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1 Scuola superiore della pubblica amministrazione Valorizzazione e fruizione dei beni culturali tra gestione diretta e indiretta Ricerca coordinata dal Professor Angelo Mari LAURA LUNGHI La disciplina comunitaria e internazionale SOMMARIO 1. Normativa comunitaria 1.1. Caratteri delle politiche comunitarie fino agli anni Novanta. Maastricht: un mutamento di rotta. 1.2 Il reg. CEE n. 3911/92 del 9 dicembre 1992 “Regolamento del Consiglio relativo all’esportazione dei beni culturali” e la dir. 93/7/CEE del 15 marzo 1993 “Direttiva del Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro” 1.3 le azioni e i programmi 2. La normativa internazionale

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Scuola superiore della pubblica amministrazione Valorizzazione e fruizione dei beni culturali tra gestione diretta e indiretta

Ricerca coordinata dal Professor Angelo Mari

LAURA LUNGHI

La disciplina comunitaria e internazionale

SOMMARIO

1. Normativa comunitaria

1.1. Caratteri delle politiche comunitarie fino agli anni Novanta. Maastricht: un mutamento di

rotta.

1.2 Il reg. CEE n. 3911/92 del 9 dicembre 1992 “Regolamento del Consiglio relativo

all’esportazione dei beni culturali” e la dir. 93/7/CEE del 15 marzo 1993 “Direttiva del

Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno

Stato membro”

1.3 le azioni e i programmi

2. La normativa internazionale

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1. Normativa comunitaria

1.1 Caratteri delle politiche comunitarie fino agli anni Novanta. Maastricht: un

mutamento di rotta.

Le politiche culturali della Comunità trovano la base giuridica nel titolo XII del trattato sull’Unione

Europea introdotto da Maastricht; infatti, solo dagli anni Novanta la cultura ha assunto il ruolo di

pietra angolare nella costruzione dell’integrazione comunitaria.

Ai sensi dell’art. 151 (ex art. 128) del trattato sull’Unione europea, lo sviluppo delle singole identità

nazionali è garantito in parallelo all’evoluzione del concetto di patrimonio culturale comune e «nel

rispetto delle diversità nazionali e regionali».

L’interesse della Comunità è incoraggiare concretamente la cooperazione tra gli Stati membri nei

settori indicati al par. 2 dell’articolo, che diventano poi gli obiettivi dell’azione prevista in materia

culturale; dal miglioramento della conoscenza e della diffusione culturale in genere, alla

conservazione del patrimonio culturale dei popoli europei, dal settore degli scambi culturali non

commerciali fino alla creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo.

L’aver riservato alla «cultura» il titolo XII (ex titolo IX) del trattato di Maastricht ha contribuito, in

primo luogo, a superare il concetto di patrimonio culturale nazionale verso l’affermazione di una

«sovranità culturale condivisa»1, in secondo luogo a voler prescindere dalle diversità di approccio al

tema dei beni culturali dei singoli ordinamenti nazionali.

Preliminarmente, occorre ricordare che il concetto di patrimonio culturale comune non era del tutto

estraneo alle politiche comunitarie antecedenti gli anni Novanta. Il riferimento, infatti, era già

presente sia nella convenzione culturale europea promossa a Parigi dal Consiglio d’Europa e

sottoscritta il 19 dicembre 1954 sia nella risoluzione del Parlamento europeo del 18 gennaio 1979

sulla programmazione comunitaria nel settore culturale2. Obiettivo della convenzione era favorire

«la mutua comprensione fra i popoli d’Europa» tramite «lo studio delle lingue, della storia e delle

civiltà degli altri e della civiltà comune ad essi tutti» e a tale scopo sia funzionale «salvaguardare ed

incrementare ideali e i principi […] del patrimonio comune». L’art. 1 invita «Ogni Parte

Contraente» a prendere «misure intese a salvaguardare e a incoraggiare lo sviluppo del suo

contributo al patrimonio culturale comune dell’Europa» controllando e verificando all’interno dei

propri territori la presenza di oggetti di valore culturale comune. La risoluzione del Parlamento

1 Così M. P. Chiti, Beni culturali e Comunità europea, Milano, 1994, p. 381. Sull’evoluzione delle politiche culturali concetto di cultura nella dottrina comunitaria cfr., M. Ainis e M. Fiorillo, I beni culturali, in S. Cassese, Tr. dir. amm., 2003, p. 1491 ss.; B. De Witte, The cultural dimension of Community Law, in Academy of Eur. Law, Collected Courses of the Academy of Eur. Law, vol. IV, Book 1, 1993, 271 ss.; M.P. Chiti, Beni culturali, in Tr. dir. amm. eur., in M. P. Chiti e G. Greco, Milano, Giuffrè, 1997, pag. 349 ss.; G. Tesauro, Diritto comunitario, Padova, 2001, 3 ss. 2 Si veda il testo della risoluzione in GUCE C127 del 2 febbraio 1979, p. 3.

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europeo, integra le intenzioni della convenzione sottolineando la necessità che «il patrimonio

culturale europeo» sia effettivamente «protetto, valorizzato e sviluppato».

Ad un primo sguardo sembrerebbe che l’appartenenza di un bene al patrimonio di uno Stato

membro sia presupposto non soltanto della tutela nazionale, ma anche della necessità di una tutela

supplementare in grado di cogliere il valore ultranazionale del bene in forza di un legame che

prescinde i confini nazionali e che può coincidere con quelli dell’U.E. Conseguentemente, il

contenuto della nozione «patrimonio culturale comune», il presupposto giuridico, è proprio l’atto di

riconoscimento nazionale, in quanto se è assente la volontà nazionale di qualificare un bene come

«d’importanza – non soltanto - nazionale» è impossibile che sia qualificato tale dalla Comunità. Il

legislatore adotterà il medesimo ragionamento per l’istituzione della cittadinanza europea. Anche il

contenuto della nozione di cittadinanza europea è l’atto di riconoscimento nazionale: è noto, infatti,

che si è cittadini europei solo e in quanto si è già cittadini di uno Stato membro tanto che la

cittadinanza europea è formulabile solo in presenza di quella nazionale3.

Riguardo al superamento del concetto di patrimonio culturale nazionale occorre premettere che

l’assenza di una disposizione del trattato che facesse riferimento diretto alla cultura non ha bloccato

lo sviluppo di iniziative anche solo indirettamente coinvolgenti i profili comunitari: i principi e gli

obiettivi proposti dal trattato in materia di libera circolazione delle merci, concorrenza, dazi

doganali, hanno costruito per lungo tempo fondamento per tali interventi. In particolare il richiamo

all’art. 30 (ex art. 36) del trattato che dotava gli Stati membri del potere di mantenere restrizioni e

divieti alla circolazione comunitaria in presenza di rilevanti motivi di interesse nazionale fra i quali

la protezione del «…patrimonio artistico, storico o archeologico», ha conciliato le esigenze del

Mercato Interno con quelle di tutela del patrimonio, senza prevedere una disciplina ad hoc per la

circolazione delle opere d’arte4.

Tuttavia, se dapprima l’incidenza comunitaria era stata ridotta dal fatto che gli interessi culturali

rilevassero solo in deroga al regime di libera circolazione delle merci, la sua estensione a persone e

servizi ed il progressivo superamento della concezione puramente economica del trattato del 1957,

ha introdotto i primi mutamenti. Infatti, pur in assenza di una fonte di legittimazione

“costituzionale” degli interventi in materia culturale, proprio a partire dagli Stati membri, si

evidenziò la contraddizione tra l’enunciazione contenuta nel preambolo del trattato relativa

all’importanza di forme di coesione tra gli Stati membri e l’assenza di un qualche riferimento in

materia nelle fonti di diritto primario.

3 Ciò trova riscontro nella giurisprudenza della Corte, come rileva dal caso Micheletti c. Repubblica spagnola, in causa C-369-90, sentenza 7.07.1992, Racc. p. I-4239, relativo all’applicazione dell’art. 43 TCE. Si tratta di un caso di doppia nazionalità, di uno Stato membro (Italia) in base allo jus sanguinis e di un Paese Terzo (Argentina) in base alle ius soli. 4 Sul tema della circolazione dei beni culturali nella CEE, tra gli altri, A. Mattera Ricigliano, Cultura e libero scambio dei beni artistici nei Paesi della Comunità, in Dir. com. scambi int., 1976, p. 12 ss.

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Il quadro descritto spinge a ricercare le ragioni del mutamento di rotta proprio a partire da questo

nuovo atteggiamento delle Parti, rivolto alla valutazione degli effetti positivi che un’azione comune

europea fosse in grado di sviluppare e, viceversa, degli svantaggi che una politica protezionistica

avrebbe apportato al processo d’integrazione europea. Peraltro, l’accelerazione subita alla fine degli

anni Ottanta dai processi di completamento del Mercato Interno con l’emanazione dell’Atto Unico

ha consentito che il mutamento di rotta avvenisse «in sincronia con lo sviluppo di organizzazione e

funzioni della Comunità»5 attraverso il passaggio dall’“integrazione negativa”, in funzione

dell’abolizione degli ostacoli alla circolazione di beni, persone e servizi, all’“integrazione positiva”

in una logica di ampliamento del consolidato comunitario6.

Maastricht, dopo quasi sei anni, è stata la prima occasione per definire il passaggio. L’invenzione di

una cittadinanza europea (art. 17 TCE) sul modello esaminato e l’inclusione della qualità nella

formazione e «pieno sviluppo delle culture degli Stati membri» (art. 3, q TCE) tra gli obiettivi

dell’agire comunitario ne sono stati i traguardi.

Il superamento dell’idea di «patrimonio culturale nazionale» a favore del concetto di «patrimonio

culturale comune» ha, così, indotto il legislatore comunitario ad osservare con attenzione il terreno

internazionale dando avvio ad un processo di progressiva attrazione degli interessi culturali fra le

priorità dell’Unione7.

Uno dei maggiori contributi al riguardo è stato certamente l’utilizzo del nuovo concetto all’interno

del titolo XII seguito dalla riedizione dell’art. 128 (ora 151 TCE) nel segno della nuova

impostazione, stabilita da fonte primaria a base giuridica di tutta la panoramica delle azioni

comunitarie del settore8. Peraltro, la nuova impostazione dell’art. 128 fa riferimento ad un

patrimonio culturale «d’importanza europea»9, limitando immediatamente l’interesse comunitario ai

soli beni rilevanti non più solo per i singoli Stati quanto (sembrerebbe) solo per la civiltà

continentale. Tale reciprocità è sintomo, come vedremo, non soltanto di un preciso atteggiamento

5 Così M. Ainis e M. Fiorillo, I beni culturali, in S. Cassese, Tr. dir. amm. Eur., cit, p. 1491ss. 6 Per un’analisi degli anni Ottanta alla luce, anche della dichiarazione allegata all’accordo sullo Spazio economico europeo, con cui si esprime la comune intenzione di collaborare nel settore del traffico illecito di beni culturali data la disciplina vigente, si veda C. Tomuschat al 13th Fide Congress sul tema Legal Aspects of Community Action in the Field of Culture, Thessaloniki, 1988, 22 ss, citato da M. P. Chiti, Beni culturali, cit., p. 362. 7 Dall’esame di alcune convenzioni emerge una differenziata aggettivazione del concetto. L’art. 1, lett. a) della convenzione dell’Aja del 1954, ad esempio, parla di «grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli» oppure l’art. 5, par. 3 della convenzione d’Unidroit del 1995 aggettiva «le bien pour lui une importance culturelle significative»; infine, l’art. 5, par. 2 dell’Avant-project della convenzione Unidroit del 1994 parla di «le bien revêt pour lui une importance culturelle particulière». 8 Sul tema, v., tra gli altri, B. De Witte, The cultural dimension, cit., p. 229 ss. 9 L’aggettivazione utilizzata non è legata alla struttura istituzionale in senso proprio, ma amplia il raggio d’azione prefigurando un idem sentire che supera, nel tempo e nello spazio, il limite del diritto convenzionale. In proposito, più recentemente, il testo della risoluzione del Parlamento europeo del 10 settembre 1991 sulle relazioni culturali tra Comunità europea e Paesi dell’Europa centrale e dell’Europa dell’Est, in GUCE C267 del 14 ottobre 1991, p. 45 in cui si parla di «radici – europee - tanto nell’Est che nell’Ovest» e di importanza di «salvataggio dle patrimonio architettonico dei Paesi dell’Europa centrale e orientale».

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dell’Unione nei confronti delle diversità nazionali, ma anche, a fortori, del mutamento di rotta sopra

evidenziato.

Per completezza, anche il progetto di trattato che istituisce una Costituzione europea vi fa

riferimento e precisamente nel preambolo, ancorando al concetto di «patrimonio comune» quello di

«persona umana» e nell’art. 3 p.nto 3 del progetto di trattato (titolato “Obiettivi dell’Unione”) in cui

si evidenzia il ruolo vigile dell’Unione «alla salvaguardia e allo sviluppo del patrimonio culturale

europeo».

Riguardo all’intenzione di voler prescindere dalle diversità di approccio al tema dei singoli

ordinamenti nazionali deve rilevarsi come dal concetto di cultura espresso da Maastricht derivi una

risultante che pienamente attua il principio di complementarietà la cui applicazione non condiziona

in sé l’attività giuridica comunitaria nel settore, ma tende, comunque, ad orientarne la scelta.

Da un esame parallelo dell’art. 151 TCE, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e

del progetto di trattato che istituisce una Costituzione europea rileva non soltanto una gestione

simmetrica delle “diversità”, ma la scelta di porre la quaestio culturale tra i principi supremi

dell’ordinamento comunitario.

L’atteggiamento comunitario nei confronti delle “diversità culturali” è chiarito al primo comma

dell’art. 151 TCE in termini di contributo della Comunità al «pieno sviluppo delle culture degli

Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali»10; al secondo capoverso del

preambolo della Carta in cui, definito l’apporto dell’Unione al «mantenimento dei valori comuni»

elencati al primo capoverso, si parla di «rispetto delle diversità delle culture e delle tradizioni dei

popoli europei» riferito nell’art. 22 ai tre generi di diversità: culturale, religiosa e linguistica;

nell’art. 3 p.nto 3 del progetto di trattato (titolato “Obiettivi dell’Unione”) in cui si evidenzia come

l’Unione «rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica».

Nel ribadire la necessità di rispettare le diversità nazionali e regionali, l’art. 151 TCE (par. 5)

evidenzia il carattere complementare dell’azione comunitaria nel settore culturale fortius per i beni

culturali. Il testo finalizza l’intervento usando termini quali «incoraggiare […] appoggiare e ad

integrare l’azione» nazionale e ne diversifica l’effetto a seconda si proceda in codecisione (art. 251

TCE) o all’unanimità in caso di mere raccomandazioni.

Parimenti, il preambolo della Carta di Nizza si esprime, in termini di contributo dell’Unione e non

di sostituzione all’attuazione dei valori comuni agli Stati membri, riaffermando, al quarto

10 La collocazione dell’interesse anche al livello regionale ed il coinvolgimento nella fase decisoria del Comitato delle Regioni (art. 151, p.nto 5) dimostra un progressivo allontanamento dallo stato di «estraneità», «cecità», «indifferenza» che emerge, tanto dai Trattati istitutivi quanto dalla dottrina giuspubblicistica tedesca. A partire dal celebre saggio di H. P. Hipsen, Als Bundestraat in der Gemeinschaft, in Probleme des Europäischen Rechts, Festschrift für Walter Hallstein zu seinem 65. Geburstag, Frankfurt a M. 1966, 248 ss., spec. 256; oltre a U. Bulmann, Regionen im Integrationsprozeβ der Europäischen Union, in U. Bullman, Die Plitik der Ebene: regionen in Europa der Union, Baden – Baden 1994, p. 18, spec. nt. 2.

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capoverso, l’importanza «dei diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali», degli impegni assunti

dai Governi nazionali in Europa e nel resto del mondo «nel rispetto delle competenze e dei compiti

della Comunità e dell’Unione e del principio di sussidiarietà». Diffusamente ed in particolare

nell’art. 5 (titolato “Relazioni tra l’Unione europea e gli Stati membri”), il progetto di trattato

evidenzia la stretta collaborazione tra Unione e Stati membri a partire dall’agire complementare

dell’Unione stessa in base al principio di sussidiarietà cui l’art. 151 TCE sottintende (v. sub art. 5)

senza indicarlo espressamente e cui è orientato il metodo comunitario in questo settore. In

particolare, al titolo III dedicato alle “Competenze dell’Unione”, il progetto di trattato riferisce/lega

il principio di sussidiarietà all’attività dell’Unione in quegli ambiti (la cultura appunto) in cui «gli

obiettivi dell’azione prevista […] possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in

questione, essere meglio raggiunti a livello di Unione» (art. 9 p.nto 3)11 confermando come

determinanti la dimensione dell’interesse da un lato e le sue immediate implicazioni dall’altro.

Segue la considerazione, valida in parallelo per i beni ambientali12, per cui l’incremento della

dimensione dell’interesse riduce il limite imposto dall’art. 3B al regime delle competenze:

l’importanza crescente di un ambito spinge l’Unione al caring off e ne legittima l’azione anche oltre

i livelli minimi imposti all’esercizio della sussidiarietà. Fermo restando, tuttavia, che nel settore dei

beni culturali tale ambito operativo sembra restringersi operando, stante la formulazione del trattato,

«ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari»13.

Pertanto, come vedremo in seguito, l’azione comunitaria, anche nel settore culturale, sarà

principalmente «di sostegno, di coordinamento o di complemento» (art. 16 p.nto 2 del progetto di

trattato) e difficilmente di tipo creativo o sostitutivo delle iniziative nazionali in materia e ciò

proprio per l’atteggiamento di rispetto delle diversità culturali.

Una qualche funzione creativa seppur con le dovute cautele, potrebbe scorgersi nel fatto che il

legislatore comunitario si serve naturalmente dei contenuti elaborati dalle realtà statali, ne

rappresenta il connubio e come tale tende non soltanto a fornirne una rappresentazione uniforme,

ma anche ad elevarne la soglia di tutela rendendoli «più visibili […] alla luce dell’evoluzione della

società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici»14.

11 V., al riguardo, il Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al progetto di Trattato che istituisce una Costituzione europea 12 Riguardo all’introduzione del principio di sussidarietà quale linea direttrice dell’azione ecologica comunitaria ed alla sua influenza nel settore esaminato, v. P. A. Pillitu, Profili costituzionali della tutela ambientale nell’ordinamento comunitario europeo, Perugia, 1992, p. 144ss. 13 Per un’analisi cfr. la comunicazione della Commissione del 27 luglio 1994 (COM (94) 356 e Boll. 7/8 – 1994, p.nti 1, 2, 178) accolta dal Consiglio (cfr. GUCE C348 del 9 dicembre 1994) ed oggetto di una risoluzione del Parlamento europeo del 20 gennaio 1994, (in GUCE C44 del 14 febbraio 1994). 14 La rilevanza non soltanto politica, ma anche giuridica del principio di sussidiarietà, ne giustifica da un lato la sua interoperabilità (rilevando ogni qual volta c’è esercizio del potere comunitario), dall’altro legittima la giurisprudenza (comunitaria e nazionale) a farvi riferimento. Per una panoramica sul tema, M. P. Chiti, Principio di sussidiarietà,

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La scelta di porre la quaestio culturale tra i principi supremi dell’ordinamento comunitario è più

evidente, paradossalmente, nelle ipotesi in cui l’azione comunitaria nel perseguire i propri obiettivi

utilizzi basi giuridiche diverse rispetto all’art. 151. Ed è il caso previsto dal par. 4 in cui, nonostante

l’emersione dell’interesse culturale sia secondaria rispetto allo scopo perseguito, continua ad

orientare la scelta politica del legislatore comunitario. Tuttavia, «il principio di complementarietà si

applica all’azione della Comunità, non pregiudicando l’emanazione di atti comunitari con base

giuridica diversa, ma sottoponendoli alla presa in considerazione degli aspetti culturali, se pertinenti

[…] - fermo restando che - la scelta del fondamento giudico dell’atto va effettuata dall’istituzione

competente in base allo scopo principale perseguito dal provvedimento comunitario»15.

In realtà, l’utilizzo di altre misure del trattato che non le specificatamente previste nel

perseguimento degli obiettivi comunitari elencati dal par. 2 dell’art. 151 TCE, è molto più frequente

di quanto non si supponga: probabilmente in risposta all’esigenza da un lato, di promuovere

l’integrazione sopranazionale nel rispetto delle diversità culturali. Al di là dell’espansione delle

competenze comunitarie, la Corte di Giustizia ha progressivamente affermato tale idoneità della

materia dei beni culturali, evidenziando un’interoperabilità del concetto ben oltre l’art. 30 del

trattato. Già in alcune primissime sentenze in tema di libera circolazione dei lavoratori, la Corte

aveva attratto alla sua competenza eventuali azioni nel settore culturale o legate all’istruzione

pubblica nell’ottica di favorire l’instaurazione del Mercato Interno. D’altra parte «Community

action is not limited to the formal establishment of the internal market, but may also aim at

facilitating the effective exercise of the common market freedoms, and at ensuring the adequate

functioning of the common market once it is established»16. In altri casi, tuttavia, la Corte retrocesse

ad un’interpretazione legata al dato formale del trattato sostenendo viceversa l’impossibilità che il

principio cardine del Mercato Interno sia derogato per la soddisfazione di utili differenti rispetto

all’immediata attuazione della libera circolazione17.

La cultura assume, in tal modo, un valore quasi condizionante l’intero complesso decisionale

comunitario qualificandosi, come si è già osservato, al pari delle esigenze ambientali (art. 152 TCE)

«un interesse pubblico comunitario di rango primario»18.

L’interesse culturale è tale nell’art. 3 del trattato CE che ispira l’azione comunitaria ai fini enunciati

nell’art. 2 ed in cui si riferisce in termini di «contributo […] al pieno sviluppo delle culture degli pubblica amministrazione e diritto amministrativo, in Dir. pubbl., 1995, p. 505; riguardo alla giustiziabilità del principio di susidiarietà, A. Toth, Is Subsidiarity Justiciable? in European Law Review, 1994, p. 268 ss. 15 Sul tema, vedi Corte di Giustizia delle Comunità europee n. 300/89 del 11 giugno 1991, caso del Biossido di Titanio; la citazione è di M. Migliazza, Sub art. 151, in Commentario breve ai trattati e dell’Unione europea, a cura di F. pocar, Padova, Cedam, p.151. 16 Così, B. De Witte, The culturale dimension, cit., p. 274. 17 Come avvenne nel caso Leclerc, in causa C- 229/83, sentenza del 10.01.1985, relativo al prezzo applicato dallo Stato francese sui libri. Cfr., Cinetheque, in cause 60 e 61/84, sentenza del 11 luglio 1985,. 18 Così M.P. Chiti, Beni culturali, in Tr. dir. amm. eur., Milano, Giuffrè, 1997, vol. I, p. 378.

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Stati membri» (lett. q)). Parimenti il preambolo al progetto di trattato che istituisce una Costituzione

europea, evidenzia come le «eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa» siano alla base

dell’intera costruzione giuridica e politica ispirando, altresì, un riferimento immediato al primo

valore che il progetto sembra voler tutelare quello del «ruolo centrale della persona, dei suoi diritti

inviolabili e inalienabili» (l’“individuo” protagonista nella Carta di Nizza). L’Europa definita

«continente portatore di civiltà» formata «progressivamente» dalle popolazioni abitanti, fiera delle

varie «storie nazionali» sceglie un atteggiamento «di apertura alla cultura» nella consapevolezza di

offrire agli Stati membri le «migliori possibilità di proseguire». Ancora ed infine, l’art. 3 par. 3 del

progetto di trattato inserisce il rispetto per «ricchezza della sua diversità culturale e linguistica» tra

uno degli obiettivi dell’Unione europea.

Ora, v’è da dire che, seppure nei secoli precedenti è stato attribuito agli oggetti d’arte più o meno

pregio a seconda del valore artistico in sé o stimato dal mercato (al di là della natura pubblica o

privata), non si è mai parlato di un vero e proprio regime giuridico delle opere di valore prima del

1900. È solo in questo secolo, infatti, che nei singoli ordinamenti nazionali ha preso avvio la

necessità di tutelare opere di interesse storico-artistico adottando particolari normative19.

L’intervento legislativo in questo senso colloca il settore ritenuto «meritevole di tutela perché

corrispondente ad un interesse dell’ordinamento» in una posizione differenziata rispetto a tutti gli

altri beni mobili che pure possono interessare il commercio intra comunitario20.

In questo quadro, sia con la definitiva ricezione del nuovo concetto di bene culturale, inserito nella

legge istitutiva del relativo Ministero21, sia con la presa di coscienza di un impianto normativo

arretrato, anche il sistema italiano si immette nel processo di riforme22. Peraltro, la particolarità del

nostro patrimonio artistico, comunemente noto tra i più ricchi del mondo ed una dottrina in grado di

cogliere per i beni di interesse culturale, l’importanza di un’adeguata protezione e fruizione

pubblica23 (valga l’esempio della legge spagnola sul patrimonio storico, culturale e artistico dei

popoli di Spagna del 198524) hanno accelerato i processi di trasformazione caratteristici degli ultimi

19 Testimonia il progressivo arricchimento degli ordinamenti nazionali di legislazione ad hoc la raccolta normativa (in 5 volumi iniziata nel 1989) curata da L. Prott P.O. e da P.J. Okeerfe su «Law and the cultural heritage» che raccoglie ed ordina normative sui beni culturali. 20 Cfr., sul tema, i contenuti espressi dalla dottrina straniera, International Cooperation in Cultural Affars, in R.C., 1986-III, vol. 198, p. 310: «The analysis of the provisions of national laws gives the possibilità of affirming that the recognition of the quality of the cultural property with respect to some object involves a special legal status for the establishment of this object. This legal status is characterized by restricted rights of ownership». 21 Legge 29 gennaio 1975, n. 5, che ha convertito il decreto legge 14 dicembre 1974, n. 657 (GU 14 febbraio 1975, n. 43). 22 V., riguardo alla normativa costituzionale, le considerazioni espresse da F. Merusi, Art. 9, in Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, a cura di G. Branca, Bologna, 1975, p. 434. 23 V., innanzitutto, M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 3. Di recente: V. Cerulli Irelli, Beni culturali, diritti collettivi e proprietà pubblica, in Scritti in onore di M.S. Giannini, I, Milano, 1988, p.135: T. Alibrandi – P.G. Ferri, I beni culturali ed ambientali, Milano 1995, p. 14. 24 Legge meritevole di apportare una visione complessiva del problema secondo le linee guida costituzionali. Sul tema si veda, fra gli altri, M. Alegre Avila, Evolucion y regimen juridico del Patrimonio Historico, Madrid, p.1995.

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trenta anni di storia culturale/di legislazione comunitaria sui beni culturali25. La tendenza

(alimentata dalla più illuminata dottrina italiana del tempo) a conferire al «bene culturale» non più

soltanto valore astratto di cosa preziosa, testimonianza di civiltà, ma a considerarne anche il lato

patrimoniale seppure diverso dalle mere cose, innesca immediate ed importanti reazioni. Da un lato,

sul terreno nazionale, la consapevolezza che il regime delle tutele annesse non sia più sufficiente ad

una tale compresenza di significati/di ambiti; dall’altro, sul piano internazionale, l’esigenza di

trovare punti di contatto tra la disciplina elaborata dagli Stati membri, quella comunitaria e quella

degli altri Stati nel mondo.

La prima reazione è un composto piuttosto variegato di interessi pubblici; dall’immediato, quello

alla conservazione delle caratteristiche, alla circoscrizione degli ambiti di circolazione del bene;

dalla maggiore o minore valorizzazione del contesto di inserimento, con il conseguente divieto a

decontestualizzare l’opera, al mantenimento o meno dei criteri di valutazione nazionale26 fino

all’ardua questio della proprietà nel passato27. Si aggiungano, peraltro, nell’ottica di una

legislazione tendenzialmente unitaria, l’accessibilità dei beni di proprietà privata e la valorizzazione

degli oggetti d’arte affidata principalmente all’organizzazione deputata alla cura dell’interesse.

Ora, tenendo presente quanto detto in precedenza circa l’atteggiamento della Comunità, il regime

dell’esportazione dei beni culturali in ambito comunitario è stata una delle questioni maggiormente

problematiche28.

Uno dei punti di maggior spessore, nella vicenda del primato del diritto comunitario sul diritto

nazionale è stata la contraddizione tra il regime CEE sopra delineato ed alcune disposizioni

sull’esportazione dei beni culturali verso altri Stati membri29. Per l’Italia, ad esempio, il richiamo al

divieto di esportazione, salvo licenza (temporanea o definitiva) oppure diritto di prelazione sui beni

per i quali si richiede l’esportazione ed obbligo del nulla osta per le opere d’arte contemporanee

rivela un’incompatibilità di fondo con il quadro giuridico comunitario ormai prevalente30. Emerge

una contraddizione evidente tra i due regimi superabile o con la separazione totale o con un

graduale adattamento come è, in effetti, avvenuto ed in genere per gli Stati membri dell’UE. Vale,

tuttavia, ricordare l’incidenza che nel processo di adeguamento dell’ordinamento italiano hanno

25 Sui beni culturali, che oggi si trovano in prima linea nella politica delle alienazioni, con molte preoccupazioni che affiorano nel dibattito pubblico e sui mezzi di stampa, una completa trattazione della disciplina si ha in T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano 2001. 26 Trattasi della concezione romantico-nazionalista cd «byroniana», per cui il bene deve tornare al Paese d’origine. Byron, com’è noto, lottò inutilmente affinché i marmi del Partenope, che Lord Elgin riportò a Londra, restassero ad Atene. 27 V., al riguardo, S. Cassese, Problemi attuali dei beni cultural, in Giorn. dir. amm., n. 10/2001, p. 1065. 28 S. Amorosino, Note della tutela delle opere d’arte tra principio comunitario di libera circolazione e disciplina amministrativa nazionale di beni a circolazione controllata, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 1992, p. 659; M.P. Chiti, Beni culturali e Comunità europea, cit., p. 351, 352. 29 Nominati beni a «circolazione controllata». M. S. Giannini, I beni pubblici, Roma, 1963. 30 Ampi riferimenti in e T. Alibrandi e P. G. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 1985, p. 545 e ss.

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avuto gli strumenti legislativi, le tecniche di regolazione, la tipologia dei procedimenti utilizzati a

tal fine. In una prospettiva non soltanto giuridica le disfunzioni più importanti sono state frutto di

una gestione farraginosa dei controlli interni, affidata a strutture amministrative inidonee e pendente

tra i due estremi protezionistico e liberistico.31

Ciò premesso, il problema giuridico alla base del difficile rapporto tra i due ordinamenti era

rappresentato da un lato, dalla presenza di un unione doganale, dall’altro dalla deroga al regime di

abolizione delle restrizioni quantitative alle importazioni ed esportazioni delle merci negli scambi

comunitari di cui all’art. 30 (ex 36) TCE. Ed anche in questo, come in molti altri rilevanti settori, è

stata la Corte di Giustizia, istituzionalmente demandata ex art. 164 a fornire l’interpretazione del

trattato, a predisporre il quadro giuridico entro cui collocare la circolazione dei beni culturali

gettando le basi per le future azioni nazionali e comunitarie in materia32.

