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47 L’APPARISCENTE Considerazioni in memoria di Cesare Brandi (*) Affrontare il tema della sistemazione e protezione degli scavi e delle strutture architettoniche comporta una valutazione sulla compatibilità tra modificazione, ricostruzione e conservazione (i confini tra le tre operazio- ni, nella pratica, non sono chiari come nella teoria). Questa verifica con- creta sarà appena suggerita indicando esempi romani di pianificazione e pronto intervento, dal centro alla periferia. Non solo nei casi particolari qui di seguito esposti, ma anche in generale, la pratica del restauro sembra oggi offrire più spunti per una riflessione in tal senso di quanti non ne provengano invece dalle dispute teoriche — sempre affollate — sui massi- mi sistemi. Cercare di operare mediante ‘minimi interventi’ appare — con evi- denza sempre maggiore — non solo conveniente e opportuno, ma quasi (*) Ultimata la stesura di queste note, ho saputo della morte di Cesare Brandi. Avevo avuto la fortuna di conoscerlo, in occasione del restauro della sua casa senese, la villa “Il Palazzo” Vignano. Nella sua revisione preliminare del programma di lavoro aveva voluto conoscere tutti quelli che avrebbero partecipato al cantiere. Malgrado si trattasse della par- ziale inagibilità della sua abitazione, preferì un numero ridotto di persone, a scapito dei tempi di esecuzione, per meglio seguire e valutare le operazioni in corso. Le sue decise e asciutte osservazioni sembravano talvolta indipendenti dalla sua stessa teoria, e in effetti ogni indicazione proveniva anche e direttamente dal manufatto su cui si era al lavoro. Le operazioni da compiere erano certamente mediate dalla teoria, ma erano ricavate primaria mente dall’oggetto. L’attenzione continua lo portava a passare improvvisamente dai toni bruschi al sorriso. Interveniva frequentemente perché si evitassero tutte le variazioni non indispensabili: il restauro era inteso come necessità e come opportunità, ma doveva tende re quasi a sparire, a divenire invisibile. Guardava l’edificio da restaurare come se lo avesse osservato e seguito per intero nella sua evoluzione, fin dalla costruzione; con sensibilità — non sentimentalismo — perfino per le crepe e i rattoppi. Nel rispetto per la testimonianza storica, le sue preoccupazioni andavano oltre, tradivano l’amore per la materia: nessuna tecnica era in grado di riprodurre, negli oggetti, la storia e l’arte che potevano esservi rico- nosciute. L’ambiente, in tutti i particolari, era osservato e attraversato interamente, in modo © 1988 All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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L’APPARISCENTE

Considerazioni in memoria di Cesare Brandi (*)

Affrontare il tema della sistemazione e protezione degli scavi e dellestrutture architettoniche comporta una valutazione sulla compatibilità tramodificazione, ricostruzione e conservazione (i confini tra le tre operazio-ni, nella pratica, non sono chiari come nella teoria). Questa verifica con-creta sarà appena suggerita indicando esempi romani di pianificazione epronto intervento, dal centro alla periferia. Non solo nei casi particolariqui di seguito esposti, ma anche in generale, la pratica del restauro sembraoggi offrire più spunti per una riflessione in tal senso di quanti non neprovengano invece dalle dispute teoriche — sempre affollate — sui massi-mi sistemi.

Cercare di operare mediante ‘minimi interventi’ appare — con evi-denza sempre maggiore — non solo conveniente e opportuno, ma quasi

(*) Ultimata la stesura di queste note, ho saputo della morte di Cesare Brandi. Avevoavuto la fortuna di conoscerlo, in occasione del restauro della sua casa senese, la villa “IlPalazzo” Vignano. Nella sua revisione preliminare del programma di lavoro aveva volutoconoscere tutti quelli che avrebbero partecipato al cantiere. Malgrado si trattasse della par-ziale inagibilità della sua abitazione, preferì un numero ridotto di persone, a scapito deitempi di esecuzione, per meglio seguire e valutare le operazioni in corso. Le sue decise easciutte osservazioni sembravano talvolta indipendenti dalla sua stessa teoria, e in effettiogni indicazione proveniva anche e direttamente dal manufatto su cui si era al lavoro. Leoperazioni da compiere erano certamente mediate dalla teoria, ma erano ricavate primariamente dall’oggetto. L’attenzione continua lo portava a passare improvvisamente dai tonibruschi al sorriso. Interveniva frequentemente perché si evitassero tutte le variazioni nonindispensabili: il restauro era inteso come necessità e come opportunità, ma doveva tende requasi a sparire, a divenire invisibile. Guardava l’edificio da restaurare come se lo avesseosservato e seguito per intero nella sua evoluzione, fin dalla costruzione; con sensibilità —non sentimentalismo — perfino per le crepe e i rattoppi. Nel rispetto per la testimonianzastorica, le sue preoccupazioni andavano oltre, tradivano l’amore per la materia: nessunatecnica era in grado di riprodurre, negli oggetti, la storia e l’arte che potevano esservi rico-nosciute. L’ambiente, in tutti i particolari, era osservato e attraversato interamente, in modo

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necessario (1); Riccardo Francovich ha già indicato quest’orientamento,spiegandone le ragioni. Per una specie di elogio della povertà (o della di-screzione) si è inoltre accennato all’esperienza di un medico inglese chenel Rinascimento aveva provato come fosse preferibile evitare le cure me-diche (2) o, fuori di esempio, si è richiamato lo stato di conservazione deimanufatti archeologici in Africa romana, dove non si sono avuti moltifondi per i restauri. Sono noti i vantaggi di quel clima e non è certo il casodi sposare la causa romantica sostenendo che sia preferibile non interveni-re addirittura, ma la scelta non può essere ridotta a una drastica alternativatra immobilismo e interventi eccessivi.

Credo senz’altro che ci troviamo tutti sul banco degli imputati, e nonperché siano gli archeologi a voler accusare gli architetti o viceversa (oalmeno non solo per questo) (3), ma perché i fatti, con la loro eloquenza,

spiritoso, distaccato, agile, acuto e discreto: divertito. Successivamente Brandi era venuto avisitare uno dei cantieri romani in cui lavoravo, seguendo con molti suggerimenti le indagi-ni, anche a distanza di tempo, da Siena, anche dopo la malattia. Alla sua memoria desiderodedicare, con gratitudine, il lavoro che ho potuto sviluppare con gli strumenti da lui ideati:in particolare la sua teoria del restauro, riferimento fondamentale da venticinque anni.Moltissimo, nella pratica, resta ancora da fare.

(1) Ammoniva già Camillo Boito, applicando al restauro un concetto epicureo: « Fer-marsi a tempo. E qui sta la saviezza: contentarsi del meno possibile », C. BOITO, I Restaura-tori, conferenza tenuta all’Esposizione di Torino il 7 giugno 1884, cit., in C. CESCHI, Teoriae storia del Restauro, Roma 1970, p. 109.

(2) Cfr. « Tempo medico », 1986, n. 11. In un primo tempo egli aveva organizzatol’ospedale in modo da suddividere casualmente in due gruppi i pazienti in arrivo; in uno deidue reparti così formati venivano somministrate le cure ordinarie, nell’altro non si effettua-va alcun trattamento (non placebo quindi, ma dichiarata assenza di cure). Si osservò chedalle malattie lasciate al loro decorso naturale si guariva più frequentemente. Successiva-mente l’esperimento fu proseguito con l’introduzione di una terza corsia, dove ai malati —senza alcuna cura medica — venivano riservati trattamenti di particolare favore riguardantiessenzialmente la temperatura e l’alimentazione; in questo caso le guarigioni raggiungevanolivelli mai registrati in precedenza. La conclusione di queste esperienze fu riassunta in unmotto: « il medico può visitare, talvolta azzardare una diagnosi, mai curare ». Analogheconclusioni, a proposito del restauro, sono tratte metaforicamente da E. Viollet-Le-Duc:« miex vaut laisser mourir le malade que le tuer »: val meglio lasciar morire il malato cheucciderlo; Dictionnaire raisonné de l’architecture, Paris 1864, Tomo VIII p. 33. In seguito,invece che essere trasposto al restauro, questo principio è entrato in crisi nella medicina. Manon si è ancora giunti a teorizzare l’eutanasia architettonica: ci si limita — da tempo — allasperimentazione, tout court ammazzando gli edifici prima che possano troppo invecchiare.

(3) La carta del restauro di Atene consiglia una « stretta collaborazione tra l’archeolo-go e l’architetto »: vedi F. GURRIERI, Dal restauro dei monumenti al restauro del territorio,Firenze 1975, p. 91. Dello stesso autore si veda anche Architetto, archeologo, centro storico.

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pongono insieme archeologi e architetti sotto accusa. Allora forse puòessere utile organizzare la difesa cercando di trovare, fuori di noi, un col-pevole che non sia né archeologo né architetto, anche se apparirà unalinea difensiva scontata, banale, poco coraggiosa e falsa. Non è così. Dav-vero uno dei maggiori responsabili di questo stato di cose non si trova connoi sotto accusa: si tratta della ricerca dell’appariscente, del segno, dellatrasformazione. Si è già accennato al fatto che spesso gli enti pubblici,stanziando poniamo 480 milioni (che è il tetto delle perizie di spesa per leSoprintendenze), vogliono poter poi vedere qualcosa per dire: abbiamoquesto buco o questa bella pozza, o che altro sia, in cambio dei milionispesi. Non basta la conoscenza, si vuole e si cerca qualcosa di tangibile damostrare, qualche risultato vistoso. Perfino nello studio si cerca la scoper-ta, l’eccezionale, e si può individuare ormai un vero e proprio filone spe-culativo dedicato alla sorpresa, alla rivelazione delle grandi verità occulte,in architettura e urbanistica come in archeologia e storia dell’arte. E cosìanche nel restauro: prima ancora dei progettisti e dei direttori dei lavori leditte stesse, per quanto specializzate, vogliono poter mostrare la differen-za tra il prima e il dopo, far vedere che con la ‘cura’ è cambiato l’aspettodel monumento. Pochi disapprovano il fatto che si veda tale differenza eper contro molti se ne compiacciono. Si consideri ad esempio il problemadel restauro di tinteggiature e intonaci delle facciate, una buona occasioneper lasciare il segno, per introdurre qualche tocco vistoso: erano diversi daoggi senz’altro i colori dei palazzi dal Medioevo in poi. Si alternavano trail color dell’aria, della terra o del fuoco e dell’acqua, e certo non erano

Una collaborazione opportuna per un intervento difficile, « Archeologia Medievale », VI(1979) p. 23 ss., a cui segue, nella stessa pubblicazione, di R. FRANCOVICH, Alcuni problemidei rapporti pratici fra archeologia, restauro e pianificazione territoriale, p. 35 ss. Cfr. ancheE. GUIDONI, Città degli archeologi e città degli architetti, in Roma: archeologia e progetto,Roma 1983, pp. 67-69.« . . . Il concepire lo scavo come una fase a se stante della ricercastorica, corrisponde ad una necessaria progressività nell’operazione di restauro, ma assurdoconsiderarlo a se stante come se potesse fare a meno del restauro. Non è lo scavo che haprecedenza sul restauro, ma lo scavo stesso non è che la fase preliminare del progressivoriattualizzarsi dell’opera d’arte nella coscienza a cui il seppellimento l’ha sottratta. Perciò loscavo non è che il preludio del restauro e non può considerare il restauro come una fasesecondaria o eventuale. Cominciare uno scavo in questi termini, non è opera di ricercastorica né di estetica, ma un’operazione incosciente, la cui responsabilità sociale e spiritualeè gravissima, perché è indubbio che quanto si trova sotterrato è maggiormente protettodalla prosecuzione di condizioni ormai stabilizzate che dalla rottura violenta di queste con-dizioni che lo scavo produce. » C. BRANDI, Teoria del Restauro, Torino 1977 (I ed. 1963), pp.49, 50.

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tutti uguali, come dimostrano — se ce ne fosse bisogno — tanti quadridipinti nel Rinascimento. Ma la ricerca della soluzione ‘giusta’ ha fatto sìche si discuta del colore, e non dei colori, di quel periodo.

Come nelle dispute filosofiche dell’antichità, oggi qualcuno proponeil predominio trasparente dell’aria, altri con maggiore calore quello dellaterra.

Attenta e sensibile all’esteriorità, alle novità, all’aspetto, a metamorfo-si e anamorfosi, la nostra epoca si è concentrata sul colore, la nota piùvolubile, appariscente e meno costante di ogni architettura.

Elegantemente si solleva la questione negandola. Il bianco più o menosporco, per non decidere tra i vari colori, attira più di ogni altro chi cercacon chiari effetti di simulare la pietra. Forse il concetto della somma ditutti i colori dell’iride sembra una bella ipersoluzione, o forse è l’idea diridurre l’architettura a progetto, trasformando i prospetti in grafici, quasigrandi fogli di carta, che affascina. Comunque sia anche la varietà, nonsolo la cromia, viene bandita dai recenti precetti accademici e dalle nuo-vissime prescrizioni manualistiche sul restauro. Qui l’archeologia può aiu-tare a fuggire le mode dell’architettura.

Trovandosi a tinteggiare una facciata converrà documentarsi ed ese-guire saggi, ma si troveranno probabilmente — salvo il caso di recentirifacimenti totali — molti e diversi colori sovrapposti sotto quello in vista.Come nel lato occidentale di palazzo Altemps a Roma, sul quale a un fintoparamento tufaceo si sono nel tempo sovrapposte decorazioni monocro-me figurate, quindi una policromia, poi le terre ottocentesche e recenti (4).Sulla facciata meridionale dello stesso edificio si rinviene a partire dallamuratura, nei saggi, un arriccio chiaro, un intonaco liscio di pasta chiaracolorato in superficie di terra cotta, un altro strato con coccio pesto epozzolana in pasta, raschiato a fresco e poi rigato a secco per aggrapparel’ultimo recente intonachino colorato di ocra. Questo penultimo strato siritrova anche sotto le lesene aggiunte ai lati delle finestre del piano nobileda Martino Longhi il Vecchio nel 1589. Sulle stesse facciate abbiamo noti-zia — dalle fonti — di un precedente « chiaroscuro bellissimo » (come lodescrive il Vasari) di Polidoro Caldara da Caravaggio e Maturino da Firen-ze e di due ignudi sopra il portone dipinti da Giovan Francesco Bembodetto il Vetraio.

(4) Gli accertamenti sono stati condotti con Stefano Coccia, sulla base dei pochi resti,nel corso delle indagini eseguite dai consorzi Roma, Tecni.Re.Co e Micron.

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Nel restauro cosa privilegiare? Il bianco del grassello di calce, il grigioe il nero del carbone vegetale impiegato nel chiaroscuro (o delle polverirecenti), le terre? La tinta uniforme o le vibrazioni della luce? E il contestoattuale?

