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la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 18 MAGGIO 2014 NUMERO 480 Cult MILANO M ILANOsi è messa il gel, ma se qualcuno pensa che c’entri l’Expo sbaglia di grosso: quando l’ex sindaco Morat- ti se l’è aggiudicato (e mal ce ne incolse, viste le mazzette e i ritardi a meno di un anno dal via), la cresta della metropoli già lievitava, e ancora s’impen- na. Te ne accorgi al volo mentre atterri a Li- nate o scendi dal treno alla stazione Cen- trale e prendi per viale Liberazione. Il cam- bio di scena, lì come altrove, è impetuoso. Sulla destra, tutto come prima. A sinistra, una vertigine. Sul terrapieno che ospitava un triste lunapark, straripa il Diamanto- ne, una follia sfaccettata in vetro e acciaio di 137 metri, seguita da due diamantini e poi dalla Torre Solaria, 140 metri, dove pa- re abbiano già trovato alloggio Belen e Ma- ria De Filippi (a far loro compagnia, Mario Balotelli, ma lui sta nelle villette rinate sul- le ceneri della sede storica della Gazzetta dello sport, in via Galilei). Sullo sfondo, il Bosco verticale di Stefano Boeri, con mille tipi di alberi arrampicati su due torri di 24 e 17 piani. Passi un ponte e ti ritrovi in piaz- za Gae Aulenti, davanti alla stazione Gari- baldi: è rialzata, si accede per scale mobili, è dominata dall’ottavo grattacielo più bel- lo del mondo, che sembra lo specchio deformato di una regina dei titani, circon- dato da due torri-ancelle (i comodini della regina?) e in mezzo un baracchino vecchio stile con sei calciobalilla, più uno da Guin- ness con 22 manopole per parte. Nella vertiginosa Porta Nuova-ex Vare- sine, ogni cosa è naturalmente a bassissi- mo impatto ambientale e altissimo profi- lo. Garantisce Manfredi Catella, splendi- do splendente quarantenne livornese, che prima favorisce l’incontro tra il colos- so immobiliare americano Hines e l’allora piccolo marcantonio siculo lombardo Sal- vatore Ligresti e poi, fallito quest’ultimo, lo sostituisce con un fondo del Quatar. “Ec- cellenza italiana più innovazione interna- zionale”. Più o meno la stessa filosofia del- l’altro polo che sta reinventando Milano, ovvero CityLife, assicurato dall’impegno delle Generali col sostegno di Allianz. La zona è quella dell’ex Fiera campionaria, il progetto è da due miliardi e 200 milioni di euro: tre grattacieli, di cui uno, la Torre Iso- zaki che toccherà il record dei 204 metri (più 40 di antenna per la Rai), un parco che diventerà il terzo polmone verde della città e altre annunciate meraviglie urba- nistiche. Tra i vantaggi accessori di questa metamorfosi meneghina, c’è che se perdi l’orientamento in una delle zone della cin- tura, ti basta guardare in su e trovi subito una guglia o una torre a guidarti verso la salvezza. La metropoli del terziario avan- zato sta diventando la culla italiana del terziario allungato verso l’alto. Non pote- va che succedere qui. Milano è da sola il 10% del Pil nazionale, il suo sistema copre ancora, nonostante la grandine perdu- rante della crisi, il 20% dell’import-ex- port. Capitale morale? Lasciamo perdere. Ma capitale all’europea, questo sì. E ades- so, quasi all’improvviso, lo si vede a occhio. È come se in città fossero arrivate le mon- tagne. Sono prevalentemente di vetro, dalle forme più incongrue, con una o più ali attaccate alle spalle o allo sterno, o lisce e dritte come lastre di ghiaccio. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN COMMENTO DI GILLO DORFLES L’attualità. Mohsin Hamid, otto consigli per vivere in Eurasia La storia. Ritorno in trincea, la Prima Guerra di Paolo Rumiz Next. Mit o Google? Ultimissime notizie dalla galassia dell’informazione L’incontro. Mordillo: “Benvenuti nella mia giungla” La copertina. Se il mainstream non è più main Straparlando. Valentina Cortese: “Io e Hollywood” La poesia del mondo. “Le occasioni” di Montale Nessun fotomontaggio La più europea delle italiane è cresciuta davvero. In altezza MILANO PORTA NUOVA, MARZO 2013. FOTO DI MARTINO LOMBEZZI/CONTRASTO la città Milano verticale CARLO VERDELLI Repubblica Nazionale 2014-05-18

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la domenicaDI REPUBBLICADOMENICA 18 MAGGIO 2014 NUMERO 480

CultMILANO

MILANOsi è messa il gel, ma sequalcuno pensa che c’entril’Expo sbaglia di grosso:quando l’ex sindaco Morat-ti se l’è aggiudicato (e mal

ce ne incolse, viste le mazzette e i ritardi ameno di un anno dal via), la cresta dellametropoli già lievitava, e ancora s’impen-na. Te ne accorgi al volo mentre atterri a Li-nate o scendi dal treno alla stazione Cen-trale e prendi per viale Liberazione. Il cam-bio di scena, lì come altrove, è impetuoso.Sulla destra, tutto come prima. A sinistra,una vertigine. Sul terrapieno che ospitavaun triste lunapark, straripa il Diamanto-ne, una follia sfaccettata in vetro e acciaiodi 137 metri, seguita da due diamantini epoi dalla Torre Solaria, 140 metri, dove pa-re abbiano già trovato alloggio Belen e Ma-

ria De Filippi (a far loro compagnia, MarioBalotelli, ma lui sta nelle villette rinate sul-le ceneri della sede storica della Gazzettadello sport, in via Galilei). Sullo sfondo, ilBosco verticale di Stefano Boeri, con milletipi di alberi arrampicati su due torri di 24e 17 piani. Passi un ponte e ti ritrovi in piaz-za Gae Aulenti, davanti alla stazione Gari-baldi: è rialzata, si accede per scale mobili,è dominata dall’ottavo grattacielo più bel-lo del mondo, che sembra lo specchiodeformato di una regina dei titani, circon-dato da due torri-ancelle (i comodini dellaregina?) e in mezzo un baracchino vecchiostile con sei calciobalilla, più uno da Guin-ness con 22 manopole per parte.

Nella vertiginosa Porta Nuova-ex Vare-sine, ogni cosa è naturalmente a bassissi-mo impatto ambientale e altissimo profi-lo. Garantisce Manfredi Catella, splendi-

do splendente quarantenne livornese,che prima favorisce l’incontro tra il colos-so immobiliare americano Hines e l’allorapiccolo marcantonio siculo lombardo Sal-vatore Ligresti e poi, fallito quest’ultimo,lo sostituisce con un fondo del Quatar. “Ec-cellenza italiana più innovazione interna-zionale”. Più o meno la stessa filosofia del-l’altro polo che sta reinventando Milano,ovvero CityLife, assicurato dall’impegnodelle Generali col sostegno di Allianz. Lazona è quella dell’ex Fiera campionaria, ilprogetto è da due miliardi e 200 milioni dieuro: tre grattacieli, di cui uno, la Torre Iso-zaki che toccherà il record dei 204 metri(più 40 di antenna per la Rai), un parcoche diventerà il terzo polmone verde dellacittà e altre annunciate meraviglie urba-nistiche. Tra i vantaggi accessori di questametamorfosi meneghina, c’è che se perdi

l’orientamento in una delle zone della cin-tura, ti basta guardare in su e trovi subitouna guglia o una torre a guidarti verso lasalvezza. La metropoli del terziario avan-zato sta diventando la culla italiana delterziario allungato verso l’alto. Non pote-va che succedere qui. Milano è da sola il10% del Pil nazionale, il suo sistema copreancora, nonostante la grandine perdu-rante della crisi, il 20% dell’import-ex-port. Capitale morale? Lasciamo perdere.Ma capitale all’europea, questo sì. E ades-so, quasi all’improvviso, lo si vede a occhio.È come se in città fossero arrivate le mon-tagne. Sono prevalentemente di vetro,dalle forme più incongrue, con una o più aliattaccate alle spalle o allo sterno, o lisce edritte come lastre di ghiaccio.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

CON UN COMMENTO DI GILLO DORFLES

L’attualità. Mohsin Hamid, otto consigli per vivere in Eurasia La storia. Ritorno in trincea, la Prima Guerra di Paolo Rumiz Next. Mit o Google? Ultimissime notizie dalla galassia dell’informazione L’incontro. Mordillo: “Benvenuti nella mia giungla”

La copertina. Se il mainstream non è più mainStraparlando. Valentina Cortese: “Io e Hollywood”La poesia del mondo. “Le occasioni” di Montale

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 26LA DOMENICA

AI LORO piedi, oltre a palazzine disegnate a forma di nave(progetto di Zaha Hadid) o concepite come uno sparti-to musicale (Daniel Libeskind), un fiorire di giardini episte ciclabili, parte in essere, parte in divenire, e co-munque a ingresso libero. Edilizia super residenzialema senza zone riservate ai beati pochi, o tanti, come spe-ra chi sta costruendo. Non a tutti piace, a qualcuno di-spiace moltissimo. L’architetto svizzero Mario Botta,che già ristrutturò la Scala, ad Arcipelagomilano.orgparla di «scenario da cartolina turistica, che trova la suaragion d’essere negli emirati arabi, dove appunto non viera la città». Ancora più scontento, il premio Nobel e mi-

lanese d’adozione Dario Fo: «Oscene quelle torri a grappolo, che se hai la sfortuna di abi-tarci intorno il sole lo vedi a orari fissi. Milano era città d’acqua, con due canali e sette fiu-mi: hanno interrato tutto, prosciugato l’anima di una comunità. Il semplicismo degli im-becilli, unito alla voglia di razzìa di potentati stranieri che ricordano i Lanzichenecchi».

Il primo cittadino Giuliano Pisapia, milanese da 65 anni (tra due giorni), vede tuttoun altro film: «Ho sempre pensato che Milano fosse una città brutta con un’infinità diposti belli, spesso nascosti. Adesso è come una primavera, la bellezza si crea e si diffon-de. Ho incontrato uno dei tanti milanesi che si erano trasferiti altrove in cerca di verde.“Sindaco, ma è diventata splendida!”, mi ha detto quasi incredulo. Questa mutazionein corso mi affascina. Anche perché è una mutazione, diciamo così, governata. Come

Giunta, abbiamo imposto a chi costruivaservizi per i cittadini, verde che fosse pub-blico, rispetto e integrazione con quel chesi trovavano intorno».

Milano è sempre stata una città bassa,con qualche appuntita eccezione. La Ma-donnina, “che te brilet de luntan”, sopratutto e tutti: con i suoi 108,50 metri, ha do-minato dal 1774 il Duomo e il resto, ha re-sistito agli assalti della Torre Branca e del-la Torre Velasca, per capitolare solo nel1958 di fronte all’ardire laico del Pirellonedi Giò Ponti, 127 metri, “la fiaba verticale”secondo Luciano Bianciardi. Finale della

fiaba: fino all’altro ieri, 2005, i grattacielia Milano erano cinque; adesso sono venti,più altri quattro in costruzione. Sulla pal-ma del più alto si discute: l’UnicreditTower (di mastro Cesar Pelli, argentino-americano di origini italiane) dichiara231 metri, ma 85 sono di guglia, quindi altetto sarebbero 146, mentre la futuribilesede della Regione Lombardia (del cino-americano Ieoh Ming Pei, lo stesso del Jfkdi New York) tocca i 161 metri senza aiu-tini. Si riconosce, tra l’altro, perché ha unascritta “Expo” stile Broadway in cima auna facciata (sui marciapiedi, per “lom-bardizzare” un po’ il complesso, visto cheil capo è il leghista Roberto Maroni, roccedell’Adamello, granito verde dello Splu-ga, dorato della Valmalenco).

Immaginate un grande cantiere, anzidue, l’uno indipendente dall’altro. Alla pe-riferia nord, verso Rho e Pero, ruspe e grus’affannano a preparare l’EsposizioneUniversale di maggio, con l’angoscia cherisucceda quel che capitò a inizio del seco-lo scorso, quando l’Italia perse il treno el’Expo cominciò, invece che nell’annun-ciato 1905, l’anno successivo. Era dedica-ta ai trasporti. Quella del 2015 al cibo (e c’èchi ha cominciato a mangiarci sopra pertempo). Spérem.

