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8 La conciliazione stragiudiziale societaria ex artt. 38 – 40 del d. lgs. n. 5/2003. Cenni sulle tecniche di negoziazione. avv. Alessandra Bellandi (Avvocato in Milano – Conciliatore societario – Studio Legale Dalmartello) Sommario: 1.- Normativa di riferimento e definizione di conciliazione stragiudiziale societaria. 2.- Ambito di applicazione. 3.- Volontà delle parti. 4.- Gli organismi di conciliazione ed il loro regolamento. 5. – Il procedimento conciliativo ex art. 40. 6.- Il verbale di conciliazione e le agevolazioni fiscali. 7.- Tipi di negoziazione. 8.- Prima del negoziato: quattro concetti chiave. 9.- La fase di negoziazione: due metodi a confronto. 10.- Il negoziato dei criteri obiettivi (o negoziato dei principi). 1.- NORMATIVA DI RIFERIMENTO E DEFINIZIONE DI CONCILIAZIONE STRAGIUDIZIALE SOCIETARIA - La conciliazione può essere definita come una negoziazione facilitata sotto il controllo di un terzo neutrale, il conciliatore, con lo scopo di guidare le parti al raggiungimento di un accordo satisfattorio per entrambe, con la auspicata possibilità di porre le stesse parti in una situazione migliore di quella in cui versavano in precedenza. L’istituto è conosciuto dal nostro ordinamento di diritto processuale civile: nell’ambito del processo civile ordinario è infatti previsto il tentativo di conciliazione tra le parti (si pensi, in primo luogo, all’art. 183 c.p.c. che disciplina l’udienza di prima comparizione; all’art. 410 c.p.c. che, nel processo del lavoro, configura il tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di procedibilità della domanda), tentativo che tuttavia, nella prassi, si riduce per lo più ad una mera formalità senza sortire esito positivo. La riforma del processo civile introdotta dalla Legge n. 69/2009 ha abrogato il cosiddetto rito societario di cui al d. lgs. n. 5/2003, salve alcune disposizioni, tra le quali gli artt. 38, 39, 40 contenute al Titolo IV e relative alla “Conciliazione stragiudiziale” (cosiddetta conciliazione societaria). Gli artt. 38-40 d. lgs. 5/2003, ad oggi, disciplinano dunque la conciliazione stragiudiziale societaria (o mediazione civile), unitamente al D.M. n. 222 del 23 luglio 2004, intitolato “Regolamento

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8 La conciliazione stragiudiziale societaria

ex artt. 38 – 40 del d. lgs. n. 5/2003.

Cenni sulle tecniche di negoziazione.

avv. Alessandra Bellandi (Avvocato in Milano – Conciliatore societario – Studio Legale Dalmartello)

Sommario: 1.- Normativa di riferimento e definizione di conciliazione stragiudiziale societaria. 2.- Ambito di applicazione. 3.- Volontà delle parti. 4.- Gli organismi di conciliazione ed il loro regolamento. 5. – Il procedimento conciliativo ex art. 40. 6.- Il verbale di conciliazione e le agevolazioni fiscali. 7.- Tipi di negoziazione. 8.- Prima del negoziato: quattro concetti chiave. 9.- La fase di negoziazione: due metodi a confronto. 10.- Il negoziato dei criteri obiettivi (o negoziato dei principi).

1.- NORMATIVA DI RIFERIMENTO E DEFINIZIONE DI CONCILIAZIONE

STRAGIUDIZIALE SOCIETARIA - La conciliazione può essere definita come una negoziazione facilitata sotto il controllo di un terzo

neutrale, il conciliatore, con lo scopo di guidare le parti al

raggiungimento di un accordo satisfattorio per entrambe, con la

auspicata possibilità di porre le stesse parti in una situazione migliore

di quella in cui versavano in precedenza.

L’istituto è conosciuto dal nostro ordinamento di diritto

processuale civile: nell’ambito del processo civile ordinario è infatti

previsto il tentativo di conciliazione tra le parti (si pensi, in primo

luogo, all’art. 183 c.p.c. che disciplina l’udienza di prima

comparizione; all’art. 410 c.p.c. che, nel processo del lavoro,

configura il tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di

procedibilità della domanda), tentativo che tuttavia, nella prassi, si

riduce per lo più ad una mera formalità senza sortire esito positivo.

La riforma del processo civile introdotta dalla Legge n. 69/2009

ha abrogato il cosiddetto rito societario di cui al d. lgs. n. 5/2003,

salve alcune disposizioni, tra le quali gli artt. 38, 39, 40 contenute al

Titolo IV e relative alla “Conciliazione stragiudiziale” (cosiddetta

conciliazione societaria).

Gli artt. 38-40 d. lgs. 5/2003, ad oggi, disciplinano dunque la

conciliazione stragiudiziale societaria (o mediazione civile),

unitamente al D.M. n. 222 del 23 luglio 2004, intitolato “Regolamento

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recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione

nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui

all’art. 38 del Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5” nonché al

D.M. del 23 luglio 2004, n. 223 intitolato “Regolamento recante

approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione

a norma dell’art. 39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”.

L’art. 60 della Legge n. 69/2009 ha delegato il Governo di

emanare “uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di

conciliazione in ambito civile e commerciale”, da adottarsi secondo le

modalità, i principi ed i criteri direttivi ivi meglio specificati.

Il 29 ottobre 2009 il consiglio dei Ministri n. 67, su proposta dal

Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha approvato uno schema di

decreto legislativo che, in attuazione della delega conferita al Governo

dalla legge n. 69 del 2009 in materia di processo civile, riforma la

disciplina della conciliazione civile stragiudiziale (o mediazione civile),

con obiettivi di deflazione e di diffusione della cultura del ricorso a

soluzioni della controversia che non prevedono la emanazione di un

provvedimento reso da un giudicante.

Lo schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009, inoltre,

adegua la legislazione ad alcune norme comunitarie che disciplinano

la mediazione. Il provvedimento sarà trasmesso alle Commissioni

parlamentari per il parere.

Lo schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009 ha l’intento

di far ordine nella materia della mediazione e della conciliazione in

ambito civile e commerciale, parzialmente recependo, elaborando e

coordinando la normativa frammentaria ad oggi in essere , con

particolare riferimento agli artt. 38 – 40 del D. lgs. 5/2003, nonché ai

D.M. 222 e 223 del 23 luglio 2004.

Poiché lo schema di decreto legislativo, ragionevolmente, è

destinato a subire inevitabili modifiche prima di divenire definitivo, il

presente intervento esaminerà la conciliazione societaria come

disciplinata dalla normativa attualmente vigente, menzionando solo

nelle parti di maggiore interesse lo schema di decreto legislativo.

La caratteristica della conciliazione stragiudiziale societaria,

rispetto alle conciliazioni di altro tipo, è che essa è una conciliazione volontaria ma amministrata, ovvero una conciliazione affidata a organismi privati assoggettati a particolari forme di controllo da parte

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della pubblica amministrazione allo scopo di garantire la correttezza e

la funzionalità del procedimento1.