Qualcuno sostiene che nelle sistemazioni tardo cinquecentesche (intutte, naturalmente) il colore della “colla rasciata alla genovese” (citataanche nei documenti su palazzo Altemps firmati dal Longhi) fosse chiaro,ma in questo caso le campionature lo negano: la malta in fase con le siste-mazioni del Longhi come si è detto è quella colorata in pasta, sovrappostaa quella bianca — oltretutto macchiata di ocra — precedente. Su questoimpasto colorato si rinvengono inoltre tracce di striature a fresco, in granparte cancellate dal tempo prima e dalle spicconature per la presa dellostrato successivo poi: potrebbe trattarsi proprio dei segni della “rasciatura”.Inoltre con questo intonaco risultano effettuate le riprese lungo le cornicispostate dal Longhi.

Peraltro — ma a proposito di altri immobili — nella composizionedocumentata della colla “rasciata alla genovese” non figurano sostanze talida conferire all’impasto una colorazione diversa da quella della calce edella sabbia bianca.

Ma nella trascrizione di una formula che interessava per le sue caratte-ristiche di tenacia, durata e robustezza (resisteva alla salsedine anche sulmare di Genova) era davvero essenziale menzionare gli eventuali pigmen-ti? E non potevano questi cambiare di caso in caso?

Vitruvio, nel libro secondo, seguito dai trattati rinascimentali, consi-gliava per le superfici esposte all’aria l’aggiunta nell’impasto di polvere dimattone tritato. E il palazzo in questione — nella sua strutturazionelonghiana — ha inoltre una base di mattoni a scarpa, descritta minutamen-te nei documenti di costruzione ancora conservati.

Gli immacolati sostenitori del bianco non si adombrino: esiste quasiovunque nelle stratigrafie murarie almeno uno strato candido, propriocome il bolo sotto le dorature (o, più recentemente, l’arancione del miniosotto le tinte delle inferriate). Dire a colpo sicuro che una facciata è statachiara e chiedere il conforto di una indagine è un azzardo sopportabile: lascommessa risulterà quasi sempre vincente.

Ma anche ammesso (e non concesso) che nel caso proposto il biancofosse in vista, e per giunta nella fase relativa alla composizione architetto-nica longhiana, che cioè sia pertinente sotto il profilo artistico, resta daprovare l’opportunità di un ripristino sotto il profilo storico. Le mode e i

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ripristini hanno già sacrificato stili come il barocco o elementi strutturalicome gli intonaci: sembra logico che chiedano ora di alterare l’armoniacomplessiva del colore delle città, peraltro già minata dal sempre più fre-quente ricorso agli ossidi e ai nuovi coloranti artificiali che per la caricaloro propria non consentono di ottenere sfumature, ma solo sgargiantitoni pastello da smalto. E mentre qualche fortunato palazzo impallidisce ealtri cascano a pezzi, continua a trionfare in tutti i colori contro le tinte acalce, incurante del dibattito sul color dell’aria, la vernice sintetica che,impedendo la traspirazione, non ammette compromessi: o resiste o si stac-ca in grandi sfoglie, tutta intera. Ma non invecchia.

È questo solo un esempio delle colpe dell’appariscente: distoglie daiproblemi più gravi, favorisce gli integralismi e, sempre in cerca di astrazio-ni, trascura la materia.

Frequentemente nel corso dei lavori si viene inoltre assaliti da unasorta di euforia da onnipotenza: non si considera a sufficienza quello cherealisticamente si arriverà a fare e quanto si lascerà invece incompiuto. Sipresuppone di poter disporre di risorse illimitate, pretendendo di addos-sare la responsabilità degli aspetti poco soddisfacenti del restauro a chinon assicura la continuità dei fondi perché tutto venga terminato. Sembre-rebbe insomma non essere a sufficienza ampliato e garantito il potere piùgrande del direttore dei lavori. Prefigurare i risultati del lavoro durante lasua conduzione porta invece a tener conto dell’eventualità di una bruscainterruzione. Esser pronti a questo, o a una manutenzione insufficiente afine lavori, è possibile se si cerca e si trova un significato per ogni fase delcantiere, nel presente, invece di rincorrere ossessivamente la completezzae la perfezione in un risultato finale, quale che sia, dal nuovo assetto perl’architetto alla pubblicazione o alla musealizzazione per l’archeologo. Sitratta insomma di spostare l’attenzione dall’obiettivo alla tattica, dalla metaal percorso. Concentrare l’interesse sulle procedure è utile inoltre ad arri-vare alla conclusione dei lavori con informazioni più complete, con mino-ri perdite: allora poco di quello che si è fatto sarà ancora visibile. Masoprattutto si prende atto della precarietà, che è nella realtà delle cose.Nella scelta delle tecniche e dei materiali ad esempio, non sempre si tienenel dovuto conto il problema del loro invecchiamento: se ne valuta tutt’alpiù la durata ma non si considera che per la maggior parte del tempo in cuiresterà in esercizio il materiale impiegato nel restauro non sarà né nuovoné decrepito, ma in una fase più o meno avanzata di degrado. Occorreinsomma scegliere materiali e organizzare restauri che resistano qualitati-

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vamente, non solo quantitativamente: che cioè invecchino bene, oltre chelentamente. Ottime garanzie in tal senso sono offerte dalle tecniche tradi-zionali e dalla scelta dei materiali (legno, pietre, terracotta e calce).

A questa situazione, penalizzata dalla sete dell’appariscente e della per-fezione, si somma poi, con esiti disastrosi, un’altra tensione, un’altra an-siosa aspirazione irrazionale e deleteria: la ricerca di un significato per unaesistenza già di per sé piuttosto grama — parlo della vita di architetto earcheologo — chiedendo per giunta la risposta agli oggetti. Il valore diun’esperienza viene confuso con la sua notorietà, con la risonanza che puòprodursi. L’esperienza stessa viene quindi considerata globalmente guar-dando invece ad una sola parte di essa: la parte esteriore e materiale. Ilnonsenso forse si basa sul connubio tra un malinteso materialismo e ilconsumismo, sviluppando contradditoriamente una logica efficientista eutilitaristica in senso deteriore (5). Insomma ciascuno dei due primi impu-

(5) Non è certamente questa la sede per indicare il personalismo comunitario di JacquesMaritain e di Emmanuel Mounier come presupposto per il superamento dell’individuali-smo. Né il metodo elaborato nella recente e vasta opera di Albert Ellis, come tecnica perrimuovere i disagi e gli ostacoli evitabili. Trattando questioni di lavoro sarebbe però conve-niente almeno un accenno marginale ad un tema che non viene frequentemente affrontato ocomunque non abbastanza: il valore della persona umana, non tanto in astratto quantodell’individuo particolare, e nessi che si stabiliscono tra successo e valore. Molto frequente-mente di fronte ad una persona concreta, anche se stessi, sembra insufficiente affermare chelo straordinario valore di ciascuno, l’unica cosa che ognuno davvero è, risiede nel fattostesso di essere persona viva. Molto meno frequente è invece riconoscere e mettere in evi-denza la gravità del rischio che si corre per voler aggiungere qualcosa in più su questoargomento. Anche trascurando i problemi e le frustrazioni derivanti da un lavoro intellet-tuale di pochi applicato ad attività prevalentemente manuali di molti (occorrerà comunqueche ognuno rinunci all’aspettativa del puro lavoro intellettuale, come lo ha descritto adesempio J. GUITTON, Le travail intellectuel, Paris 1951), troppo spesso si incontrano dispari-tà e ingiustizie, si assiste a successi e fallimenti in cui determinante sembra il peso dellafortuna o del caso, per non essere tentati di spiegare — e quindi accettare — questediseguaglianze stabilendo differenze tra quello che gli uomini sarebbero. E sono invece unastessa cosa. La differenza può risiedere semmai nelle situazioni in cui si trovano, in quelloche hanno. Sfiorando anche qui un altro tema troppo impegnativo, è stato provato da ErichFromm che la confusione tra i due ausiliari non conviene. Anche ammesso — e non conces-so — che si ottenga « ciò che si è meritato », è inverosimile che si possa diventare essereaddirittura, ciò che si fa, si ha o si riceve. A meno che non si tratti di vita o di morte. Nellaricerca del benessere, proprio e altrui, ciò che si ha e ciò che si fa, successi o fallimenti, nonmodificano il valore incommensurabile della persona. Esisto quindi sono: senz’altro valoreaggiungibile. E perciò senza vergogna possibile. Con innata l’idea di assoluto, dall’esistenzasi è invitati a scoprire il relativo il meglio il reale, liberamente. Si può scegliere un ideale,non pretenderlo. Ci si può rallegrare del proprio meglio e di quello altrui, che per giunta èfacoltativo, non obbligatorio. Sembra preferibile abbandonare l’ottimo e il massimo. Non è

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tati tende a trovare delle gratificazioni improprie: l’architetto, lo sappia-mo perfettamente, nel lasciare il segno in modo più che vistoso (ci sonoarchitetti che addirittura tendono a costruire una loro firma, quasi unmarchio di fabbrica ben riconoscibile, riproducendola poi perché per sem-pre — o per lo meno per la breve durata dei restauri — si possa dire: èpassato anche di qui! Con un comportamento analogo a quello di moltianimali che pongono gli escrementi a delimitazione del territorio). Anchegli archeologi, vedo, presi dal desiderio di trovare qualcosa di tangibile edi lasciarlo in luce, di farlo vedere, condannano spesso a morte i loro stessiscavi: troppo spesso si è portati a escludere l’opportunità dell’interro. Sivorrebbe essere più autori che osservatori e si finisce invece col badare piùal simbolo che al significato. L’eccessiva attenzione per le apparenze hacomunque un aspetto simpatico: è penalizzata da una sorta di contrappas-so. Cercando essenzialmente sé stessi in un esasperato individualismo sitorna a dipendere — e in modo ossessivo — dal giudizio altrui.

Quindi nel tentare di indicare un nuovo colpevole che sia fuori di noi— che non sia cioè né l’architetto né l’archeologo — credo si possa accu-sare il segno, inteso come significato e come disegno, come marchio. Ilsegno però — ovviamente — male interpretato, perché il segno in sé e persé può essere anche semplicemente e correttamente il momento di sintesi,il momento esplicativo, il momento in cui in breve si può raccontare ilcammino che si è percorso. E allora forse vale la pena di esaminare inproposito gli equivoci di oggi insieme a quelli del passato: utilizzare lamemoria per comprendere il presente e ridurre gli errori in futuro.

Sappiamo ad esempio che negli studi del Rinascimento non è faciledistinguere i disegni cosiddetti « dall’antico » da quelli « di invenzione ».Nello stesso disegno frequentemente si trovano elementi che sono rigoro-samente di rilievo, altri di ricostruzione ipotetica basata sull’esame dellerovine e dei frammenti o sullo studio di fabbricati simili, altri ancora —

un invito alla mollezza, alla caduta dell’autocontrollo e delle aspirazioni ma semmai unmodo per rimuovere ostacoli irrazionali. Conviene certo riconoscere la propria insoddisfa-zione, ma non per questo ritenere di valere di meno. Con buona pace per un’attività di granmoda, l’autostima può riposare comunque tranquilla: anche se ci si può amare con i premi,non occorrono la carota del successo o della ricchezza e il bastone del disprezzo, né lacompetizione. Si corre di più e meglio in libertà. E in compagnia. Qualcuno è riuscito aesporre questi argomenti senza retorica e con spirito, in modo piano e divertente. Cfr. R.LEVI MONTALCINI, Elogio dell’imperfezione, Milano 1987, vedi anche P. WATZLAWICK, Di benein peggio. Istruzioni per un successo catastrofico, Milano 1987.

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infine — completamente inventati e fantastici. Cioè, secondo la natura ela quantità degli elementi aggiunti, si tratta di ricostruzioni immaginarieoppure addirittura di vere e proprie progettazioni o composizioni in stile(tra la copia e la libera reinterpretazione) fatte non coll’intenzione di com-pletare il rudere ma per suggerire forme nuove. Oggi un equivoco delgenere non sarebbe più possibile perché, con la nota frattura determinatadalla rivoluzione industriale, si è spezzata la continuità che era sempreesistita tra la storia, la tradizione da una parte e la produzione dall’altra.Con la progressiva accelerazione dello sviluppo il problema si è spostato,è divenuto quello del continuo aggiornamento sulle novità: non più no-zioni da tramandare in modo completo e dettagliato, con cura, ma innova-zioni da diffondere il più rapidamente possibile. All’unità delle arti si so-stituisce progressivamente una nuova formula: l’assemblaggio di compo-nenti prodotte in gran serie da maestranze altamente specializzate. L’inte-resse generale si sposta dal processo produttivo al mercato. Da questomomento in poi se gli architetti hanno fatto qualcosa di nuovo, l’hannosempre reso ben riconoscibile, al di là delle intenzioni, perfino nel caso dicopie; e tuttavia l’equivoco non viene eliminato, si sposta dal disegno allarealtà. Rimane infatti la possibilità di confusioni: ci sono restauri, ancoraoggi, al termine dei quali non si riconosce l’antico dalla nuova invenzioneo dall’integrazione ricostruttiva (quando qualcosa di antico sopravvive alrestauro).

Un disegno di Giuliano da Sangallo (Fig. 1) ci porta direttamente al-l’ultima tappa di un breve itinerario lungo la via Flaminia. Anche in questocaso non è chiaro quanto della raffigurazione sia una riproduzione dellarealtà: ma tutto il disegno è comunque finalizzato allo studio, ha il suoscopo in sé stesso. Sia nelle parti reali che in quelle fantastiche il graficonon serve a qualcos’altro che non sia nel disegno stesso. Anche una rico-struzione molto più recente dello stesso monumento (Fig. 2) all’inizio diquesto secolo è tracciata forse nello stesso spirito di studio e di gratuità,per quanto da tempo imperversassero i falsari con i ripristini e le ricostru-zioni. Mentre non sappiamo quale fosse l’immagine che il Sangallo avevadi fronte disegnando, in questo secondo caso disponiamo della documen-tazione fotografica dello stato in cui si trovava l’arco di Malborghetto ne-gli anni in cui Fritz Töbelmann ne ha tracciato la ricostruzione. I fornicierano accecati da tempo, il rivestimento lapideo quasi completamentemancante. Non si ha più l’incertezza tra disegno dal vero e invenzione: sitratta di una ricostruzione che riassume osservazioni e deduzioni discusse

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nel testo dallo stesso Töbelmann. Viene tracciato inoltre uno schema utilea riconoscere, tra le molte manomissioni, la prima edificazione. Ma questodisegno si è prestato a un’altro equivoco: era nato per lo studio e viceversa

Fig. 1 — L’arco di Malborghetto in un disegno di Giuliano da Sangallo

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l’amministrazione del patrimonio ecclesiastico, allora proprietaria dell’im-mobile, aveva stabilito di utilizzarlo come progetto di ripristino.

