La conquista islamica dello “spazio antiocheno”La...

22
1 La conquista islamica dello “spazio antiocheno” La conquista islamica dello “spazio antiocheno” La conquista islamica dello “spazio antiocheno” La conquista islamica dello “spazio antiocheno” Maria Giovanna Stasolla Università di Roma “Tor Vergata” Quella che noi definiamo “la prima espansione dell’islam” abbraccia in realtà due fenomeni diversi, ma strettamente correlati: l’apparizione e la diffusione di una nuova religione, l’Islam, e la nascita di un nuovo stato, ideologicamente motivato dai valori islamici, e con vocazione imperiale. Gli Arabi che conquistarono il Vicino Oriente avevano un Dio che abitava fra le tribù e parlava la loro lingua: dunque moralmente essi rimasero a Mecca e per questo sfuggirono all’assimilazione nelle culture dei popoli conquistati. Culturalmente il risultato della loro conquista fu una nuova civiltà che prese forma in un’intensa interazione di potere religioso e tribale 1 . Il mondo antico fu profondamente, anche se sotto qualche aspetto solo apparentemente, trasformato con notevole rapidità. Il senso di questo processo è stato il fulcro della famosa tesi avanzata dallo storico belga Henri Pirenne (1862-1935) in cui si ipotizzava che il sorgere dell’islam aveva posto fine alla civiltà dell’antichità classica e segnato il passaggio al Medioevo 2 . Come è noto, molti aspetti della tesi Pirenne sono stati criticati e, a volte, se ne è dimostrata l’inattendibilità, ma nella sostanza la formazione di due mondi culturali diversi, l’Europa alto-medievale e il primo Islam, sulle sponde del Mediterraneo alla fine dell’antichità è un dato di fatto anche se, contrariamente all’opinione di Pirenne, il ruolo dell’islam non fu di semplice causa ed effetto. Comunque, il lavoro di Pirenne continua a stimolare il dibattito storiografico e gli interrogativi sul perché e sul come l’espansione si era realizzata, e sulla sua reale natura, hanno prodotto spiegazioni anche molto diverse. Il carattere duplice della prima espansione ha, a volte, indotto gli storici a sovrapporre i piani. Molti studi del passato erano concentrati sulle campagne militari che, come le fonti raccontano, furono una parte significativa del processo, e di conseguenza tendevano a concettualizzare l’espansione semplicemente come “conquiste” 3 , trascurando altri aspetti del processo di 1 P. Crone, Slaves on Horses. The evolution of Islamic polity, Cambridge, 1980 e 2003, pp. 18-28. 2 H. Pirenne, Medieval Cities : their origins and the revival of trade, Princeton, 1925; id., Mahomet et Charlemagne, Bruxelles, 1937 (ed. it., Maometto e Carlomagno, Bari, 1939 e 1997). 3 L’enfasi che molta storiografia ha posto sulla conquista può essere stata in qualche modo condizionata dalle stesse fonti islamiche, in particolare di uno specifico genere, definito “futūḥ”, che ha per oggetto la descrizione di come città e distretti erano venuti a far parte del mondo islamico. In realtà, il termine futūḥ non significa propriamente “conquista” anche se spesso viene così tradotto. Donner ha evidenziato il fatto che il suo uso in relazione all’espansione è probabilmente da associare all’uso coranico del termine per indicare un favore, un atto di grazia concesso da Dio ai suoi fedeli (ad es. vedi Cor., 2,76 e molti altri passaggi) e che la trasposizione operata nei contesti di produzione letteraria era finalizzata a legittimare la dominazione dei musulmani su questi territori per il fatto che questi erano a loro concessi da Dio. F. Donner, “Introduction”, in: The expansion of the Early Islamic State, F. M. Donner (ed.), Aldershot, 2008, xvii-xviii. Si veda anche: R. Paret, “The Legendary Futūḥ Literature”, in La poesia epica e la sua formazione, Roma, 1970, pp.735- 749.

Transcript of La conquista islamica dello “spazio antiocheno”La...

1

La conquista islamica dello “spazio antiocheno”La conquista islamica dello “spazio antiocheno”La conquista islamica dello “spazio antiocheno”La conquista islamica dello “spazio antiocheno”

Maria Giovanna Stasolla

Università di Roma “Tor Vergata”

Quella che noi definiamo “la prima espansione dell’islam” abbraccia in realtà due fenomeni diversi, ma strettamente correlati: l’apparizione e la diffusione di una nuova religione, l’Islam, e la nascita di un nuovo stato, ideologicamente motivato dai valori islamici, e con vocazione imperiale. Gli Arabi che conquistarono il

Vicino Oriente avevano un Dio che abitava fra le tribù e parlava la loro lingua: dunque moralmente essi rimasero a Mecca e per questo sfuggirono all’assimilazione nelle culture dei popoli conquistati. Culturalmente il risultato della loro conquista fu una nuova civiltà che prese forma in un’intensa interazione di potere religioso e tribale1. Il mondo antico fu profondamente, anche se sotto qualche aspetto solo apparentemente, trasformato con notevole rapidità. Il senso di questo processo è stato il fulcro della famosa

tesi avanzata dallo storico belga Henri Pirenne (1862-1935) in cui si ipotizzava che il sorgere dell’islam aveva posto fine alla civiltà dell’antichità classica e segnato il passaggio al Medioevo2. Come è noto, molti aspetti della tesi Pirenne sono stati criticati e, a volte, se ne è dimostrata l’inattendibilità, ma nella sostanza la formazione di due mondi culturali diversi, l’Europa alto-medievale e il primo Islam, sulle sponde del Mediterraneo alla fine dell’antichità è un dato di fatto anche se, contrariamente all’opinione di Pirenne, il ruolo dell’islam non fu di semplice causa ed effetto. Comunque, il lavoro di Pirenne continua a stimolare il

dibattito storiografico e gli interrogativi sul perché e sul come l’espansione si era realizzata, e sulla sua reale natura, hanno prodotto spiegazioni anche molto diverse. Il carattere duplice della prima espansione ha, a volte, indotto gli storici a sovrapporre i piani. Molti studi del passato erano concentrati sulle campagne militari che, come le fonti raccontano, furono una parte significativa del processo, e di conseguenza tendevano a concettualizzare l’espansione semplicemente come “conquiste”3, trascurando altri aspetti del processo di

1 P. Crone, Slaves on Horses. The evolution of Islamic polity, Cambridge, 1980 e 2003, pp. 18-28. 2 H. Pirenne, Medieval Cities : their origins and the revival of trade, Princeton, 1925; id., Mahomet et Charlemagne, Bruxelles, 1937 (ed. it., Maometto e Carlomagno, Bari, 1939 e 1997). 3 L’enfasi che molta storiografia ha posto sulla conquista può essere stata in qualche modo condizionata dalle stesse fonti islamiche, in particolare di uno specifico genere, definito “futūḥ”, che ha per oggetto la descrizione di come città e distretti erano venuti a far parte del mondo islamico. In realtà, il termine futūḥ non significa propriamente “conquista” anche se spesso viene così tradotto. Donner ha evidenziato il fatto che il suo uso in relazione all’espansione è probabilmente da associare all’uso coranico del termine per indicare un favore, un atto di grazia concesso da Dio ai suoi fedeli (ad es. vedi Cor., 2,76 e molti altri passaggi) e che la trasposizione operata nei contesti di produzione letteraria era finalizzata a legittimare la dominazione dei musulmani su questi territori per il fatto che questi erano a loro concessi da Dio. F. Donner, “Introduction”, in: The expansion of the Early Islamic State, F. M. Donner (ed.), Aldershot, 2008, xvii-xviii. Si veda anche: R. Paret, “The Legendary Futūḥ Literature”, in La poesia epica e la sua formazione, Roma, 1970, pp.735-749.

2

formazione ed espansione di uno stato di cui l’aspetto militare era solo una parte, come le dimensioni

ideologica e sociale legate al sorgere dell’islam in quanto fede e sistema culturale. In realtà, può essere a volte molto arduo stabilire se un certo cambiamento sia conseguenza delle conquiste in sé oppure se sia stato piuttosto determinato dal sorgere della nuova fede o dello stato islamico. In molti casi è opportuno chiedersi se sia possibile separare i tre processi della conquista militare, della formazione dello stato e della creazione di una egemonia religiosa.

Gli Arabi fra VI e VII secoloGli Arabi fra VI e VII secoloGli Arabi fra VI e VII secoloGli Arabi fra VI e VII secolo

Occasionali riferimenti a “filarchi degli Arabi” al servizio dei Romani e dei Persiani si trovano già nel I secolo

(iscrizioni safaitiche del deserto siriano). Secondo Ammiano, nel IV sec. i Persiani utilizzavano i Saraceni per raids occasionali e ugualmente facevano i Romani. Dal V secolo un certo numero di shaykh nomadi conclusero trattati con Roma e con la Persia (un certo Malechus chiamato Posodaces). Da questi “filarchi saraceni” le grandi potenze guadagnavano sicurezza a buon mercato e utili ausiliari che potevano essere usati per scorrerie in territorio nemico. E’ particolarmente indicativa l’iscrizione di Namara (328) che descrive un Imru ‘l-Qays come “re di tutti gli Arabi”: qualcosa stava cambiando. Il cittadino di Edessa che scrisse una

cronaca attribuita a Joshua lo Stilita aveva ragione quando scriveva che la guerra tra Roma e la Persia “fu la causa di molto arricchimento per i Saraceni di entrambe le parti”. L’impatto del conflitto fra le grandi potenze e i sussidi e l’impegno che questo generò, fu profondo sul mondo beduino. Dal VI sec. le confederazioni ebbero un ruolo decisivo, particolarmente quella dei Lakhmidi, alleati dei Sasanidi, e quella dei Ghassanidi, alleati dei Bizantini che alla fine dominarono la scena. Erano cristiani, generosi protettori della chiesa non-

Calcedoniana, costruttori di monasteri ma rimasero un confederazione tribale4.

Come stava cambiando la società degli Arabi della Penisola? Grazie alla rivalità romano-persiana, la società araba tribale era diventata molto più militarizzata di quanto non fosse in passato e, soprattutto, molto più consapevole della possibilità di avere accesso alla ricchezza del Vicino Oriente sedentario. Robert Hoyland

ha evidenziato, sulla base della poesia araba pre-islamica, quanto la ricchezza delle corti ghassanide e lakhmide avesse avuto un profondo impatto sull’immaginazione degli Arabi5 . Certamente la nascita dell’Islam non si spiega con ciò che era accaduto nel Vicino Oriente romano nella tarda antichità, ma il suo fenomenale successo dovette molto alle peculiari circostanze dell’area nel 630, in conseguenza della guerra venticinquennale con la Persia, e alla società araba militarizzata che più di tre secoli di rivalità fra le grandi

potenze aveva creato.

