo, e molto utile se te lo dicono quan-do stai per uscire per la prima volta con la donna dei tuoi sogni). Pallina dopopallina, volano le domande e le risposte sulla vita, schizzando sul cemento deipensieri, e alla fine quella a cui assisti è un’unica, grande, affascinante parti-ta giocata da un ragazzo contro il buco nero che si porta dentro: che poi è lastessa partita che giochiamo tutti, lo si voglia o no. Ne ho letto infiniti reso-conti, e quello di Agassi ha una sua elementare bellezza sintetica che vale piùdi mille centrini letterari (romanzi all’uncinetto, non so se mi spiego). Sul fi-nire della carriera, quando ormai vinceva e perdeva da secoli, quando avevagià ricominciato da capo un paio di volte, quando stava in campo solo graziealle iniezioni di cortisone, i giornalisti iniziarono a chiedergli come mai nonsmetteva. Era una domanda giusta, giustamente porta a uno che non avevamai smesso di pensare “Io odio il tennis”. Ecco la risposta di Agassi: «È così

che mi guadagno da vivere. E poi mi resta ancora del gioco. Non so quanto,ma un po’ ce n’è». Ho in mente decine di domande a cui vorrei esser capacedi rispondere con una così barbara esattezza. (Se ad esempio mi chiedete per-ché non smetto di scrivere, vi beccate una conferenza di almeno mezz’ora).

Tutto sommato, l’unica cosa del libro che mi è spiaciuta è il finale. L’eroe sisposa, vince e scopre se stesso. Lieto fine, ma non è questo che mi è spiaciu-to. È che l’eroe scopre il senso della vita iniziando ad occuparsi degli altri, i suoifigli innanzitutto, ma anche gli altri veri: apre una scuola per bambini che nonhanno la possibilità di studiare. Volontariato. Tutti felici. Sipario. È che io nonci credo. A me risulta che la ricerca del senso è una sorta di partita a scacchi,molto dura e solitaria, e che non la si vince alzandosi dalla scacchiera e an-dando di là a preparare il pranzo per tutti. È ovvio che occuparsi degli altri fabene, ed è un gesto così dannatamente giusto, e anche inevitabile, necessa-rio: ma non mi è mai venuto da pensare che potesse c’entrare davvero con ilsenso della vita. Temo che il senso della vita sia estorcere la felicità a se stessi,tutto il resto è una forma di lusso dell’animo, o di miseria, dipende dai casi.

Peraltro, è anche possibile che mi sbagli. È giusto un pensiero istintivo —un certo modo di vedere il mondo.

so quanto. Ma un po’ce n’è

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Il suo primo Berlusconi risale al 1990: mascella larga,sorriso perenne, tacco alto, doppiopetto. Oggi lo disegnain pantofole e canotta. Dalla sua casa-rifugio il grandevignettista si racconta mentre esce un suo nuovo libro:“A volte un malumore reattivo, altre un disagio profondodovuto all’impotenza: ecco cosa ha ispirato il mio lavoro”

L’attualitàCipputi & caporali

Altan.“I miei ventun annicol Cavalier Banana”

AQUILEIA (Udine)

ora, il cavalier Silvio Banana come losalutiamo? «L’ideale sarebbe far fin-ta di niente. Finalmente, che silen-zio». Dopo gli eccessi da commedia,la grancassa, i funambolismi circen-si, ecco l’insperata quiete. Si capisceche per Altan, un italiano dalla paro-la sobria e dal gesto essenziale, il ber-lusconismo debba aver funzionatoda agente allergizzante. I nomi chenon corrispondono più alle cose, leformule precotte, le «campanellerotte», come le chiama lui. L’impaz-zimento e la resa. In questi anni, conammirevole tenacia, ci ha messo di-nanzi alle nostre insensatezze, neltentativo forse di restituire senso aciò che non l’aveva più. «Sono com-battuto tra la testardaggine della vo-lontà e la malinconia della ragione»,dice il suo alter ego dalla copertina diTunnel, la nuova raccolta di vignetteche è uno straordinario romanzo pergrafismi dell’ultimo decennio (Gal-lucci). Non c’è più tempo per l’otti-mismo, solo per un’eroica ostinazio-ne.

E per comprenderne l’eccentri-cità, quel suo essere diversamenteitaliano, quella distanza-vicinanzasu cui si esercitano molti esegeti, bi-sogna venire nella sua casa rurale diAquileia, dove tutto sembra suggeri-re una segreta armonia. La stradadall’«aerodromo» — Altan chiamacosì l’aeroporto — è immersa nel ver-de fiammeggiante dell’autunno,ininterrotti filari di pioppi che rac-contano un paese non ancora ridise-gnato dai capannoni. Un rassicuran-te giardino in stile pimpesco introdu-ce alla grande magione di pietra, cir-condata dalle cascine d’una vecchiaazienda agricola. «È un lascito di miononno, imprenditore e senatore delRegno. Venimmo a viverci sul finiredegli anni anni Settanta insieme amia moglie Mara. Lei voleva tornar-sene in Brasile, così mio padre ci offrìquesta casa». Mara fa strada tra i ce-spugli di lantane e ortensie, riem-pendo di vitalità i lunghi silenzi delsuo Checco. Doveva essere un geni-tore attento, Carlo Tullio Altan, oltreche studioso insigne. «È stato fonda-mentale anche nel mio lavoro. Da luiho imparato parecchio, sull’Italia esul carattere degli italiani, come sia-mo fatti, i nostri vizi antichi. Negli ul-timi anni venne a vivere dall’altraparte del giardino, così riuscivamo aparlare ogni giorno. Talvolta s’infu-riava. Aveva fatto la Resistenza nelpartito d’Azione. Aveva scritto librisulla religione civile degli italiani.Nutriva una concezione sacra dellapatria e della comunità, e ora le vede-va perdute».

L’aristocratica famiglia Altan risa-le al XIV secolo, un dipinto cinque-centesco al primo piano ne riprodu-ce su uno sfondo agreste il rigogliosoalbero genealogico. C’è anche un ca-

valiere veneziano giustiziato nel Set-tecento in piazza San Marco. «Gliavevano intimato di stare lontanodalla laguna, ma lui non rispettò l’in-giunzione», sorride Altan, forse unpo’ fiero di quell’avo ribelle. Una sto-ria antica, prima di entrare nell’offi-cina in cui nascono i suoi omini dallosguardo acquoso e dal boccolo ribel-le, creature deformi ma depositariedi verità ultime — i figli dei Cipputi edei Busdazzi — o mostruose e basta.Con il pennarello ora tratteggia un in-solito Silvio Banana in apparente di-sarmo, la canottiera al posto del dop-piopetto.

«È stato il malessere a ispirare ilmio lavoro in questi anni. Talvolta unmalumore reattivo, che provocavauna risposta immediata. Talvolta undisagio più profondo, che è quellodell’impotenza».

Tunnel è il titolo di quest’ultimaraccolta. È prevista un’uscita?

«Al momento bisogna pensare chese ne può uscire. Più in là non mi spin-gerei».

Quando ci siamo entrati?«Parecchio tempo fa. Una mia vec-

chia vignetta riproduce un ominocon la testa infilata nel water: “Stocercando la luce in fondo al tunnel”.Ne deduco che non sia una storia bre-ve».

Come è nato il cavalier Banana?«La prima vignetta con Berlusconi

risale al ’90. Lo ritrassi con Craxi. Ladidascalia recitava: “Sono come ReMida. Tutto quello che toccano di-venta loro”».

Quasi una profezia.«Prima delle elezioni del 2001,

Gianni Agnelli disse che non erava-mo una Repubblica delle Banane. Èvero, scrivevo io, non siamo una Re-pubblica delle Banane, ma del Cava-lier Banana. La banana diventò cosìun segnale, un termometro».

Paragonabile all’ombrello?«Quello però riguarda più da vici-

no il nostro popolo, o meglio riguar-da situazioni in cui ci siamo messinoialtri. Penso all’ombrello di Berti-notti: con autoscatto. La banana è un

gingillo, talvolta una spilletta dei fe-delissimi».