L’altro cantiere riunisce gli imprendito-ri privati che stanno mettendo il gel sullatesta di Milano, dal Portello a Porta Nuova,da Santa Giulia a Porta Vittoria, a prescin-dere dall’Expo e molto prima dell’Expo.Una Milano bis da 50 mila posti extra, tra

La copertina. Milano verticale

In principio fu il Pirellone (che superò la Madonnina) ora sono venti

(e saranno ventiquattro) i grattacieli che a un anno dall’Expo

hanno trasformato il volto della città. Passeggiata col naso all’insù

CARLO VERDELLI

TORRI GARIBALDI

LE DUE GEMELLESONO ALTE

TORRE UNICREDIT

FIRMATA DA CESARPELLI PER ORAÈ LA PIÙ ALTA

LA SCALA

RISTRUTTURATASU PROGETTODI MARIO BOTTA

“IN CINQUEANNIIL PROFILO È CAMBIATOPIÙ CHE NEISESSANTAPRECEDENTILO SA CHE QUESTAÈ LA COSAPIÙ ALTACOSTRUITAIN ITALIA?GUARDI, SI VEDONO I MONTI. PENSI CHED’INVERNOLAVORIAMOSOPRA LA NEBBIA”

nasceunoskyline

Come

<SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

Repubblica Nazionale 2014-05-18

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 27

casa e uffici, con prezzi al metro quadro trai sei e gli undici mila euro, che ha comin-ciato a prender corpo all’inizio degli anniDuemila sulla scorta di dati sballati (forteaumento della popolazione residente, chenon c’è stato; forte sottovalutazione dellacrisi che s’annunciava, che invece c’è sta-ta eccome) e che adesso si trova alle presecol problema dell’assorbimento degli spa-zi: le stime, a oggi, parlano di un 40% divenduto complessivo, che non è male manon basta. Spérem.

«Negli ultimi cinque anni, Milano è cam-biata più che nei 60 precedenti». Lucia DeCesaris, assessore all’Urbanistica e vice-sindaco, ricorda bene come tutto è comin-ciato. Da un lato c’erano gli edificatori (ivari Ligresti, Zunino, Coppola, Statuto),dall’altro un combinato Comune-Regione(Albertini-Formigoni) che certo non li sfa-voriva. «Ognuno è partito a costruire conun’idea sua, cercandosi l’architetto più fi-go, tutto in eccezione, in variante, come sidice. Il nostro lavoro è stato quello di dareregole certe alle tante isole che spuntava-no, di renderle più milanesi per tutti i mi-lanesi. Mi pare stia funzionando».

Il punto più alto per osservare la lievita-zione è il 43esimo piano della Torre Iso-zaki, 168 metri e sopra il cielo. Ci si arrivacon stivali e caschetto, salendo scale ap-pena abbozzate (l’ascensore si ferma al35esimo). Per mettere in piedi un affarecosì, ci vogliono 38 mesi e 200 persone.Consegna prevista, 50esimo piano, feb-braio 2015. «Ne mancano pochi», dice fi-

BOSCO

VERTICALE

DI STEFANO BOERI

D’ALTEZZA TORRE GALFA

PROGETTATADA MELCHIORREBEGA NEL 1956È ALTA

PALAZZO

LOMBARDIA

NUOVA SEDEDELLA REGIONEALTEZZA ARCHITETTOIEOH MING PEI

PIRELLONE

DISEGNATODA GIÒ PONTINEL 1958È ALTO

DIAMANTONE

ALTEZZA ARCHITETTIPOLISANOE CAPUTO

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ALTA A SINISTRASOLEA ( )

TORRE BREDA

COSTRUITA NEL 1954SU PROGETTODI LUIGI MATTIONIÈ ALTA

ILANO NON È MAI STATA UNA VERA METROPOLI. Ha sempre avutopiù l’aspetto di una borgata lombarda. Anche se la città ècresciuta enormemente negli anni, non ha mai trovato laformula per diventare una metropoli. A differenza diTorino, per esempio, o di Barcellona. I grandi architetti che

hanno operato qui, penso a Giò Ponti con il Grattacielo Pirelli, ma anche aFranco Albini o Angelo Mangiarotti, hanno sempre costruito singolestrutture, singoli edifici, anche di grande pregio, ma isolati, al di fuori di una

vera pianificazione urbanistica, fuori da uncontesto complessivo. All’interno di una città chegiudico, nel suo complesso, piuttosto brutta,anche se sicuramente ha aspetti positivi come gliedifici liberty e art déco. Con Expo 2015 c’è però, finalmente, la speranzache qualcosa di buono possa accadere. Che si creiquell’intreccio urbanistico capace di realizzareuna vera “City”. Sono ottimista. Dalla nuova sededella Regione Lombardia, il palazzo realizzato daPei Cobb Freed & Partners di New York, al BoscoVerticale di Stefano Boeri, agli edifici che vedocrescere intorno a piazza Gae Aulenti e alla Fiera,molte cose mi sembrano muoversi nella direzionegiusta. Forse si sta davvero finalmente uscendo

dalla vecchia borgata per diventare metropoli. Resta solo un grande sogno per Milano: la riapertura dei Navigli e lavalorizzazione delle sue straordinarie vie d’acqua. Chiuderli fu un erroreclamoroso. Andavano conservati e ampliati. Non so se oggi sarebbetecnicamente possibile farli rivivere. Ma la cosa andrebbe studiata se davverovogliamo pensare a una città più bella.

Era brutta, è più bellanon è mai stata metropoliadesso avrà la sua CityGILLO DORFLES

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL PARAGONE

QUI SOPRA UN PANORAMA DEL 1998E NELLA FOTO GRANDE LA STESSA VISUALE NELL’APRILE DEL 2014 IN UNO SCATTO DI MARTINO LOMBEZZI (CONTRASTO)

schiando l’operaio Salvatore. Quando i po-chi verranno ultimati, qui ci verrà Allianz.Sulla sinistra, le fondamenta della sinuo-sa Torre Hahid (170 metri), riservata alleGenerali. Sulla destra, lo spazio per l’inar-cata Torre Libeskind (165 metri), desti-nata a una marca del nuovo mondo, forseSamsung. «Il disegno è di creare una spe-cie di cupola aperta e multietnica», spiegalievemente affaticato dall’ascesa MarcoPogliani, voce di Citylife. «Non a caso ab-biamo scelto come architetti un ebreo po-lacco, Daniel Libeskind, un’iraniana in-glese islamica, Zaha Hadid, e un giappo-nese scintoista, Arata Isozaki, coordinatida Francesco Dal Co, italiano e cristiano».Ci affacciamo alla balaustra, il tramonto èpulito, qualcuno indica i nomi delle mon-tagne, cominciando da ovest: Bisbino, Ro-sa, Gran Paradiso, Resegone, Grigne.

Milano è sdraiata sotto, la Madonninaun punticino quasi invisibile, la monta-gnetta di San Siro, nata brulla, è una gob-ba verde scura prima del grande spiazzovuoto dell’Expo. Non fa freddo ma da quas-sù, nonostante i teloni di protezione, ilvento si sente. «Eh sì, anche il gruista làfuori balla un po’», e indicandolo, DanieleBonomi, 26 anni, responsabile sicurezzadel cantiere, lo invita a smontare. Fine tur-no. Si torna giù, in un gruppo che ha l’ariadi quelli che fecero l’impresa: la cosa più al-ta mai costruita in Italia. «Pensi che d’in-verno», dice Daniele, «lavoriamo sopra lanebbia».

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DUOMO

LA “MADONNINA”

HA DOMINATOLA CITTÀ DAL 1774AL 1958

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 28LA DOMENICA

IL MIO ultimo romanzo, Come diventare ricchi sfondati nell’Asia emergente, èuna storia d’amore che racconta la vita di un uomo dalla nascita alla morte inuna megalopoli asiatica in continua crescita che potrebbe essere Lahore, la me-tropoli pachistana da dieci milioni di abitanti in cui vivo anch’io. Il romanzo vor-rebbe essere un manuale di self-helpche spiega al lettore come diventare riccosfondato nell’Asia emergente. O forse è in realtà un manuale di self-help chevuole essere un romanzo. In ogni caso, si articola in dodici passi costituiti da con-sigli tipo “trasferisciti in città”, “non innamorarti”, “diventa amico di un buro-crate” e “preparati a usare la violenza”.

Con il permesso dei lettori, vorrei proporre qui una guida in otto passi: Comesopravvivere all’emergere dell’Asia nella bella Europa.

1. NASCERE IN EUROPAForse è superfluo dirlo, ma sarà infinita-

mente più semplice sopravvivere all’Asiaemergente nella bella Europa se intanto sie-te riusciti a nascere nella bella Europa. Se fo-ste nati, per dire, in Ciad, vi sarebbe toccatoabbandonare la vostra casa, dire addio aquasi tutte le persone conosciute fino a quelmomento, mettere mano ai risparmi di unavita, accendere un mutuo, pagare i traffi-canti di essere umani e corrompere le guar-die costiere, attraversare il deserto del Saha-ra, rischiare di morire di fame e di essere se-questrati o violentate, evitare tempeste disabbia e banditi, arrivare in un piccolo portolibico la cui lingua locale ignorate, mercan-teggiare per un passaggio su un barcone col-laudato per quaranta persone che ne imbar-ca duecento, sprofondare in acque che pul-lulano di squali bianchi due miglia nauticheal largo di Lampedusa, riuscire a stare a gal-la nonostante i vestiti bagnati e le mani deivostri compagni di viaggio vi zavorrino ver-so il fondo, farcela ad arrivare in spiaggia. E,dopo tutta questa fatica, riuscire a non esse-re rispediti in Ciad.

2. ESSERE EUROPEO EUROPEOEssere nati in Europa è dunque il miglior

modo per arrivarci, ma non garantisce, pur-troppo, l’essere considerati europei. L’Euro-pa è un continente che aborre il razzismo,che non tollera la bigotteria religiosa e chedifende la libertà di espressione. Ciò detto,in Europa è comunque estremamente van-

taggioso essere bianco, di origini cristiane eparlare con l’accento dei presentatori tele-visivi europei degli anni ‘80. Se non soddi-sfate uno o più di questi criteri, non tutto èperduto. Potreste essere comunque in gradodi sopravvivere all’emergere dell’Asia stan-do nella bella Europa, ma diventerà, diciamocosì, un po’ più complicato. Potreste trovar-vi a dover sopravvivere all’emergere dell’A-sia in un’Europa non così bella, il che, anchese è un peccato, non sarebbe neanche la co-sa peggiore che vi potrebbe accadere. Dipeggio vi potrebbe succedere di non soprav-vivere affatto.

3. IMPARARE UN MESTIERE CHE NON POSSA

ESSERE SVOLTO ALTROVELa globalizzazione e i liberi mercati impli-

cano che qualsiasi cosa che possa esserecomprata e venduta in altri mercati, saràcomprata e venduta in altri mercati. Se la-

vorate in Europa in una fabbrica produttricedi jeans, probabilmente sapete già cosa ciòsignifichi perché la vostra fabbrica ha pro-babilmente già chiuso i battenti e qualcunosta svolgendo la vostra mansione in una nuo-va fabbrica in Bangladesh.