Studi recenti hanno evidenziato che i contatti di lunga data che gli Arabi avevano con il mondo greco-romano non erano assolutamente ostili6. La prima menzione in contesto islamico dei Romani/Bizantini, in arabo al-Rum, si trova nel Corano, sura 30 intitolata appunto sura dei Romani, v.2-4, in cui si fa riferimento alla

caduta della Palestina e di Gerusalemme in mano sasanide: “Son stati vinti i Romani al confine della nostra terra, ma essi, dopo la sconfitta, vinceranno entro qualche anno. A Dio appartiene il comando, e nel passato

4 M. Whittow, “The late Roman/early Byzantine Near East”, in New Cambridge History of Islam, 2010, vol. I, pp. 72-97. 5 R. Hoyland, Arabia and the Arabs from the Bronze Age to the coming of Islam, London – New York, 2001, pp. 238-241. 6 Per tutti si vedano: I. Shahid, Byzantium and the Arabs in the Sixth Century, Washington, 1995; R. Hoyland, Arabia and the Arabs, pp. 102-103, 167-168; M. Bonner (ed.), Arab-Byzantine relations in early Islamic times, Aldershot, 2004.

3

e nel futuro; e in quel giorno si rallegreranno i credenti (cioè, i musulmani)”. Qui e altrove nel Corano non

emerge la sensazione che Bisanzio costituisca un nemico speciale per la comunità dei Credenti. Tuttavia questa situazione cambiò presto: la scelta di estendere il potere meccano sui gruppi tribali portò l’esercito musulmano ad un passo dalle due grandi potenze del tempo. Le spedizioni musulmane cominciarono a confrontarsi con le difese imperiali negli ultimi anni di vita del Profeta. Dopo la sua morte (632) e i due anni di guerra civile che la seguirono, gli eserciti arabi attaccarono i due grandi imperi, simultaneamente e con7

successo. In tre decisive battaglie in Siria (Ajnadayn, Fihl e soprattutto Yarmuk), il retro della difesa bizantina fu annientato. Damasco cadde intorno al 636: entro 25 anni sarebbe diventata la capitale del califfato. Le città principali della Siria settentrionale (Hims, Aleppo, Qinnasrin-Antiochia) seguirono subito dopo il 636, come anche Gerusalemme, che il califfo ‘Umar sembra aver visitato: lì, secondo alcuni racconti, si fermò in preghiera e cominciò la costruzione di una moschea. Dall’occupazione della Palestina seguì a breve la conquista dell’Egitto, qui Alessandria cadde nel 642. In contemporanea con la conquista della Siria,

ebbe luogo quella del ‘Iraq e quindi l’avanzata in territorio sasanide. La capitale Mada’in-Ctesifonte fu conquistata nel 637 e con la caduta di Nihavend (641) la difesa sasanide collassò completamente obbligando lo shah Yazdagerd a fuggire verso il Khurāsān dove fu assassinato nel 651. Dalla conquista dell’Egitto, l’espansione proseguì verso l’Africa del Nord dal 660 al 670 e un certo controllo fu imposto alle isole del mediterraneo orientale (Cipro, Rodi, Creta). Ma la prima grande spinta si era esaurita. L’impero

sasanide era crollato e le frontiere con Bisanzio sarebbero rimaste relativamente stabili per secoli8. ā

Primi esiti della conquista: i Musulmani e gli altriPrimi esiti della conquista: i Musulmani e gli altriPrimi esiti della conquista: i Musulmani e gli altriPrimi esiti della conquista: i Musulmani e gli altri

Alla base dell’attitudine verso i popoli conquistati c’è una visione del mondo in cui l’umanità s divide in credenti (ahl al-islām) e infedeli (ahl al-kufr), questi ultimi erano generalmente lasciati occuparsi dei loro affari e comportarsi secondo le loro leggi e credenze. L’unica richiesta importante che veniva loro fatta era di pagare una tassa speciale (jizya) sulla persona per dimostrare la loro doppia vergogna di essere stati conquistati e di aver rifiutato la vera religione e il suo profeta Muhammad. Questa attitudine al laisser-faire dei conquistatori musulmani fu notata da un abitante della Mesopotamia settentrionale (Giovanni Bar

Penkāye) che scriveva nel 690: “Le loro bande di ladroni andarono annualmente in posti diversi e isole, prendendo prigionieri da tutti i popoli sotto il cielo. Da ognuno richiedevano solo il tributo, permettendo loro di rimanere in qualunque fede volessero …. Non c’era alcuna distinzione fra pagano e cristiano, il fedele non era distinto da un ebreo”. Tanto più interessante se si confronta con le parole del primo califfo Abu Bakr: “Lasciate che paghino il tributo come determinato tra voi, e permettete che siano lasciati nella loro fede e

nella loro terra”, riportate in una cronaca siriana occidentale del VII secolo (nel Chronicon ad 1234, tradotta da A. Palmer nel1993). In cambio del pagamento delle loro tasse i non musulmani ricevevano una “garanzia di protezione” dhimma riguardo alle loro vite e proprietà e il diritto di praticare la loro fede senza impedimenti. Poiché alcuni versetti coranici (22, 17; 98,1) distinguono fra Ebrei e Cristiani come possessori di una scrittura riconosciuta (ahl al-kitāb) e invece i politeisti (ahl al-shirk) alcuni musulmani ipotizzarono che solo i primi

7 Sulle conquiste si veda Fred M. Donner, The Early Islamic Conquests, Princeton, 1981. 8 Sulla nascita dell’Islam la bibliografia è sterminata, mi limito a segnalare una sintesi recentissima e la bibliografia lì indicata: Chase F. Robinson, “The rise of Islam, 600-705”, in New Cambridge Encyclopedia of Islam, I vol., 2010, pp.173-225 e 722-734.

4

erano nelle condizioni di godere della protezione, mentre gli altri dovevano essere combattuti fino alla

conversione o alla morte. Va comunque ricordato il fatto che, per aver garantite protezione e tolleranza, le comunità di non-musulmani dovevano essere in possesso delle condizioni legali per esercitare autonomia, cioè per esempio dimostrare che una certa condotta era conforme ad una precisa norma scritturale. Se questo era semplice per un ebreo, lo era molto meno per un cristiano9.

Qualunque fosse il valore del bottino e delle terre conquistate, entrambi, conquistatori e conquistati, si impegnarono (si sforzarono/si sentirono in qualche modo obbligati) a dare un senso a quanto accaduto. Per i musulmani le conquiste dimostravano la partecipazione di Dio negli affari umani (in altre parole in alcune fonti: Dio aveva conquistato per mano dei musulmani); dunque i musulmani godevano del favore e della generosità di Dio. Cosa avrebbe potuto essere più convincente delle enormi ricchezze, delle splendide città,

dello straordinario bottino di cui i membri delle tribù arabe erano divenuti padroni per grazia di Dio? Ovviamente le cose erano molto diverse per i non musulmani: qui gli eventi delle conquiste erano assimilati a modelli pre-esistenti di storia monoteistica; le conquiste subite erano la prova della collera di Dio e gli invasori, che fossero identificati come Arabi, Saraceni o Agareni, erano monoteisti eretici. Sebbene la sintassi profonda della lettura storica – che cioè la storia è fatta in quanto Dio opera attraverso gli uomini - fosse condivisa dai monoteisti, musulmani o cristiani che fossero, per i non musulmani gli eventi trascorsi

erano segno di un Dio in collera piuttosto che benevolo. Gli stessi sentimenti sono condivisi alla fine del VII secolo a Gerusalemme come in Mesopotamia (cronaca di Giovanni Bar Penkaye) e in Armenia (Storia di Sebeos)10. I musulmani dovettero però fare i conti, dopo gli spettacolari successi, con le difficoltà del dopo-conquista, in primis la guerra civile del 650, la traumatica fitna, anche qui letta come prova dello sfavore di Dio. La divisione fra i successori di Muḥammad metteva in pericolo i successi che la sua visione unificante

aveva prodotto.

Interpretazioni accademiche della prima espansione deInterpretazioni accademiche della prima espansione deInterpretazioni accademiche della prima espansione deInterpretazioni accademiche della prima espansione dell’islamll’islamll’islamll’islam 11

Prima dei cosiddetti studi revisionisti degli anni ’60 e ’70 del ‘900, la storiografia tradizionale si basava su alcuni presupposti comunemente accettati:

- affidabilità delle fonti arabo-islamiche, - che l’islam predicato da Muaḥmmad fosse chiaramente definito fin dalle origini, particolarmente per

quanto riguardava i rapporti con i Cristiani e con gli Ebrei,

9 R. Hoyland (ed.), Muslims and others in early Islamic societies, Aldershot, 2004. Sui diversi aspetti dell’incontro fra il Cristianesimo orientale e il primo Islam la bibliografia è immensa, oltre che ai testi di Hoyland si rimanda al classico: A. Ducellier, Cristiani d’Oriente e Islam nel Medioevo, Torino, 2001; per le più recenti prospettive di ricerca si veda invece: E. Grypeou-M.Swanson-D.Thomas (eds.), The encounter of Eastern Christianity with early Islam, Leiden, 2006.

10 R. Hoyland, Seeing Islam as others saw it: a survey and evaluation of Christians, Jewish and Zoroastrian writings on early Islam, Princeton, 1997, p. 69 e segg. 11 Si vedano i due recenti studi/inquadramenti di Fred M. Donner, “Introduction”, in The Expansion, 2008, xiii-xlii e “Modern approaches to early Islamic history”, in New Cambridge History of Islam, 2010, vol. I, pp. 625-647 di cui mi sono avvalsa per questa sintesi.

5

- che l’islam fornisse la motivazione ideologica della conquista/espansione, particolarmente attraverso

la dottrina del gihād “guerra sulla via di Dio”, - che le ondate di espansione fossero state organizzate e dirette secondo un piano prestabilito dai

vertici dello stato islamico.

Gli interrogativi a cui sia le fonti che la storiografia hanno cercato di dare risposte sono in sintesi i seguenti:

1. Cosa provocò le conquiste?

Per le fonti islamiche, la volontà di Dio.