L’intervento della Corte ha inteso da subito risolvere la questione delle competenze attraendo la

materia sulle istituzioni comunitarie. In particolare, nel corso di una procedura di infrazione avverso

lo Stato italiano per violazione dell’art. 16 TCEE, la Commissione si rifiutò di valutare una qualche

posizione giuridica dei beni culturali sostenendo, a fronte dell’invocazione della deroga da parte

italiana, la prevalenza dei principi di libera circolazione dei beni e delle connesse misure per

l’abolizione dei dazi doganali o delle tasse ad effetto equivalente33. Infatti, secondo la Corte, la

qualificazione dei beni di interesse culturale come prodotti pecuniariamente valutabili ai sensi

dell’ex art. 9 TCEE, li rende automaticamente oggetto di transazioni commerciali e destinati a

circolare liberamente, senza gravami alcuni. Circa il profilo delle competenze nazionali in presenza,

da un lato, della deroga di cui all’art. 30 TCE, dall’altro del divieto di misure di effetto equivalente

a restrizioni quantitative ai sensi degli artt. 28 – 31 (ex artt. 30 – 34) TCE, la Corte stabilisce il

parametro della prospettiva comunitaria, che legittima la tutela statale del patrimonio solo

31 Affronta uno studio dei « possibili punti d’attacco d’una normazione idonea a tutelare il patrimonio […]» v. S. Amorosino, Note della tutela delle opere d’arte, cit., p. 663. Sulla farraginosa gestione amministrativa si è espresso anche il Consiglio di Stato italiano nel senso di dichiarare come illegittima la pretesa dell’amministrazione di vantare il diritto di prelazione su qualsiasi bene di interesse storico ed artistico per il quale si era inoltrata richiesta di esportazione all’interno della CEE (decisione sez. VI del 30 ottobre 1993 n. 787 in Foro it., 1994, p. 329. 32 In generale, sulla legittimità delle deroghe al principio della libera circolazione, due casi all’esame della Corte di Giustizia: Tedeschi c. Denkavit, in causa C-5/77, sentenza del 5.10.1977, Racc. Corte di Giust., 1977, p. 1555 e caso Denkavit Futtermittel c. Ministero dell’Alimentazione, dell’Agricoltura e foreste in causa C-251/78, sentenza del 8.11.1979, idem 1979, p. 3369. 33 La procedura di infrazione, relativa al caso Oggetti d’arte, del 10 dicembre 1968, in causa 7/68, era stata instaurata sul contrasto tra i principi di libera circolazione di cui all’art. 16 TCEE e la legge italiana n. 1089 del 1° gennaio 1939 avente ad oggetto l’assoggettamento dell’esportazione ad una preventiva licenza, la previsione di un diritto di prelazione per lo Stato ed infine l’assoggettamento ad una tassa progressiva sul valore del bene (art. 35 – 37, l. cit.). Sul caso, la Corte statuì che poiché l’Italia aveva continuato ad applicare dopo il 1° gennaio 1962 la tassa progressiva di cui all’art. 37 l. cit., all’esportazione negli altri Stati della Comunità di beni dotati di valore artistico, automaticamente decadeva dagli obblighi derivanti dall’art. 16 del Trattato CEE. Per un’analisi dell’art. 30 TCE (ex art. 36) circa l’oggetto «beni culturali» v., tra gli altri, A. Mattera – Ricigliano, Cultura e libero scambio dei beni artistici all’interno della Comunità, cit. p. 12 ss.; P. Pescatore, Le commerci de l’art et le Marché commun, in Rev. trim. dr. eur., 1985, p. 451 ss.

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nell’ottica degli scambi intra comunitari. Consegue che le disposizioni dell’art. 30 TCE, pur

valutabili in maniera differenziata «sulla scala di valori nazionali», devono essere interpretate in

senso restrittivo, riguardare ipotesi eccezionali e circoscritte e devono essere effettivamente

giustificate da uno degli obiettivi di cui all’art. 30 TCE34.

Ad ogni modo, deve rilevarsi che un’interpretazione restrittiva della necessità di tutela del

patrimonio nazionale si evince anche dalla lettura comparata del testo dell’art. 30 nelle differenti

versioni linguistiche elaborate dagli Stati membri35.

In alcune di esse, la deroga al principio di libera circolazione è limitata ai soli «tesori nazionali»

(«trésors nationaux»36 nel testo francese, «ethnikon thesaurion» nel testo greco, «national

treasures» in inglese, «national skatte» in danese), mentre le altre estendono la deroga ad un

ventaglio più ampio di quello tipizzato («patrimonio nacional» nella traduzione spagnola e

portoghese e nella tedesca «national Kulturgut»). Le interpretazioni, infatti, potevano volgere o a

valorizzare il ventaglio di beni nella sua interezza, a fronte di una più ampia concezione di bene

culturale testimonianza di civiltà o a limitare l’ambito della deroga di cui all’art. 30 (ex art. 36) TCE

favorendo l’interpretazione restrittiva formulata dalla Corte di Giustizia37. Vale, peraltro, ricordare

che da numerosi atti comunitari quali rapporti, progetti di regolamento o direttiva, mere

comunicazioni agli Stati emerge la medesima tassatività nell’applicazione dell’eccezione e d’altra

parte, la differenziazione degli interessi nazionali, percorsa dalle varianti anche concettuali ora

esaminate, rileva come un’interpretazione estensiva favorirebbe il perseguimento dell’utile

specifico al di fuori di ogni prospettiva comunitaria38.

34 La Corte di Giustizia ha più volte ribadito che l’art. 30 (ex art. 36) TCE, permettendo la deroga ad un principio fondamentale de trattato, deve essere interpretato in senso restrittivo. Inoltre, nel giudizio di inottemperanza Bauhuis, in causa C-46/76, sentenza del 25 gennaio 1977, il giudice comunitario ha stabilito l’effetto diretto dell’art. 16 TCE, l’invito alle le corti nazionali di tutelarne l’attuazione e l’obbligo al legislatore interno di adeguare il quadro normativo. Dopo un terzo giudizio di inottemperanza (Commissione c. Repubblica italiana, in causa C-75/81, sentenza del 9 giugno 1982, in Racc. 1982, p. 2187 ss), il legislatore italiano ha stabilito all’art. 3 del d. l.gs n. 288, concernente l’esportazione di cose di interesse artistico ed archivistico, convertito in legge 8 agosto, n. 478, che «sono esenti dal pagamento dell’imposta di cui all’art. 37 della l. 1° giugno 1939, n. 1089, le esportazioni verso i Paesi appartenenti alla CEE di beni di interesse artistico e storico». 35 Come ha rilevato L. Lemme, La circolazione dei beni culturali nella prospettiva del 1993, in Cass. Pen., 1990, p. 989 ss. 36 In tema di tresors nationaux la Corte ha stabilito «Les interdictions ou restrictions d'importation ou d'exportation visées par l'article 36 du traité C.E.E. se distinguent nettement, par leur nature, des droits de douane et des taxes assimilées qui ont pour effet d'affecter les conditions économiques de l'importation ou de l'exportation sans, pour autant, comporter une intervention contraignante dans la décision des opérateurs économiques» Arrêt du décembre 1968, Commission/Italie (7-68, Rec. P. 617). 37 Posizione condivisa da B. De Witte, The Cultural Dimension, p. 239. Sull’interpretazione dell’art. 30 TCE (ex art. 36) cfr., A. Maresca Compagna, Competenze nazionali e comunitarie nel settore culturale, in Beni culturali e mercato europeo….p. 48; A. Mattera – Ricigliano, La libre circulation des oeuvres d’art à l’interieur de la Communauté et la protection des trésors nationaux ayant une valeur artistique, historique ou archéologique, in Revue du marché inique européen, 1993, p. 21. 38 In generale, sull’art. 30 TCE v., per l’Italia, E. Cortese Pinto, Ostacoli non tariffari agli scambi nel diritto comunitario, Milano, 1985, p. 113 ss; A. Mattera Ricigliano, Il Mercato Unico Europeo. Norme e funzionamento, cit., p. 603 ss.

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In realtà, l’approccio al tema, condiviso dalla Corte, è molto più che un semplice orientamento

ermeneutica. Esso, infatti, trae origine dalle frequenti tensioni sorte in seno al dibattito su due filoni

di pensiero. Da un lato - «market nations» - i sostenitori di una totale libertà degli scambi intra ed

extracomunitari, dall’altro – cd «source nations» o cultural nationalism - gli Stati più ricchi di beni

culturali (tra i quali l’Italia) propensi al mantenimento della disciplina nazionale ed al

potenziamento dei meccanismi di restituzione in caso di trafugamento. Ora, a fronte della posizione

unilaterale e liberistica dei primi mirata ad una prevalenza netta dell’interesse economico su

qualsivoglia caratteristica dell’oggetto culturale, dato anche il progressivo mutamento di rotta, la

Comunità europea fece proprie, quasi totalmente, le istanze dei secondi.

A favore di tale indirizzo una serie di elementi. La posizione dei «market nations» si sviluppa sul

terreno internazionale che vede il concetto di patrimonio culturale, i beni che ne fanno parte,

(designati come tali dagli stessi Stati) come tesoro dell’intera umanità. Intanto non vale considerare

l’oggetto «bene culturale» e ricavarne un genere a sé stante della specie «beni pubblici», se rileva

assente il sistema dei controlli di gestione interna alla valorizzazione e fruizione dello stesso39.

Viceversa, i «source nations» sostengono una versione limitata di patrimonio artistico, nel segno di

come è stato indicato al riguardo che «has a patria, a homeland, a nation to which and in which, it

belongs»40.

1.2 Il reg. CEE n. 3911/92 del 9 dicembre 1992 “Regolamento del Consiglio relativo

all’esportazione dei beni culturali” e la dir. 93/7/CEE del 15 marzo 1993 “Direttiva del

Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno

Stato membro”

Come si è avuto modo di rilevare, il presupposto di un vero e proprio mutamento di rotta nel settore

dei beni culturali può individuarsi nell’aumento di poteri comunitari - sancito in virtù di sue

specifiche disposizioni l’art. 8 A e l’art. 100 A dell’Atto Unico europeo - in ordine al

ravvicinamento delle misure legislative, regolamentari ed amministrative connesse al

completamento del Mercato interno.

Infatti, nella Dichiarazione generale sugli art. 13 e 19 del medesimo Atto Unico, si legge che «nulla

in queste disposizioni pregiudica il diritto degli Stati membri di adottare le misure che essi

39 A sostegno di una politica più liberale della circolazione dei beni culturali cfr. J-H. Merryman, Two ways of thinking about cultural property, in Am. Journ.intern.Law, 1986, 831; «Protection» of the cultural «heritage»?, ivi, 1990, 513. 40 Così J-H. Merryman, «Protection», cit., p. 521.

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ritengono necessarie in materia di controllo all’immigrazione da Paesi terzi nonché in materia di

lotta contro il terrorismo, la criminalità, il traffico di stupefacenti e il traffico delle opere d’arte e

delle antichità». Premesso che, il vincolo posto dal GATT di cui all’art. 234 TCE (art.177) e

recepito dall’art. 13 dell’Accordo sullo Spazio Economico europeo (SEE), siglato a Porto nel

maggio 1992 dalla Commissione e gli Stati AELE, a prevedere limitazioni all’esportazione allo

scopo di tutelare il patrimonio artistico, storico o archeologico interno, il problema era l’assenza di

una regolamentazione propria del settore dei beni culturali41.

Il primo atto che ha riconosciuto l’esigenza che i beni culturali divenissero l’oggetto di specifiche

azioni comunitarie è stata la Dichiarazione generale annessa all’AUE seguita dalla “Comunicazione

relativa alla protezione del patrimonio artistico, storico ed archeologico nazionale nella prospettiva

della soppressione delle frontiere del 1992” del novembre 1989. Uno dei meriti della Dichiarazione

è l’aver lanciato come metodo di lavoro per il settore dei beni culturali, la cooperazione tra Autorità

nazionali nella certezza del mantenimento delle reciproche sfere di interesse. Da un lato, l’esercizio

statale delle competenze relativo all’individuazione degli oggetti facenti parte il patrimonio

nazionale, dall’altro, il controllo comunitario sulle esportazioni verso Paesi terzi ed il

potenziamento dei meccanismi di restituzione. Fermo restando, tuttavia, «il diritto degli Stati di

adottare le misure che essi ritengono necessarie in materia di lotta al […] traffico delle opere d’arte

e delle antichità»42.

E comunque, tali previsioni sarebbero state parte del ragionamento complessivo che aveva risolto

l’annosa questione dell’art. 30 TCE (ex art. 36) con la decisione per cui gli Stati hanno il potere di

definire quali beni siano patrimonio culturale nazionale, fermo restando il controllo comunitario

delle qualificazioni «manifestement déraisonnables»43.

Nonostante l’apporto fondamentale della Dichiarazione e le facoltà riconosciute agli Stati membri si

avvertiva l’opportunità che, anche sul piano comunitario, fossero determinati criteri in materia

destinati a atti ad identificare quei beni idonei per talune caratteristiche a beneficiare della deroga di

41 L’azione comunitaria nel settore culturale fu lanciata a metà degli anni Settanta con una risoluzione del Parlamento Europeo GUCE n. C. 62 del 30 maggio 1974) evidenziata nel Rapporto Tindemans sull’Unione Europea (vertice europeo del 1969, 1972), ribadita in molti documenti della Commissione CEE sull’attuazione dell’Atto Unico del 1986. Per “azione comunitaria nel settore culturale” si intende sia l’applicazione dei principi e delle libertà fondamentali del Trattato al settore culturale, ma soprattutto l’attuazione della libera circolazione dei beni artistici, al pari, seppure con differenti caratteri, delle altre merci ex art. 9 TCE. In generale, tra le prime risoluzioni dei Ministri incaricati, riuniti in sede di Consiglio, quella del 13 maggio 1974 sulla difesa del patrimonio culturale dell’Europa (GUCE n. C 62 del 30 maggio 1974, p. 5) dell’8 marzo 1976 sull’azione comunitaria nel settore culturale (GUCE n. C 79 del 5 aprile 1976, p. 5) e del 14 settembre 1982 sulla salvaguardia del patrimonio architettonico e archeologico (GUCE n. C 267 dell’11 ottobre 1982, p. 25). 42 Già è possibile rilevare una precisa posizione da parte Consiglio, che nelle “conclusioni” del 19 novembre 1990 (punto di partenza per l’elaborazione del reg. n. 3911/92 e della dir. n. 93 /37 cui si riferirà a breve) porrà in evidenza come il ricorso da parte statale alla deroga di cui all’art. 30 sarà possibile limitatamente al regime dell’esportazione dei beni culturali. 43 In questo senso, C. Biscaretti di Ruffia, Il regolamento n. 3911/92 del Consiglio relativo all’esportazione dei beni culturali ed il trattato sull’Unione europea, in dir. comm. int., 1992, p. 485 ss.

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cui all’art. 30 TCE (ex art. 36) fermo restando da un lato la difficoltà nello stabilire criteri uniformi

di collegamento tra l’oggetto di tutela (il bene) ed il Paese d’origine, dall’altro l’urgenza di

procedure uniformi riguardanti la documentazione all’uscita e all’entrata da uno Stato membro ad

un Paese terzo, per il territorio di un altro Stato membro. Di qui, il ricorso all’art. 30 (ex art. 36)

TCE sarebbe stato condizionato non soltanto alla conformità del diritto nazionale ai principi

comunitari, ma anche alla soglia di verifica posta da una nozione comunitaria di patrimonio

artistico. In particolare, la Commissione distingueva le misure «autonome» - previste dagli Stati e

mirate unicamente a proteggere il patrimonio nazionale – e quelle «comunitarie» che applicavano

un regime differenziato in base al tipo di commercio: se l’esportazione era verso Paesi terzi si

utilizzava il «tipo B», viceversa, se avveniva verso uno Stato membro si poteva ricorrere al «tipo

C».

È pur vero, che la permanenza di un sistema ancora molto differenziato non ha impedito il formarsi

di una regolamentazione obbligatoria ed uniforme nel territorio comunitario, spingendo da un lato i

Paesi molto permissivi a tutelare in qualche modo i propri patrimoni, dall’altro, i meno liberisti ad

adeguarsi, anche in questo settore, ai principi di libero mercato ed ai nuovi criteri in ordine alla

definizione dei suddetti beni. E deve aggiungersi che l’adeguamento del quadro normativo si faceva

necessario anche in vista dell’adempimento agli obblighi derivanti dalle relazioni condotte sul piano

internazionale: da un lato l’adesione alla convenzione Unesco di Parigi del 14 novembre 1970

comportava l’introduzione nel sistema delle fonti comunitario di principi del tutto innovativi del

settore dei beni culturali44; dall’altro, l’iniziativa del Consiglio d’Europa del 23 giugno 1985 sulle

infrazioni relative ai beni culturali comportava la diffusione di tutele e sistemi di restituzione

completamente estranei al Trattato. La normativa comunitaria di cui ora si dirà manifesta

indubbiamente, tutte le influenze ricevute dal contesto esaminato con l’ambizione di poter

rappresentare momento di sintesi vera tra le varie linee di pensiero elaborate sul tema dei beni

culturali fino agli inizi degli anni Novanta.

Era necessario, in primo luogo, introdurre una disciplina di natura obbligatoria e immediatamente

vincolante che regolasse l’esportazione e l’importazione dei beni culturali dalle frontiere

comunitarie mantenendo i regimi nazionali di tutela qualora compatibili. In secondo luogo,

introdurre una nuova azione giudiziaria volta ad assicurare la restituzione al Paese di origine

dell’opera d’arte illecitamente trafugata in un altro Paese membro.

44 La convenzione Unesco concernente le misure da prendere per vietare l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà illecita di beni culturali è stata firmata a Parigi il 14 novembre 1970 (dopo ben dieci anni di preparativi) ed è stata ratificata in Italia con la legge 30 ottobre 1975, n. 873 (GU, suppl. ord., 24 febbraio 1976, n. 49).

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La prima esigenza fu affrontata con l’emanazione del regolamento CEE n. 3911/92 del Consiglio

del 9 dicembre 1992 “Regolamento del Consiglio relativo all’esportazione dei beni culturali”45 cd

«di base». Alla seconda esigenza si provvide mediante l’elaborazione della direttiva 93/7 CEE del

Consiglio del 15 marzo 1993 “Direttiva del Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali

usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro”46, che avrebbe rinviato l’attuazione dei

principi fondamentali enucleati alle differenti legislazioni nazionali e la scelta del procedimento più

immediato e meno gravoso allo scopo ultimo della stessa direttiva47.

In linea di principio, i due atti, disciplinando tanto l’esportazione dei beni oltre le frontiere

comunitarie quanto il ritorno di quelli illecitamente esportati, configurano un blocco legislativo

unitario tale da modificare radicalmente le legislazioni nazionali sulla tutela dei patrimoni artistici.

Un primo elemento di riflessione è sicuramente dato dal fatto che, pur in presenza di diverse

traduzioni del medesimo concetto di bene culturale, non sia possibile evidenziare alcuna intenzione

del legislatore nazionale a trarre differenti interpretazioni o ad imporre una corrente di pensiero. Ad

esempio, dalla lettura comparata dei due testi nella versione italiana di «beni culturali» e nella

versione inglese che traduce il medesimo concetto prima come «cultural goods» per il regolamento

e poi come «cultural objects» per la direttiva, non sembra deducibile un interesse sottostante a

confermare una diversità delle impostazioni, quanto semplicemente una scelta terminologica48.

Ora, ad un’analisi generale, i due atti sono dotati di atipicità.

Sono, infatti, misure di armonizzazione volte ad offrire una tutela aggiuntiva a quella nazionale che

– paradossalmente - continua ad essere applicata e per assicurare la permanenza del bene nello Stato

d’appartenenza, sia il regolamento che la direttiva applicano le regole del mutuo riconoscimento

sulla base del principio di sussidiarietà. La libertà di circolazione, una delle quattro libertà

fondamentali del trattato, deve misurarsi sul presupposto enucleato dal sesto considerando della

direttiva in esame secondo cui «la procedura istituita dalla presente direttiva costituisce un primo

passo verso la cooperazione tra gli Stati membri in questo settore, nell’ambito del mercato interno;

[…] che l’obiettivo è costituito dal riconoscimento reciproco delle legislazioni nazionali in

materia». A tal fine, costante l’assenza di un apparato amministrativo comunitario, i due atti si

affidano (come si evince nel 2°considerando) alla cooperazione nazionale anche nell’ottica delle

innovazioni processuali proposte. D’altra parte in questo ambito per alcuni versi nuovo alla

45 GUCE n. L 395 del 31.12.92, p. 1 Circa la proposta formulata dalla Commissione v. GUCE n. C 53 del 28.2.1992, p. 8, mentre per il parere del Parlamento v. GUCE n. C 176 del 13.7.1992, p. 34. 46 GUCE n. L 74 del 27.3.93, p. 74, modificata dalla direttiva 86/100/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17.02.1997. Circa la proposta formulata dalla Commissione GUCE n. C 53 del 28. 2.1992, p. 11, mentre per il parere del Parlamento GUCE n. C 176 del 13.7.1992, p. 124 e GUCE n. C 72 del 15.3.1993. 47 Tale normativa è stata inserita nel testo unico n. 490 del 29 ottobre 1999 anche se è stata poco prima introdotta ad opera della legge n. 88 del 1998 attuativa della direttiva stessa. 48 Come ha rilevato L. Lemme, La circolazione, cit. p. 989 ss.

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legislazione comunitaria, l’interesse delle istituzioni non è tanto imporre una normativa uniforme

(come nel settore economico), quanto evidenziare il rispetto per le discipline nazionali di settore,

ponendo (come vedremo) l’alternativa comunitaria come una delle migliori possibili.

Altro elemento caratteristico è l’introduzione ex novo di una categoria di beni culturali

«d’importanza» comunitaria al solo scopo di preparare il procedimento di restituzione definendone

la materia. Così, per il regolamento sull’«esportazione» verso Paesi terzi, i beni culturali rientranti

nella tutela comunitaria sono esclusivamente quelli indicati nell’allegato, mentre per la direttiva

sulla «restituzione», i beni rilevanti sono quelli qualificati tali dalla disciplina nazionale e che

rientrano in una delle categorie agli allegati alla direttiva stessa. Alla diversità dei due sistemi

definitori corrisponde l’uniformità del criterio adoperato dal legislatore comunitario a superamento

della comune difficoltà resa da una normativa ed una dottrina estremamente differenziate. Dunque

la scelta di combinare indicatori di valore artistico con quelli più propriamente commerciali49.

Questo nuovo sistema di garanzia delle frontiere esterne, realizza una tutela di natura aggiuntiva a

quella nazionale, valida se compatibile con i limiti dell’art. 30 (ex art. 36) TCE e con i principi

generali del diritto comunitario; di qui l’opzione concessa allo Stato membro di continuare ad

applicare le proprie normative interne per «l’esportazione diretta dal territorio doganale della

Comunità, di beni che non rientrano nella definizione di beni culturali, di cui al presente

regolamento» (art. 4 regolamento di base)50.

Infine, nello studio delle questioni relative all’applicazione dei due atti, la Commissione è assistita

da un Comitato ad hoc, composto da rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un

rappresentante della Commissione (art. 8 del regolamento di base e art. 17 della direttiva

93/7/CEE)51.

49 Si trovano, infatti, 14 categorie tipologiche, elevate a 15 con le modifiche apportate dal reg. CE 2469/96, riguardanti quadri, mosaici, incisioni, libri, stampe, collezioni ecc…e soglie di valore applicabili per ciascuna di esse. Per il regolamento, ad esempio, sono «beni culturali» ad esempio – i reperti archeologici, al di là del valore; i mosaici a partire da un valore di 15.000 ECU; i quadri oltre i 150.000 ECU stabilita come soglia massima. Al riguardo, in sede di elaborazione delle soglie la fissazione del valore economico del bene oggetto della restituzione ha creato notevoli difficoltà, particolarmente tra gli Stati cd «market nations», favorevoli ad una monetizzazione dell’opera d’arte e gli Stati «source nations» che trovavano arbitrale addirittura il principio di determinare una valore per un opera d’arte. Il dibattito, pertanto, si è soffermato sull’individuazione di una soglia minima al disopra della quale gli Stati fossero legittimati all’azione di restituzione. Riguardo al regolamento, tuttavia, è stato confermato che anche tale determinazione spetta al diritto nazionale e che, dunque, si avranno valutazioni differenziate da Stato membro a Stato membro le cui patologie saranno oggetto di controversia davanti ai giudici nazionali. V., tra gli altri, J. De Cesteur, Les régles communautaires en matiére de restitution de biens culturels ayant quitté illicitement le territoire d’un Etat membre, in Rev. mar. un. eur. 1993, p.64. 50 Così B. De Witte, The cultural dimension of Community Law, cit. p. 244. 51 Circa le attività del Comitato (composto da tanti membri quanti gli Stati della Comunità con un presidente) si tenga presente per l’Italia, il Ministero delle Finanze – Direzione centrale servizi doganali, e la collaborazione con la Commissione nella predisposizione del regolamento n. 752/93 cit. Peraltro, ad una recente analisi parlamentare (XIII legislatura n. 151 marzo 2000), rilevano come respinte quasi tutte le proposte di modifica sostanziale dell’allegato e di incremento delle soglie finanziarie che delimitano le categorie di beni culturali (v. le proposte della Commissione COM (95) 479 e Boll. CE 10 – 1995).

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Nel dare avvio all’esame dei due atti è opportuno iniziare dal regolamento sull’esportazione verso

Paesi terzi per evitare l’irrimediabile perdita di beni culturali appartenenti ai patrimoni nazionali

tramite l’uscita al di fuori dell’Unione europea attraverso dogane di altri Stati membri.

La scelta di limitare gli effetti della regolamentazione soltanto al traffico di beni oltre il territorio

della Comunità è confermata a partire dall’utilizzo della nozione di «esportazione»52 al posto di

«spedizione», così da circoscrivere ambito e portata delle tutele espresse.

Il sistema di protezione comunitaria previsto dal regolamento si incentra su: la definizione

dell’ambito dei beni culturali rilevanti allo scopo indicato, cui si è fatto riferimento; l’obbligo di

effettuare l’esportazione solo in presenza di una licenza rilasciata dallo Stato membro di

appartenenza; la cooperazione amministrativa per il buon funzionamento del sistema di tutela

predisposto.

Secondo il regolamento l’esportazione dei beni culturali fuori dal territorio CE, è subordinata alla

presentazione di una licenza di esportazione (art. 2, par. 1), un’autorizzazione rilasciata, a richiesta

di parte, dall’Autorità nazionale competente dove il bene si trovava il 1° gennaio 1993, o,

successivamente a tale data, «da un’autorità competente dello Stato membro nel cui territorio il

bene culturale si trova dopo essere stato lecitamente e definitivamente spedito da un altro Stato

membro o dopo essere stato importato da un Paese terzo o reimpostato da un Paese terzo in seguito

ad una spedizione lecita da uno Stato membro verso il suddetto Pese terzo» (art. 2, par. 2). In deroga

a tale procedura, lo Stato membro competente può decidere di non richiedere licenze di

esportazione qualora il bene da esportare, «non rientri nell’allegato, categoria A153 […] qualora

detti beni abbiano un interesse archeologico o scientifico limitato e purché non provengano

direttamente da scavi, scoperte e siti archeologici» (art. 2, par. 2, 2°co.). Inoltre, l’autorizzazione

può essere «rifiutata» qualora i beni culturali in questione siano già tutelati da una normativa che

tutela il «patrimonio nazionale avente valore artistico, storico e archeologico nello Stato membro di

cui trattasi» in coerenza con la deroga concessa dall’art. 30 (ex art. 36) TCE (art. 2, par. 2, 3° co.).

In questo senso, manca nel legislatore comunitario la volontà di prevedere una disciplina sostanziale

di tutela per il settore in questione: ci si limita, infatti, a disporre che taluni beni, debbano essere

accompagnati da una licenza, ma (salvo l’obbligo di comunicazione delle autorità) che ciascun

Stato membro dichiara competenti al suo rilascio (art. 3), non è indicato né il criterio, né le

condizioni per l’esercizio del potere. Lo Stato membro cui viene presentato il bene da esportare non

ha alcun potere di indagare la presenza dei presupposti di legittimità del rilascio, ma deve

semplicemente verificare la completezza della documentazione (art. 4) e la presenza della licenza 52 Sul modello della Dichiarazione della Commissione del novembre 1989, le misure del regolamento sono quelle indicate come «tipo B». 53 Trattasi dei reperti archeologici aventi più di 100 anni e provenienti da scavi e scoperte terrestri e sottomarine, siti archeologici, collezioni archeologiche.

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rilasciata dallo Stato d’origine in base al regolamento del 30 marzo 1993, n. 752/9354. Infine, poiché

l’Italia si è avvalsa della facoltà di cui all’art. 2, 4° co. del regolamento di continuare ad applicare la

propria legislazione per i beni culturali non rientranti nel campo di applicazione del regolamento

medesimo, l’uscita definitiva verso i Paesi terzi di tali opere resta soggetta all’autorizzazione

nazionale, ossia all’attestato di libera circolazione di cui all’art. 36 della legge 1089/39 così come

modificato dall’art. 18 della legge n. 88/98 che esamineremo in seguito. Riguardo invece alla

facoltà di deroga al regime di libera circolazione delle merci prevista ai sensi dell’art. 30 (ex art. 36)

TCE, può da subito sostenersi che non potrà mai costituire l’appiglio giuridico statale per sfuggire

al sistema di autorizzazione predisposto nel Regolamento. Resta fermo, ovviamente, il potere statale

di prevedere all’interno delle categorie comunitarie di beni esportabili previa autorizzazione,

altrettante categorie nazionali (diverse, quindi, da Stato a Stato) cui sarebbe preclusa l’uscita nei

territori Terzi55. Un’eventualità, quest’ultima, che si giustifica proprio a partire dall’interpretazione

dell’art. 113 TCE, base giuridica del regolamento. In particolare, come si è detto, la riconduzione

della disciplina in esame nell’ambito generale della politica commerciale è un effetto dell’antica

impostazione che riportava le opere d’arte alla categoria comune di merci e, sebbene la Corte abbia

più volte ribadito che l’adozione di norme comuni ha l’effetto di conferire alla Comunità la

competenza esclusiva sul piano dei rapporti con i Paesi Terzi, non è possibile escludere spazi di

competenza nazionale. Infatti, gli atti nazionali in materia di esportazione di beni culturali che

incidono sulla politica commerciale, seppur adottabili per espressa delega della Comunità56 – in

regime di forma libera57- sarebbero comunque leciti.

Per comprendere meglio si può partire dalla nota posizione della Corte di Giustizia in materia di

interpretazione della deroga di cui all’art. 30 (ex art. 36) TCE. Se, come noto, lo scopo della norma

non è ritagliare competenze a favore degli Stati, ma consentire deroghe in costanza di interessi

preminenti e se il ricorso a tali deroghe è consentito fino all’emanazione di una regolamentazione

comunitaria completa di tutte le misure necessaria alla tutela dell’interesse preminente, gli atti

54 L’entrata in vigore del regolamento di base era stata subordinata alla pubblicazione della direttiva n. 93/7 (il testo parla di «Non ancora adottata all’atto della presente pubblicazione») e la sua applicazione all’entrata in vigore del regolamento di esecuzione CEE n. 752/93 (GUCE n. L 77 del 31.3.1993, p. 24), a partire dal 1° gennaio 1993. Tale regolamento e successive modificazioni oltre ad individuare le procedure doganali di esportazione verso i Paesi terzi di beni culturali prevede l’utilizzo di tre tipologie di licenza comunitaria. La licenza «normale» (all. 2) è utilizzata per tutte le esportazioni ivi compresa quella temporanea. Questo tipo non è utilizzabile se il bene rientra nel territorio. 55 A sostegno di un utilizzo cauto dei principi in materia di libera circolazione nel settore in esame e sugli effetti immediati della mancanza di una normativa di armonizzazione, v. M. Marletta, La restituzione dei beni culturali. Normativa comunitaria e Convenzione Unidroit, Padova, Cedam, 1997, p. 61. 56 Cfr., Corte di giustizia, Donkerwolke c. Procuratore della Repubblica, in causa C-41/76, sentenza del 15.12.1976, Racc., Corte Giust. 1976, p. 1921; Bulk Oil (Zug) AG c. Sun Oil Trading company International L. in causa C-174/84, sentenza del 18.2.1986, idem, 1986, p. 559; Terzi c. Commissione in causa C-59/84, sentenza del 5.3.1986, idem, 1986, p. 887; Terzi c. Ministero dell’Economia in causa C-242/84, sentenza del 5.3.1986, idem, p. 933. 57 Non sembrano indicarsi forme specifiche per gli atti in questione: la Corte ha valutato come ipotesi tipica di «delega comunitaria» il regolamento n. 2603/69 del Consiglio perché escludeva taluni generi dall’applicazione del regime di libera circolazione.