È dunque molto meglio lavorare in un ser-vizio che possa essere fornito solo localmen-te, quale per esempio il parrucchiere: nessu-no prenderà un volo per andare in Bangla-desh a farsi tagliare i capelli — anche se cre-do che i sudcoreani stiano lavorando a un ro-bot-parrucchiere che si alza in aria spinto daquattro motori, entra dalla finestra dei clien-ti, si posa sulla loro testa e taglia i capelli in92 secondi, per poi decollare verso il clientesuccessivo. Questo robot è anche in grado di

I

Non nascere in Ciad. Non lavorare in una fabbrica di jeans

Cerca di fare il parrucchiere. Ma soprattutto abbraccia l’asiatico

che ormai è già in te. Mohsin Hamid racconta con ironia

il nuovo mondo globalizzato.Che alla fine non è poi così male

Sopravvivere alla Super Asia

gli otto buoni consigli

di uno scrittore pachistano

L’attualità. Giochi senza frontiere

“IMPARATE UN MESTIERECHE NON POSSA ESSEREDELOCALIZZATO COMEIL PARRUCCHIERE:NESSUNO VA A TAGLIARSII CAPELLI IN BANGLADESH(ANCHE SE I SUDCOREANISTANNO STUDIANDOUN BARBIERE-ROBOTCHE ESAMINA IL DNA)”

MOHSIN HAMID

riluttanti

Breve guidapereuropei

Repubblica Nazionale 2014-05-18

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 29

identificare i terroristi confrontando un fol-licolo pilifero con un database situato negliStati Uniti. Forse, quindi, diventare parruc-chiere non è l’idea migliore. Ma non c’è mol-to altro che si possa fare.

4. SPOSARSI CON UN PARTNER CHE ABBIA

PARECCHI PIÙ ANNIL’Europa è il continente dell’amore, di Ro-

meo e Giulietta, di Paolo e Francesca. Anchesu questo, state attenti! Quando torneretedal salone del parrucchiere dove vi guada-gnate appena il pane quotidiano, non guar-date il vicino o la vicina giovane dallo sguar-do sexy e con un corpo perfetto che vi sorri-de. Perché l’Europa è anche la terra diWerther e Lotte, e l’argomento trascuratoda I dolori del giovane Wertherè il seguente:il giovane Werther commette l’errore di in-namorarsi della giovane Lotte e la sua vita sitrasforma in un disastro.

Se il giovane Werther avesse aspettatoqualche anno, avrebbe potuto incontrare lapiù matura vedova di nome Gertrude. Lavecchia signora Gertrude avrebbe potutocertamente garantire al giovane Wertheruno stile di vita al quale egli si sarebbe rapi-damente abituato. Questa è la verità econo-mica della bella Europa: mette le sue risorsenelle mani dei cittadini non più giovani. Lavostra maggiore chance di godervi la DolceVita sta nel trovare qualcuno abbastanza an-ziano da essere stato protagonista de La dol-ce vita. Buona fortuna!

5. FARE RICERCHE SULL’ALBERO GENEALOGICOGrazie agli agi che garantisce un matri-

monio vantaggioso, ora potrete godervi iltempo libero. Perché non usarlo per delizia-re la vostra metà offrendole, come regalo dicompleanno, l’analisi del Dna degli antena-ti? Basta un lieve strofinare del bastoncinosulla parte interna della guancia mentredorme, per raccogliere un campione di cel-lule da spedire al laboratorio che vi farà ave-re i risultati rapidamente.

Quando vi arriveranno, però, potrebbero

non sortire l’effetto desiderato. A quanto pa-re, vostro marito o vostra moglie dal sangueblu e dagli occhi chiari non era al correntedell’avvenuta mutazione M525 nei suoi ge-ni e quindi dell’appartenenza all’aplogrup-po R1b del cromosoma Y, che è comune nel-l’Europa Occidentale e anche nel… Ciad.«Stai tentando di dirmi che sonoafricano/a?», vi risponderanno stizziti. Ladomanda è interessante.

6. VIAGGIARE PER IL MONDOQuando non sarete più sposati, e nemme-

no più giovani, ma avrete a disposizione par-te del denaro che sarete riusciti a garantirvicon il divorzio, arriverà anche il vostro mo-mento di esplorare il mondo. Che cosa è que-st’Asia emergente, al cui assalto gli europeistanno tentando di sopravvivere?

Prenotate un volo per la più improbabiledestinazione che possiate immaginare: peril Pakistan. Lì, a Lahore, vi troverete a per-nottare in un circolo fondato dagli inglesi,che è associato al circolo cui appartenete acasa vostra in Europa.

Il circolo ha una discreta quantità di be-vande alcoliche per i membri e una zona bartranquilla nella quale farete conoscenza diqualcuno della vostra stessa età, una perso-na asiatica che avrà vissuto la sua intera vitain Asia e alla quale potrete chiedere com’èessere nativi del luogo, di un continenteemergente.

Ci sarà una pausa e un’alzata di sopracci-glio. Poi la seguente risposta: «Nativo? Stascherzando. Sono nato/nata qui e moriròqui. Ma non sono nativo/nativa di questo luo-go. È cambiato così tanto che non lo ricono-sco. Quando metto piede fuori dal circolo,tutto è diverso da come io lo ricordo. I giova-ni si vestono in modo differente, parlano inmodo differente. Non c’è più rispetto, nonc’è più tradizione. Sono uno straniero. Lei haforse percorso una grande quantità di migliaper arrivare qui, ma io ci arrivo dopo parec-chi decenni. Io sono un migrante tanto quan-to lei».

7. ALLA RICERCA DELLA FRONTIERASarete colti dallo smarrimento. La vostra

convinzione che l’Europa e l’Asia fosserodue cose differenti traballerà. Vi chiederetese le nazioni, e persino le civiltà, siano di-stinte in maniera significativa dal punto divista dell’essere umano. Per porre fine a que-sta follia, per ritrovare delle certezze là doveimpera la confusione, deciderete di recarvialla frontiera fisica tra Europa e Asia per ve-dere con i vostri occhi dove, concretamente,finisce un continente e inizia l’altro. Invite-rete a fare questo viaggio assieme a voi il vo-stro o la vostra amante di origine pachistanae insieme partirete per la Russia, volando aMosca per poi raggiungere Orenburg. Là,per recarvi dall’Europa all’Asia, attraverse-rete insieme il fiume Ural lungo un modestoponte pedonale bianco che sta nel centro del-la cittadina. «Hmm», direte. «Hmm», con-corderà il vostro/la vostra amante. Un ra-gazzino vi sguscerà vicino su uno skate-board. Dopotutto non è una vera frontiera,concluderete.

8. ABBRACCIATE L’ASIATICO CHE È IN VOIA casa vostra in Europa, già più anziani e

affaticati dalle debolezze dell’età, probabil-mente farete yoga per mantenere l’elasti-cità. Coltiverete la pienezza della mente conla meditazione associata alla respirazioneper mantenere un senso di calma e di luci-dità di fronte all’inevitabile fine della vita.Leggerete anche un poema epico sufi chenarra di trenta uccelli che, mentre sono allaricerca del re di tutti gli uccelli, scoprono chenel palazzo del re ci sono solo… loro. Poi usci-rete di casa e nella piazza vicina, dopo averalzato lo sguardo verso la vecchia chiesa,camminerete circondati da adolescenti cheflirtano e fumano marijuana, e saranno ado-lescenti di ogni colore, tutti europei, tuttiasiatici, tutti africani, tutti esseri umani.

(Traduzione di Guiomar Parada)©Mohsin Hamid 2014

L’AUTORE

Mohsin Hamid, 43 anni, pachistano, autore dell’articolo scritto per Repubblica,ha ricevuto ieri a Udine il Premio letterariointernazionale Tiziano Terzaninell’ambito della X edizione del FestivalVicino/Lontano (www.vicinolontano.it)che si chiude oggi. Un riconoscimentoattribuito, ex aequo con il poeta friulanoPierluigi Cappello, per il romanzoCome diventare ricchi sfondati nell’Asiaemergente (Einaudi 2013). Semprecon Einaudi nel 2007 aveva pubblicatoIl fondamentalista riluttante

“TORNATI A CASAFARETE YOGA,MEDITAZIONE E LETTURESUFI. POI UN GIORNO,USCENDO PER STRADA,SCOPRIRETE CHE OVUNQUEI RAGAZZI FLIRTANO E FUMANO. E SARANNOTUTTI CINESI, TUTTIAFRICANI, TUTTI BIANCHI,TUTTI UMANI”

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LE IMMAGINI

Le fotografieche illustranoil racconto di Mohsin Hamidsono di Martin Parrdell’agenzia MagnumDa sinistra,Goa (India, 1993),la Torre pendente di Pisa (Italia, 1990)e le Piramidi di Giza(Egitto, 1992)

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 30LA DOMENICA

In trincea

di miononno

La storia. 1914-2014

col berretto

Uno straordinario reportage in dieci dvd

Dalla Francia all’Ucraina partendo dalla sua Trieste

comincia il viaggio del nostro Paolo Rumiz

lungo i fronti europei della Grande Guerra

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 31

PÉRONNE (FRONTE FRANCESE)

Fu cena memorabile, bene irrorata di Borgogna. ”Pour le repos, le plaisir du militaire...la servante est jeune et gentille,légère comme un papillon”. Jacqueline cantò La Madelon, storia di una

servotta adorata dai coscritti del ‘14. Gli ingle-si attaccarono Tipperary, a me rimase Addio,

mia bella addio. Era impossibile evitare la Guer-ra, lì sulla Somme. Era impressa nel paesaggio.C’erano più morti che vivi: un milione, contro cin-quecentomila residenti. Un milione di Caduti inun fazzoletto. Centinaia di cimiteri, di inglesi,francesi, tedeschi, canadesi, indiani del Com-

monwealth, sparpagliati tra i boschi e i campi ster-minati di indivia. Eppure, curiosamente, la vicinan-

za di quell’immensa armata-ombra mi accendeva ilgusto della vita, come era successo a Ungaretti ac-canto al compagno morto in trincea. Ah, la Francia. Ri-tornare la sera dalla prima linea e sciogliere la faticain un buon bicchiere... Une baguette, du fromage, unechanson...e ascoltare la notte che viene con lite di ana-tre nell’aia e scricchiolio di stelle allo Zenith.

I due inglesi erano venuti lì per visitare il fronte deiloro vecchi; del resto sei visitatori su dieci venivano lìa imparare qualcosa dai luoghi della prima catastro-fe mondiale. Lei raccontò una storia del nonno: un vo-lumetto di spartiti musicali nel giustacuore gli avevadeviato una pallottola tedesca, nell’ultima battagliadi Ypres. «Si può ben dire — disse — che è stata la mu-sica a salvarlo». Poi si rimise a cantare. Quel mio viag-gio era pieno di storie, talmente pieno che faticavo astivarle nel notes.

Avevo visto la Luna enorme della Polonia orientalee una formazione di gru cercare il Nord sopra l’ossariodi Verdun. Un uomo simile a un mago mi aveva por-tato in una radura dove l’erba non cresceva da un se-colo per via dei veleni. In Ucraina avevo visto accen-dersi per i rivoltosi uccisi nel 2014 a Kiev gli stessi lu-mini che avevo portato per i morti di un secolo prima.In Belgio una gattina dolce mi aveva portato sulle trac-ce dal diavolo, nella trincea dove aveva combattutoun caporale di nome Hitler.

Mi affacciai sulla terrazza. Le oche litigavano percontendersi un isolotto del canale, al sicuro dalla vol-pe. In alto, il fulgore di Cassiopea. In basso, la terra sel-vaggia ardeva, disegnava luci su un paesaggio scono-sciuto. Riconoscevo bivacchi di soldati, lumini di cam-pagna, fuochi fatui, bagliori di ciminiere, fornaci, lam-pioni, candele votive, roghi di foglie secche e, all’oriz-zonte, la debole luminescenza di una metropoli. Inmezzo a tutto questo, un traffico di lucciole — o uo-mini, non so — che vagavano tracciando strani segnizodiacali, stelle di un emisfero sconosciuto.

Ero da tre mesi in viaggio su una linea d’ombra, unanotte interminabile di treni e fiumi erranti, una lun-ga notte punteggiata da nebulose di villaggi e cimite-ri. Avevo attraversato il fango colloso delle Fiandre eil gelo dell’Ucraina, la neve delle Alpi Centrali e la piog-gia dei Carpazi, i boschi della Serbia profonda e i sen-tieri della Polonia, ma ogni sera — ovunque fossi — lu-ci bisbiglianti si accendevano qua e là. Luci alle quali,come in una danza rituale, aggiungevo le mie cande-le dei morti.