Nella storiografia occidentale fra XIX e XX secolo si fece strada l’ipotesi “nazionalista” di Hugo Winkler e Leone Caetani, seguiti da Thomas Arnold, per cui l’espansione fu una delle migrazioni semitiche dalla penisola, cominciate secoli prima. Dunque l’espansione sarebbe stata determinata da fattori economici

(Leone Caetani e Heinrich Becker). La lettura più articolata di G.-H. Bousquet (1956)12 evidenziò la debolezza della lettura nazionalistico-economica rivalutando il peso della motivazione ideologico-religiosa che non poteva essere sottovalutata in considerazione del fatto che un secolo dopo le conquiste una nuova civiltà si stava definendo intorno alla legge coranica e gli Arabi non erano stati assimilati dalle sofisticate civiltà con cui erano entrati in contatto e di cui certamente subirono l’influenza. Di qui la più recente interpretazione di Donner13: le conquiste sono il risultato del superiore livello di

integrazione sociale e politica introdotta nella società araba dalla nascita dell’islam, che portò alla cristallizzazione di uno stato embrionale e fornì le risorse umane per l’espansione.

2. Quali fattori contribuirono al successo?

Gli autori arabi medievali fanno discendere tutto dal sostegno divino.

Gli storici occidentali hanno individuato una serie di fattori mondani: la debolezza dei due imperi

bizantino e sasanide; l’entusiasmo dei guerrieri ispirati dalla nuova fede; la disaffezione della popolazione monofisita di Siria ed Egitto a causa della politica oppressiva di Bisanzio; il miglior sistema di comunicazioni interne14. Recentemente è stata posta nuova enfasi sull’importanza della religione nel creare quadri di guerrieri disciplinati, motivati e coesi 15.

3. Quali furono le principali conseguenze?

Il tema è stato poco trattato nella sua globalità ma è evidente che conseguenze importanti si verificarono su diversi piani:

- Cambiò totalmente il panorama politico del Vicino Oriente.

12 G.H. Bousquet, “Quelques remarques critiques et sociologiques sur la conquete arabe et les theories émises à ce sujiet », in : Studi Orientalistici in Onore di Giorgio Levi Della Vida, I, Roma, 1956, pp.52-60. 13 F. M. Donner, cit., 1981. 14 G. von Grunebaum, “The first Expansion of Islam: Factors of Thrust and Containment”, in Diogenes, 53 (1966), pp.64-72. 15 C. Décobert, Le mendiant et le combattant, Paris, 1991, pp. 57-66.

6

- Importanti migrazioni di Arabi seguirono le prime conquiste (non ne furono la causa) provocando

mutamenti demografici ancora poco studiati nelle specificità regionali. - Mutamenti economici furono indotti sia dalle variazioni nell’equilibrio fra nomadi e sedentari che

determinava l’agricoltura e il commercio, sia dalla ridistribuzione della ricchezza e dall’emergere di una nuova élite di proprietari terrieri16.

- L’impatto culturale fu significativo e in qualche modo fu la più importante e la più durevole

conseguenza dell’espansione. In quest’ambito rientra la diffusione dell’islam come fede fra nuovi gruppi di popolazione, processo che continuò per molti secoli ma che traeva le sue origini nelle conquiste e nello stabilirsi di un nuovo stato governato da una élite dalla forte identità. Un altro aspetto è il processo di arabizzazione, cioè la graduale diffusione dell’arabo come la principale lingua parlata a spese delle altre lingue del Vicino Oriente ( aramaico, copto, berbero, greco)17.

Ipotesi della storiografia revisionista:

Già alla fine del XIX secolo erano stati espressi dubbi sull’attendibilità delle fonti arabe medievali (I. Goldziher, J. Schacht, R. Brunschvig) e questa posizione fu ripresa nella seconda metà del XX secolo

da studiosi che sostenevano che i due imperi bizantino e sasanide collassarono per motivi interni, che i musulmani facilmente ne presero il posto e che la storiografia araba medievale costruì il mito delle “conquiste” con il sostegno divino (G. R. Hawting, J. Wansbrough, M. Sharon). Altri studi hanno evidenziato i limiti storiografici delle narrative delle conquiste ( A. Noth, L. Conrad). Patricia Crone e Michael Cook hanno dimostrato la necessità di rivedere seriamente le nozioni prevalenti su cosa fu

realmente l’espansione; la loro ipotesi è che essa fu un amalgama di fervore messianico di Ebrei esiliati da Edessa dai Bizantini e sentimenti innatisti latenti fra gli Arabi occidentali18. Più recentemente Donner, partendo dalla relativizzazione degli aspetti militari dell’espansione (enfatizzati dalla storiografia araba), ha ipotizzato che l’espansione possa essere stato un movimento assai meno violento e più una questione di aggiustamenti di quanto solitamente si pensa, e che fosse in origine una tendenza ad una riforma monoteistica che potesse essere ampiamente accettabile e che accettasse molti Cristiani ed

Ebrei19. Dagli ultimi studi emerge la tendenza a superare il concetto di inattendibilità delle fonti arabe, mirando invece a giungere ad una migliore comprensione della complessità storiografica delle fonti

16 Si veda a proposito delle trasformazioni economiche e della loro cronologia lo studio di M. G. Morony, “Economic Boundaries? Late Antiquity and early Islam”, in Journal of Economic and Social History of the Orient, 47, 2004, pp. 166-194: “…uniform models…in this case allow one to speak of a retracting Late Antique economy that was chronologically overlapped by an expanding Sasanian/proto-Islamic economy in the sixth and early seventh centuries”, p. 189. G.R.D. King – Averil Cameron, Land use and settlement patterns, (The Byzantine and early Islamic Near East, Studies in late Antiquity and early Islamic Near East), Princeton, 1994 e 2003; J. Aldon - L. J. Conrad, Elites old and new in the Byzantine and early Islamic Near East, (The Byzantine and early Islamic Near East, Studies in late Antiquity and early Islamic Near East), Princeton, 2004. 17 A. Cameron – L.J. Conrad, Problems in literary source material, (The Byzantine and early Islamic Near East, Studies in late Antiquity and early Islamic Near East), Princeton, 1992. 18 P. Crone – M. Cook, Hagarism: the making of the Islamic world, Cambridge, 1977. 19 F. M. Donner, “Islamic conquests”, in: Y. Choueiri (ed.), Companion to the History of the Middle East, Oxford, 2005, pp. 28-51.

7

islamiche e ad esplorare la testimonianza delle fonti non-islamiche, spesso non-arabe, in quanto

possono offrire ulteriori informazioni e, soprattutto, altre prospettive. Parallelamente sembra ormai superata l’ipotesi di una conquista progettata e messa in atto in modo centralizzato20.

SiriaSiriaSiriaSiria

Focalizzando il nostro discorso sulla Siria si è scelto di privilegiare una lettura in chiave socio-economica territoriale: quale fu l’impatto che concretamente l’espansione arabo-islamica ebbe sulla popolazione e sul territorio? Quali le conseguenze evidenziabili nel corso del primo secolo dalla conquista, gli elementi di continuità/discontinuità?

Gli Arabi chiamarono la metà occidentale del Crescente Fertile Bilād al-Shām “la terra a sinistra” , cioè a nord per chi, dalla penisola araba, si rivolge verso il sole nascente. La situazione demografica della Siria nel VII secolo, al momento della conquista araba può essere così sintetizzata: le città della costa e dell’interno erano abitate da una élite grecofona di proprietari terrieri, ufficiali dell’impero e alti prelati, mentre la

maggioranza della popolazione (almeno nelle città dell’interno e nei villaggi) parlava aramaico nelle diverse varianti dialettali. Ugualmente parlavano aramaico, nella sua forma siriaca, gli abitanti della Jazira. La steppa e il deserto erano dominati da tribù parlanti arabo. Ovviamente i confini tra gruppi linguistici erano tutt’altro che rigidi21.

Nell’immediato le conquiste arabe non portarono grandi cambiamenti in Siria come in Mesopotamia22. Le distruzioni furono molto limitate: ad eccezione di Cesarea, che fu saccheggiata nel 638/640, le altre città si arresero accettando i termini della resa e non subirono danni. Le fonti sia cristiane che musulmane danno ampia testimonianza del fatto che le campagne subirono scorrerie, i villaggi furono saccheggiati, gli abitanti presi prigionieri; ma in breve le piantagioni furono ricostituite, i prigionieri riscattati o scambiati23. Certo i

monasteri e i vescovi persero molti dei loro tesori, ma in termini complessivi tutto il processo si tradusse nel passaggio delle ricchezze da un proprietario ad un altro. I beni portati a Mecca e a Medina erano oggetti di lusso o di uso cerimoniale e quindi non influenti sull’economia della regione. Alcune battaglie (soprattutto Yarmuk 636) pare che siano state molto sanguinose, ma, essendo l’esercito bizantino composto prevalentemente di Armeni, Anatolici e Arabi cristiani, i loro esiti non ebbero un impatto pesante sulla popolazione indigena sedentaria. Nonostante i grandi proprietari terrieri e le alte gerarchie ecclesiastiche

20 Id., “Centralized Authority and Military Autonomy in the Early Islamic Conquests”, in: Averil Cameron (ed.), The Byzantine and Early Islamic Near East, III: States, Resources and Armies, Princeton, 1995, pp. 337-360; Chase F. Robinson, “The conquest of Khuzistan: a Historiographical Reassessment”, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, 2004, pp. 14-39. 21 Si veda per un inquadramento generale: Canivet-Rey Coquais (eds.), La Syrie de Byzance à l’Islam, Institut Français de Damas, Damas, 1992. 22 Come i risultati delle indagini archeologiche hanno dimostrato: C. Foss, “Syria in transition, AD 550-750: An archaeological approach” , in Dumbarton Oaks Papers, 51, 1997; A. Walmsley, Early Islamic Syria: an archaeological assessment, Duckworth, 2007. 23 H. Kennedy, “ The impact of Muslim role on the pattern of rural settlement in Syria”, in: La Syrie de Byzance à l’Islam, VIIè-VIIIè siècle, Damas: Institut Francais de Damas, 1992, pp.291-298; G.R.D. King and Averil Cameron (eds.),The Byzantine and early Islamic Near East, vol. II: Land use and settlement patterns, Princeton, 1994.

8

della chiesa imperiale abbandonassero il paese al seguito dell’esercito che tornava in Anatolia, lasciando

comunque parte delle loro ricchezze24; alcuni studi hanno dato conto del fatto che la maggioranza della popolazione rimase dov’era garantendo continuità amministrativa sia negli affari fiscali che ecclesiastici25. Va sottolineato, inoltre, il fatto che la conquista non si tradusse in una massiccia immigrazione e stanziamento di arabi ma semplicemente le tribù beduine da lungo tempo presenti continuarono a dominare la steppa siro-giordana. Gli eserciti arabi provenienti dalla Penisola, come è ormai noto, non erano numerosissimi e la

maggior parte di quelli che rimasero in Siria, in particolare i comandanti per lo più appartenenti alla tribù del Profeta, i Quraysh, si stabilirono nelle città, preferibilmente Damasco e Homs.