Insomma si è pensato bene di fare, con ritardo, qualcosa di analogo aquanto fu fatto sull’arco di Tito, ad esempio: cioè un restauro distruttivo ericostruttivo. Probabilmente in un altro caso analogo, sull’arco cosiddettodi Giano, si giunse addirittura a demolire la parte sommitale del monu-

Fig. 2 — L’arco di Malborghetto nella ricostruzione del Töbelmann.

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mento antico (Fig. 3), confusa con le trasformazioni successive (6). Fortu-natamente a Malborghetto l’impresa fu abbandonata per mancanza di fon-di. Come per gli altri archi romani, si sarebbe perduta anche qui una delleultime testimonianze relative alle trasformazioni subite dai monumentiantichi e ai modi della loro sopravvivenza. In questo caso si può quindiriprendere l’elogio degli interventi minimi, della povertà e conseguente-mente anche delle Soprintendenze: malgrado gli stanziamenti straordina-ri, i fondi e le forze sono infatti ancora largamente insufficienti a fronteg-giare l’emergenza con i tanto disprezzati e immotivatamente vilipesi inter-venti manutentivi “a pioggia”, cioè sparsi qua e là sul territorio; la ricercadi significato per una attività apparentemente dispersiva può essere impo-stata sull’indagine archeologica e storica, documentaria e materiale, inve-ce che su progetti faraonici e parziali.

È questo di Malborghetto solo un esempio delle colpe (qui eccezional-mente e fortunosamente non consumate) di cui si è macchiato il disegno in

Fig. 3 — L’arco di Giano e il Velabro in uno schizzo di Heemskerk.

(6) Troppo facilmente i monumenti si consideravano deturpati da interventi posteriori(C. CESCHI, op. cit. p. 13G). E tuttavia già Viollet-Le-Duc avverte che restaurare un edificionon significa rifarlo, segnalando che cresce progressivamente — nel restauro — L’attenzio-ne per le epoche più recenti; egli riporta al proposito un passo del 1830 di M. Vitet: « Jusqu’ici

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epoca recente. Frettolosamente, spesso si tende ad attribuire un valoredefinitivo a elaborati che sono solo una tappa del lavoro di ricerca. Adot-tando la cura e la precisione proprie del rilievo si cerca l’equivoco tra ildisegno e la realtà, credendo di poter dare così più forza all’idea. Materia-le che dovrebbe essere considerato schizzo provvisorio, è frequentementemunito di testate, mascherine, timbri e ‘lucidato’ a china. Occulti e inson-dabili motivi tecnici impediranno, dal momento di questa furiosa consa-crazione, ogni ulteriore utile ripensamento, revisione e riflessione. La lodedel dubbio di Berthold Brecht trova conferma in molti cantieri: « Sonocoloro che non riflettono a non dubitare mai. Splendida è la loro digestio-ne, infallibile il loro giudizio. La pazienza che hanno con sé stessi è sconfi-nata. Gli argomenti li odono con l’orecchio della spia ».

Si cade nella tentazione di tradurre dunque il disegno in pratica quan-do invece è ancora solo uno strumento utile al progredire della ricerca. Ildisegno viene riprodotto in molte copie, spedito a diversi uffici, munito divisti e approvazioni, sottoposto a esami, ma guai a chi propone di spostareuna sola linea. Il progetto — che tale miracolosamente è diventato — nonsi tocca: la neonata creazione artistica può essere riconosciuta omisconosciuta, ma non sopporta manomissioni. Etimologicamente il pro-getto è qualcosa che si lancia lontano, nel futuro, per poter seguire poi unindirizzo: una semplice proiezione, non un postulato dogmatico. Sarebbevantaggioso che tale restasse anche nella pratica quotidiana.

ce genre de travail n’a été appliqué qu’aux monuments de l’antiquité. Je crois que, dans ledomaine du moyen age, il pourrait conduire à des résultats plus utiles encore » (finora que-sto genere di lavoro non è stato applicato che ai monumenti dell’antichità. Io credo che,nell’ambito del medio evo, potrà condurre a risultati più utili ancora. Cfr. Dictionnaire, cit.,pp. 14 e 19). Da oltre un secolo si consiglia di evitare i ripristini nel rispetto dell’improntadi ogni epoca, e si segnala che « le aggiunte seguite in tempi diversi devono essere mantenu-te »; cfr. C. BOITO, Questioni pratiche di Belle Arti, Milano 1893, passim. Dal 1931 la Cartadel Restauro raccomanda « che siano conservati tutti gli elementi. . . a qualunque tempoappartengano, senza che il desiderio dell’unità stilistica e del ritorno alla primitiva forma,intervenga ad escluderne alcuni a vantaggio di altri », CONSIGLIO SUPERIORE PER LE ANTICHITÀ

E BELLE ARTI, Carta del Restauro, Roma 1931.« Dobbiamo proporci in primo luogo il problema se sia legittimo conservare o togliere

l’eventuale aggiunta. . . Dal punto di vista storico l’aggiunta subita da un’opera d’arte non èche una nuova testimonianza del fare umano e dunque della storia: in questo senso l’aggiun-ta non differisce dal ceppo originario ed ha gli stessi diritti di essere conservata. Invece laremozione, seppure risulta egualmente da un atto e perciò si inserisce egualmente nellastoria, in realtà distrugge un documento e non documenta sé stessa »; anche se dal punto divista artistico l’alternativa risulta più complessa « la conservazione dell’aggiunta deve consi-derarsi regolare: eccezionale la remozione » (C. BRANDI, op. cit., 1963, p. 63).

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Nel disegno si nasconde dunque un affascinante pericolo insidioso ecostante: l’appariscente. Se tutto è condizionato al conseguimento di unrisultato vistoso, se si interviene su monumenti famosi, se si scelgono ac-corgimenti adatti a fare pubblicità, se si celebrano ricorrenze, si otterràsenz’altro facilmente e rapidamente anche un cospicuo finanziamento, aprescindere dall’effettiva urgenza del lavoro. Coltivando quelle convin-zioni e curando opportunamente questi particolari si può facilmente giun-gere, nel restauro, a produrre eccellenti guasti (con risultati spesso analo-ghi anche nella progettazione del nuovo, relativamente agli immancabiliinserimenti ed aggiunte). Con poco si mortifica efficacemente sia l’archi-tettura moderna che quella antica, sia la composizione che il restauro.Varrebbe la pena di approfondire l’esame di queste tecniche che consento-no di ottenere effetti rilevanti con interventi ridotti: escludendo l’orienta-mento e gli obiettivi (e i danni), si tratta infatti di esempi logici e razionali.Con un impegno minimo si mira al massimo risultato.

Sono tecniche fondamentali per chi si occupa di pubblicità e di finan-za. Il mondo degli enti e dei grandi capitali, parapubblico e privato, tendea trasferire ai monumenti un trattamento analogo a quello riservato aifilmati dalle reti televisive private: farcirli di elementi estranei per aumen-tarne il contenuto commerciale in ossequio alle regole del mercato. Ancheil risultato è logicamente analogo: l’opera è svuotata, diviene irriconosci-bile (e incomprensibile).

Tornando invece al disegno come strumento di sintesi nello studio enon come foga progettuale, nel restauro come nello scavo conviene anzi-tutto verificare pazientemente la rispondenza dei rilievi allo stato di fattosenza eccessiva fiducia nelle basi preesistenti o nelle nuove tecnologie. Aun eccesso di tecnica fa oggi frequentemente riscontro una carenza di im-postazione e di attenzione. Una accurata osservazione, nel costante con-fronto con le cose, con gli oggetti, rimane uno strumento insostituibile. ARoma, nello scavo di via Anicia ad esempio, ove si sono rinvenuti i fram-menti di una forma urbis preseveriana, la verifica dei rilievi fotogramme-trici ha condotto a vistose correzioni di errori di restituzione e interpreta-zione. Anche nel caso dei rilievi aerofotogrammetrici dell’area archeologi-ca centrale, benché si disponesse di due cartografie realizzate indipenden-temente e si fosse quindi già operata una verifica incrociata con integrazio-ni e correzioni per sovrapposizione, si sono registrate frequenti impreci-sioni o lacune, probabilmente per la mancanza di una campagna di riscon-tro a terra successiva al volo, in fase di restituzione. In un altro caso roma-

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no già citato, nel palazzo Altemps, la revisione quotata di un rilievo ma-nuale esistente ha riservato notevoli sorprese, portando a ridisegnare com-pletamente le planimetrie (7).

La revisione dei rilievi è indispensabile, oltre che come operazioneconoscitiva, anche per costituire una base su cui trascrivere i ritrovamentie le integrazioni derivanti dal restauro, sin dalle prime indagini propedeu-tiche ai lavori. Questi grafici, in continua trasformazione, costituiscono informa dinamica il progetto esecutivo, che — muovendo dal progetto dimassima — viene tracciato e si evolve col procedere del restauro. Più pre-cisamente conviene che la fase esecutiva dei lavori (essenzialmente i primisaggi) abbia inizio sin dalla stesura dei grafici preliminari, e che in corsod’opera si definisca progressivamente il disegno dello stato dei luoghi arestauro ultimato.

Nel corso della ricerca le tracce, i dati, i documenti e i materiali rinve-nuti sulle fasi dell’edificio e sulle parti che lo costituiscono divengono unaconsiderevole mole di informazioni che, seppure riassunta graficamente ineidotipi, non risulta immediatamente leggibile e consultabile. Di qui l’esi-genza di giungere a elaborati più sintetici, che rendano facilmente com-prensibili i principali risultati dell’indagine. L’informatica ha messo a di-sposizione a tal fine i modelli tridimensionali, che possono in larga misurasostituire metodi tradizionali come i plastici e le prospettive, meno flessi-bili alle correzioni e alle modifiche progressive. Ma tutti questi strumenti,vecchi e nuovi, sono oggi piuttosto costosi, richiedendo molto lavoro perl’elaborazione: non è semplice disporre con continuità di tecnici e attrez-zature nelle situazioni impreviste tipiche dello scavo e del restauro. Si èquindi cercato e approntato un metodo rigoroso ma più semplice: la co-struzione di grafici tridimensionali mediante procedimento fotogramme-trico inverso. Si tratta di un sistema applicabile in situazioni ordinarie econ strumentazioni comuni. I rilievi, corredati dalle annotazioni prese,vengono montati nello spazio e fotografati da un punto fisso. Con un ca-valletto fotografico si riprende dalla posizione ritenuta più opportuna lapianta del livello inferiore posata a terra, lasciando nell’inquadratura unospazio libero in alto per la ‘costruzione’ del modello in diversi fotogrammisuccessivi; su questa pianta vengono in seguito posizionati in verticale i

(7) F. COPPOLA, Palazzo Altemps, Roma 1987, p. 67 Fig. 99.

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prospetti e le sezioni con l’ausilio di un parallelepipedo (un cassetto o unamensola). Si procede fotografando una tavola alla volta, curando la corri-spondenza di ogni alzato alla rispettiva proiezione in pianta, senza sposta-re la macchina fotografica sul cavalletto. Per la ripresa delle piante deidiversi piani, a quota via via crescente, invece di ricorrere ad un complessosistema di spessori per posizionare le piante nello spazio, è possibile giu-stapporre le planimetrie a terra, facendo scendere, con manovella ecremagliera, l’apparecchio fotografico, mantenuto nella stessa posizione einclinazione. Si scenderà via via della stessa misura di intervallo tra i pianio i livelli, presa direttamente sulle sezioni, trascurando la scala grafica dirappresentazione. La serie di fotogrammi così ottenuti viene stampata aproiettore fisso e le stampe vengono poste una dopo l’altra sotto lo stessofoglio di carta lucida da disegno (in caso di diapositive si mantengono fissiil proiettore e lo schermo traslucido, costituito da un vetro e dal foglio dicarta da disegno sovrapposto). Il modello viene costruito semplicemente aricalco e gli elementi rinvenuti sono posizionati in prospettiva, agevolan-do considerevolmente la definizione spaziale di ipotesi ricostruttive dellediverse fasi ed evitando libere interpretazioni. Le annotazioni prese sulcantiere e trasferite con precisione sui rilievi, vengono altrettanto rigoro-samente trasposte nel grafico tridimensionale. Ovviamente procedendo aritroso (dal rilievo all’oggetto) il metodo fotogrammetrico risulta notevol-mente semplificato: non occorre la coppia stereoscopica di immagini enon serve l’apparecchio restitutore. Si possono ottenere prospettive a pia-no variamente inclinato, che diversamente richiederebbero un lungo lavo-ro di costruzione, scoraggiando poi correzioni o variazioni. Il ricalco inol-tre non richiede particolari attitudini al disegno o all’informatica, così chela ricostruzione può essere tracciata da chi di volta in volta ha seguito ilavori e trasferito le annotazioni sui rilievi, evitando gli errori di passaggioderivanti dall’intervento di una persona diversa: ad esempio un disegnato-re invece dello stesso archeologo o un programmatore invece dell’archi-tetto. Ho approntato e largamente utilizzato questo metodo per lo studiodelle diverse fasi costruttive del già citato palazzo romano Riario, Soderini,Altemps (Figg. 4 e 5). Il colore, sfumando opportunamente i toni, è statousato per indicare il grado di attendibilità nelle diverse parti della ricostru-zione.

Questi disegni rendono accessibili i risultati del lavoro a tutti, nonsolo agli specialisti pazientemente disposti a consultare l’intera documen-tazione e capaci di collegare mentalmente le diverse informazioni. Una

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Fig. 4 — Nello schizzo è indicata la disposizone schematica di piante, prospetti e sezioniin sovrapposizione, per la ricostruzione volumetrica in trasparenza tramite procedimentofotogrammetrico inverso. Per la ripresa delle piante dei livelli superiori si può abbassarela macchina sul cavalletto invece di innalzare il piano d’appoggio.Fig. 5 — Uno degli schizzi prospettici ottenuti con questo metodo: è qui ricostruita lafase di proprietà Soderini nel palazzo Altemps a Roma, cioè l’assetto del fabbricatonella prima metà del Cinquecento. Le apparenti deformazioni sono dovute alla formairregolare dell’isolato.

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rapida elaborazione grafica di modelli in tre dimensioni produce inoltrenuove informazioni anche per gli addetti ai lavori, evidenziando nessi ecorrispondenze spaziali non immediatamente percettibili sui rilievi o nellarealtà. Dalla sovrapposizione della sequenza di fotogrammi si ricavano ineffetti modelli ‘trasparenti’ simili a quelli da tempo impiegati per lo studiodei dissesti statici. La collocazione nello spazio di sezioni dell’oggetto dastudiare è stata recentemente proposta con successo anche negli esami ra-diografici, a completamento dei metodi computerizzati. Con mezzi di for-tuna e di cantiere si può quindi riuscire a utilizzare il disegno per ricono-scere le fasi di trasformazione dei manufatti (non per elaborare ambiguiprogetti di ricostruzione o di ripristino).