Quel viaggio mi aveva cambiato. Avevo perdutomolte certezze, ma ora percepivo cose nuove e oscu-re. Temevo per l’Europa, la vedevo scricchiolare sem-pre sulle stesse linee di faglia. Ma masticavo la vita adenti pieni. Ogni boccata d’aria era un morso, ogniespirazione una litania di ringraziamento. Cantavo,attraversando i luoghi della morte. Mi venne in men-te la dolce Lala Lubelska, un’ebrea sopravvissuta adAuschwitz, che aveva accettato di raccontare la suastoria solo a patto che il tema degli incontri fosse la bel-lezza della vita. Pace all’anima sua.

Nel museo della guerra di Péronne, a pochi chilo-metri dalla fattoria, dormivano manichini distesi, infosse rettangolari simili a tombe, o a trincee. La cura-

trice aveva scelto di non mostrare soldati in piedi, peril fatto elementare che la guerra è morte. In posizioneeretta c’erano solo madri terribili vestite di nero, inagguato dietro un muro. In quei giorni l’Historial erachiuso per migliorie e, nelle sale, ogni manichino in di-visa era protetto da un velo provvisorio. Quel velo, sen-za volerlo, diventava simbolo: sudario, ragnatela, dia-framma temporale. I corpi dicevano “allunga la ma-no, tu che passi. Puoi toccarci. Tutto è appena succes-so”. Come sul fronte orientale, anche in Francia ognitanto il velo si squarciava, e allora con “quelli di là” riu-scivo quasi a parlarci. In Piccardia era specialmentefacile. I Caduti abitavano il paesaggio, la segnaletica,la viabilità. “La bataille de la Somme”, stava scritto suenormi cartelli tra Amiens e Cambrai. “Chemin desDames prossima uscita”, campeggiava sulla A 26 ol-tre Reims. Pensai che sul Carso nulla, disperatamen-te nulla diceva cos’era accaduto a chi passava sullestrade. Per la politica la memoria restava muffa e re-torica, e mi chiesi che futuro avesse un Paese cosìpronto a dimenticare.

Dormii male per le libagioni. Vidi un drappello diulani; li riconobbi dai grandi cavalli e i riflessi d’otto-ne dell’elmetto sormontato da un tronco di piramiderovesciata. Scendevano al buio, su terreno privo di al-beri, segnato da stagni verdastri e tappeti di erica vio-la. Uno degli uomini, vedendomi, si alzò sulle staffe,sollevò l’indice della sinistra e lo portò sulle labbra perdirmi di tacere. Io tirai una mela fuori dalla tasca e laporsi alla bestia, che nitrì nell’ombra, uscì dalla fila esi avvicinò, ma quando mi fu accanto, mostrò sotto glisperoni una gabbia toracica scoperchiata. Sentivo ilfischio rauco dei polmoni che spremevano, sotto le co-stole, il mantice di una fisarmonica senza note.

Tutto era cominciato dalle parti di Redipuglia, nel-l’ottobre del 2013. Avevo appena finito il viaggio sulfronte italiano, ed ero andato con i soliti amici a can-tare in osteria. A un tratto, ricordo bene, qualcosa michiamò fuori. Nella pioggia, la terra serpeggiava di se-gnali. Le case sentivano il fronte, fiutavano posti daarma bianca nella notte nera. Trincea delle Frasche,San Michele, Selz, Monte Sei Busi. Conoscevo a me-

uandoarrivai nell’aia del Moulin de Binard, capii dal profumo

che Joël stava per servire la cena. «On vous attendait», vi

aspettavamo, disse allegramente tirando l’asino verso la

stalla. S’era svegliato il vento del Norde, dopo tanta pioggia,

nel cielo di Piccardia erano uscite le stelle. Ero sporco di fango

di trincea fino alle ginocchia, mi cambiai in fretta e scesi in soggiorno.Jacque-

lineaveva preparato un magret de canardsapientemente caramellato e la ta-

vola era piena di nuovi arrivi: quattro giovani operai fiamminghi e una coppia

di inglesi molto old fashioned, nei quali fiutai subito ricchezza di storie.

PAOLO RUMIZ

moria quel dislivello. Ogni metro era impregnato diagonie, segnato da vite smembrate, crocefisse su re-ticolati o mutilate da tagliole, ma nulla rammentaval’immensità del dolore. Avrei dovuto calpestare bos-soli, immondizie, sangue, stracci, membra umane,gavette, resti di cibo, zoccoli, ferri, escrementi, suoledi scarpe, ma l’uomo e la natura avevano cancellatoogni cosa. La notte profumava di erba, e interi paesidormivano, mangiavano e facevano l’amore sui restidi un immane sacrificio umano. Andai al sacrario, perstare da solo con i Centomila. La torcia elettrica cercòinvano un fiore in quella nudità totalitaria. Ero lan-

ciato nello spazio, come su un’astronave,la pianura si apriva come una stermina-ta pista d’atterraggio. Li sentivo, male-dettamente vicini. Erano lì, nel buio. On-date regolari di uomini-frangenti che an-davano a sfracellarsi sul Carso come suuna scogliera. Il cielo si preparava al tem-porale.

Chiesi: «Voi che abitate la casa dei ven-ti, ditemi come parlare con voi. Com’èpossibile questo oblio... Come bucare la li-nea d’ombra dell’inconcepibile...».

Non ebbi risposta. Proseguii a piedi fi-no al cimitero austro-ungarico sull’altrolato della strada. La torcia illuminò lapi-di con nomi polacchi, dalmati, slovacchi, tedeschi emagiari. Szász, Borodin, Turko, Wiszniowski, Felber-ger, Vraty, Cattarinich. Si udiva un mormorio pienodi consonanti slave e vocali ebraiche, pareva un can-to di musica klezmer. C’era tutto l’impero e il suo or-dine plurale in quel perimetro minimo, qualcosa dimolto simile a ciò che oggi l’Europa Unita non è capa-ce di essere.

Vennero nubi come bastimenti. Cannonate sem-pre più vicine, il cielo intero si preparava alla batta-glia. Gli alberi strattonati dal vento scossero via le fo-glie e la pianura spense le luci. Tornai veloce, ma nonfeci in tempo. Nembi enormi tracimarono dal montee sui gradoni dei Centomila la pioggia cominciò a tam-bureggiare, poi divenne rullo di guerra. Le scalinatedel sacrario erano diventate cascate. C’erano soloduecento metri tra me e la macchina, ma in mezzo c’e-rano colonne d’acqua e così mi riparai sotto il tetto delmuseo della guerra. Oltre le grate di una finestra, vi-di tagliole, cesoie, mitraglie, baionette e corone di spi-ne illuminate dai fulmini. Qualcosa mi disse “vai a cer-care le guerre degli altri”. Era un ordine, non un sug-gerimento. Dovevo andare, e subito: i giorni dei mor-ti si avvicinavano, si stava aprendo nel cielo una fine-stra irripetibile. Era tempo di fare un viaggio anche al-le radici di me stesso. Come triestino, ero figlio di unacittà rimasta austriaca cinque secoli, un italiano ciapàcol s’ciopo, come i trentini e tanti goriziani, istriani edalmati. Ero, a dir poco, complicato. Mio padre era sta-to ufficiale nell’esercito del Tricolore e avevo — perparte di madre — un illustre, italianissimo zio irre-dentista. Ma mio nonno — italiano di lingua — avevacombattuto con l’Austria, per il suo imperatore, e mianonna, senza muoversi da Trieste, aveva cambiatosei bandiere nel demenziale andirivieni dei confini.La mia vecchia diceva: «La guerra del quattordici». Ioprotestavo, dicevo che era sbagliato, che era iniziatanel ‘15. E lei ogni volta daccapo a dirmi: «Picio mio, noide Trieste semo ‘ndai in guera nel quatordici». Dove-vo dunque partire da quella data, dalla guerra di que-gli italiani nella divisa sbagliata, der vergesseneKrieg, il conflitto dimenticato a Est, quello oltre i Car-pazi, senza contare la Serbia. Poco si era scritto di quelfronte smisurato, quattro volte più ampio e infinita-mente più mobile di quello italiano o franco-belga.Quell’orizzonte spopolato che un giorno nereggiò dimilioni di uomini in armi non poteva essere più diver-so dalle gole dell’Ortigara e dalle vigne dello Cham-pagne. Non ne sapevo nulla, e lì dovevo andare.

Ricordo che presi scarpe grosse e poche altre cose.Qualche mappa, orari dei treni, una lampada fronta-le, taccuini e un vecchio libro, la Guerra mondiale diA. J. P. Taylor. Prima di uscire staccai dall’attacca-panni un berretto di foggia militare austriaca, buonoper la pioggia, identico a quello di mio nonno. Me l’a-veva regalato un alpino italiano, un uomo di pascoli eforeste, Gianni Rigoni Stern. Per quel copricapo inFrancia mi avrebbero preso per tedesco, in Germaniaper un italiano originale, in Ucraina per un nazionali-sta anti-russo, in Italia per un austriacante.

A tutti avrei dovuto spiegare che era solo il cappel-lo di mio nonno.

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’AUTORE

PAOLO RUMIZDOPO AVERRACCONTATO,L’ESTATESCORSA,IL FRONTEITALO-AUSTRIACODEL PRIMOCONFLITTOMONDIALE,RIPERCORREORA I LUOGHITEATRODELLA GUERRADEGLI ALTRI,DALLA FRANCIAALLA POLONIA

Presi scarpe grosse e poche

altre cose: qualche mappa,

orari dei treni, una lampada

frontale, taccuini, un vecchio

libro. E dall’attaccapanni

staccai un cappello di foggia

militare austriaca,

buono per la pioggia

DIECIDOCUFILMIN EDICOLA“PAOLORUMIZRACCONTALA GRANDEGUERRA”È IL TITOLODELLA SERIEDI VIDEOREPORTAGEIN VENDITACONREPUBBLICADAL21 MAGGIOOGNIMERCOLEDÌA 9,90 EUROPIÙ IL PREZZODELGIORNALE.LA PRIMAUSCITAÈ IL DVD“MALEDETTIBALCANI”

Repubblica Nazionale 2014-05-18

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 32LA DOMENICA

Dean? “Ha viscere e palle”. Newman?

“Diventerà una star”. Marilyn? “Una gattina

randagia”. Le lettere in cui il regista

raccontava l’altra faccia di Hollywood

NEW YORK

IÙ DI SESSANT’ANNI dalla decisione di collaborare con la commis-sione per le attività anti-americane, il nome di Elia Kazan su-scita tuttora una divisione tra chi lo ammira incondizionata-mente e chi manifesta un netto disprezzo. Nessuno tuttavia neha mai messo in dubbio il talento folgorante, e l’importanzache ha avuto nella storia dello spettacolo. Almeno due genera-zioni di attori si sono formati alla sua scuola, e un’intera classedi drammaturghi, a cominciare da Arthur Miller, ThorntonWilder e Tennessee Williams, deve a lui la realizzazione di spet-tacoli indimenticabili. Per non parlare dei capolavori del cine-ma, la fondazione del Group Theatre e dell’Actors Studio. Ora,la pubblicazione di trecento lettere inedite ci consente di com-

prendere l’intimità di una personalità imperiosa e controversa, e di riflettere sulle sue scel-te artistiche, politiche e persino sentimentali. Molte hanno il sapore della confidenza quo-tidiana (con la prima moglie, Molly Day Thacher, parlava anche delle amanti), altre rivela-no un itinerario esistenziale oscillante tra la ricerca della verità e la constatazione della fal-lacia di ogni risultato. Se è illuminante quella con cui convince John Rockefeller a finanzia-re il Repertory Theatre, appaiono profetiche le riflessioni sui film nei quali denunciò il raz-zismo (Gentlemen’s agreemente Pinky), la corruzione nei sindacati (Fronte del porto) e la

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MAESTRO

LA COPERTINADEL LIBRO THE SELECTEDLETTERS OF ELIAKAZAN (ALFRED A. KNOPF, 649 PAGINE) A DESTRA IL REGISTANEL1949. QUI IN BASSO, MARLON BRANDOIN UN TRAMCHE SI CHIAMADESIDERIO (1951)

ANTONIO MONDA

politica ridotta a immagine vuota (Un voltotra la folla).