Mascella larga, quarantaquattrodenti, tacchetto colorato...

«Il tacchetto variopinto è come uncartello stradale che richiama l’at-tenzione. O segnala un pericolo».

Anche in pantofole, rinuncia alsorriso ma non al tacco.

«Come il pilone dello stadio, quan-do da bambino a Bologna andavo al-le partite. Non riuscivo mai a vedereil campo. Così gli italiani si sono tro-vati davanti questo carattere da com-media dell’arte, e non hanno potutoevitare di vederlo. Specie negli ultimianni, quando ha smesso di governa-re continuando a portare in scena ilsuo personaggio».

Il berlusconismo è stato un regi-me?

«Penso di sì, nella forma che han-no queste cose nella nostra epoca. Iregimi autoritari sono un’altra fac-cenda. Nessuno in questi anni ci haimpedito di parlare. Anche se qual-cuno ha pagato sul piano professio-

nale: penso a giornalisti come Biagi eSantoro, che sono stati cacciati dallaTv pubblica».

La politologia sudamericana di-stingue “dicta-dura” da “dicta-blanda”…

«Ecco, una cosa così. Una rotturademocratica condotta pian pianino,senza dare nell’occhio: un pezzo diCostituzione di qua, una leggina di là.Quel che mi ha colpito non è solo l’a-fasia dell’informazione televisiva, itelegiornali che non danno più le no-tizie fondamentali, ma soprattutto losvuotamento del linguaggio, ridottoa slogan e parole d’ordine. Al postodel pensiero, la formula precotta. In-vece dell’analisi, un agitare di cam-panelle rotte. Uno spettacolo peno-so, a cui non s’è sottratto nessuno».

Mettiamo da parte la banana eprendiamo l’ombrello del popolo disinistra?

«Uno degli effetti più perniciosi delberlusconismo è che tutto è scivola-to al livello più basso. E questo ci ri-guarda tutti: alla fine non siamo di-versi dagli altri. Siamo tutti indiscipli-nati, come i ragazzini a scuola. Misembra che in questi anni il centro-sinistra abbia perso di vista le prio-rità, ossia trovare una risposta alledomande. Abbiamo continuato a ti-rarci i righelli sulla testa. Nella vec-chia sinistra c’era rispetto per un’i-dea comune. E si contenevano i vizi».

Il berlusconismo in una vignetta?«“Un giorno finirà”, dice una si-

gnora. “Ahimè, mi toccherà pulire”,le risponde un’altra. Una specie di al-luvione continua, poi però occorretogliere il fango».

Quante generazioni occorreran-no?

«Mah, non si può prevedere. Cre-do che dipenda dalla nostra capacitàdi reagire. Queste cose vanno un po’come a palla di neve: è il primo avvioche è difficile».

Il sentimento prevalente?«L’angoscia per la quantità di per-

sone che non studiano né lavorano.Il futuro è diventato una prospettivanebbiosa. Quando vado al cinema,una delle cose che mi emozionano dipiù è il riconoscimento della cosaben fatta. Non so, il saggio finale inSaranno famosi. La cosa ben fatta èimportante. Oggi il berlusconismomi appare come un enorme tempoperso, un vuoto che si è riempito dicosacce».

Una delle vignette più personalirecita: “Mi sento moderato, speria-mo che passi”.

«Questo fine settimana mi sentomoltissimo moderato. Abbiamo bi-sogno di far cambiare umore ai mer-cati, e non è questione da poco. Spe-riamo che mi passi, ossia speriamoche le condizioni cambino. Ma oggianche Cipputi si sente rassicuratodalla scelta di Monti: lo reputa un ri-medio necessario».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

SIMONETTA FIORI

IN PIGIAMA. La vignetta che Altan ha disegnato per la Domenica di RepubblicaNella pagina accanto, Francesco Tullio Altan e alcune delle vignette raccolte in Tunnel

ALTAN

E

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

‘‘Prospettive

Ci siamo trovati davanti questo carattere della commedia dell’arte e non abbiamo potuto evitare di vederlo

‘‘

‘‘Regime

C’è stata una rottura democratica senza dare nell’occhio: un pezzo di Costituzione di qua, una leggina di là...

‘‘

‘‘Tunnel

Al momento bisogna pensare che se ne può uscire. Più in là non mi spingerei

‘‘‘‘

Ombrello

Riguarda più da vicino il nostro popolo, o meglio riguarda situazioni in cui ci siamo messi noi stessi

‘‘

IL LIBRO

Tunneldi Francesco Tullio Altan

(Gallucci, 245 pagine,

16,50 euro)

è in libreria: raccoglie oltre

duecento vignette

tra le più recenti pubblicate

su Repubblica e l’Espresso

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

È

“La poesia non è mai stata il mio scopoSono anti-poeta per carattere, per rifiuto”Così amava dire uno dei più grandi letteratifrancesi del Novecento. Ora un volumeraccoglie i suoi scritti e disegnisegreti. E rivela quali eranoi suoi sogni nel cassetto

L’ineditoVocazioni mancate

VALERIO MAGRELLI

PaulValéry

Volevo fare l’architettopossibile che un poeta detesti essere tale? Èpossibile che un autore, tradotto dai maggio-ri scrittori del suo tempo, neghi la propria na-tura? Al netto di ogni vezzo o vanità, la rispo-sta a queste domande risiede in un unico no-me: Paul Valéry. I suoi rapporti con la lirica,infatti, furono a dire poco controversi, comerisulta da una serie di sconcertanti confes-sioni: «Provo repulsione per la Cosa Lettera-ria», affermava, e ancora: «Sono anti-poetaper carattere, per rifiuto», oppure: «La lette-ratura non è la mia preoccupazione princi-pale», e infine: «La poesia non è mai stato ilmio scopo, ma uno strumento, un esercizio».Poeta suo malgrado, benché arrivato ai ver-tici della fama (quando morì, nel 1945, Char-les De Gaulle non esitò a concedergli i fune-rali di Stato), egli in realtà si spinse fino a sag-giare le più diverse materie.

Insomma, è ormai assodato che dietrol’autore di impeccabili alessandrini si nasco-se un pensatore versatile e curioso, rivolto aproblemi epistemologici, estetici, politici,come a questioni d’ordine filosofico e scien-tifico. Luogo deputato del suo laboratoriomentale furono le venticinquemila paginedei Cahiers. Proprio dalla caverna magica ditali taccuini provengono gli spunti più inat-tesi, come quelli su cui si concentra un volu-me di Giorgio Pigafetta e Patricia Signorile:Paul Valéry architetto (Jaca Book).

Il libro non costituisce certo una sorpresa,

visto che già nel 1923 Valéry diede alle stam-pe un dialogo in prosa, Eupalino o l’architet-to, che in Italia fu commentato da GiuseppeUngaretti e in seguito tradotto da Vittorio Se-reni. Logico che due fra i nostri maggiori poe-ti del Novecento si siano occupati di chi com-pose i versi della Giovane Parcao del Cimite-ro marino. Ma quale fu, in effetti, la conce-zione che Valéry ebbe di una materia tantoapparentemente distante dalla letteratura?Molte indicazioni al riguardo ci giungono daitesti inediti che arricchiscono Paul Valéry ar-chitetto. Il volume offre una ventina di pagi-ne divise in due parti e tradotte in italiano,sia pure con qualche svista: Lezione sull’ar-chitettura (1943-1944) e Schizzi. Disegno.Architettura, ovvero una serie di appuntiche lo scrittore redasse un anno prima dellamorte. L’aspetto stenografico di tali docu-menti lascia emergere vari nodi tematici,ma senza mai svilupparli. Tanto più neces-sari appaiono i contributi dei curatori, cheaffrontano l’opera di Valéry da due prospet-tive complementari. Come storico dell’ar-chitettura, Pigafetta ricorda che il poeta fupartecipe di un ambiente che cercava dicontemperare la radice accademica dell’ar-chitettura con le spinte verso la modernità.Le sue posizioni si collegano quindi a quel-le di protagonisti quali Albert Laprade, PaulTournon e Auguste Perret.