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nazionali a tutto ciò coerenti saranno per forza leciti58. In aggiunta, il divieto fatto agli Stati circa

l’interpretazione delle fonti comunitarie primarie e la conseguente attrazione del giudizio in seno

alla Corte comunitaria, comporta indirettamente che l’applicazione nazionale dei principi contenuti

nel trattato – libera circolazione in questo caso – deve comunque adeguarsi a quanto previsto in

generale dalla giurisprudenza59.

Il problema tuttavia non è in questi termini e non attiene la circolazione intra comunitaria delle

opere d’arte. Il problema riguarda innanzitutto l’eventuale applicazione della deroga di cui all’art.

30 (ex art. 36 TCE) anche alle ipotesi in cui il bene culturale si trovi fuori dal territorio della

Comunità e poi se il ricorso a tale deroga sia ancora possibile a fronte di un atto tanto rivoluzionario

quanto il regolamento in questione.

La risposta al primo quesito si rinviene tra gli effetti giuridici del regolamento: è bloccato

qualunque ricorso alla deroga che non sia per un preciso – ed individuato dallo Stato che vi si

appella - «interesse storico, archeologico, artistico». Pertanto, lo Stato membro ricorrerà all’art. 30

TCE, in caso di circolazione del bene in Paesi Terzi, soltanto se il bene riguarda i propri tesori

nazionali. Riguardo al secondo problema prospettato può dirsi che, se non sembra possibile

invocare la deroga sul traffico intra comunitario delle opere d’arte – essendo pienamente operativo

il regolamento – sembra ipotizzabile qualora la circolazione avvenga nel territorio di Paesi Terzi.

Alla base dell’intera costruzione c’è il principio dell’interesse prevalente. Estremizzando: mentre i

due interessi, al patrimonio – nazionale – da un lato, alla libera circolazione – comunitario –

dall’altro, sono in equilibrio in caso di circolazione da Stato membro a Stato membro, non è così

qualora la circolazione da Stato membro a Paese Terzo e viceversa, perché, in tal caso, il primo dei

due è prevalente sia per gli Stati membri, sia per la Comunità! In altri termini, mentre gli Stati

membri potrebbero, in costanza di traffico intracomunitario, sacrificare i principi in tema di libera

circolazione solo a fronte di interessi prevalenti ed alle condizioni sopra esaminate, non accadrebbe

lo stesso per gli scambi extracomunitari in cui sarebbe – come si accennato in precedenza –

l’immediata prevalenza dell’interesse al patrimonio, sia per la Comunità che per gli Stati membri

coinvolti.

Le altre norme del regolamento riguardano la cooperazione amministrativa. In particolare, al 2°

considerando, la Commissione rileva l’opportunità che si proceda come in precedenza «data la

notevole esperienza acquisita dalle autorità degli Stati membri nell’ambito dell’applicazione del

58 Corte di Giustizia, Van Bennekom c. Arrondissementsrechtbank in Amsterdam in causa C-227/82, sentenza del 30.11.1983, Racc. Corte Giust. 1983, p. 3883. 59 Ad esempio i principi di proporzionalità e cooperazione introdotti dalla Corte per l’interpretazione dell’art. 30 (ex art. 36) TCE, nella sentenza del 10.7.1994, Campus Oil cit.

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regolamento CEE n. 1468/8160 del Consiglio del 19 maggio 1981, relativo alla mutua assistenza tra

le autorità amministrative degli Stati membri e alla collaborazione tra queste» sotto il controllo del

Comitato dei beni culturali; inoltre, elementi di cooperazione al fine del buon andamento delle

procedure indicate, si rilevano anche dall’obbligo statale di comunicare alla Commissione «tutte le

autorità centrali per l’esercizio delle funzioni previste dalla presente direttiva» (art. 3). Peraltro,

l’importanza della collaborazione è rilevata anche in seguito alla specifica sull’utilizzo circoscritto

del regolamento, per cui, «si applicano mutatis mutandis le disposizioni relative alla riservatezza

delle informazioni» (art. 6, par. 1).

Il sistema prestabilito dal regolamento è completato dalla facoltà degli Stati di comminare sanzioni.

Anche in questo caso, dunque, si indirizza nel fine «sanzioni […] sufficientemente dissuasive da

indurre al rispetto» l’azione dello Stato, ma le modalità di scelta dello strumento punitivo restano a

discrezione del legislatore interno (art. 9). Unico vincolo per gli Stati sembra quello di

comunicazione. Ciascun Stato, infatti, deve informare «delle misure che prende per l’esecuzione del

presente regolamento» la Commissione che, a sua volta, rende partecipe il resto della Comunità (art.

10).

Il secondo atto comunitario rilevante ai nostri fini è la direttiva sul rientro dei beni illecitamente

esportati. Come si è detto, la necessità di tutelare le opere d’arte dai pericoli del trasferimento facile

da Stato membro a Stato membro, a seguito dell’instaurazione di uno spazio europeo senza frontiere

interne, stimolò la Comunità all’elaborazione di un nuovo sistema giuridico. La tutela comunitaria

è, anche qui, di natura aggiuntiva e non sostitutiva rispetto alle forme nazionali ed ha il pregio di

rappresentare «la prima computa forma di azione processuale comunitaria, rispetto alla quale gli

Stati possono intervenire solo per completare quanto ivi non espressamente previsto»61.

Con slancio innovativo il legislatore comunitario costruisce l’azione di restituzione

dall’individuazione delle opere d’arte da parte dei singoli ordinamenti e la vincola, nel concreto,

alla tutela dell’interesse specifico che, per il caso in questione, è la permanenza del bene nel

territorio dello Stato membro.

Nulla vale dunque indagare circa la proprietà del bene62: per la Comunità, ai fini dell’applicazione

della presente direttiva, vale solo il territorio dello Stato membro cui l’opera d’arte è stata,

60 Tale regolamento (GUCE n. L. 144 del 2.6.1981, p. 1) è stato successivamente modificato dal reg. CEE n. 945/97 del Consiglio del 30 marzo 1987 (GUCE n. L. 90 del 2.4.1987, p.3) che ha facilitato il recepimento in settori specifici (droga, alcolici…) dei principi ivi espressi. 61 Così, M. P. Chiti, Beni culturali, cit., p. 370. 62 Orientamento confermato dalla Commissione nella relazione di accompagnamento della proposta di Direttiva e, dallo stesso trattato CE, che all’art. 222 prevede «Il presente trattato lascia del tutto inpregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri».

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illecitamente, sottratta63. La figura giuridica che si viene a costruire allora è molto simile al rapporto

di rappresentanza: c’è un proprietario che non rileva, ma ciò che vale è l’operato del suo

rappresentante «in nome e per conto», espressamente delegato dalla legge in forza dell’interesse

specifico alla permanenza del bene nel territorio dello Stato membro di provenienza.

Circa l’ambito della nuova azione di restituzione, la direttiva ha introdotto una nuova propria

definizione di bene culturale, ancorandosi alla medesima griglia definitoria già adottata dal

regolamento di base aggiungendo nuovi criteri di identificazione. Così – ferma restando la vigenza

a partire dal 1° gennaio 1993, salvo espressa volontà statale di recepire il testo in senso retroattivo

(art. 14) - affinché un oggetto sia considerato «bene culturale» ai sensi della direttiva è necessario

che lo sia per la legislazione nazionale e che rientri in una delle categorie contemplate nell’allegato

alla direttiva – il medesimo del regolamento – oppure che sia inventariato in una collezione

pubblica o ecclesiastica64.

Per il perseguimento ottimale degli obiettivi indicati, sulla scia del regolamento di base, è

richiamata l’attività di cooperazione tra amministrazioni nazionali che qui, tuttavia, presenta aspetti

peculiari. Infatti, l’azione giurisdizionale di restituzione, in quanto metodo aggiuntivo agli strumenti

nazionali, sarà esperibile solo una volta percorse le strade del diritto interno. E ciò proprio in forza

della natura principalmente pubblicistica dell’azione medesima e della sua non esaustività in quanto

di natura suppletiva rispetto alle azioni civili o penali spettanti in base al diritto nazionale (art. 15).

Fermo restando anche qui, l’obbligo statale di comunicare alla Commissione «tutte le autorità

centrali per l’esercizio delle funzioni previste dalla presente direttiva» (art. 3), la cooperazione tra

amministrazioni nazionali assume un rilievo del tutto proprio a partire dal coinvolgimento del

detentore del bene. In particolare, è compito delle autorità competenti «individuare, su domanda

dello Stato membro richiedente, un determinato bene culturale uscito illecitamente dal territorio di

detto Stato, nonché localizzarlo e identificarne il possessore e/o detentore», procedere con la

notifica dell’avvenuta comparsa allo «Stato membro richiedente» facilitandone, entro un termine di

2 mesi dall’avvenuta notifica, le opportune verifiche circa la riconducibilità del bene al patrimonio

del richiedente ed assumere «ove occorra, le misure necessarie per la conservazione materiale del

bene culturale […] e che il bene sia sottratto alla procedura di restituzione» (art. 4, par. 1) – 5)). 63 Al riguardo, la dottrina italiana non è uniforme. Taluni autori (A. Proto Pisani) ritengono che la direttiva abbia enucleato un nuovo diritto, ovvero, il diritto degli Stati ad ottenere la restituzione dei beni illecitamente trafugati dai propri territori. Altri sostengono la tesi di un’aspettativa giuridica dello Stato - collettività al ritorno dei beni in questione nel proprio territorio (V. Cerulli Irelli, I beni culturali, cit., 33) supportata dall’interesse specifico al «godimento collettivo – e non, evidentemente, soltanto pubblico - della cosa come patrimonio della Nazione». Altri, viceversa, sostengono (M. P. Chiti, Beni culturali, cit., p. 375) che il diritto comunitario non vincola la gestione e la fruizione di predetti beni esclusivamente alla «proprietà pubblica della cosa». 64 Per «collezioni pubbliche» si intendono «le collezioni di proprietà di uno Stato membro, di un’autorità locale o regionale situato in uno Stato membro, oppure di un ente che sia situato in uno Stato membro e che sia qualificato come «pubblico» conformemente alla legislazione di uno Stato membro o di un’autorità locale o regionale oppure è finanziato in modo significativo dagli stessi» (art. 1, 2° co. dell’allegato).

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Ulteriore elemento di specialità è dato dalla modalità con cui le autorità competenti intendono

procedere alla restituzione del bene in questione: si tratta, infatti, di una vera e propria attività di

intermediazione tra il «possessore e/o detentore e lo Stato membro richiedente ai fini della

restituzione» in limine sostenuta dall’utilizzo di strumenti arbitrali (art. 4, par. 5))65.

Può affermarsi che, in una valutazione complessiva delle misure di cooperazione illustrate, sia

delineabile un insieme di vincoli per gli Stati, la cui inosservanza potrebbe rilevarsi anche ai sensi

di fonte primaria comunitaria; si pensi ad esempio, al contenzioso Stati membri – Comunità relativo

alla violazione dell’art. 169 TCE66. Nell’ipotesi prospettata, l’insieme di vincoli agli Stati varrebbe,

da un lato – e tramite il regolamento – a tutelare gli Stati membri dalle violazioni del diritto

comunitario commesse dagli altri Stati membri e relative al commercio extracomunitario

(esportazione priva della licenza), dall’altro – e tramite la direttiva – a coinvolgere in un

meccanismo compartecipativo tutti gli Stati membri coinvolti in caso di restituzione di bene

illecitamente trafugato67.

Il sistema di restituzione predisposto dalla direttiva si basa su: le regole speciali in ordine alla

legittimazione all’azione sia dell’ attore che del convenuto; le condizioni di proponibilità

dell’azione e l’ambito di applicazione; le conseguenze del procedimento sulla proprietà del bene,

sopra esaminate; la cooperazione amministrativa per il buon funzionamento del sistema di tutela

predisposto, cui si è fatto riferimento.

Riguardo ai requisiti per proporre azione di restituzione può dirsi, innanzitutto, che può essere

promossa soltanto dagli Stati. E ciò, al di là del fatto che siano o non proprietari del bene

illecitamente sottratto.

65 Al riguardo, è stata sostenuta la natura non propriamente arbitrale di tali strumenti a chiarimento della permanenza, nonostante l’interruzione formale del procedimento, in capo a ciascun Stato membro di proporre azione di restituzione. Viceversa, la natura stessa dell’arbitrato, come forma parallela ed alternativa ai mezzi ordinari di tutela spinge ad un riconoscimento pieno della sua proponibilità in questa sede. Sul tema, v. J. De Cesteur, Les régles, cit., p. 70 ss. 66 In proposito si sono avute immediate implicazioni circa l’individuazione del giudice competente soprattutto negli Stati, come l’Italia, sofferenti da patologie di riparto di giurisdizione. Taluni autori (A. Proto Pisani) propendono per l’attribuzione delle cause al giudice ordinario a fronte della considerazione per cui, in assenza dell’azione di restituzione, l’interesse al ritorno del bene rimane mero interesse, mentre, ad azione inoltrata, si trasforma in vero e proprio diritto alla restituzione. Adesivo a tale interpretazione l’orientamento espresso dal legislatore italiano nel progetto di legge di attuazione della direttiva (par. 17)e 18)). 67 Per completezza, deve ricordarsi che l’idea di emanare un’apposita normativa sulla restituzione non rappresentava l’obiettivo principale della Commissione riunita nel novembre del 1989 in quanto erano prevalenti l’interesse al controllo (v. punti 24 e 25 della Comunicazione del 1989). È questo, infatti, lo strumento prevalente impiegato da molti degli Stati c.d. «esportatori» di beni culturali per frenare l’uscita dei propri tesori verso altri Stati, particolarmente verso gli «importatori» che, viceversa, il più delle volte non hanno tutele specifiche e, spesso, non riconoscono efficacia ai divieti di esportare imposti dallo Stato d’origine (sul tema, v., tra gli altri, A. Merryman, Two Ways of thinking….op. cit., p. 831). Dunque, la relazione del Comitato per gli Affari Culturali del 22 novembre 1989 (doc. n. 9818/90 del Consiglio del 13.11.1990) ribadiva come non fosse indicativo di una soluzione unitaria la mera adesione di un numero nutrito di Stati membri alle convenzioni attive (Unesco 1970 e convenzione europea 1985). Dunque la sollecitazione unanime del Consiglio e del Parlamento (p. 11 del doc. 9818/90 e A3 - 324/90) da un lato alla Commissione dall’altro ai Governi nazionali circa l’utilizzo di una strumentazione quanto più possibile dettagliata sulla restituzione dei beni culturali illecitamente esportatati.

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Il vero proprietario, infatti - di cui, come sopra evidenziato, la direttiva si disinteressa – può agire o

in base al diritto interno oppure confidare nell’accoglimento della sua richiesta di restituzione da

parte del giudice nazionale adito. In questa seconda opzione, il proprietario ha ampia facoltà di

predisporre un intervento di natura adesiva autonoma direttamente nella procedura aperta dallo

Stato membro richiedente al fine di far valere il proprio, incontestato, diritto alla restituzione (art.

16).

Circa le caratteristiche del soggetto convenuto, la direttiva configura due diverse situazioni: la

prima, se il soggetto convenuto sia «il possessore» e dunque colui che detiene materialmente e per

conto proprio il bene sottratto; la seconda, se il convenuto sia «il detentore» e cioè colui che lo

detiene, ma per conto altrui68. Anche in questo caso, nel determinare il destinatario della richiesta di

restituzione si prescinde da ogni indagine sul titolo giuridico in forza del quale il bene è detenuto

valendo soltanto il fatto che il bene è stato ritrovato. Evidentemente il meccanismo permette una

semplificazione immediata dell’azione di recupero che potrà esperirsi sia contro il possessore in

buona e mala fede, sia nei confronti del mero detentore, salvo poi differenziarne le posizioni

riguardo all’ottenimento dell’indennizzo. Ad ogni modo, entrambi i soggetti convenuti, verranno

citati davanti giudice dello Stato membro richiesto che, com’è noto, è «lo Stato membro nel cui

territorio si trova il bene culturale uscito illecitamente dal territorio di un richiedente» (art. 1, par.

4)).

Contemporaneamente, l’autorità centrale dello Stato membro richiedente deve informare l’autorità

dello Stato membro richiesto «in merito all’azione avviata per assicurare la restituzione del bene»;

lo Stato membro richiesto, a sua volta, informerà della procedura gli altri Stati membri (art. 6). Ora,

esaminando la posizione giuridica di questi ultimi, sembrerebbe poter affermare la loro

legittimazione all’intervento nel procedimento e ciò, in forza del loro eventuale «contro interesse»;

tuttavia, non è la mera posizione di «contro interessato» a legittimare l’intervento, ma soltanto la

legge nazionale può regolarne forme e modi per la tutela e ciò, soprattutto, se l’azione sia stata

proposta da più Stati membri.

68 In proposto la direttiva chiarisce in ordine al termine di «Stato membro richiedente», come lo Stato membro da cui il territorio è illecitamente uscito, «Stato membro richiesto», come lo Stato membro nel cui territorio si trova il bene culturale illecitamente dal territorio di un altro Stato membro, «possessore» come colui che detiene materialmente il bene culturale per proprio conto e «detentore» come colui che lo detiene per conto altrui (art. 1, par. 3), 4), 6), 7) della direttiva in esame. L’originaria proposta utilizzava i termini di «acquirente» e «detentore», ora «possessore» e «detentore» con la clausola dell’indennizzo soltanto al possessore in buona fede (perché ha acquistato il bene dopo che era uscito illecitamente dal territorio dello Stato membro richiedente) e dunque, indirettamente, mai al proprietario sulla presunzione della sua capacità di conoscere l’iter vissuto dal bene, dunque, la certa mala fede (cfr. art. 10 (COM (91) 447 def. – SYN382), GUCE C 53 del 28 febbraio 1992, p. 13).

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Stabilito il soggetto legittimato ad agire, la direttiva indica i casi in cui è possibile proporre l’azione

di restituzione69. E dunque, nell’ipotesi in cui il bene culturale sia stato sottratto dal territorio dello

Stato membro richiedente in « violazione della legislazione di detto Stato membro sulla protezione

del patrimonio nazionale oppure del regolamento (CEE) n. 3911/92» oppure in caso di un bene

«non rientrato dopo la scadenza del termine fissato per una spedizione temporanea lecita […] o un

bene che si trova in una delle altre condizioni di tale spedizione temporanea» (art. 1, n.2). Lo Stato

membro richiedente poi, è abilitato ad inoltrare la propria istanza «contro il possessore e, in

mancanza di questo, contro il detentore» (art. 5, 1° comma) allegando «un documento che descriva

il bene oggetto della richiesta e dichiari che si tratta un bene culturale – e - una dichiarazione delle

autorità competenti dello Stato membro richiedente secondo la quale il bene culturale è uscito

illecitamente dal territorio medesimo» (art. 5, 2° co.). L’istanza che non risponda a tali condizioni è

colpita da inammissibilità dichiarata dal giudice nazionale competente dello Stato membro

richiesto.

Circa le forme per la proposizione dell’azione, la direttiva indica agli Stati di prevedere nella

legislazione interna il termine perentorio, a pena di decadenza, di «un anno a decorrere dalla data in

cui lo Stato membro richiedente è venuto a conoscenza del luogo in cui si trovava il bene culturale e

dell’identità del suo possessore o detentore» (art. 7, 1° co.). Tale termine si considera aumentato a

trenta anni a decorrere dalla data in cui il bene è illecitamente uscito dal territorio dello Stato

membro richiedente, se il bene appartiene ad una categoria generica, a settantacinque anni se il bene

rientra «nelle collezioni pubbliche di cui all’art. 1, punto 1, e dei beni ecclesiastici, negli Stati

membri in cui sono oggetto di misure speciali di tutela in virtù del diritto nazionale» (art. 7, 2°co.),

salvo che il diritto interno non ne prescriva l’imprescrittibilità o lo Stato sia coinvolto in accordi che

aumentano i termini indicati dalla direttiva.

Ulteriori condizioni sono poste riguardo all’ultima fase, quella che potremmo definire, di

raggiungimento dello scopo ultimo dell’atto in esame, quello alla restituzione del bene illecitamente

sottratto.

In particolare, l’ordine di restituzione emanato dal giudice nazionale è legato alla verifica di speciali

condizioni. Può dirsi cioè che l’obbligo di passare per tale verifica somma all’azione in corso (di

restituzione) un’azione tendente oltre che a definire le condizioni finali dell’azione medesima,

anche a fissare i presupposti per la concessione dell’indennizzo al possessore in buona fede. Infatti,

69 Il carattere precipuamente pubblicistico della controversia impostata tra Stato membro richiedente e soggetto privato detentore e la qualificazione dell’atto finale come provvedimento de auctoritate e non di natura negoziale, fa cadere la tesi dell’applicabilità della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 relativa alla competenza giudiziaria e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. V., a sostegno dell’inapplicabilità della Convenzione, A. Lanciotti, La circolazione dei beni culturali nel diritto internazionale privato e comunitario, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1996, p. 66 ss.

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«il giudice nazionale competente ordina la restituzione del bene culturale dopo aver accertato che si

tratta di un bene culturale ai sensi dell’articolo 1, punto 1, uscito illecitamente dal territorio

nazionale» (art. 8). Pertanto, si tratta di valutare innanzitutto la portata della discrezionalità affidata

al giudice nella verifica in esame e poi di applicarne gli effetti alle ipotesi – non improbabili - di un

bene non rientrante nelle quantificazioni dell’allegato70. E dunque, in questo secondo caso, del

potere, non più soltanto in capo allo Stato, di formulare un giudizio di merito sull’opera d’arte in

questione basato, peraltro, sul concetto di «patrimonio nazionale» un’ipotesi scarsamente probabile.

Dopo la verifica di tali condizioni «il giudice nazionale dello Stato richiesto accorda al possessore

l’indennizzo che ritiene equo in base alle circostanze del caso concreto a condizione di essere

convinto che il possessore abbia usato, all’atto dell’acquisizione, la diligenza richiesta» (art. 9, 1°

co.). Pertanto, in applicazione dei principi nazionali di diritto civile, colui che detiene senza potere

un bene per essere destinatario dell’indennizzo è tenuto non soltanto a restituirlo, ma a provare la

buona fede della propria posizione71.

Il concetto di buona fede è molto più significativo di quanto, ad un primo esame, possa apparire.

La diligenza deve essere valutata in relazione alla possibilità che il possessore aveva di conoscere

circa l’illecita uscita del bene dal territorio dello Stato membro richiedente, piuttosto che la propria

posizione di acquirente a non domino. Ciò a riprova che oggetto del giudizio non è la

determinazione del regime proprietario del bene culturale controverso, ma soltanto l’emanazione

del provvedimento con cui si dispone il rientro del bene. In effetti, il livello di correttezza non

attiene soltanto al titolo ed al suo trasferimento, ma anche al senso complessivo di “circolazione”

del bene dato che si tratta di una disciplina per la tutela del patrimonio artistico nazionale. Tanto

più, la disciplina in questione, responsabilizza maggiormente il cittadino in procinto di acquistare

un’opera d’arte perché lo vincola ad un percorso stabilito in costanza, tuttavia, di un regime

apparentemente lontano da ogni genere di costrizione, la libera circolazione delle merci. Di qui, il

passaggio obbligato per cui «Lo Stato membro è tenuto a pagare tale indennizzo al momento della

restituzione» (art. 9, 3° co.).

Riguardo alla disciplina dei termini entro cui esercitare l’azione di risarcimento, la direttiva parifica

le posizioni del «detentore» e «possessore» fermo restando l’applicazione della normativa interna in

relazione al regime di proprietà lasciando impregiudicate «le azioni civili o penali spettanti, in base 70 La dottrina italiana è uniforme nel non attribuire al giudice interno un’ampia discrezionalità sul punto. Il giudice adito, infatti, è obbligato a rifarsi alla normativa nazionale per la qualificazione del bene, mentre potrà proporre ricorso alla Corte di giustizia ex art. 234 TCE (ex art. 177), qualora ravvisi che la norma nazionale contrasti con l’art. 36 CE. Sul tema v., tra gli altri, M. P. Chiti, Circolazione e tutela in ambito comunitario, in Beni culturali e Comunità europea (a cura di M. P. Chiti), Milano, 1994, p. 141 ss. 71 Taluni autori hanno rilevato che entrambi i potenziali convenuti hanno diritto a provare la buona fede dell’uscita del bene dal territorio dello Stato richiedente davanti al tribunale nazionale competente, il quale a sua volta, in forza dell’art. 234 TCE (ex 177), rinvia pregiudizialmente alla Corte di Lussemburgo. Sul tema, J. De Cesteur, Les règles communautaires, cit., p. 50 ss.

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al diritto nazionale degli Stati membri, allo Stato membro richiedente e/o al proprietario cui è stato

sottratto il bene» (art. 15).

Infine, sia per quanto concerne la quantificazione dell’indennizzo, sia per la determinazione dei

mezzi di prova, che per il regime di proprietà dopo la restituzione del bene, la direttiva rinvia

espressamente alle diverse legislazioni nazionali. In particolare, la determinazione delle spese

sostenute dal possessore per la (obbligatoria) conservazione e l’onere della prova sono

esclusivamente a carico del possessore che dovrà proporre, per entrambi i capi, formale istanza al

giudice nazionale competente (art. 9, 2° co.). Vengono addebitate allo Stato richiedente, sia «le

spese inerenti all’esecuzione della decisione che ordina la restituzione del bene», sia quelle

conseguenti eventuali misure di adottate per l’ottimale conservazione del bene (art. 10), fermo

restando il diritto di quest’ultimo di ottenere «il rimborso di detti importi da parte delle persone

responsabili dell’uscita illecita del bene culturale dal suo territorio» (art. 11).

Ottenuta la restituzione, la direttiva smette di disciplinare i rapporti in questione e li affida alle

differenti legislazioni nazionali, com’è noto, di gran lunga diversificate tra loro. In particolare, la

direttiva stabilisce testualmente che la proprietà del bene culturale dopo la restituzione «è

disciplinata dalla legge dello Stato membro richiedente» (art. 12) e ciò in forza, da un lato della

generica posizione di neutralità dell’azione comunitaria, dall’altro del primato della

regolamentazione comunitaria sul diritto interno72. Al riguardo, sembra poco fondata l’opinione

che, legando la pretesa dello Stato richiedente al proprio regime di «potestas territoriale» sui beni

culturali ritiene che le norme in esame siano in grado di espanderla al livello comunitario, scartando

i principi di diritto internazionale privato. Semmai una deroga fosse ipotizzabile, lo sarebbe al

principio generale di diritto internazionale privato per cui i diritti reali sui beni mobili si

acquisiscono in base alla legge del luogo in cui è avvenuto l’atto (o il fatto) che trasmette la

proprietà (lex rei sita) in quanto la direttiva rinvia direttamente alla legge dello Stato richiedente. Il

principio della legge del luogo in cui è avvenuto l’atto (o il fatto) è disattesa in favore della legge

precedente, dato che la competenza della prima legge è l’effetto giuridico dell’illecita uscita del

bene culturale dal territorio dello Stato d’origine73. Da qui una riflessione.

72 I riferimenti sono rispettivamente, il primo al livello di fonte primaria (art. 222 TCE), il secondo di natura giurisprudenziale (tra le più celebri della Corte Costituzionale, sentt. 7.03.1964, n. 14, Costa c. Enel, in Foro it. 1964, I, 465; 27.12.1973, n. 183, Frontini, idem, 1974, p. 314; 30.10.1975, n. 232, ICIC, idem, 1975, p. 2661; Granital, sentenza 8.06.1984, n. 170, idem, I, 1984, p. 2062 per la Corte di Giustizia a partire dalla celeberrima Van Gend en Loos in causa C-26/62, sentenza 5.02.1963, Racc., p. 1 fino alle più note Simmenthal in causa C-106/77, sentenza 9.03.1978, idem, p. 629; Factortame, in causa C-213/89, sentenza 19.06.1990, idem, p. I-2433) 73 In relazione al principio di efficacia extra territoriale della normativa comunitaria e sull’esclusione di ogni rinvio al diritto internazionale privato v., E. Siher, International protection of Cultural Property in the Europeann Community, in Etudes de droit international en l’honneur de P. Lalive, 1993, p. 753 ss; J. De Cesteur, Les règles communautaires, cit. p. 46.

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Per lungo tempo, ciò che più ha contribuito ad allontanare ogni prospettiva di regolamentazione

unitaria del settore è stato, in effetti, proprio il grado elevato di differenziazione tra sistemi di

protezione nazionali. Nell’ottica di un ravvicinamento delle legislazioni verso l’adozione di norme

uniformi sul ritorno dei beni culturali le istituzioni comunitarie hanno dovuto affrontare una

pluralità di istituti giuridici nazionali che ostavano al riconoscimento dei regimi stranieri di tutela.

La questione era distinguere gli elementi da armonizzare e quelli da lasciare alla differenziazione

soprattutto in relazione alla proprietà o all’acquisto dell’opera d’arte (buona fede, azioni a difesa del

possesso, termini di prescrizione alla rivalsa, indennizzo ecc…) di qui l’effetto “a sistema”

prodotto dalla direttiva in esame di gran lunga incidente sul piano internazionale privato.

Si pensi, ad esempio, alle categorie di beni restituibili ed alla qualificazione dei soggetti legittimati

all’azione o all’intervento nella procedura come convenuti – regolati come noto dalla direttiva – o

all’individuazione del giudice competente ed il regime di proprietà in seguito alla restituzione –

lasciato alle legislazioni nazionali.

Ora la scelta di utilizzare la direttiva – atto che stabilisce lo scopo lasciando liberi forma e mezzi –

non preclude l’obiettivo finale che è quello di addivenire al più presto ad una regolamentazione

uniforme su tutti gli aspetti di rilievo, ma rappresenta l’applicazione concreta dell’atteggiamento –

sopra esaminato – di fondo delle istituzioni europee riguardo al tema in questione, e dunque di

rispetto delle tradizioni costituzionali nazionali.

In questo senso, l’azione della direttiva 93/7/CEE incide nel sistema dei rapporti giuridici europei in

materia di beni culturali, come la convenzione Unesco – che esamineremo in seguito – opera nel

quadro dei rapporti internazionali, con un’impostazione del tutto rivoluzionaria perché sottesa

all’unificazione delle norme materiali quando, strutturalmente, sembra mantenere criteri

differenziati74.

Appare utile, a questo punto, far cenno agli sviluppi che, anche a seguito del completamento del

Mercato interno nel 1993 e dei fenomeni sociali ed economici che hanno preceduto e seguito

l’attuazione dei principi di libera circolazione nel territorio comunitario, hanno caratterizzato il

recepimento della regolamentazione ora illustrata nel nostro ordinamento.

Con la legge cd. «Bottai» 30 marzo 1998, n. 88 recante «Norme sulla circolazione dei beni

culturali» il legislatore italiano ha previsto le disposizioni di esecuzione del reg. CEE n. 3911/92,

quelle di recepimento della dir. n. 93/7/CEE e le modifiche alla legge 1089/1939 in materia di

74 Al riguardo, è stato sostenuto, che «la qualificazione successiva viene a configurarsi come un atto con funzione dichiarativa di una qualità del bene risultante da un apprezzamento tecnico-discrezionale» pertanto, secondo tale impostazione, il significato oggettivo (ex ante la qualificazione) è precedente alla dichiarazione della sua esistenza, equivalente semmai ad un significato soggettivo (non opinabile tuttavia perché oggetto di un atto di natura autoritativa, quale la dichiarazione di valore. La citazione è di T. Alibrandi e P.G. Ferri, La tutela dei patrimoni culturali nazionali nel Mercato Unico Europeo, in Beni culturali e Comunità europea, a cura di M. P. Chiti, cit., p. 335.