Il primo gradino verso l’appropriazione dei beni dei territori conquistati e la costituzione di un rudimentale sistema amministrativo fu l’istituzione da parte del secondo califfo ‘Umar b. al-Khattāb di un ufficio (diwān)

per misurare e distribuire il bottino della conquista fra i membri delle tribù. Il principio adottato per la distribuzione fu, in base alle notizie fornite dalle fonti, quello della sābiqa “precedenza” secondo il quale quanto prima ci si era impegnati nelle conquiste, tanto più alto sarebbe stato lo stipendio annuale ( ‘ata’). La ricchezza di molte famiglie del primo islam ebbe dunque origine dal bottino e dai guadagni del periodo delle conquiste. Ovviamente, la maggior parte della ricchezza disponibile per i vincitori era fatta di beni immobili, soprattutto in forma di terra. Molta di quella più produttiva era proprietà della corona e questa, aggiunta alla

terra appartenente alle élites locali, compresi vescovi e monaci, divenne disponibile per i conquistatori per abbandono o per confisca. Sarebbe stato ‘Umar ad assegnare i quattro quinti ai soldati e a tenere un quinto per sé, come quota spettante al califfo che doveva essere usata a beneficio della comunità. Per quanto riguarda il lavoro, la politica di ‘Umar fu conservativa, nel senso che i contadini furono lasciati lavorare la terra, essendo questo parte di un più generale stile di governo improntato al laisser faire in cui i non

musulmani – che nei primi decenni del governo islamico erano generalmente assimilati ai non-arabi - godettero di una vasta autonomia26. Le terre abbandonate furono annesse e le terre possedute da coloro che avevano opposto ( o si diceva avessero opposto) resistenza alle conquiste furono confiscate. E’ possibile che la redistribuzione ai membri delle tribù conquistatrici fosse lasciata alla discrezione di autorità locali. In alcuni casi, quali le regioni con terre irrigue, valeva il principio della precedenza, per cui le terre migliori andavano ai primi conquistatori che vi si stabilivano. In sostanza, sembra che la conquista araba sia

stata traumatica nell’immediato, ma che i suoi effetti siano stati rapidamente riassorbiti27.

24 Come sembra suggerire il ritrovamento di tesori di monete risalenti al VII secolo recentemente studiati da S. Heidemann, “Settlement Patterns, Economic Development and Archaeological Coin Finds, in Bilad al-Sham: the Case of the Diyar Mudar”, in: Residences, Castles, Settlements.Transformation Processes from Late Antiquity to Early Islam in Bilad al-Sham, Karin Bartl and Abd al-Razzaq Moaz (Eds.), Orient-Archaologie Band 24 (Proceedings of the International Conference held at Damascus, 5-9 November 2006), pp. 493-517; id., “Numismatics”, in New Cambridge Encyclopedia of Islam , vol. I, Cambridge, 2010, pp. 648-663. 25 F. M. Donner, cit., 1981, pp. 91-155, 245-250; W. Kaegi, Byzantium and the early Islamic conquests, Cambridge, 1992. 26 A. Noth, “Problems of differentiation between Muslims and Non-Muslims: Re-reading the Ordinances of ‘Umar”, in R. Hoyland (ed.), Muslims and Others in early Islamic Societies, Aldershot, 2004, pp. 103-124. 27 Chase F. Robinson, “The rise of Islam”, in The New Cambridge History of Islam, vol. I, Cambridge, 2010, pp.198-201.

9

Il destino del territorio antiocheno all’interno del primo stato islamico fu, secondo la comune valutazione degli

studiosi, per molti versi determinato dalla personalità del suo primo governatore e poi califfo Mu‘awiya ibn Abi Sufyān. Membro dell’importante clan omayyade, della stessa tribù del Profeta ma prevalentemente ostile al riconoscimento del suo profetismo, egli stesso si era convertito tardivamente. I quasi sedici anni di governatorato gli consentirono di costituirsi una straordinaria base di potere fra le tribù arabe e i notabili musulmani della Siria, oltre che di sviluppare le sue competenze nel governo. E’ stato ricordato che,

diversamente dalla situazione in Egitto e in Iran, Mu‘awiya non aveva a che fare con tribù di disparati lignaggi e recentemente stanziate, bensì con numerose tribù che continuavano a vivere nei loro territori e quindi raramente entravano in conflitto fra loro. Erano queste tribù a fornire il capitale umano del suo esercito, poiché vivevano nella steppa o nel deserto richiedevano poco controllo amministrativo e potevano essere reclutate e pagate secondo le necessità con la modalità dei sussidi collettivi versati ai capi tribali. Questi fattori e il suo acume politico fecero della Siria e della Mesopotamia le province più stabili del giovane

impero28.

Mu‘awiya proseguì la guerra contro Bisanzio secondo una strategia che sarebbe stata adottata senza significative variazioni per quasi due secoli dallo stato islamico: quasi ogni estate, a volte anche d’inverno, si organizzavano spedizioni verso l’Anatolia centrale e l’Armenia che, pur non essendo finalizzate ad una

stabile conquista, rappresentavano una strategia di logoramento, di sfiancamento delle risorse militari bizantine in attesa di sferrare il decisivo attacco contro Costantinopoli. Le fonti arabe, specialmente al-Baladhuri e Tabari, e bizantine (Teofane) ne forniscono dettagliate descrizioni studiate già da Wellhausen e più recentemente da Humphreys e da Hoyland 29.

Questa politica aggressiva verso Bisanzio non trova riscontro nell’atteggiamento di Mu‘awiya nei confronti delle popolazioni cristiane di Siria e Mesopotamia che del resto costituivano la maggioranza dei suoi sudditi. Sebbene non sia possibile fare una attendibile/documentata comparazione con la fiscalità precedente, e la situazione fosse ovviamente diversa da regione a regione, le più antiche fonti siriane lasciano intendere che le tasse fossero moderate e relativamente stabili30. L’evidenza archeologica suggerisce che le chiese e i

monasteri non furono danneggiati e furono poi mantenuti in buono stato; sembra, secondo una fonte cristiana, che la chiesa di Edessa, danneggiata dal terremoto del 679, fosse stata restaurata dallo stesso Mu’awiya. In generale, il culto fu lasciato indisturbato, le chiese rimasero nelle mani delle diverse confessioni. Le chiese monofisita e nestoriana trassero indubbi vantaggi dal cambio di regime, furono libere di nominare i loro vescovi e di insegnare le loro dottrine. La politica di imparzialità decisamente intrapresa da

Mu’awiya evitò rivalità e disordini, al punto che si ha notizia di occasioni in cui dei soldati musulmani furono

28 Su Mu‘awiya e il suo tempo si veda: R.S. Humphreys, Mu‘awiya ibn Abi Sufyan: From Arabia to empire, Oxford, 2006, pp. 43-53; dello stesso autore si segnala: “Syria”, in The New Cambridge History of Islam, vol. I, Cambridge, 2010, pp. 506-540 a cui si è fatto spesso riferimento. 29 R. Hoyland, The seventh century in the West-Syrian chronicles, Liverpool, 1993; Humphreys, cit., 2006, pp.53-58. 30 Si vedano particolarmente gli studi di R. Hoyland, Seventh century, pp. 186-195; e sui dati archeologici: R. Schick, The Christian communities of Palestine from Byzantium to Islamic rule: A historical and archaeological study, Princeton, 1995; A. Walmsley, Early Islamic Syria, 2007.

10

schierati per garantire lo svolgimento delle funzioni. Al momento il clero siriano, da parte sua, non si

preoccupava molto dell’eresia saracena.

In ogni caso e nonostante la moderazione di Mu’awiya, il contesto in cui le chiese si trovavano era totalmente cambiato e le conseguenze si sarebbero fatte sentire nel tempo. In prima istanza, sul piano economico, chiese e monasteri non godevano più del sostegno pubblico o delle donazioni imperiali e quindi

dovevano vivere di lasciti e donazioni private; questo ebbe esiti pesanti soprattutto per la chiesa calcedoniana. Ovviamente i diminuiti introiti rendevano precaria la situazione delle chiese e in seguito le loro condizioni sarebbero peggiorate fino all’inedia a causa delle conversioni. L’autorità amministrativa e giudiziaria dei vescovi era ridotta e sicuramente il contenzioso fra Cristiani e Musulmani era sottoposto a funzionari musulmani. E’ stato osservato che in un certo senso i Cristiani si trovarono a vivere come

nell’impero romano prima di Costantino, stranieri sotto un regime estraneo31.

La crisi in atto fra il 650 e il 660, con la sanguinosa guerra civile, combattuta in Siria e Iraq, tra diversi rami della tribù del Profeta e forse già tra diverse concezioni dello stato islamico, sfociò nell’accesso al califfato di Mu’awiya. Nel 660 i suoi fedeli gli tributarono il giuramento di obbedienza a Gerusalemme dove egli visitò il

Santo Sepolcro e la tomba della vergine Maria. Il senso di questo atto è oggetto di molte congetture ma senza dubbio si trattò di un modo di rassicurare i sudditi cristiani: il nuovo sovrano non sarebbe stato solo il capo della comunità musulmana, ma anche il loro imperatore e protettore32. La sua decisione di rimanere in Siria e di fare di Damasco il suo centro amministrativo, esautorando quindi le città sante di Mecca e Medina della loro centralità (del ruolo di capitale), segnò una grande svolta nella storia politica dello stato islamico.

Alla base di questa scelta ci furono in parte motivi pragmatici: il suo potere si basava sulle tribù arabe di Siria e difficilmente Mu‘awiya avrebbe potuto ricostituire altrove una base così affidabile. Ma è plausibile che considerazioni di più ampio respiro gli dettassero la scelta di stabilire in Siria il centro del nuovo stato islamico che si estendeva ormai dal Nilo all’Oxus: certamente motivazioni strategiche legate alla posizione geografica della regione, al suo carattere di crocevia di antiche vie di comunicazione e di commercio, alla sua urbanizzazione, alle risorse agrarie e, non ultimo, alla presenza di amministratori esperti. Altre regioni

erano più prospere ma una amministrazione centralizzata e attenta avrebbe garantito gli introiti da quelle regioni. In realtà sembra che, essendo l’amministrazione ancora rudimentale, di fatto riusciva solo a garantire il controllo dei potenti amministratori provinciali di Egitto, Iraq e Hijaz. Mu’awiya poteva dunque contare solo sul surplus degli introiti di Iraq ed Egitto e di fatto gestiva la Siria sulla base dei suoi propri introiti. La Siria era in un certo senso un suo dominio personale, tuttavia fu divisa in sotto-province ( i famosi

ajnād , letteralmente “comandi militari” di Filastin, al-Urdunn, Dimash e Hims a cui in seguito fu aggiunto Antiochia/Qinnasrin) e queste in sotto-distretti. L’ipotesi formulata da Irfan Shahid di una diretta continuità degli ajnād con il sistema dei themata inaugurato in Siria da Eraclio negli anni fra la sua riconquista della

31 Sulla ricaduta che, su diversi piani, la conquista e il primo dominio islamico ebbero sulle comunità cristiane orientali si rimanda ad alcune raccolte di studi: E. Grypeou e M. Swanson (eds.), The encounter of eastern Christianity with early Islam, Leiden-Boston, 2066; D. Christian (ed.), Christians at the earth of Islamic rule, Leiden, 2003; R. Bulliet – M. G. Morony (eds), Conversion and continuity. Indigenous Christians Communities in Islamic Lands, VIII-XVIII c., (Papers in Medieval Studies) Toronto, 1990; oltre al già citato R. Hoyland, Muslims, 2004. 32 J. Wellhausen, The Arab Kingdom and its fall, Trans. M. G. Weir, Calcutta 1927, pp. 101-102.