La conciliazione, poi, potrà essere facilitativa, nel caso in cui il conciliatore si limiti ad agevolare la parti, promuovendo o favorendo il

raggiungimento dell’accordo2;ovvero aggiudicativa, nel caso in cui il conciliatore formuli una o più proposte di accordo basandosi sulla

valutazione delle opposte ragioni, in base alle leggi applicabili; oppure

di tipo misto. L’accordo che le parti raggiungeranno al termine della procedura

ha valore contrattuale ed integra o sostituisce integralmente il

precedente contratto in ordine al quale è insorta la lite.

E’ una procedura: i) il più possibile informale; ii) volontaria; iii)

confidenziale; iv) con la presenza di un terzo neutrale che aiuta le

parti a raggiungere un accordo.

Perché la conciliazione sia di tipo stragiudiziale societario3

occorre la sussistenza di tre requisiti: 1) ambito di applicazione; 2) le

parti devono aver sottoscritto una clausola contrattuale o statutaria

che preveda il ricorso al tentativo di conciliazione – prima di adìre

l’Autorità Giudiziaria Ordinaria o la procedura arbitrale – ovvero

devono aver sottoscritto un accordo in tal senso al sorgere della lite

(volontà delle parti); 3) la procedura deve essere amministrata

esclusivamente dagli organismi di conciliazione accreditati dal

Ministero di Giustizia che potranno servirsi di conciliatori a loro volta

accreditati e che dovranno adottare specifiche procedure e tariffe

disciplinate dai Decreti Ministeriali n. 222 e n. 223 del 23 luglio 2004

(organismi di conciliazione).

1 Già la Legge n. 366 del 3 ottobre 2001 “Delega al Governo per la riforma del diritto societario” prevedeva forme di conciliazione delle controversie civili in materia societaria anche innanzi ad organismi istituiti da enti privati, che dessero garanzia di serietà ed efficienza e che fossero iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. 2 La Relazione Illustrativa dello schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009 precisa che la mediazione facilitativa è una “forma di mediazione nella quale il mediatore non è, a differenza del giudice, vincolato strettamente al principio della domanda e può trovare soluzioni della controversia che guardano al complessivo rapporto tra le parti. Il mediatore non si limita a regolare questioni passate, guardando piuttosto a una ridefinizione della relazione intersoggettiva in prospettiva futura. Si pensi ai contratti bancari, in cui il cliente ha spesso la necessità non soltanto di vedersi riconoscere competenze negategli dall’istituto, creditizio, ma anche di rinegoziare il complessivo rapporto bancario in tutti i suoi molteplici aspetti (…)”. 3 In ogni caso, il ricorso alla conciliazione è libero: le parti possono sempre ricorrervi, anche senza seguire la procedura dettata dall’art. 40 d.lg. n. 5/2003. In tal caso, tuttavia, non sarà possibile che al tentativo di conciliazione, riuscito o meno, conseguano gli effetti previsti dagli artt. 38-40 del d. lgs. n. 5/2003.

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2.- AMBITO DI APPLICAZIONE- Perché possa darsi corso alla

conciliazione societaria occorre che la controversia abbia ad oggetto

diritti disponibili.

Ciò posto, l’ambito di applicazione degli artt. 38-40 è individuato

dall’art. 1 del D. Lgs n. 5/2003.

Nonostante che l’art. 1 del D. Lgs. n. 5/2003 sia stato abrogato

dalla L. n. 69/2009 è infatti ragionevole ritenere che, con questa

ultima riforma del diritto processuale, il legislatore abbia inteso (o,

meglio, sottinteso) che il medesimo art. 1 sia ancora efficace

limitatamente all’ambito di applicazione della conciliazione societaria

di cui agli artt. 38-40; ambito di applicazione che, diversamente

opinando, non sarebbe altrimenti delimitato.

Nello specificare le categorie di controversie che possono essere

definite con la conciliazione stragiudiziale societaria, il legislatore non

si è limitato alla materia strettamente societaria, ma ha esteso

l’applicazione della conciliazione stragiudiziale anche al campo della

intermediazione finanziaria ed alla materia bancaria e creditizia.

Riepilogando il disposto dell’art. 1, l’ambito di applicazione degli

artt. 38-40 riguarda:

a) rapporti societari, tra i quali, per esplicita previsione,

debbono ricomprendersi:

- le società di fatto;

- l’accertamento, costituzione, modificazione od estinzione

del rapporto societario;

- le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro

gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i

direttori generali delle società, delle mutue assicuratrici

e delle società cooperative, nonché contro il soggetto

incaricato della revisione contabile per i danni derivanti

da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei

confronti della società che ha conferito l’incarico e nei

confronti dei terzi danneggiati.

b) trasferimento delle partecipazioni sociali ed ogni altro

negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti

inerenti;

c) patti parasociali ed altri accordi di collaborazione di cui all’art. 2341bis cod. civ.

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d) rapporti di intermediazione mobiliare, servizi e contratti di investimento, tra i quali per esplicita previsione, debbono ricomprendersi:

- servizi accessori;

- fondi di investimento;

- gestione collettiva del risparmio e gestione accentrata di

strumenti finanziari;

- vendita di prodotti finanziari, ivi compresa la cartolarizzazione

dei crediti;

- offerte pubbliche di acquisto e di scambio;

- contratti di borsa

e) rapporti bancari e creditizi, per controversie tra istituti

bancari, o promosse da o contro associazioni rappresentative di

consumatori o camere di commercio.

f) credito per le opere pubbliche. Lo schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009, fermo

restando che la mediazione dovrà avere ad oggetto diritti disponibili,

individua all’art. 5, I comma alcune categorie di controversie per le

quali la conciliazione è obbligatoria (rectius: è condizione di

procedibilità), utilizzando i criteri guida esplicitati nella Relazione

Illustrativa allo schema di decreto:

- cause aventi ad oggetto un rapporto tra le parti che è destinato a prolungarsi nel tempo, anche oltre la

definizione aggiudicativa della singola controversia

(condominio, locazione, comodato, affitto d’azienda); ovvero

cause aventi ad oggetto rapporti in cui sono coinvolti soggetti appartenenti alla stessa famiglia, gruppo sociale, area territoriale (diritti reali, divisione, successioni ereditarie, condominio, patti di famiglia); ovvero cause aventi

ad oggetto rapporti particolarmente conflittuali e complessi in cui “è più fertile il terreno della composizione

stragiudiziale” (responsabilità medica e diffamazione a mezzo

stampa);

- cause aventi ad oggetto alcune tipologie contrattuali che, oltre a sottendere rapporti duraturi tra le parti, conoscono una diffusione di massa e sono alla base di una parte non irrilevante del contenzioso (contratti assicurativi,

bancari e finanziari).