Soprannominato “Gadg”, da “gadget”,perché piccolo, Kazan sapeva essere di voltain volta duttile e inflessibile per difendere lapropria libertà artistica: non ebbe paura difronteggiare Jack Warner e Darryll Zanuckmentre discuteva aspramente con JohnSteinbeck e Clifford Odets. I cinephile siemozioneranno leggendo come forgiò ta-lenti diversissimi come James Dean, RobertDe Niro, Montgomery Clift e Marlon Brando:Kubrick scrisse che era «senza dubbio il mi-glior regista americano, capace di fare mi-racoli con gli attori». Non mancano le rivela-zioni: in Fronte del portovoleva a tutti i costiPaul Newman, e scrisse a Budd Schulbergche Marlon Brando era un «ERRORE». Ebbenumerose amanti, tra le quali Marilyn Mon-roe, («commovente e patetica»), e amici cherimasero sempre al suo fianco come Ten-nessee Williams. Più controverso il rapportocon Arthur Miller, con il quale fu amico fra-terno, ruppe all’epoca del maccartismo e siriconciliò in vecchiaia. La corrispondenzaconsente di analizzare la disaffezione perHollywood, riflessa negli Ultimi fuochi, e lacrescente passione per la narrativa, che lo

portò a realizzare il romanzo autobiograficoAmerica, America dal quale trasse il suofilm preferito. La scelta di collaborare conla commissione fu tormentata, ma ladamnatio memoriae non nasce dalla de-posizione (gli otto nomi che fece eranogià conosciuti, e fu proprio lui ad aiutareZero Mostel), ma da una lettera apertain cui spiegò di aver «scelto il male mi-nore» e la necessità di utilizzare anchemezzi dolorosi per «combattere il co-munismo». Negli anni Settanta in-staurò un intenso rapporto con Mar-tin Scorsese, che gli ha dedicato ilmagnifico Letter to Elia e lo con-sidera tuttora il suo mentore.Fu lui, insieme a De Niro, a con-segnargli commosso l’Oscar al-la carriera di fronte a una pla-tea divisa: per metà la stan-ding ovation, guidata daMeryl Streep, e per l’altrail folto numero di attori,capeggiato da Nick Nolte,rimasti seduti a non ap-plaudire.

Spettacoli. Actor’s studio

KazanElia

amicimiei

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Repubblica Nazionale 2014-05-18

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bene. Sembrano persone, non attori. Sono proprio soddisfattodi questo. Due persone. E Dean ha il vantaggio di non essere maiapparso sullo schermo.

A MOLLY DAY THACHER (LA PRIMA MOGLIE, NDT), 29 NOV. 1955

Carissima Molly, in un certo senso è vero che (Marilyn, ndt) non ha significa-

to nulla. D’altra parte è stata un’esperienza umana, ed è inizia-ta, se ciò può avere un significato, nel modo più umano possibi-le. Aveva appena subito una perdita. Il suo ragazzo, o “quelloche la manteneva” (se vuoi essere cattiva), era appena morto.La famiglia di lui non ha permesso che lei vedesse il corpo o met-tesse piede in casa, dove viveva da quando lui è morto. Una not-te ha cercato di intrufolarsi, ma è stata cacciata fuori. L’ho in-contrata sul set di Harmon Jones quando sono andato a farglivisita. Harmon pensa che lei sia una persona ridicola e la di-sprezza. L’ho trovata in lacrime, quando me l’ha presentata.L’ho portata a cena perché mi sembrava una trovatella pateti-ca e commovente. Ha singhiozzato per tutta la cena. Non ero“interessato” a lei, quello è venuto dopo. Ma ero tremenda-mente commosso da lei e pensavo che aveva moltissimo talen-to. Ho avuto modo di conoscerla nel tempo e l’ho presentata adArthur Miller, che è stato molto preso da lei. Non si può fare ameno di restarne affascinati. Ha talento, è divertente, vulne-rabile, indifesa in modo straziante, senza speranza e ha un cer-to valore; non è una bugiarda, non è cattiva, non è maliziosa eha alle spalle una vita da orfana che ti strazia quando la ascolti.È un po’ come tutte le protagoniste di Charlie Chaplin messe in-sieme. Non mi vergogno di essere rimasto affascinato da lei. Leinon è quello che appare adesso. Quando l’ho conosciuta era ungattino randagio, e tutto ciò che aveva erano pochi vestiti e unpianoforte. Immagino di averle dato molte speranze, ancheArthur gliele ha date. Lei si è presa una cotta per Art, non perme. Non è una donna tutta sesso come viene pubblicizzata. Al-meno non in base alla mia esperienza.

A WARREN BEATTY, 22 MAGGIO 1963

Caro Warren,perdona l’impertinenza di un amico. Mi piaci davvero, e mi

demoralizza venire a sapere che stai facendo impazzire tutti inMaryland. So che le voci sono inaffidabili e non è giusto ripe-terle. Ma diamine! Ripeto sempre “Warren sotto sotto è una per-sona magnifica!”. Ma c’è enorme contraddizione nel tuo mododi fare. Da una parte dici di voler diventare una stella . L’hai det-to e ripetuto non solo a me, ma a un sacco di altre persone. De-vo dirti che diventare un fuoriclasse dipende, e lo sai benissimo,dal fatto di lavorare con i registi migliori e recitare in buoni film.Quando però questi registi sentono che sei un tipo “difficile”,l’unica reazione legittima che possono avere è: “Chi ne ha biso-gno?”. A me sembra che devi trovare un modo giusto per affer-mare te stesso e far valere le tue opinioni. Al tempo stesso, devifar sì che sia piacevole lavorare con te, dignitoso trattare con te,divertente trascorrere tempo con te, e si deve percepire che in-tendi contribuire allo sforzo collettivo. È disdicevole che tantipensino tu sia un problema. Hai molto: sei intelligente, hai ta-lento e sensibilità. Sei affascinante, forte e fisicamente in gam-ba. Ma tutto ciò può essere reso nullo da quelle voci — vere, ve-re in parte, abbastanza false o qualsiasi altra cosa — che si rac-contano su di te. Forse sono un impertinente a scriverti in que-sti termini. Non sono né tuo padre né tuo fratello, solo un ami-co. Tu però pensa alle cose che ti ho detto.

A ROBERT DE NIRO, 15 APRILE 1975

Caro Bobby,ti piacciono le mie lettere? Eccone un’altra. C’è qualcosa di

molto importante che ho dimenticato di dirti, o di scrivere tragli appunti che ti ho consegnato. Stahr (il protagonista de Gliultimi fuochi, ndt) ha il senso di una missione. Una missione chedeve perseguire da solo. Il che è un modo molto romantico di vi-vere la propria vita, non credi? Quante persone conosci che han-no il senso di una missione? Stahr è determinato ad andare con-tro tutti quegli stronzi pieni di soldi che gli stanno attorno e por-tare a termine la sua missione. Qual è? Far sì che il Cinema siariconosciuto come un’arte. Thalberg fece un discorso proprio suquesto ed è nel libro che ti ho dato. Ma io penso che la sua mis-sione andasse ancor più nel profondo e fosse più umana. Vole-va dare rispetto al lavoro nel quale era impegnato, e quindi da-re dignità alla sua stessa vita. Quella di Stahr è una parte fan-tastica, qualcosa con la quale non ti sei mai cimentato. So chepuoi farcela. Ma niente di tale portata è semplice. Occorrerà unsacco di lavoro, di duro e buon lavoro. E serviranno riflessione,cura, sperimentazione e… lavoro. Quindi non arrivare stanco.Non tanto per me, Bobby, quanto PER IL TUO STESSO BENE.

(Traduzione di Anna Bissanti)© 2014 by the Estate of Elia Kazan. All rights reserved

Published by Arrangement with Alfred A. Knopf, a divisionof Random House LLC, New York and Agenzia Santachiara

la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 33

Lo so bene che Brando è bravoma non lo voglio in “Fronte del porto”

ELIA KAZAN

© RIPRODUZIONE RISERVATA

POLVERE DI STELLE

A DESTRA, DALL’ALTOPAUL NEWMAN NEGLI ANNI ’50;MARILYN MONROECON ARTHUR MILLERNELLA TENUTA DI ROXBURY,CONNECTICUT, NEL 1956;JAMES DEAN E JULIE HARRISIN LA VALLE DELL’EDEN (1955)

A MARLON BRANDO, LUGLIO 1953

aro Marlon,non posso fingere che sia facile

o semplice scriverti. Ti spediscola sceneggiatura di un film in cor-so di preparazione. Ci ho lavoratoa lungo e continuerò a farlo. Èqualcosa di molto profondo, chesi ispira alla gente normale. Nonvoglio dire di più del soggetto delfilm. Solo qualche parola sullaparte. In base ai criteri comuniche utilizzano produttori e regi-

sti per il casting, tu non sei la persona giusta per questa parte.Ma del resto non eri la persona giusta neppure per la commediadi Williams (Tennessee, ndt), e non eri neppure la persona giu-sta per Zapata. Questo ragazzo è un ex pugile, mezzo ingenuomezzo gangster. È un giovane che ha smarrito il senso della di-gnità interiore o dell’autostima. All’inizio della nostra storianon sa quando l’ha persa o come. A mano a mano che si dipanala storia, grazie alla relazione con una ragazza scopre la vergo-gnosa situazione alla quale ha ceduto. Il succo della storia ha ache vedere con il suo tentativo di ritrovare la propria dignità ela propria autostima. Ci sarebbe ancora molto da dire, ma puoiandare avanti da solo da qui, se ti interessa. Penso che sia unaparte da giganti e una sfida tremenda.

A BUDD SCHULBERG, LUGLIO 1953

Caro Budd, un ultimo appunto prima che io tagli la corda e me ne vada.

Dovrò lasciare a te la responsabilità di sistemare le cose conBrando. Nei prossimi dieci giorni non voglio dover pensare alfilm. Non sono pazzo per ciò che concerne la parte di Bran-do. Dal mio punto di vista non è giusto per la parte. Ma è unbravo attore e se riesce a entusiasmarsi e a lavorare comeun debuttante che fa di tutto per partire alla grande andrà

bene. Deve essere affamato e desideroso. Ho promesso aSam che l’avrei preso se avesse voluto fare un film e pensoche dal punto di vista commerciale senza dubbio ci aiuterà.

In ogni caso, arriva in città domenica due agosto e riparteil cinque ed è imperativo che legga la sceneggiatura e ci dicasì oppure no. Non può portarsi appresso la sceneggiatura inEuropa. Il tempo a nostra disposizione inizia a diminuire e nonpossiamo aspettare che sua maestà si metta comodo a Parigie ci mandi la sua risposta quando ne ha voglia…

Se non prendiamo Brando, e penso che probabilmente nonaccadrà, io sarei dell’idea di prendere Paul Newman. Quel ra-gazzo sarà una star del cinema. Non ho nessun dubbio in pro-posito. È affascinante come Brando e la sua mascolinità è note-vole ed è anche più attuale. Non è ancora bravo quanto Brando,e probabilmente non lo sarà mai, ma è un attore molto bravo inogni caso, con molto vigore, molta interiorità e molto sex ap-peal. Io scelgo lui, senza neanche vederne altri.

A JOHN STEINBECK, MARZO 1954

Caro John,ho cercato tra moltissimi giovani prima di scegliere questo

Jimmy Dean. Non ha lo spessore di Brando, ma è molto piùgiovane di lui ed è molto interessante, ha le palle, e l’ec-

centricità, e un “problema serio” da qualche parte nel-le viscere, non so di preciso che cosa o dove. È un

poco irresponsabile, ma è veramente bravo epenso sia il migliore in un settore che per al-

tro è misero. La maggior parte dei giova-ni che diventano attori a diciannove,

venti o ventuno anni è davvero ine-sperta ed esce dritto dritto dallascuola professionale di New York.Dean ha una autentica vena di cat-tiveria, ma anche una autenticavena di dolcezza. Ho incontratodifficoltà enormi per la ragazza.Terribile! Le ragazze sono peg-gio dei ragazzi. Mio dio, sono pro-prio nullità. O non hanno vissuto

o sono irresponsabili. Quella diAbra è una grande parte. Spero che

ora tu non svenga. Voglio utilizzareJulie Harris… Pensi sia impazzito? La

sceneggiatura dipende a tal punto dalei nell’ultima scena con Adam e dalla

sua forza che devo necessariamente uti-lizzare una vera attrice. Non sono riuscito a

trovarne una di vent’anni. Sono nullità. Sì,sanno tutto di balli scolastici, vestiti, fidanzati,

ma non esprimono niente che vada bene per la mia ultima sce-na. Alla fine ho fatto un provino fotografico a Julie e quando lasua faccia è in movimento dimostra vent’anni, credo.