Ugualmente, nel caso di frammenti pittorici di motivi geometrici oarchitettonici, la ricostruzione grafica, prospettica o assonometrica, con-sente di restituire la composizione generale. Anche qui a partire da pochi,isolati elementi è possibile riconoscere l’intero insieme. E ancora dal di-pinto si può risalire allo spazio virtuale riprodotto (8).

Non è il caso di insistere oltre con i capi di imputazione contro ildisegno da un lato e con i suoi pregi dall’altro: si vede bene che si tratta diuno strumento talmente flessibile da potersi prestare al raggiungimento discopi e risultati anche diametralmente opposti. Questa ambiguità chiamal’equivoco. Si può tuttavia cercare di evitare molte frustrazioni tenendoseparata la creatività grafica da quella fisica: la forza dell’immagine è quel-la di evocare la realtà, quella della realtà di non inseguire l’immagine, masemmai di prescinderne. Architetto e archeologo, evitando inutili quantofrequenti dispiaceri, possono tranquillamente interrare lo scavo o rinun-ciare — nel restauro — ad ‘inserimenti’ moderni, per applicare invece ilproprio estro alla cura dei dettagli e dei particolari, allo studio e alla ricer-ca. Proposizione ovvia ma raramente rispecchiata nella pratica.

Le aggiunte andrebbero limitate a quei casi in cui si opera su manu-fatti conservati in elevato e in cui si rende pertanto necessario ed urgenteun efficace sistema di protezione. Occorre comunque verificare che inuovi presidi possano essere introdotti senza manomissioni delle strut-ture antiche (9). Entro l’area archeologica centrale di Roma, a Santa

(8) SCOPPOLA, op. cit., pp. 101, fig. 144. Sul metodo di restituzione fotogrammetricainversa si vedano alle pp. 24, 25, le figg. 18-21 (eidotipi in pianta e prospetto sono rispetti-vamente riprodotti a p. 66 e a p. 111, fig. 156); sulle finalità del metodo cfr. pp. 59, 69.

(9) Cfr. F. SCOPPOLA, Protezione di scavi e manufatti archeologici non lapidei all’aperto,

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Maria Antiqua, si è valutata l’opportunità di realizzare una tensostrutturaleggera a padiglione per coprire l’intero vestibolo e consentire così an-che una migliore conservazione e sistemazione dello scavo archeologicoa suo tempo ricoperto al raso delle strutture da Giacomo Boni (Fig. 6).Tale apparato, interamente e facilmente reversibile, giovandosi della pre-senza di murature perimetrali in notevole elevazione, può essere costitu-ito da soli tiranti in acciaio e da un unico puntone sospeso centrale (Fig.7). Alla completa reversibilità si viene così ad aggiungere un opportunocarattere di provvisorietà. I tendaggi costituiscono un complemento del-l’architettura, tutt’altro che una reintegrazione ricostruttiva, ma solo unaprotezione leggera. I collegamenti previsti con le murature antiche sonocostituiti da comuni perni di consolidamento in acciaio inossidabile fi-lettato, con la sola variante della testa sporgente ad anello; una piccolaconversa metallica con gocciolatoio posta tra i filari di mattoni può ri-solvere inoltre gli attuali problemi determinati dalle scolature e dal dila-vamento superficiale. Senza aggiungere strutture a carattere permanentee con un intervento molto contenuto, sembra quindi possibile — in que-sto caso — ottenere durevolmente una soluzione soddisfacente ai pro-blemi conservativi dell’atrio. Tale sistemazione comporta inoltre un mi-glioramento dell’illuminazione interna della chiesa: filtrando la luce so-lare attraverso il telo bianco di copertura si ottiene un velario di diffu-sione, raggiungendo condizioni di illuminazione ottimali. Riducendo laluce nell’atrio ed evitando l’insolazione diretta, si può infatti escludere ilricorso, nell’apertura di accesso della chiesa, a vetri speciali per il conte-nimento della luminosità interna, evitando rischi connessi alla maggioreescursione termica e alle alterazioni cromatiche della luce, incompatibilicon la presenza delle decorazioni pittoriche. Le caratteristiche di imper-meabilità e resistenza raggiunte nel campo di fibre e tessuti sintetici con-

« Bullettino Comunale di Roma », XCI (in corso di stampa). Si ritiene utile segnalare che idiversi sistemi di protezione adottati sono consigliabili anche sotto il profilo economico:interventi sia pure cospicui di protezione e prevenzione vengono frequentemente a costaremeno di un normale ciclo manutentivo, diradando al contempo la frequenza degli interventinecessari. Tali protezioni hanno inoltre un costo largamente inferiore a quello delle opereoccorrenti alla conservazione all’aperto di manufatti facilmente deperibili e sembrano pre-feribili anche da un punto di vista filologico: il maggior onere di interventi radicali si èdirettamente verificato ad esempio nel caso del distacco e della ricollocazione di pavimentimusivi (a tale tecnica si è tuttavia dovuto far ricorso in un settore della villa romana situatanel cimitero flaminio e per la ridotta porzione superstite del pavimento della tomba deiNasoni).

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corrono a garantire affidabilità e durevolezza alla protezione proposta.Sono allo studio soluzioni che prevedono l’adozione di analoghe coper-ture leggere anche sul contiguo scavo del cosiddetto Tempio del Divo

Fig. 6 — Ipotesi di protezione dell’atrio di Santa Maria Antiqua, veduta dall’alto (schizzodi Sabina Vannucci).

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Augusto (Fig. 8), che presenta particolari e delicati problemi di conser-vazione (10). Si tratta tuttavia solo di ipotesi di intervento: prima diaffezionarsi a un’idea occorre verificare che non si possano raggiungeregli stessi risultati con accorgimenti più discreti Cioè valutare l’entità delturbamento prodotto sull’aspetto del manufatto, anche se determinatoda strutture reversibili, a carattere provvisorio e dichiaratamente mo-derne.

Un conto è evitare le falsificazioni e rendere il restauro correttamentericonoscibile, altro fatto renderlo a tutti i costi vistoso, come nel caso fre-quente di aggiunte e geometrizzazioni (11). Pur riconoscendo preferibile la

(10) F. SCOPPOLA, Santa Maria Antiqua. Note tecniche. Ibidem, Cfr., sullo stessocomplesso, H. HURST e G. MORGANTI, ivi. Vedi anche: H. HURST, J. OSBORNE, D.WHITEHOUSE, Santa Maria Antiqua, in AA.VV., Roma, archeologia nel centro, Roma 1985,vol. I., p. 93 ss.

(11) Non è chiaro quanto della teoria e della normativa sul restauro sia superato e vadapertanto aggiornato, e quanto invece sia semplicemente ignorato e disatteso: basti citarel’esempio del trattamento da riservare alla sommità delle strutture murarie antiche conser-vate in elevato. Recitano al proposito le « istruzioni per la salvaguardia e il restauro delleantichità » delle norme ministeriali contenute nella citata carta del 1972: « un problemaparticolare dei monumenti archeologici è costituito dalle coperture dei muri rovinati, per lequali è anzitutto da mantenere la linea frastagliata del rudere . . . ». Cfr. F. GUERRIERI, 1975,op. cit., p. 112. Qualcosa della teoria urbanistica di Gustavo Giovannoni potrebbe essereutilmente trasferito all’archeologia e all’architettura. In una interpretazione estensiva il di-radamento può essere inteso come rifiuto di lasciare ulteriori e personali segni e come ten-tativo di restituire un senso ai contesti per sottrazione di elementi. A scopo dimostrativo giàda tempo alcuni studi hanno segnalato la necessità di adottare questa logica di interventoillustrando gli scenari che si possono ottenere mediante riduzioni anziché per aggiunte (cfr.L. BENEVOLO, Roma da ieri a domani, Roma-Bari 1971 e, dello stesso autore, Roma oggi,Roma-Bari 1977). Più in generale, in aree già troppo dense di significati e affollate di segni,sembra oggi preferibile evitare trasformazioni non necessarie (sia per addizione che persottrazione); è auspicabile che gli interventi progressivamente tendano ad una corretta ma-nutenzione, secondo i dettami delle varie « carte » del restauro recentemente confermatianche dagli ultimi studi sul degrado. Fin da una disposizione del 1849 del ministro Fallouxsi ricorda agli architetti addetti al patrimonio storico artistico che « il loro compito dovevaessere la conservazione e la manutenzione, in quanto il restauro doveva considerarsi soltan-to come una triste necessità » (cfr. C. CESCHI, op. cit., p. 68). Negli anni anche E. Viollet-Le-Duc avverte che « tutto il lavoro di restauro è, per ogni edificio, un’esperienza assai dura »(si veda più in generale la voce restauration del Dictionnaire, cit., pp. 14-34). In seguito, nelCongresso degli ingegneri ed architetti italiani tenutosi a Roma nel 1883, Camillo Boitoaffermava che il monumento dev’essere il più possibile rispettato; le aggiunte indispensabilidevono essere eseguite in modo da conservare l’aspetto originale dell’opera; auspicava inol-tre una manutenzione costante del patrimonio artistico atta a garantirne la conservazione(C. BOITO, 1983, op. cit., passim). Questi principi saranno ripresi nella Carta d’Atene sulrestauro dei monumenti (Atene, 1931) e nei documenti successivi: e tuttavia complessiva-mente si riscontra — particolarmente nei siti meno noti — una carenza di manutenzione e

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Fig. 8 — Il cosiddetto tempio del Divo Augusto, ancora incorporato nell’ediliziarinascimentale, in una incisione del 1824. Le nuove protezioni leggere potrebberoriproporre l’andamento delle falde dei tetti degli edifici demoliti.

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manutenzione, nella pratica si cercano affannosamente le occasioni perlescoperte e le ristrutturazioni. Il nostro è il paese dei grandi ritrovamenti nonsolo per la ricchezza della sua storia, ma anche perché è stato e rimane laterra dei grandi abbandoni. Si preferisce cancellare e poi riscoprire o rico-struire anche più di una volta, sempre con grande concitazione, come adesempio nel caso attuale della cosiddetta seconda morte di Pompei, denun-ciato da Baldini. Il desiderio di fuggire la noia ricorrendo allo spettacolare,ai giochi da circo, ha sempre alimentato la ricerca di emozioni, di sensazioniforti: per questo capriccio (ancora oggi come in passato) vengono sacrificatevite umane addirittura e, certo secondariamente e dunque senza eccessivoscandalo, testimonianze storiche, opere dell’ingegno e dell’arte. Alla suntuosaquanto opaca mediocrità di certe misere invenzioni e aspirazioni fuori po-sto, potrebbe opporsi il concetto di aurea mediocritas classico: quella mode-razione, quella ricerca di misura che sta fra l’eccesso e il troppo poco (e chenon sempre, anzi quasi mai, sta nel mezzo). « Adibendus est modus admediocritatemque revocandus » ammonisce anche Cicerone, lamentando laricerca dell’eccezionale nelle costruzioni. Questa esortazione inascoltata re-sta di attualità per tutta una diseguale ma monotona passerella di vanità cheaccompagnerà la storia dell’architettura. Tra gli innumerevoli esempi delcapriccio si pensi solo, oggi, alle varianti delle ringhiere. La noiosa gara peressere il più bravo, inseguendo improprie gratificazioni, produce insofferen-za in chi partecipa e in chi assiste.

Nella ricerca di nessi e canali di comunicazione tra archeologia e re-stauro architettonico, uno spunto è offerto dalle decorazioni sovrappostenell’indagine dell’elevato, chi opera come archeologo, cioè chi toglie lestratificazioni di sporco, gli scialbi e le decorazioni più recenti per esami-nare progressivamente le fasi più antiche, cercando relazioni e ricostruen-

custodia. Evidentemente spesso si sottovaluta e si considera poco interessante l’impegnooccorrente alla gestione ordinaria; cfr. sulla manutenzione, F. GUERRIERI, op. cit., 1975, pp.90, 94, 96, 99, 112. In oriente e in molte civiltà millenarie il monumento non è dato unavolta per tutte ma è frutto della consuetudine. Viene periodicamente demolito e ricostruitonell’ambito di un rito: i materiali sono ciclicamente sostituiti. Non monumento ma istitu-zione, non accadimento ma continuità di evento. Dai giardini ai templi la meraviglia è ilfrutto dell’assiduità, della costante attenzione, buon del gesto unico ed eccezionale. Si trattadi civiltà più solide della nostra, anche quando si esprimono con materiali deperibili. Ilmonumento e il suo uso sono tutt’uno: come nel caso, qui in occidente, di alcune macchineo dei carri allegorici.

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do la successione fra gli strati, è anche l’operatore specialista in restauropittorico. È il restauratore — d’intesa con la direzione dei lavori — che siferma, o non si ferma, se individua una fase che, per motivi più che discu-tibili e opinabili, è ritenuta più importante, più bella (o più semplice darestaurare) delle altre. Come per lo scavo, il restauro pittorico è opera diindagine conoscitiva condotta anche mediante il metodo distruttivo: mal-grado una continua e opportuna attenzione in senso opposto, il restaurointeramente reversibile non esiste. Valutare costantemente la possibilità ela probabilità dell’errore e prevedere in anticipo — per sé e per gli altri —procedure atte a correggere e riparare per quanto possibile lo sbaglio, èrealismo, rispetto, prudenza e non certo reversibilità piena. Anche per ildirettore dei lavori l’abitudine, ad esempio, di disegnare a matita, con lagomma a portata di mano, pronta sul tavolo, può essere opportuna e van-taggiosa in caso di ripensamento, ma rischia a volte di divenire un alibi,una mancata assunzione di responsabilità, un invito a non ponderare lescelte e le decisioni che graficamente si prendono. Meglio disegnare a matitapensando di avere in mano la penna; o la materia che si progetta. Specienegli esecutivi di restauro, meglio gli schizzi e la presenza in cantiere dellagrafica consolidata: è l’oggetto che comanda, non il progetto. Ma a volte,quando il restauratore impugna il bisturi o l’archeologo la cazzuola (trowel),quella matita, il rifugio o l’alibi dell’architetto, non esiste nemmeno. Enessuno può seriamente sostenere di conoscere un metodo per evitare l’er-rore. Tutto questo è noto. Ciò che l’archeologo spesso trascura — e cheinvece nel restauro pittorico si sa bene — è che l’opera, oltre che conosci-tiva, distruttiva e selettiva, è estetica, nella scelta della resa, dell’effetto,della cosiddetta presentazione finale. Raramente archeologi e architetti,nello scavare, valutano in termini spaziali e volumetrici il prodotto chedeterminano, quasi come una scultura (come invece si concepiva lo spazioarchitettonico in antico): il risultato, con frequenza, è logicamente acci-dentale. Come se il restauratore demolisse scialbi badando solo a cronolo-gie, sovrapposizioni, informazioni da acquisire, stato di conservazione estanziamenti disponibili, documentando ma trascurando l’immagine com-plessiva, l’aspetto a fine lavoro. È frequente arrivare a scavare in situazionitali da richiedere poi, come scelta obbligata, la costruzione di nuovi manu-fatti (muri di contenimento e altro) che si sarebbero evitati con una diversaperimetrazione e conduzione dello scavo. Qualcosa di simile — con unraffronto certo azzardato ma eloquente — avviene oggi per le cave, chesempre più spesso avanzano smembrando il paesaggio e che in passato

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fornivano invece, oltre al materiale asportato, teatri, tagliate, sepolture,cunicoli, cisterne, e altri spazi misurati.