Le tesi di Valéry emergono appunto daquesta «splendida stagione culturale ormaial tramonto». Pigafetta le riassume così: l’ar-

chitettura non ha modello in natura e non èun’arte di imitazione, ma chiama piuttostoalla «esplorazione dello sguardo». Si tratta diuna disciplina eminentemente cinestetica,che cioè, per essere compresa, esige il movi-mento dell’osservatore. Ciò che più conta,però, è che il suo nucleo artistico ed espressi-vo risieda nell’atto costruttivo: ecco cosa laavvicina alla letteratura in genere e alla poe-sia in particolare, in quanto arte del “fare”(dal greco poiein). Altro punto essenziale:l’architettura è sempre subordinata a rap-porti armonici. Sotto questo profilo, essa in-trattiene stretti legami con la musica.

Valéry, dunque, si colloca nella scia del-l’insegnamento pitagorico (perfettamenteillustrato in un film per l’infanzia come il di-sneyano Paperino e la matemagica) e fu unfervente ammiratore di Matila Ghyka, chenegli anni Trenta conobbe un ampio succes-so con uno studio sulla proporzione aurea,intitolato Il numero d’oro.

Rispetto all’intervento di Pigafetta, Patri-cia Signorile si concentra piuttosto sul ver-sante letterario e filosofico. Il suo testo ha ilmerito di collocare le posizioni di Valéry in unricchissimo plesso culturale, dove spiccano inomi di George Simmel, Martin Heidegger,Hannah Arendt e Walter Benjamin. Se que-st’ultimo, nel 1930, nota: «La differenza fra unarchitetto buono e uno cattivo consiste ogginel fatto che il cattivo cede a tutte le tentazio-ni, mentre quello buono vi resiste», lo scritto-re francese gli fa eco: «Le città moderne han-

no rovinato l’architettura […] Non c’è più re-lazione sensibile tra forma e materia», poichéla costruzione appare invasa «dal cemento edal metallo». Valéry, che dichiarò d’aver vo-luto essere architetto, amò la pietra, il taglio,la misura. Un libro come questo ci fornisce lechiavi per comprendere la sua avventura in-tellettuale, presentando l’autore negli inedi-ti panni di pittore e disegnatore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL LIBRO

Si intitola Paul Valéryarchitetto il libro

di Giorgio Pigafetta

e Patricia Signorile

che, muovendo

da alcuni appunti

inediti contenuti

nei Cahiers(alcuni di questi,

insieme ai disegni,

sono pubblicati

in queste pagine),

ricostruisce

la passione

del poeta francese

per l’architettura

Pubblicato da Jaca

Book (240 pagine,

26 euro) è in libreria

da domani

Repubblica Nazionale

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DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

Ho un debole del quale mi scuso o mi glorifico assai so-vente: un debole per l’architettura. Tale è stato il mioprimo grande amore delle arti. Dirò molto male del-

l’architettura moderna perché questa sensibilità ingenuache mi trovo dell’edificio non ha trovato che eccitazioni disofferenza nelle costruzioni delle epoche recenti. Ma è l’av-venire stesso di questa grande arte che mi appare molto oscu-ro. Si piange sul passato abolito ma si piange sul futuro pro-babile. Questo futuro mette in discussione l’esistenza stessadell’architettura come arte e di conseguenza l’esistenza del-l’architetto. Tutto ciò che è si riassume in questa proposizio-ne interrogativa: l’architetto deve scomparire di fronte al-l’ingegnere? Ecco tutto. In effetti i procedimenti, i materiali,le esigenze, le condizioni economiche ecc. tendono a ridur-re il ruolo dell’artista in materia di costruzione a quello di undecoratore di un’opera che si costruisce, si compie, raggiun-ge la perfezione indipendentemente da ogni considerazioneestetica e che non può raggiungere questa perfezione che aprezzo di questa indipendenza. Qui, conviene dissipare unaconfusione enunciata tra l’utilità e l’effetto emotivo non in-tellettuale.

***

Come pensare l’architettura? Dall’utile all’inutile.

***

L’architettura è l’arte della volontà affermata in atti compiu-ti. Rende sensibile una volontà.

***

Sull’arte da venire. L’arte è fare qualcosa, che, potendo esserediversa a seconda dei nostri mezzi fisici, si distingue per la suaesistenza nella realtà una volta compiuta [...]. Si tratta, insom-ma, di una necessità che si mostra soltanto nell’arbitrario, odella quale l’arbitrario è la condizione; o di una disuguaglian-za che si dichiara in piena uguaglianza. Per questo il “caso” è ilnome che sovente diamo al fatto iniziale dello spirito che èun’idea felice o piuttosto un’idea che diventa felice e si scrive.

***

Tutta la questione è la seguente: un’arte può essere sostitui-ta da una “tecnica”? [...] L’architetto deve scomparire di fron-te all’ingegnere? Quali differenze tra loro? La costruzione del-l’ingegnere può risultare da un’analisi convergente, da unprogramma di condizioni. Queste condizioni sono esprimi-bili. L’architettura come arte è l’arte di dare allo sguardo ciòdi cui costruire un sistema di figure conforme alla natura del-lo sguardo. [...] Si può concepire una differenziazione tale chel’architettura si sviluppi in monumenti inutili. Pura costru-zione dell’occhio. [...] L’architetto è l’artista che usa la libertàche lasciano i bisogni soddisfatti delle utilità e necessità.

***

Ciò che vedo mi parla, ma talvolta mi canta senza parole.

Traduzione Marina Leoni© 2011 Editoriale Jaca Book Spa

L’arte della volontàdall’utile all’inutile

PAUL VALÉRY

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LE TAVOLE

Dall’alto a sinistra in senso orario,

prospettiva urbana (1931);

studio di costumi (1928);

porto visto da una finestra (1928);

studio prospettico (1937);

prospettiva urbana (1926);

schizzo architettonico (1931);

Santa Maria in Ara Coeli a Roma (1937)

Nella foto, Paul Valéry nel 1935

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DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

1968

1969

1970

1971

1972

Il giornoin cui nacque, a Londra, l’8gennaio del 1947, Elvis Presley fe-steggiava il dodicesimo com-pleanno e il pittore americanoJackson Pollock iniziava la sua ri-voluzionaria action painting. Per

David Bowie non furono solo coinciden-ze. Più tardi avrebbe rivelato che avevascritto Golden Years(uno dei brani dell’al-bum Station to Station) con la segreta spe-ranza che il re del rock & roll la cantasse.Quanto a Pollock, avrebbe confidato:«Realizzò il suo primo quadro con la tec-nica del dripping il giorno in cui nacqui,quindi so distinguere da un chilometro seuna cosa è stata dipinta prima o dopo». Ascrutare giorno per giorno infanzia, ado-lescenza ed esordi di David Bowie, che agennaio compie sessantacinque anni, siscoprono talmente tanti segnali, coinci-denze, arcani, premonizioni, illumina-zioni, intuizioni e iniziazioni da metterein crisi anche il più cavilloso dei biografi.Non Kevin Cann, per oltre due decennisuo personale archivista, che è riuscito acompilare una meticolosa, maniacalecronologia dei primi ventisette anni, dal-la nascita come David Robert Jones nelquartiere londinese di Brixton alle primesortite come sassofonista dei Kon-Rads,quando quindicenne incrociò per la pri-ma volta Mick Jagger; dagli stage conLindsay Kemp, che gli trasmise l’arte diMarcel Marceau, all’invenzione di unaprimitiva incarnazione androgina di popsinger con il brano Velvet Goldmine; dallapubblicazione in sordina di Space Oddity— stellare capolavoro che impiegò tre an-ni a esser compreso e proprio in questigiorni è diventato un libro per bambiniper mano dell’illustratore canadese An-drew Kolb — alla trionfale ascesa di ZiggyStardust, una delle più seducenti, ambi-gue e contagiose maschere della storia delrock; dall’incisione dell’inquietante Dia-mond Dogsalla partenza per gli Usa in cer-ca di una definitiva dimensione d’artista— finalmente vate del pop contempora-neo.