Una cosa a favore: lei e Jimmy Dean insieme stanno proprio

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CQUEL PAULSARÀUNA STAR DEL CINEMA,NON HO

NESSUN DUBBIOÈ AFFASCINANTECOME BRANDO, LA SUA MASCOLINITÀ È NOTEVOLEE ANCHE PIÙ ATTUALE.IO SCELGO LUI,SENZA VEDERNEALTRI

HO CERCATOMOLTISSIMIGIOVANI PRIMA

DI SCEGLIERE QUESTOJIMMY DEAN:UN IRRESPONSABILE CHE HA LE PALLEE L’ECCENTRICITÀ.E POI NON È MAIAPPARSOSULLO SCHERMO

LA MONROESEMBRAVA UNA GATTINARANDAGIO

E MI HA FATTO PENA.MA NON EROINTERESSATO A LEI,QUELLO È VENUTODOPO. NON È AFFATTO UNA DONNA TUTTASESSO. ALMENO NON PER LA MIAESPERIENZA

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L PRESENTE DELL’INFORMAZIONE

è straordinario e il futuro losarà ancora di più. Chi non locapisce è perché non guardanella giusta direzione». Aparlare è un sessantaduennecon la barba bianca e un otti-

mismo incrollabile da adolescente. Si chiamaRichard Gingras ed è a capo di Google News,quell’aggregatore di notizie che può contare suoltre un miliardo di lettori unici a settimana in72 Paesi e in 45 lingue. In precedenza ha rico-perto ruoli importanti in Excite e Apple, e anco-ra prima alla Cbs, Nbce Pbsdove ha creato il pri-mo magazine online interattivo nel 1979. «A es-ser sincero non è mai esistito nella storia un pe-riodo così fertile di opportunità e di strumentiper i media».

«Si possono usare software simili per produr-re notizie brevi sui risultati di un match di calcio,per dirne una. Ma non c’è verso che un compu-ter, oggi come domani, sia capace di raccontareuna storia così come lo fa una persona. Ed è pro-prio il raccontare il mon-do che non scompariràmai né potrà scompari-re quella capacità tuttaumana di capire cosa èinteressante e cosa no».

«Le rispondo con unacitazione e un esempio.Marshall McLuhan, epiù tardi Andy Warhol,dissero che in futurochiunque avrebbe potu-to diventare famoso perquindici minuti. Alla fi-ne però quel che sta suc-cedendo negli open me-dia è che chiunque puòdiventare famoso inquindici minuti. Recen-temente Espreso Tv,network di Kiev nato dameno di un anno, ha rag-giunto il primo posto fragli eventi più guardatidi sempre su YouTube,scalzando il lancio diBaumgartner dallastratosfera: 17,6 milio-ni di ore visualizzate in54 giorni».

«Avveniva anche inpassato che delle testa-te scomparissero e per inciso attraverso GoogleNews i siti di informazione ricevono 10 miliardidi visite al mese. Èbene poi ricordarsi che i gior-nali sono da sempre uno strumento potente, manon sono mai stati business fruttuoso. Io credosemplicemente che, nel caso di organi di infor-mazione in crisi, non si sfrutti il potenziale chehanno. I cosiddetti big data, tanto per citare uncaso, possono dirci molto della realtà delle cosee con una precisione che non è mai esistita pri-ma. Se vengono usati a fini commerciali, perchénon adoperarli per raccontare il mondo? Pernon parlare degli archivi dei quotidiani. Se soloi giornali li organizzassero come si deve… Sonoautentiche miniere d’oro. Una delle più impor-tanti testate americane ha realizzato un’app de-dicata alla cucina, e il 98 per cento dei materialierano ricette pubblicate negli ultimi venti anni.È stato un successo, anche economico. Non cicredevano nemmeno loro».

la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 34LA DOMENICA

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NON C’ÈMAI STATOUN PERIODOCOSÌ FERTILEDI STRUMENTIE OPPORTUNITÀ:IN FUTUROLE INFORMAZIONISARANNOIL TESSUTODELL’ESISTENZA.MA NESSUNOSI POTRÀSOSTITUIREALL’UOMONELLACAPACITÀDI SCEGLIEREE RACCONTARE

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RICHARD GINGRAS

SENIORDIRECTOR GOOGLE NEWS

STORIE ORALI

La comunicazione oraleera l’unico mezzoper trasmettere informazionialla generazione successiva

5-7 milioni di anni fa

TELEGRAFO

Samuel Morseinventa il telegrafoe manda i piccioniin pensione

1841

INSTANT MESSAGING

Ci ha regalato il mondodelle faccine. Intrattenereuna conversazionenon è mai statocosì divertente

1996

IL PRIMO QUOTIDIANO

La Einkommende Zeitungen,

fondata nel 1650 da un libraiodi Lipsia come settimanale,dopo dieci anni diventa quotidiano

1660

1973

TELEFONO CELLULARE

Il 3 aprile Martin Cooper,ingegnere della Motorola,fa la prima telefonatacon un cellulare

SOCIAL NETWORK

Grazie a Friendster,poi MySpace e ora Facebook,passiamo un quarto del nostro tempocollegati ai social network

2002

MACCHINA PER SCRIVERE

La dattiloscritturaebbe il suo debuttocon Le avventure di Tom Sawyer

di Mark Twain

1867

W E R

S D

ONLINE CONTENT

COLLABORATION

Videoscrittura, tecnologia webe una spruzzata di social network.Agitate, mescolate: siete sulla nuvola

2011

PITTURE RUPESTRI

L’uomo di Neanderthalha disseminato di capolavorile grotte di tutta Europa

33.000 anni fa

MICROBLOGGING

Tweet, tweet, tweet… 200 milioni di esplosionidi 140 caratteri al giorno.Di chi siete il follower?

2006

TELEFONO

Inventato da AntonioMeucci nel 1871, vienebrevettato da AlexanderGraham Bell

1876

ACTA DIURNA

Nell’antica Romaveniva pubblicatoogni giorno un resocontodegli eventi accaduti

59 a.C.

ACTA

DIURNA

ACTA

DIURNA

LE AGENZIE DI STAMPA

La prima è fondata nel 1825a Parigi da Charles Havas,seguito da Wol� (Berlino) e Reuter (Londra)

1825

1990

MOTORI DI RICERCA

Non esiste Google:i primi motorinascono all’iniziodegli anni ‘90

IL PRIMO BLOG

Nasce in Americanel 1997 come diariodigitale

1997

WORLD WIDE WEB

È l’inizio del boom,l'invenzioneè di Tim Berners-Lee

1994

?

GIUSEPPE SMORTO

Mr. Google News“I giornali vanno reinventati”

I cronistiservonosempre

Un algoritmo non sarà mai un giornalista, un motore di ricerca non sarà mai una pri-ma pagina. Anche se, grazie alla tecnologia, il giornalismo di oggi ha infinite possi-bilità. A chi parla di crisi, si può rispondere con i numeri. Mai così tanti lettori, se

consideriamo il moltiplicarsi dei modi di informarsi. E poi, pensate proprio che non ci siapiù bisogno di giornalismo? Intendendo per questa professione, una certa sensibilità, l’in-dipendenza, la curiosità, il coraggio. Materie che non si insegnano nemmeno nei Master,ma che fanno la differenza: a Kiev, o anche in zone estese della nostra Italia, dove fare que-sto mestiere significa vivere costantemente sotto minaccia.

Quindi non è in crisi il giornalismo, forse un modo di farlo: non basta più la bella scrittu-ra. È probabile che il giornalista di domani debba sapere di informatica, ma il più bravodegli ingegneri non potrà mai sostituirlo. E un reportage sul campo farà sempre la diffe-renza, solo che ognuno di noi si sceglierà il modo di leggerlo: sulla carta, sul tablet, sul cel-lulare o sul prossimo device non ancora in commercio.

Chefuturoha

la notizia

JAIME D’ALESSANDRO

«I

Next. Ultima ora

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 35

Mr. Media Mit“Tanta scelta,poca curiosità”

RA DIECI ANNI avremotanti media basatisulle relazioni per-sonali, ma saremodel tutto carenti dinotizie vere». EthanZuckerman ha la

stazza del regista Michael Moore, teorie al-trettanto radicali e il piglio del giovanehacker. A vederlo, si direbbe il perfetto evan-gelista del digitale e delle sue infinite poten-zialità. E invece Zuckerman, direttore delCenter for Civic Media al Mit di Boston, è l’e-satto contrario. Il suo ultimo saggio, Rewire(Egea), ribalta gran parte dei luoghi comu-ni sul web e sulla libertà che offrirebbe. «Par-tiamo dalle basi: noi vediamo il mondo at-traverso i media. Quel che raccontano è il no-stro sguardo. Peccato che sia uno sguardosempre più distorto».

«Sappiamo di poter viaggiare ovunque,attraverso la Rete possiamo leggere e guar-dare qualsiasi cosa ed entrare in contattocon chiunque. Eppure la maggior parte del-le persone continua a non allontanarsi trop-po da casa e a leggere media locali. Tutti og-gi possono raccontare una storia e possonocondividerla, ma pochi lo fanno e pochissimihanno un vero pubblico.Le fonti di informa-zione stanno dimi-nuendo e sulla Retesono sempre più pro-vinciali. Non abbia-mo mai avuto cosìtanta scelta, ma allafine guardiano solonel nostro giardino.Prima avevamo unagerarchia, quella deigiornali, ora abbia-mo libertà. Peccatonon si si traduca inuna maggior ric-chezza».

«Dal 1979 al2009, gli articoli de-dicati a quel che suc-cede oltre il nostrouscio di casa si sonoridotti mediamentedi due terzi. Nel2010 negli Usa sonostate visualizzate9,8 miliardi di pagi-ne web sui cento sitidi informazione piùseguiti, e il 93 percento riguardavafonti statunitensi.Altrove è peggio: inFrancia siamo al 98così come in Italia oin Cina. Ci sono delleeccezioni, come ilNew York Times, madi fatto il mondo chestiamo osservando èsempre più piccolo».

«Facebook organizza automaticamentequel che compare sulla nostra pagina in ba-se alle “affinità”. Il risultato è che ci imbat-tiamo in cose che ci piacciono ma che non ne-cessariamente ci servono. Inoltre, il 93 percento dei nostri contatti sui social network liconosciamo nella vita reale, pur superficial-mente. Questo significa che i social networknon sono necessariamente un luogo dove av-vengono veri scambi. Anzi, tutt’altro».

«Le informazioni viaggeranno sull’ondadell’emotività diffondendosi a macchia d’o-lio senza esaminarne la fondatezza . Avremoanche una pluralità di fonti locali, non pro-fessionali, come in parte già avviene. Ma sa-remo sempre più provinciali».

(j.a.)