Prendendo esempio dal restauro pittorico sugli elevati, si può affron-tare questa difficile prova. Fermarsi a un certo punto (salvo ridottissimiapprofondimenti puntuali e altre indagini non distruttive, con tutte le con-seguenti incertezze) può divenire una nuova scienza dello scavo. Si trattadi una prudenza già da tempo acquisita nel restauro, da quando cioè sirispetta il palinsesto, da quando si è smesso di staccare tutto, perfino lasinopia, per vedere cosa c’è sotto. Se queste ultime procedure ancora per-sistono, non mancano però esempi di segno opposto sperimentati con suc-cesso sin dalla nascita della teoria del restauro: basti l’esempio già menzio-nato degli affreschi di Santa Maria Antiqua. Non è ovviamente possibileche venga prestabilito rigidamente il criterio da adottare in questa scelta.

Schematicamente, l’immagine a cui si tende può essere di doppio se-gno, esattamente come nell’indagine in alzato: o un’immagine diacronicache mostri come in un palinsesto le sovrapposizioni e i segni del tempotrascorso, oppure un’immagine sincronica, quando il contesto, lo stato diconservazione e la storia lo consentano.

La prima soluzione è più caotica, a volte inintellegibile, i margini delloscavo rischiano di restare sezioni stratigrafiche o gradonate, ma essa ha ilpregio di consentire un buon raccordo con i livelli di frequentazione piùrecenti e di poter scegliere e risparmiare, in un contesto frammentario, imanufatti meglio conservati e più interessanti per ogni epoca o fase (Fig.9); prescindendo dalla documentazione di scavo, a lavori finiti l’area nonrestituisce però uno strato unitario e anche l’elevato diventa un’accozza-glia di elementi raramente correlabili. In compenso è possibile apprezzarel’intero intervallo costituito dalla successione continua di strati archeolo-gici dalle quote più antiche a quelle recenti: l’intera serie delle città so-vrapposte, lo spazio del tempo (12).

(12) Cfr. L. BENEVOLO, Roma. Studio per la sistemazione dell’area archeologica centra-le, Roma 1985, pp. 58, 59. Nella prima parte del lavoro, alla presentazione di Adriano LaRegina segue un saggio introduttivo di Ferdinando Castagnoli che, riprendendo un titolodel 1924 di Giuseppe Lugli, descrive l’evoluzione del significato attribuito alla zona archeo-logica di Roma e del modo di intendere l’archeologia. Leonardo Benevolo, che coordinal’intero studio, illustra le principali vicende a partire dalla presa di Roma, segnala anche lanecessità di eliminare o ridimensionare le strade del traffico di attraversamento. Occorreinfatti giungere ad una globale modifica del sistema dei trasporti e al riordino dei 250 ettariinterni alle mura aureliane compresi tra piazza Venezia e Porta San Sebastiano, che costitu-

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Fig. 9 — Il Palatino è composto da vari livelli sovrapposti: partendo dalla quota geologicasi incontrano, in ordine ascendente, le strutture precedenti dell’anno 64, le sostruzioni,il giardino antico, la domus antica, il giardino rinascimentale e il giardino moderno;ognuna di queste quote si articola inoltre su diversi piani. Schizzo di cantiere di AndreaCarandini. Sono indicate schematicamente le diverse fasi e quindi i livelli di intervento;in sezione, in alto, e in pianta, in basso.

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D’altra parte, per arrivare a una presentazione sincronica, si perde lamateria successiva (in ordine di tempo) e sovrapposta (nello spazio rispet-to allo strato prescelto; inoltre si può conoscere molto poco delle fasiprecedenti, sottostanti. Indubbiamente non esiste una soluzione preferibi-le in assoluto: poco o nulla può essere previsto e scelto in anticipo (troppopresto) o stabilito a lavori compiuti (troppo tardi), ma solo continuamentegestito nel presente, in corso d’opera. In questa difficile mediazione traconservazione e conoscenza si può orientare la valutazione nel senso dicercare di restituire l’immagine più completa possibile, sotto il profilo siastorico che artistico. Parallelamente si può scegliere di privilegiare le occa-sioni che consentono di restituire volumi da utilizzare per conservare edesporre i materiali in posto. Come si vede vengono segnalati alcuni pro-blemi senza poter indicare soluzioni, ma solo linee di tendenza che sem-brano preferibili.

Può essere innanzitutto utile esaminare le scelte attuate in concreto,anche e soprattutto quando in esse si ravvisino errori. Ma prima di chia-mare in causa, illustrandoli, alcuni altri esempi operativi e prima di sotto-porli a giudizio vorrei segnalare un’attenuante di tipo generico: nelle So-

iscono l’ingresso e la decima parte del parco dell’Appia. Augusto Cagnardi delinea un qua-dro urbanistico generale di riferimento, nel quale questa operazione può essere condotta.Anche nella proposta architettonica — o meglio conformativa — di Vittorio Gregotti, nelricercare soluzioni si aprono ventagli di possibilità alternative: le forme del contesto sonorimodellate attraverso lo studio della geografia, della morfologia degli spazi, considerandole implicazioni derivanti dalla tecnica dello scavo stratigrafico. Nell’individuazione di nodiproblematici localizzati e nelle proposte formulate si è lavorato anche in prospettive di lun-go periodo. Guglielmo Zambrini tratta il problema della mobilità. Si avverte l’utilità diriflettere e studiare sulla somma dei singoli progetti per tracciare un orientamento generale.Claudio Podestà presenta una proposta dei sistemi di trasporto. Non si ipotizza l’elimina-zione del traffico, che impropriamente ha occupato l’area archeologica, senza indagare comee dove può essere trasferito. Al contrario si verificano primariamente le possibilità alterna-tive e le trasformazioni che, nel corso dell’analisi, si rivelano opportune anche a prescinderedalle istanze archeologiche. Ippolito Pizzetti propone riflessioni sugli indirizzi della siste-mazione arborea e sulle prospettive che si possono configurare nell’uso del verde. Nellaprosecuzione di questo lavoro — in atto (un secondo volume è attualmente in corso distampa) — si sta studiando la successione degli interventi: prima della conduzione di esteseoperazioni di indagine si dimostra necessaria la riorganizzazione delle strutture espositive emuseali. L’analisi si concentra su alcuni settori: dal Palatino al Claudium, dalla valle delColosseo alla Velia. Contemporaneamente l’indagine viene estesa all’assetto generale dellacittà, divisa in due parti dall’insieme delle ville storiche (Ada, Glori, Balestra, Borghese), dalcentro costruito, dall’area archeologica interna alle mura e dalle vie consolari Appia e Fla-minia: si individua la possibilità di un’interruzione, di un taglio di un momento di respironello sviluppo radiocentrico di Roma.

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printendenze spesso si è costretti a lavorare in modo frettoloso e affanna-to. Sia sullo scavo che nel restauro credo che si distinguano in modo sem-pre maggiore due diverse famiglie di cantieri: i ricchi e i poveri; i vezzeg-giati e i trascurati. La prima famiglia può essere accostata, con un parago-ne certo un po’ forzato, a quei bambini che soffrono di eccesso di attenzio-ne da parte dei genitori o degli educatori. Possono essere figli unici o meno,ma si tratta di bambini ben riconoscibili, generalmente chiusi, saputelli eun po’ antipatici, che hanno un’opinione di sé stessi poco realistica: siautostimano o si autodisprezzano eccessivamente. Il loro disagio è causatodalle troppe cure: fuori di metafora si pensi a piazza della Signoria a Firen-ze, a Pompei, a Venezia, alla cappella Sistina in Vaticano, all’Ospedale diSiena, ai Fori Imperiali a Roma, e ad altri casi ‘molto importanti’ in cui —sia nella teoria che in pratica — si fa troppo o troppo poco, ma comunquesi rischia continuamente lo sproposito. Attorno a questi temi ci sono atten-zioni (e a volte persino fondi) anche sovrabbondanti, e forse proprio perquesto si litiga e si procede malamente o con grande, eccessiva fatica. Peroperare in queste situazioni bisogna fare i conti soprattutto con la retorica,con la sete di gloria e di opere memorabili delle persone e delle istituzioni:queste spinte possono arrivare a sopraffare le forze rivolte alla scientificitàe alla corretta esecuzione del lavoro. Anche il singolo operatore, archeolo-go, architetto o restauratore diplomato, ha spesso una forsennata fretta dimettere le mani su un pezzo famoso, senza troppo sottilizzare su necessitàe modalità dell’intervento. Per non parlare della corsa delle imprese. Famae danaro si uniscono frequentemente in questa sete di successo che deter-mina un vero e proprio assalto ai beni culturali. Il trattamento riservatoalle opere evoca gli aspetti peculiari del cannibalismo: quasi che il lustro,la notorietà, il prestigio e le altre qualità della preda potessero trasferirsi,tramite la voracità, all’assalitore. E invece non si fa altro che immolareinutilmente una vittima. Nella lotta, mentre ognuno dei pretendenti laceral’oggetto straziato del contendere, è molto difficile mantenere la calma ela serenità necessarie ad operare in modo tranquillo e corretto nel proprioambito.

La seconda famiglia di interventi, quelli più spesso condotti dalle So-printendenze e di cui mostrerò qualche esempio, sono invece simili —purtroppo o per fortuna — ai ragazzetti di strada, agli scugnizzi. Sonopieni di magagne, non sono assolutamente ortodossi, ma sono favoriti peraltri versi: se non viene giudicato e vissuto rigidamente, anche da questostato di emergenza possono derivare risultati significativi. L’attenuante, o

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meglio la specifica, alla quale si accennava in precedenza, consiste proprionel fatto di operare nella seconda condizione, con pregi e difetti connessi.Questo tipo di difficoltà non è limitato alla periferia: nel centro storico lasituazione non è molto migliore. Se aumentano le attenzioni sono peròanche maggiori le pressioni per l’uso del suolo: occorre saper cogliere leoccasioni, approfittando degli scavi già aperti, ad esempio per la posa dicondutture e impianti tecnologici.

Solo negli scavi imprevisti e di pronto intervento è possibile accorgersi(accorrendo all’improvviso, impreparati e quindi malvolentieri, senza nem-meno un’adeguata previsione di spesa) che il dilemma circa la correttezzadell’inserimento del nuovo nell’antico è quasi ovunque un falso problema:se le energie non sono sufficienti nemmeno a documentare o ad evitare idanni, la questione dei limiti entro i quali contenere l’intervento non si ponenemmeno. Dopo che non si è riusciti a fermare l’avanzata delle ruspe o deipali di cemento su un’area di rilevante interesse archeologico il problemadell’inserimento del moderno è visto con un occhio nuovo, più smaliziato.Un’altra consapevolezza che difficilmente può maturare sui lavori più viziatie vezzeggiati, sta nell’accorgersi che non ha molto senso distinguere tra tute-la e intervento, scindendo le istituzioni esistenti — come invece si propone— tra organismi preposti alla tutela intesa in senso passivo e istituti deputatialla valorizzazione (13). Quando si interviene in situazioni critiche e con

(13) Diverrebbe di non facile soluzione il problema della gestione del patrimonio, de-rivante da quello più generale della quantificazione del fabbisogno di investimento nel ramodei Beni Culturali, investimento che può essere definito di tutela attiva. Si è visto perciò chenon sembra conveniente scindere la tutela dalla valorizzazione, i divieti dagli incentivi, l’azionegiuridico-amministrativa da quella scientifico-tecnica, la teoria dalla pratica. A questo pro-posito sembrerebbe particolarmente inopportuna una distinzione tra compiti ispettivi e diconservazione. Invece perfino un disegno di legge è stato elaborato in tal senso. Nella sven-tolata riforma dell’ordinamento dei Beni Culturali, oltre che ai problemi esistenti occorre-rebbe guardare a quelli inesistenti, che si possono far nascere dal nulla (come è già accadutoper il D.P.R. di delega n. 616 del 24.7.1977, ribattezzato legge deroga per il suo art. 81 nelquale lo Stato si arrende a sé stesso, mentre vengono per altro verso sancite modalità straor-dinarie di tutela diretta, e ancora per la legge-condono sull’abusivismo del 27.2.1985 n. 47con la valanga di norme successive e perfino per alcuni marginali aspetti della legge Galasson. 431 del 8.8.1985 e del connesso problema degli «usi civici»: legge 1766 del 1927 e leggedel 3 gennaio 1986 n° 1 della Regione Lazio). E distinguere accuratamente tra problemiderivanti da carenze dell’ordinamento e questioni connesse alla sua mancata applicazione. Eancora guardare all’esigenza di snellire le procedure, e di non complicarle, nell’interessecomune degli utenti e dei funzionari preposti alla tutela. Dalla continua variazione, dallamoltiplicazione e dalla poca chiarezza delle norme discende inevitabilmente l’inefficienza ela paralisi della pubblica amministrazione.

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pochi mezzi a disposizione, come ad esempio nelle aree periferiche suburba-ne, si sperimenta che la tutela legale è quasi completamente vanificata. Nonserve scrivere lettere o sporgere denunce dove l’edificazione abusiva è lanorma (i nuovi quartieri speculativi vengono nominati e ratificati dalle isti-tuzioni con eufemismi quali: « nuclei spontaneamente sorti », al pari dellecostruzioni in proprio e delle baraccopoli davvero “spontanee”), quantopiuttosto poter operare direttamente e fisicamente sul territorio, con inter-venti che, seppure esigui rispetto alle dimensioni del fenomeno selvaggiodello spreco tramite l’uso indifferenziato del suolo, possano però costituireoperazioni mirate, tese al contenimento del danno tramite la tutela fisica,non solo giuridica. Ma non si tratta del solo abusivismo. Anche gli strumentiurbanistici hanno seguito un criterio di equità che finisce col compromette-re la zonizzazione.

La legge è uguale per tutti, per cui ognuno — tra i proprietari terrieripiccoli e grandi — avrebbe diritto di fruire della rendita fondiaria di posi-zione oltre che della rendita agricola. I piani regolatori non dovrebberoperò inseguire queste esigenze, come invece a Roma ed altrove si è fatto. Sisono ridotti i piani in briciole, a pelle di leopardo: quasi in ogni proprietàfigurano in percentuale costante tutti gli indici di edificabilità e tutte lezone (industrie, artigianato, residenze, servizi, verde). Così si crea una fram-mentazione e un disordine che è la premessa del degrado. Le varie destina-zioni sono distribuite sul territorio come capita, seguendo le particelle delleproprietà. Questa difficoltà può essere risolta con un sistema di permutedei suoli, che presuppone un consistente patrimonio e un’efficiente orga-nizzazione comunale. È fatto salvo così il diritto di ognuno a fabbricare ciòche vuole (o che gli conviene) ma non dove vuole.