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esportazione ed importazione dei beni culturali (capo IV) oltre alle disposizioni attuative comuni

(capo III) e alle norme finali (capo V)75. Valido per i tre ordini di intervento, che il legislatore ha

inteso riscrivere per intero la disciplina sulla circolazione delle opere d’arte, lasciando, tuttavia,

inalterati i principi ispiratori della legge del ’39 salvo il ricorso alla terminologia imposta dalle

norme comunitarie che indicano di riservare le espressioni «importazione» ed «esportazione» al

solo traffico extra comunitario (art. 35 l. cit.). Sostanzialmente, non si è introdotta alcuna modifica

al regime di tutela in quanto, l’uscita illecita dal territorio nazionale di un bene oggetto di tutela ha

le medesime conseguenze, sia se è diretta al territorio di uno Stato membro sia se è diretta ad un

Paese Terzo. Ciò premesso, la disciplina in esame è illustrabile distinguendo le due fasi:

dell’esportazione (verso Paesi Terzi di beni “tutelati” e “non tutelati”) e dell’importazione del bene

culturale.

L’esportazione verso Paesi Terzi di beni “tutelati” dalla regolamentazione comunitaria, se il bene

rientra in una delle categorie previste dal reg. CEE n. 3911/92, sarà soggetta al rilascio di una

preventiva «licenza comunitaria» nelle tre tipologie disponibili (normale, specifica, generale). Il

bene in esportazione soggetto alla protezione comunitaria oltre ad essere scortato dalla predetta

licenza comunitaria viene sempre accompagnato anche da un documento nazionale, «l’attestato di

libera circolazione» previsto dall’art. 36, 2° comma della legge n. 1089/39 come modificato dall’art.

18 della legge n. 88/98. Riguardo all’attestato di circolazione, l’art. 36 della legge n. 1089/39, come

novellato dall’art. 18 della legge n. 88/98, individua negli uffici per l’esportazione le autorità

competenti al rilascio o al rifiuto, previo accertamento delle congruità del valore venale dichiarato

nella denuncia.

L’attestato di libera circolazione è l’atto attraverso il quale il Ministero dichiara che un bene

culturale può lasciare il territorio nazionale. Data la sua natura, esso si s’intende riferito alla sola

opera o una serie omogenea di opere. L’attestato ha validità triennale e sostituisce a tutti gli effetti

la licenza nazionale di esportazione prevista dalla precedente normativa, salvo nel caso di

esportazione temporanea. Esso è dunque il solo documento necessario per l’uscita di qualsivoglia

bene culturale verso un altro Stato membro nonché per l’uscita verso i Paesi Terzi dei beni che non

rientrano nel campo di applicazione del regolamento CEE n. 3911/92. Non sostituisce,

evidentemente, la licenza di esportazione di cui al medesimo regolamento.

75 È opportuno rilevare il ritardo del legislatore italiano che per anni ha caratterizzato l’atteggiamento dei nostri Governi circa gli obblighi derivanti dalla presenza in CE. Si vedano, in proposito gli atti antecedenti alla cit. legge del 1988 che hanno supportato l’assenza di un’apposita legge di recepimento ovvero, le circolari del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali 1 aprile 1993 n. 3615 e 7 luglio 1998 n. 4261 «Mercato Unico Europeo» illustrativa del regolamento e del Ministero delle Finanze 26 marzo 1993, n. 84 «Mercato unico: regolamento CEE di applicazione del regolamento CEE n. 3911/92 concernente l’esportazione di beni culturali. Istruzione di servizio» pubblicata in Notiziario del Ministero per i beni culturali e ambientali, n. 39.

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L’avvio del procedimento si ha alla presentazione del bene all’«ufficio esportazione» insieme con la

denuncia e, comunque, l’attestato può essere richiesto anche solo per conoscere preventivamente se

il bene può lasciare il territorio nazionale, senza ancora averne stabilito la destinazione o in

previsione di una o più esportazioni temporanee che avranno luogo nel triennio di validità76.

Qualora l’ufficio esportazione, accertata la congruità del valore venale dichiarato nella denuncia

stessa, decida, con motivato giudizio, di rilasciare l’attestato dovrà contemperare gli effetti che

l’uscita del bene dal territorio dello Stato costituisca un danno per il patrimonio storico e culturale

della nazione medesima. Qualora l’ufficio esprima un rifiuto al rilascio dell’attestato, imporrà il

veto e ne darà notizia all’interessato, comunicandogli anche che, oltre ai rimedi giurisdizionali

ordinari ha facoltà di ricorrere in via gerarchica al Ministero entro trenta giorni dalla notifica

stessa77. Nell’ipotesi di dubbio sul rilascio dell’attestato motivato dalla necessità di ulteriori

accertamenti, l’Ufficio esportazione redigerà apposito verbale che sottoporrà alla Commissione

esaminatrice continuando le ricerche necessarie ricerche, salvo inerzia dell’ufficio centrale che

obbliga l’ufficio esportazione a pronunciarsi comunque, con il rilascio o il rifiuto, entro il termine di

quaranta giorni dalla presentazione del bene.

L’art. 11, 7° co., della legge del ’98 chiarisce poi che non sono assoggettati alla disciplina nazionale

sull’esportazione i beni introdotti in Italia con le licenze rilasciate da altri Stati membri ai sensi del

regolamento «di base» per la durata della loro validità. Pertanto, finché le licenze sono valide questi

beni possono lasciare liberamente il territorio nazionale. Scaduto il termine fissato dallo Stato

membro di provenienza (che per espressa previsione del regolamento comunitario non può superare

i 12 mesi), i beni che circolano in Italia con licenza emessa da un altro Stato membro si ritengono

definitivamente esportati nel nostro Paese.

Come già osservato, l’attestato di libera circolazione non è sufficiente per l’esportazione fuori della

Comunità dei beni che rientrano, per tipologia e soglia di valore economico, in una delle categorie

previste all’allegato al regolamento «di base», in questo caso, infatti, è necessaria anche la licenza

comunitaria, rilasciata dagli uffici esportazione e valida sei mesi (art. 11, 2° co. della legge n.

88/98). Ciò significa che il titolare ha sei mesi di tempo per far uscire il bene dal territorio nazionale

poiché l’atto che abilita un bene a lasciare il territorio nazionale è sempre l’attestato di libera

circolazione, il suo rilascio deve coincidere con quello della licenza oppure precederlo. 76 Per presentazione si intende l’esposizione fisica del bene alla Commissione esaminatrice che può avvenire anche fuori dei locali dell’ufficio (art. 133 del rd n. 363/134). Per l’ipotesi in cui si richieda l’attestato senza averne ancora stabilito la destinazione si può pensare al caso di una casa d’aste che voglia assicurarsi, dell’esportabilità di un oggetto prima di porlo in vendita. Può verificarsi che i necessari accertamenti siano legati al fondato sospetto che il bene provenga da scavi, sia stato oggetto di furto o di altro illecito, in tal caso il verbale dovrà essere inoltrato al Comando Carabinieri tutela patrimonio artistico insieme con la fotografia. 77 Di entrambe le decisioni assunte dall’ufficio competente deve essere informato l’ufficio centrale fermo restando che ad esso è attribuito un mero potere inibitorio della procedura, ovvero gli è preclusa la facoltà di rilasciare l’attestato se l’ufficio esportazione ha espresso parere negativo (art. 144 rd. n. 363/13).

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Ovviamente, dato che l’attestato vale tre anni, deve essere garantito un periodo minimo di validità

fra l’attestato stesso e la licenza, dunque la stessa può essere rilasciata solo sei mesi prima che scada

l’attestato, ossia entro e non oltre trenta mesi dall’emissione di quest’ultimo e, comunque, senza un

ulteriore valutazione del danno provocato dall’uscita del bene78.

Infine, la licenza viene emessa in assenza dell’attestato solo in due casi. Trattasi delle deroghe al

sistema di tutela predisposto dalla legge n. 88/98 e precisamente: in caso di esportazione

«temporanea» (es. per mostre) ed in caso di assoggettamento delle opere alla tutela comunitaria

senza peraltro che esse rientrino nel campo operativo della legislazione nazionale (opere di artisti

viventi non appartenenti all’autorità ed aventi più di cinquanta anni).

Riguardo all’esportazione «temporanea», l’art. 40, 1° co. della legge n. 1089/39, come novellato

dall’art. 22 della legge n. 88/98, sottolinea espressamente che possano circolare temporaneamente al

solo fine di manifestazioni culturali, mostre o esposizioni d’arte i beni culturali per i quali operi il

divieto assoluto di esportazione di cui all’art. 35, 3° co., (come novellato dall’art. 17 della legge n.

88/98) ovvero con il divieto in caso di danno al patrimonio nazionale di cui ai commi 1 e 2 dello

stesso articolo79. L’uscita temporanea di questi beni, subordinata al versamento di una cauzione a

garanzia del rientro, non può essere superiore a un anno, tale essendo il periodo massimo di

permanenza all’estero previsto dall’art. 3, 1° co., della legge n. 328/50 come novellato dall’art. 2,

14° co. della legge n. 352/9780.

L’esportazione verso Paesi Terzi di beni “non tutelati” dalla regolamentazione comunitaria, ma

tutelati dalla normativa italiana è soggetta al rilascio dell’attestato di libera circolazione. Le opere

d’arte in esportazione aventi meno di cinquanta anni ovvero eseguite da artisti viventi non sono più

sottoposte al regime del nulla osta amministrativo, ma sono accompagnate da una semplice

78 Il bene per il quale si richiede l’esportazione può essere anche di proprietà della Regione o di enti sottoposti alla sua vigilanza ed in tal caso l’attestato può essere rilasciato solo dopo aver richiesto il parere della Regione, il quale deve essere reso entro trenta giorni e, se negativo, è vincolante (art. 18, 3° co, della legge n. 88/98). Il parere può essere anche comunicato contestualmente alla presentazione del bene. Se ha contenuto positivo o non perviene entro trenta giorni dalla data dell’invio, l’interessato presenterà all’ufficio esportazione il bene, che verrà esaminato il giorno stesso, contrariamente, l’ufficio procederà come indicato per l’attestato di libera circolazione. 79 Occorre rilevare, in punto di coerenza normativa, che la legge del 1998 ora esaminata non ebbe un efficace raccordo né con la l. 328 del 1950 sulle mostre d’arte né con la cd. «legge Veltroni» n. 352 del 1997 destinata ad agevolare il prestito di opere per mostre promosse all’estero da enti pubblici dunque, di lì a poco la sostituzione di un’ulteriore novella dell’art. 40 della legge citata ad opera della legge del 12 luglio 1999, n. 237. Il nuovo testo, favorevole all’uscita del bene, recupera nella normativa pre vigente l’indicazione di talune categorie di beni delle quali, comunque, viene vietata l’uscita ed aggiunge la persona del responsabile della custodia del bene all’estero. Tuttavia, questo testo non essendo entrato in vigore prima del termine ultimo (ottobre 1998) previsto per l’entrata in vigore delle norme da inserire nel testo unico, non è stato recepito da quest’ultimo che quindi è stato emanato per questa parte (art. 69) in una stesura pressoché identica a quella della legge del ’98, ma di fatto ormai superata! Sul tema, v. D. Ravenna, La circolazione internazionale dei beni culturali, in Il testo unico sui beni culturali e ambientali a cura di G. Caia, Milano, Giuffrè, 2000, p.130. 80 Tale cauzione, pari al valore stimato del bene aumentato del 10 %, sostituisce gli effetti della tassa di esportazione per i beni rientranti nelle categorie comuni sia nell’ipotesi di esportazione sia in quella di circolazione intra comunitaria e successiva esportazione fuori della Comunità abolita sin dalla circolare n. 3615 del 1993 (punto 16) e dall’art. 37 della legge n. 1089/39, come novellato dall’art. 19 della legge n. 88/98.

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«autocertificazione» con cui il proprietario dichiara che l’opera d’arte non è assoggettata a tutela

nazionale accompagnata da due fotografie81.

Si applicano le medesime previsioni ai casi di spedizione di un bene culturale nazionale verso/da un

altro Stato membro dell’Unione: in questo caso, peraltro, la base giuridica sarebbe l’art. 30 TCE (ex

art. 36) che ha trovato applicazione nel regolamento (CEE) n. 3925/91 del Consiglio del 19.12.1991

concernente l’eliminazione dei controlli e delle formalità applicabili ai bagagli a mano e ai bagagli

registrati delle persone che effettuano voli intra comunitari nonché bagagli delle persone che

effettuano una traversata marittima intra comunitaria. Pertanto anche per la circolazione intra

comunitaria deve essere richiesto il rilascio dell’attestato di libera circolazione che ha validità

triennale e sostituisce a tutti gli effetti la licenza nazionale di esportazione prevista dalla precedente

normativa. I beni sottoposti al regime di nulla osta amministrativo sono scortati da

autocertificazione e si applicano le previsioni di cui sopra in caso di esportazione «temporanea».

Le sostanziali modifiche apportate dalla legge n. 88/98 alla normativa concernente la circolazione

dei beni culturali riguardano anche le procedure relative all’importazione.

In particolare l’art. 21 introduce nella legge n. 1089 un nuovo art. 39 bis che riguarda il certificato

di importazione da un Paese Terzo o di spedizione da un altro Stato membro in Italia. Tale

certificazione sostituisce a tutti gli effetti l’attestato di libera circolazione pertanto l’eventuale

riesportazione dall’Italia di beni non coperti da tutela comunitaria, per i quali sia stata emessa detta

documentazione non è soggetta a ulteriori formalità. Al contrario, nel caso di riesportazione verso

Paesi Terzi di beni che rientrano nel campo di applicazione del regolamento «di base» devono

essere scortati dalla licenza comunitaria che sarà emessa dallo stesso Ufficio esportazione che ha

rilasciato il certificato di importazione o spedizione in Italia.

Altro profilo interessante è la fattispecie che si realizza intorno al cd «acquisto coattivo». L’art. 39

della legge n. 1089/39, come novellato dall’art. 20 della legge n. 88/98, dispone che la facoltà di

acquisto coattivo all’esportazione può essere esercitata, entro novanta giorni dalla denuncia di

esportazione in capo al Ministero o alla Regione nella quale ha sede l’ufficio esportazione al quale

la domanda è stata presentata. Dunque, se l’ufficio esportazione intende proporre l’acquisto del

bene, oltre a procedere come indicato dagli art. 139-143 del rd. n. 363/13, per quanto attiene la

comunicazione al Ministero, dovrà darne contestualmente informazione all’Assessorato competente

della Regione interessata82.

81 D’altra parte, il sistema dei nulla osta previsto dal rd n. 363/13 era incompatibile con la ratio della nuova normativa. Si aggiunga poi che il regolamento CEE n. 3911/92 dispone che debba essere autorizza l’uscita delle opere eseguite da artisti viventi rientranti nelle categorie 3 e 9 dell’allegato se esse hanno più di cinquanta anni e non appartengono più al loro autore. 82 Secondo una lettura della circolare n. 3615 del 1° aprile 1993, il silenzio del regolamento «di base» circa l’ipotesi di acquisto coattivo, aveva ricondotto una forma di consenso tacito all’abolizione della fattispecie fondando tale lettura sulla convinzione che mantenere tale facoltà per lo Stato sarebbe configgente con il principio di libera circolazione intra

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La normativa fin qui illustrata ha costituito, di lì a poco, le tre sezioni del capo IV, titolo I del testo

unico in materia di beni culturali e ambientali, d.lgs n. 490/1999 in attuazione della delega di cui

alla legge 8 ottobre 1997, n. 352, dedicato alla circolazione in ambito internazionale - ad eccezione

delle norme penali, confluite nell’apposita sezione I del capo VII.

La prima sezione è dedicata ai principi generali, alle norme sul divieto di uscita (art. 65), alle

fattispecie del rilascio o del rifiuto dell’attestato (art. 66), l’acquisto coattivo (art. 68),

l’esportazione temporanea (art. 69) e l’entrata nel territorio nazionale (art. 70)83. Sia la sezione II,

riguardante l’esportazione dal territorio dell’Unione Europea, che la III relativa all’illecita uscita del

bene culturale dal territorio dello Stato membro riproducono interamente le previsioni della legge

del 198984.

In conclusione può dirsi che la legislazione italiana esaminata tende a fissare due ambiti: l’ambito

oggettivo e cioè il bene culturale dal punto di vista materiale (sarebbe arduo applicare le regola

sull’uscita o sull’attestato ad un mero concetto giuridico) e l’ambito soggettivo e dunque il bene

culturale dal punto di vista delle definizioni, delle classificazioni che ciascun ordinamento nazionale

è in grado di sviluppare. Certamente positivo lo sforzo che l’insieme delle regole esaminate hanno

prodotto in relazione ai contrasti tra diritto interno e normazione comunitaria ed al superamento del

conflitto tra - «market nations» - i sostenitori di una totale libertà degli scambi intra ed

extracomunitari e – cd «source nations» - gli Stati più ricchi di beni culturali propensi al

mantenimento della disciplina nazionale ed al potenziamento dei meccanismi di restituzione in caso

di trafugamento. Resta da valutare in che termini, il mantenimento dei principi espressione del

corpus normativo pre vigente sia ancora, non tanto ammissibile quanto opportuno dato soprattutto il

dubbio circa i limiti territoriali della discrezionalità conferita agli uffici esportazione, che,

dall’analisi effettuata, non sembra limitata neppure dalle direzioni centrali. Da qui,

comunitaria. Secondo diversa lettura, il silenzio di questo appare consequenziale all’esplicita riserva di competenza posta dall’art. 222 CE in ordine al regime patrimoniale statale per cui la permanenza della facoltà di acquisto coattivo non sarebbe mirata a ledere la liberalizzazione degli scambi, semmai a prevederne una forma di gestione. Sul tema, A. Roccella, Esportazione di beni culturali e facoltà di acquisto dello Stato, in Riv. it. dir. pubb. Com. 1992 p. 954 ss. 83 Le maggiori innovazioni si hanno: per l’ acquisto coattivo, in quanto si conferma il potere anche alle Regioni nei termini illustrati in precedenza, sull’uscita temporanea regime superato già dalla legge n. 237 del 1999, circa l’ingresso dei beni culturali essendo omesso il 4° co. del corrispondente art. 21 della legge n. 88, perché possibile fonte di infrazione comunitaria (disponeva la validità quinquennale del certificato di avvenuta spedizione in contrasto con la validità triennale dell’attestato di libera circolazione che da quello, in tale ipotesi, è sostituito ad ogni effetto. 84 In particolare, la sezione II consiste del solo art. 72 recante il raccordo fra il regolamento «di base» ed il sistema di fonti nazionali, mentre la sezione III aggiunge negli art. 74, 1° co. (sull’indicazione degli organi ed enti pubblici che collaborano con il Ministero per la restituzione dei beni agli altri Stati) e 81, 4° co. (indicante gli enti titolari dei musei ove il bene recuperato può essere collocato ) seppur già scontata dal testo precedente. Da ultimo, le tre categorie di beni (fotografie, mezzi di trasporto ecc…) che la legge del 1989, in base all’allegato comunitario, assoggettava alle sole limitazioni in ordine alla circolazione internazionale sono state collocate nell’art. 3 del testo unico, fra le «categorie speciali di beni culturali», caratterizzate dall’essere oggetto di una tutela parziale rispetto ai beni di cui all’art. 2, consistente nell’assoggettamento ai limiti di uscita.

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paradossalmente, il rischio di vanificare proprio i contenuti di cui sopra con un’eccessiva

espansione dell’ambito delle opere ritenute meritevoli di tutela.

Ulteriori modifiche al testo unico sono state apportate dal d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42 c.d. «Codice

dei beni culturali e paesaggistici»85 che rappresenta la prima riforma organica della materia86.

Ad un primo sguardo, il «Codice» riproduce quasi integralmente le tre sezioni del testo unico del

1999 inserendole nel titolo I relativo alla tutela. L’impianto del testo unico è mantenuto, infatti, sia

relativamente alla distinzione tra beni culturali sottoposti in via generale alle norme in materia di

tutela e beni culturali oggetto di specifiche disposizioni di tutela, sia per quanto riguarda la

dichiarazione di interesse culturale di beni appartenenti a privati, sebbene vengano introdotte

importanti novità al sue interno. In particolare, il capo V - «uscita dal territorio nazionale e ingresso

nel territorio nazionale»87 si compone di quattro sezioni, che regolano: l’uscita dal territorio

nazionale e l’ingresso nel territorio nazionale dei beni culturali (sezione I), la loro esportazione dal

territorio dell’Unione europea (sezione II), la restituzione di beni culturali illecitamente usciti dal

territorio di uno Stato membro dell’Unione europea (sezione III), l’attuazione degli impegni degli

impegni assunti con la convenzione Unidroit (sezione IV) di cui tratteremo in seguito.

La sezione I è quella che concentra le maggiori novità rispetto alla disciplina vigente, dettata dagli

art. 65 – 70 del testo unico. Si è intervenuto, in primo luogo, sulla struttura di detta partizione,

riordinando gli articoli secondo un criterio più razionale; in secondo luogo, sul contenuto delle

disposizioni introducendo, peraltro, l’istituto dell’attestato di circolazione temporanea.

L’art. 65 stabilisce il divieto di uscita dal territorio nazionale dei beni culturali elencati per tipologie

puntuali88, nonché di quelli pubblici o di enti privati e senza finalità di lucro, purché non siano

un’opera di un autore vivente o la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, prima che ne sia

stato verificato l’interesse culturale (2° co. lett. a)). In presenza di accertati motivi di dannosi per il

patrimonio culturale nazionale, il Ministero può vietare l’uscita dal territorio nazionale per un

tempo determinato di beni che rientrino nelle categorie di cui all’art. 10, 3° co., a chiunque

appartengano (2° co., lett. b)). Viceversa è soggetta ad autorizzazione preventiva l’uscita definitiva

delle cose di proprietà privata che non siano opera di autore vivente, siano stati eseguiti almeno 85 G.U. n. 28 del 24 febbraio 2004. 86 Salvo che per la natura della delega normativa – nel 1997 di natura sostanzialmente «compilativa e di pura razionalizzazione formale della disciplina vigente» (relazione ministeriale illustrativa per il Codice in esame) - qui di maggior ampiezza e per la finalizzazione non già di un mero intervento di riordino, ma al riassetto» sembrerebbe vero anche per il nuovo corpus normativo, quanto affermato dalla relazione ministeriale illustrativa per il Testo Unico del 1999 e dunque che sono stati apportati i «necessari adattamenti nella formulazione e nella successione delle norme, per esigenze sistematiche, nonché (agli) aggiornamenti, nelle parti a contenuto organizzativo, per effetto delle innovazioni introdotte […]» dalla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, «Modifiche del Titolo V della parte seconda della Costituzione» e dalla Convenzione europea di Firenze 2000 sul paesaggio. 87 Il Capo V è situato nella Parte Seconda del Codice (artt. 10 – 130) dedicata ai beni culturali ed articolata in tre titoli aventi ad oggetto la tutela (artt. 10 – 100), la fruizione e la valorizzazione (artt. 101 – 127), nonché norme transitorie e finali (artt. 128 – 130). 88 Trattasi delle cose e dei beni considerati come «beni culturali» dall’elenco predisposto nell’art. 10, commi 1°, 2° e 3°.

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cinquanta anni fa il cui interesse culturale non sia ancora stato determinato e beni culturali indicati

per tipologie puntuali89. Gli artt. 66 e 67 prevedono casi di autorizzazione all’uscita temporanea di

beni e cose culturali trattate specificamente dall’art. 69 del d.lgs in esame90. In particolare, l’art. 66

consente, previo assenso e a condizione che non ne siano compromesse l’integrità e la sicurezza,

l’uscita temporanea dal territorio nazionale per fini espositivi, sia dei beni culturali soggetti al

divieto di uscita definitiva, sia di cose che, pur avendo interesse culturale, non sono state ancora

oggetto di valutazione, c.d. «dichiarazione»91. Può dirsi che la disposizione è in linea con il

principio fondamentale in tema di gestione e valorizzazione delle opere d’arte per cui ogni

intervento che riguardi beni culturali non deve nuocere alla materialità dello stesso o fornire

precedenti alla sua sottrazione dal patrimonio culturale comune. L’art. 67, prevede l’ipotesi di uscita

temporanea delle cose e dei beni alle condizioni di cui all’art. 66 – salvo che è prevista

un’autorizzazione al posto dell’assenso - ma per essere utilizzati da soggetti con incarico

diplomatico o istituzionale, presso organizzazioni internazionali tale da comportare l’obbligo del

trasferimento all’estero oppure l’uscita temporanea segua ad accordi culturali con istituzioni

mussali straniere a condizione di reciprocità92. La novità evidente, come si è detto, è l’introduzione

all’art. 71, dell’«Attestato di circolazione temporanea» secondo gli artt. 66 e 67. È previsto un

89 Di cui all’art. 11 relativo ai «Beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela» e, nel caso, trattasi delle fotografie e gli esemplari delle opere cinematografiche, le documentazioni di manifestazioni sonore o verbali comunque registrate aventi più di venticinque anni (lett. f), i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni (lett. g), i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquant’anni (lett. h) (3° co.). Per l’uscita di questi ultimi beni è previsto un procedimento autorizzatorio che si conclude con il rilascio o il diniego dell’attestato di libera circolazione ovvero con l’acquisto coattivo da parte del Ministero o della Regione nel cui territorio ha sede l’ufficio esportazione al quale il bene è stato presentato (artt. 68 e 70). Al riguardo, è altresì indicata una procedura di consultazione interna tra l’ufficio esportazione e i competenti uffici del Ministero (la Direzione generale competente per materia) o della Regione interessata atta a fornire dei criteri minimi di valutazione agli uffici esportazione. Di rilievo, tra gli effetti dell’eventuale diniego, l’avvio del procedimento di dichiarazione ai sensi dell’art. 14 e la legittimazione al ricorso amministrativo.. 90 È ammesso ricorso amministrativo «entro i successivi trenta giorni, al Ministero, per motivi di legittimità e di merito» (art. 69, 2° co.). Inoltre, «dalla data di presentazione del ricorso amministrativo e fino alla scadenza del termine di cui al comma 2, il procedimento di dichiarazione è sospeso, ma i beni rimangono assoggettati alla disposizione di cui all’art. 14, comma 4. Qualora il Ministero accolga il ricorso, rimette gli atti all’ufficio esportazione, che provvede in conformità nei successivi venti giorni» (3° e 4° co.). Per completezza, nella disciplina esposta di regolazione dell’uscita temporanea sono confluite le disposizioni in materia di uscita temporanea del bene dal territorio nazionale contenute nell’art. 40 della legge n. 1089/1939 (come sostituito dall’art. 22 della legge 30 marzo 1998, n. 88), accompagnate da talune norme delle leggi 2 aprile 1950, n. 328 (artt. 1 – 5) e 8 ottobre 1997, n. 352 (art. 2). Deve, altresì, precisarsi che il Testo Unico del 1998 non contempla la legge 12 luglio 1999, n. 237 recante «Istituzione del Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee e di nuovi musei, nonché modifiche alla normativa sui beni culturali ed interventi a favore delle attività culturali», il cui art. 9 ha ancora una volta riformato l’art. 40 prevedendo insieme alla fattispecie principale «uscita temporanea per manifestazioni, mostre o esposizioni d’arte di alto interesse culturale» ulteriori casi di uscita seppur limitatamente a date tipologie di beni e con modalità differenziate da caso a caso. E proprio perché non sono contemplati nel Testo Unico del 1998, questi casi sono stati trattati nel d.lgs in esame, in modo separato e dunque inseriti nell’art. 67 intitolato «Altri casi di uscita temporanea». 91 Si tratta dei beni e cose indicate all’art. 65, comma 1°, 2° lett. a) e 3°). Utile la precisazione che, tale previsione rispetta l’ambito operativo indicato dall’art. 40 della legge del 1939 sostituito dal testo unico del 1998. 92 Non è prevista alcuna autorizzazione per l’uscita dei mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni che debbano partecipare a mostre, raduni internazionali (2° co.), ameno che non siano stati autorizzati dal provvedimento di autorizzazione ai sensi dell’art. 13.

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procedimento ad hoc che ha inizio con la presentazione e la denuncia – con relativa indicazione di

valore venale, l’assicurazione per tale valore e la designazione del responsabile all’estero93 - delle

cose e dei beni (indicati negli art. 66 e 67) che si intendono far uscire in via temporanea da

presentarsi all’ufficio esportazione competente. Tale ufficio, entro quaranta giorni – fermo restando

che in alcuni casi (artt. 66 e 67 lett. b) e c)) si segue la procedura speciale di «autorizzazione per

mostre ed esposizioni» (art. 48) - risponderà all’interessato con il rilascio o il diniego dell’attestato

contro i quali «è ammesso ricorso amministrativo» (2° co.). Qualora, peraltro, le cose e i beni in

oggetto siano rilevanti come «beni culturali» ai sensi dell’elenco nell’art. 10 del d.l.gs in esame,

oltre all’eventuale rilascio dell’attestato, sarà attivato, contestualmente, «il procedimento per la

dichiarazione dell’interesse culturale, anche su motivata richiesta della Regione e di ogni altro ente

territoriale interessato, previa comunicazione al proprietario a qualsiasi titolo della cosa che ne

forma oggetto» (art. 14, 1° co.). Da ultimo, speciali condizioni sia per «l’uscita temporanea» che

per «l’ingresso nel territorio nazionale» sono previste, agli art. 71 e 72, per opere - a chiunque

appartenenti - che presentino interesse culturale, siano lavori di autore non più vivente e la cui

esecuzione risalga a non oltre cinquanta anni oltre che per i beni oggetto di specifiche disposizioni

di tutela di cui all’art. 11, lett. f), g) e h))94. La sezione II relativa, come già rilevato,

all’«Esportazione dal territorio dell’Unione europea» è costruita in gran parte sulle normative

comunitarie di riferimento già esaminate identificate nell’art. 73 ed attuate, con specifico

riferimento al regolamento CEE n. 3911/92 del Consiglio. La sezione III, relativa alla «Restituzione

di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro dell’Unione europea» è

dedicata, ovviamente, all’attuazione della direttiva 93/7CEE del Consiglio in linea con gli omologhi

articoli del testo unico del 1998, salvo talune correzioni. In particolare si disciplinano i presupposti

alla restituzione (art. 75), l’assistenza e collaborazione a favore degli Stati membri dell’Unione

europea (art. 76), l’azione di restituzione (art. 77), i termini di decadenza e di prescrizione

dall’azione (art. 78), indennizzo (art. 79), il pagamento dell’indennizzo (art. 80), gli oneri per

l’assistenza e la collaborazione (art. 81), l’azione di restituzione a favore dell’Italia (art. 82), la

destinazione del bene restituito (art. 83), informazione alla Commissione europea ed al Parlamento

nazionale (art. 84), la banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti (art. 85), gli accordi con gli

93 È previsto, peraltro, che «per le mostre e le manifestazioni promosse all’estero dal Ministero o, con la partecipazione statale, da enti pubblici, dagli istituti italiani di cultura all’estero o da organismi sopranazionali, l’assicurazione può essere sostituita dall’assunzione dei relativi rischi da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 48 comma 5° e 6°». 94 In particolare, l’uscita temporanea «è garantita mediante cauzione, costituita anche da polizza fideiussoria emessa da un istituito bancario o una società di assicurazione per un importo superiore del dieci per cento al valore del bene o della cosa, come accertato in sede di rilascio dell’attestato» (art. 71, 8° co.). Tale cauzione non è ammessa per i beni dello Stato e delle amministrazioni pubbliche e qualora i beni o le cose non rientrino nel tempo stabilito, è trattenuta dall’amministrazione interessata.

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altri Stati membri dell’Unione europea per la reciproca conoscenza del patrimonio culturale (art.

86).

La sezione IV riguarda il ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati e

richiama le norme della convenzione Unidroit e delle relative leggi di ratifica ed esecuzione.