11

regione dai Persiani e l’arrivo degli Arabi, è stata superata da uno studio di John Haldon33. Al tempo di

Mu’awiya una qualche forma di apparato fiscale centralizzato era certamente in atto, ma l’unica evidenza diretta del suo regno, il famoso papiro di Nessana, città del Negev, ci rimanda l’immagine di un sistema altamente localizzato di fissazione e raccolta delle tasse: prelievo bi-mensile affidato dal governatore del sub-distretto a funzionari locali, con l’ordine di fornire specifiche provvigioni all’esercito sotto il suo comando. Questo documento, studiato recentemente da Robert Hoyland, risulta essere la prima evidenza

documentaria del concetto di dhimmat Allah e prova che esso era già allora uno strumento concreto per gestire i nuovi sudditi dell’impero34.

Il sistema monetario continuò, anche nella quotidianità, a fare riferimento a quello bizantino. Una fonte cristiana ci da la curiosa notizia che Mu’awiya avrebbe tentato di introdurre una sua propria moneta ma

questa era stata rifiutata dalla popolazione perché mancava della croce35.

Senz’altro ebbe successo, su un altro fronte, lo sforzo di Mu’awiya di ripopolare le città costiere sia attraverso incentivi (diritti ereditari sulla terra) che attraverso forzosi trasferimenti di popolazioni che videro Persiani, Malesi e Indo-Pakistani spostarsi dall’Iraq nelle citta di Antiochia, Tiro e Acri. Molteplici, e non

ancora del tutto chiarite, possono essere state le cause di una simile decisione: forse la popolazione siriana non poteva fornire tali coloni perché si era ridotta o forse perché quelle aree erano considerate molto insicure. O forse Mu’awiya non si fidava dei Cristiani che avrebbero potuto collaborare con i Bizantini in caso di attacchi dal mare. In ogni caso la sua politica di ripopolamento rappresentò l’inizio di uno sforzo per sviluppare l’economia della regione.

Un regno così significativo non ha tuttavia lasciato tracce nell’architettura delle città. Nonostante la sua ambizione, Mu’awiya non fu un grande costruttore di monumenti: è noto il racconto, che molte cronache arabe riportano, delle considerazioni derisorie che il suo palazzo a Damasco suscitò negli ambasciatori bizantini. Il lascito di Mu’awiya alla Siria sta certamente altrove: nella sicurezza e nell’ordine pubblico come

gli viene esplicitamente riconosciuto dal contemporaneo monaco nestoriano di Sinjar, Giovanni Bār Penkāye: “La giustizia fioriva ai suoi tempi e c’era una grande pace nelle regioni sotto il suo controllo … Una volta salito al trono, la pace in terra era tale come non avevamo mai sentito né dai nostri padri né dai nostri nonni e non avevamo visto nulla di simile”36.

Le aspre rivalità fra i due gruppi tribali dominanti nella regione (Kalb e Qays), rivalità che rispecchiavano una crisi politica profonda legata alla ripresa della aspirazioni al califfato dal parte dell’élite meccana,

33 I. Shahid, “Heraclius and the Unfinished Themes of Oriens: Some Final Observations”, in Byzantion, 64 (1994), pp. 352-376; J. Haldon, “Seventh-Centuries Continuities: the Ajnad and the “Thematic Myth”, in Averil Cameron (ed.), The Byzantine and Early Islamic Near East, III: States, Resources and Armies, Princeton, 1995, pp 379-423. 34 R. Hoyland, “Papyrus Nessana 77 and the Concept of dhimmat Allah”, relazione presentata alla International Conference The Umayyads. History, Art and Culture in the First Century of Islam, 24th-25th june 2011, University of Edinburgh. 35 C. Foss, “A Syrian coinage of Mu‘awiya”, in Revue Numismatique, 158, 2002, pp.353-367. 36 S. P. Brock, “ North Mesopotamia in the late seventh century: Book XV of John Bar Penkaye’s”, in Jerusalem Studies in Arabic and Islam, 9 (1987), pp. 51-75.

12

provocarono una crisi nella dinastia omayyade da cui emerse il ramo marwanide (685). Si ha l’impressione di

un cambiamento sostanziale nell’ esercizio di un potere che era ormai impossibile gestire, come ai tempi di Mu’awiya, secondo le modalità della conciliazione, del patronato e della lealtà personale. L’aumento del controllo fiscale e finanziario, il rafforzamento dello stato arabo, l’arabizzazione del territorio attraverso la costruzione di monumenti come rappresentazione tangibile del potere della dinastia e dell’islam sono la cifra del secondo periodo omayyade. Essendo i contribuenti del primo stato islamico per definizione i non-

musulmani, in Siria e Mesopotamia, furono i Cristiani ad essere gravemente penalizzati. A questo si aggiunse un generale cambiamento di tono, espresso anche in modo simbolico attraverso il divieto di esporre le croci e di allevare maiali, o attraverso l’obbligo di portare al collo un sigillo di piombo37. La riforma monetaria, che sostituì la croce con la shahāda, la graduale imposizione dell’arabo come lingua unica della pubblica amministrazione tendevano a marginalizzare dalla vita pubblica le parole e i simboli dell’identità cristiana. Non sono chiare le circostanze che diedero luogo a questi decreti, forse il califfo ‘Abd al-Malik

stava cercando di guadagnarsi il favore dei musulmani più rigorosi, né sappiamo in che misura fossero realmente applicati38.

Coerente con queste scelte politiche, volte ad accentuare il carattere islamico dello stato, fu la spettacolare costruzione della Cupola della Roccia a Gerusalemme, a cui sono stati dedicati importantissimi studi39. Per

quello che qui ci concerne, va notato che mentre Mu’awiya, che pure aveva riconosciuto la speciale santità di Gerusalemme, aveva visitato due santuari cristiani legati al culto di Maria e della crocifissione e resurrezione, ‘Abd al-Malik nelle iscrizioni all’interno della Cupola della Roccia denunciò esplicitamente la dottrina della Trinità e proclamò che l’islam aveva soppiantato le religioni precedenti. Al di là di ogni implicazione ideologica, è stato notato che la costruzione di questo straordinario monumento segnò l’inizio

della islamizzazione del paesaggio siriano. La consapevolezza di questa svolta è espressa con straordinaria chiarezza in un brano del geografo e viaggiatore palestinese della metà del X secolo al-Muqaddasi: avendo chiesto a suo zio perché al-Walid avesse speso così tanto denaro nella Moschea di Damasco, quello rispose: “Al-Walid aveva ragione e fu ispirato ad una degna opera. Si rese conto che la Siria era un paese a lungo occupato dai Cristiani, e notò le belle chiese che ancora appartenevano loro, così incantevoli e così rinomate per il loro splendore, come la chiesa del Santo Sepolcro e le chiese di Lydda e di Edessa. Così

cercò di costruire per i Musulmani una moschea che fosse senza eguali e una meraviglia per il mondo. Ugualmente, non è forse evidente che ‘Abd al-Malik, vedendo la grandezza e la magnificenza del martyrium (qubbat ) del santo Sepolcro, si preoccupò che potesse abbagliare i pensieri dei Musulmani ed eresse allora sulla Roccia la Cupola che ora lì si vede?”40. Anche al-Walid volle rappresentare la presenza dell’islam a Gerusalemme con la costruzione della Moschea al-Aqsa, sulla spianata del Tempio, e diede inizio ad un

37 Chase F. Robinson, “Neck-sealing in early Islam”, in Journal of Economic and Social History of the Orient, 48 (2005), pp.166-194. 38 Su ‘Abd al-Malik si veda la recente monografia di Chase F. Robinson, ‘Abd al-Malik, Oxford, 2005. 39 Qui ci limitiamo a segnalare: O. Grabar, The shape of the holy: Early Islamic Jerusalem, Princeton 1996; id., The Dome of the Rock, Harvard, 2006; J. Johns – J. Raby (eds.), Bayt al-Maqdis: ‘Abd al-Malik’s Jerusalem, Oxford Studies in Islamic Art 9, part 1, Oxford, 1992; J. Johns (ed.), Bayt al-Maqdis: Jerusalem and early Islam, Oxford Studies in Islamic Art 9, part 2, Oxford 1999. 40 O. Grabar, Arte islamica. La formazione di una civiltà, Milano, 1989, pp. 67-84 (citazione a p. 82).

13

programma di grandi moschee nel territorio del califfato così che il volto delle città siriane cambiò

definitivamente anche se, ancora alla metà dell’VIII secolo, si deve pensare che i monumenti cristiani fossero predominanti. Sul tema della trasformazione del territorio torneremo più avanti. Comunque, ciò che al-Muqaddasi scrive nel X di Gerusalemme è certamente interessante: “ I dotti musulmani sono rari; i Cristiani vi sono numerosi e si comportano in maniera grossolana nei luoghi pubblici … I giureconsulti sono isolati, i letterati sono trascurati, le scuole sono trascurate e non vi è istruzione. Dovunque cristiani ed ebrei

dominano. Non vi è riunione né assemblea alla moschea”41.

La politica di islamizzazione inaugurata da ‘Abd al-Malik e da al-Walid, almeno nelle sue prime fasi, non sembra essere stata mirata ad incoraggiare le conversioni e lo stato omayyade continuò ad essere caratterizzato da una netta distinzione tra una classe dominante musulmana e i sudditi non-musulmani

soggetti ai tributi. E’ stato da più parti evidenziato il fatto che, di fronte ad una popolazione in maggioranza non-musulmana, i conquistatori istituirono misure per erigere linee di demarcazione fra loro stessi e i popoli conquistati in modo da prevenire ogni assimilazione, come era avvenuto ai conquistatori germanici di Roma o ai tanti conquistatori centro-asiatici della Cina. Comunque, un flusso di conversioni cominciò a registrarsi in Iraq e presumibilmente, nonostante la scarsità di dati allo stato attuale della ricerca, anche in Siria42. La marginalizzazione della pratica del cristianesimo fu perseguita dalle iniziative messe in atto da ‘Umar ibn

‘Abd al-Aziz nel suo pur breve califfato (717-720): i convertiti furono esentati dal pagamento della capitazione. Le fonti musulmane mettono l’accento sulla sua equanimità verso i mawali, i neo-convertiti non arabi; mentre Michele Siro, senza arrivare agli eccessi di Teofane, fa notare che era ostile ai Cristiani e faceva pressioni su di loro affinché si convertissero43.