Frequentemente, nelle scelte che si prendono, non tanto negli inter-venti programmati quanto nell’emergenza e nell’imprevisto, si apre un’al-ternativa: ignorare e quindi favorire il processo, spontaneo ma indotto, didegenerazione dell’ambiente, assecondando — sia pure indirettamente —il degrado dei monumenti emergenti e nel sottosuolo, oppure arginarlo eporre faticosamente le premesse per un recupero del patrimonio architet-tonico e archeologico. Sia pure in ambiti circoscritti e innescando processicon lunghi tempi di attuazione, si può cercare, con la valorizzazione, dirompere il circolo vizioso avviandone uno di segno opposto.

Non si tratta di voler scavare ovunque a tutti i costi, ma se ad esempiosi costruiscono prima un distributore, poi una caserma e in seguito altriinsediamenti ancora sul percorso di una via consolare antica, un’indagine

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diventa opportuna. Certamente non c’è intrinseca urgenza di portare allaluce il basolato che, sia pure ignorato, potrebbe conservarsi anche — ecertamente meglio — sotto terra; senza un pronto intervento si rischiaperò di perdere in modo definitivo la possibilità di valorizzare quel patri-monio archeologico. Col tempo verrebbe gradualmente compromessa an-che la conservazione fisica dei manufatti inesplorati o sepolti, per gli inevi-tabili sconvolgimenti del sottosuolo connessi alla progressiva urbanizza-zione. Per modificare un piano di fabbricazione occorre avere argomenticonvincenti e si è costretti spesso a mostrare almeno qualcosa dei manufat-ti sepolti che rendono l’area inedificabile; soprattutto quando il vincolosia stato apposto sulla base di ritrovamenti di materiali in superficie o quan-do le esplorazioni siano motivate da notizie documentarie di incerta ubica-zione o da ipotesi scientifiche. I proprietari non mancano di far giungerealle Soprintendenze “pressioni dall’alto”. In questi casi l’indagine archeo-logica diventa una affrettata e pesante scommessa. Non dunque scavo finea sé stesso ma tutela attiva, accorrendo dove maggiori sono i rischi e nonsecondo la notorietà dei manufatti o in base ad altri interessi. L’obiettivodiviene allora quello di arricchire e approfondire la conoscenza del patri-monio materiale disponibile, mediante opere di indagine e di restauro fi-nalizzate non solo alla conservazione, ma anche alla restituzione dei beniculturali nel complesso delle loro potenzialità, sia conosciute e sfruttate,che ignorate e in pericolo. Questa tutela di fatto può essere di volta involta tempestivamente improvvisata anche con ridotti interventi dimostra-tivi; essa è ancora più necessaria, in appoggio a quella di diritto, nei casi incui il patrimonio culturale venga minacciato da enti o istituzioni pubbli-che. Se le norme sono ignorate dai privati cittadini senza conseguenze peri contravventori, perché dovrebbero costituire un ostacolo all’attività col-lettiva? Lo Stato può contraddire sé stesso. La legislazione e la giurispru-denza recenti favoriscono sempre più questo pericoloso orientamento. Farpassare una nuova strada su un’area vincolata è facilissimo (e anche logico,visto che le altre aree non sono libere da manufatti moderni), meno facilese in quell’area si è intervenuti con uno scavo o con un intervento di valo-rizzazione. Alcuni dei problemi che nei restauri più coccolati tendono adivenire questioni accademiche spinose e dispute anche un po’ noiose, inquesta terra di frontiera (o di nessuno), degli interventi negletti, sembranosbrogliarsi, sciogliersi in modo più snello, più agile. Indubbiamente pergiungere a queste soluzioni più rapide si paga un prezzo: gli scavi nonsempre sono esaurientemente documentati, i restauri sono poco meditati,

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più in generale si vede che archeologia e architettura non sono materie chepossano essere semplificate senza danno.

Un confronto sulla diversità degli inconvenienti tipici di queste dueschematiche categorie di lavori (trascurati o soffocati) può risultare pro-duttivo, ed è comunque preferibile analizzare e utilizzare gli errori, piutto-sto che nasconderli. Gli esempi qui di seguito illustrati appartengono, comesi è detto, prevalentemente alla categoria dei cantieri trascurati: in questicasi i limiti del lavoro sono molto evidenti. Si interviene in modo affanna-to, frettoloso e senza gli strumenti adeguati. Questo stato di cose, che ri-chiede il ricorso a tutti i mezzi disponibili, può divenire un alibi e richia-mare in causa facili scappatoie come il disegno, il segno, l’arbitrio; l’emer-genza quindi propone anche la necessità di controllo, per contenere glieccessi. Prendendo lo spunto da questo clima un po’ concitato, quasi dabarricata, proprio del pronto intervento e dei salvataggi urgenti, si puòindividuare la direzione in cui conviene lavorare alla ricerca di soluzioni:le difficoltà connesse ai compiti di vigilanza, ad esempio, piuttosto che conle deleghe e subdeleghe tra enti che spostano e frammentano il problemasenza risolverlo, possono essere più efficacemente affrontate con il con-corso di forze differenti. Anche il controllo sulle attività istituzionali, suirestauri e più in generale sull’impiego delle risorse potrebbe essere sempli-ficato sotto il profilo burocratico se si instaurasse una maggiore sorve-glianza di fatto, che solo una rete più articolata può consentire. Oggi ledifficoltà procedurali sono un ostacolo indifferenziato che si frappone sulcammino di ogni funzionario che voglia operare nel dedalo di leggi, rego-lamenti e prescrizioni esistenti, a prescindere dai programmi e dalle finali-tà, mentre un reale controllo sull’attività di chi supera questi ostacoli spes-so non esiste. Nella presentazione dei programmi, che si tratti di provvedi-menti indispensabili o di operazioni assolutamente inutili e dannose, otte-nere un finanziamento è altrettanto difficile, o facile. Sarebbe meglio con-dizionare l’ottenimento dei fondi al consenso di diverse istituzioni, piutto-sto che alla soluzione di un difficile rompicapo amministrativo. Il funzio-nario sarebbe allora spinto a prendere contatti con altre istituzioni e uffici,quali l’Università, gli Enti Locali (Comune, Provincia, Regione), gli istitutidi ricerca, le associazioni, i comitati, e nei progetti verrebbe ridimensiona-ta da un lato l’alea — oggi eccessiva — dell’arbitrio individuale, dall’altrola conflittualità tra amministrazioni diverse. In questo modo si avrebbeanche un maggiore controllo sulla spesa e sarebbe meno necessariocontabilizzare i lavori a misura: sarebbe invece possibile lavorare intera-

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(14) Secondo i dettami della citata Carta Italiana del Restauro, detta anche « cartadel restauro 1972 »: nelle Istruzioni per la condotta dei restauri architettonici si specificainfatti che « l’esecuzione dei lavori. . . dovrà essere. . . possibilmente condotta ‘in econo-mia’, invece che contabilizzata ‘a misura’ o ‘a cottimo’ ». Cfr. F. GUERRIERI, 1975, op. cit.,p. 113. Contabilizzando i tempi della mano d’opera e i materiali impiegati, la possibilitàdi controllo e verifica della spesa viene ridotta e limitata quasi esclusivamente alle ispezio-ni in corso d’opera: del resto, questi sopralluoghi sono comunque indispensabili e neces-sari e quindi il ricorso all’economia — per altri aspetti vantaggioso — non implica oneriaggiuntivi e impone utilmente di seguire i lavori. A proposito della quantificazione degliinvestimenti necessari molti tentativi sono stati fatti anche recentemente in tal senso, siadirettamente che fuori dalla Pubblica Amministrazione, e tuttavia frequentemente si nota,mediante il metodo comparativo, una grande, inaccettabile difformità nei criteri estimativi.Il più delle volte il metodo seguito per stimare l’importo previsto non viene nemmenoenunciato. Uno degli esempi più eclatanti, tra le recenti pubblicazioni, è offerto da uncensimento del fabbisogno condotto congiuntamente dal Ministero per i beni culturali eambientali e dall’IRI-Italstat: evitando gli eccessi entusiastici o polemici da cui è statasalutata l’iniziativa, occorre però riconoscere che si sono adottate procedure quanto menoeterogenee. Comparando infatti gli importi indicati per i vari progetti proposti e tenendoconto della mole dei lavori di volta in volta necessari, si evince una notevole disomogenei-tà nelle previsioni di spesa. La conferma più evidente di questa arbitrarietà è offerta dallesviste: ad esempio il progetto per il restauro dell’ex arsenale pontificio clementino, a Roma,presso Porta Portese, è stato presentato due volte, e due volte indipendentemente stimato:in un caso la spesa necessaria è indicata in 2,5 miliardi, nell’altro in 13. Una così grandedifferenza solo in parte può derivare dalla diversità dei due progetti, elaborati separata-mente. Cfr. Memorabilia — Il futuro e la memoria, a cura di F. Perego, vol. II: Il patrimo-nio vulnerato, pp. 246 e 261. Sia l’opportunità di eseguire in economia una consistenteparte delle lavorazioni di restauro, anche quando altamente specializzate, che la necessitàdi modificare i progetti in corso d’opera, rendono comunque difficile la previsione dispesa anche per un singolo intervento. La scarsa incidenza dei materiali, la ridotta possibi-lità di condurre le operazioni indipendentemente le une dalle altre, la necessità di effet-tuare quasi tutte le lavorazioni sul posto, la bassa frequenza di trattamenti standardizzati,ripetitivi o seriali, complicano ulteriormente il compito estimativo. In tal senso, nella re-dazione di progetti per ambiti più estesi (e delle relative analisi di spesa), si è formulato unsistema di equivalenze virtuali, per poter operare mediante il metodo comparativo e me-diante quello della corrispondenza con i costi a misura, ricorrendo a numerose verificheincrociate. È il caso ad esempio, del « progetto palatino » (il progetto è stato redatto nel1984/’85 e presentato in occasione del convegno « Gli Horti Farnesiani sul Palatino » delnovembre 1985. La pubblicazione degli atti è in corso a cura dell’Ecole Française e dellaSoprintendenza, nella collana « Roma antica »). In questo caso si è messo a punto unmetodo di stima basato sull’analisi empirica dei costi sostenuti in opere precedentementecondotte, suddivisi per tipologia di intervento e riferiti a unità di misura virtuali. Lo stu-dio e l’esame statistico di quanto si è già fatto consente di meglio valutare le probabilitàrelative alla spesa futura. Per la definizione e l’aggiornamento dei costi elementari e l’ana-lisi dei prezzi delle lavorazioni ricorrenti, la Soprintendenza, utilizzando il listino del Ge-

mente in economia (14), secondo le prescrizioni della carta del restaurodel 1972, con migliori risultati sul cantiere e maggiore flessibilità di inter-vento. Oggi, nell’assenza di adeguati controlli, questo metodo contabile è

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orientativamente sconsigliato dall’amministrazione del Ministero per l’im-possibilità di verificare puntualmente la spesa a posteriori; ma se in corsod’opera si potesse contare sulla vigilanza di diverse istituzioni questa solu-zione sarebbe praticabile. Attualmente per garantire la cosiddetta traspa-renza della spesa siamo invece costretti a giochi di prestigio incredibili,veri e propri esperimenti di preveggenza e divinazione: lo scavo archeolo-gico, ad esempio, invece di essere valutato in base alle ore di lavoro neces-sarie e al nolo dei mezzi e degli strumenti relativi (cioè in economia, sullabase di esperienze analoghe), viene computato al metro cubo, o addirittu-ra al metro quadro stratigrafico (sofisticata uscita di sicurezza), fissandoquantità imprevedibili e prezzi a misura che si rivelano costantemente trop-po alti o troppo bassi, secondo le situazioni. Così anche il restauro di unafacciata o di un affresco viene valutato, prima di conoscere i problemi chesempre emergono nel lavoro, in metri quadri di prospetto, quindi ‘a misu-ra’, o addirittura ‘a corpo’ (cioè l’intero lavoro viene equiparato a un certoimporto). Superato il margine del quinto (20%), concesso alla discrezio-nalità del direttore dei lavori, ogni situazione imprevista — nello scavo enel restauro è la norma — richiede una variante in corso d’opera che sidimostra una procedura lunga e complessa quanto una nuova richiesta di

nio Civile — Ministero dei Lavori Pubblici, opportunamente modificato e integrato, fa datempo ricorso all’informatica. Nell’elaborazione elettronica dei dati si è infatti giunti adapprontare autonomamente come ufficio, programmi specifici e integrati per seguire l’itercompleto della programmazione e della gestione dei fondi: in particolare un programma perl’analisi dei prezzi, la stesura e l’amministrazione delle perizie di spesa è già operativo datempo presso gli Uffici Tecnici della Soprintendenza Archeologica di Roma mediante unautenza presso il Centro del Provveditorato Generale dello Stato. Il centro di elaborazionedati distaccato è stato realizzato a palazzo Altemps, entro i locali che furono della bibliotecaaltempsiana. Inoltre tramite questo collegamento è possibile fruire, per la ricerca e per lagestione delle biblioteche dell’ufficio, del nuovo Sistema Bibliotecario Nazionale. Si sta la-vorando all’automazione degli archivi e all’integrazione dei dati su base cartografica, d’inte-sa con il Centro del Poligrafico dello Stato. Si cercherà al proposito di curare l’adozione dicartografie e procedure unificate — o almeno compatibili — con quelle di altri uffici checonducono analoghe iniziative, ad esempio l’Ufficio Speciale per gli Interventi nel CentroStorico del Comune di Roma. Resta allo studio la realizzazione di un sistema esperto incollaborazione con istituti universitari, in grado di fornire ausilio anche nell’attività scienti-fica di ricerca archeologica e di tutela. Ma tornando alle questioni economiche, senza ad-dentrarsi oltre nei metodi estimativi adottati, è forse opportuno un cenno alla difficile con-tingenza finanziaria romana, con le molte ma incerte alternative: dall’adeguamento del bi-lancio ordinario al rinnovo dello stanziamento stabilito con la legge speciale n. 92/81, con-nessi di anno in anno alle leggi finanziarie, dall’ottenimento di finanziamenti F.I.O. al varodi un progetto specifico nell’ambito dei più generali provvedimenti per « Roma Capitale ».