1.3 le azioni e i programmi

Come osservato in precedenza, le recenti vicende che hanno caratterizzato il cammino dell’Unione

europea hanno fatto emergere nuovamente l’esigenza di approfondire e sviluppare i temi

strettamente connessi alla cultura. D’altra parte se da un lato prevalgono le tendenze

particolaristiche nella storia dei diversi Stati membri, dall’altro spinte dettate soprattutto da ragioni

economico finanziarie conducono verso un contesto evidentemente sopranazionale cui,

naturalmente, l’Unione europea è orientata.

Una maggiore apertura verso la ricerca di una linea politica comune appare evidente dall’azione

delle istituzioni della Comunità; significativo, peraltro, come lo stesso Consiglio abbia fatto appello

agli Stati ed alla Commissione affinché pongano la cultura al centro delle loro politiche di

integrazione europea, secondo il modello descritto della complementarità tra azione comunitaria e

azione nazionale che si esprime, per lo più, in atti di tipo esortativo e persuasivo. Il Consiglio - tanto

in seduta generale che in composizione competente in materia culturale - adotta risoluzioni e

raccomandazioni che riguardano future azioni comunitarie, sicché le riunioni periodiche dei ministri

della Cultura in seno al Consiglio e le sedute della Commissione parlamentare per la cultura,

politiche giovanili, educazione, media e sport, sembrano costituire l’unico momento di riflessione

comune e di programmazione delle politiche culturali. Pertanto la Commissione relazioni

annualmente al Parlamento, sia in sede di relazione generale che separata, sulla dimensione

culturale delle principali azioni comunitarie verificando l’attuazione del trattato sia nelle sedi

comunitarie che nazionali, si avverte la necessità che date competenze tecniche o semplicemente di

supporto informativo per gli Stati membri, siano esercitate da un organo intergovernativo autonomo

ad hoc95.

La rinnovata attenzione delle istituzioni comunitarie per il settore culturale è comunque evidente

laddove si consideri il lavoro congiunto di Consiglio e Commissione finalizzato all’elaborazione di

un piano d’azione comunitario nei settori del patrimonio culturale. Si è reso, pertanto, necessario

progettare e sviluppare una vera e propria strategia nel segno di una rinnovata coscienza europea in 95 Cfr., al riguardo, il Capo IV della relazione generale 2002 sull’attività dell’Unione europea pubblicata dalla Commissione ai sensi dell’art. 212 del Trattato e presentata al Parlamento nel febbraio dello stesso anno.

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grado di promuovere, anche nel settore culturale, un «idem sentire che non può essere astratto da

tutti quei beni culturali che rappresentano la testimonianza tangibile di una memoria comune»96. Il

contributo apportato dall’Unione – come risulta dall’art. 151 TCE, dalla Carta di Nizza e dal

Progetto di trattato costituzionale europeo – è nel rispetto «dei diritti derivanti dalle tradizioni

costituzionali», degli impegni assunti dai Governi nazionali in Europa e nel resto del mondo e «nel

rispetto delle competenze e dei compiti della Comunità e dell’Unione e del principio di

sussidiarietà». E l’approccio seguito è la collaborazione come contributo e mai sostituzione

dell’apparato comunitario alle strutture statali.

Nell’ambito di tale strategia coordinata rilevano svariate forme di azione comunitaria: interventi

generali di finanziamento, ma anche programmi mirati riguardanti direttamente il settore culturale e

dunque il «patrimonio storico – artistico archeologico» o settori specifici (audiovisivo, sviluppo

tecnologico, ecc..) spesso integrati alle politiche sociali e regionali dei singoli Stati membri97.

96 Così, M. Ainis e M. Fiorillo, Beni culturali in S. Cassese, Tr. dir. amm., 2003, p. 1491. 97 Si pensi, ad esempio, agli interventi comunitari in tema di progresso tecnologico applicato ai settori classici d’interesse culturale come la tutela della lettura o la promozione delle arti visive e figurative. Per il primo settore, la Comunità è intervenuta: nel 1989 (risoluzione del Consiglio e dei ministri responsabili degli affari culturali riuniti in sede di Consiglio del 18.5.1989, GU C183 del 20.7.1989) con otto azioni a promozione del libro tra le quali la guida dell’autore e del traduttore (status giuridico, sociale e fiscale), il programma (1989 – 1992) per la pubblicazione di statistiche eseguito in collaborazione con l’Unesco ed il Consiglio d’Europa, il premio letterario europeo (migliori traduzioni di opere letterarie), il progetto pilota di aiuto finanziario alla traduzione di opere letterarie; nel 1999 (risoluzione del Consiglio dell’8.2.1999 relativa ad un sistema di prezzi fissi per i libri in zone linguistiche omogenee transfrontaliere, GU C42 del 17.2.1999) sulla base della decisione del Consiglio del 22.9.1997, concernente un sistema transfontaliero di prezzi fissi per i libri in zone linguistiche europee (GU C305 del 7.10.1997) per incentivare la Commissione «a tener conto, nell’applicazione delle regole europee di concorrenza agli accordi in vigore nelle zone linguistiche tranfrontaliere delle disposizioni e degli effetti dell’art. 128, par. 4, TCEE, delle caratteristiche specifiche del mercato librario per la cultura e del valore specifico del libro come oggetto culturale […]»; nel 2001 (risoluzione del Consiglio del 12.2.2001 relativa all’applicazione dei sistemi nazionali di fissazione del prezzo dei libri (GU C73 del 6.3.2001) sulla base della decisione del 21.8.1997 e della risoluzione dell’8.2.1999, «riecheggiata dal Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999, ha riconosciuto […] la necessità di una valutazione equilibrata degli aspetti culturali e economici del libro […] rammentando la libertà di ciascun Stato membro, nella propria politica a favore del libro e della lettura, di scegliere o meno un sistema nazionale di prezzi dei libri sotto forma legislativa o contrattuale» come invito alla Commissione «a tener conto, nell’applicazione delle norme in materia di concorrenza e di libera circolazione delle merci, del valore culturale del libro […] a prestare particolare attenzione all’atto dell’esame delle normative e degli accordi nazionali in materia di prezzo fisso del libro, ove essi influiscano sugli scambi tra Stati membri»; nel 1995 e nel 1996 (risoluzioni del Consiglio del 4.4.1995, concernente la cultura e i mezzi multimediali (GU C247 del 23.9.1995) e del 26.7.1986 concernente la pubblicazione elettronica delle biblioteche (GU C242 del 21.8.1996) data la società dell’informazione come opportunità straordinaria di sviluppare un’industria di programmi i cui contenuti tengano conto della ricchezza e della diversità culturale e linguistica che caratterizzano l’Europa e che – per la risoluzione del 1995 - «i mezzi multimediali possono consentire l’accesso a un maggior numero di persone […] data l’esigenza di prodotti di qualità in grado di concepire nuove forme di espressione rendendo compatibili norme e formati per agevolare gli scambi dei dati […]» e che – per la risoluzione del 1996 - «le biblioteche costituiscono una delle basi fondamentali delle innovazioni e dei progressi attuali […] in quanto intermediari privilegiati tra il mondo del sapere e quello delle nuove tecnologie» invitando – in entrambi i casi - la Commissione a relazionare il Consigli sulla situazione del mercato multimediale culturale e delle biblioteche in Europa ed a costituire un gruppo di esperti incaricati di esaminare condizioni tecniche e giuridiche di cooperazione e di collegamento in rete di istituzioni culturali operanti nello stesso settore […] studiare le possibilità di promuovere l’accesso delle istituzioni culturali alle azioni e ai programmi futuri»; nel 2003 (risoluzione del Consiglio del 6.5.2003 sugli archivi negli Stati membri (GU C113 del 13.5.2003) sulla base della risoluzione del Consiglio del 14.10.1991 sull’organizzazione degli archivi (GU C314 del 5.12.1991) e le conclusioni del Consiglio del 17.6.1994 per una maggiore cooperazione nel settore degli archivi (GU C235 del 23.8.1994) come invito alla Commissione a incaricare un gruppo di esperti per studiare la situazione degli archivi pubblici […], le conseguenze degli sviluppo verificatisi negli ultimi anni nel settore dell’archivistica tra cui in

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Promozione e valorizzazione dei beni culturali costituiscono cioè veicolo privilegiato per lo

sviluppo dei sistemi locali. Gli interventi in materia culturale hanno in ogni caso finito con

l’assumere la veste di strumenti finalizzati ad assicurare la sostenibilità dello sviluppo socio-

economico attraverso la riduzione del divario dei livelli di sviluppo tra le varie regioni.

Sotto il primo aspetto, e tramite lo strumento dei fondi strutturali, si promuovono progetti tesi alla

valorizzazione del patrimonio culturale di aree depresse o a forte declino economico. In proposito,

le risorse culturali sono entrate a pieno titolo a far parte del Programma di sviluppo del

Mezzogiorno, elaborato dal CIPE ai fini della programmazione dei fondi strutturali comunitari

2000-2006, così come del Quadro comunitario di sostegno per le regioni italiane rientranti nel così

detto Obiettivo 198. Di recente, la Commissione ha elaborato una proposta di decisione per

l’istituzione di un «programma d’azione comunitaria per la promozione degli organismi attivi a

livello europeo nel settore della cultura»99 allo scopo di dare una base giuridica a interventi che

rischiavano di esserne sprovveduti. La Commissione ha rilevato, infatti, che «le attività delle

organizzazioni d’interesse culturale europeo sostenute dall’Unione europea […]» sono state

concesse senza una base giuridica, ma tramite «linee di bilancio iscritte fra le spese di

funzionamento amministrativo della Commissione» e che, soprattutto vi è l’urgenza di «assicurare

un’adeguata stabilità e continuità dei finanziamenti, a norma del nuovo regolamento finanziario,

alle istituzioni cui la Comunità ha assegnato un sostegno finanziario negli anni precedenti»100.

Oggetto del programma in esame, attuato per il periodo tra il 1° gennaio 2004 e il 31 dicembre

2008, sono le attività costituenti il programma di lavoro permanente di organismi che perseguono

un obiettivo d’interesse generale europeo nel settore della cultura o un obiettivo che si inserisce nel

quadro della politica dell’Unione europea, oppure azioni comunitarie nel medesimo settore (art. 1).

I destinatari del programma – e dunque della sovvenzione – sono persone giuridiche attive da più di

due anni e senza scopo di lucro nel settore culturale la cui attività sia principalmente d’interesse

particolare lo sviluppo delle nuove tecnologie […], la promozione del coordinamento e della condivisione dell’informazione e dello scambio di buone prassi tra i sevizi di archivistica». Per il secondo settore, gli interventi significativi si sono avuti nel 1986 (risoluzione del Consiglio e dei ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio del 13.10.1986 sull’anno europeo del cinema e della televisione programmato (GU C320 del 13.12.1986) e nel 2000 (risoluzione del Consiglio del 26.6.2000 relativa alla conservazione e valorizzazione del patrimonio cinematografico europeo (GU C193 del 11.7.2000). 98 Tra le applicazioni si pensi, nell’ambito della legislazione comunitaria in vigore in materia ambientale, ai numerosi programmi volti alla protezione delle città, della loro architettura, dei loro spazi e del loro ambiente, come le iniziative Urban (COM (1999) 477 del 13.10.1999) e Urban II (GU C141 del 19.05.2000) in cui si scommette sul restauro urbano sottolineando che il patrimonio storico urbano e architettonico fa parte dell’ambiente e si raccomanda non solo la «protezione e il ripristino degli edifici e degli spazi aperti nelle zone degradate», ma anche la conservazione del patrimonio storico e culturale. 99 Trattasi della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio COM/2003/275 presentata dalla Commissione il 27.5.2003. 100 Regolamento CE/Euratom 1605/2002 del Consiglio, del 25.6.2002 che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee che vincola alla dotazione di un atto di base ogni azione intrapresa ai sensi del Trattato.

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pubblico, sia aderente ai principi base dell’azione comunitaria nel settore culturale, sia certificata da

esperti contabili riconosciuti. Le attività di questi organismi suscettibili di contribuire al

rafforzamento e all’efficacia dell’azione comunitaria nel settore della cultura riguardano «la

rappresentanza dei soggetti interessati a livello comunitario, la diffusione di informazioni

sull’azione comunitaria, la messa in rete a livello europeo degli organismi attivi nel settore della

cultura, la rappresentanza e l’informazione delle comunità linguistiche regionali e minoritarie

dell’Unione europea, la ricerca e la diffusione di informazioni nei settori della legislazione,

dell’istruzione e dei mezzi di comunicazione e la presentazione dei principali siti e degli archivi in

relazione con la deportazione simboleggiata dei memoriali eretti nei campi di concentramento

nazisti nonché alla preservazione del ricordo delle vittime nei siti stessi»101. Infine, si può

evidenziare come la proposta chiarisca le motivazioni dell’intervento comunitario a partire da

obiettivi generali quali «l’unione sempre più stretta fra i popoli europei e di contribuire al pieno

sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionalei e regionali,

evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune» che il Trattato pone tra le missioni

dell’Unione, fino al «Libro Bianco sulla governance europea» che raccomanda il principio del

coinvolgimento della società civile e delle organizzazioni che la compongono e la «Dichiarazione di

Laeken», allegata alle Conclusioni del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre 2001,

sull’avvicinamento tra cittadini e progetto europeo102.

Sotto il secondo aspetto, gli interventi sono fortemente connotati in chiave promozionale e dopo i

programmi «Arianna», «Calendoscopio» e «Raffaello»103 un posto in primo piano al settore

culturale è stato dedicato con il programma «Cultura 2000». L’Obiettivo comune è incoraggiare la

cooperazione tra gli Stati membri promuovendo la diffusione della cultura attraverso l’elaborazione

di progetti è diversamente perseguito a seconda delle azioni predisposte e dei tempi disponibili. Tra

le azioni di «Arianna», ad esempio, troviamo il «sostegno alla traduzione di opere letterali di qualità

del XX secolo» (punto 1), l’incentivazione di «progetti di cooperazione (riunioni, manifestazioni,

azioni pilota di cooperazione e scambi) finalizzati alla promozione e all’accesso di cittadini al libro

e alla lettura» (punto 2) al «perfezionamento degli operatori al fine di promuovere la conoscenza

reciproca e la diffusione delle letterature», «Calendoscopio» viceversa, è orientato verso interventi

su larga scala e tali da coinvolgere il numero più ampio di nazioni, ponendo accento a concetti del

tutto innovativi quali la rete di collaborazioni, rapporti, contatti che deve caratterizzare Stati membri

101 Così l’allegato alla proposta di decisione al punto 1. 102 Così l’allegato alla proposta di decisione al punto 5. 103 Il programma «Arianna» è stato istituito con decisione n. 2085/97/CE, per il periodo 1997-1998 (protratto per un anno) e con dotazione finanziaria pari a 7 milioni di euro, «Calendoscopio», istituito con decisione n. 719/96/CE per il periodo di tra anni e poi prolungato di uno, con una dotazione finanziaria pari a 34,4 milioni di euro e il programma «Raffaello» è stato istituito con decisione n. 2228/97/CE adottato per tre anni (1997 – 2000) con una dotazione globale pari a 30 milioni di euro.

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ed Unione. Da questo punto di vista, seppure l’assenza di un elemento strutturante le partnership ha

reso difficile lo sviluppo nell’immediato della rete di cooperazione sviluppando contrariamente da

un lato una certa dispersione di risorse in bilancio ed azioni relative, non se ne può trarre un

giudizio totalmente negativo. Infine «Raffaello» forse il più ricco in termini di azioni a sostegno

degli obiettivi prefissati - «cooperazione per lo scambio di esperienze e lo sviluppo di tecniche

applicate al settore dei beni culturali» (punto II), «innovazione e nuove tecnologie» (punto II a),

«mobilità e perfezionamento dei professionisti» (punto II b), «sostegno a progetti di cooperazione

tra istituzioni e/o operatori del settore ricorrendo ai sistemi e ai prodotti multimediali o ad altre

forme di comunicazione» (punto III a), «cooperazione con i Pesi Terzi e con le organizzazioni

internazionali» (punto IV) – e finalizzato a incoraggiare la conservazione e il restauro dei beni

culturali – che formano l’oggetto specifico del programma – contribuendo alla loro valorizzazione,

promuovendone la conoscenza stimolando la partecipazione attiva dei cittadini. È significativo,

peraltro, che per questo programma l’Unione europea, nel quadro del processo di allargamento in

atto, abbia significativamente aperto le adesioni anche ai paesi associati dell’Europa centrale ed

orientale, nonché a Cipro, Malta, Islanda, Norvegia e Liechtenstein, nonché ad altri paesi terzi che

hanno stipulato con l’Unione europea accordi di associazione o di cooperazione in materia104.

L’emanazione dei tre programmi ha dato il via ad una fase sperimentale, preparatoria rispetto

all’adozione del programma «Cultura 2000» durante la quale sono state immaginate tre azioni poi

riprese dal medesimo programma nei quattro settori di intervento: miglioramento della conoscenza

e della diffusione della cultural e della storia europea; conservazione e tutela del patrimonio

culturale d’importanza europea; gli scambi culturali non commerciali; la creazione artistica e

letteraria anche nel settore audiovisivo105. La nuova impostazione comunitaria in campo culturale fa

104 Ad un’analisi condotta nel 1999, per il programma «Arianna» sono stati selezionati 290 progetti, di cui 51 italiani, per «Calendoscopio» e su 758 proposte, sono stati pre selezionati 441 progetti, dei quali solo 119 sono stati finanziati per un totale di 8.171.394 euro, ed infine per il programma «Raffaello, le proposte di progetto raccolte sono state 428 e le selezionate 224 tra cui 58 da finanziare al 50% dell’importo totale, per un complessivo di 6.454.298 euro. Il totale degli operatori coinvolti è di 3500 unità e, nel loro complesso, i tre programmi hanno consentito la valorizzazione di manifestazioni nel settore della danza e del teatro (182), della musica dell’opera (125) e in altri settori (204) ed offerto una maggior diffusione delle opere letterarie (218) nonché di conservare e restaurare siti o edifici (200) che rientrano tra i beni culturali di rilievo europeo. 105 Inoltre, con un sistema di partecipazione orizzontale - che oltre a coinvolgere le istituzioni comunitarie e gli Stati membri giungeva fino ai c.d. “operatori di settore” (artisti, case di moda, di spettacolo, compagnie, galleristi, collezionisti, ecc…) riuniti il 21 e 23 gennaio del 1998 a Bruxelles nel corso del Forum culturale dell’Unione Europea - è stata predisposta una precisa serie di raccomandazioni proprio al fine di avviare il programma quadro della cultura (v., anche, XIX considerando della decisione istitutiva del programma «Cultura 2000»). Tra le priorità designate dalle raccomandazioni: rimediare all’eccesso di rigidità sei precedenti programmi culturali che prevedevano un’eccessiva frammentazione finanziaria; urgenza di considerare la cultura come elemento centrale, come valore fondamentale per l’Europa, come forza motrice di coesione sociale; necessità di considerare la cultura la carta vincente per le relazioni esterne dell’Unione. Si evidenzia, inoltre, che le linee direttrici per l’azione comunitaria nel settore culturale erano già state oggetto di precedenti atti tra i quali, le conclusioni dei ministri della cultura in sede di Consiglio del 12.10.1992, sulle linee direttrici per l’azione comunitaria nel settore culturale (GU C336 del 19.12.1992) e le conclusioni del Consiglio del 10.10.1994 in merito alla comunicazione della Commissione su l’azione comunitaria nel settore culturale (GU C347 del 9.12.1994).

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perno su alcuni obiettivi comuni quali la valorizzazione dello spazio culturale comune agli europei,

il rispetto delle diversità culturali, la creatività all’interno dello spazio culturale ed il contributo

europeo alla diffusione della cultura nel mondo. Da questo punto di vista, il programma si pone in

linea con l’assetto che l’art. 151 impone a qualsivoglia genere di azione comunitaria in materia: la

necessità di sviluppare un approccio globale tramite un supporto economico – finanziario anche di

natura programmatica. Altro tentativo è quello di superare il limite più evidente dei tre programmi

precedenti ovvero l’assenza di un sistema unico di riferimento nel quale fossero già presenti delle

linee guida in grado di orientare o sviluppare idee, contatti, progetti, scambi tra i vari ambienti della

cultura che dal medesimo sistema venivano indirettamente interessati.

Il programma denominato «Cultura 2000»106 per il periodo 1° gennaio 2000 – 31 dicembre 2004 è

uno strumento di finanziamento unico di programmazione nel quale sono comprese attività e temi

già presenti nei primissimi programmi CEE e riguardanti sia l’aspetto culturale in genere, sia

l’aspetto dell’integrazione con le politiche comunitarie. Conformemente ai principi di sussidarietà e

di proporzionalità, di cui all’art. 5 del Trattato, gli obiettivi dell’azione prevista, ovvero l’istituzione

di uno strumento di finanziamento unico e di programmazione a favore della cooperazione

culturale, «non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a

motivo delle dimensioni e degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello

comunitario; la presente decisione si limita al minimo richiesto per il raggiungimento di tali

obiettivi e non va al di là di quanto necessario a tal fine»107. Tra gli obiettivi del programma la

promozione del dialogo culturale, la diffusione internazionale della cultura, nonché della

differenziazione nazionale nella consapevolezza di un substrato comune parte integrante

“dell’acquis culturale europeo”. In linea generale gli aspetti salienti di «Cultura 2000» possono

così essere riassunti:

106 Il programma «Cultura 2000» è stato istituito con decisione n. 508/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 febbraio 2000 (GUCE 305 del 10.3.2000), ma trova le sue premesse nella decisione del Consigli del 22 settembre 1997, riguardante il futuro delle azioni europee nel settore culturale e nel regolamento CE n. 1260/99 del Consiglio datata 21 giugno 1999 recante «Disposizioni generali sui fondi strutturali» per le opportunità offerte alle industrie culturali. L’intenzione è stata ripresa «in una proposta (COM(98)266) presentata nel maggio 1998 dalla Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio in conformità all’art. 151 CE e relativa al Parlamento europeo e al Consiglio e relativa all’istituzione di uno strumento unico di finanziamento e di programmazione a favore della cooperazione culturale, o programma «Cultura 2000». Scopo della proposta è l’attuazione degli obiettivi corrispondenti ai compiti affidati ala Comunità europea dal Trattato e dunque, la valorizzazione dello spazio comune agli europei dando rilievo alle caratteristiche comuni, il rispetto e la promozione delle diversità culturali, la creatività quale fonte di sviluppo durevole nell’ambito dello spazio culturale comune, il contributo della cultura alla coesione sociale, la diffusione e l’affermazione delle culturale europee nei paesi terzi e dialogo con le altre culture» (Relazione alla proposta di decisione del Parlamento e del Consiglio che modifica la decisione n. 508/2000/CE). Peraltro, anche nell’Agenda 2000, in particolare nelle conclusioni, viene evidenziata l’importanza di adottare azioni più incise concentrando i mezzi disponibili nel quadro delle politiche interne agli Stati membri, tra cui l’azione culturale. 107 Così il 19° considerando della decisione istituiva del programma «Cultura 2000».

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1. la cultura viene riconosciuta come valore intrinseco e come elemento essenziale per

l’integrazione europea intesa sia sotto l’aspetto sociale che sotto l’aspetto già rilevato della

cittadinanza;

2. la cultura viene riconosciuta come rilevante fattore economico e come elemento ultra

dimensionale che si fa spazio comune europeo diversificato e basato sulla sussidiarietà come

strumento per la cooperazione tra gli operatori e la promozione di un quadro normativo

adeguato alle attività culturali come differenziate negli Stati membri.

In modo più articolato gli obiettivi che il programma si propone consistono nel favorire la

cooperazione tra gli autori ed artisti, operatori culturali, promotori pubblici e privati, attività delle

reti culturali ed altri partner, per raggiungere gli obiettivi riportati dall’art. 1:

a) promozione del dialogo culturale e della conoscenza reciproca della cultura e della

storia dei popoli europei;

b) promozione della creatività e della diffusione transnazionale della cultura, nonché

della circolazione degli artisti, dando rilievo a persone giovani e socialmente

svantaggiate e alla diversità culturale;

c) valorizzazione della diversità culturale e sviluppo di nuove forme di espressione

culturale;

d) condivisione e valorizzazione al livello europeo del patrimonio culturale comune di

rilevanza europea; diffusine di know-how e promozione di best practices relative alla

loro conservazione e salvaguardia;

e) considerazione del ruolo della cultura nello sviluppo socio economico;

f) promozione di un dialogo interculturale e di uno scambio reciproco tra le culture

europee e quelle non europee;

g) riconoscimento esplicito della cultura in quanto fattore economico e fattore di

integrazione sociale e di cittadinanza;

h) miglioramento dell’accesso e della partecipazione alla cultura nell’Unione europea

del maggior numero possibile di cittadini108.

108 Riguardo al metodo caratterizzante la serie di azioni predisposte l’art. 6 della decisione riferisce l’esigenza di rispettare con «coerenza e complementarietà» le politiche di altri settori comunque incidenti nel terreno culturale prevedendo la possibilità di includere tra le azioni del programma progetti complementari finanziati attraverso altri programmi comunitari. L’art. 7, concernente «Paesi terzi e organizzazioni internazionali» è particolarmente significativo perché apre il programma anche alla cooperazione con altri paesi terzi che abbiano concluso accordi di associazione o di cooperazione contenenti clausole culturali, tramite appositi stanziamenti; quindi, consente l’azione congiunta con organizzazioni internazionali competenti in materia, quali l’Unesco e il Consiglio d’Europa, in base a contributi congiunti e nel rispetto delle regole di ciascuna istituzione o organizzazione finalizzate alla realizzazione delle azioni e degli eventi culturali di cui all’art. 2. L’art. 8, che disciplina «valutazione e controlli» dispone, tra l’altro, che le relazioni di valutazione devono porre in evidenza la creazione di valore aggiunto, segnatamente di carattere culturale e le conseguenze socio economiche indotte dal sostegno finanziario concesso dalla Comunità. Con tale

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Nella fase di predisposizione dei progetti dovrà, poi, considerarsi la duplice impostazione adottata

dalla Commissione e cioè in senso orizzontale e verticale. La prima direzione mira a promuovere le

sinergie tra i diversi settori e a sviluppare la creazione culturale, incentivando le attività

transettoriali ed appoggiando attività comuni in grado di coinvolgere politiche e programmi

comunitari diversi. La seconda direzione segue un’impostazione settoriale orientata alla valutazione

delle esigenze specifiche di ciascun settore e senza spaziare in più di un ambito culturale109.

Tornando ad esaminare le azioni previste nel programma si può osservare, innanzitutto, come siano

in sostanza la riproposizione delle azioni già individuate nel programma sperimentale, salvo alcune

modifiche. Sono previste tre tipologie di interventi ed i progetti sono aperti alla «partecipazione dei

paesi dello spazio economico europeo, a Cipro, ai paesi associati dell’Europa centrale ed ai Paesi

terzi che abbiano concluso accordi di associazione e cooperazione che contengano clausole

culturali. Il programma «Cultura 2000» permette, inoltre, la cooperazione con le organizzazioni

internazionali competenti nel settore della cultura, come l’Unesco o il Consiglio d’Europa» (art. 9).

Le azioni riguardano tre generi di attività:

1) azioni specifiche innovative e/o sperimentali che coinvolgano almeno tre

Stati partecipanti al progetto «Cultura 2000» di un anno, prorogabile per

altri due anni, e finanziati al 60% del costo totale;

2) azioni integrate nel quadro di accordi di cooperazione culturale

transnazionale strutturata e pluriennale: si tratta di azioni svolte sulla base

di accordi di cooperazione culturale nei quali siano coinvolti almeno 5 Stati

partecipanti al programma «Cultura 2000» di massimo tre anni e finanziati

al 60% del budget di accordo di cooperazione;

3) eventi culturali speciali con una risonanza europea o internazionale: questa

parte del progetto sostiene l’organizzazione di manifestazioni di rilievo disposizione si fornisce un criterio interpretativo decisivo per gli operatori al fine di presentare progetti in grado di attirare l’approvazione dei valutatori ed ottenere il finanziamento. 109 In particolare:

a) il settore della musica, delle arti dello spettacolo, plastiche e visive, dell’architettura, della fotografia, della cultura per l’infanzia e l’arte di strada tramite, ad esempio, la promozione degli scambi, la cooperazione tra operatori culturali, il miglioramento delle opportunità di formazione e perfezionamento degli stessi e la loro circolazione in Europa.

b) Il settore dei libri, della lettura e della traduzione, per mezzo, ad esempio, degli scambi culturali e la cooperazione interistituzionale aperta ai Paesi terzi, la promozione della mobilità ed il perfezionamento degli operatori nel settore del libro e della lettura, la promozione della diffusione del libro e della lettura, particolarmente fra i più giovani e nei settori più svantaggiati della società.

c) Il settore del patrimonio culturale di importanza europea, in particolare tra il patrimonio intellettuale e non, i beni mobili e immobili, il patrimonio archeologico ed acquatico, prefiggendosi di incoraggiare, ad esempio, progetti di cooperazione per la conservazione ed il restauro del patrimonio cultuale europeo, promuovendo lo sviluppo della cooperazione internazionale tra istituzioni e operatori, migliorando l’accesso al patrimonio incoraggiando la partecipazione attiva del pubblico, incoraggiando la mobilità e la formazione degli operatori del settore, incentivando la cooperazione internazionale per elaborare nuove tecnologie e innovazioni nei settori del patrimonio, nonché per la conservazione delle attività e dei metodi artigianali tradizionali ecc…

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europeo quali «capitale europea della Cultura» ed il «mese culturale

europeo» come pure seminari e premi europei nei diversi settori culturali. Il

finanziamento degli eventi è pari al 60% del bilancio.

Nell’ambito del programma la Commissione individua anno per anno delle priorità ovvero

evidenzia gli aspetti che dovranno essere privilegiati nella predisposizione dei progetti, aspetti dei

quali si terrà ovviamente conto ai fini della successiva concessione del sovvenzionamento

comunitario110.

La Commissione ha mantenuto un atteggiamento di ascolto e di stimolazione continua

all’implementazione delle risorse progettuali in corrispondenza con le azioni stabilite dal

programma. È intervenuta cioè sia sotto il profilo delle modalità di finanziamento, sia sotto il

profilo dell’introduzione di nuove proposte soprattutto tramite gli «inviti» annuali.

Riguardo al primo tipo di intervento, la Commissione ha monitorato l’andamento complessivo del

programma, ne ha valutato l’impatto con le strutture preesistenti e con le culture di riferimento, ha

considerato gli obiettivi raggiunti ed esaminato le potenzialità nell’ottica dell’allargamento ai dieci

nuovi Stati membri, dell’elezione del nuovo Parlamento europeo e la nomina di una nuova

Commissione.