«Come si raggiunge un successo diqueste dimensioni?», scrive l’autore nel-l’introduzione a Any Day Now. Gli annilondinesi: 1947-1974pubblicato da Arca-na. «Qui trovate tutto, ma poi tocca a voiaggiungere l’unicità del fattore genio e diun certo esoterismo che regola la sua ispi-razione. Il regista Stanley Kubrick, che haesercitato un’influenza profonda sullacarriera di David, parlando dei suoi filmcommentò: “Sta al pubblico scoprire leidee, il brivido della scoperta le rende an-cora più potenti”». Fu certamente 2001:Odissea nello spazio il film che gli fecescattare la scintilla di Space Oddity, Star-mane Life on Mars, i capolavori del primoperiodo, insieme alla vocalità tipicamen-te cockney dell’Anthony Newley di Fee-ling Good e il timbro oscuro di ScottWalker, tormentato cantante dei WalkerBrothers innamorato di Jacques Brel, il se-greto trait-d’union tra Sinatra e il DucaBianco.

A guardare le foto del sassofonista ado-lescente già s’intuisce che il ragazzo eraavanti. Un intrigante mod ingentilito dalperfetto grooming dandy; biondo, ele-gante, carismatico già a quell’età. Avreb-be potuto fermarsi lì, era già un personag-gio. Ma nella testa aveva un frullato di Ku-brick e Nietzsche, Elvis e Dylan, AndyWarhol e Carnaby Street, psichedelia eavanguardia. Avesse esordito oggi, loavrebbero eliminato al primo insuccesso;nessun discografico pazienterebbe seianni prima del trionfo. Nonostante Mor-rissey (Smiths) a posteriori abbia senten-ziato «The Man Who Sold the Worldè il mi-glior disco di David Bowie», il mondo po-co o niente sapeva di lui prima di ZiggyStardust. Paradossale che vent’anni dopoproprio Morrissey abbia spacciato persua una frase che Bowie aveva pronun-ciato ancor prima di diventare star: «Dapiccolo desideravo tutto tranne la nor-malità. Essere corrotto mi sembrava fan-tastico». Nel destino di David era scrittoche avrebbe fatto e detto tutto prima ditutti. Bisex? Transgender? Intersex? Tra-sgressivo? Lo era ancor prima che i termi-ni entrassero nel linguaggio comune; perla copertina di Hunky Dory scelse una fo-to in cui era sessualmente indefinibile;leggendarie le sue fellatio on stage ingi-nocchiato davanti alla chitarra del fidoMick Ronson. Artista di culto adorato co-me un semidio? Anche Michael Jacksonammise di dovere molto alle arti mimichedi Bowie. Glam rock? Tutti suoi discepoli.New romantic anni Ottanta? Pallide imi-tazioni. Punk rock e grunge? Kurt Cobains’inchinò a sua maestà cantando un’os-sequiosa versione di The Man Who Sold

the World. Senza Bowie non avremmoavuto l’Elton John di Rocket Man, e nep-pure lo slandro teatrino pop di Lady Ga-Ga. Difficile trovare nella storia del rockuna star che abbia sostenuto ogni scel-ta/svolta della sua carriera con tanto stileed erudizione.

Novembre 1971, quarant’anni fa: dopoquattro capolavori underground, Bowieentra in studio determinato a trascinare ilrock fuori dalla comfort zone in cui Bea-tles e Rolling Stones l’avevano accomo-dato. Il suo nuovo manager, Tony Defries,sa quanto vale quel che bolle in pentola.Incontra a New York il boss della Rca, l’e-tichetta di Elvis. «Non avete niente di gros-so dagli anni Cinquanta», lo aggredisce,«con David Bowie potete prendere in ma-no le sorti degli anni Settanta, come i Bea-tles hanno fatto con i Sessanta». Furono idischi di Norman Carl Odam, un bizzarroartista texano che si era battezzato The Le-gendary Stardust Cowboy e pretendeva diprodurre psychobilly music, a ispirare ilpersonaggio di Ziggy Stardust. Raccontal’artista: «All’inizio del 1971 incontrai undirigente della Mercury che mi mise furti-vamente in mano un paio di singoli.“Ascoltali”, mi disse, “non sarai più lostesso dopo”. A casa quasi soffocai quan-do misi sul piatto Paralyzede I Took a Tripon a Gemini Spaceship. L’integrità, l’one-stà e il guizzo brutale e innocente di quel-l’artista semisconosciuto mi rapirono.Ero diventato suo fan a vita, e Ziggy avevatrovato il suo cognome».

Il potente concept album — The Riseand Fall of Ziggy Stardust and the Spidersfrom Mars — esce il 6 giugno 1972: Bowiesi cala nei panni di una rockstar alienavenuta a portare messaggi di spe-ranza sulla Terra nei suoi ultimicinque anni di vita: finirà divo-rato dall’adorazione dei fan,dal sesso promiscuo e dalladroga. Bowie viene risuc-chiato dal personaggiofin dal concerto diapertura deltour, alRainbowTheatredi Lon-d r a ,a g o -s t o1972;g r u p -po dispalla iRoxy Musiccon Brian Eno,costumi di KansaiYamamoto. Una notteche ancora a ripensarcivengono in brividi. Conl’aiuto della troupe di mimi diLindsay Kemp, Bowie mette inscena l’odissea del suo eroe fino allostraziante finale in cui, come un’asessua-ta, esangue Garland, Ziggy esegue il suocanto funebre (Rock’n’Roll Suicide) acca-sciandosi sul palcoscenico. Nel giro diuna settimana mezza Londra ha i capellicolor carota e il taglio alla… David Bowie.La Ziggymania aggredisce il mercato rockcon una tale prepotenza e morbosità chealla fine del tour — dopo molti trionfiamericani — lo stesso Bowie è devastatodal bipolarismo e dagli eccessi che condi-vide col suo alter ego. Luglio 1973, con-certo finale all’Hammersmith Odeon diLondra (in sala c’è anche D. A. Penne-baker, il documentarista che aveva filma-to Dylan in Don’t Look Back). Dopo avercantato Love Me Do dei Beatles a un pub-blico in delirio, il divo annuncia: «Non èsolo l’ultima data del tour, questo è l’ulti-mo concerto che faremo». Panico. Deli-rio. Lacrime da beatlesmania. Ma non èBowie che parla, è Ziggy. Una trovata ge-niale. Uccidendo la sua formidabile in-venzione scenica, Bowie sta salvando lasua carriera. Una frenesia di quelle di-mensioni lo avrebbe divorato. O condan-nato alla routine che aveva ridotto Elvis auna caricatura.

L’ultima volta che lo abbiamo incon-trato, nel 2002 — due anni dopo si è sot-toposto a un intervento di angioplasticae a causa dei problemi cardiaci le sue ap-parizioni sono diventate assai sporadi-che (è di questo giorni la notizia che la-scerà la Emi e sta negoziando un nuovocontratto discografico) — ancora parla-va con entusiasmo della sua creatura.«La saga per me non è mai finita», ci dis-se. «Il mio sogno è di produrre contem-poraneamente un film, uno spettacoloteatrale e un evento multimediale legatoa Ziggy Stardust. E lo farò».