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fondi, e in effetti tale è nella sostanza (15). Nella gestione in economia lavariazione del progetto finanziario non è invece frequente, perché ogniimprevisto può essere affrontato con la mano d’opera a disposizione. Unvisto delle istituzioni interessate e coinvolte potrebbe meglio soddisfarel’esigenza di controllo sulla spesa. In pratica si eviterebbe la complicazionedel computo a misura che comporta notevoli perdite di tempo e artifici siaprima che dopo il lavoro. Preventivi e consuntivi in economia sono logica-mente molto più agili proprio in quanto meno strettamente connessi alleopere da realizzare. La pluralità della gestione, o almeno una intesa e unaverifica collegiale, consentirebbe un controllo alternativo a quello eserci-tato tramite la prassi corrente, non solo nell’utilizzo del denaro pubblico,ma anche nel merito delle scelte operate, che il collaudatore nell’attualeordinamento non può sindacare, dovendo verificare solo la regolare ese-cuzione e la rispondenza delle opere alle scritture contabili. Si potrebbeinoltre favorire l’unità di intenti in seno alla pubblica amministrazione.Inoltre prima ancora di effettuare i lavori, una più estesa verifica collegialemeriterebbe anche il delicato tema degli affidamenti e degli appalti, chepotrebbe essere affrontato con lo stesso strumento: una più ampia sotto-scrizione degli atti. Anche in assenza di una riforma di queste condizioni, èpossibile contemperare l’esigenza di operare agilmente e la necessità dicontrollo, richiedendo i collaudi in corso d’opera ed estendendo il nume-ro dei visti in calce alle liste delle presenze e dei materiali: soprattutto nelcaso del pronto intervento, si è costretti, per poter fronteggiare l’emergen-za, a redigere perizie quasi interamente in economia, in deroga alle prescri-

(15) Tra i molti ostacoli di gestione spiccano i tempi sempre crescenti necessari all’ap-provazione di bilancio prima e all’accreditamento dei fondi poi: sempre più frequentementevengono erogati nei mesi di settembre, ottobre e anche novembre fondi da spendere entro lachiusura dell’esercizio finanziario dell’anno in corso e quindi entro il 15 dicembre successi-vo. Per contenere il residuo passivo, cioè il volume dei finanziamenti ottenuti e non utilizza-ti, occorre così in pochi giorni provvedere alla selezione delle ditte, alla stipula dei contrat-ti, alla consegna dei lavori, alla affrettata esecuzione delle opere e alla stesura delle contabi-lità relative. Questa situazione, rendendo convulso il ritmo del lavoro, produce certamentedanni al patrimonio e costi aggiuntivi o sprechi di danaro per la Pubblica Amministrazione,oltre al disagio per i lavoratori sia pubblici che privati, dipendenti dalla Soprintendenza odalle ditte appaltatrici. La ragione di questo stato di cose andrebbe forse cercata indagandosulla sorte degli interessi maturati sulle somme immobilizzate: una vera economia sommer-sa. Il cosiddetto costo del danaro in questo caso non figura infatti nei bilanci e tuttavia unutile esiste. Un premio non dichiarato per chi tiene in deposito le somme è controproducen-te e ostacola certamente un corretto e agile impiego del danaro pubblico.

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zioni stabilite con numerose circolari, che fortunatamente non hanno forzadi legge; queste imporrebbero in effetti una quota preponderante di lavori amisura. Un controllo più articolato e sopralluoghi a sorpresa del collaudato-re durante l’esecuzione dei lavori possono tuttavia costituire una valida ga-ranzia alternativa anche nelle condizioni attuali.

Ma visto che si è parlato di banco degli imputati, converrà interrom-pere l’elencazione delle buone intenzioni e passare subito alla deposizione,se non alla confessione delle malefatte (16).

Nel centro ACEA di via Eleniana, a Roma, tra cavi ad alta tensione etrasformatori, si è rinvenuta una villa, solo in ridotta misura danneggiatadalla realizzazione degli impianti recenti. Con i fondi a disposizione loscavo è stato per ora limitato alla porzione più minacciata dal centro ditrasformazione. Una tettoia provvisoria realizzata a protezione degli into-naci affrescati e dei pavimenti a mosaico aveva in un primo momento de-terminato una sorta di effetto serra, favorendo lo sviluppo di vegetazionesui manufatti antichi; è stata successivamente modificata per evitare que-sto inconveniente frequentissimo, nella buona stagione, sotto le coperturetrasparenti (riscontrato in particolare sotto le coperture temporanee dicantiere).

Nella protezione di strutture sepolcrali rinvenute presso Casale Ghella,sulla via Cassia, scavate per evitare la realizzazione di edilizia residenzialeentro l’area archeologica, questo inconveniente si è potuto evitare senzaricorrere a materiale opaco, che in questo caso avrebbe ridotto eccessiva-mente l’illuminazione naturale dello scavo: si è fatto ricorso a pannellitrasparenti che hanno la proprietà di arrestare solo le radiazioni luminosenecessarie alla fotosintesi clorofilliana, quindi solo una fascia dello spettrodella luce solare (17). In sostanza sotto la tettoia è assicurata una buonavisibilità ma non cresce la vegetazione. Per i sostegni si è qui sperimentatol’impiego di legname impregnato a pressione — in autoclave — con pro-dotti che ne prolungano la conservazione all’esterno: la lavorazione, equindi ridotta a quella necessaria alla posa di una comune copertura prov-visoria di cantiere, mentre, con un lieve aumento nel costo dei soli mate-riali, si realizza una struttura permanente o comunque di media durata. Illegno può essere lavorato con tecniche tradizionali.

(16) AA.VV. Relazioni su scavi, ritrovamenti, restauri in Roma e suburbio « BollettinoComunale di Roma », LXXXXIX e XC, Roma 1985-86, passim.

(17) Commercializzati, con il legname trattato, dalla casa UNOPIÙ.

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In località Ospedaletto Annunziata, sulla via Veientana, si è realizzatauna tettoia a protezione di una fornace (anche qui esplorata, con altrestrutture, per evitare l’edificazione dell’area) interamente costituita damateriale metallico: pannelli prefabbricati di lamiera a ‘sandwich’, soste-nuti da un traliccio tubolare di acciaio inossidabile. In una zona già com-promessa paesisticamente da elettrodotti e altre strutture, questo sistemaha il pregio di poter coprire grandi luci, posizionando gli appoggi fuoridallo scavo.

Lungo la via Flaminia gli interventi di emergenza, disseminati come diconsueto ‘a pioggia’, (che non vuol dire a caso, ma secondo il degrado)sono talmente frequenti da far intravedere la possibilità di adottare, se-guendo il tracciato antico, un piano di recupero a scala urbanistica. Anchese la continuità del percorso è interrotta in più punti, è ancora possibile inmolti tratti proporre la realizzazione di un parco lineare, una sorta di iti-nerario museale all’aperto. Con quinte di verde e altri accorgimenti si po-trebbe cercare di saltare i punti compromessi da edificazioni recenti: pe-raltro i manufatti antichi sono quasi ovunque ben conservati. I tratti, lun-ghi anche chilometri, del tracciato antico potrebbero essere collegati traloro da nuovi percorsi. Si accennerà solo a qualcuno dei casi in cui si èintervenuti.

Entro gli insediamenti militari di Tor di Quinto si era già operato perevitare la perdita di un diverticolo della via Flaminia e di una serie difornaci entro l’ippodromo. Nella piana, lungo il percorso della consolare,sia la Marina Militare che i Carabinieri hanno in costruzione insediamenti(impianti sportivi e caserme) che solo in parte si è riusciti a modificare pertutelare il tracciato antico. Anche qui si è dunque intervenuti principal-mente per esigenze di tutela, non di indagine o di valorizzazione. La stradae i manufatti limitrofi sono ben conservati ad una profondità di due metricirca, ma il percorso antico è continuamente minacciato da nuove costru-zioni. A fatica si evitano le sovrapposizioni edilizie, mentre sono progres-sivamente compromesse le aree adiacenti. In questi casi l’interro, benchépreferibile per la conservazione dei materiali antichi, non sembra oppor-tuno: occorre infatti, sempre per esigenza di tutela e conservazione, unsegno ordinatore visibile che organizzi la rapida trasformazione caoticadel suburbio. Potrebbe essere sufficiente un percorso di superficie coinci-dente con quello antico (tramite ad esempio la piantumazione di un vialealberato lungo il percorso di una strada antica non visibile perché interra-ta), unitamente allo scavo e al restauro di alcuni monumenti o di tratti

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viari. Una diversa forma di tutela non sarebbe efficace in zone in cui, inalternativa alla urbanizzazione abusiva, si sviluppa un’edilizia ufficiale re-alizzata, come si è detto, in deroga ai vincoli esistenti (18). Si vede che glistrumenti di lavoro sono inservibili (come i vincoli amministrativi) o ven-gono usati a sproposito (come l’indagine archeologica, utilizzata per latutela invece che per la ricerca scientifica).

Proseguendo nell’itinerario verso nord, altro esempio di moderno ar-bitrio è offerto dal restauro della tomba dei Nasoni: scoperta nel secoloXVII ampliando la via Flaminia vecchia, suscitò subito grande interesseperché vi erano raffigurate scene mitologiche che nel Rinascimento eranoconosciute e studiate attraverso gli autori classici, più che da fonti icono-grafiche originarie. Nell’entusiasmo per un ritrovamento che illustrava itesti antichi, talune scene furono distaccate e trasferite altrove: alcune sonooggi conservate a Londra, altre sono disperse, ma una buona parte delladecorazione pittorica resta ancora in posto. La facciata della tomba e ilvano dipinto erano scavati nel costone tufaceo. Nel secolo scorso questarupe fu interamente asportata da una cava, risparmiando il sepolcro malasciando uno strato troppo sottile di materia: si è così perduto, prima perfar passare in linea retta i binari del Decauville della cava e quindi per icrolli successivi, un terzo circa della tomba, compresa la facciata. Questaspecie di guscio sottile, scavato dall’interno in antico e dall’esterno in epo-ca recente, era talmente deteriorato da richiedere, nell’intervento statico,la realizzazione di nuove strutture: un telaio metallico con opportuni di-stanziatori e giunti di dilatazione per il sostegno del fronte libero dellavolta, imperneazioni, integrazioni, impermeabilizzazione e una calotta ester-na. Per quest’ultima, forzando le procedure consigliate, si è dovuto farricorso al cemento per esigenze di robustezza, con le opportune cauteleper evitare i danni che i sali possono arrecare alle pitture (adozione dicementi pozzolanici desalinizzati e frapposizione di barriere di resina). A

(18) La deroga avviene in base al citato art. 81 della legge 616. Sul problema dellederoghe urbanistiche cfr. il bollettino di « Italia Nostra » n. 256, marzo 1988, pp. 39 ss.Sui rischi connessi cfr. F. SCOPPOLA, Via Flaminia itinerari e programma urbanistico, « Bul-lettino comunale di Roma », XC, Roma 1986, pp. 145-150. A proposito degli interventicondotti entro la ventesima Circoscrizione, lungo le vie Consolari Cassia e Flaminia, rin-vio inoltre alle mie comunicazioni nell’ambito dell’ottavo e nono incontro di studio delComitato per l’archeologia laziale nel 1986 e 1987 (rispettivamente non pubblicata e incorso di stampa negli atti: Scoperte nei nuovi insediamenti militari della via Cassia e dellavia Flaminia).

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seguito di questi interventi e in considerazione del contesto ambientalegravemente degradato in cui oggi si trova la tomba, si è ritenuto proponi-bile un abbozzo ricostruttivo della facciata perduta, sulla base dei rilievirinascimentali del sepolcro. Utilizzando il legno per sottolineare con unmateriale deperibile la distinzione tra il restauro e la ricostruzione, si èriproposto il profilo della porzione mancante. Lungo i bordi delle vetrate(di cui è necessario consentire l’oscuramento) può essere variata e dosatal’eventuale circolazione dell’aria. La calotta esterna verrà ricoperta. Il re-stauro pittorico è prossimo alla conclusione.

Un ninfeo sotto il monte delle Grotte è stato scavato nel corso dei lavoridi realizzazione della nuova cloaca adduttrice al depuratore Roma Nord. Inalcuni casi, come in questo, non solo non si evitano le demolizioni di manu-fatti antichi ma non si arriva nemmeno a documentare le strutture, indivi-duate quando ormai il danno è in gran parte prodotto. In altri casi, menzio-nati più avanti, si perde il collegamento tra rilievi eseguiti nel corso dei saggipreliminari e le porzioni risparmiate a demolizioni avvenute.

Questi esempi dimostrano la necessità di disporre costantemente distanziamenti per interventi imprevisti ed urgenti da condurre in econo-mia. E di forze disponibili che possono essere integrate col ricorso acollaboratori esterni. Senza la disponibilità immediata di fondi per unintervento autonomo delle Soprintendenze è difficile ottenere risultatisoddisfacenti.

Sempre a Grottarossa, il tracciato della stessa adduttrice fognaria do-veva passare tra i due mausolei già in vista prima della conduzione deilavori, avviati nel 1981: quello a pianta quadrangolare e l’altro, menoriconoscibile che allora appariva a pianta stellare costituita da nicchie. Inseguito ai primi saggi, effettuati per stabilire in dettaglio il nuovo traccia-to, evitando per quanto possibile interferenze con i manufatti antichi, ve-nivano individuate diverse strutture: i resti di altri tre mausolei, oltre albasamento prismatico e a frammenti di rivestimento del corpo superiorecilindrico del secondo mausoleo già noto. Le costruzioni antiche eranocontigue le une alle altre con continuità e non sembrava possibile attraver-sarle senza danno con una trincea e un condotto che dovevano raggiunge-re otto metri di profondità. Scegliendo nel percorso le intersezioni piùopportune si è comunque dovuto procedere allo smontaggio delle struttu-re antiche e al loro rimontaggio successivamente alla realizzazione del nuovoimpianto fognario. Non era infatti possibile una sostanziale variazione dipercorso: due tronconi già realizzati si affacciavano ai lati opposti del-

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l’area archeologica, secondo la logica del fatto compiuto. L’unica modificadi rilievo che si è potuta ottenere è stata una variazione del profilo dellavolta della fognatura: il cielo della conduttura è stato abbassato, allargan-do e schiacciando il cunicolo, per poter mantenere invariata la quota dellestrutture antiche dopo il rimontaggio. Su cinque mausolei due sono statireinterrati, essendo conservati per una non grande altezza. Per i due mau-solei parzialmente già emergenti, conservati quasi interamente in elevato,l’interro non è stato ovviamente possibile. Per il sepolcro a tempietto, an-cora da rimontare, l’interro è ostacolato dalla vicinanza alla strada anticache si vorrebbe mantenere in vista. Si sono dovuti affrontare notevoli pro-blemi di restauro. Si è fatto ricorso a soluzioni molto discutibili come lereintegrazioni e le mantelline protettive. Trattandosi di nuclei murari digrande spessore, si è cercato di limitare le manomissioni anche a scapitodella conservazione. Ad esempio si sono in parte mantenute le alberatureesistenti alla sommità del mausoleo a torre, per evitare eccessive alterazio-ni del paesaggio. Il problema è più delicato nei punti in cui sono conserva-te le impronte dei blocchi di rivestimento in calcare o dei blocchi struttu-rali in tufo che costituiscono l’anello di fondazione del tamburo entro ilnucleo parallelepipedo di base del mausoleo cosiddetto a nicchie. In questicasi non intervenire o adottare provvedimenti contenuti significa perderele poche testimonianze residue della tecnica e dell’apparecchiatura mura-ria. Avendo scartato l’ipotesi di una tettoia integrata nella struttura antica,si è fatto ricorso ai consolidanti (19), che tuttavia rappresentano una solu-zione di ripiego: i distacchi e le cadute di materiale vengono ritardati, marischiano di interessare uno spessore maggiore delle superfici. La crostaconsolidata tende a separarsi dalle murature incoerenti retrostanti: quantomaggiore è l’efficacia e la penetrazione del consolidante, tanto maggiorerischia di essere il danno. Si è avanzata l’ipotesi di una ricostruzione par-ziale del rivestimento con materiale opportuno (tipo gasbeton, in blocchi,simili a quelli mancanti per tonalità e dimensioni), separato dal nucleo dauna intercapedine riempita con pozzolana, in modo da proteggere e con-servare le tracce delle impronte. Alle mantelline si è fatto ricorso anche

(19) Consolidante « OH » Wacker importato dalla Shilling. Trattandosi di un conglo-merato molto magro, quasi terroso, in seguito a campionature si è escluso il ricorso al lattedi calce o al Primal AC 33. Questo prodotto, già impiegato nel restauro del duomo di Colo-nia, in pratica trasforma la porzione superficiale delle malte e del tufo in selce, con tutti gliinconvenienti connessi.