110 Ad esempio, nell’anno 2000 sono state individuate delle priorità - per ciascuna delle tre azioni sopra descritte -suddivise per settore d’interesse. In particolare, l’AZIONE 1 – relativa ad attività di partenariato o di network che associno tre Stati partecipanti al programma - nei seguenti settori: patrimonio culturale (progetti di cooperazione per valorizzare temi e correnti culturali comuni con la coproduzione e la circolazione di manifestazioni che illustrano il tema stabilito anche con l’ausilio di nuovi strumenti tecnologici e con lo sviluppo del multi linguismo, progetti di cooperazione per lo scambio e la circolazione di buone pratiche in materia di restauro, conservazione e valorizzazione del patrimonio architettonico di pubblica utilità dei secoli XIX e XX, nonché progetti per il perfezionamento degli operatori nel campo della restaurazione e della tutela del patrimonio culturale) del libro e della letteratura (progetti di traduzione di opere letterarie di autori europei pubblicate in lingua originale a partire dal 1950, che incoraggiano la circolazione delle opere letterarie, promuovendo la diversità culturale europea, progetti di cooperazione a vocazione pedagogica di edizioni di libri e prodotti multimediali in più lingue o di perfezionamento dei professionisti o di mobilità delle persone che operano nel settore del libro o della letteratura nel contesto di progetti transnazionali ecc…) delle arti dello spettacolo, delle arti visive e d applicate (progetti di perfezionamento degli artisti e delle persone che operano in campo culturale, progetti di coproduzione e circolazione di nuove forme artistiche nel campo delle arti dello spettacolo a dominante aspetto teatrale, compreso il teatro ambulante ecc..) della cooperazione nei Paesi terzi (un massimo di cinque eventi che promuovano il dialogo interculturale ed uno scambio reciproco fra le culture europee e le altre culture e si svolgano nei Paesi terzi in collaborazione con gli istituiti di cultural e/o con altri operatori culturali di interesse comune); l’AZIONE 2 – relativa agli accordi ci cooperazione in campo musicale tesi a sviluppare sinergie nel campo della cultura e dell’istruzione, della formazione, della ricerca e delle nuove tecnologie con inizio non oltre il 15 novembre 2000 e determinante interventi nei settori della coproduzione e circolazione di opere e manifestazioni, mobilità di artisti ed autori e professionisti della cultura, valorizzazione dei siti culturali e dei monumenti sul territorio comunitario per la diffusione della cultura europea ecc…; e, da ultimo, l’AZIONE 3 – a sostegno delle capitali europee della cultura con inizio non oltre il 15 novembre 2000 e riguardanti l’organizzazione di un premio europeo dell’architettura contemporanea, l’organizzazione di un premio europeo della traduzione letteraria ecc…). Si veda, proprio riguardo al patrimonio culturale urbano, architettonico e mobiliare, la decisione n. 182/1999/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 dicembre 1998 relativa la quinto programma quadro della Comunità in materia di ricerca, dimostrazione e sviluppo tecnologico (1998-2002), con la denominazione di «La città del domani e il patrimonio culturale». Questa misura è estremamente interessante in quanto riconosce la necessità che una parte dell’innovazione venga destinata al recupero di tecnologie o alla ricerca di nuove soluzioni per affrontare il futuro delle città e della loro cultura materiale.

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In vista di nuovi scenari che di certo coinvolgeranno anche il settore culturale e nell’intenzione di

confermare la continuità dell’aiuto evitando il blocco delle azioni attivate, la Commissione ha

ritenuto opportuno «il prolungamento senza variazioni del programma «Cultura 2000» agli anni

2005 e 2006»111. Fermo restando la necessità di fornire ai progetti che partiranno nel 2005 una

nuova base giuridica, la Commissione valuterà in forza dell’esperienza acquisita nei quattro anni di

attività, nuove tipologie di sostegno alla progettazione in campo culturale interessando,

all’elaborazione del nuovo programma d’azione e di cooperazione istituzionale, tutte le Parti già

coinvolte dal programma «Cultura 2000»112. Riguardo poi all’utilizzo degli «inviti» annuali, può

evidenziarsi come la Commissione abbia innanzitutto voluto informare gli Stati sugli obiettivi del

programma «Cultura 2000». In particolare, dato l’assetto e gli obiettivi fissati nel programma di

base, la Commissione ha ritenuto opportuno fornire un supporto informativo sull’attuazione rivolto

a preferire progetti finalizzati e conformati ad una serie di requisiti minimi garantendo, in tal modo

non soltanto il perseguimento degli obiettivi di fondo, ma anche il soddisfacimento di esigenze

attuali che nel lungo termine potevano essere penalizzate113. D’altra parte, se si considera che è

proprio la Commissione ad essere responsabile dell’attuazione delle azioni impostate garantendo,

tra le forme di controllo, anche la redazione annua di un documento valutativo sui risultati ottenuti,

è agevole motivare non soltanto la scelta degli «inviti» annuali, ma anche quella di prolungare al

2006.

111 Si tratta della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio 2003/0076 (COM(2003)187) del 16.4.2003 che modifica la decisione istitutiva del programma «Cultura». 112 È evidente come un nuovo programma d’azione richieda la predisposizione di un diverso quadro di sostegno. Il programma «Cultura 2000» per il periodo 2000 - 2004, aveva previsto uno stanziamento complessivo di 167 milioni di euro e, nel dettaglio, le azioni innovative e/o sperimentali specifiche destinatarie del 54%, le azioni integrate del 35%, le manifestazioni culturali integrate del 10% ed un restante 10% per le spese varie. La scheda finanziaria in allegato alla proposta determina per il periodo 2005 – 2006, uno stanziamento di 69,500 milioni di euro per i 25 (indicativo del numero degli Stati membri dopo l’allargamento) e, nel dettaglio, le azioni specifiche destinatarie di circa 29 milioni di euro, gli accordi pluriennali di cooperazione di circa 26 milioni di euro e le azioni principali di circa 11 milioni di euro. 113 Si pensi ad esempio all’invito a presentare proposte per il 2002 (2001/C 230/03, GU C 230/5 del 15.8.2001) in cui la Commissione sottolinea che al fine di «finanziare progetti qualitativamente validi volti a incoraggiare l’innovazione e la creatività, a creare un effettivo valore aggiunto europeo e che rispecchiano le attuali preoccupazioni e gli attuali interessi degli operatori culturali […] per la durata del programma si privilegeranno progetti che rientrano in tre grandi ambiti in linea con tali obiettivi: - coinvolgimento dei cittadini; nuova tecnologia/nuovi media nel campo della creatività; tradizione e innovazione: mettere in relazione passato e futuro». Peraltro, mentre per il periodo 2002 – 2003 – 2004 i primi due inviti a presentare proposte (GU C 2000/C 101/08 e GU C 2001/C 21/08) relativi al programma «Cultura» 2000 sollecitavano proposte in tutti gli ambiti dell’attività culturale, nei rimanenti tre anni del programma tale approccio verrà modificato privilegiando solo un settore di attività proprio a fronte della natura del sostegno erogato. Così, ad esempio, per il 2002 il settore da patrocinare è stato «le arti visive» moderne e contemporanee e altre forme correlate di espressione artistica (come pittura, video art, cyber art, fotografia, disegno industriale e commerciale, textile design, architettura, graphic art ecc…) senza fine di lucro. Nel 2003 il pertinente settore è stato quello delle arti dello spettacolo (teatro, danza, musica, opera , lirica, teatro di strada ecc…) e nel 2004 sarà prevalente il retaggio culturale (beni mobili, beni architettonici, beni immateriali, gli archivi storici, le librerie, i beni archeologici, i beni subacquei ecc…). L’invito prevede, inoltre, uno spazio per i progetti annuali (caratteristiche, budget, finalità) e le linee guida ai progetti nei tre allegati.

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Nell’ambito delle azioni di incentivazioni effettuate dalla Comunità nel settore culturale rilevano

anche una serie di interventi specifici prima e dopo il programma «Cultura 2000» e volti alla

promozione di specifici settori di interesse.

Si pensi ad esempio alla costituzione di un’azione ad hoc sull’iniziativa promossa dal Consiglio il

13 giungo 1985 relativa all’organizzazione annuale della manifestazione «Città europea della

cultura»114 e il cui scopo principale era «rendere accessibili al pubblico europeo alcuni aspetti

culturali della città, della regione o del paese in questione» anche tramite il sostegno finanziario

della Comunità115. In effetti, da uno studio effettuato sui risultati ottenuti dalle “città europee della

cultura” emerge che la manifestazione ha avuto ripercussioni positive per quanto riguarda la

risonanza data dai mezzi di comunicazione, lo sviluppo turistico e culturale e la consapevolezza da

parte degli abitanti dell’importanza della scelta della loro città. La valutazione sull’opportunità di

rilanciare l’iniziativa è seguita anche alla necessità di «richiamare l’attenzione degli organi

decisionali pubblici delle città prescelte sull’urgenza di integrare il progetto culturale in un processo

dinamico a medio termine» in grado di coinvolgere, con un sistema «a rotazione» ed a intervalli

regolari proporzionatamente ogni Stato membro ed tale da «diffondere l’importanza

dell’urbanesimo nella formazione […] delle culture europee»116. Sempre dal punto di vista generale,

possono indicarsi l’azione che la Comunità ha condotto per migliorare la visibilità delle relazioni tra

il settore culturale e gli altri o per incentivare una dimensione di equilibrio tra cultura, economia e

gli altri settori della politica comunitaria. Infatti, di fronte al dato per cui le varie attività culturali

della Comunità europea rientrano in programmi culturali differenziati sia nei contenuti che nel

finanziamento, occorre predisporre «rassegne aggiornate» delle attività ed uno studio delle

possibilità di predisporre un approccio orientativo globale e trasparente della azioni culturali sul

modello di uno strumento unico di finanziamento117. Più volte, peraltro, la Comunità sottolinea la

114 GU C 153 del 22.6.1985. 115 Così il 3° considerando della decisione 1419/1999/CE del Parlamento e del Consiglio europeo del 25.5.1999 riguardante un’azione comunitaria a favore della manifestazione «la capitale europea della cultura» per gli anni 2005 al 2019 (GU L 166 del 1.7.1999). La città europea della cultura designata per l’anno 2004 è Genova. 116 Nell’Allegato II i criteri di pianificazione e di valutazione che le città designate sono chiamate a seguire, ad esempio: la valorizzazione dei correnti culturali e stili comuni nella formazione delle quali la città ha svolto particolare funzione, realizzazione di manifestazioni e creazioni artistiche (musica, danza, teatro, arti figurative, cinema, ecc…) e incentivazione della promozione e gestione della cultura, valorizzazione presso i cittadini europei degli eventi che hanno contraddistinto la storia e la cultura della città, realizzare attività specifiche designate a favorire l’innovazione artistica, realizzare progetti volti a promuovere lo sviluppo di legami tra il patrimonio architettonico e le nuove strategie di sviluppo urbano, ecc…La Comunità era intervenuta sul settore specifico sin dalla seconda metà degli anni Ottanta, in particolare, con la Risoluzione dei ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio del 13 novembre 1986, sulla conservazione del patrimonio architettonico europeo, degli oggetti e delle opere d’arte (GU C320 del 13.12.1986) e con la Risoluzione del Consiglio del 12.2.2001 sulla qualità architettonica dell’ambiente urbano e rurale (GU C73 del 6.3.2001). 117 Si tratta della risoluzione del Consiglio del 26.5.2003 sugli aspetti orizzontali della cultura: aumento delle sinergie con gli altri settori e azioni comunitarie e scambio di buone prassi per quanto concerne le dimensioni sociale ed economica della cultura (2003/C 136/01 GU C136 del 11.6.2003). I precedenti comunitari sono: la risoluzione del Consiglio del 20.1.1997 sugli aspetti orizzontali della cultura (GU C36 del 5.2.1997), il piano di follow-up riguardante

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necessità che si adotti un approccio più coerente all’azione a livello comunitario nel campo della

cultura e ritiene che la cooperazione in questo campo debba essere migliorata dall’istituzione di un

quadro strutturato con un piano di lavoro per il dibattito di temi prioritari di interesse comune. Da

qui il piano di cooperazione europea nel settore culturale concepito nel 2002 con l’intenzione di

elaborare nuove strategie da condursi in maniera coordinata ed attuarsi «nel pieno rispetto delle

prerogative della Commissione europea nonché del principio di sussidiarietà e realizzato con

flessibilità, secondo l’evoluzione del contesto politico»118. Ne è parte, ad esempio, il progetto

Minerva che coinvolge i ministeri della cultura degli Stati membri della Commissione coordinati

dal ministero dei Beni culturali italiano. Gli obiettivi del progetto sono, da un lato la creazione di

una rete di ministeri della cultura in Europa per il coordinamento delle politiche e dei programmi

per la digitalizzazione del patrimonio culturale, dall’altro il coinvolgimento delle Università e degli

studi titolari di programmi ed attività di ricerca nel campo delle tecnologie applicate ai beni gli aspetti orizzontali del lavoro che il Consiglio ha adottato il 19.12.2002 (GU C13 del 18.1.2003), la risoluzione del Consiglio 21.12002 relativa al ruolo della cultura nella costruzione dell’Unione europea (GU C32 del 5.2.2002), la risoluzione del Consiglio del 25.6.2003 su un nuovo piano di lavoro concernente la cooperazione europea nell’ambito della cultura, e che tra le priorità del piano sono compresi aspetti orizzontali dell’azione culturale (GU C162 del 6.7.2002). 118 In particolare, il piano di follow-up - concepito nella sua primaria impostazione nelle conclusioni del Consiglio del 17.6.1994 relative all’elaborazione di un piano d’azione comunitario nel settore del patrimonio culturale (GU C 235 del 23.8.1994) - è mirato al raggiungimento di specifici obiettivi ed è interessante notare come molti dei temi siano stati o prima o dopo oggetto di approfondimento. L’allegato alla risoluzione li menziona, tra parentesi sono riportati gli atti comunitari che, nell’argomento specifico, li anticipano o li seguono in ordine di tempo: «i) valore aggiunto europeo – analisi e messa a punto di metodi di individuazione e valutazione del valore aggiunto delle azioni europee nel settore della cultura; ii) accesso all’azione culturale della Comunità e sua visibilità (risoluzione del Consiglio del 25.7.1996 concernente l’accesso di tutti i cittadini alla cultura (GU C242 del 21.8.1996) – miglioramento della diffusione delle informazioni per facilitare l’accesso dei cittadini all’azione culturale della Comunità (conclusioni del Consiglio del 6.2.2003 “eAccessibility” – migliorare l’accesso delle persone con disabilità alla società dei saperi (GU C39 del 18.2.2003)- miglioramento della visibilità dell’azione culturale; iii) aspetti orizzontali – rafforzamento delle sinergie con altri settori e azioni comunitarie, compresi quelli dell’istruzione e della formazione, della gioventù, del mercato interno, della competitività, dello sviluppo regionale, della ricerca e della tecnologia dell’informazione e della comunicazione – scambio di buone prassi per quanto riguarda la dimensione economica e sociale della cultura, compreso il contributo delle attività culturali all’inclusione sociale (risoluzione del Consiglio dei ministri della cultural riuniti in sede di Consiglio, del 14.10.1991 sulle reti culturali europee (GU C314 del 5.12.1991))– sviluppo e promozione della mobilità delle persone – sviluppo e promozione della mobilità delle persone e della circolazione delle opere nel settore culturale (risoluzione dei Consigli e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio del 14.12.2000 relativa al piano d’azione per la mobilità (GU C371 del 23.12.2000)) – analisi dei mezzi per favorire lo sviluppo delle industrie culturali e creative della Comunità europea in particolare al fine di rispettare e promuovere le diversità delle sue culture; iv) dialogo tra le culture – promozione della diversità culturale e linguistica dell’Europa, nonché della dimensione comune delle sue culture (risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede i Consiglio del 25.7.1985, sulla Fondazione europea (GU C1999 del 7.8.1985)) – incoraggiamento del dialogo tra le culture (risoluzione del Consiglio del 17.12.1999, sulla promozione della libera circolazione delle persone che lavorano nel settore culturale (GU C8 del 12.1.2000)); v) cooperazione tra Stati membri e partecipazione di nuovi Stati membri – sviluppo di strategie per accelerare l’integrazione e la partecipazione di nuovi Stati membri nel settore culturale – cooperazione tra gli Stati membri nei diversi settori della gestione culturale, ad esempio statistiche e beni culturali (risoluzione del Consiglio del 20 novembre 1995 sulla promozione delle statistiche in materia di cultura e di crescita economica (GU C 327 del 7.12.1995)); vi) cooperazione internazionale nel settore della cultura . maggiore e concreta cooperazione con competenti organizzazioni internazionali quali il Consiglio d’Europa e l’Unesco, nella prospettiva di trarre vantaggio da sinergie – promozione della cooperazione con i Paesi terzi (Risoluzione del Consiglio del 4.4.1995 sulla cooperazione con i Paesi associati dell’Europa centrale e orientale in materia culturale (GU C242 del 23.9.1995), la Risoluzione dei ministri responsabili degli affari culturali, riuniti in sede di Consiglio del 17.2.1986 relativa alla messa a punto di itinerari culturali transnazionali (GU C44 del 26.2.1986)).

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culturali, agli enti e istituzioni pubbliche, imprese e associazioni professionali, e altri progetti

sostenuti dalla Commissione Europea. In particolare Minerva ha il compito di redigere una comune

piattaforma europea di standard tecnologici, di raccomandazioni e linee giuda per la

digitalizzazione, con il fine di promuovere la comunicazione e la fruizione del patrimonio culturale

e scientifico attraverso la rete Internet. Il progetto – che ha avuto inizio nel marzo 2002 e terminerà

a febbraio 2005 - si colloca nel piano di follow up per il 2002 ed è ampliamente agevolato

dall’allargamento della rete fino a comprendere i quindici Paesi dell’Unione e mira ad includere

quelli candidati per maggio 2004: l’allargamento coinvolge la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica

Ceca, l’Estonia, la Repubblica di Malta, la Slovenia, la Russia e lo Stato di Israele119.

L’analisi dell’asseto risultante dalle nuove dinamiche europee, suggerisce a questo punto questioni

che attengono ai rapporti tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali ed al dibattito

sull’identità culturale ed i suoi valori.

Potremmo chiederci ad esempio, se le politiche culturali della Comunità trovino un presupposto o

un limite nel sistema delle procedure e delle prassi vigenti negli Stati membri e se vi sia davvero un

punto di equilibrio tra le esigenze di tutela dei patrimoni nazionali e quelle che l’individuazione di

un patrimonio culturale a rilevanza europea suggerirebbe. E se, nel caso, sia necessaria una qualche

forma di armonizzazione delle discipline nazionali oppure debba prevalere un’accezione di cultura

come nucleo dell’identità nazionale secondo il principio del rispetto delle diverse forme di tutela. Se

si considera, poi la macchinosità della procedura di codecisione Consiglio - Parlamento che vincola

al raggiungimento dell'unanimità per tutte le fasi della procedura, è agevole comprendere ed al di là

delle sollecitazione proposte, che è preliminare ad ogni valutazione un’analisi specifica del

significato e dello spazio che la nozione di «patrimonio culturale europeo» assume all’interno sia

degli Stati membri che dell’Unione europea.

Fermo restando quanto già elaborato in sede comunitaria per lo più limitato agli aspetti inerenti la

circolazione dei beni culturali, per sviluppare azioni riguardanti la conservazione o la salvaguardia

del patrimonio, la ricerca e la configurazione di standard minimi e di metodologie comuni sulla

formula dello scambio di best practices, è quanto mai urgente valutare il peso di un atteggiamento

del Trattato tutto a favore dell’impostazione nazionale. La tendenza, infatti, non è tanto ad

uniformare le differenziazioni nazionali quanto a creare un sistema di coordinamento, di

119 In particolare, il vero punto di forza del progetto dovrebbe essere la creazione di un sito web, destinato a diventare un portale europeo verso altre iniziative collegate e, a lungo termine, il principale punto di riferimento della digitalizzazione del patrimonio culturale in Europa. Gli sviluppi dal 21 novembre 2003 a Parma, in occasione della conferenza europea di Minerva sul tema “Qualità del web per la cultura: il patrimonio culturale per la ricerca, per la didattica, per il turismo culturale”, possono trovarsi su www.minervaeurope.org.

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sostentamento, di stimolo parallelo a quello che ciascun ordinamento statale approva al proprio

interno120. D’altra parte ed al di là dell’iniziale indifferenza della Comunità per i beni culturali

sembrerebbe il sistema migliore sia nella prospettiva amplificata di un “Europa a venticinque”, sia

in relazione all’abitudine comunitaria di attribuire un significato diverso al concetto di patrimonio

culturale europeo in relazione alla natura del settore interessato dall’intervento. L’utilizzo di una

normativa “soft” e non di criteri rigidi per l’individuazione dei beni può davvero stimolare gli Stati

ad utilizzare all’interno dei propri ordinamenti il medesimo significato di «patrimonio culturale

europeo» conformandosi alle disposizioni comunitarie in materia?121 Ad ogni modo, occorre

constatare che al di là dei criteri e delle soluzioni prospettate circa l’individuazione di un sistema

uniforme, la strada più agevole è quella dell’approfondimento dei tratti comuni dei vari sistemi

giuridici europei in ordine agli aspetti interessati dalla cultura e, conseguentemente, alla diffusione

di best practices in grado di «favorire la partecipazione del pubblico, a tutti i livelli, alla vita

culturale e il relativo inserimento sociale»122. Valgono, pertanto, le considerazioni sopra enucleate

in relazione al progetto di trattato che istituisce una Comunità europea sull’operatività in duplice

direzione: verso la conferma del riparto di competenze Unione - Stati membri in materia culturale

con l’inserimento del settore culturale tra i destinatari di mere «azioni di sostegno di coordinamento

o di completamento» e nel rispetto del principio del rispetto della «diversità culturale»123.

Sembrerebbe che in questo settore ad ogni tentativo di calare dall’alto la regolamentazione con

forme più o meno incidenti sul piano dei rapporti interni sia da preferirsi la ricerca di una

definizione comune di bene culturale nella convinzione che un sistema culturale europeo integrato

sia l’unica soluzione all’assenza di una politica europea. In conclusione, i fattori di sviluppo su cui

il sistema integrato può contare sono riassumibili in quattro punti:

120 Cfr. J. Schott., D.M. Trubek, Mind the gap: Law and New Approaches to Governance in the European Union, in European Law Journal, 8/2002, p. 1 ss; M. Telò, Convergenza europea e diversità nazionali, in Il Mulino, 3/2002, p. 439 ss. 121 L’urgenza di valutare l’andamento degli interventi comunitari nel settore interessato dalla cultura è stata più volte avvertita dallo stesso Consiglio dell’Unione che, nel quadro dell’impostazione di un progetto culturale europeo, ha invitato la Commissione a verificare l’efficacia e l’effettività delle applicazioni dell’art. 151 TCE e delle azioni predisposte sulla base giuridica indicata dall’art. 5 TCE e fornita dalla sussidiarietà in questo settore. Tra gli interventi più recenti, la risoluzione del Consiglio dell’Unione del 21.1.2002 (…) 122 Così la risoluzione del Consiglio del 21.10.2002 sulla cultura e società della conoscenza cit., lett. f). Sul tema, cfr. S. Cattaneo, Cultura e patrimonio culturale in G. Santaniello (diretto da), Tr. dir. amm., vol. XXXIII, A. Catalani, S. Cattaneo, I beni e le attività culturali, Padova 2002, p. 30 ss, che analizza l’insieme degli interventi comunitari evidenziando la difficoltà ad esprimere un concetto unitario di «patrimonio culturale europeo» proprio per l’estrema differenziazione nazionale e quindi il soffermarsi, in sede comunitaria, ad un mero confronto delle soluzioni adottate singolarmente dai vari Stati. 123 Sembrerebbe poter affermare che il progetto esclude la possibilità di un’armonizzazione. In particolare l’art. 17, 3° co., non prevede che l’applicazione del 1° co. (che introduce una “clausola di flessibilità” nel caso di un’azione dell’Unione ritenuta necessaria senza che la Costituzione abbia previsto i relativi poteri) sia in grado di “«comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui la Costituzione la esclude».

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a) la società dell’informazione e la circolazione di modelli gestionali al fine di elaborare regole

comuni compatibili, sia nei soggetti interessati sia nelle forme di produzione in conformità

con il pacchetto legislativo sulla concorrenza;

b) l’azione uniformante della giurisprudenza comunitaria124;

c) i proventi dell’industria culturale (distribuzione e consumo di beni e servizi culturali), il

contributo alla formazione ed all’occupazione in Europa ed il meccanismo dei

finanziamenti125.

2. La normativa internazionale

La seconda reazione si svolge sul piano internazionale. Nel merito è opportuno rilevare che è

proprio sul terreno internazionale ed a partire dalla seconda metà del secolo scorso, che la questione

di un «diritto dei beni culturali» si è delineata nei tratti essenziali per poi in progressione interessare

anche la comunità internazionale126. Infatti, il concetto di «bene culturale» ampliato alla nuova

impostazione duale che stacca l’oggetto dall’immaterialità delle cose d’arte e lo colloca in posizione

privilegiata sulle corsie della concorrenza e del mercato diviene oggetto di interesse comunitario sin

dalle prime politiche in materia di beni culturali.

E l’esigenza di ridefinire l’ambito così ampliato dei «beni culturali» è una proiezione sul piano

comunitario del nuovo concetto di proprietà culturale e di attività pubbliche di sostegno maturato

sul piano nazionale127. Tale corrispondenza, regolata sulla sussidiarietà, stimola da un lato lo spirito

nazionale riformatore, dall’altro l’interesse storiografico all’ampliamento del concetto proprio di

«patrimonio culturale comune». D’altronde il processo di integrazione europea e le aperture ad Est

evidenziano «l’accresciuta esigenza di fronteggiare quel fenomeno di depauperamento del 124 In particolare, in una recente pronuncia, nel ribadire che «gli Stati membri non possono richiamarsi a situazioni del loro ordinamento interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi derivanti da diritto comunitario» ha di fatto conformato la legislazione nazionale in materia di accesso ai servizi culturali ai principi del diritto comunitario; peraltro, nella medesima pronuncia, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha precisato che «sebbene ogni Stato membro sia libero di ripartire come crede opportuno le competenze normative sul piano interno» sia l’unico responsabile dell’attuazione del diritto comunitario all’interno del proprio territorio nazionale (sentenza 16.1.2003, in causa C-388/01, in Guida al Diritto, 13/2003, p. 99). 125Il riferimento è ai progetti finanziati dal Fers e dal Feoga oltre che al programma «Cultura 2000» che ha incluso la valorizzazione del patrimonio culturale tra le forme di sviluppo del turismo locale. Sotto quest’ultimo profilo da non sottovalutare il contributo delle imprese private e gli ottimi risultati ottenuti dal sistema di incentivi fiscali ai progetti culturali. Per un’analisi dei finanziamenti comunitari ai progetti in campo culturale, cfr. F M. Lazzaro, Le politiques Communautaires pour la protection des biens culturels: un apercu général, in Cahiers européens, 1/2002. 126 Uno dei più famosi casi di restituzione di opere d’arte illegalmente esportate è rappresentato dalla Collezione Barberini (Ministero dell’Educazione pubblica del Regno d’Italia c. Principe Colonna Sciarra, Court d’Appel de Paris, 27 avril 1892, in Clunet, 1892, p. 973 e Cour de Cassation, 20 novembre 1892, in Clunet, 1894, p. 311). 127 Una costante della giurisprudenza comunitaria degli anni Novanta era il riferimento ai principi generalmente accolti nelle varie esperienze nazionali; in particolare, il giudice comunitario ha sottolineato che, nell’ambito dei poteri conferiti dall’art. 164 TCE al riguardo, in assenza di norme scritte può far riferimento ai principi generali comuni degli Stati membri anche in settori diversi dalla responsabilità extracontrattuale. Il caso in questione è Brasserie du Pechur e Factortame, cause C-46 e C-48/93, sentenza 5 marzo 1996, Racc. p. I-1029, punto 27.

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patrimonio artistico degli Stati che ha assunto sul piano comunitario dimensioni non meno rilevanti

di quelle internazionali, con connotazioni anzi più specifiche collegate al definitivo abbattimento

delle frontiere nazionali»128.

Al riguardo, e non soltanto con effetti positivi sul versante del ritorno delle opere d’arte, può

indicarsi l’operazione di collante giuridico svolta dalle convenzioni internazionali129. In generale, lo

scopo delle convenzioni è creare delle collaborazioni tra Stati in settori scoperti dal punto di vista

normativo o meglio, in settori sono prevalenti attività quali lo scambio di informazioni, lo studio e

la ricerca, la cooperazione e la mobilità. E così, anche per la cultura, mentre gli Stati hanno

mantenuto il regime giuridico e le forme ed i modi per l’esercizio della tutela, le convenzioni hanno

lavorato sul piano della cooperazione internazionale sviluppando delle definizioni soltanto al fine di

individuare i beni che sono oggetto di una specifica normativa, identificandoli ed applicandovi date

regole. Parimenti alle normative comunitarie, infatti, le convenzioni internazionali non

intervengono sullo status giuridico dei beni o delle cose d’arte, né assurgono a fornire delle

definizioni - per le quali si rimettono alle determinazioni differenziate degli Stati membri - ma

intervengono sugli oggetti giuridici rinforzandone la tutela predisposta in chiave soprattutto

nazionale. Ancora, da punto di vista generale, le convenzioni rispettano per lo più un modulo

concertativo che ha ad oggetto l’adesione dello Stato membro e le obbligazioni contratte con la

stessa che, generalmente, sono il censimento dei beni culturali presenti sul territorio,

l’identificazione e l’individuazione dei beni, la formazione di appositi inventari e cataloghi dei beni,

le regole in caso di furto e le sanzioni conseguenti, le politiche di conservazione e di restauro

insieme alle attività di ricerca, studio e scambi che ne conseguono130.

In questo quadro, il ruolo della cooperazione fra Stati è fondamentale: nella convinzione che un

regime, pur necessario, di vincoli alla circolazione non soddisfa l’ambito oggettivo di tutela del

128 Così, M. Marletta, La restituzione dei beni culturali. Normativa comunitaria e Convenzione Unidroit, Padova, Cedam, 1997, p. 16. 129 Sulla protezione internazionali dei beni culturali v, tra gli autori italiani, M. Frigo, La protezione dei beni culturali nel diritto internazionale, Milano, 1986; M. Marletta, La restituzione dei beni culturali. Normativa comunitaria e Convenzione Unidroit, cit.; M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali: diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, Giuffrè, 2001, p. 81 ss ; M. Frigo, La Convenzione dell’Unidroit sui beni culturali rubati o illecitamente esportati, in Riv. dir. intern. Priv. Proc. 1996, p. 460 ss; D. Ravenna, La circolazione internazionale dei beni culturali, in Il testo unico sui beni culturali e ambientali a cura di G. Caia, Milano, Giuffrè, 2000, p. 21.; R. Monaco, La protezione internazionale dei beni culturali, in Beni culturali e mercato europeo (a cura di Maresca Compagna-P. Petraroia), Roma, 1991; A. Lanciotti, La circolazione dei beni culturali nel diritto privato internazionale e comunitario, Napoli, 1996;. Tra gli autori stranieri, v., soprattutto, J. H. Merryman, Two ways of thinking about cultural property, in The american Journal of International Law, 1986, 381 ss; L. Prott-P.O. O’Keefe, Law and cultura heritage, vol. III: Movement, London-Edimburgh, 1989. 130 Per un’esemplificazione può riferirsi la convenzione Unesco di Parigi del 1970, che individua una serie di obblighi attinenti alla tutela dei beni culturali, tra cui la promozione dello sviluppo di istituzioni scientifiche e tecniche, la gestione degli inventari, l’organizzazione degli scavi archeologici e la conservazione sul luogo d’origine di alcuni beni culturali ecc…Cfr., artt. 2 e 3 della convenzione di Londra, sulla tutela del patrimonio archeologico in Europa e di Granada, sulla tutela del patrimonio architettonico.

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bene al contrario volto a favorirne la fruizione e la valorizzazione diventa basilare ogni attività di

scambio sul piano internazionale.

Tra questi accordi internazionali spicca la convenzione dell’Aja per la protezione dei beni culturali

in caso di conflitto armato del 14 maggio 1954, ratificata in Italia con legge 7 febbraio 1958, n.

279131; la convenzione Unesco per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale,

stipulata il 23 novembre 1972 e ratificata in Italia con legge 6 aprile 1977, n. 184132; la convenzione

Unidroit sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma

il 24 maggio 1995 e ratificata con legge 7 giugno 1999, n. 213133 e la convenzione Unesco per la

salvaguardia del patrimonio culturale intangibile, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003134.

La convenzione dell’Aja si occupa principalmente di tutelare i beni culturali durante il conflitto

armato – pendente bello135 - tramite la configurazione di un sistema di tutele che agiscono sulla

materialità del bene.