MEMORABILIA

In questa pagina, foto, documenti

personali, copertine di giornali,

locandine di serate in locali come

il Witch Doctor, nell’East Sussex,

nel luglio 1965, o al South London

Beat Show nel novembre ’63

C’è anche il contratto per il primo

album con la Decca Records

controfirmato dal padre. In alto,

i genitori di David. Nella foto grande

la prima apparizione fotografica

di Ziggy nel gennaio ’72© RIPRODUZIONE RISERVATA

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LA DOMENICA■ 38

DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

NextCottimo 2.0

Recensire un film, trascrivere un biglietto da visita, cliccare su una pubblicitàper dimostrare che funziona, dichiarare su Facebook che “mi piace” un sitoSono sempre di più i mini-impieghi offerti dal Web, mansioni serialida effettuare in pochissimi minuti e pagate pochissimoPer una giornata abbiamo provato anche noicosa vuol dire essere un “lavoratore della folla”

RICCARDO STAGLIANÒ

Microlavoratori di tutto il mondo, uniamoci.Le nuove corvée digitali non devono co-glierci impreparati. Ieri sera, per dire, ne hofatte cinque diverse. Trascritto un bigliettoda visita. Redatto una breve recensione ci-nematografica. Tentato di descrivere delle

foto piuttosto astratte con parole chiave il più possibile sensa-te. Finto di entusiasmarmi per un sito di scommesse online,dandogli un «mi piace» su Facebook. E infine cliccato su duediverse pubblicità di Google di negozi che vendono abiti damatrimonio, come se dovessi sposarmi a breve.

Questa febbrile, innaturale, mercenaria attività internettia-na mi ha preso quasi un’ora. Per un compenso complessivo diun dollaro e 65 centesimi. Si scrive crowdworking, “lavoro del-la folla”, e sembra una cosa bella, democratica, che profuma difuturo. Ma si legge cottimo 2.0 e puzza di laboratori clandesti-ni, sfruttamento e alienazione di un passato dickensiano o diun presente cantonese. In un gioco al ribasso delle retribuzio-ni che non conosce tregua.

Piccolo passo indietro. Il tasso di occupazione nel mondo siè ristretto. Siamo passati in vent’anni dal 62,3 al 61,2 per cento.Il fenomeno è particolarmente acuto in Occidente. Dal 2007 al2010 la disoccupazione giovanile in Spagna è passata dal 18 al41 per cento, in Irlanda dal 9 al 28, in Italia dal 20 al 28. Un re-cente rapporto McKinsey distingue tra mestieri trasformativi,transazionali e internazionali. I primi, manifatturieri, sono sta-ti i primi a traslocare in Oriente, dove costavano dieci volte me-no. I secondi, routinari come i call center o i servizi di sportello,vengono sempre più automatizzati, ma l’elemento umano an-

cora prevale. I terzi, ad alto valore aggiunto, sono gli unici a nontemere la concorrenza delle macchine. I microlavori della mianotte internettiana, le cui offerte si moltiplicano sul Web, si col-locano sul confine mobile tra l’uomo e la macchina. Per ades-so sono compiti una tacca sopra rispetto alle capacità cogniti-ve di un algoritmo. E vengono retribuiti di conseguenza. Uncentesimo, cinque, cinquanta.

David Autor, docente al Mit di Boston, sull’Economist ha de-finito questa tendenza come lo «svuotamento dei lavori inter-medi», che porta a una bipolarizzazione tra buoni lavori da unaparte e lavori commodity, a valore scarsissimo, dall’altra. E al-lora percorriamoli per bene i gironi del nuovo inferno telema-tico dell’occupazione, che ci porta la delocalizzazione in casa,facendola entrare dalla porta (per l’Adsl) del computer. Perchéciò che per noi o un americano è una miseria, per un indiano oun filippino è ancora una fortuna. Così, mentre noi riflettiamose vale la pena investire cinque minuti, che magari diventanodieci perché la connessione è lenta o quindici perché i link nonfunzionano come dovrebbero, in un compito che frutterà setutto va bene un decimo di un caffè, un nostro concorrente suun fuso orario più sfortunato l’avrà già preso perché per luiequivale a un piatto intero di riso.

L’indirizzo più famoso è probabilmente Mechanical Turk diAmazon. Il nome allude a un automa, creato nel 1770 da un in-ventore ungherese, apparentemente in grado di giocare ascacchi (in realtà nascondeva al suo interno un maestro in car-ne e ossa). Devi iscriverti e cominciare a vedere quali Hit (Hu-man Intelligence Task) la piattaforma offre. La varietà cambiamolto a seconda di dove vivi. Per un americano ci sono oltre

duemila possibilità. Per un povero italiano si riducono a circa250. Per il primo della lista pagano due centesimi, però sembrafacilissimo: trascrivere un video di dieci secondi. Mi butto. Ilproblema, però, è che il rumore di sottofondo è tanto alto danon capire quasi niente. Con tre dubbi su venti parole è megliolasciar perdere. Nel secondo c’è da tradurre delle frasi dal man-darino al cinese (50 centesimi). Nel terzo si tratta di valutare lapertinenza dei risultati di certe ricerche e delle foto relative inun sito di commercio elettronico. La categoria di prova è “bam-bini”. Il primo risultato da votare è un passeggino. Il secondo èuna grata per evitare che i bimbi si facciano male avvicinando-si troppo a un caminetto. Il terzo è un completino da neonato.E così via. Alla fine avrò guadagnato un centesimo al minuto.Una specie di metodo Stanislavskij in scala per capire cosa pro-vano gli occupanti di Wall Street pensando agli stipendi medida dieci milioni di dollari degli amministratori delegati delleprime duecento aziende americane.

Devo fare cassa. Su Microworkers ci sono una cinquantinadi lavori disponibili. Per intascare altri venti centesimi, accettodi dichiarare sulla bacheca di Facebook che «mi piace» un sitodi gioco d’azzardo italiano (solo per rispondere agli amici in-creduli perderò poi altri dieci minuti). Accrediteranno la som-ma solo dopo aver verificato che l’apprezzamento è rimasto inbella mostra per due giorni di seguito. Rilancio con un compi-to da 0,30 dollari. Ovvero cliccare su alcune pubblicità per di-mostrare che funzionano. Se accetti di abbonarti, dare un giu-dizio e commentare un certo canale di YouTube te ne promet-tono addirittura 0,55. È un video del solito casinò online chepunta sul lavoro hard discount per diventare una celebrità in-ternettiana. Il compito meglio retribuito consiste nello scrive-re un post su un blog cherimandi a un sito che sioccupa di far uscire digalera su cauzione lepersone. Dal momentoche il piazzamento suGoogle è molto sensibi-le al numero di altri sitiche rimandano al tuo,non sorprende perchéfiorisca quest’industriadi induzione al link.

Non mi piace l’am-biente, troppe attivitàborderline. Mi dirigoverso Clickworker che,essendo di proprietà te-desca, immagino piùserio. Ci sono 123milaoccasioni e 1.758 personeonline. Riempio un piccolo questionario emi mettono alla prova per la redazione di te-sti in italiano su una recensione da 90 a 120 parole di un film ascelta. Mi misuro sull’ultimo Sorrentino. Il responso arriva l’in-domani, perché il componimento dovrà essere valutato da oc-chio umano. Sono idoneo. Dieci centesimi per il disturbo e so-no qualificato per altre avventure simili. È bello sentirsi valo-rizzati. Finché dura, perché esistono già software, come Stat-sMonkey, in grado di scrivere cronache essenziali di eventisportivi. «È una tendenza che crescerà» giura Paul Sloane, au-tore del libro A Guide to Open Innovation and Crowdsourcing,«ma ci sono solo alcuni compiti che puoi suddividere in questomodo. Parcellizzando le mansioni, il costo del lavoro decre-scerà ulteriormente spostandosi verso l’Asia, com’è successoper quello fisico. Possiamo immaginare un mondo in cui sem-pre meno persone lavorano in ufficio e sempre più da casa,svolgendo incombenze che poi qualcuno assemblerà. Potràdeprimere i salari, ma almeno ridurrà il traffico», commentacon il classico humour inglese. Potrei andare a cercar fortunasu CloudCrowd, ShortTask, MySocialJobs, ma le tariffe noncambierebbero. Oppure chiedere consigli a un conoscente sucome diventare testimonial su Facebook per un’azienda. Iquasi mille euro per i tre mesi in cui, nome d’arte Felice di Ste-so, ha dovuto evangelizzare i suoi amici elettronici sui benefi-ci di una marca di materassi, mi sembravano un incubo. Ma giàoggi sono diventati un sogno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