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3.- VOLONTÀ DELLE PARTI- In sede contrattuale, le parti possono

approvare una clausola (la “clausola di conciliazione”) con la quale

esse si impegnano ad esperire, innanzi ad un soggetto già

determinato (con la indicazione di uno specifico Organismo di

Conciliazione) o determinabile, un tentativo di composizione in sede

conciliativa della lite tra di esse insorta, prima di instaurare la fase

contenziosa innanzi all’Autorità Giudiziaria Ordinaria o all’Arbitro4.

Un accordo in tal senso potrà essere concluso dalle parti anche al

sorgere di una lite, in sede extra-contrattuale.

Tuttavia, la sussistenza di una clausola di conciliazione all’interno

di un contratto o di uno statuto societario avrà l’effetto di precludere

alle parti il ricorso immediato all’Autorità Giudiziaria Ordinaria in forza

del disposto dell’art. 40, VI comma:

“Qualora il tentativo di conciliazione sia previsto da una clausola

inserita in un contratto od in uno statuto societario, il mancato

rispetto di essa potrà comportare la sospensione del giudizio

eventualmente iniziato da una delle parti, competendo al giudice il

potere di fissare, su istanza della parte interessata, un termine tra i

30 e i 60 giorni per il deposito della domanda di conciliazione presso

l’organismo indicato dalla clausola o, in assenza, presso un qualsiasi

altro organismo di conciliazione. (…)”.

Trattandosi di una questione di procedibilità esclusivamente

rimessa alla disponibilità delle parti, spetterà ad esse sollevare la

relativa eccezione, non essendo diversamente fatto obbligo al giudice

di sospendere il procedimento davanti a sé.

Il disposto dell’art. 40, VI comma è recepito e sviluppato dallo

schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009 che alla condizione

di procedibilità dedica l’intero art. 55, il quale: 4 La “clausola di conciliazione” potrà avere contenuto “misto”, laddove essa preveda che, nell’ipotesi in cui il tentativo di conciliazione fallisca, le parti devolveranno la cognizione della controversia ad un Arbitro o ad un Collegio Arbitrale. 5 L’art. 5, comma I dello schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009 così dispone: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, deve esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento di attuazione dell’art. 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e successive modifiche, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nel primo atto difensivo tempestivamente depositato e può essere

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- dispone che la mediazione (termine scelto dal legislatore per

identificare l’attività volta a conseguire la conciliazione) sia

“condizione di procedibilità” per le controversie aventi ad oggetto le

materie indicate al comma 1; in tali ipotesi, la mediazione (oppure

il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8

ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento di attuazione dell’art.

128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di

cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e successive

modifiche, per le materie ivi regolate) è obbligatoria e

l’improcedibilità, oltre che eccepita dal convenuto, può essere

rilevata d’ufficio.

- prevede (al comma 2) che il giudice possa sollecitare la mediazione

nelle controversie aventi ad oggetto materie diverse da quelle

indicate al comma 1, oppure nelle ipotesi in cui la mediazione

obbligatoria ai sensi del comma 1 abbia avuto esito negativo ed il

giudice intraveda nuovi spazi di composizione della controversia;

- disciplina, al comma 5) l’ipotesi in cui, pur in presenza di una

clausola conciliativa, le parti non abbiano tentato la mediazione di

una controversia avente ad oggetto materie diverse da quelle

indicate al comma 1.

4.- GLI ORGANISMI DI CONCILIAZIONE ED IL LORO REGOLAMENTO – Il

carattere privatistico che il legislatore ha conferito alla procedura di

risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia societaria è

bilanciato dal carattere pubblicistico riservato alla gestione dei

procedimenti conciliativi da parte di enti e/o organismi di conciliazione

opportunamente registrati presso il Ministero di Giustizia, allo scopo

di garantire la correttezza, la serietà e l’efficienza della procedura

conciliativa medesima.

Al riguardo, l’art. 38 del D. Lgs. n. 3/2005 stabilisce che gli

organismi deputati a gestire la conciliazione stragiudiziale delle

controversie in materia societaria possono essere costituiti solo da

enti pubblici o privati iscritti in un apposito registro tenuto presso il

rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6, comma 1. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 e successive modificazioni, e dal titolo X del codice delle assicurazioni provate di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209”.

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Ministero della Giustizia, cui compete anche il controllo sulle garanzie

di serietà ed efficienza degli enti fondatori e degli organismi di

gestione.

Ai sensi del disposto del comma II dell’art. 38 è stato emanato il

D.M. del 23 luglio 2004 n. 222 intitolato “Regolamento recante la

determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di

tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del

Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”.

Ai sensi del successivo art. 39, III comma è stato emanato il

D.M. del 23 luglio 2004, n. 223 intitolato “Regolamento recante

approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione

a norma dell’art. 39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”6.

Il registro degli organismi autorizzati alla gestione dei tentativi di

conciliazione, ai sensi dell’art. 3 del D.M. 23 luglio 2004 n. 222, è una

banca dati tenuta presso il Ministero della Giustizia, di cui è

responsabile il direttore generale della giustizia civile o un suo

delegato; in esso sono individuati gli organismi che, avendone fatto

domanda ed essendo in possesso dei requisiti richiesti all’art. 4 del

medesimi D.M. n. 222, hanno la qualificazione a svolgere gestire i

tentativi di conciliazione ai sensi degli artt. 38-40 del D. Lgs. n.

5/2003.

Gli organismi di conciliazione possono essere soggetti autonomi

di diritto ovvero essere istituiti da altri enti e possono essere soggetti

privati o pubblici, come le Camere di Commercio (le quali hanno

“diritto di ottenere l’iscrizione di tali organismi nel registro su

semplice domanda”) 7.

6 Con il Regolamento 23 luglio 2004, n. 223 è stata approvata la tabella delle indennità minime e massime per ogni affare di conciliazione, cui ciascun organismo dovrà adeguarsi nel fissare le tabelle dei costi (indennità) del proprio servizio conciliativo. Per gli enti privati, l'iscrizione nel registro ministeriale comporta anche l'approvazione delle tariffe allegate alla domanda di iscrizione (cfr. art. 5, comma I del D.M. n. 222). 7 Il D.M. 23 luglio 2004, all'art. 4, rubricato “Criteri per l'iscrizione nel registro” così dispone: 1. “ Nel registro sono iscritti, a domanda, gli organismi di conciliazione costituiti da enti

pubblici e privati o che costituiscano autonomi soggetti di diritto pubblico o di diritto privato.