In particolare, all’art. 4 prevede, tra gli altri obblighi, quello di far cessare qualsiasi atto di furto,

saccheggio o sottrazione di beni cultuali sotto qualsiasi forma, rispondendo, in tal modo, da un lato

all’esigenza internazionale – oggetto di fonte consuetudinaria - dell’identificazione, individuazione

e conservazione degli stessi, dall’altro anticipando la tutela che verrà elaborata dal diritto nazionale

per gli illeciti omologhi, ma in tempo di pace136. Per altro verso, la gestione della dinamica dei

131 La convenzione è in vigore dal 9 agosto del 1958 ed il numero degli Stati aderenti è 105 (GU 11 aprile 1958, n. 87). 132 La convenzione è in vigore dal 23 settembre 1978 ed il numero degli Stati aderenti è 175 (GU 13 maggio, 1977, n. 129). 133 Le convenzioni stipulate per la salvaguardia dei beni culturali in tempo di pace sono state predisposte o con l’obiettivo di combattere il traffico illecito di beni culturali, o con l’intenzione di sollecitare gli Stati aderenti ad investire risorse sulle politiche formative in materia di beni culturali. Nella prima direzione, la convenzione in Delphi, del 23 giugno 1985, relativa alle infrazioni internazionali ed al regime delle sanzioni annesse e basata sulla cooperazione intergovernativa - anche per l’applicazione delle sanzioni previste da ciascun ordinamento statale (il vincolo a prevedere sanzioni è stabilito dall’art. 8 della convenzione Unesco di Parigi e dall’art. 8 della convenzione di Granata, oltre che dall’art. 3, lett. a) della convenzione di Londra) – regolamenta anche la competenza territoriale delle autorità giudiziarie, i rapporti tra procedimenti ed generalmente le regole di istruttoria., ma anche la convenzione Unesco che ribadisce il diritto degli Stati ad adottare misure restrittive per l’esportazione, dispone l’utilizzo di certificati di liceità per i beni esportati mentre rinvia alla legislazione interna la regolamentazione delle fattispecie delittuose e precisa che ogni operazione (art. 6, lett. c)) e la convenzione di Londra (art. 6, n. 2). Nella seconda direzione, la convenzione di Parigi del 1970, «Gli Stati parte della presente convenzione si impegnano: […] b) a fare ogni sforzo, per mezzo dell’educazione, per creare e sviluppare nel pubblico il sentimento del valore dei beni culturali e del pericolo che il furto, gli scavi clandestini e le esportazioni illecite rappresentano per il patrimonio culturale» (art. 10), e, innanzitutto, «a ridurre mediante l’educazione, l’informazione e la vigilanza, il trasferimento di beni culturali illegalmente prelevati da qualsiasi Stato della presente convenzione […] (art. 10 cit., lett. a)); ma anche la convenzione di Granada del 1985 «Ciascuna Parte si impegna a: […] 2. Promuovere politiche di informazione e di sensibilizzazione, in particolare con l’aiuto di tecniche moderne di diffusione e di animazione, aventi in particolar modo come obiettivo: a) di suscitare o di accrescere, fin dall’età scolastica, la sensibilità del pubblico alla tutela del patrimonio, alla qualità dell’ambiente costruito e all’espressione architettonica; […]» (art. 15) e la convenzione di Parigi del 1972, cui si farà riferimento. 134 La convenzione è stata adottata nel corso della 32° sessione della conferenza generale dell’Unesco riunitasi a Parigi dal 29 settembre al 17 ottobre 2003. É in via di ratificazione per tutti gli Stati aderenti all’Unesco, ma finora è stata ratifica soltanto dall’Algeria dove non è ancora in vigore perché, anche per gli Stati via via depositanti, è subordinata all’entrata in vigore generale - a livello internazionale - che presuppone almeno 30 ratifiche. 135 Così, M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali, cit., p. 101. 136 Il dato che la convenzione non si applichi a fatti anteriori alla sua entrata in vigore non assume rilievo proprio per la presenza del Protocollo, sottoscritto e ratificato dalla gran parte degli Stati contraenti (allo stato 105). D’altra parte

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rapporti interstatuali turbati dalle vicende degli illeciti viene affidata al Protocollo alla Convenzione

che, all’art. 1, par. 3, contempla per ogni Parte contraente l’obbligo, alla fine del conflitto, di

restituzione dei beni culturali che si trovano nel territorio e che sono stati esportati illecitamente137

– ovvero non secondo i criteri dell’art. 1 della convenzione - secondo i due sistemi «general or

special protection»138. Tale gravame sembra essersi costituito in forza di una norma consuetudinaria

internazionale derivante dalla sua previsione nella gran parte dei trattati di pace che ha come primo

effetto quello di offrire una prima soluzione al rapporto tra norme internazionali e nazionali

tendendo a bloccare l’operatività delle regole poste a tutela dell’acquirente in buona fede o per

usucapione e, comunque, ogni rapporto giuridico attuale o futuro che coinvolga i beni in

questione139.

L’esigenza storica che muove gli Stati subito dopo la fine della II guerra mondiale ad accordarsi sul

tema è la quantità di domande di restituzione di Stati e di privati relative alle confische, alle

depredazioni, alle cessioni obbligatorie di beni culturali subite durante i conflitti140. È opportuno

l’esigenza internazionale di identificazione, individuazione e conservazione del bene non avrebbe necessitato di una conferma, mentre era necessario ribadire i principi in tema di restituzione che attengono alla fase patologica dei rapporti interstatuali che hanno ad oggetto beni culturali (cfr., per quanto al limite temporale, l’art. 33 della convenzione e l’art. 36 per quanto alla sua funzione complementare rispetto alle convenzioni preesistenti dell’Aja del 1989 e 1907). Deve, altresì, essere considerate le misure di protezione ai sensi dell’art. 5 del Protocollo relative alla predisposizione di inventari, la pianificazione di emergenze, la designazione di autorità competenti a provvedere alla tutela delle opere d’arte oltre al regime di protezione intensificata – c.d. «enhanced protection» - per taluni beni. 137 Un’altra importante innovazione è stata l’imposizione della responsabilità circa la tutela dei beni culturali ad entrambe le parti del conflitto armato – differentemente dalle convenzioni precedenti - : si parla in termini di «safeguarding […] respect», ma anche «immunità as to under special protection» (artt. 2 - 4). Sul tema, ed in generale sulla convenzione dell’Aja v., per tutti, S. E. Nahlik, Convention for the protection of cultural propery in the event of armed conflict, the hague 1954: general and special protection, Atti del Convegno organizzato dall’Unesco in collaborazione con la facoltà di scienze politiche «Cesare Alfieri» ed il Centro studi turistici di Firenze in occasione del 30° anniversario della firma della convenzione dell’Aja. 138 Nel corso dei lavori preparatori all’adozione della convenzione, furono individuate due strade differenti: una vertente ad estendere la tutela al più largo numero di beni culturali, l’altra, diretta a limitarne l’applicazione solo a quelli rilevanti per l’intera umanità. Per tali ragioni furono costituite due categorie: da un lato, la c.d. «cultural propery» coperta dal regime generale – è lo Stato aderente alla convenzione a scegliere se aggiungere alla tutela già apportata in sede nazionale quella della convenzione, fermo restano gli obblighi di «safeguard» e «respect» e non utilizzo dei medesimi beni per intenti militari o per ogni «purpouse which are likely to espose it to destruction or damage in the event of an armed conflict» fermo restando che l’avversario è obbligato, nel rispetto di tale proprietà, «from any act of hostility» (art. 4, par. 1) - dall’altro, i beni tutelati con la c.d «enhanced protection» - per i quali il valore è dato per universalmente riconosciuto e dunque, otre a valere le prescrizioni circa gli obblighi in stato di guerra è, altresì, previsto che «it must be situated at an edequate distance from any important military objective constituting a vulnerable point such as, for example, an aerodrome, broadcasting station, establishment engaged in work of national defence, a port or railway station of relative importance or a main line of communication» (art. 8, par. 1, lett. a)). Un’analisi degli effetti della doppia tutela può leggersi in S. E. Nahlik, International Law and the Protection of cultural property in armed conflicts, in Hastings Law Journal, vol. 27, 1976, n. 5. 139 Al riguardo, l’art. 75 del trattato di pace con l’Italia, prevede «l’obbligo di restituire si applica a tutti i beni […] qualunque siano stati i successivi negozi mediante i quali l’attuale detentore di tali beni se ne sia assicurato il possesso». 140 Al riguardo, possono riferirsi tra le iniziative di tutela anche il progetto della società olandese di archeologia del 1918, il Patto di Washington del 15 aprile del 1935 per la protezione delle istituzioni artistiche e scientifiche (c.d. «Patto Roerich») e il Progetto di convenzione per la protezione dei monumenti e delle opere d’arte nel caso di conflitti armati predisposto dall’Office International des Musées del 1938 al quale si ispira la successiva convenzione dell’Aja del 1954. Sulle richieste di restituzione attivate dopo la II guerra mondiale, cfr. le opinioni espresse da AA. R. Hall, On the recovery of cultural objects dispersed durino the II world war, in U. S. Dept of State Bull., vol. XXV, n. 635, August 27, 1951, p. 337.

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rilevare che tali pratiche di saccheggio hanno assunto la veste di fattispecie delittuosa a seguito

dell’opera di codificazione effettuata con la convenzione dell’Aja elaborate in seno alla prima e alla

seconda conferenza per la pace del 1899 e del 1907 relative alla guerra terrestre e navale. Infatti,

salvo l’influenza esercitata dalle correnti giusnaturalistiche del Settecento e i presupposti giuridici

in tema di norme applicabili in caso di conflitto armato che si sono andati formando come

consuetudine internazionale a partire dal congresso di Vienna141 è solo alla fine del XIX secolo che

gli ordinamenti giuridici iniziano ad interessarsi al problema dei saccheggi e ciò non soltanto con

riferimento ai limiti di liceità del “bottino di guerra” e all’obbligo di restituzione di dati beni, ma

anche sul presupposto che i danni arrecati ai beni culturali (a qualunque popolo appartengano) sono

un danno per l’umanità.

In quanto al concetto di «patrimonio culturale dell’umanità», uno degli effetti più evidenti delle due

convenzioni di codificazione sulle leggi e le pratiche e delle guerre terrestri è stato proprio lo

stabilire quali fossero gli obblighi di una Potenza occupante il territorio di un'altra Potenza facendo

rientrare ogni genere di violazione nella responsabilità internazionale degli Stati142. Riguardo, poi,

alla configurazione come illecito del “bottino di guerra” ed all’obbligo di restituzioni – salvo le

prime tendenze maturate sin dalla prima metà del XVII secolo143- il primo passo è stato

141 Trattasi di tre norme di natura consuetudinaria. La prima diretta a tutelare i beni culturali in senso proprio sul presupposto dell’illegalità della pratica del saccheggio, la seconda obbliga alla restituzione dei beni culturali mobili sottratti pendente bello e la terza impone la restituzione degli archivi. Sul tema, cfr., le opinioni espresse da S. E. Nahlik, La protection internazionale des biens culturels en cas de conflict armé, in Recueil del Cours, 1967, I, p. 69 ss. 142 In questa direzione viene, per la prima volta, sancita la responsabilità individuale a carico di coloro che si rendano artefici di ogni sequestro, degradazione o distruzione volontarie dei beni soggetti a protezione (art. 56, 2° co. del regolamento annesso alla convenzione dle 1899 e alla IV convenzione del 1907). Peraltro, lo Stato cui il bene appartiene è responsabile anche dal punto di vista patrimoniale similmente alla riparazione per gli atti compiuti da membri delle forze armate, comprendendo anche un vincolo economico derivante dall’indennizzo per i danni causati dall’inosservanza ai due regolamenti (art. 3, IV convenzione del 1907). Alto profilo di responsabilità viene configurato in relazione ai vincoli che gravano lo Stato circa la gestione dei beni parte integrante il proprio patrimonio culturale. Tra questi devono ricomprendersi anche i beni culturali di proprietà pubblica e privata - anche se al posto del nomen iuris – è utilizzata la tecnica dell’elencazione dei beni considerati (monumenti storici, opere d’arte e di scienza, ecc…). Peraltro, il regolamento sulle leggi e i costumi della guerra terrestre annesso alla II convenzione del 29 luglio 1899 e il regolamento annesso alla IV convenzione del 18 ottobre 1907 dal medesimo titolo esprimono inequivocabilmente agli art. 56 e 46 il duplice concetto che le opere d’arte pubbliche potessero considerarsi come private – sulla base della dichiarazione di Bruxelles – e che quelli di proprietà privata godono di un regime sui generis cui consegue l’obbligo di astensione da parte dell’occupante che consiste in primo luogo nell’obbligo di rispettare le opere d’arte e, nello specifico, nell’impossibilità di procedere alla loro confisca o requisizione. 143 Trattasi dei principi di restituzione dei beni illecitamente sottratti e della riconduzione del c.d. jus pradae ad una fattispecie di illecito, maturate in dottrina a partire dai primi decenni del Settecento. Si pensi, ad esempio, ai trattati di pace posteriori a Westfalia (1648) che iniziarono a regolare oltre alle ipotesi di restituzione degli archivi anche ipotesi di restituzione dei beni sottratti pendente bello (come la biblioteca reale polacca con il Trattato di Oliva del 1660 tra Svezia e Polonia e le opere d’arte della collezione degli Stuart con il Trattato di Whitehall tra Inghilterra e Paesi Bassi del 1662) fino ad essere a distanza di quasi un secolo, definito come illecito nel codice napoleonico. Ma il documento che marca decisamente il momento in cui cominciano ad affermarsi i nuovi principi di civiltà e di umanità nella condotta delle ostilità, è un regolamento interno americano che, grazie alla validità intrinseca delle sue disposizioni, ha esercitato una notevole influenza sia sull’adozione di analoghe norme da parte di altri Stati, sia sulla formazione di norme consuetudinarie di diritto internazionale. Trattasi del «Instruction from the Government of the Armies of the United States in the Field» emanato dal Presidente Lincoln nel 1863 durante la guerra civile americana. Tale regolamento stabiliva che: a) i beni appartenenti alle chiese, agli istituiti di istruzione, e a fondazioni che mirano al progresso delle umane cognizioni, quali scuole, università, accademie, osservatori, musei delle arti, vanno considerati

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l’individuazione dell’ambito giuridico – ovvero in relazione a quali tipologie di beni fossero

configurabili obblighi e divieti - a partire non dal regime giuridico di appartenenza (pubblico o

privato), ma dal pregiudizio subito perché facenti parte, seppur non come beni bellici, del

patrimonio culturale dell’avversario144. Altro effetto delle due convenzioni è, infatti, l’aver

svincolato le norme applicabili ai beni culturali in caso di conflitto armato dallo status giuridico

così come risultante dal diritto nazionale e dunque irrilevante agli effetti delle stesse. Il processo

indicato, che porta a riservare la posizione di privilegio dei beni di interesse storico ed artistico,

religioso o scientifico di proprietà privata ai beni aventi le medesime caratteristiche, mira alla

configurazione di una nuova tipologia di beni culturali – a qualsiasi popolo appartengano -

svincolata dal regime giuridico nazionale (beni pubblici o privati) e la cui tutela è attratta anche al

diritto internazionale145. La prima comparsa della nuova categoria – indifferente al regime di

alla stregua della proprietà privata e quindi rispettati (art. 24); b) le opere di arte classica, le biblioteche, le collezioni scientifiche o gli strumenti di grande valore […] devono essere preservati, al medesimo titolo che gli ospedali, da ogni danno che si possa evitare, posto che si trovino in città fortificate che vengono assediate o bombardate (art. 35); c) se i beni ora indicati appartenenti ad una nazione o governo nemico possono senza danno venire rimossi, il capo dello Stato che conquista può ordinare che essi vengano sequestrati o rimossi a vantaggio del proprio Stato, rimanendo impregiudicata, fino al trattato di pace la questione dell’appartenenza di tali beni. In nessun caso, saranno venduti o donati, né potranno mai divenire proprietà privata, o essere volontariamente distrutti o danneggiati (art. 36); la loro sottrazione è punita secondo la legge penale (art. 47). I principi del «Lieber’s Instruction» hanno influenzato notevolmente il diritto militare negli ultimi decenni del XIX secolo; esempi possono aversi nel regolamento inglese (1890) che stabilisce che i beni mobili e immobili appartenenti ad istituzioni destinate alla beneficenza, istruzione ecc…debbono essere protetti come se fossero di proprietà privata; ma anche le disposizioni oggetto della dichiarazione di Bruxelles (27 luglio – 27 agosto) del 1874 formulata dallo zar di Russia Alessandro II, che puniva ogni sequestro, distruzione o degradazione e disponeva le forme ed i modi per l’esercizio della tutela, seppure non agli effetti penali (art. 8 della dichiarazione cit.); si veda ancora, il «Manuale di Oxford» approvato il 9 settembre del 1880 dall’Istituto di diritto internazionale contenente «Leggi e usi della guerra terrestre» che, viceversa, puniva penalmente i responsabili degli illeciti che configurava. Tra le manifestazioni più recenti – fermo restando la 1° e la 2° conferenza internazionale della pace (29 luglio 1899 e 18 ottobre 1907) - anche l’International Declration agaist Act of Dispossession Committed in Territories under Enemy Occupation or control del 5 gennaio 1943 che dichiarò l’inefficacia di «any tranfer of dealing with, property rights and interest of any description whatsoever which are […]». Per quanto all’esperienza italiana, complementare all’introduzione delle regole dei trattati fu il d.lgs lgt. 5 maggio 1946 relativo alle «Norme per il recupero delle opere d’arte sottratte alla Germania durante la guerra», le cui clausole restitutorie sono state interpretate in senso restrittivo - cfr. causa Gardini c. Ministero della Pubblica Istruzione relativa ad un dipinto importato in Italia dall’Alta Slesia da un soldato italiano che lo aveva salvato dal rogo (in Foro Pad., 1956, I, c. 940 ss.) – e che il decreto non sancisce la nullità dei negozi che giustificano il possesso delle opere d’arte, né specifica i modi (eventuali) della restituzione. In dottrina italiana, per tutti, v. M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni cultural, cit. 87; per un esame dei trattati S. E. Nahlik, La protection internazionale des biens culturels en cas de conflict armé, in Recueil des Cours, 1967, I, p. 77ss. 144 Il disinteresse della normativa internazionale al regime giuridico interno di proprietà delle opere d’arte è evidente nella gran parte dei trattati di pace; si veda, ad esempio, l’art. 75 del trattato di pace con l’Italia per cui «l’obbligo di restituire si applica a tutti i beni identificabili che si trovino attualmente in Italia e che siano stati sottratti con la violenza o con la costrizione dal territorio di una delle Nazioni Unite […]». Riguardo poi al tema specifico della qualificazione dei beni dell’avversario, cfr., per contro, la dottrina tedesca degli anni Cinquanta per cui tutti i beni dei cittadini assenti dal territorio conquistato fossero o res nullius (Herrenlosensachen) o fossero da considerarsi come “bottino di guerra”. Cfr., al riguardo, le opinioni espresse dal Tribunale di Venezia nel caso Mazzoni c. Finanze dello Stato, sentenza 8 gennaio 1927, in Foro it., 1927, I, p. 961 ss. 145 Il processo che si è attivato ha sviluppato la circostanza che il regime di tutele predisposto per i beni di proprietà privata pendente bello sia più conveniente e dunque opportuno applicarlo anche ai beni pubblici proprio in forza di un obbiettivo: quello di configurare giuridicamente i presupposti del trattamento speciale dei beni culturali. Cfr., al riguardo, le conclusioni del caso Mazzoni c. Finanze dello Stato decisa dal Tribunale di Venezia con sentenza dell’8 gennaio 1927 relativa all’interpretazione del trattato di St. Germain concluso tra Italia e Austria, cit., in cui viene riprecisato che «la nozione giuridica di bottino di guerra e di preda bellica non comporta la comprensione di qualsiasi

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proprietà - «beni culturali» tocour nel diritto internazionale si ha proprio nella convenzione dell’Aja

del 1954 che, tuttavia, sembra non chiarire un punto importante, quello della definizione del

soggetto titolare del diritto alla restituzione. Per quanto ai trattati di pace conclusivi le due guerre

mondiali, sembrerebbe che tanto l’obbligo di restituzione, quanto il diritto di richiedere siano

soltanto attribuibili agli Stati, sebbene vi siano spunti per sostenere il contrario146.

A confermare la presenza di una nuova categoria, e dunque di uno status giuridico internazionale

dei «beni culturali» - come si è detto indifferente al regime di proprietà nazionale – è la

convenzione Unesco per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale, stipulata il 23

novembre 1972. L’interesse specifico della comunità mondiale alla protezione dei beni culturali ed

ambientali nasce dall’eccezionale valore che acquistano in quanto «patrimonio dell’umanità» ed è

tale da offrire una tutela attratta al livello internazionale ed in parallelo con quella statale. La

missione dell’Unesco è innanzitutto rivolta a stimolare ogni Paese a firmare la convenzione

assicurando così la tutela, la conservazione, la valorizzazione e la trasmissione alle future

generazioni del loro patrimonio culturale e naturale. Primo elemento è aiutare gli Stati a identificare

ed individuare i siti che rispondano alle caratteristiche richieste presentandone la candidatura per

l’inserimento nella lista del patrimonio mondiale (art. 3). In pratica, compete ad ogni Stato

contraente individuare i beni situati nel proprio territorio che soddisfino i requisiti richiesti per far

parte del patrimonio culturale mondiale onde segnalarne la presenza al Comitato del patrimonio

culturale mondiale (art. 8-10) tramite la richiesta di iscrizione dell’apposito elenco a seconda delle

condizioni in cui versano (art. 11)147. Il Comitato è un organo di struttura intergovernativa che

cosa che venga presa dall’esercito occupante», ma appunto solo i beni bellici e soprattutto «non può estendersi fino a comprendere il saccheggio che, mentre negli antichi tempi era concesso per premiare lo zelo delle truppe, è oggi assolutamente vietato (reg. Aja, art. 47)» (p. 974 della decisione, idem, p. 961 ss).

146 Sulla distinzione dei due obblighi,in particolare di restituzione (artt. 184, 189, 191 del trattato di St. Germain) e di riparazione (artt. 177 e 178) e sulla configurazione del primo come diritto soggettivo ad ottenere il bene sottratto vantabile (secondo prevalente interpretazione) solo dagli Stati, cfr. il caso Mazzoni c. Finanze dello Stato ricondusse il diritto alla restituzione del bene culturale, come diritto soggettivo. In dottrina, cfr. B. Conforti, Diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 1997, p. 293 ss. Infine, per l’Italia, il 12 febbraio 2003 si è riunito il Comitato promotore dello “scudo blu”. Nel corso della riunione, alla quale hanno partecipato o aderito 14 organizzazioni specializzate nel settore della Protezione dei Beni Culturali nelle situazioni di rischio (guerre, calamità naturali, inquinamento, usura, ecc.), è stato approvato in via definitiva lo Statuto, dopo il parere favorevole già espresso nel novembre scorso in occasione del Consiglio Internazionale ICBS di Parigi. Tra le organizzazioni aderenti l’ICA, l’ICOMOS, l’IFLA, l’ICO.

147 L’art. 1 individua le categorie dei beni che fanno parte del patrimonio culturale mondiale nei: «monumenti: opere di architettura, di scultura o di pittura monumentali, elementi o strutture di carattere archeologico, iscrizioni e gruppi di elementi che hanno un valore eccezionale dal punto di vista della storia dell’arte o della scienza; i comp0lessi: gruppi di costruzioni isolati riuniti che, per la loro architettura, per la loro unità, o per la loro integrazione nel paesaggio, hanno un valore universale eccezionale, dal punto di vista della storia, dell’arte o della scienza; i siti: opere dell’uomo o creazioni congiunte dell’uomo e della natura, nonché le zone archeologiche di valore universale eccezionale dal punto di vista della storia, dell’arte o della scienza». All’art. 2 è contenuto l’elenco del patrimonio culturale naturale:«i monumenti naturali, costituiti da formazioni fisiche e biologiche oppure da gruppi di tali formazioni, aventi valore eccezionale dal punto di vista estetico o scientifico; le formazioni geologiche e fisiologiche e le zone rigorosamente delimitate, costituenti l’habitat di specie animali e vegetali minacciate, che hanno valore universale eccezionale dal

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compie un’opera di accertamento costitutivo con valore ricognitivo della qualifica ed al tempo

stesso attributivo dello status giuridico eccezionale di «bene facente parte il patrimonio cultural

mondiale». La verifica dei requisiti richiesti e, positivamente, l’iscrizione nella lista ha come primo

effetto quello di istituire una sovranità condivisa senza alcuna limitazione per quella nazionale e per

i diritti di proprietà. Si tratta degli incentivi agli Stati all’adozione di una «politica generale mirante

ad assegnare al patrimonio culturale e naturale determinate funzioni nella vita sociale e ad inserire

la tutela di tale patrimonio nei programmi di pianificazione generale […] – o anche – istituire sul

proprio territorio uno o più servizi di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio

culturale e naturale, dotati di personale adeguato e di mezzi che consentano di condurre a termine i

compiti che loro incombono» - ed anche – favorire la creazione e lo sviluppo di centri nazionali o

regionali di formazione nel campo della tutela, della conservazione e della valorizzazione del

patrimonio culturale mondiale e naturale, nonché per incoraggiare ricerche scientifiche in questo

campo» (art. 5). Ogni attività è sostenuta mediante «gli strumenti della cooperazione e

dell’assistenza internazionali» (art. 7) e di un fondo di garanzia per la protezione del patrimonio

mondiale culturale e naturale costituito da contributi volontari degli Stati, di privati, o di

organizzazioni internazionali (art. 15); il fondo finanzia, in particolare, «progetti di preparazione di

liste, la formazione del personale specializzato e progetti di cooperazione tecnica. Gli stanziamenti

sono anche impegnati per la salvaguardia dei siti che il Comitato del patrimonio mondiale ha

iscritto sulla “lista rossa” del patrimonio mondiale in pericolo. Si tratta in particolare di beni che

sono seriamente minacciati a causa di catastrofi naturali e di altro tipo, della guerra, di progetti di

urbanizzazione o di grandi progetti privati e che hanno bisogno per la loro conservazione di misure

di grande portata»148.

Il terzo documento internazionale è la Convenzione Unidroit sulla Restituzione internazionale dei

beni culturali rubati o illecitamente esportati del 1995.

In generale, i problemi che possono aversi in relazione alla fattispecie di trasferimento di un bene

culturale protetto oltre il confine dello Stato d’appartenenza riguardano principalmente le ipotesi in

cui sia intervenuto un contratto a modificarne la posizione proprietaria, quali Stati coinvolga e se,

tale contratto, sia intervenuto prima o dopo l’esportazione. Si è visto come la prima ipotesi non crei

difficoltà - data l’applicazione della lex rei sitae – e, molto raramente, accolga l’istanza dello Stato punto di vista della scienza o della conservazione; i siti naturali, oppure le zone naturali rigorosamente delimitate aventi valore universale eccezionale dal punto di vista della scienza, della conservazione o della bellezza naturale». Oltre agli elenchi di cui agli artt. 1 e 2, è previsto un apposito elenco del «patrimonio in pericolo», che individua all’interno dei due macro elenchi i beni per i quali il pericolo di degrado è particolarmente grave e imminente. 148 Dalla motivazione (punto 1) della proposta di risoluzione del Parlamento europeo (2000/2036 (INI)) sull’applicazione della Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale degli Stati dell’Unione europea. Tale proposta contiene: lo stato dell’arte sul contributo degli Stati membri dell’Unione europea all’applicazione della convenzione del 1972 (punto 2), il regime della tutela del patrimonio culturale, naturale e mondiale a livello europeo (punto 3), le disposizioni proposte all’Unione europea e agli Stati membri (punto 4).

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d’origine diretta ad ottenere la restituzione del bene culturale, salvo non vi sino particolari accordi

tra i due Stati la prevedano, in date circostanze. Ugualmente, se gli Stati coinvolti nell’istanza di

restituzione, sono membri dell’Unione europea si applicheranno le disposizioni della direttiva 93/7

CEE, già esaminate. Viceversa, nell’ipotesi di un contratto intervenuto dopo l’esportazione, è

pacifica la tesi della nullità dell’atto medesimo per entrambi gli Stati e dunque l’accoglimento

dell’istanza dello Stato d’origine diretta ad ottenere la restituzione del bene.

Le fonti internazionali di riferimento – offrono soluzioni diametralmente opposte: da un lato la

convenzione Unesco del 1970 ne stabilisce l’efficacia retroattiva – sebbene all’art. 7 subordina gli

obblighi di restituzione all’atto nazionale di recepimento della convenzione – dall’altro, la

convenzione Unidroit del 1995 precisa – agli art. 2 e 10 - il valore non retroattivo149.

Ora, il problema giuridico è stabilire se il rifiuto di applicare normative di salvaguardia dei beni

culturali vigenti in un altro Stato sul presupposto della territorialità delle stesse – e dunque del fatto

che sono inefficaci al di fuori dello Stato d’appartenenza – impedisca o, in qualche modo, osti alla

piena realizzazione dell’interesse ritenuto primario, qui, interesse alla tutela dei beni culturali150. È,

pertanto, stabilire se il regime della proprietà sia calato sul bene in quanto tale oppure sul diritto che

lo contempla151. Se, l’interpretazione tradizionale considera valida la legge del luogo in cui è

avvenuto l’atto di acquisto (lex rei sitae) e dunque che gli effetti del regime di proprietà si fermano

al confine, sembra preferibile la tesi per cui il vincolo di inalienabilità aderisce non tanto al diritto

vantabile sul bene, quanto al bene in quanto tale confermando, in tal modo, il riconoscimento

extraterritoriale della tutela152. La non alienabilità allora, non è tanto un vincolo, quanto più un vero

149 Secondo l’art. 2, relativamente alla fattispecie di furto e l’art. 10 per cui le disposizioni sul ritorno dei beni culturali illecitamente esportati si applicano esclusivamente a beni esportati dopo l’entrata in vigore della convenzione – avvenuta con atto nazionale di recepimento – sia nello Stato richiedente sia nello Stato obbligato al rilascio. 150 La questione si pone soprattutto per Stati come l’Italia, la Francia o la Spagna, in cui si stabilisce che la proprietà di determinate opere d’arte deve, per interesse collettivo, essere pubblica. Cfr., al riguardo, la decisione del giudice inglese che, in relazione alla vendita di vari documenti provenienti dall’archivio della famiglia De’Medici, esportati senza il consenso italiano, distinse tra beni facenti parte dell’archivio nazionale – che restano tali anche all’estero e per i quali è sempre possibile proporre istanza di recupero – e beni storici, ma di proprietà privata – che restano tali anche all’estero, ma per i quali non è possibile proporre istanza di recupero in quanto la vendita, avvenuta dopo lo spostamento all’estero, è da ritenersi valida. Il caso è King of Italy v. Marquis. Cosimo de’ Medici Tornaquinci, Averardo de’ Medici Tornaquinci, Christie, Manson έ Woods, decisione del 31 luglio 1918, in 34 The Times Law Resports, 1917 – 18, p. 623 (cit. da M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni, cit., p. 127). 151 Interessante la decisione del Tribunale di Roma che, stabilita la competenza del giudice italiano dinanzi ad un’istanza di restituzione promossa dal governo francese relativa ad alcuni arazzi della manifattura di Amiens rubati in Francia ed acquistati da un cittadino italiano, precisa che sebbene - essendo la vendita avvenuta in Italia, doveva applicarsi la legge italiana e non più quella francese – i vincoli di inalienabilità francesi si siano persi con lo spostamento, sarebbero potuti rimanere quelli derivanti da un’eventuale adesione dello Stato alla convezione del 1970 (art. 7, lett. b), ii)) che però non era stata ratificata. (Tribunale di Roma del 18 marzo 1987, in R. D. I. P. P., 1989, p. 52 ss). 152 Anche in questo caso, come per la configurazione di un «patrimonio culturale d’importanza europea» risultante di una somma di beni «d’importanza nazionale», sembrerebbe che lo Stato crei un vincolo permanente con il bene simile a quello che si crea con l’attribuzione della cittadinanza in grado, com’è noto, di permanere anche all’estero. Le soluzioni prospettate nei riguardi dell’incommerciabilità dei beni culturali una volta fuori dal confine variano dall’applicazione della lex rei sitae (attuale) alla lex fori, dalla prevalenza dello Stato che inoltra l’istanza di restituzione in base al legame

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e proprio riflesso della funzione sociale che i beni culturali svolgono come testimonianza di civiltà

rilevante al livello mondiale. Pertanto, la norma che in un ordinamento stabilisce

l’incommerciabilità di taluni beni e dunque il vincolo di inalienabilità applica un principio più

generale che tende, da un lato, a legittimare gli Stati nella determinazione di quali beni rientrino

nella tutela, dall’altro, a lanciarne l’azione al livello internazionale perché tesa ad incentivare la

cooperazione intergovernativa. Ed è proprio a partire dalla convenzione Unesco del 1970 che può

dirsi superato il dibattito sull’inapplicabilità del diritto pubblico straniero e chiarificate anche le

prospettive circa l’adesione della norma di tutela al bene cultural in sé e non al diritto che lo

riguarda. Infatti, l’art. 5 della convenzione Unesco del 1970, obbliga i contraenti a «établir et tenir

à jour, sur la base d’un inventare national de protection, la liste des biens culturels importants,

public et privés, dont l’exportation constituerait un appauvrissement sensibile du patrimoine

cultural national» e, all’art. 13 riconosce a «claque Etat le droit imprescrittibile […] de classer et

déclarer inaliénables certain biens qui, de ce fait, ne doivent pass êntre exportés».