CON IL WEBSOLTANTOTEORICAMENTELE POSSIBILITÀDI SAPERESONO INFINITE.DI FATTO CI INTERESSA SOLO IL NOSTROGIARDINO.MAGGIORELIBERTÀ NONSI TRADURRÀIN MAGGIORECONOSCENZAPERCHÉ I SOCIALNETWORK HANNORISTRETTOGLI ORIZZONTI

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ETHAN ZUCKERMAN

DIRETTORE CENTERFOR CIVIC MEDIADEL MIT DI BOSTON

PICCIONI

VIAGGIATORI

Nell’antichità sono statiper molto tempoil più veloce mezzodi comunicazione

1150

1964

WORD PROCESSOR

I programmidi videoscritturasalvano un po’ di alberi,permettendocidi scrivere più in fretta

IL TORCHIO

DI GUTENBERGLa possibilità di stampare libriha contribuito alla di�usionedel sapere tra le masse

1440

INTERNET

Iniziata come progettomilitare, l’Arpanet è servitada fondamenta per lo svilupposuccessivo di internet

1969

IL PRIMO GIORNALE

In Europa il primo foglio di notizieappare a Venezia: redatto a mano per incarico del governoe pubblicato tutti i mesi

1563

POSTA ELETTRONICA

Nascono le prime emailper scambiare messaggifra le varie università

1970

CITIZEN JOURNALISM

Con l’attentato terroristiconella metro di Londra si iniziaa di�ondere in Europail giornalismo partecipativo

2005

LE RADIO

La prima trasmissionecomprendeva esibizionidi famosi cantanti d’operadella Metropolitan Opera House

1919

SERVIZIO POSTALE

Nascono le lettere,ma i francobolli(e la �latelia) arriverannomolto più tardi

550

1925

TV

Non ci sono più solo le voci:a Londra iniziano le primetrasmissioni televisive

PRIMI MANOSCRITTI

In Occidentevenivano scrittisenza spazi e senzasollevare mai la penna

301-800

Mai come oggi

le informazioni

ci bombardano

eppure i media

sono in difficoltà

Come si dovrà

comunicare?

A confronto

le tesi (opposte)

di due guru

mondiali

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 36LA DOMENICA

INQUANT’ANNI E NON DIMOSTRARLI. Non una ruga sciupa il va-setto di vetro che contiene la crema spalmabile più famosadel mondo, nata nell’aprile 1964 dal felice passaggio di te-stimone tra il fondatore della Ferrero, Pietro — l’ideatoredella ricetta — e il figlio Michele, capace di sdoganarla daqualsivoglia provincialismo, sostituendo al banale “Su-percrema” un nome da premio Pulitzer del marketing.

Nutella, ovvero la nocciola inglese (nut) ingentilita dauna desinenza cremosa, oggi vende mille tonnellate di pro-dotto al giorno in tutto il pianeta, e da tutto il pianeta rac-coglie gli ingredienti della ricetta: nocciole dalla Turchia,olio di palma dalla Malesia, cacao da Costa d’Avorio e Ni-geria, vanillina dagli Stati Uniti. Un vanto globale per l’a-

zienda che ha sede in Lussemburgo e conta oltre quaranta milioni di riferimenti su Goo-gle. Ma tra analisi sociologiche e citazioni cinefile, diatribe nutrizionali e dubbi etici, un’al-tra nutella è possibile. Perché niente più delle creme spalmabili sa modularsi su ricette, gu-sti e desideri più o meno inconfessabili, a cominciare dalla frutta secca che regala fragranzae pastosità. Il Piemonte, terra-madre di mil-le piccole grandi rivoluzioni gastronomi-che, dai grissini a Slow Food, è terra di nocie nocciole. Un tempo così diffuse e in talequantità, da farne olio per alimentare lelampade, lusso nemmeno immaginabilenel Terzo millennio, se è vero che per estrar-re un litro di liquido occorrono quasi trequintali di frutti.

Ben lo sanno i protagonisti della cucinad’autore, che dosano gli olii di noci e noccio-le col contagocce per impreziosire con untocco di aromatica eleganza insalate e tar-

tellette. Ma ancora mezzo secolo fa, tra cam-pagna, colline e primi contrafforti alpini, iboschi erano fonte inesauribile di legna,gherigli e affini.

Molto prima di allora, a metà dell’Otto-cento, i pasticceri valdesi avevano comin-ciato a sostituire parzialmente il cioccolato— diventato carissimo per il blocco delle im-portazioni imposto dalla Francia — con lenocciole, che non costavano niente e rende-vano in termini di cremosità, sapore, finez-za. Tra le prime sperimentazioni del genia-

Un’altra nutella è possibile.Crema al cioccolato fatta in casaspalmare e leccarsi le ditaLICIA GRANELLO

Sapori. Familiari

le pasticcere piemontese Michele Prochet ela commercializzazione del primo gian-duiotto in coincidenza con il Carnevale diTorino del 1864, la cultura alimentare pie-montese fece suo un matrimonio che non hamai conosciuto crisi.

Mentre la Nutella ha seguito un percorsoindustriale che l’ha portata a dominare ilmondo delle creme in vasetto, valenti cioc-colatieri e piccole imprese artigiane hannocontinuato la tradizione delle spalmabili.Ogni pasticcere forte di una ricetta simile acento altre nella preparazione, ma diversae originale per scelta di materie prime e do-saggio degli ingredienti, dalla percentualedi nocciole alla tipologia di cacao e cioccola-to, fino alle aromatizzazioni (vaniglia, can-nella, zenzero, etc...).

Non fatevi sedurre dal glamour dei ba-rattoli. Sotto il vestito della confezione, cer-cate l’etichetta, ricordando che gli ingre-dienti vengono elencati in ordine decre-scente di quantità. Se nocciole e cioccolatosono in fondo alla lista, se non c’è traccia diburro di cacao (al contrario dei tristanzuoligrassi vegetali), né di aromi naturali, ar-matevi di pazienza e allegria e regalatevi ilpiù sano e irresistibile dei fai-da-te. D’obbli-go, a fine assaggio, leccarsi le dita.

CLa cioccolateria

Storica rivale della tonda gentile,la nocciola di Giffoni – a sua

volta IGP – è alla base di “Amoredi Nonna”, firmato

dalla cioccolateria puglieseMaglio, nella doppia versione

al latte e fondente(Maglio Arte Dolciaria

Via Templari 1Lecce, tel. 0832-243816)

La novità

Si chiama “ChoX” la nuovaspalmabile a base di cioccolato

Domori, declinato di volta in volta con nocciole, caffè,

extravergine, zucchero di cannae tè, anche in versione bianca,

da gustare sia calda che fredda(Illyteca, Via Luigi Einaudi 2/a

Trieste, tel. 040-2462230)

Il premio

All’International ChocolateAwards 2013 di Londra, primopremio nella categoria “dark”

per Guido Castagna con la crema “Nocciole +55”. Vittoria

nella sezione “milk” per MarcoVacchieri di Rivalta Torinese(Guido Castagna Cioccolato

Via Maria Vittoria 27/CTorino, tel. 011-19886585)

LA MERENDAPIÙ AMATA

DAGLI ITALIANI(E NON SOLO)

COMPIE 50 ANNIMA OVVIAMENTECI SONO ANCHE

ALTRE VERSIONIVECCHIE E NUOVE.

PERCHÉL’IMPORTANTE

NON SEMPREÈ IL BARATTOLO

MA GLI INGREDIENTI

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 37

EL 1976, UNA BOTTIGLIETTA diCoca Cola atterrava su unpianeta desolato e viportava la vita (in sensobiologico, non festaiolo) al

ritmo del Bolero di Ravel. Accadeva nelfilm Allegro non troppo, di BrunoBozzetto. Qualcosa del genere si è peròregistrata anche sul pianeta della linguae della letteratura, con l’irruzione deinomi commerciali (i brand) dei prodottisulla scena comunicativa. È uno stranotipo di parole, spesso in oscillazione fra ilnome proprio e il nome comune. Oggi ibanconi alimentari dei supermercatisono pieni di merci il cui nome — in libri,articoli, post — viene spesso scritto con laminuscola e magari flesso come un nomecomune («prendiamo due fante»). Va’ aspiegare ai bambini la differenza fracarne in scatola e Simmenthal. Oall’avventore di un bar il diverso statutodei nomi Campari e gin.Generazioni di spettatori, oramai, hannoammirato la scena di Palombella Rossa incui il trentacinquenne Michele Apicella,interpretato da Nanni Moretti,prorompe: «Le merendine di quando erobambino non torneranno più!». Solo chelui intendeva il pane con il cioccolato,non la Fiesta. Molti dei suoi spettatori piùgiovani pensano invece a merendineconfezionate, i cui nomi risuonano allamemoria dolci ed evocativi come lafamosa petite madeleine di quell’altronarratore. E il bello che la suddettamadeleine era a sua volta un “brand”,derivava dal nome della cuoca chel’avrebbe inventata, MadeleinePaulmier. Tale precedente proustianonon è stato tenuto in considerazionequando, una ventina d’anni fa, si aprì undibattito sull’opportunità e il senso dimenzionare marchi e brand nei romanzi,contro i pudori dei letterati cheritengono più elegante la parafrasi(«Gustò un formaggino dopo averloestratto dalla scatola tonda che riportaval’immagine di un felino asiatico»). I playboy vengono chiamati dongiovanniperché Don Giovanni era il playboy, pereccellenza. Quindi, da un certo punto divista, che ogni crema spalmabile alcioccolato possa essere chiamatagenericamente e anche al minuscolonutella è segno di successo, profondo elusinghiero. Eccellenza, appunto. Mapurtroppo questo punto di vista non èquello commerciale, per il quale, alcontrario, le legittime ragioni diesclusività impongono controlli e ritornidel nome comune al nome proprio. È perquesto che il naming più recente flirtacon la grammatica e pesca i suoi nomipropri nel vocabolario (come per ibiscotti: Macine, Gocciole, Abbracci,secondo l’esempio antico dei BaciPerugina). Si crea una sorta di zonafranca lessicale fra speciemerceologiche, singoli prodotti, formeassestate nel mondo. Sono brand affabilie colloquiali, tramite cui l’industria siriveste di naturalezza.

Il primobrandè operadi Proust

STEFANO BARTEZZAGHI

5

INGREDIENTI PER 250 G. DI CREMA

100 G. DI NOCCIOLE PIEMONTE IGP; 80 G. DI ZUCCHERO A VELO

30 G. DI CIOCCOLATO FONDENTE EXTRABITTER (63% DI CACAO)30 G. DI CIOCCOLATO AL LATTE FINISSIMO (35% DI CACAO)5 G. DI CACAO IN POLVERE

uesta è la ricetta di una crema spalmabile casalinga. Peruna variante più fine, si possono sostituire le nocciole conla pasta di nocciole. La ricetta domestica, sulla falsa riga del-

la nostra crema Gianduja, è composta dal 40% di noc-ciola Piemonte Igp e non presenta grassi vegetali ag-giunti. Per prima cosa, tostare in forno le nocciole sgu-sciate 15’ a 120°C. Una volta raffreddate, si frullanocon lo zucchero a velo fino a ottenere un impasto omo-geneo e cremoso. A questo punto, unire il ciocco-lato fondente e al latte, dopo averli debitamen-te sciolti a bagnomaria (non oltre 45°C). Infine,aggiungere un cucchiaino di cacao in polvere.Versare in un vasetto di vetro sterilizzato echiudere. Conservare a temperatura am-biente, tra 18 e 20°C, in un luogo fresco easciutto. A piacere, si può aggiungere ¼ dibacca di vaniglia Bourbon.