2. Gli organismi di conciliazione costituiti, anche in forma associata dalle CIAA sono iscritti su semplice domanda.

3. Il responsabile verifica la professionalità e l'efficienza dei richiedenti diversi da quelli indicati al comma 2 e, in particolare: a) la forma giuridica dell'ente o dell'organismo, il suo grado di autonomia, nonché la compatibilità della sua attività con l'oggetto sociale o lo scopo associativo; b) la consistenza dell'organizzazione di persone e mezzi, e il suo grado di adeguatezza, anche sotto il profilo patrimoniale; l'istante, in ogni caso, deve produrre polizza

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A norma dell’art. 5 del D.M. 222, la domanda di iscrizione al

registro ministeriale deve essere corredata, tra l’altro: a) dal

“regolamento di procedura”, le caratteristiche del quale, ispirate ai

principi di informalità, di rapidità e riservatezza, nonché di

imparzialità e idoneità del conciliatore al corretto e sollecito

svolgimento dell’incarico, sono elencati all’art. 7 del D. M. 2228; b) la

assicurativa di importo non inferiore a 500.000 euro per le conseguenze patrimoniali comunque derivati dallo svolgimento del servizio di conciliazione; c) i requisiti di onorabilità dei soci, associati, amministratori o rappresentanti dei predetti enti, non inferiori a quelli fissati a norma dell'art. 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; d) la trasparenza amministrativa e contabile dell'ente, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l'ente e i singoli conciliatori; e) le garanzie di indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio, nonché la conformità del regolamento di procedura di conciliazione alla legge e della tabella delle indennità ai criteri stabiliti dal regolamento emanato a norma dell'art. 39 del decreto; f) il numero di conciliatori, non inferiori a sette, che abbiano dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di conciliazione in via esclusiva per il richiedente; g) la sede dell'organismo di conciliazione.

4. Il responsabile verifica in ogni caso: 1. i requisiti di qualificazione professionale dei conciliatori per i quali, ove non siano professori universitari in discipline economiche o giuridiche, o professionisti iscritti ad albi professionali nelle medesime materie con anzianità di iscrizione di almeno quindici anni, ovvero magistrati in quiescenza, deve risultare provato il possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati presso il responsabile in base a criteri fissati a norma dell'art. 10, comma 5; 2. il possesso, da parte dei conciliatori, dei seguenti requisiti di onorabilità: 3. non avere riportato condanne definitive per delitti non colposi o a pena detentiva, anche per contravvenzione; 4. non avere riportato condanne a pena detentiva, applicata su richiesta delle parti, non inferiore a sei mesi; 5. non essere incorso nell'interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici; 6. non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza; 7. non avere riportato sanzioni disciplinari diverse dall'avvertimento.

5. Qualora l'ente sia un'associazione tra professionisti o una società tra avvocati, all'organismo devono essere destinati, anche in via non esclusiva, almeno due prestatori di lavoro subordinato, con prevalenti compiti di segreteria, ai quali risulti applicato il trattamento retributivo e previdenziale previsto dal rispettivo contratto collettivo nazionale di lavoro; in ogni altro caso, i compiti suddetti devono essere svolti da almeno due persone nominativamente indicate con riferimento anche al tipo di trattamento giuridico ed economico applicato. 6. I predetti compiti non possono essere svolti dalle persone indicate alle lettere c) ed f) del comma 3. 8 Il D.M. 23 luglio 2004, all'art. 7, rubricato “Regolamento di procedura” così dispone: 1. “ Il regolamento di procedura si ispira ai principi di informalità, rapidità e riservatezza ed

ai principi indicati nell'art. 40 del decreto; è, in ogni caso, vietata l'iniziativa officiosa del procedimento.

2. Il regolamento contiene l'indicazione del luogo dove si svolge il procedimento di conciliazione, che è derogabile su accordo delle parti per singoli atti; qualunque altra disposizione del regolamento è derogabile per accordo delle parti; il regolamento assicura la possibilità che il conciliatore designato, se le parti lo richiedono, concluda il procedimento con una proposta a norma dell'art. 40, comma 2, del decreto.

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tabella delle indennità redatta in conformità all’art. 39 del d.lg.s n.

5/2003 .

5.- IL PROCEDIMENTO CONCILIATIVO EX ART. 40 – Il procedimento

conciliativo societario, ai sensi dell’art. 40 II e V comma, ha inizio con

la presentazione da parte del soggetto interessato di una domanda di

conciliazione presso la segreteria dell’ente iscritto nel registro tenuto

presso il Ministero della Giustizia, il quale deve provvedere

immediatamente alla nomina di un conciliatore.

La presentazione della domanda di conciliazione presso uno degli

organismi registrati, dal momento della sua comunicazione alle altre

parti con mezzo idoneo a dimostrare l’avvenuta ricezione, è in grado

di determinare sulla prescrizione gli stessi effetti di una domanda

giudiziale, impedendo altresì il verificarsi della decadenza delle azioni.

In caso di fallimento del tentativo di conciliazione, il termine

della decadenza comincia a decorrere dal momento del deposito del

verbale di mancato accordo; gli stessi effetti interruttivi non si

determineranno in presenza di una domanda di conciliazione proposta

presso soggetti non iscritti nel registro tenuto dal Ministero9.

Le linee guida del procedimento conciliativo sono tracciate

dall’art. 40 del d. lgs. n. 5/2003, il quale, accanto ai principi della

riservatezza, della libera determinazione delle parti, della

inutilizzabilità delle loro dichiarazioni ai fini testimoniali10, dispone

che:

3. Il regolamento stabilisce le cause di incompatibilità allo svolgimento dell'incarico; in ogni

caso, i giudici di pace, finchè dura il loro mandato, non possono svolgere la conciliazione in forme e modi diversi da quelli stabiliti dall'art. 322 del codice di procedura civile.

4. Il regolamento deve, in ogni caso, prevedere che il procedimento di conciliazione possa avere inizio solo dopo la sottoscrizione da parte del conciliatore designato della dichiarazione di imparzialità di cui all'art. 15, comma 3, lettera a).

5. Le parti hanno, in ogni caso, diritto di accesso agli atti del relativo procedimento che il responsabile, designato dall'ente o organismo, è obbligato a custodire in apposito fascicolo debitamente registrato e numerato nell'ambito del registro di cui all'art. 12;; sono escluse eventuali comunicazioni riservate al solo conciliatore, tali espressamente qualificate dalle parti ; i dati, comunque raccolti, sono trattati nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante “Codice in materia di protezione dei dati personali”.

9 Art. 40, comma IV: “Al momento della comunicazione alle altre parti con mezzo idoneo a dimostrare l’avvenuta ricezione, l’istanza di conciliazione proposta agli organismi istituiti a norma dell’art. 38 produce sulla prescrizione i medesimi effetti della domanda giudiziale. La decadenza è impedita, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal deposito del verbale di cui al comma 2 presso la segreteria dell’organismo di conciliazione. 10 Art. 40, I comma: “I regolamenti di procedura debbono prevedere la riservatezza del procedimento e modalità di nomina del conciliatore che ne garantiscano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico”.

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- i regolamenti adottati dagli organismi di conciliazione devono

prevedere la riservatezza del procedimento conciliativo, nonché

prescrivere specifiche modalità di nomina del conciliatore che ne

garantiscano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico;

- le dichiarazioni rese dalle parti durante il procedimento non

possono essere utilizzate nella successiva ed eventuale sede

giudiziale, né possono essere oggetto di prova testimoniale;

- il giudice potrà valutare la mancata comparizione di una delle parti o il suo rifiuto a conciliare ai fini della decisione sulle spese processuali, che potranno essere poste anche totalmente

a carico del vincitore che abbia rifiutato la conciliazione, anche ai

sensi dell’art. 96 c.p.c11.