3

Trascrivere cosa si dice in un video

di 10 secondi

1 MINUTO2

CENTESIMI

2

1

Trascrivereun biglietto da visita

1 MINUTO10

CENTESIMI

Mille clicper un pugnodi centesimi

Descrivere con dei tag alcune foto

5 MINUTI 20

CENTESIMI

Repubblica Nazionale

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■ 39

è il fenomeno

della delocalizzazione

della produzione nei paesi,

generalmente asiatici,

dove il costo del lavoro

è molto più basso

Outsourcing

è la tendenza ad affidare

le mansioni tradizionalmente

svolte dai propri dipendenti

a una collettività indistinta:

Wikipedia è l’esempio

più celebre

Crowdsourcing

evoluzione del crowdsourcing:

consiste nel parcellizzare

un compito in mini mansioni

che possono essere svolte

da casa, collegandosi

a piattaforme online

Crowdworking

Human Intelligence Task,

ovvero il modo

in cui Mechanical Turk,

il servizio di crowdworking

di Amazon, chiama i singoli

compiti da assegnare

Hit

il marketing che avviene

sui social network: sempre

più aziende assoldano

non professionisti come

loro testimonial su Facebook

Tutti a casaPossiamo immaginare un mondo in cui sempre meno persone lavorano in ufficio e sempre più da casa. Potrà deprimere i salari,ma almeno ridurrà il traffico...

Social Media Marketing

‘‘PAUL SLOANE

Autore di A Guide to Open Innovation and Crowdsourcing

DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

4

Trovare la voce di Wikipedia

più pertinente per illustrare

un determinatoargomento

3 MINUTI 4

CENTESIMI

5

Valutare la pertinenza

dei risultati di certe ricerche e delle foto

relative in un sito di commercio elettronico

20 MINUTI 20

CENTESIMI

6

Dichiarare sulla propria bacheca

di Facebookche «mi piace»

un sito

1 MINUTO 20

CENTESIMI

7

Cliccare su alcune pubblicità

per dimostrare che sono efficaci

1 MINUTO 30

CENTESIMI

8

Abbonarsi,dare un giudizio e commentare un certo canale

di YouTube

5 MINUTI 55

CENTESIMI

9

Scrivere un post su un blog

che rimandi a un determinato sito

(per rialzare cosìil suo piazzamento

nelle ricerche di Google)

10 MINUTI 1.5 DOLLARI

10

Recensire un film

con 90-120 parole

5 MINUTI 10

CENTESIMI

Tempo di lavoroe guadagno

di un crowdworker

3.21DOLLARI

IN 50 MINUTI

Microworkers

Clickworker

Mechanical Turk

Repubblica Nazionale

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MacaronAl confine tra dolce

e salato, Massimo Bottura

(La Francescana, Modena)

farcisce le piccole

meringhe con una crema

di foie gras

e lamelle di tartufo

LA DOMENICA■ 40

DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

Il suo profumo ne avvolge il mistero: nessuno sa perchéalcuni esemplari sono enormi, altri minuscoli,

alcuni stordiscono per l’aroma, altri non hanno odoreQuel che è certo è che la stagione è iniziata e sarà più lunga del solitoE i nuovi chef si sbizzarriscono ma senza dimenticare la tradizione

I saporiDal sottosuolo

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LICIA GRANELLO

ScrivevaBrillat Savarin: «Il tartufo può rendere le donne più te-nere e gli uomini più amabili». Chissà se il celebre gastro-in-tellettuale francese aveva ragione. Certo, una cucchiaiata difonduta o un gomitolo di tagliolini battezzati con abbondan-ti lamelle di magnatum pico supportano il buon umore co-me poche altre gourmandise. Potere del profumo. Il tartufobianco, infatti, è il cibo più “olfattivo” del mondo, un con-centrato di molecole mirabilmente odorose addossate unaall’altra in un fungo ipogeo (sotterraneo) di dimensioni va-riabili. Un gioiello della natura che nasce dalle spore dell’an-no precedente in tarda primavera e comincia una lenta, si-lenziosa gestazione destinata a durare fino all’autunno inol-trato. Il mistero lo avvolge. Nessuno riesce a spiegare perchéesistano esemplari da pochi grammi e altri che sfiorano il chi-lo (esistono davvero!), né perché uno sia tanto più profuma-to di un altro. Si sa invece che colore, consistenza e tipologiadi aromi sono in qualche modo figli della terra in cui si svi-luppano, degli alberi — dai pioppi ai castagni, dalle querce al-le betulle — le cui radici custodiscono le spore.

Questo e poco altro, dice la scienza. In compenso, la cuci-na ha una frequentazione privilegiata, se non lunghissima (ilMedioevo lo condannò come cibo demoniaco), tutta con-centrata nelle settimane che introducono all’inverno. Non acaso, i piatti che gli dedicano le tradizioni regionali sono so-prattutto caldi: risi, paste, creme, con la sola eccezione dellacarne cruda (comunque un alimento robusto). Il tartufo

bianco aggiunge sapore ai sapori, creando assemblaggi digusti dalla grande complessità aromatica, dalla fonduta pie-montese ai tagliolini marchigiani cotti nel brodo di carne, fi-no al fagiano coi funghi della gastronomia toscana.

Ma i cuochi di nuova generazione hanno fatto un passo in-dietro, recuperando l’ispirazione originaria, quella tutta dainalare. Se fino a qualche anno fa, l’arrivo in tavola del piatti-no con fazzoletto bianco e pepita odorosa faceva sobbalzarecuori e nasi, oggi si va oltre. Scoperta anni fa da Ferran Adriàla grattugia Microplane trasforma il tartufo in una nuvola im-palpabile, espandendo in maniera esponenziale le superficidi contatto con l’ossigeno. Risultato, profumi amplificati amille. In più, il tartufo viene veicolato da piatti che mortifica-no sapidità e sapori ruffiani, in favore di preparazioni leggia-dre, che esaltano le molecole aromatiche invece di inglobar-le: tartare di scampi, polentine croccanti, macaron a bassis-simo tasso zuccherino.

In caso vi vogliate cimentare con uno dei profumi più sen-suali, regalatevi una gita nelle città del tartufo, che a novem-bre ospitano fiere e feste, in un tripudio di degustazioni e pas-serelle per i cani da trifola. Periodo destinato a prolungarsi,quest’anno, vista la mancanza di pioggia a settembre e letemperature ancora miti. In caso di acquisto, avvolgetelo inuna pezzuola e mettetelo in frigo in un contenitore ben chiu-so, meglio se in compagnia di qualche uovo: la porosità delguscio vi garantirà la più buona frittata tartufata lasciando in-tatto il prezioso gioiello per la vostra ricetta del cuore.

Tutta una questionedi naso

Pino, funghie midolloPaolo Lopriore (Il Canto

della Certosa di Maggiano,

Siena), battezza col tartufo

il midollo sbollentato,

porcini crudi, spuma

di resina di pino e nepitella

ZabaionePer Alessandro Boglione

(Castello di Grinzane

Cavour, Cuneo),

tuorlo cotto a bassa

temperatura,

zabaione al parmigiano,

nocciole e tartufo

Tartufobianco

Carne crudaCarpaccio tagliato sottile,

condito con emulsione

di olio extravergine,

profumato d’aglio, pepe

nero e sale. Un quarto d’ora

di riposo a temperatura

ambiente. Aggiungere

il tartufo prima di servire

TaglioliniCottura al dente in acqua

salata o brodo di carne,

abbondante burro fuso

o ragù di fegatini di pollo

come condimento

e naturalmente il tartufo

Vanno serviti

in piatti caldissimi

FondutaAmmollata la fontina dop

coperta di latte per alcune

ore, si scioglie il composto

a bagnomaria, prima

di incorporare un tuorlo

d’uovo ogni 100 grammi

fino a quando si addensa

Sopra, scaglie di tartufo

UovaUna noce di burro sciolta

e sfrigolante, due bianchi

fritti a fuoco vivace

con poco sale. Una volta

rappresi, si adagiano

sopra i rossi, coprendo

qualche secondo

Per finire lamelle di tartufo

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DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