La tendenza a relegare i Cristiani fuori dalla sfera pubblica fu confermata dal decreto iconoclasta di Yazid II (720-24),) a cui fece seguito quello emesso da Leone III (726). Peter Brown ha sostenuto che, con ogni probabilità, la crisi fu scatenata in parte anche dai recenti successi militari dell’islam44. Patricia Crone ha invece ipotizzato un possibile intermediario giudeo-cristiano in considerazione del fatto che i musulmani non mostravano assolutamente interesse per la questione delle immagini45. Altri studi si sono concentrati sulla

polemica islamo-cristiana riguardo alle croci e alle immagini46, nonché sull’attitudine islamica verso le

41 Al-Muqaddasi, Ahsan al-taqasim, ed. De Goje, 1877, p. 167. 42 M.J. Kister, “Do not Assimilate Yourselves…”, in Jerusalem Studies in Arabic and Islam , 12 (1989), pp. 321-353; S.D. Goitein, “Minority Selfrule and Government Control in Islam”, in Studia Islamica, 31 (1970), pp. 101-116; D. Pipes, “Mawlas: Freed Slaves and Converts in Early Islam”, in Slavery and Abolition, I (1980), pp.132-177 . Tutti sono anche in: R. Hoyland, cit., 2004. 43 R. Hoyland, cit., 1997. 44 P. Brown, “A Dark Age Crisis: Aspects of the Iconoclastic Controversy”, in English Historical Review, 88 (1973), pp.1-34. 45 P. Crone, “Islam, Judeo-Christianity and Byzantine Iconoclasm”, in Jerusalem Studies in Arabic and Islam, 2 (1980), pp. 59-95. 46 G.D.R. King, “Islam, Iconoclasm and the Declaration of Doctrine”, inBulletin of the School of Oriental and African Studies, 68 (1985), pp. 267-277; S. Griffith, “Images, Islam and Christians Icons”, in Canivet-Rey Coquais (eds.), La Syrie…, 1992, pp.121-138.

14

immagini come risulta dal Corano, dalle Tradizioni e dagli studi giuridici47. Le ricadute in Siria furono pesanti

sia per le aspre controversie a cui diede luogo (si pensi alla famosa difesa delle immagini di San Giovanni Damasceno) sia per la distruzione dei mosaici delle chiese in Giordania, a volte restaurati con l’esecuzione di motivi vegetali o geometrici. Ci si può chiedere se la controversia iconoclasta abbia demoralizzato i Cristiani di Siria e Iraq incoraggiando le conversioni all’Islam; in ogni caso dalla seconda metà dell’VIII secolo si osserva che il discorso cristiano adottò un registro apologetico, di difesa delle verità cristiane in

risposta alle critiche mosse dai Musulmani, e che tali apologie erano composte in arabo, lingua del Corano, dunque fortemente connotata in senso islamico. Altro fatto da ricordare è che nessun vescovo siriano partecipò al Concilio di Nicea (787), in cui fu ristabilito il culto delle immagini. Sembra che le Chiese siriane restassero fuori dalle dispute che impegnavano la cristianità romana e quella bizantina e che fossero più che altro impegnate a spiegare e difendere la loro fede e le loro pratiche in un mondo i cui parametri culturali erano sempre più fissati dall’Islam 48.

Il lungo califfato di Hishām (724-43), che pure sembra essere stato personalmente più benevolo verso la popolazione cristiana, non segna sostanziali innovazioni e molte energie furono impegnate per mantenere un equilibrio fra le grandi fazioni tribali, incrementare il gettito fiscale e riprendere il progetto espansionistico (i risultati furono deludenti). La cifra del regno di Hishām in Siria va cercata, però, nella sua politica di

sostegno, e di controllo, della dottrina e del sapere islamico; e nel suo straordinario programma di costruzioni, rivolto particolarmente alle steppe dell’interno. Il primo aspetto deve probabilmente inquadrarsi nella necessità di affermare l’autorevolezza califfale anche in campo dottrinale di fronte allo sviluppo di influenti circoli religiosi in città importanti come Basra e Kufa, oltre che a Mecca e Medina, sin dalla fine del VII secolo. Che la Siria sia stata un centro secondario della cultura islamica, è quanto sostengono le fonti

prevalentemente iraqene e medinesi e di epoca ‘abbaside, mentre le grandi compilazioni biografiche siriane successive registrano centinaia di dotti che operavano in Siria nel periodo omayyade; oltre i tre/quarti di coloro la cui occupazione è menzionata avevano incarichi politici, amministrativi o militari ma questo non stupisce se si considera il fatto che una vera classe di dotti e studiosi stava soltanto allora emergendo come gruppo identificabile49.

Il programma di costruzioni di Hishām rivela un diverso aspetto del suo governo. Il fatto che Damasco fosse la capitale del regno, non significa che i califfi vi risiedessero stabilmente: Yazid I e ‘Umar ibn ‘Abd al-Aziz avevano scelto Qinnasrìn, vicino alla frontiera bizantina; Hishām aveva la sua residenza ad al-Rusāfa, a sud dell’Eufrate, vicino al santuario dedicato a San Sergio (Sergiopolis), probabilmente scelte entrambe per

ragioni strategiche. Hishām amplificando una prassi di alcuni suoi predecessori, investì enormi somme di denaro nella costruzione nella campagna di una serie di strutture estremamente diverse fra loro (per tipologia, dimensioni e funzione) note come “castelli del deserto” che hanno suscitato una straordinaria mole

47 R. Paret, Schriften zum Islam, ed. J. Van Ess, Stuttgart, 1981. 48 S. Humphreys, cit., 2010, pp. 522-23; D. Thomas (ed.), Syrian Christians under Islam. The first 1000 years, Leiden, 2003; J. J. van Ginkel, H. L. Murrie-van den Berg, T. M. Van Lint (eds.), Redefining Christian identity: Cultural interaction in the Middle east since the rise of Islam, Leuven, 2005 (Orientalia Lovaniensia Analecta, 134). 49 K.Y. Blankiship, The end of the jihad state: The reign of Hishām ibn ‘Abd al-Malik and the collapse of the Umayyads, Albany, 1994.

15

di studi e di ipotesi, a partire dalle prime indagini archeologiche degli inizi del ‘900 (A. Musil su Qusayr

‘Amra, E. Herzfeld su Mshatta). Solo alcuni (Anjar, nella valle della Biqa’ meridionale, e Khirbat al-Mafjar vicino a Gerico) si trovano in aree fertili, la maggioranza essendo ubicata ai limiti, o all’interno, della steppa. Questo diede adito ad ipotesi fantasiose sulla supposta “nostalgia” del deserto che gli Omayyadi avrebbero coltivato. Più realisticamente si pensa, a partire dall’ipotesi espressa da J. Sauvaget50, che questi “castelli” rappresentino dei vasti progetti di sviluppo economico. Non mancano altre opinioni sulle funzioni di questi

edifici difficili da decifrare vista la mancanza di iscrizioni e le scarse notizie nelle fonti scritte. Probabilmente, considerate le differenze tipologiche, sembra più sostenibile l’ipotesi che rispondessero a esigenze e finalità diverse quali: stazioni di sosta nel deserto per soldati e ufficiali quando si muovevano da una postazione ad un’altra (come Qasr al-Kharāna); luoghi di raduno per i governatori provinciali o anche il califfo quando voleva rinsaldare i legami con i capi tribali, o negoziare servizi, oppure elargire compensi (questo sarebbe il caso di Qasr al-Hallabāt); ma anche luoghi di riposo e di svago per il califfo e il suo entourage, lontani dai

pericoli cittadini, dove dedicarsi a piaceri quali la caccia, la musica, il vino e la compagnia di schiave-cantanti ( e questo è sen’altro il caso di Qusayr ‘Amra con i suoi notissimi affreschi con figure umane51). Altre e più complesse strutture suggeriscono importanti investimenti volti a realizzare irrigazione, agricoltura, orticultura e forse un insediamento stabile: il caso più evidente è quello di Qasr al-Khayr al-Sharqi nel deserto a nord-est di Palmira, molto studiato a partire da Oleg Grabar fino alle più recenti ipotesi di D. Gènequand52. Sia

che si tratti di investimenti economici, sia che fossero rappresentazioni del controllo del governo sulle tribù nomadi, sui cosiddetti “castelli del deserto” il dibattito è ancora aperto. Oltre a quella delle funzioni, una delle questioni ancora dibattute riguarda i modelli: un caso interessante è quello di Qasr al-Khayr al-Gharbi. In un recente convegno Robert Hillenbrand ha evidenziato come esso esemplifichi compiutamente l’evoluzione dell’arte omayyade: dalla primitiva dipendenza da Bisanzio alla crescente infiltrazione di idee, motivi, tecniche e materiali provenienti dall’Iran53. Comunque, i “castelli del deserto” sono la dimostrazione del fatto

che gli Omayyadi attribuivano importanza vitale per il loro dominio alle aree centrali della Siria e ai legami con le tribù nomadi.

50 J. Sauvaget, “Chateaux umayyades de Syrie: Contribution à l’étude de la colonisation arabe aux I et II siècles de l’Hégire », in Revue des Etudes Islamiques 35 (1967), pp.1-52. 51 G. Fowden, Qusayr ‘Amra: Art and the Umayyad élite in Late Antique Syria, Berkeley, 2004 dove si può trovare anche un completo panorama degli studi. Si veda inoltre : G. Fowden – Elizabeth Key Fowden, Studies on Hellenism, Christianity and the Umayyads, Athens-Paris, 2004 dove le residenze omayyadi sono messe in relazione non solo con il contesto civile ellenistico ma anche con quello monastico della Siria tardo-antica. 52 O. Grabar (e altri), City in the desert: Qasr al-Hayr East, 2 vols., Cambridge, 1978; D. Gènequand, “ The early Islamic settlement in the Syrian steppe: A new look at Umayyad and medieval Qasr al-Hayr al-Sharqi (Syria)”, in al-‘Usur al-Wusta, 17 (2005); id., “Building E at Qasr al-Hayr al-Sharqi: Form, Decoration and Function”, relazione presentata al Convegno internazionale: The Umayyads. History, Art and Culture in the first century of Islam, Edinburgh, 24-25 june 2011. 53 R. Hillenbrad, “Hisham's Balancing Act: the decoration of Qasr al-Hayr al-Gharbi”, relazione presentata al Convegno internazionale: The Umayyads. History, Art and Culture in the first century of Islam, Edinburgh, 24-25 june 2011.