Nell’ipotesi in cui le parti non raggiungano un accordo all’esito

della procedura di conciliazione ed entrambe ne facciano richiesta, il

conciliatore potrà formulare una proposta e potrà riportare nel

verbale di mancato accordo le posizioni definitivamente assunte dalle

parti con riferimento a quella proposta, ovvero le condizioni alle quali

ciascuna parte sarebbe disponibile a conciliare. In tale ipotesi, la

riservatezza che impronta la procedura di conciliazione potrà venire

meno.

Pertanto, per il caso in cui la conciliazione dia esito negativo e

solo se le parti avranno consentito alla verbalizzazione delle loro posizioni, il giudice, nell’eventuale successivo giudizio, valuterà comparativamente le posizioni assunte dalle parti innanzi al

conciliatore ed il contenuto della sentenza, al fine di escludere, in

tutto o in parte, la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che

ha rifiutato la conciliazione.

Attualmente è dunque in ipotesi possibile per la Banca convenuta

rifiutare una soluzione conciliativa equa ma da essa non ritenuta

conveniente sulla base di valutazioni meramente soggettive (per

esempio, di carattere commerciale o legate a valutazioni della

complessiva gestione interna del contenzioso), senza che la

riservatezza che caratterizza la procedura conciliativa venga meno

Art. 40, III comma: “ Le dichiarazioni rese dalle parti nel corso del procedimento non possono essere utilizzate, salvo quanto previsto dal comma 5, nel giudizio promosso a seguito dell’insuccesso del tentativo di conciliazione, né possono essere oggetto di prova testimoniale”. 11 Sull’argomento, cfr. la comunicazione dell’avv. TOMMASO LANG, La condanna alle spese di

lite nella riforma al processo civile, allegata agli atti della presente giornata di studi.

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sull’argomento; nell’eventuale futuro giudizio, il rischio più elevato

che la Banca correrà sarà quello della soccombenza e della condanna

alla refusione delle spese di lite che ad essa consegue.

Lo schema di decreto legislativo del 29 ottobre 2009, invece,

sottrae alla volontà delle parti la possibilità di richiedere al

conciliatore – nella ipotesi di accordo non raggiunto – di formulare

una proposta di conciliazione che, ove non accolta, verrà inserita nel

verbale unitamente alle ragioni del mancato accordo in ogni caso12.

Non sarà più possibile che le parti, negando il proprio assenso

(come attualmente previsto dall’art. 40 del d. lg.s. n. 5/2003),

mantengano la riservatezza sul verbale di mancata conciliazione

come sopra formato ed evitino che tale verbale venga tenuto in

considerazione da parte del giudice, nel futuro eventuale giudizio, ai

fini della liquidazione delle spese processuali13.

Nella complessiva valutazione dell’opportunità di conciliare la

controversia, la Banca convenuta, dunque, dovrà in futuro tenere in

debita considerazione tanto le consuete ragioni di merito e di rischio

processuale, quanto il rischio di incorrere nella condanna alle spese

processuali anche nell’ipotesi di vittoria del giudizio.

Una delle principali caratteristiche del procedimento di

conciliazione è quello della rapidità: lo schema di decreto legislativo

12 L’art. 11 dello schema di D.M. del 29 ottobre 2009, al comma I, dispone:“Se è raggiunto

un accordo amichevole, il mediatore forma il processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo, sottoscritto dalle parti. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore formula una proposta di conciliazione dopo averle informate delle possibili conseguenze di cui all’art. 13.( …).” Il comma IV prosegue prevedendo che: “Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con indicazione della proposta e delle ragioni del mancato accordo; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione”. 13 L’art. 13 dello schema di D.M. del 29 ottobre 2009, al comma I, dispone: ”Quando il

provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di un’ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto. Resta ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano altresì alle spese per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art. 8, comma 4” Il comma II dispone che: “Qualora il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all’esperto di cui all’art. 8 comma IV (….)”.

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del 29 ottobre 2009, all’art. 6, dispone che il “procedimento di

mediazione ha durata non superiore a quattro mesi”.

La rapidità sarà perseguita anche grazie alla possibilità che la

procedura di conciliazione venga svolta on line, utilizzando sia

funzioni asincrone, come la condivisione e lo scambio di documenti,

sia funzioni sincrone, quali gli incontri di conciliazione on line.

Nella prassi, instaurato il procedimento di conciliazione e tenutasi

la prima riunione davanti al conciliatore alla presenza di entrambe le

parti, sarà facoltà del conciliatore sentire i contraddittori anche

separatamente, allo scopo di comprendere i reali bisogni di ciascuno

di essi, di individuare una soluzione conciliativa che sia ritenuta

accettabile e che costituisca una base da sviluppare con la

controparte.

Il conciliatore, in osservanza del principio della riservatezza che

caratterizza il procedimento, non potrà rivelare all’una parte alcuna

delle informazioni rese dall’altra sentita singolarmente (né potrà

rivelare a quali condizioni essa si è detta disponibile a conciliare);

salvo che la parte che quelle informazioni ha reso non acconsenta a

che il conciliatore le riveli alla controparte.

6.- IL VERBALE DI CONCILIAZIONE E LE AGEVOLAZIONI FISCALI – Nel caso

il cui le parti raggiungano un accordo conciliativo, l’art. 40 al comma

VIII prevede che il verbale di accordo, sottoscritto dalle parti e dal

conciliatore, è omologato con decreto del Presidente del Tribunale nel

cui circondario ha sede l’organismo di conciliazione, previo

accertamento della sua regolarità formale e, dunque, senza entrare

nel merito del contenuto dell’accordo stipulato tra le parti.

Il verbale di conciliazione così omologato costituisce titolo

esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma

specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Il legislatore ha previsto alcune agevolazioni fiscali, all’art. 39,

allo scopo di rendere più appetibile l’impiego della conciliazione

stragiudiziale per le controversie societarie: tutti gli atti, i documenti

ed i provvedimenti relativi ad un procedimento di conciliazione sono

esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi

specie e natura, mentre il verbale di accordo eventualmente stipulato

è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di €. 25.000.

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Tale limite di valore è aumentato sino ad €. 51.646,00 dallo

schema di decreto ministeriale del 29 ottobre 2009 (art. 17).

Il valore per l’esenzione in parola è da riferirsi al contenuto

dell’accordo conciliativo sottoscritto tra le parti, irrilevante invece il

valore della controversia con riferimento alle pretese avanzate dai

contraddittori durante il procedimento di conciliazione.

I verbali di conciliazione di valore superiore ad €. 25.000 sono

assoggettati all’imposta secondo i normali criteri, ovvero con tassa

fissa se le prestazioni dedotte nell’accordo sono soggette ad IVA

oppure con aliquota proporzionale o variabile, secondo il diverso

contenuto dell’accordo, per il caso in cui le prestazioni oggetto del

verbale non sia soggette ad IVA.