Tartufo bianco (tuber magnatum)

d’Alba, città mercato mondiale

del tartufo bianco

Risotto profumato

allo champagne con lamelle

di tartufo bianco

Spaghetti con salsa di sedano

e lamelle di tartufo

Tartufo bianco a lamelle sottili

ideale per pasta, risotti, carni

crude e cotte

Tartufo bianco di Acqualagna

(in provincia di Pesaro Urbino)

seconda capitale del tartufo

bianco dopo Alba. Quest’anno

si tiene la quarantaseiesima fiera

nazionale del tartufo bianco

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Sulla strada

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Andavamoal mercatodi DoglianiCARLO PETRINI

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in

dir

izzi

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DOVE COMPRARE

TARTUFI PONZIO

Via Vittorio Emanuele 26

Alba (Cn)Tel. 0173-440456

TARTUFI NACCI

Via Zara 110. Frazione Corazzano

San Miniato (Si)Tel. 0571- 462846

TARTUFI TOFANI

Via Bellaria 37

Acqualagna (PU)Tel. 0721-798918

ACQUALAGNA TARTUFI

Piazza Mattei 9/bis

Acqualagna (PU)Tel. 0721- 799310

DOVE MANGIARE

LOCANDA DEL PILONE

Frazione Madonna di Como 34

Alba (Cn)Tel. 0173-366616

Chiuso martedì e mercoledì,

menù da 60 euro

PEPENERO

Via IV novembre 13

San Miniato (Si)Tel. 0571-419523

Chiuso martedì, menù da 35 euro

LA GINESTRA

(con camere)

Passo del Furlo 168

Acqualagna (PU)Tel. 0721-797033

Chiuso lunedì, menù da 35 euro

Chicco Cerea gestisce con la famiglia

il relais “Da Vittorio”, alle porte di Bergamo,

dove la cucina, firmata da tre stelle Michelin,

coniuga magnificamente materie prime

di altissimo livello e cucina di territorio

Come in questa ricetta ideata

per i lettori di Repubblica

LA RICETTA

Ingredienti per 4 persone

450 gr. di patate

2 cipolle bianche

4 tuorli d’uovo

60 gr. di parmigiano

grattugiato

tartufo bianco a piacere

100 gr. di burro

130 gr. di latte

sale, pepe qb

noce moscata

Purè di patate, rosso d’uovo, cipolla e tartufo

Affettare le cipolle in piccoli dadi, stufarlein casseruola con un filo d’olio extravergine d’olivaa fuoco molto dolce per un’ora e mezza, bagnandodi tanto in tanto con un goccio d’acqua. Separarei rossi dai bianchi e conservarli a temperaturaambiente. Lessare le patate con la buccia,poi sbucciarle e passarle con lo schiacciapatate Mantecare la polpa di patate con burro e latte,per ottenere un purè liscio e soffice. Aggiustaredi sale e pepe e profumare con un pizzico di nocemoscata. Adagiare un cucchiaio di cipolle sul fondodel piatto e coprirle con il purè di patate. Posizionarenel centro il tuorlo d’uovo, condire con una spolveratadi parmigiano e con un po’ di sugo delle cipolleServire ben caldo con abbondante tartufo

i fronte al pellegrinaggio laicoche in autunno passa in Langaper lamelle di tartufo così sottiliche ci mettono qualche secon-do di svolazzi prima di caderenel piatto, vado indietro con lamente e rivivo una realtàprofondamente diversa. AnniSessanta: ho visto il furgoncinodella ditta Giacomo Morra di Al-ba (il re dei tartufi bianchi, tra imassimi artefici della loro noto-rietà internazionale) andare almercato di Dogliani e caricare inmedia un quintale e mezzo ditartufi a settimana. Anni Settan-ta: una cena “casalinga” memo-rabile con Francesco Guccini,chiamato a suonare per “la cau-sa” in cambio soltanto di pro-messe gastronomiche, in cuimangiammo una quantità ditartufi che se dovessimo procu-rarci oggi occorrerebbe un mu-tuo e sarebbe più convenientepagare qualsiasi cachet.

Non eravamo snob: il tartufobianco c’era in abbondanza eaveva prezzi abbordabili. Delresto, tra i ricordi non manca lasua presenza fissa in stagionesulle tavole anche più semplici,contadine. Se ne faceva un usogastronomico “normale”, simi-le a quello degli altri prodottidella terra. Tutto era (economialocale, competizione tra i cerca-tori, integrazione dell’agricol-tura, piacere della condivisionee della convivialità) tranne lostatus symbol che è diventatooggi, visti i suoi prezzi. Un’o-stentazione di ricchezza cosìstonata che quasi me lo fa piace-re meno. Costa caro non soltan-to perché è una riconosciuta ec-cellenza tra le eccellenze. Pur-troppo il quintale e mezzo a set-timana di Giacomo Morra ce lopossiamo scordare: la devasta-

zione dei nostri terreni, la man-canza di cura per le aree

non coltivate, losconquasso eco-

logico e l’ab-bandono dellavita rurale fan-no sì che ce nesia sempre di

meno e sianosempre meno

quelli che lo sannotrovare, complici an-

che autorità che ne auto-rizzano la ricerca troppo in anti-cipo, compromettendone lacompleta maturazione.

DOVE DORMIRE

LA TERRAZZA SULLE TORRI

Viale Torino 6 12051

Alba (Cn)Tel. 0173-440741

Camera doppia da 90 euro,

colazione inclusa

7047 BOUTIQUE HOTEL

Via San Goro 1

San Miniato (Si)Tel. 0571-1695294

Camera doppia da 80 euro,

colazione inclusa

LOCANDA DELL’ABBAZIA

Via Pianacce

Acqualagna (PU)Tel. 0721-700016

Camera doppia da 100 euro,

colazione inclusa

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LA DOMENICA■ 42

DOMENICA 13 NOVEMBRE 2011

Per tutti è il folle e caoticoMr. Bean. Ma lui, razionale,disciplinato e molto serio,lo odia: “Non mi piace. Assomigliaa me quando avevo dieci anni”

E adesso, tra cinemae teatro, cerca il tempodi dedicarsialla sua vera passione,le corse d’auto“Sono un uomo sposato

e ho due figli. Un po’ di rischili devo pur correreda qualche altra parte, no?”

ROMA

È«controllo» la parola d’ordi-ne di Rowan Atkinson. La ri-sorsa a cui si aggrappa conpiù forza, l’espressione ver-

bale che salta fuori continuamente daisuoi discorsi. Per esempio, nel rievo-care gli studi giovanili di ingegneria:«Mi piaceva l’idea di un mondo sotto-posto a un preciso controllo». Oppurequando spiega la sua sfrenata passio-ne per le corse d’auto: «Mi piace guida-re perché solo io ho il controllo». O an-cora il suo amore-odio per il cinema: «Ifilm sono opere complesse, non possoaverne mai il totale controllo». Un ri-tornello. Anzi, una vera ossessione.Lontana anni luce dall’universo caoti-co e stralunato di Mr. Bean — la suamaschera più celebre, adorata da mi-lioni di spettatori, folle protagonista dicentinaia di scenette diventate cult.Due fotogrammi-simbolo, nel mare digag: lui che per sbaglio, in cucina, fini-sce per infilarsi un tacchino sulla testa;o che al ristorante usa un lembo dellatovaglia come bavaglino, per poi alzar-si facendo rovesciare la tavola appa-recchiata. Situazioni comiche ad altotasso di irrazionalità, di disordine. Incontrasto con l’autodisciplina di chi leha create e interpretate.