Tuttavia, se venivano risolti dei problemi ne rimanevano altri. Esulava dalle competenze Unesco

l’approfondimento di una serie di problematiche privatistiche (indennizzo, posizione dell’acquirente

in buona fede o per altri modi di acquisto della proprietà) – essendo limitata alle ipotesi di

importazioni/acquisto di beni rubati da parte di istituzioni pubbliche in tempo di pace. Di qui,

l’incarico da parte dell’Unesco, ad un Comitato ad hoc, presso l’Unidroit – Istituto internazionale

per l’unificazione del diritto privato - c.d. «Comité d’etude d’Unidroit sur la protection

internazionale des biens culturels» per lo studio degli aspetti privatistici del problema e per

l’elaborazione di un «corps minimum de régles juridiques communes» deterrente per i traffici

illeciti, ma anche «un processus vivant à maintenir une juste place au commerce licite et aux

accords inter-ètatique dans les èchanges culturels» (Preambolo, par. 7)153.

del bene con il patrimonio culturale nazionale, alla distinzione tra beni extra commercio e beni in commercio; cfr., G. Cannada Bartoli, Sul trasferimento dei beni fuori commercio nel diritto internazionale privato, in R. D. I., 1989, p. 624 153 V., Rapport su la 67° session du Coseil de direction – Unidroit, 1988, C. D. 67, Doc. 18. Il Progetto si articolava su due capitoli riguardanti rispettivamente i beni culturali rubati (biens culturels volés) ed i beni illecitamente esportati (biens illicitement exportés), una distinzione ritenuta fondamentale in vista sia dell’estrema differenziazione delle discipline che regolavano il furto e dunque della necessità di lasciare ampi ambiti di operatività ai legislatori nazionali, sia perché la fattispecie del furto non sempre si accompagnava a quella di esportazione illecita. Anche per tale distinzione non sono stati assenti tentativi da parte degli Stati di aderire solo ad alcune clausole del progetto e non ad altre in forza del presunto contrasto con il diritto interno, problema, quest’ultimo risolto con la costruzione di due azioni distinte, una per i casi di furto ed una per i casi di esportazione illecita. Negli illeciti di furto essendo rilevante il rapporto tra bene culturale e proprietario (a qualunque titolo, pubblico o privato) il possessore è obbligato comunque a riparare con la forma della «restitution». Negli illeciti riguardanti beni culturali esportati, prevale al contrario il rapporto tra bene culturale e Stato di provenienza (restando nell’ombra le questioni di proprietà) e dunque il «retour» - propriamente - avviene non tanto in forza di un diritto in quanto tale, ma in forza del legame che intercorre, per mezzo della legislazione nazionale, tra opera d’arte e Paese d’origine. Presupposto del ritorno è, per la rilevanza internazionale, il riconoscimento degli altri Paesi della medesima legislazione nazionale di tutela e dunque della comune volontà di cooperare per una sua piena attuazione. Altro punto di discussione è stata la differente valenza dell’espressione «cultural property» - ritenuta da parte della dottrina insoddisfacente per i richiami alla disciplina dei beni commerciali (alienabilità, commerciabilità) o «cultural heritage» - valutata viceversa poco integrante la fattispecie giuridica che

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I lavori del «Comitè d’ètude» si conclusero nel testo della convenzione Unidoit comprensiva di un

preambolo – rilevante perché di stimolo all’adozione di «altre misure nazionali» quali

l’elaborazione dei registri, la collaborazione internazionale e di garanzia del ruolo primario degli

accordi e degli scambi culturali in genere – cinque capitoli ed un allegato che l’Italia ha interamente

recepito nella sezione IV (art. 87) del Codice dei beni culturali e paesaggistici154.

In particolare al capitolo I affronta la questione della definizione dell’ambito di applicazione della

convenzione (artt. 1 e 2), al capitolo II definisce le condizioni per la restituzione dei beni rubati

(artt. 3 e 4) e al capitolo III dei beni illecitamente trasferiti (artt. 5 – 7), al capitolo IV le disposizioni

in tema di riconoscimento delle sentenze oltre alle forme e modi per la proposizione dell’azione di

restituzione (artt. 8 - 10), al capitolo V le compatibilità e disposizioni finali (artt. 11- 18).

Per quanto alla definizione dell’ambito di applicazione della convenzione le difficoltà relative alla

scelta tra le due contrapposte tendenze, l’una per una nozione omnicomprensiva di beni culturali e

dunque «biens qui, a titre religeux ou profane, revêtent une importance pour l’arcéologie, la

préhistoire, l’histoire, la littérature, l’art ou la science», l’altra per la limitazione della restituzione

ai «biens culturels revêtant une grande importance» - considerando anche i problemi connessi alla

scelta di una o dell’altre interpretazione rispetto alla configurazione di due azioni distinte per il

furto e per i beni illecitamente esportati155 - furono superate con la formula intermedia che si

appoggia, ma solo in parte – preservando in tal modo la posizione degli Stati che non avevano

aderito nel 1970, ma che erano aderenti nel 1995 - all’Allegato alla convenzione Unesco del 1970.

E dunque, all’art. 2 «Par biens culturels, au sens de la présente Convention, on entend les biens

qui, à titre religieux ou profane, revêtent une importance pour l’arcéologie, la préhistoire,

tentava di rappresentare - sostituite dalla via intermedia di «cultural objects». Si pensi - proprio con riguardo alla funzione che la convenzione intendeva svolgere e dunque di uniformare le regole per gli Stati aderenti - al fatto che non ha offerto, differentemente dalla direttiva 93/7 CEE, una definizione delle nozioni di «possesseur» o «proprieté» o, addirittura, della qualificazione del soggetto abilitato a proporre istanza di restituzione, ma si è limitata a rinviare agli ordinamenti nazionali. Ad ogni modo, dopo una lunga ed articolate serie di approfondimenti dottrinali e giurisprudenziali il Comité è giunto, nella primavera del 1991, alla stesura del progetto c.d. «Avant – Projet del Comité d’étude» e, nell’ottobre del 1993 al termine della IV sessione, alla stesura del progetto definitivo approvato il 23 giugno 1995 dalla Conferenza diplomatica. Sull’elaborazione del progetto, cfr. Unidroit 1990 – Etude LXX, Doc. 19 in Unidroit, Text of the Draft Convention with Explanatory Report, Unidroit 1994 – Conf. 8/3 del 20 dicembre 1994. Al riguardo, v., tra gli altri, L. Prott P. O., The preliminary draft Unidroit Convention on stolen or illegally exported cultural objects, in Int. comp. law. quart., 1992, p. 160 ss. 154 Dal testo del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42 cit. si legge che «L’inserimento della norma si è reso necessario al fine di ricomprendere nell’ambito della normativa di tutela anche il citato accordo internazionale, i cui contenuti hanno ad oggetto categorie di beni non del tutto coincidenti con quelle di cui all’art. 10 del codice, né con quelli elencati nell’allegato A del regolamento comunitario, integralmente recepito come alleato A al codice». 155 Infatti, essendo l’azione di restituzione in caso di furto (capitolo II) riferita a qualsivoglia bene culturale era più consona ad una definizione ampia dell’oggetto di tutela; viceversa, essendo l’azione di ritorno di beni culturali illecitamente esportati (capitolo III) riferita solo ai beni considerati rilevanti dall’ordinamento – proprio per la differenziazione delle legislazioni interne, volutamente non uniformabili in questo punto – sarebbe stata consona ad una definizione restrittiva. Sul tema, v. tra gli altri, M. Marletta, La restituzione dei beni culturali. Normativa comunitaria e Convenzione Unidroit, cit., p. 138 ss.

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l’histoire, la littérature, l’art ou la science et qui appartiennent à l’une des catégories ènumèrèes

dans l’annex à la prèsente Convention».

Ad ogni modo, le disposizioni innovative sono quelle che riguardano l’obbligo di restituzione per le

fattispecie di illecito: bene culturale rubato e bene culturale illecitamente sottratto. L’art. 3 della

convenzione obbliga il possessore di un bene culturale (pubblico o privato) rubato a restituirlo

(«restitution») al legittimo proprietario – che ha l’onere di presentare l’istanza di restituzione entro

dati termini (art. 3, par. 4), 7) e 8)) - al di là della buona fede o meno nell’atto d’acquisto156 – fermo

restando il diritto ad un indennizzo (quantificato a giudizio del giudice interno)157 purché dimostri la

buona fede e la diligenza nello svolgimento del contratto (art. 4, par. 4)158 – . In parallelo, l’art. 5

della convenzione obbliga il possessore di un bene culturale (pubblico o privato) illecitamente

esportato a restituirlo («retour») al legittimo proprietario - che ha l’onere di presentare l’istanza di

restituzione entro dati termini e di provare, oltre alla violazione della sua legislazione in materia,

anche della sussistenza di una delle condizioni di cui all’art. 5159 - al di là della buona fede o meno

nell’atto d’acquisto, salvo che l’esportazione non sia considerata più illecita dalla legge dello Stato

156 In particolare, l’art. 3 del progetto del Comité prevedeva: «1) Le possesseur d’un bien culturel volé est tenu de le restituer. 2) Un bien illicitement issu de fouilles est réputé, au sens de la présente Convention, avoir été volé. 3) Toute demande de restitution doit être introduite dans un dèlai de (trois) an à computer du moment où le demandeur a connu ou aurait dû raisonnablement connaître l’endroit où se trouvait le bien et l’identité du possesseur et, dans tous les cas, dans un délai de ans à computer du moment du vol. 4) Toutefois, une demande de restitution d’un bien faisant partie d’une collections publique d’un Etat contractant (est imprescriptible) (se prescrit dans un délai (75) ans)». 157 Il giudice adito, per stabilire se il bene culturale in questione sia stato sposato illecitamente dal territorio dello Sato richiedente, si atterrà al diritto nazionale e, più esattamente, a quanto disposto dall’art. 1, lett. b) della convenzione «son droit réglementant l’exportation de biens culturels en vue de protéger son patrimoine culturel». Tale soluzione, che riprende quella della direttiva 93/7 CEE per cui il giudice adito il diritto applica il diritto dello Stato richiedente, innovando di gran lunga rispetto alla prassi sei tribunali interni alla gran parte degli Stati è stata concepita come un’eccezione. Sul tema cfr., Rapport explicatif préparé par le Secretariat d’Unidroit, Unidroit 1994 – Etude LXX, Doc. 49, Rome 1994, p. 22. 158 In particolare, al par. 4 «Pour dêterminer si le toutes les circonstances de l’acquisition, notamment de la qualità des parties, du prix payè, de la consultation par le possesseur de tout registre relatif aux biens culturel volès raisonnablement accessibile et de toute autre information et documentation pertinentes qu’il aurait pu raisonnablement obteneir et de la consultation d’organismes auxquels il pouvait avoir accèso u de toute autre dèmarche qu’une persone raisonnable aurait entreprise dans les mêmes circonstances». Può dirsi che, dall’esame dei documenti preparatori e nel rapporto esplicativo della convenzione, i problemi che hanno caratterizzato i lavori del Comitè per quanto alla determinazione di un indennizzo erano per lo più legati all’introduzione negli ordinamenti interni di un principio nuovo recante l’obbligo della restituzione dietro indennizzo del bene acquistato in buona fede. Il problema era configurare l’obbligo dell’indennizzo dinanzi alla prassi degli Stati nazionali che legittimavano le vendite di beni culturali anche senza la dovuta conoscenza dei precedenti proprietari. Così, per evitare che i rischi di transizioni illecite restassero circoscritti al proprietario spossessato e all’ultimo compratore, è stato inserito al par. 2 dell’art. 4 che, fermo restando il diritto del possessore all’indennizzo «des efforts raisonnables sont faits afin que la persone qui a transféré le bien culturel au possesseur, ou tout autre cédànt antérieur, paie l’indemnité lorsque cela est conforme au droit de l’Etat dans le quel la demande est introduite», consentendo in tal modo la facoltà di rivalsa sui veri responsabili. Cfr., le proposte del Comité d’experts gouvernementantaus in Unidroit 1992, Etude LXX – Doc. 31, p. 6. 159 Tra queste, particolarmente incidente la circostanza che l’esportazione abbia provocato un danno significativo ad uno degli interessi protetti dalla legge – ad esempio la conservazione materiale del bene o del suo contesto, la conservazione dell’informazione che lo riguarda, l’utilizzo originale del bene rispetto alla consuetudine della popolazione che lo possiede ecc… - oppure che la restituzione sia dovuta alla rilevanza culturale del bene per lo Stato di provenienza. Testualmente, l’art. 5 al par. 3: «Le tribunal ou toutre autre autorità compétente de l’Etat requis ordonne le retour du bien culturel lorque l’Etat requérant établit que l’exportation du bien porte une atteinte significative à l’un ou l’àutre des intérêts siuvante».

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richiedente al momento della domanda di restituzione ovvero quando il bene sia stato esportato

direttamente dall’autore o entro cinquanta anni dalla sua morte (art. 7) –– fermo restando il diritto

del possessore ad un indennizzo a carico dello Stato richiedente secondo le condizioni fissate

dall’art. 6 purché dimostri la buona fede e la diligenza nello svolgimento del contratto160.

Una delle questioni più dibattute è stata certamente la tutela dell’acquirente a non domino che la

convenzione del 1970 non aveva chiarito161. Infatti, ai fini della corresponsione dell’indennizzo non

citava né il requisito della buona fede, né il soggetto cui incombeva l’onere di provare la buona fede

stessa consentendo agli Stati aderenti – in assenza di una regolamentazione uniforme della

procedura – di disciplinare secondo il diritto nazionale anche la prosecuzione del rapporto e

causando, inevitabilmente, un’attuazione della convenzione a “macchia di leopardo”162.

Uno degli scopi dell’incarico al Comitè d’ètude fu proprio quello di sanare questa situazione

correggendo soprattutto i Paesi di civil law – tra cui l’Italia – verso un’applicazione più coerente

della convenzione cui intendevano aderire e stimolandoli ad un vero e proprio mutamento di rotta.

Di qui, la nuova prospettiva disegnata dall’Unidroit, che rilancia l’azione della comunità

internazionale verso il perseguimento di un comune interesse, comunque prevalente: la tutela del

bene culturale. Una prospettiva che si interessa della fattispecie nel suo complesso, che individua il

possessore in buona fede del bene rubato, non gli consente di mantenerne il possesso, ma lo rende

idoneo ad ottenere un indennizzo, vincolandolo a determinate condizioni che ne svelano la

sufficiente o scarsa cautela al momento dell’acquisto163.

Con il principio per cui «le possesseur d’un bien culturel volè doit le restituer» si chiarisce come tra

gli interessi del proprietario del bene rubato e quelli dell’acquirente in bonis, la convenzione abbia

privilegiato il primo, evidenziando come la corresponsione dell’indennizzo abbia carattere del tutto

160 Interessante l’alternativa posta dall’art. 6, par. 3 che concede al possessore di rimanere proprietario del bene o di trasferirlo a qualsiasi titolo ad un cittadino residente nel Paese richiedente che dovrà fornire le necessarie garanzie (par. 6, lett. b)) evitando così esborsi eccessivi da parte dello Stato richiedente. 161 Si pensi al tenore dell’art. 7 lett. b) ii) che, in tema di restituzione di beni culturali prevedeva l’indennizzo al possessore in buona fede impegnando le Parti contraenti «à prendre des mesures appoprièes pour saisir et restituer à la requête de l’Etat d’origine partie à la Conventiond tout bien culturel ainsi volèe t importeè après l’entrèe en vigueur de la prèsente Convenzione à lègard des Etats concernès, ò condition que l’Etat requèrant verse une indemnitè èquitable à la persone qui est acquèreur de bonne foi ou qui dètient lègalement la propriètè de ce bien […]». 162 Il problema si creò soprattutto dove l’acquisto in buona fede vale titolo e dunque, la mancanza di una regolamentazione ad hoc, ma anche del carattere non self executing dell’art. 7, permetteva al mero possessore di divenire il proprietario agli effetti della legge nazionale, ma non della convenzione (cui il proprio Stato, nel caso in cui il possessore fosse un privato, aveva aderito) impedendo, conseguentemente, la restituzione! 163 L’intenzione degli Stati aderenti era raggiungere una posizione di equilibrio tra la regola di common law del nemo dat quoad non habet – per cui il trasferimento posto in essere dal non dominus è irrilevante perché quest’ultimo dispone illegalmente del bene altrui e, salvo eccezioni, l’acquirente a non domino, dovrà restituire il bene senza indennizzo – e gli indirizzi di civil llaw che garantiscono all’acquirente in bonis una maggiore protezione. Sull’applicazione del principio di diritto romano, v. per tutti, L. Prott P. O. e O’Keefe, Law and Cultural Heritage, cit., p. 397 ss, oltre a L. Prott P. O., Problems of Private International law for the Protection of Cultural Heritage, in Recueil des cours, 1989, V, p. 239 ss. Con riguardo alle difficoltà emerse in sede Unidroit sulle soluzioni intermedie cfr. Etude LXX – Doc. 49, Rapport explicatif, p. 9, par. 14.

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speciale, proprio perché flessibile in relazione alla differenziazione degli ordinamenti nazionali164.

D’altra parte, l’idea di fondo che aveva ispirato sin dal 1970 l’elaborazione delle convenzioni era

proprio dotare il diritto internazionale di una soglia minima di tutela e consentire agli Stati aderenti

una certa flessibilità nella capacità dei propri ordinamenti di stabilire condizioni più favorevoli alle

istanze di restituzione proposte davanti ai propri tribunali165.

Infine, la convenzione la convenzione Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale

intangibile, adottata a Parigi il 17 ottobre 2003. L'adozione della Convenzione è il risultato di un

lungo processo di crescente consapevolezza, iniziato con la Conferenza UNESCO di Città del

Messico (1982), nella quale per la prima volta venne utilizzato il concetto di "intangibilità" con

riferimento al nucleo delle espressioni spirituali umane. Nel 1989, l'UNESCO adottò la

Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura e del folklore tradizionali, ma il carattere non

giuridicamente vincolante della Raccomandazione ne limitò gli effetti. La proclamazione del primo

capolavoro nel 2001 stimolò in maniera considerevole l'interesse per la problematica del patrimonio

culturale intangibile e la comprensione del ruolo essenziale di esso nell'identità culturale dei

popoli166.

L’esigenza della convenzione nasce dalla valutazione circa l’importanza del patrimonio culturale

intangibile come espressione delle diversità nazionali e come garanzia dello sviluppo sostenibile in

un contesto di globalizzazione e trasformazione sociale che per nulla sembra facilitare il dialogo tra

culture167.

Il metodo della convenzione è sviluppare una consapevolezza diffusa a livello locale, nazionale e

internazionale dell’importanza del patrimonio intangibile e della necessità di predisporre azioni di

assistenza e cooperazione tra Stati membri (art. 1). Il testo della Convenzione sottolinea inoltre che

la tutela del patrimonio culturale intangibile è un processo complesso, che coinvolge attori

molteplici, a cominciare dalle comunità la cui storia ha espresso quei capolavori.

164 Si noti, al riguardo, che mentre l’art. 7 lett. b) ii) della convenzione Unesco si riferisce alla «persone qui est acquirèreur de bonne foi», l’art. 3, par. 1 della convenzione di Roma utilizza il termine «possesseur» - termine lungamente discusso e rielaborato come «détenteur» o «acquèreur» dalla delegazione iraniana in quanto il regime di proprietà interno era costruito proprio sul possesso e dunque un richiamo in negativo al possessore avrebbe fuorviato l’interprete nell’applicazione della convenzione. Cfr. Etude LXX – Doc. 24, p. 14. 165 In particolare, l’art. 9 prevedeva: «1) La prèsente Convention d’èmpeche pas un Etat contractant d’appliquer toutes rêgles plus favorables à la restitution ou au retour des biens culturels volès ou illicitement exportès quecelles prèvues par la prèsente Convention. 2) Le prèsent artiche ne doit pas être interprètè comme crèant une obligation de reconnaître ou de donner force exècutoire à une dècision d’un tribunal ou de toute autre autorità compètente d’un autre Etat contractant qui s’ècarte des dispositions de la prèsente Convention». 166 La proclamazione è stata fatta dal Direttore generale dell'UNESCO, su sollecito di una giuria internazionale. 167 Tra gli atti Unesco di sostegno ad un’idea di sviluppo sostenibile, possono riferirsi la raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e del folclore del 1989, la dichiarazione universale Unesco sulle diversità culturali del 2001 e la dichiarazione di Istambul del 2002 adottata a seguito dell’incontro intergovernativo dei ministri della cultura.

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Con slancio innovativo, la convenzione definisce sin dall’inizio del testo gli ambiti di operatività

dei suoi dispositivi: in particolare, da un lato chiarisce il concetto di «patrimonio culturale

intangibile» e delle sue manifestazioni168, dall’altro precisa che tali dispositivi non alterano o

diminuiscono «the level of the protection under the 1972 Convention concernine the protection of

the world cultural and natural heritage of world heritage properties with an item of the intangible

cultural heritage is directily associated» né «the rights and the obligations of States Parties

derivino from any international instrument relating to intellectual property rights or to the use of

biological and ecological resources relating to wich they are parties» (art. 3). Sono organi della

convenzione, l’assemblea generale degli Stati aderenti detta «the general assembly» (art. 4) che si

riunisce in sessione ordinaria ogni due anni e straordinaria se richiesto dal comitato, il comitato

intergovernativo detto anche «the committe» (art. 5) ed un segretariato (art. 10)169.

Al fine indicato dal metodo della convenzione (art. 1), il testo predispone un gruppo di dispositivi

sulla salvaguardia del patrimonio culturale intangibile sia a livello nazionale (artt. 11-15) che

internazionale (artt. 16-18), tramite l’utilizzo di un fondo ad hoc (artt. 25-28) ed il perseguimento

degli obiettivi segnati dalla cooperazione ed assistenza tra Potenze mondiali (artt. 19-24)170.

168 In particolare «the intangible cultural heritage means the practices, representations, expressions, knowledge, skills – as well as the instruments, obiects, artefacts and cultural spaces associated therewith – that communities, groups and, in some cases, individuals recognize as part of their cultural heritage – ed aggiunge un elemento di novità in quanto evidenzia come – this intangible cultural heritage, transmitted from generation to generation, is constantly recreated by communities and groups in response to their environment, their interaction with nature and their history, and provides them with a sense of identità and continuità, thus promoting respect for cultural diversità and human creatività» (art. 2, 1° co.). 169 L’elezione del comitato degli Stati aderenti, deve avvenire nel rispetto dei principi di equità geografica e rappresentazione con un sistema a rotazione, i cui membri durano in carica quattro anni e sono rinnovati per metà ogni due anni e mai consecutivamente (art. 6). Tra le funzioni principali vi è la promozione degli obiettivi della convenzione e delle best practices e raccomandazioni sulle misure per la salvaguardia del patrimonio culturale intangibile oltre all’assistenza dei lavori di assemblea (artt. 7 - 8 - 9); il Comitato dovrà redigere un elenco rappresentativo del patrimonio culturale internazionale dell'umanità, che comprenderà i capolavori già riconosciuti come intangibili prima dell'entrata in vigore della Convenzione. Il Comitato avrà inoltre il compito di redigere un elenco del patrimonio culturale internazionale che necessita con urgenza di essere salvaguardato. 170 In particolare, gli obblighi derivanti dall’adesione alla convenzione al livello nazionale attengono la garanzia «to ensure the safeguarding of the intangibile cultural heritage present in its territory – oltre a – identify and define the various elements of the intangibile cultural heritage […] with the participation of communities, goups and relevant nongovernmental organizations» (art. 11) anche tramite la predisposizione di «one or more inventories of the intangibile cultural heritage […] regularly updated» (art. 12). Più in generale ciascun Stato aderente «adopt a general policy aimed at promoting the function of the intangibile cultural heritage in society, and at integration the safeguarding of such heritage into planning programmes; fostering scientific, technical, and artistic studies […] administrative and financial measures aimed at: fostering the creation or strenghtening of institutions for training in the management of the intangibile cultural heritage […] ensuring access to the intangibile cultural heritage while respecting customary prectices governino access to specific aspects, ecc…» (art. 13). Tali obiettivi sono perseguiti anche tramite «educational, awareness-raising and information programmes, aimed at the general public, in particolar young people; specific educational and training programmes […] capacity-building activities […] non-formal means of trasmitting knowledge» (art. 14). In parallelo sono costruiti gli obblighi al livello internazionale che vede un maggior coinvolgimento, soprattutto nella fase esecutiva, del «the committe». Riguardo agli strumenti di cooperazione ed assistenza internazionale, la convenzione prevede «the exchange of information and experience, joint initiatives, and the establishment of a mechanism of assistance to State Parties in their efforts to safeguard the intangibile cultural heritage – e soprattutto – without prejudice to the provision of their national legislation and customary law and practices» (art. 19); la procedura di «request for the international assistance» può essere attivata da ogni Stato aderente, anche cumulativamente rispetto ad altre richieste, tramite la presentazione di una richiesta al «the committe» e prevede la

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Le quattro convenzioni esaminate hanno confermato sul piano delle norme internazionali pattizie il

diritto a veder tutelato il proprio patrimonio culturale: una lunga serie di accordi e di atti delle

Organizzazioni internazionali ha consentito la formazione di un gruppo di regole in grado di

perseguire, nel rispetto delle legislazioni nazionali, talvolta la conservazione del bene nella sua

materialità, altre volte l’indicazione dei principi di riferimento per la sua valorizzazione e fruizione.

In questo senso, è indiscusso che nel testo Unidroit vi siano segni di una tutela avanzata «quasi un

“droit de l’art” della seconda generazione»171.

Infine, può segnalarsi la Convenzione del Patrimonio mondiale, culturale e naturale negli Stati

dell’Unione europea n. 2036 del 2000, in attesa della approvazione della legge di ratifica e recepita

nel Codice dei beni culturali e paesaggistici all’art. 94172. L’esigenza che pone come oggetto di una

convenzione internazionale la tutela del patrimonio culturale subacqueo è insita nella

«acknowledging the importance of underwater cultural heritage as an integral part of the cultural

heritage of humanity and a particularity important element in the history of people, nations and

their relations with each other concerning their common heritage» (2° considerando alla

convenzione). A partire dalla rilevazione dell’aumento «public interest in public appreciations of

underwater cultural heritage» (4° considerando) «convinced of the importance of the research,

information and education to the protection and preservation of underwater cultural heritage» (5°

considerando) e nella certezza che la cooperazione tra Stati, organizzazioni internazionali,

istituzioni scientifiche, organizzazioni professionali, archeologiche ed altre parti pubbliche

interessate sia l’unica via per garantire una protezione quanto più estesa possibile del patrimonio

subacqueo.

Il principio fondamentale è che la «the protection of underwater cultural heritage through “in situ”

preservation shall be considered as the first option» (rule 1) – salvo la deroga per cui «public

access to in situ underwater cultural heritage shall be promoted, excepted where such access is

incompatibile with protection and management» (rule 7) - pertanto qualunque attività deve essere

autorizzata, in quanto l’interesse primario della convenzione è garantire la «protection or

knowledge or enhancement of under cultural heritage». In secondo luogo, ogni attività deve essere

corrispondenza., anche durante l’assistenza, tra autorità dello Stato richiedente ed il medesimo «the committe» circa l’andamento del rapporto. Il fondo di assistenza «the found» consiste di contributi degli Stati aderenti, fondi della conferenza generale Unesco, donazioni di altri Stati non aderenti, di soggetti pubblici o privati, eventi ed altre risorse approvate dal «the committe» che sovrintende la gestione dei contributi secondo le varie percentuali indicate in convenzione insieme a «the general assembly» sovrintende (art. 26). È interessante notare come sia previsto un apposito capitolo, il VII. «reports», relativo all’obbligo degli Stati aderenti di interscambiare periodicamente – appunto con reports - con il «the committe» ogni misura adottata per l’implementazione della convenzione sia sul piano legislativo che regolamentare. 171 Così, M. Marletta, La restituzione dei beni culturali, cit., p. 195. 172 La convenzione è stata adottata il 3 novembre 2001, a seguito della riunione della Conferenza generale delle Nazioni Unite per l’Organizzazione della cultura, l’educazione e la scienza (Parigi, 15 ottobre – 3 novembre 2001).

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proporzionale e adeguata allo scopo che intende perseguire e, comunque, «not adversely affect the

underwater cultural heritage more than is necessari for the objectives of the project» (rule 3).

La convenzione si sviluppa i divieti, gli oneri e le sanzioni a partire da questi due presupposti.

Innanzitutto vieta le esplorazioni scientifiche del patrimonio subacqueo a scopo commerciale o

speculativo aggiungendo un secondo divieto che concerne la materiale collocazione dei beni

culturali subacquei al di fuori delle res commercium, in particolare affermando che «underwater

cultural heritage shall not be traded, sold, bounght or bartered as commercial goods» (rule 2, 2°

co.). Ancora, nello svolgimento di esplorazioni scientifiche, vieta l’uso di tecniche e metodi

distruttivi oltre a raccomandare il rispetto dell’ambiente circostante ritenuto importante anche

soltanto dalle popolazioni autoctone. Preliminare a qualsiasi attività è la presentazione del «project

design» alle autorità competenti per l’ottenimento dell’autorizzazione ai lavori, che verrà

automaticamente aggiornato e sottoposto di nuovo alle medesime autorità «where unexpected

discoveries are made or circumstances change» - salvo la deroga per cui «in case of emergency or

change discoveries» (rule 13) che legittimano l’inizio di attività anche in assenza della necessaria

autorizzazione.

Il «project design» contiene una serie di oneri, tra i quali un «preliminary work» (rule 14) utile ad

inquadrare l’oggetto dell’attività, un «project objective, methology and tecniques» (rule 16), in

applicazione del principio per cui ogni attività deve essere proporzionale e adeguata allo scopo che

intende perseguire, di un «funding» (rule 17) ossia di un’analisi delle risorse ed un piano di

contingentamento in caso di improvvisa variazione delle circostanze, del «project duration -

timetable» (rule 20), ma anche una serie di sotto attività, tra cui « a site management and

maintenance policy for the whole duration of the project, a documentation programme, a safety

policy, an environmental policy, arrangements, for collaboration with museum and other

institutions, in particolar scientific institutions, report preparation, deposition of archives,

includine underwater cultural heritage removed - oltre ad - a programme for pubblication» (rule

10).

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