16

Sembra ormai accertato che, nella lunga storia del flusso fra il deserto e la città in Siria, il secolo omayyade

fu un tempo in cui l’insediamento si accrebbe in modo significativo e in alcune aree raggiunse livelli anche più alti di quelli in atto durante la prosperità romana. Questa espansione fu il successo della dinastia regnante e di altri membri dell’élite ma anche di sconosciuti contadini e costruttori, e fu conseguenza dell’organizzazione dello stato omayyade54. E’ nel corso dell’VIII e del IX secolo che si riscontra un certo declino (ripresa del pastoralismo) anche per gli effetti deleteri del terremoto del 747, che fu presumibilmente

accelerato dal trasferimento del califfato in Iraq.

Un ultimo aspetto, di certo significativo, dell’impatto che l’espansione dell’islam ebbe nel territorio siriano, oltre a quello sui modelli di insediamento rurale, è evidenziabile nelle trasformazioni dello spazio urbano. La questione rientra nei temi di ricerca su cui maggiormente si è concentrata l’attenzione degli studiosi negli

ultimi anni, anche a seguito dei risultati di indagini archeologiche e della lettura in chiave economica delle fonti55. Sembra ormai provato che, sebbene le trasformazioni dello spazio urbano precedentemente attribuite dagli storici al dominio islamico abbiano, con ogni probabilità, avuto inizio ben prima dell’arrivo dei musulmani, questo diede il via ad alcuni cambiamenti nella struttura urbana, il più ovvio dei quali fu la costruzione di moschee. La trasformazione della città monumentale dell’antichità non può essere compresa se non si tengono presenti le molteplici attività che si svolgevano nella moschea. Non era solo un luogo di

culto ma assolveva ad altre importanti funzioni, come centro di insegnamento (fino all’apparizione della madrāsa nell’XI sec.), corte di giustizia e centro di riunione per la comunità dei Credenti. In quanto tale essa sostituiva in senso funzionale il Foro/Agorà: quando un califfo o un governatore desiderava rivolgersi al popolo, lo faceva nella moschea; lì il giuramento di fedeltà veniva reso al nuovo sovrano, lì durante il sermone del venerdì se ne riconosceva il nome e l’autorità. Altra trasformazione di grande evidenza è nella

pianta stradale delle città. Non è più accettabile la vecchia teoria per cui la società islamica delle origini scelse deliberatamente di sviluppare città con un reticolo di stradine anguste senza alcuna consapevole preferenza estetica e culturale, ma rispondendo ad una presunta predilezione per ciò che è ristretto e segreto. Quando le città islamiche erano pianificate (Anjar), i loro progettisti (muhandisun) avevano idee molto simili a quelle dei loro predecessori classici: adottarono piante ortogonali, dividendo blocchi abitativi con strade dritte e talora larghe. La differenza è che mentre nell’antichità classica la maggior parte delle città

erano pianificate, questo non accadeva nella società islamica. Gli studi finora condotti hanno dimostrato che lo sviluppo dalla città antica alla città islamica fu il risultato di un lungo processo evolutivo. Molti dei caratteri spesso associati all’arrivo dell’islam (la decadenza degli edifici monumentali, i cambiamenti nella pianta stradale classica) sono in realtà evidenti già prima delle conquiste islamiche, basta pensare all’abbandono dei teatri ( a vantaggio degli sport equestri), al nuovo stile dei bagni (senza frigidarium, ma con un vasto

apodyterium come sarà l’hammam islamico, si veda Serjilla e Gerasa), al passaggio dai mercati aperti ai

54 Per una panoramica sugli studi relativi a questi temi si rimanda su alla recentissima raccolta curata da J. Haldon, Money, power and politics in early Islamic Syria: A review of current debite, Aldershot, 2010. 55 J. Magness, The archaeology of the early Islamic settlement in Palestine, Winona Lake, 2003; A. Walmsley, cit., 2007; H. Kennedy, “From Polis to Madina”, in Past and Present, 106 (1985), pp.1-27; id., “City planning from classical Antiquity to early Islam”, in Sciences sociales et phénomènes urbains dans le monde arabe, éd. H. Naciri et A. Raymond, Casablanca, 1997, pp. 23-28; id., “Changing patterns of settlement in northern Syria and the Jazira from Late Antiquity to the Abbasid period”, in Islam at ICAANE 6, P. Matthiae (ed.), Wiesbaden, 2010.

17

mercati lineari, come sarà il suq delle città islamiche, già cominciato nel V secolo. Strutture come i khan e le

madrase della città tradizionale islamica sembrano essere sviluppi dell’XI-XII secolo. E’ stato osservato che siamo di fronte ad un processo di transizione lungo mezzo millennio. Prima di esaminare le cause di questi cambiamenti, bisogna tener presente, evitando i luoghi comuni (lo sviluppo della città islamica segna la decadenza del modello classico di città), che in alcuni casi i mutamenti nella struttura delle città furono il risultato di un’accresciuta vitalità urbana e commerciale (Aleppo e Damasco), il necessario adattamento a

differenti finalità, stili di vita e costumi legali. Forze di lungo termine sociali, economiche e culturali determinarono il cambiamento dell’aspetto delle città, non incompetenza amministrativa o insensibilità estetica. E’ utile ricordare che gli spazi pubblici aperti sopravvivono solo se adempiono ad una funzione percepita e generalmente riconosciuta e se sono protetti da un’autorità civica attiva e vigile. Bisogna cercare le ragioni per cui le condizioni che ne avevano evitato la violazione in età classica non esistevano più nelle città tardo-antiche e islamiche56.

I fattori principali di tale evoluzione sono individuabili nei cambiamenti demografici, nel ruolo differente del governo nelle opere pubbliche, nel nuovo sistema legale e nella diversa struttura della società urbana nonché in alcune innovazioni nei trasporti. I primi furono causati dall’epidemia o dall’invasione o da entrambe: alcune città soffrirono della peste del 540 e delle sue conseguenze (Calicis(Qinnasrin e

Gerasa/Jerash), altre (Beirut) furono distrutte dal terremoto del 550, altre divennero villaggi dopo la conquista araba (Apamea), ma altre (Damasco, Homs, Aleppo) conobbero al contrario un incremento demografico fra il 500 e il 750.

Quanto al secondo punto, è accertato che dalla seconda metà del VI secolo il patronato imperiale delle opere pubbliche si era drasticamente ridotto, limitandosi prevalentemente ad edifici religiosi; a parte la ricostruzione di Antiochia, non vi è alcuna evidenza di patronato imperiale di edifici secolari nella Siria del VI secolo. La confisca degli introiti cittadini mise fine a molte delle attività che si svolgevano negli edifici monumentali. Ad es. I bagni di Serjilla e Gerasa furono costruiti e gestiti da privati nel VI secolo. La stessa cosa avviene in periodo islamico ed è possibile che questo rifletta una pratica tardo-antica e che questo

abbia influito nello sviluppo del nuovo stile architettonico dei bagni. Inoltre, rispetto al modello romano, lo stato islamico era, secondo la definizione di Kennedy, uno stato minimalista che interveniva poco nelle attività dei suoi sudditi. Gli interventi nelle città erano per lo più limitati alla sicurezza (costruzione di mura), alla tutela del culto (costruzione di moschee) e alla garanzia di adeguata fornitura di acqua corrente (canali e acquedotti). Gli Omayyadi spendevano nell’edilizia, troppo secondo i loro detrattori, ma i loro progetti, a parte

le moschee, erano palazzi sia in città che in campagna, e valorizzazioni agricole con i relativi insediamenti, di cui Qasr al-Khayr al-Sharqi è un eccellente esempio. Nessuna spesa per abbellire le strade di Damasco o finanziare il pubblico divertimento. Sembra probabile che il governo dell’epoca omayyade fosse relativamente povero, in considerazione del fatto che generalmente le tasse raccolte erano per la maggior parte distribuite ai musulmani della provincia in questione. In termini moderni, il governo controllava una parte molto minore del prodotto interno lordo rispetto all’impero romano.

56 H. Kennedy, cit., 1985, pp. 15-27 di cui mi sono avvalsa in questa panoramica sulle trasformazioni urbane.

18

Un altro fattore determinante nello sviluppo urbano fu il nuovo sistema legale. Nel diritto islamico non c’era

una netta distinzione, come nel diritto romano, fra proprietà statale e proprietà privata, inoltre l’unità importante era la famiglia e la sua casa e in più a questa era consentito avere qualche diritto sullo spazio pubblico adiacente, diritto limitato solo dall’uguale diritto di un’altra casa. Questo ebbe importanti ripercussione sulla pianificazione urbana. La legge non teneva alcun conto di considerazioni estetiche, ma tutelava attentamente la privacy di ciascuna abitazione e si limitava ad impedire macroscopiche interferenze

nelle funzioni urbane (ad es. l’ostruzione di una strada). Evidentemente le strade larghe o le spaziose agorà non erano percepite come necessarie per il benessere comune e quindi non c’era interesse a tutelare questi spazi, mentre molta attenzione fu sempre rivolta alla percorribilità delle strade: queste dovevano essere larghe abbastanza da permettere a due animali da soma di passare contemporaneamente.

Il cambiamento della struttura sociale delle città condizionò il modello urbano. Come si è detto l’occupazione persiana e la conquista araba colpirono l’aristocrazia urbana, principalmente quella grecofona, anche se sappiamo che alcuni funzionari dell’amministrazione mantennero i loro posti sotto il nuovo regime, ma la vecchia élite politica era di fatto scomparsa alla fine del VII secolo. Inoltre, né i burocrati né i proprietari terrieri (spesso le stesse persone) facevano molta attenzione alle necessità del commercio e i mercanti avevano un modesto status sociale; in questo forse influiva un pregiudizio culturale originato dal sospetto

cristiano verso le attività mirate a fare soldi. Questo non vuol dire che in Siria il commercio fosse stagnante tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, l’evidenza archeologica ha dimostrato l’esistenza di attività commerciali legate spesso ai santuari. Di fatto il regime islamico portò decisamente il centro dell’attività commerciale all’interno delle mura cittadine. La città islamica fu molto diversa perché diverso era l’atteggiamento culturale verso le attività mercantili: Muhammad era un mercante di una città mercantile,

mercanti erano i personaggi di spicco del primo islam. Dalle tradizioni emerge che l’onesto commercio è considerato più meritorio del servizio pubblico, il mercante è considerato il pilastro della società. Quando i geografi descrivono una città, menzionano prima di tutto la moschea e i mercati, la loro estensione e le merci vendute. Ancora, era dalla classe dei mercanti che provenivano i più rispettati giuristi e i giudici, non dai ranghi dei funzionari dello stato e dei militari. Era dunque naturale che il disegno della città rispondesse alle esigenze di questa classe e che fossero considerazioni commerciali a produrre i dettami della pianificazione

formale. Le aree dei mercati costituiscono il caso più ovvio: la trasformazione della strada colonnata aperta nell’affollato suq significò l’aumento del numero di negozi al dettaglio nel centro città poiché i vecchi negozi furono divisi e nuove strutture furono erette nelle vecchie carreggiate. Il disegno urbano rispondeva ora direttamente alle pressioni commerciali e il governo non contrastò tali pressioni in nome dell’inviolabilità dello spazio pubblico o di considerazioni estetiche.