Certo, non è un caso raro. Accadespesso che attori votati a divertire ilpubblico siano nella vita reale timidi,dimessi, tristi. È quasi un luogo comu-ne. Ma in Atkinson questa schizofreniaè particolarmente accentuata: «Lo

ammetto — esordisce — sono uno cheride pochissimo. Penso ci siano pochimotivi, in questo mondo difficile ecomplicato, per essere allegri. Guar-diamo la crisi globale: politici e finan-zieri hanno provocato il disastro e oradovrebbero risolverlo. Questo sì che èinvolontariamente comico, anche senon è affatto divertente. Quanto a me,non sono un tipo naturalmente spiri-toso: riesco a esserlo solo se mi trasfor-mo in qualcun altro. Non sono un in-trattenitore di amici in serate convi-viali, non faccio battute a ripetizione.Anzi, direi che sono proprio un uomoserio. Forse perché al contrario deimiei personaggi — tutti a loro modovelleitari — non mi faccio illusioni, sume stesso o su ciò che mi circonda».

Ma incontrando l’attore — in un po-meriggio d’autunno romano, nella sa-letta riservata di un hotel a cinque stel-le — non si resta sorpresi solo dal suocarattere austero. A stupire è anchel’atteggiamento: formale, leggermen-te snob. Il modo di vestire ricercato,inappuntabile: completo blu di altasartoria, camicia lilla, cravatta viola.Altro che gli abiti da grande magazzinoe la fisicità scomposta di Mr Bean. «Èvero, sono un uomo elegante — con-ferma lui — e ho regalato questa miacaratteristica anche all’ultimo perso-naggio che ho portato sullo schermo,Johnny English: una spia un po’ im-branata, che però sul versante fashionnon ha nulla da invidiare al re degliagenti segreti, James Bond…». Osser-vazione ironica, ma detta senza nem-meno accennare a un sorriso.

Ed è un paradosso per un uomo dispettacolo che da decenni fa ridereogni tipo di pubblico, dai bambini chelo adorano agli adulti di qualsiasi fa-scia sociale. Tutti catturati dal talentocomico di questo cinquantaseienne diprovincia figlio della working class in-glese, compagno di scuola di TonyBlair, che a vent’anni — essendo cosìbrillante nelle materie scientifiche etecniche — si iscrive a ingegneria: «Di-sciplina precisa, sicura, controllabile:come piace a me». Subito dopo la suavita cambia. Prima l’incontro col futu-ro regista Richard Curtis che negli an-ni successivi diventerà il suo principa-le collaboratore. Poi la scoperta dellesue potenzialità interpretative. «A uncerto punto — racconta — ho capito diavere una faccia. Ero appena sbarcatoa Oxford. E qualcuno, sapendo cheavevo partecipato a spettacolini in

passato, mi chiede se voglio salire sulpalcoscenico. Per capire se sono adat-to, mi guardo allo specchio: e, per laprima volta, vedo gli aspetti divertentidel mio viso. Esploro la mia gamma diespressioni. E mi dico che in fondo farridere è una cosa bella. Soprattutto intempi di crisi». Una rivelazione. Così fi-nisce per abbandonare le materie tec-niche e buttarsi nella recitazione, asuon di gag: radio, teatro, un po’ di te-levisione. Poi la consacrazione in pa-tria con una serie tv di culto, la comedyin costume Black Adder. Partecipa an-che a film di successo: chi non ricordail suo prete strambo in Quattro matri-moni e un funerale?

Ma l’exploit planetario arriva conMr. Bean. Figura comica che dal 1990entra nelle case di mezzo mondo, di-venta un’icona pop, si trasferisce sulgrande schermo con pellicole comeMr. Bean — L’ultima catastrofe e Mr.Bean’s Holiday. Col tempo, però, ilcreatore diventa insofferente alla sua

maschera e decide di abbandonare ilpersonaggio. Senza però riuscire a li-berarsene del tutto: «Ormai ho capitoche dovrò sempre farci i conti. Non nesoffro più: ho accettato che Mr. Beanfaccia parte del mio bagaglio, che de-vo a lui il grosso della popolarità. Masia ben chiaro: non ci somigliamo af-fatto. Il suo carattere ricorda il mio diquando avevo dieci anni, è un bambi-no intrappolato in un corpo da adulto.Spero davvero che quello strano omi-no egoista, così incapace di interagirecon gli altri, così adorabilmente e in-sopportabilmente inglese e insulare,sia scivolato via dalla mia persona-lità». Un addio, a quanto pare, defini-tivo: «Sì, possiamo dire che Mr. Bean èandato in pensione. Non mi piace ri-vederlo nemmeno quando viene ri-trasmesso in tv: se sono a casa di ami-ci e loro mi chiamano per guardarlo,scappo».

Il suo mondo professionale adesso èaltrove. Nella fortunata serie spionisti-co-comica di Johnny English: i duefilm usciti finora (uno è ancora nellenostre sale) al botteghino sono andatipiù che bene. E poi nel teatro. Qualcheanno fa, Atkinson ha incantato Londracome protagonista del musical Oliver!.Un classico. E ora annuncia di volertornare in scena: «Quando mi sono ri-trovato sul palco mi sono subito senti-to a mio agio. Per questo il prossimoanno vi stupirò con un nuovo proget-to». Ma non aggiunge altri particolari.Per scaramanzia, certo. Ma anche peruna forma di distacco dal suo lavoro,quasi di pigrizia: «È vero, apparente-mente non sono uno che è sempre inattività. Non faccio molti film, e ci met-to tanto tempo a farne uno: è il prezzoda pagare per essere coinvolto in tuttele fasi della realizzazione, dall’ideazio-ne alla produzione. Sono un tipo diworkaholic molto particolare. Moltopoco seriale».

Forse perché la sua passione vera èaltrove, nel collezionare macchined’epoca: «Le adoro tutte, dalle AstonMartin alle Rolls». E, soprattutto, nelbrivido della velocità, nelle corse d’au-to: «Sì, è questa la mia grande avventu-ra. Purtroppo a causa del mio lavoronon posso gareggiare spesso: quandogiro un film devo firmare polizze assi-curative che mi costringono a smette-re di correre almeno tre mesi primache comincino le riprese. E poi, a lavo-ro terminato, quasi sempre la stagionedelle corse è finita». Cinema e motori:

un binomio che evoca attori belli, tostie un po’ dannati, come Steve Mc-Queen o Paul Newman. Rowan Atkin-son non somiglia affatto a quei divi delpassato. Ma condivide con loro l’eb-brezza del lanciarsi a oltre duecentochilometri all’ora: «Mi piace tanto —spiega — perché è agli antipodi del miolavoro. Fare film è stressante. È un’at-tività in cui è impossibile avere il con-trollo totale. Ho tentato in passato diesercitarlo, senza mai riuscirci. Quan-do guido da solo un’auto sportiva, in-vece, dipende tutto da me. Certo,quando gareggi sei nervoso, hai un po’d’ansia da prestazione: ma nel mio ca-so prevale il lato rilassante, terapeuti-co». Una fascinazione che ha rischiatodi costargli cara: lo scorso agosto si èschiantato con la sua McLaren controun albero nel Cambridgeshire. «Sonoun uomo sposato da oltre vent’anni eho due figli — minimizza lui — un po’di rischi li devo correre da qualche al-tra parte, no? E comunque sono statofortunato, ho solo avuto qualche pro-blema alla spalla e ora sto benissimo».

L’amore per le auto però non siesprime solo sulle piste o sui circuiti.C’è anche il relax dei viaggi: «Mi piacein particolare girare per la Francia, l’I-talia, la Spagna. Niente scenari esotici,la vecchia Europa va benissimo. Loscorso anno ho fatto un bel giro sullavia Emilia: certo, devo dire che da voi leregole della strada sono interpretate inmodo abbastanza elastico…». E qui ilricordo delle peripezie stradali nel no-stro Paese gli strappa il primo — e uni-co — sorriso.

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Rido pochissimo,penso che oggici siano pochi motiviper essere allegriNon mi faccioillusioni su mestesso o su ciòche mi circonda

Rowan Atkinson

CLAUDIA MORGOGLIONE

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Repubblica Nazionale