7.- TIPI DI NEGOZIAZIONE – Si è sopra illustrato come la conciliazione

sia stata congegnata dal legislatore come soluzione alternativa al

giudizio.

Essa non presuppone né un vinto né un vincitore, ma solo che le

parti raggiungano, con il suggerimento di un terzo, un accordo negoziato che ha il pregio di non scontentare nessuno e, quindi, di avere maggior forza nella normalizzazione dei rapporti rispetto alla

pronuncia resa al termine di un giudizio.

Il buon esito della conciliazione è affidato (anche) alle capacità

delle parti di negoziare nonché alle capacità del conciliatore di

accompagnare i contraddittori lungo il percorso della negoziazione.

Si possono individuare due tipi di negoziazione, tenendo conto

che, nella prassi, quasi tutti i negoziati presentano caratteristiche

dell’uno e dell’altro tipo:

- negoziazione competitiva, nella quale le parti competono per la

distribuzione di un valore prefissato; in tali ipotesi, il

guadagno di una parte avviene a spese dell’altra

(cosiddetta negoziazione a somma zero); essendoci in

gioco un solo elemento, è impossibile allargare l’ambito

negoziale includendovi una pluralità di aspetti

importanti per entrambe le parti; inoltre, la relazione

tra i negoziatori e la loro reputazione sono fattori per

essi irrilevanti perché i contraddittori non sono in

genere disposti a cedere valore nella trattativa in

cambio di valore nella relazione con la controparte.

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- negoziazione collaborativa, nella quale le parti cooperano per ottenere i massimi benefici attraverso l’integrazione

dei loro rispettivi interessi in un accordo (cosiddetta

negoziazione win-win); gli elementi in gioco sono

molteplici e ciascuna parte mirerà ad ottenere ciò cui

essa tiene maggiormente, rinunciando al resto; si

possono dunque soddisfare le esigenze di entrambe le

parti.

Il negoziatore deve pertanto sviluppare la capacità di scegliere

con consapevolezza se competere dove gli interessi sono in conflitto,

cercando di conseguire il maggior valore possibile, oppure se creare

valore, scambiando le informazioni che portano ad opzioni

reciprocamente vantaggiose.

8.- PRIMA DEL NEGOZIATO: QUATTRO CONCETTI CHIAVE – Prima di

intavolare la negoziazione, il negoziatore deve considerare con

attenzione i seguenti elementi14:

- la migliore alternativa ad un accordo negoziale (MAAN); con riferimento alla conciliazione stragiudiziale

societaria, la alternativa all’accordo negoziale è

rappresentata dal ricorso all’autorità giudiziaria; la

individuazione della MANN consisterà in questo caso in

una attenta previsione sull’esito del giudizio e sui costi

del medesimo, con riferimento alla quantificazione della

possibile condanna nel merito, alla condanna alla

rifusione delle spese di lite (condanna, questa seconda,

che è destinata a non seguire più il principio della

soccombenza e che potrà conseguire anche alla vittoria

nel merito), nonché ai possibili riverberi che un

giudicato negativo potrebbe avere quale precedente

giudiziario e quale possibile fattore lesivo dell’immagine

della Banca.

- il prezzo di riserva, ovvero il prezzo minimo accettabile per la

conclusione di un accordo; esso dovrebbe essere

individuato grazie all’esame della migliore alternativa

ad un accordo negoziale (MAAN).

14 Cfr.R. FISCHER, W. URY, B. PATTON, L'arte del negoziato, ed. Corbaccio, 2008.

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- la zona del possibile accordo (ZOPA), ovvero il range entro cui si potrebbe concludere un accordo; tale range, se

esiste, è da individuare nello spazio compreso tra i

prezzi di riserva di ciascuna parte; se non esiste la zona

del possibile accordo (ZOPA), non si potrà in alcun

modo raggiungere un’intesa, salvo che le parti

modifichino i loro prezzi di riserva o che vengano

contemplati altri elementi di valore.

- la creazione di valore attraverso gli scambi, ovvero lo

scambio di valori e servizio che hanno una minore

rilevanza per la parte che li possiede o li eroga, mentre

risultano di fondamentale importanza per la

controparte; per esempio accade spesso che il Cliente

della Banca abbia interesse alla conclusione di

determinati accordi commerciali.

9.- LA FASE DI NEGOZIAZIONE: DUE METODI A CONFRONTO – In ogni tipo

di negoziato, ciascuna delle parti prende delle posizioni, le difende e

fa concessioni, per giungere ad un compromesso; ciò è utile in quanto

permette a ciascuna parte di fornire all’altra indicazioni sui propri

obiettivi, permette di fare chiarezza su situazioni incerte e spesso

permette di individuare i punti di una intesa accettabile.

Tuttavia, gli stessi risultati possono essere perseguiti anche con

altri strumenti, mentre invece la “trattativa su posizione” (o

negoziato su posizione) spesso allontana da una conciliazione

ragionevole, raggiunta in modo efficiente ed amichevole.

E’ utile evidenziare che il negoziato su posizione:

- produce accordi malfatti: se rigidamente ancorati alle rispettive

posizioni, le parti tendono ad identificarsi con esse, distogliendo

l’attenzione dagli interessi sottostanti della controparte; l’accordo

diviene meno probabile e, ove raggiunto, poco soddisfacente

perché corrisponderà più ad una divisione meccanica tra i prezzi di

riserva di ciascuna parte piuttosto che ad una soluzione

congegnata per soddisfare gli interessi di entrambe le parti.

- è inefficiente: in quanto costituisce una interferenza che accresce i

tempi ed i costi necessari per giungere all’intesa, aumentando il

rischio che l’accordo non si concluda; tipicamente, quando le parti

rimangono caparbiamente salde sulle loro reciproche posizioni,

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difficilmente rivelano l’una all’altra i loro veri fini, limitandosi a

fare piccole concessioni, giusto il minimo indispensabile perché le

trattative proseguano; in tal modo, i tempi e gli sforzi per

comprendere se ed in che termini un accordo è possibile si

dilatano; ciò vale, in particolare ed a maggior ragione, quando le

parti sono più di due.

Le parti che trattano su posizione tendono spesso ad adottare

uno stile di negoziazione che è il frutto di una drastica scelta tra uno

stile morbido (specie quando esse mirano a salvaguardare i rapporti

che intercorreranno con la controparte) ed uno stile duro (in taluni

ambienti erroneamente ritenuto preferibile perché maggiormente

aggressivo).

Sono facilmente intuibili le ragioni per le quali stile duro

raramente porta alla conclusione di un accordo.

Tuttavia, anche “essere gentili non è una soluzione”15: il gioco

negoziale morbido enfatizza l’importanza di costruire e mantenere il

rapporto, facilita l’esito positivo della trattativa, ma la conciliazione

avverrà grazie ad un accordo che … non è un buon accordo perché il

negoziatore cede per evitare lo scontro e il negoziato è falsato a

favore del negoziatore che ha adottato una linea più dura. Meglio

allora essere gentili con le persone e duri nel difendere i propri

interessi.