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per la protezione delle strutture della grande vasca circolare; qui si è adot-tata una superficie liscia, priva della pignoccata (impiegata, come prescrit-to, sulle superfici di rottura irregolari del rudere), per indicare i livellicorrispondenti a una fase costruttiva (filari, piani di posa, di lavorazione)o alla sommità delle strutture interamente conservate in altezza. La por-zione occidentale della vasca è stata smontata e rimontata; questa opera-zione, effettuata su murature molto degradate, si è risolta in un sostanzialerifacimento che ingloba frammenti di muratura antica: un falso. Le strut-ture erano state segate in grandi blocchi, incassettate e numerate; alla ria-pertura delle casse, per procedere al rimontaggio, frequentemente ci si ètrovati di fronte a materiale incoerente. Lo stacco dalle murature conser-vate in posto è segnalato da un margine continuo incavato nella malta ecolorato in rosso. Successivamente al rimontaggio la vasca è tornata adallagarsi: era stata infatti costruita in modo da captare una vena d’acqua difalda. Probabilmente si tratta della peschiera di una villa, uno degli spaziclassici da cui deriverà la tipologia ricorrente nella sistemazione dei parchidelle ville rinascimentali. La coltura del pesce sarebbe comprovata dallaforma delle vasche. Sull’alimentazione naturale dell’impianto si è interve-nuti a modificare ed alterare le situazioni originarie, e del resto non sareb-be stato possibile conservare all’aperto cocciopesto e muri parzialmentesommersi; anche prescindendo dai danni delle gelate invernali il degradoavrebbe subìto una notevole accelerazione. Occorrerà assicurare una co-stante pulizia degli scarichi realizzati nella parte reintegrata della vasca.

Si è fatto ricorso finora ad una parziale protezione con pozzolana;come sistemazione finale si è proposto un interro ad una quota leggermen-te superiore a quella delle sommità delle murature, in modo che le unicheparti affioranti a sistemazione ultimata siano le ultime integrazioni sommi-tali, le cosiddette mantelline protettive. Il collegamento tra questo e lamuratura antica sottostante potrebbe essere piuttosto blando, in modo daevitare la trasmissione di sforzi meccanici e dilatazioni termiche da unastruttura all’altra. Un compromesso quindi tra protezioni sommitali e se-gnalazioni di superficie, per conservare in vista il disegno planimetricorinvenuto senza esporre i materiali antichi all’usura degli agenti atmosferi-ci, della frequentazione e delle manutenzioni. Queste cautele sembranoopportune anche se una parte delle murature, quella che è stata smontatae rimontata, ha subito come si è detto profonde integrazioni. Per la conser-vazione di manufatti in posto in zone incustodite sembra infatti preferibilesia la protezione che la segnalazione, per evitare rispettivamente danni

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insediamenti in sovrapposizione. Oltre la metà occidentale della vasca e lestrutture (forse magazzini) a muri paralleli (anch’esse probabilmente rife-ribili ad una villa che si potrebbe ancora trovare sotto la strada moderna ela ferrovia) più a settentrione sono stati rimontati l’angolo in terracotta diun timpano e frammenti della soprastante decorazione marmorea del fron-tone del citato sepolcro a tempietto, di cui deve essere ricomposta la fon-dazione in blocchi squadrati di tufo, operazione ostacolata dalla presenzadi altri precedenti impianti e condutture Dopo aver valutato le possibilitàdi conservazione in posto, l’angolata superiore, rimontata su base metalli-ca, è stata cautelativamente trasportata al Museo Nazionale Romano congli altri frammenti.

Si è detto che nel tagliare in diagonale il tracciato antico, il nuovoscasso è stato leggermente allargato anche in corso d’opera, determinandola parziale perdita degli attacchi e delle corrispondenze tra la porzionesmontata e il basolato conservato, mentre il lavoro di costruzione dellanuova fognatura si sarebbe dovuto svolgere solo sul fondo della trinceasenza interessare le pareti in terra. Sono frequenti i casi in cui non si riescead assicurare la presenza continua di un assistente sui lavori di nuova urba-nizzazione. Altri tratti della strada antica sono stati scavati; in un caso, peril passaggio di un nuovo acquedotto, si è proceduto ad analogo smontag-gio e rimontaggio, questa volta vigilando continuamente sulla conserva-zione degli attacchi.

Come si vede è assolutamente inutile curare la fedeltà dei rilievi sequesti non vengono continuamente aggiornati col procedere del lavoro. Inmolti casi può essere sufficiente uno schizzo, pur di poter ricostruire lacontinuità delle operazioni. Il presupposto principale è nell’assiduità dellapresenza, almeno di un collaboratore, se non del responsabile dei lavori.Sono frequenti i casi in cui non si fa a tempo a prendere l’attrezzatura(fotografica o da disegno) che la situazione che si voleva documentare ègià mutata. In pochi minuti si possono perdere molte informazioni, speciequando sono al lavoro i mezzi meccanici.

Nel suburbio di Roma, a ridotta profondità, esistono dunque ancoraben conservate le consolari antiche con i monumenti sui lati, ma mancanoi mezzi per una tutela efficace o per riportarle in luce. Si è detto che forsenell’immediato sarebbe sufficiente realizzare un viale di superficie, anchesolo in terra battuta, coincidente col percorso antico, per consentire unrinvio degli scavi arginando però di fatto (e non solo di diritto) l’espansio-ne edilizia abusiva, o quella ufficiale condotta in deroga alle norme. Le

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alberature dovrebbero seguire due filari posti ad una distanza tale da in-corporare i monumenti limitrofi alla strada e lo spazio occorrente allarealizzazione dei declivi di raccordo tra la quota antica e quella moderna.Questa procedura potrebbe essere adottata in tutta la piana di Grottarossa.

Sulla Tomba di Fadilla, sempre presso Grottarossa, si è realizzato unpavimento impermeabile (in marmette su guaina) sul terrapieno entro cuiè scavata la sepoltura.

A volte nei progetti di nuove opere si riesce non solo ad introdurre lemodifiche necessarie ad evitare sovrapposizioni alle strutture antiche, maanche a includere la valorizzazione archeologica, come nel caso del LiceoScientifico di Saxa Rubra: invece di costruirlo sulla Flaminia antica, comeinizialmente si era progettato, è stato possibile spostare l’edificio da realiz-zare e inserire la strada romana nelle sistemazioni a verde dell’area circo-stante la nuova scuola. Non basta comunque la conservazione fisica deimanufatti separati dal contesto. Ne è un esempio il ponte sul Cremera,affiancato e sommerso dai ponti della ferrovia, del raccordo, della stradastatale, della nuova Flaminia, delle condutture idriche e elettriche: tuttihanno creduto meglio ricalcare esattamente il percorso antico.

Nel restauro del mausoleo della Celsa si è intervenuti con ricostruzio-ni in muratura, con imperneazioni con consolidanti (col procedimento giàdescritto a proposito del mausoleo di Grottarossa), con puntoni metallici(messi in opera con l’interposizione di uno strato di neoprene per evitaredi trasmettere rigidamente alla muratura le dilatazioni termiche del metal-lo). Nel risarcimento dei muri si sono lasciate vuote le sedi dei blocchi diammorsatura del rivestimento, di cui restavano le impronte, con un risul-tato certamente, forse troppo, evidente. Il caso del mausoleo della Celsa,trascurato e ignorato, prova comunque la resistenza dei manufatti antichi:in un primo tempo, dopo le spoliazioni (i travertini di rivestimento del-l’esedra sulla fontana sottostante il mausoleo sono in parte conservati pressoil M.N.R., per il resto sono stati impiegati per le cigliature dei marciapiedidi via del Corso) sono state scavate gallerie nel costone sotto le fondazioni(per ricavare pozzolana) provocando cedimenti (Figg. 10 e 11). Successi-vamente ci si è accaniti per demolire quello che sembrava ormai un manu-fatto pericolante. Era stato imbragato il monumento con funi metalliche etirando per mezzo di trattori si era cercato di farlo precipitare: si temevainfatti il crollo di materiali sulla strada moderna sottostante. Prima di co-noscere queste vicende, non si riusciva a comprendere in effetti la causadei considerevoli dissesti, che sembravano originati da un sisma, ma che

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avevano sconvolto la costruzione.Oltre al progetto di protezione della cisterna situata a mezza costa

(Fig. 12), si è realizzata una copertura di una delle tombe poste alla basedel dirupo, sezionata in anni recenti in occasione dell’allargamento dellasede stradale. Ricostruendo schematicamente in ferro e in legno il volumeasportato, si è provveduto anche a una migliore conservazione del pavi-mento musivo e degli intonaci affrescati.

Malgrado questi arbitri e queste licenze sembrino dichiarare il contra-rio, sarebbe preferibile evitare o contenere l’aggiunta di nuovi segni suimanufatti antichi. Le velleità creative, nel restauro, sono svantaggiose egenerano confusione. Se non si riesce a capire il significato dell’antico èper un eccesso di storia, di segni sovrapposti (compresi quelli delle distru-zioni): non conviene aggiungerne altri (20). Conviene piuttosto operare,come nello scavo, per sottrazione di segni. Non però inseguendo una com-pletezza assoluta dell’indagine, ma fermandosi a considerare anche l’im-magine che si lascerà a fine lavori.

Insomma ricorrere a un’aggiunta dovrebbe equivalere a dichiarare di

(20) « È un errore. . . credere che la bellezza. . . possa essere aumentata dall’attrattiva. . . le attrattive effettivamente turbano il giudizio di gusto, se attirano su di sé l’attenzione,come se fossero esse i motivi del giudizio sulla bellezza », I. KANT, Critica del Giudizio, sez.I, libro I, 14.

Fig. 10 — Prospetto est del mausoleo della Celsa, lungo la via Flaminia. Sono evidentii dissesti (rilievo studio Massimo Sabatini).

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Fig. 11 — Assonometria del complesso della Celsa. Dal Basso si riconoscono i restidell’esedra, della cisterna e del mausoleo (del tipo a corpo cilindrico su base prismatica),con le gradonate di sostegno realizzate dal Genio Civile (rilievo studio Massimo Sabatini).

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non avere altre soluzioni. Anche quando si tratti di interventi contenuti,ad esempio nel caso di cancellate o di mantelline di piombo, come inpiazza Saxa Rubra a Prima Porta. O di integrazioni murarie come per lecontigue sostruzioni di villa di Livia (con perni d’acciaio e integrazioni acemento, per contrastare la spinta del terreno). Sul pianoro soprastante èstato ripreso e riaperto lo scavo del secolo scorso. Si erano già incontrati

Fig. 12 — Mausoleo della Celsa. Progetto di restauro della cisterna tramitela realizzazione di una copertura (disegno assonometrico di Giuseppe Ciorra).

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alla Celsa dissesti apparentemente incomprensibili; altri spostamenti in-spiegabili si sono riscontrati anche qui a villa di Livia: il sollevamento delterreno si è poi compreso con il ritrovamento delle tracce di un’esplosionesotterranea di un proiettile d’artiglieria. In effetti il caso di danni bellicinon è infrequente lungo la Flaminia.

In seguito allo scavo, la conservazione all’aperto di affreschi e mosaiciè improponibile. L’interro era stato escluso anche in relazione ai rischi diutilizzazioni improprie dell’area, comprovati dai danni recentemente arre-cati in occasione di arature e piantumazioni. Si è dovuto quindi fare ricor-so alle tettoie. Non potendo fondare la struttura fuori dallo scavo, per lagrande estensione della villa, si è scelto di limitare per quanto possibile gliappoggi, irrigidendo il sistema in alto anziché in corrispondenza delle strut-ture antiche. La copertura è sfalsata su più di un livello per consentireun’illuminazione sufficiente anche al centro dello scavo; i salti di quotanella copertura segnalano e suggeriscono le diverse fasi costruttive o gliambiti di utilizzazione. Trattandosi in parte della riapertura di uno scavogià condotto, si è valutata la possibilità di realizzare le tettoie prima diultimare lo scavo, per poter limitare il rischio di danni accidentali e ancheper risparmiare sui costi delle protezioni temporanee in pozzolana da ap-prontare prima della realizzazione delle tettoie. Nel corso del lavoro sonostate progressivamente apportate modifiche migliorative di dettaglio, inparticolare per quel che riguarda la realizzazione dell’anima di collega-mento nelle travi a spessore.

A Malborghetto, come si è accennato, si sono conservate, ad eccezio-ne delle tramezzature recenti, le manomissioni operate nei secoli sull’arcoromano. Le fondazioni del borgo medievale erano state in parte distruttein anni recenti in occasione della realizzazione di un campo di calcio. Quantosi è potuto sinora scavare è stato in parte reinterrato, ma in parte è conser-vato in vista, o meglio alterato e nascosto dalle inesorabili stuccature emantelline protettive.

Dall’insieme di queste esemplificazioni si vede bene che non esiste unasoluzione unica e soddisfacente, ma una gamma di scelte: ognuna è con-temporaneamente un errore e una soluzione: caso per caso si tratta divalutare i pro e i contro nell’immediato e in futuro, con più attenzione aidanni probabili che entusiasmo per i benefici presunti. Si tratta di sceglie-re, cercando il meglio possibile assieme al male minore.

FRANCESCO SCOPPOLA

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