Pane e...French toast a straticon crema al cioccolatoA guarnire, una spruzzatadi cacao in polvere

ingredientiper una crema

NNoccioleVitamina E, magnesio e manganese nella tonda e gentile delle Langhe Igp,con la quale Michele Prochetmescola la pasta di cacaoper elaborare la primissimaricetta del gianduiotto

CacaoOttenuto separando la massadi cacao dal suo grassopregiato. Nelle creme di qualità, il burro di cacaoviene restituito alla miscela,per migliorare spalmabilitàe fragranza

5modiper gustarla

ZuccheroDal bianco raffinato a quello di canna grezzo,troppo spesso copre gli altriingredienti per quantità,livellando il gustoIn ricette light, maltitoloo dolcificanti di sintesi

LatteRigorosamente in polvere,quasi sempre in versionemagra, può essere sostituitoutilizzando il cioccolato al latte. Nelle ricette vegane,niente latte oppure latte di soia o riso

VanigliaPrima scelta per i semi dei preziosi baccellidella vanilla planifoliaBourbon, dal Madagascar e dall’isola della RèunionNelle produzioni a bassocosto subentra la vanillina

GelatoLatte, panna e zuccheromescolati e scaldati a 70°C, a cui aggiungere la cremaspalmabile, mixando a freddo. Per il variegato,aggiungere la crema colata a filo sulla base mantecata

BriochePer la farcitura super golosa,inserire qualche cucchiaiatadi crema nel sac-à-poche,dopo averla diluita con pochissima marmellata fluida o con un cucchiaino di panna e riempire a piacere

CrostataSulla classica frolla cottacoperta di carta da forno e fagioli secchi perché nonsi gonfi, la crema amalgamatacon qualche cucchiaio di ricotta e spolverata di nocciole tritate

MuffinFarina, zucchero e lievitomescolati insieme, poi uova,latte, burro fuso e poca cremaNegli stampini, pastella,un cucchiaiodi crema fredda, il restodell’impasto e infornare

BiscottiI più semplici: crema e farinain pari quantità, più un uovointero. Cucchiaini di impastoleggermente schiacciatisulla placca del fornofoderata con un silpat(8 minuti di cottura)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Q

Vi spiego come preparareun’alternativa da maestro

La ricetta

LO CHEF

GUIDO GOBINOÈ UNO DEI MIGLIORIMAESTRICIOCCOLATIERIITALIANI. NEL SUOLABORATORIOTORINESE DECLINAIL CIOCCOLATOIN MODO ORIGINALECON ATTENZIONESPECIALEALLE NOCCIOLEDI LANGA, COMENELLA RICETTA PER I LETTORIDI REPUBBLICA

Repubblica Nazionale 2014-05-18

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la RepubblicaDOMENICA 18 MAGGIO 2014 38LA DOMENICA

ARGENTINO come Maradona (“Ma lui si crede Dio, e io sono agnosti-

co”) e come Papa Francesco (“Ma lui tifa San Lorenzo, io una squa-

dretta da quattro soldi”) quando aveva cinque anni la nonna lo

portò a vedere Biancaneve: “Quel giornò scoprii l’Americae l’amo-

re per i cartoon”. Da allora non ha più smesso di disegnare, creando

mondi surreali fatti di giraffe dai colli lunghissimi e da impossibili

partite di pallone: “Se si gioca,

perché limitare l’assurdo? Fin-

ché renderemo il pianeta imper-

fetto sarà sempre una risata

quella che ci salverà”

GuillermoMordillo

AMILLE METRI D’ALTEZZA, immaginandoci in vetta a una delle suegiraffe, la Laguna, là sotto, appare una pozza ingarbugliata diponti, gondole, cupole, calli, canali, vaporetti e milioni di cucuzzolidi cappellini in trasloco di massa, di campo in campo, dei turisti digiornata. Parlare con Guillermo Mordillo, primo surrealista della

giungla, intrico di giraffe, lunghissime giraffe, e di elefanti, alci, coccodrilli,ippopotami, interminabili serpenti, tucani, leoni, struzzi, tutti con gli occhionia palla, bloccati nello stupore frontale d’immagini fototessera, significa farsicatapultare nel suo mondo animale e primordiale, lasciandosi andare di lianain liana, nei suoi labirinti grafici: foreste, metropoli, lagune.

A Venezia, dove è stato celebrato e premiato al “Cartoons on the Bay” ildisegnatore argentino, ottantadue anni d’intatto entusiasmo infantile, nonmanca di suggestionare l’interlocutore, minimizzando come ovvie le vertiginivisionarie, spiazzanti e fulminee, di quei grattacieli in cima ai quali prediligeorganizzare partite di pallone o di tennis o tuffi parabolici o ancora, di grattacieloin grattacielo, erba rasata e buche di golf. E sotto, gli abissi. «Se il gioco è gioco,perché non giocarlo fino in fondo, con tutte le approssimazioni e assurdità che civengono in mente? Confinando due squadre di calcio, per esempio, alle soglie delcielo, al posto d’un giardino pensile. A pensarci bene, non sono più surreali gliimprobabili ritagli di terreno da cui i ragazzini riescono a ricavare iloro campetti? In ogni caso non c’è mai premeditazione in quelche invento. Vado d’istinto. Non ho alcuna cultura. E scarsaintelligenza. Ma sono dotato di grande istinto». La sua estremamodestia rovescia anche il rito dell’intervista, anticipando ilritratto di sé: a parole, ma con identico procedere, a striscesuccessive, delle sue vignette. Prima striscia: «Ho la barbettaispida e imbiancata, sono senza capelli e basso comeMaradona». Seconda striscia: «Sembro un monaco, un saggio,ma sono un diavoletto, Mordillo, cioè “morso di cavallo”, che

suona più allegro del mio nome, Guillermo».Terza striscia: «Il protagonista dei miei disegni èminuscolo. Il mondo è immenso, lui è un picciuolo:una cosina infinitesima nel paesaggio, sul globoterrestre, nella galassia. Non crea però ansia, matanta allegria». Gag finale: «Quell’omino, c’est moi».

Le sue vignette sono zoomate disarmanti sul nientedi noi mortali, il suo occhio è un telescopio cosmico, chespesso si diverte a immaginare l’ultimo gruzzolod’abitanti accatastati sulla calotta polare d’un pianeta

nudo. La sua matita appuntita è per caso la lente d’ingrandimento di Dio? «Nonsono religioso. La mia famiglia era cattolica e sono cresciuto con il catechismo,che però m’annoiava a morte. Passati i cinquant’anni sono diventato agnostico.È probabile comunque che la mia visione del mondo sia ancora influenzata daquell’idea di onniveggenza, di beffardo e implacabile sguardo dall’alto, da cui misentivo minacciato da bambino». È un leit motiv ricorrente nelle sue vignette,come in quella della suora in chiesa, mano nella mano del prete, che alza gli occhie esclama terrorizzata ‘‘Cielo, mio marito!’’: «Non c’è voluto molto per capire cheè stato l’uomo a creare Dio a sua immagine e somiglianza, e non viceversa. Aquesto punto, mi sono chiesto perché mai Dio dovesse vedersi condannato arispecchiare l’uomo anziché un animale: giraffa, elefante, cane... M’è venuto inaiuto l’inglese, dove cane è dog e Dio è God, cane ribaltato». Ama, anche nellevignette, le simmetrie, la specularità: «Uno dei miei disegnatori preferiti, eamici più grandi, Benito Jacovitti, si divertiva a ricordarmi che lui era nato nel‘23 e io nel ‘32, lui era alto 1.86 e io 1.68. Siamo due gemelli a rovescio, midiceva». Nelle sue peregrinazioni artistiche e di vita, l’Italia è sempre stata tappaobbligata, per i ripetuti premi (Andersen, Tolentino, Bordighera, Lucca...), leedizioni tempestive (dalla Emme di Rosellina Archinto alla Mondadori), lemostre (alla Stazione Centrale di Milano e, la più importante in Europa, due annifa, al Museo Luzzati di Genova) e i complici di lapis, da Crepax ad Altan, da Pratta Bonvi. Quali sente ancora a lei più vicini ? «Jacovitti e Osvaldo Cavandoli, ilpapà di Mister Linea». Sono due radiografie della sua comicità: le Babeli grafiche,gli ingorghi comici di nasi, cappelli, gomiti, calzini nelle tavole di Jacovitti el’omino di Cavandoli, quello della Lagostina, smarrito nel vuoto, farfugliantenello spazio circense d’un filo sospeso, suo cammino e suo destino: «Sì, due artistiche hanno influenzato molto il mio lavoro. E due grandi amici: che purtroppo nonposso più incontrare. Per questo vado sempre meno ai raduni mondiali delfumetto, dove una volta facevamo insieme bisboccia».

In ormai mezzo secolo di successi, omini e animali di Mordillo non hanno maidetto una parola: «Le mie vignette sono nate mute, perché non conoscevo lalingua dei Paesi in cui ho cominciato a disegnare per guadagnarmi da vivere,prima gli Stati Uniti, poi la Francia. Ho vissuto anche in Perù e in Spagna, primadi trasferirmi, diciassette anni fa, a Montecarlo: ma ormai la mia fauna avevapreso l’abitudine di esprimersi solo a mosse e sguardi. Ora però i miei personaggidiventeranno tondi palloncini e parleranno — in tedesco! — in unlungometraggio 3D che stanno realizzando da due anni in Germania».L’animazione è stata un colpo di fulmine, da bambino. «Sì, grazie a mia nonna,che mi ha portato al cinema a cinque anni a vedere Biancaneve e i sette nani,appena uscito nel 1937. È stata la mia scoperta dell’America. Da quel momentoho cominciato a scalpitare per i cartoon: il primo impiego fu alla Paramount,dove ho contribuito alla caratterizzazione di star a disegni animati come Bracciodi ferro e la piccola Lulù». Il cinema è rimasto un amore parallelo al disegno.«Fellini, che ho avuto anche la fortuna di incontrare, una quarantina d’anni fa, auna mostra del grande Oski, è un mio idolo. Lui non mi conosceva e mi chiesel’ora. “Le nove meno venti” risposi, mordendomi subito la lingua. Per tutta la vitami sono rimproverato per non aver detto “Otto e mezzo”».

In Mordillo palpita anche un altro grande schermo: il campo di calcio. È il

sangue argentino? «Ho giocato a pallone fino a vent’anni, ogni giorno in strada,partite che duravano sei ore. Era la pelota, il calcio dei poveri, degli immigrati: insquadra, tanti ‘tani, cioè napoletani, come noi chiamavamo gli italiani, anchequelli del nord. Maradona? Grandissimo giocatore. Ma si crede Dio. E io sono

agnostico». Altro argentino in auge è Papa Francesco: «È la prima volta che unpapa è più giovane di me — ride — Lo stimo molto. Una persona autentica,

che, come già faceva in Argentina, si mette dalla parte dei più semplici. Inquesto, siamo simili. Ma lui è divenuto papa, io saltimbanco. Altradifferenza: lui tiene per l’importante San Lorenzo, io per una squadretta

da quattro soldi. Anche da tifoso mi sembrava di non potermi permetteredi più. I miei erano immigrati dalla Spagna, mio padre dall’Estremadura,

mia madre dalle Asturie. La casa dove abitavamo era la più misera delquartiere: continua a esserlo anche oggi. Mio padre era elettricista, una

fortuna in quella situazione: non c’era nulla che funzionasse nelquartiere e lui veniva continuamente chiamato per le riparazioni.

Sono stati per me anni felici. Ero lasciato libero di esprimermi, dicoltivare i miei sogni: disegnare, fare il clown, far ridere gli altri.

L’infanzia è l’unico vero lusso della mia vita». Ha sempresentito l’umorismo come un obbligo, una necessità? «Sono

lentissimo nel disegno, come l’amico Quino. Entrambi nonabbiamo la facilità del tratto, ma siamo animati da pari

passione. Per completare una tavola mi occorrono ormaidue o tre settimane. Dal primo scarabocchio (a dueanni) a oggi non avrò prodotto più di duemiladisegni. Ma continua a essere una spintaquotidiana: l’utopia permanente d’un mondo felice.L’umorismo è la tenerezza della paura: un modo diesorcizzare drammi, inquietudini, angosce. In unmondo felice l’umorismo non è necessario. Ma

finché renderemo il pianeta imperfetto, la risata cisalverà».

MARIO SERENELLINI

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FELLINI ERA UN MIO IDOLO. CI SIAMOINCONTRATI SOLO UNA VOLTA, MI CHIESEL’ORA E PER TUTTA LA VITA MI SONORIMPROVERATO DI AVER RISPOSTO NOVE MENO VENTI ANZICHÉ OTTO E MEZZO

NON HO CULTURAE HO SCARSA

INTELLIGENZA,MA POSSIEDO

UN GRANDE ISTINTOIL PROTAGONISTA

DELLE MIE STRISCE,QUELL’OMINOINFINITESIMO

NELLA GALASSIACHE METTE TANTA

ALLEGRIA, SONO IO

L’incontro. Diavoletti

VENEZIA

HO CAPITO PRESTO CHE È STATO L’UOMOA CREARE DIO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA,E NON VICEVERSA. QUINDI MI DOMANDO PERCHÉ DEBBA VEDERSI CONDANNATO A RISPECCHIARE L’UOMO E NON UN IPPOPOTAMO

Repubblica Nazionale 2014-05-18