Altra causa di cambiamento fu una fondamentale trasformazione nei mezzi di trasporto delle merci. E’ stato infatti evidenziato, sulla base di dati forniti da fonti sia arabe che latine, che il trasporto su ruota di fatto scomparve nel Medio Oriente fra il IV e l’VIII secolo57. Le ragioni di questo furono essenzialmente economiche: il miglioramento delle tecniche di addomesticazione del cammello significò che le bestie da

soma erano più efficienti per il trasporto delle merci, riducendo anche i costi del trasporto a lungo raggio, costosissimo nell’antichità. La ricaduta, in ambito urbano, fu che non c’era più bisogno di strade larghe per il

57 R. Bulliet, The Camel and the Wheel, Cambridge, 1975.

19

passaggio dei carri e dunque i legislatori musulmani si preoccuparono di garantire che due animali da soma

carichi potessero passare nella pubblica strada. Le strade larghe, pur esteticamente preferibili, persero la loro funzione e l’invasione di questi spazi da parte di negozi e bancarelle seguì naturalmente.

La trasformazione della città classica nella medina islamica deve essere vista come il prodotto di mutamenti sociali ed economici di lungo periodo a cui contribuirono diverse forze. Livelli di popolazione, mezzi di

trasporto delle merci, cambiamenti della struttura sociale e dell’orientamento culturale: tutti giocarono la loro parte e l’arrivo dell’islam fu semplicemente uno stadio nella lunga trasformazione che era cominciata anche prima del VI secolo e probabilmente non fu completa fino al X o XI secolo.

Quando Eraclio riconquistò la regione ai danni dei Sasanidi ed entrò a Gerusalemme in trionfo nel marzo del 630, stava riprendendo possesso di una terra profondamente cristianizzata, la cui identità era stata forgiata dalla cultura ellenistica e romana nel corso di oltre nove secoli. Tre secoli più tardi il volto della Siria era profondamente mutato: alcune regioni (secondo alcuni l’intero paese) si erano impoverite, il greco era stato soppiantato dall’arabo come veicolo di ogni discorso culturale e spesso anche come lingua corrente, in molte aree (Mesopotamia e Siria settentrionale, Monte Libano) i Cristiani erano ancora numericamente più

numerosi con le loro istituzioni e la loro vita culturale. Ma ormai l’elemento dinamico, quello in espansione,quello che determinava i nuovi parametri culturali era l’islam e dalla fine del X secolo la Siria perse la sua identità romano-cristiana.

20

Fattori culturali

Se e come il sistema politico/ideologico bizantino ebbe un peso nella costituzione del sistema

politico/ideologico islamico: (Watt, Crone-Hinds, Andrew Marsham) gli Omayyadi si definivano “Khulafà Allah” come tutti i monarchi del tempo che si consideravano “vicari di Dio”. L’impero romano d’Oriente di Giustiniano ed Eraclio aveva prodotto tali interpretazioni plenipotenziarie dell’autorità regale, che possono aver influenzato il pensiero omayyade. Così si mettevano al riparo dalle contestazioni.

Come i musulmani vedevano i Bizantini: Nadia el-Cheikh (in Haldon-Conrad 2004) e Ahmad Shboul (in Bonner 2004)

Le fonti arabe medievali usano il termine Rum con vari significati, politico: sudditi dell’imperatore

romano/bizantino; linguistico: coloro che parlavano greco; geografico: gli abitanti dell’Anatolia; religioso: i Cristiani in generale. Nondimeno avevano differenti idee sui cristiani che vivevano in territorio bizantino e su quelli residenti nel territorio dell’islam. Qui conquistatori e conquistati trovarono un modus vivendi nel rispetto di alcune garanzie (come si è visto: dhimma). Nel primo islam vediamo la genesi e lo sviluppo di un Altro interno, separato dall’Altro esterno personificato dal Romano/ Bizantino. Questo Altro interno è il dhimmi, il non-musulmano nativo del territorio dell’islam, quasi sempre cristiano o ebreo. I dhimmi a causa della loro

relazione “contrattuale” a lungo termine con i musulmani e l’impossibilità di portare armi erano destinati a partecipare ad una negoziazione senza fine con i musulmani circa il loro status, obblighi e diritti. Chase Robinson (Empires and elites, 1-32) ha recentemente dimostrato l’importanza di tali negoziazioni e discussioni, non solo nella legge islamica, ma altresì nei primi sviluppi della produzione storiografica e biografica islamica.

Gli autori musulmani, sia nel diritto che nella letteratura, spesso usano stereotipi per rappresentare dhimmi e Bizantini e questo non stupisce se si pensa alle rappresentazioni dei Saraceni nella letteratura bizantina ed europea occidentale. Il punto è che per i musulmani medievali, mentre l’Altro interno era una figura in costante negoziazione, l’esterno non lo era affatto. Della rappresentazione delle donne bizantine (ma anche

dei leaders bizantini)nella letteratura araba si è occupata Nadia el-Cheikh: queste donne sono associate all’immoralità e spesso dipinte come prostitute, mentre degli uomini si sottolinea la mancanza di gelosia. Dell’immagine dei Rum/Bizantini si è occupato Ahmad Shboul: Bisanzio è una grande potenza; il suo sovrano è un tiranno (taghiya); i Bizantini sono abili nelle arti, ma anche nell’amministrazione e nella guerra; mancano di generosità. Soprattutto Bisanzio è l’archetipo del nemico sino alla fine dei tempi. André Miquel

(La géographie humaine) da voce ai geografi arabi che ripetono: alla fine il mondo sarà vasto abbastanza da contenere solo uno dei due rivali. Coerentemente con questa idea, essi esagerano l’estensione dell’Impero, dipingendo all’occasione l’Europa come una sua mera appendice. Descrivono accuratamente le strade, soprattutto quelle verso Costantinopoli, certamente usufruendo dei dati forniti dall’intelligence per intere generazioni. Comunque l’impero bizantino appare grande, incombente, soverchiante la realtà di tutti i giorni che pure essi descrivono con acume: è un’immagine ideologica. E’ infatti precisamente l’immagine che

Massignon identificava più di cinquanta anni fa, quella del Pomo d’Oro, il simbolo concreto della sovranità regale, del potere, della ricchezza e dello splendore.

21

La letteratura araba apocalittica, per cui si veda uno studio di Suliman Bashear (Bonner 2004), esprime

l’ansia per una invasione bizantina della Siria dal mare, fortemente temuta nella seconda metà del VII secolo. Nello stesso periodo anche gli ebrei e i cristiani avevano sviluppato una intensa speculazione apocalittica di fronte alla conquista araba. Tutto questo andò via via attenuandosi quando, nell’VIII secolo, fu chiaro a tutti che gli Arabi musulmani erano lì per restare.

Quanto alle dispute teologiche, Robert Hoyland ha notato (Muslim and others, Introduction) che tendevano ad essere più “gentlemanly” (signorili) quando erano condotte all’interno delle frontiere dell’islam di quando avevano luogo attraverso la frontiera/linea di demarcazione arabo-bizantina. Invero, una delle caratteristiche del “sectarian milieu” che John Wansbrough ha descritto per il primo islam era che ogni gruppo monoteistico o sotto-gruppo poteva dire la sua, con considerevole certezza che i suoi oppositori avrebbero capito i temi

fondamentali, principi e struttura della sua argomentazione. Le dispute arabo-bizantine, d’altronde, politicizzavano e pubblicizzavano eventi, spesso avevano un aspetto altamente rappresentativo, fornendo l’occasione per esibizioni retoriche e poetiche.

Jihad (Bonner 2004, XXXVIII-XLI)

Il jihad nel suo pieno significato non esiste prima della seconda metà dell’VIII secolo. Molti sostengono invece la continuità, il corollario è che l’islam è essenzialmente guerriero; altri sostengono all’opposto che il vero jihad è quello spirituale, dunque che l’islam sarebbe essenzialmente non bellicoso. La volontarietà deve

essere alla base di ogni definizione del jihad dell’VIII secolo, volontarietà che ha una portata sempre più ideologica, infatti gli studiosi-asceti della frontiera arabo-bizantina appartenevano al gruppo degli ‘ulema, così difficile da identificare sociologicamente (forse erano mercanti e commercianti: Bonner, Aristocratic violence and holy war).

*Il conflitto venticinquennale lasciò esausti entrambi gli imperi nonostante la vittoria di Eraclio nel 630. Le finanze bizantine erano allo stremo, anche in seguito all’occupazione persiana delle province più ricche per quasi vent’anni ed Eraclio raggiunse il suo scopo perché l’impero persiano collassò dall’interno. Il successo

islamico deve qualcosa alla volontà delle élites locali di patteggiare con gli invasori: questa volontà può essere stata una conseguenza dell’esperienza di una occupazione persiana relativamente benevola. Tuttavia l’immagine di un potere romano alieno ed eretico che la più tarda letteratura siriaca e copta rimanda, con l’implicazione che la popolazione era pronta a tradire l’impero è da ridimensionare (a partire dalle osservazioni di … ) perché questa visione fu sviluppata per dare un significativo passato storico alle

comunità cristiane che allora vivevano come cittadini di seconda classe in un mondo islamico. Dalle fonti contemporanee (la cronaca attribuita a Joshua lo Stilita) appare invece evidente una forte identificazione fra gli abitanti delle province vicino orientali e l’impero romano che la guerra sembra avere rafforzato … Nella società vicino orientale c’erano gruppi, come gli Ebrei e alcuni anti-calcedoniani, che avevano tratto benefici dall’occupazione persiana ma nulla può far pensare all’esistenza di un forte spirito separatista nei principali territori del vicino oriente romano all’inizio del VII secolo.

22