Più proficuo del negoziato su posizioni è il negoziato dei criteri obiettivi (o negoziato dei principi16).

Attraverso il negoziato dei criteri obiettivi le parti esplicitano non

soltanto le rispettive posizioni negoziali, ma altresì gli interessi per i

quali esse avanzano le richieste in cui le posizioni negoziali si

sostanziano. 15 Cfr.R. FISCHER, W. URY, B. PATTON, L'arte del negoziato, ed. Corbaccio, 2008, i quali

precisano: “Potete essere tanto duro nel parlare dei vostri interessi quanto qualsiasi negoziatore lo è nel parlare della propria posizione. Di fatto, è generalmente consigliabile essere duro. Può non essere saggio l'immedesimarvi con la vostra posizione, ma è saggio che vi immedesimiate con i vostri interessi. Questo è, nel negoziato, il momento nel quale impiegare la vostra aggressività (…) Spesso le soluzioni più ragionevoli, quelle che comportano il massimo vantaggio per voi con il minimo costo per la controparte, vengono conseguite con la semplice forte perorazione dei vostri interessi. Due negoziatori che premono ambedue con forza per i rispettivi interessi stimolano la creatività l'uno dell'altro per escogitare soluzioni reciprocamente vantaggiose”. 16

La definizione inglese di tale tipo di negoziazione è “Principled negotiation”, ovvero

“negoziato dei princìpi”. Nella lingua italiana, tuttavia, il termine “principìo” ha una accezione negativa quando riferita ad un conflitto, richiamata anche alcuni detti popolari che evidenziano l’inefficacia delle “questioni di principio”; per evitare fraintendimenti, si è qui preferito indicare la tipologia di negoziato in parola denominandola, appunto, “negoziato dei criteri obiettivi”, perché come si dirà in appresso, caratterizzato da criteri oggettivi di equità.

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La comprensione degli interessi della controparte è la password

per aprire la porta del dialogo (esteso anche ai reciproci stati

emotivi), grazie al quale le parti potranno giungere ad un accordo

fondato su criteri obiettivi (e, come tali, difficilmente opinabili)

normalmente percepiti come equi. La percezione di equità, infatti è la

via primaria di risoluzione di un conflitto.

Il fine del negoziato dei criteri obiettivi è dunque quello di

portare i contraddittori a risolvere il conflitto grazie ad un accordo

integrativo, che soddisfi entrambe le parti, e non già grazie ad un

accordo distributivo, che comporta rinunce da parte di ciascuno,

avvalendosi della cosiddetta logica generativa (che persegue i

massimi vantaggi reciproci) piuttosto che della cosìddetta logica

ripartitiva (che persegue i minimi svantaggi reciproci)17.

10.- IL NEGOZIATO DEI CRITERI OBIETTIVI (O NEGOZIATO DEI PRINCIPI)- Per consolidare e raffinare le strategie volte a dar corso al negoziato

dei criteri obiettivi, il negoziatore dovrebbe tenere presente il metodo

ideato da alcuni professori dello Harvard Negotiation Project18, ovvero

da Roger Fisher, William Ury, e Bruce Patton.19.

Occorre in primo luogo distinguere le persone dal problema, ovvero sfrondare le questioni di merito, oggetto del negoziato, dalle

questioni personali, che dovranno essere trattate a parte.

La negoziazione è sempre costituita da due elementi:

a) la volontà di raggiungere un accordo che soddisfi i propri

interessi;

b) l’interesse a costruire un buon rapporto con la controparte (se

ciò è compatibile con un accordo accettabile).

Un conseguenza di questa duplice natura delle trattative è che il

rapporto si intreccia sovente con il problema, con l’effetto che spesso

17 Ponendo l’attenzione a tale caratteristica del negoziato che viene svolto nel contesto della conciliazione, si coglie facilmente la differenza tra la l’istituto in parola e la transazione di cui agli art. 1965 e ss. cod. civ. 18 Lo Harvard Negotiation Project è un progetto di ricerca presso la Harvard University che si occupa di problemi del negoziato e sviluppa e diffonde metodi perfezionati di negoziazione e mediazione: Fa parte del Program on Negotiation della Facoltà di Legge di Harvard, un consorzio di studiosi e di progetti al quale partecipano Harvard, il MIT, il Simmons College di Boston e la Tufts University di Medford, con l’impegno di migliorare la teoria e la prassi per la risoluzione dei conflitti. 19 Sull’argomento, cfr. l’importante contributo di HOWARD RAIFFA, Professore Emerito di Economia manageriale alla Harvard Business School, in L’arte e la scienza della negoziazione, ed. NPL Italy (con particolare riferimento alla teoria dei giochi, alla teoria delle decisioni statistiche, all’analisi decisionale, nonché alla mediazione e la risoluzione dei conflitti); cfr. altresì Alessio Roberti, Negoziare secondo Harvard.

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si travisano le affermazioni della controparte, le quali vengono intese

come una critica diretta alla persona anziché una constatazione sui

fatti.

Sarà fondamentale dunque concentrarsi sugli interessi e non sulle posizioni; ovvero non ci si deve limitare a considerare la

posizione ufficialmente assunta dalla controparte, ma occorre

considerare gli interessi dell’interlocutore, sottostanti alla posizione

negoziale, molte volte inespressi, impalpabili e incoerenti.

“Gli interessi motivano la gente; essi sono i moventi silenziosi

dietro il baccano delle posizioni”. Le posizioni sono la concretizzazione

delle decisioni; gli interessi, invece, determinano la decisione20.

Nel contesto del tentativo di conciliazione come architettato da

alcune norme processuali attualmente vigenti nel nostro ordinamento

processuale (si pensi alla conciliazione prevista dal diritto processuale

del lavoro, o alla conciliazione giudiziale), le parti sono inibite dal

rivelare i loro interessi, per il timore che quanto svelato possa essere

utilizzato contro di loro in un futuro eventuale giudizio.

Per tentare di identificare gli interessi della controparte, che

identificano il problema fondamentale in un negoziato, si può tener

conto dei seguenti spunti di riflessione:

- chiedersi “perchè”: ovvero, mettersi nei panni della controparte,

esaminare la sua posizione negoziale e chiedersi le ragioni che la

potrebbero determinare; la risposta che ci si può dare coglie

probabilmente uno degli interessi della controparte; è possibile

rivolgere all’interlocutore una domanda diretta sul punto, in tal caso

20 R. FISCHER, W. URY E B. PATTON, ibidem, riportano il seguente esempio di negoziazione che

si concentra sugli interessi delle parti: “Il trattato di pace israelo-egiziano maturato a Camp David nel 1978 dimostra l'utilità di guardare al di là delle posizioni. Israele occupava la penisola egiziana del Sinai fin dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967. Quando Egitto e Israele si sedettero di nuovo insieme nel 1978 per negoziare la pace, le loro posizioni erano incompatibili. Israele insisteva per mantenere una parte del Sinai. L'Egitto, d'altra parte, insisteva perchè ogni pollice del Sinai fosse restituito alla sovranità egiziana. Più e più volte vennero disegnate le carte che mostravano tutte le linee di confine possibili che avrebbero diviso il Sinai tra l'Egitto e Israele. Un compromesso in questo senso era del tutto inaccettabile per l'Egitto. Tornare alla situazione del 1967 era ugualmente inaccettabile per Israele. Guardare ai loro interessi invece che alle loro posizioni fu ciò che rese possibile una soluzione. L'interesse di Israele era la sicurezza: non voleva che i carri armati egiziani stessero in bilico sulla sua frontiera, pronti a rotolare dall'altra parte in qualsiasi momento. L'interesse dell'Egitto era la sovranità: il Sinai era stato parte dell'Egitto fin dal tempo dei Faraoni. Dopo secoli di dominazione romana, greca, turca, francese e inglese, l'Egitto aveva solo di recente recuperato la piena sovranità e non era in vena di cedere territorio a un altro conquistatore straniero. A Camp David, il presidente egiziano Sadat e il primo ministro israeliano Begin si accordarono su un piano che avrebbe restituito il Sinai alla completa sovranità egiziana e, smilitarizzando vaste aree, avrebbe tuttavia garantito la sicurezza di Israele. La bandiera egiziana avrebbe sventolato dovunque, ma i carri armati egiziani non sarebbero stati in nessun posto vicino a Israele. ” .

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preoccupandosi di specificare che la domanda non viene posta per

chiedere una giustificazione, ma solo per capire i bisogni, speranze,

timori o desideri posti alla base della sua posizione negoziale;

- chiedersi “perchè no”; considerare la loro scelta: ovvero identificare

la proposta che la controparte probabilmente immagina che le si

voglia imporre, chiedendosi perchè quella proposta non è stata

formulata dalla controparte medesima;

- rendersi conto del fatto che ogni parte ha interessi molteplici: al

riguardo è utile tenere a mente che spesso il negoziato subisce

l’influenza e tiene conto di interessi ulteriori a quelli delle parti

direttamente coinvolte; comprendere gli interessi della controparte

significa anche avere contezza della varietà dei medesimi, a volte tra

loro divergenti, dei quali egli deve tener conto;

- gli interessi più potenti sono gli interessi umani elementari: avendo

cura di tali interessi (ad esempio: sicurezza, benessere economico,

senso di appartenenza, riconoscimento, controllo sopra la propria

vita), l’accordo, se vi sarà, avrà maggiori possibilità di essere

rispettato da controparte

Concentrasi sugli interessi significa altresì concentrarsi su propri

interessi e, dunque, comunicarli ed illustrarli affinché la controparte

possa chiaramente e con facilità averne contezza.

Sarà importante difendere con fermezza i propri interessi (tanto

è saggio non immedesimarsi con la propria posizione quanto è saggio

immedesimarsi con i propri interessi), in tal modo stimolando la

creatività di controparte a ricercare soluzioni vantaggiose per

entrambe le parti.

Nell’approcciare la controparte, è preferibile non esordire

limitandosi ad esporre solo la propria posizione negoziale, in quanto

l’interlocutore si concentrerà ad escogitare qualche argomento contro

di essa e non sarà disponibile ad ascoltare quali sono gli interessi ed i

bisogni che sono sottesi alla posizione negoziale: “se volete che

qualcuno ascolti e comprenda le vostre ragioni, esponete i vostri

interessi e le vostre osservazioni prima, e le vostre conclusioni o

proposte dopo”.

Proficuo per l’iter della trattativa sarà altresì incentrare la

discussione non già su quanto accaduto in passato, ma su ciò che ci si

augura accadrà in futuro; è facile che tale concretezza sia

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accompagnata dalla apertura a nuove idee e alla individuazioni delle

intese.

Nel negoziato dei criteri obiettivi, i contraddittori, con l’aiuto del

conciliatore, sono chiamate ad inventare soluzioni vantaggiose per entrambe le parti.

Tale obiettivo è a volte reso difficile dalla pressione cui si è

sottoposti o dalla presenza della controparte stessa; la difficoltà, in

sede di conciliazione, potrà essere superata grazie all’intervento del

conciliatore, il quale, nella sua qualità di terzo qualificato, potrà

sentire le parti anche separatamente tra loro ed individuare soluzioni

creative che soddisfino entrambe, a ciò facilitato dalla caratteristica

del suo ruolo che non si sostanzia nel rendere un giudizio (né,

ovviamente, a definizione della controversia, né con riferimento

all’operato o alla persona di ciascuna parte).

I contraddittori, con l’aiuto del conciliatore, dovranno cercare di parametrare i loro interessi con valori di riferimento oggettivi e riscontrabili, oltre che imparziali ed applicabili ad entrambe, che

funzioneranno da filtro rispetto alle proprie (rispettabili) volontà

individuali.

In tal modo si potrà addivenire ad un accordo equo anche nelle

ipotesi in cui gli interessi delle parti divergano irreparabilmente.

Occorre dunque prendere le distanze dalla nozione per la quale la

“torta negoziale” è definitivamente delimitata. L’approccio fondato su

tale nozione ci porta a negoziare su posizione e a concepire la

soluzione del conflitto solo come una perdita o come una vittoria.

Una volta che il negoziatore avrà superato il mito della “torta

negoziale” come definitivamente delimitata, ovvero una volta che le

parti avranno allargato la torta negoziale identificando nuovi valori

comuni ad entrambi, la soluzione del conflitto sarà più facilmente

raggiungibile21.

Compito del conciliatore è quello di accompagnare la parti lungo

un maturato percorso di ragionevolezza e di facilitarle ad individuare

una equa soluzione del conflitto, che sia satisfattiva per entrambe: “Il

metodo … è di decidere le soluzioni in base ai loro meriti piuttosto che

attraverso un processo di tira-e-molla concentrato su ciò che ciascuna

parte dice di volere o non voler fare. Suggerisce che si miri, fin dove

21 cfr. il contributo di M.H. BAZERMAN, The mythical fixed pie, in Negotiaton del novembre 2003, Program on Negotiation at Harvard Law School

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è possibile, al vantaggio reciproco e che laddove gli interessi sono in

conflitto, si insista affinché il risultato si basi su alcuni criteri di equità

indipendenti dalla volontà delle parti. Il metodo del negoziato per

principi è duro nel merito, morbido verso le persone. Non ricorre né a

trucchi né a tentativi di impressionare la controparte. Il negoziato di

principi vi mostra come ottenere ciò di cui avete diritto pur

comportandovi bene. Vi consente di essere corretti pur proteggendovi

contro coloro che vorrebbero approfittare della vostra correttezza” 22.

avv. Alessandra Bellandi

22 cfr. R. FISHER, W. URY, B. PATTON, ibidem: