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PAOLO AMOVILLI (Magistrato T.A.R. Puglia Bari) La comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza (art. 10-bis L. 241/90) tra partecipazione, deflazione del contenzioso e nuovi modelli di contraddittorio "ad armi pari" SOMMARIO: Introduzione. - 1. La partecipazione procedimentale: dal giusto procedimento al “diritto” europeo ad una buona amministrazione. – 1.1 Finalità della partecipazione: contradditorio istruttorio e “paritario in contestazione”. - 1.2 Gli interessi c.d. partecipativi, carattere della strumentalità e il problema della effettiva tutela (cenni). – 1.3 La partecipazione nella l. 15 del 11 febbraio 2005: una contraddizione di fondo. – 1.4 La dequotazione della partecipazione procedimentale come vizio formale. – 2. Profili generali dell’art. 10-bis nel quadro della novella l. 15/2005. – 2.1 Finalità e natura giuridica del nuovo istituto – 2.2 Ambito di applicazione della norma: i presupposti 2.3 Procedimenti relativi ad attività vincolate - 2.4 Procedimenti ad istanza di parte. - 2.5 Procedimenti concorsuali - 2.6 I casi di esclusione: non tassatività? - 2.7 Procedimenti di accesso ai documenti amministrativi - 2.8 Il problema della applicabilità alla d.i.a. - 2.9 Rapporti con il silenzio significativo - 2.10 La conferenza di servizi decisoria e gli organi collegiali - 3. Gli effetti. - 4. Rilevanza dell’applicazione della norma sul piano dell’eventuale tutela risarcitoria. – 5. Le implicazioni in termini di motivazione finale del provvedimento di diniego. 6. Art. 21-octies l. 241/90 e nuovo regime dei vizi formali (cenni) – 6.1 Rapporti tra art. 21-octies e violazione dell’art. 10-bis. Considerazioni finali. Introduzione. L’art. 10-bis l. 241/90 e s.m. presenta molteplici spunti di interesse, non solo in relazione alla complesse ed eterogenee problematiche applicative specifiche, ma anche e soprattutto quale istituto capace di porre in discussione aspetti generali della stessa configurazione del potere amministrativo. Indispensabile è pertanto partire da un corretto inquadramento dell’innovativo strumento, che al di là delle prime elaborazioni giurisprudenziali, sia in grado di relazionarsi nel più ampio contesto del c.d. diritto amministrativo europeo, oltre che con istituti lato sensu partecipativi con valenza diversa da quella istruttoria, già contemplati nel nostro ordinamento (vedi ad es.l’art 88 “Codice Contratti” approvato con Dlgs. n.163/2006 e s.m. che ne condivide struttura e finalità). Così impostando la questione, pare di poter sostenere per il c.d. “preavviso di diniego” una lettura in chiave decisamente sostanziale, quale strumento di contraddittorio qualificato con finalità fortemente deflattiva, di stimolo al raggiungimento di soluzioni negoziate sulle modalità di esercizio del potere -vale a dire di accordi anche sostitutivi ex art 11 l. 241/90 - nell’ottica di una rapporto maggiormente collaborativo tra l’amministrazione e gli amministrati.

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PAOLO AMOVILLI (Magistrato T.A.R. Puglia Bari)

La comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza (art. 10-bis L. 241/90) tra partecipazione,

deflazione del contenzioso e nuovi modelli di contraddittorio "ad armi pari"

SOMMARIO: Introduzione. - 1. La partecipazione procedimentale: dal giusto procedimento al “diritto” europeo ad una buona amministrazione. – 1.1 Finalità della partecipazione: contradditorio istruttorio e “paritario in contest azione”. - 1.2 Gli interessi c.d. partecipativi, carattere della strumentalità e il problema della effettiva tutela (cenni). – 1.3 La partecipazione nella l. 15 del 11 febbraio 2005: una contraddizione di fondo. – 1.4 La dequotazione della partecipazione procedimentale come vizio formale. – 2. Profili generali dell’art. 10-bis nel quadro della novella l. 15/2005. – 2.1 Finalità e natura giuridica del nuovo istituto – 2.2 Ambito di applicazione della norma: i presupposti 2.3 Procedimenti relativi ad attività vincolate - 2.4 Procedimenti ad istanza di parte. - 2.5 Procedimenti concorsuali - 2.6 I casi di esclusione: non tassatività? - 2.7 Procedimenti di accesso ai documenti amministrativi - 2.8 Il problema della applicabilità alla d.i.a. - 2.9 Rapporti con il silenzio significativo - 2.10 La conferenza di servizi decisoria e gli organi collegiali - 3. Gli effetti. - 4. Rilevanza dell’applicazione della norma sul piano dell’eventuale tutela risarcitoria. – 5. Le implicazioni in termini di motivazione finale del provvedimento di diniego. 6. Art. 21-octies l. 241/90 e nuovo regime dei vizi formali (cenni) – 6.1 Rapporti tra art. 21-octies e violazione dell’art. 10-bis. Considerazioni finali.

Introduzione.

L’art. 10-bis l. 241/90 e s.m. presenta molteplici spunti di interesse, non solo in relazione alla complesse ed eterogenee problematiche applicative specifiche, ma anche e soprattutto quale istituto capace di porre in discussione aspetti generali della stessa configurazione del potere amministrativo.

Indispensabile è pertanto partire da un corretto inquadramento dell’innovativo strumento, che al di là delle prime elaborazioni giurisprudenziali, sia in grado di relazionarsi nel più ampio contesto del c.d. diritto amministrativo europeo, oltre che con istituti lato sensu partecipativi con valenza diversa da quella istruttoria, già contemplati nel nostro ordinamento (vedi ad es.l’art 88 “Codice Contratti” approvato con Dlgs. n.163/2006 e s.m. che ne condivide struttura e finalità).

Così impostando la questione, pare di poter sostenere per il c.d. “preavviso di diniego” una lettura in chiave decisamente sostanziale, quale strumento di contraddittorio qualificato con finalità fortemente deflattiva, di stimolo al raggiungimento di soluzioni negoziate sulle modalità di esercizio del potere -vale a dire di accordi anche sostitutivi ex art 11 l. 241/90 - nell’ottica di una rapporto maggiormente collaborativo tra l’amministrazione e gli amministrati.

Finalità deflattiva e contatto con l’art. 11 l. n. 241/90 possono portare l’istituto ad un parziale accostamento all’eterogeneo fenomeno delle ADR (Alternative Dispute Resolution), o ai rimedi giustiziali in opposizione di tipo preventivo e rinnovatorio (vedi 2.1).

Tale spunto pare recentemente avvalorato e sviluppato dalla l. 7 luglio 2009 n. 88 di delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/66/CE in materia di procedure di ricorso per l’aggiudicazione di appalti pubblici, introduttivo di ulteriori tecniche di dialettica procedimentale-provvedimentale, con la previsione di una sorta di “preavviso di ricorso” nei confronti di aggiudicazioni assunte come illegittime [1].

Si assiste cioè alla tendenza a plasmare nuove modalità di esercizio del potere, che privilegino il confronto dialettico in chiave collaborativa mediante nuovi significativi obblighi informativi a carico dell’amministrazione [2], dando nuova linfa al c.d. contradditorio procedimentale “ad armi pari”.

Preavviso di rigetto e “preavviso di ricorso” quindi come importanti step verso l’adeguamento ai principi di “buona amministrazione” derivanti dall’art 6 CEDU, come noto oggi - a seguito delle sentenze C.Cost. n. 348 e 349 del 24 ottobre 2007 - avente valore di norma costituzionale interposta al pari delle altre norme CEDU, nonché di trasparenza ed imparzialità.

In questo contesto, sono immediate le ricadute applicative sia sul piano patologico della capacità invalidante del vizio di violazione o falsa applicazione dell’art 10-bis - per es escludendo l’applicazione analogica del secondo comma secondo allinea dell’art. 21-octies l. 241/90 - sia sulla non secondaria tematica della responsabilità risarcitoria, scissa dal profilo della patologia del provvedimento finale, per violazione ex art 1337-38 c.c. di obblighi informativi, in parallelo, peraltro, con il fenomeno in atto nel diritto civile nel campo delle trattative contrattuali (vedi par. 4).

Pare cioè di poter assegnare alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza se non la fonte di un vero e proprio obbligo di clare loqui, l’idoneità ad ingenerare affidamento - benché atto pacificamente endoprocedimentale - sulla non accoglibilità dell’istanza soltanto per i motivi “deducibili” indicati dall’amministrazione, confidando di sovvertire l’esito della decisione a seguito delle controdeduzioni. E ciò anche in chiave di responsabilità per danno da ritardo, a seguito della ipotizzata risarcibilità - per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 2-bis l. n. 241/90, nel testo novellato dalla l. n. 69/2009 - a prescindere dal giudizio prognostico di spettanza del bene della vita [3].

Diversamente opinando, e inquadrando l’art 10-bis tra le forme di contraddittorio in senso istruttorio di tipo classico - quali in primis l’art 7 l. 241/90 - evidenti sarebbero le perplessità circa l’utilità concreta dell’istituto, in uno con la tenuta costituzionale sul piano della ragionevolezza e del buon andamento, costituendo un indubbio aggravio procedimentale privo di validità ed utilizzabile per finalità dilatorie.

Conseguentemente, la possibilità di “neutralizzare” l’istituto con l’applicazione dell’art. 21-octies l. 241/90, invocando la discussa trasformazione del processo amministrativo da giudizio sulla legittimità dell’atto impugnato a giudizio sul “rapporto”, in uno con la pur pacifica integrazione della motivazione in giudizio, pare porsi in aperto contrasto con diverse norme costituzionali, e cioè con gli art 97 (imparzialità e buon andamento) 117 c.1°(in relazione all’art. 6 CEDU) 113 (in relazione alla mancata previsione di una tutela alternativa rispetto a quella demolitoria) e 111 Cost. (giusto processo).

Si tratta, ad avviso dello scrivente, di impostare la questione non sulla natura “formale” del vizio di violazione dell’art 10-bis, bensì sulla lesione della chance dell’interessato alla conclusione di accordi, e più in generale sull’interesse pubblico generale alla prevenzione del contenzioso, interessi comunque lesi dalla violazione dell’art 10-bis e non suscettibili di integrazione postuma.

D’altronde, come vedremo, effetti quale la prevista interruzione del procedimento decorrente dalla comunicazione dei motivi ostativi, non possono che esser bilanciati con l’affermazione dell’ onere a carico della PA di ponderare compiutamente le controdeduzioni al preavviso, con rafforzamento dell’onere motivazionale, e limitata possibilità di motivazione postuma per ragioni non sopravvenute, a pena di una indebita sostituzione del provvedimento con il processo, fenomeno recentemente battezzato in dottrina come “processualprocedimento” (vedi 6).

Ciò premesso, appare al contempo indispensabile circoscrivere l’ambito oggettivo di applicazione del preavviso di diniego, in conformità alla ratio, quindi ben oltre le ipotesi di esclusione codificate dall’art 10-bis, per evidenti ragioni di incompatibilità (vedi. 2).

1. La partecipazione procedimentale: dal giusto procedimento al “diritto” europeo ad una buona amministrazione.

Lo studio della partecipazione procedimentale non può oggi che prendere lo spunto dalle tendenze oramai irreversibili verso l’introduzione di nuove forme di esercizio del potere amministrativo, oltre che verso la elevazione del contradditorio a principio di valenza comunitaria e costituzionale nell’ordinamento italiano.

E’ noto come al modello classico fondato sulla unilateralità nell’esercizio del potere amministrativo, la legislazione amministrativa prima settoriale poi generale abbia introdotto il principio del “giusto procedimento”, non senza inserire con l’art 11 l.241/90 l’innovativo principio della generale negoziabilità se non del potere amministrativo discrezionale, delle relative “modalità di esercizio [4]”.

Quanto al “giusto procedimento”, il granitico orientamento invalso presso la giurisprudenza del G.A. volto a negarne valenza costituzionale ai sensi degli art 3, 21 e 97 della Costituzione repubblicana, pare oggi non solo superato da recenti interventi della Consulta in merito alla costituzionalizzazione del principio di pubblicità dell’azione amministrativa [5], bensì definitivamente travolto dalla penetrazione nell’ordinamento interno sia del diritto comunitario che della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), per effetto rispettivamente degli art 11 e 117 comma primo Cost.

A prescindere infatti dall’espresso richiamo oggi operato dall’art 1 l. 241/90 nel testo novellato dalla legge 11 febbraio 2005 n.15, il principio di primautè del diritto comunitario invalso presso la giurisprudenza ne imponeva ben prima il rispetto del diritto “di ogni individuo - nei confronti delle istituzioni- di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio” [6]. Principio fondamentale è il “diritto ad una buona amministrazione” del cittadino europeo a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, e con necessaria partecipazione e contradditorio in relazione quantomeno ai provvedimenti di contenuto sfavorevole [7].

Il diritto ad una buona amministrazione è ”il diritto ad una buona decisione, ed è buona decisione la decisione che è imparziale, equa e sollecita” [8].

Il diritto comunitario, accanto al “diritto ad una buona amministrazione” riconosciuto dall’art 41 della Carta europea dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 7 dicembre 2001 valevole per le sole decisioni afflittive o privative, grazie all’elaborazione pretoria conosce anche un più ampio “principio di buona amministrazione” valevole per i procedimenti autorizzatori, quindi relativi ad interessi di tipo pretensivo.

Il principio di buona amministrazione non viene quindi ricondotto ai diritti dell’art 41 della Carta di Nizza, che peraltro non ha al momento effetto giuridico vincolante. Si può affermare che se il diritto al contradditorio pieno è garantito dalla Carta europea solo nell’ambito dei procedimenti volti all’emanazione di decisioni afflittive, quello ad una decisione equa ed imparziale spetti a tutti i soggetti titolari di interessi qualificati [9].

E’ evidente la maggior ampiezza del 1° comma dell’art 41 della Carta rispetto ai diritti di cui al 2° comma, ma non può certo dirsi equo un procedimento non partecipato, così come non adeguatamente motivato in relazione alle esigenze difensive.

Anche il Trattato della Costituzione europea sottoscritto a Roma il 30-31 ottobre 2004, in attesa di assumere carattere definitivamente vincolante con la ratifica di tutti gli Stati membri, richiama tra gli altri come fondamentale il “diritto” alla buona amministrazione.

La inarrestabile spinta verso il “diritto” al contradditorio procedimentale risulta oramai definitivamente accolto sul versante interno, seppur indirettamente, per effetto della recente affermazione da parte della Corte Costituzionale del valore di normativa interposta dei diritti fondamentali riconosciuti nella CEDU, come interpretati dalle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Infatti, la Corte Costituzionale con le fondamentali sentenze n. 348 e 349 del 24 ottobre 2007 rese in materia di compatibilità con l’art 1 del Protocollo addizionale alla CEDU della misura dell’indennità di esproprio dei suoli edificabili nonché del risarcimento del danno da “occupazione acquisitiva” ex art. 5 bis commi 1 e 2 d.l. 11 luglio 1992 n. 333, ha elevato le disposizioni della CEDU “a norme che integrano il parametro costituzionale ex art 117 comma primo Cost”, pur con necessità di raccordo con tutte le norme costituzionali, nessuna esclusa [10].

A prescindere dalla tutela del diritto di proprietà e dal rapporto con la funzione sociale e l’interesse generale alla realizzazione delle infrastrutture, è chiaro che la nuova lettura operata dalla Consulta della efficacia della CEDU e delle sentenze della Corte europea assegna ai diritti fondamentali in essa riconosciuti - tra cui l’art. 6 ricomprende il “diritto ad un processo equo” - una forza del tutto nuova nell’ordinamento interno, con il risultato di una doverosa e puntuale rilettura della normativa italiana in chiave di conformità o meno ai parametri CEDU come interpretati dalla Corte europea. E’ significativo notare come la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia sempre ritenuto applicabile l’art 6 che è norma di diritto processuale penale e civile anche al rapporto tra cittadino e amministrazione nel procedimento amministrativo, quale regola quindi con valenza anche di diritto sostanziale [11].

In questo nuovo contesto si potrebbe fortemente dubitare della legittimità costituzionale ex art 117 c. 1° Cost in relazione all’art. 6 CEDU, della disciplina nazionale contenuta nel vigente Codice dei contratti in materia di esclusione automatica delle offerte anomale sotto soglia, evidenziando un contrasto oltre che con le direttive comunitarie in materia di appalti, con la stessa CEDU [12], reputandosi non equo un processo giurisdizionale quale quello amministrativo di legittimità che impedisce di fatto al concorrente escluso qualunque doglianza avverso il provvedimento di esclusione automatica.

Così, lo stesso Consiglio di Stato [13] sempre in relazione alla compatibilità comunitaria della disciplina nazionale in materia di esclusione sotto soglia delle offerte anomale, nell’operare il rinvio pregiudiziale ex art 234 alla CGUE, si richiama oltre che alla violazione delle direttive 93/37 e 2004/18 CE al contrasto con il “diritto ad una buona amministrazione” sancito dalla Carta dei diritti fondamentali di Nizza, pur “non essendo giuridicamente vincolante”.

Ma in termini più generali, è da chiedersi seriamente se la oggi necessaria integrazione tra normativa nazionale, anche in tema di partecipazione, e il diritto fondamentale ad un processo/procedimento equo ex art 6 CEDU possa condurre ad una interpretazione adeguatrice del Capo III l. 241/90 e s.m., se non alla stessa rimessione alla Consulta per incostituzionalità.

Tutto ciò dimostra l’inesauribile spinta - ancora una volta proveniente dal diritto amministrativo europeo - verso la definitiva inderogabilità del principio del “giusto procedimento” rectius di “buona amministrazione” come criterio fondamentale dell’agere amministrativo, che dovrà rappresentare la chiave di lettura del diritto amministrativo interno, da sempre caratterizzato invece da tendenze opposte, sia a livello giurisprudenziale [14] che legislativo, con particolare riferimento alla novella sul procedimento introdotta con la legge 11 febbraio 2005 n.15.

Ma non meno importante è il passaggio da una “amministrazione esclusivamente per provvedimenti” pur se frutto di contradditorio, ad un modello di amministrazione per accordi, indubbiamente potenziato con la legge 2005 n. 15, ove l’accordo sostitutivo è diventato istituto di carattere generale, pur con i limiti previsti dall’art 11 l. 1990 n. 241. Se la conclusione di accordi si innesta nel procedimento come naturale esito di esso, al pari dell’adozione del provvedimento finale, in un quadro di complessivo favor per l’attività amministrativa consensuale [15], risulta difficile comprendere le ragioni della “sanatoria provvedimentale” di cui all’art 21-octies.

Infatti, in prima approssimazione, anche accogliendo la tesi secondo cui l’art 21-octies, recependo precedenti orientamenti giurisprudenziali, abbia inteso sopprimere inutili annullamenti giurisdizionali per vizi formali non satisfattivi dell’interesse del ricorrente [16], rimane sul tappeto che la mancata partecipazione degli interessati, a prescindere dalla idoneità concreta ad incidere sul contenuto dispositivo del provvedimento finale, pregiudichi irrimediabilmente la possibilità di raggiungere accordi, in contrasto con il predetto favor. Impedire la partecipazione significa precludere l’accordo, datone “il nesso strettissimo con la partecipazione procedimentale” [17].

Ciò è ancor più evidente se si aderisce al recente orientamento avallato dallo stesso Consiglio di Stato volto ad estendere l’ambito di applicazione dell’art 11 l. 241/90 ai procedimenti finalizzati all’adozione di atti di natura vincolata (come le autorizzazioni in materia edilizia) quanto meno sotto il profilo tecnico, attinenti al quantum al quomodo e al quando degli adempimenti da eseguire [18].

Ammesso che l’amministrazione per accordi sia possibile anche in questi casi, quindi fuori dal terreno della discrezionalità amministrativa c.d. pura, la violazione del contradditorio appare comunque lesiva dell’interesse (anche pubblico) alla definizione consensuale del procedimento.

Va detto a scanso di equivoci, che pare improprio parlare di negoziazione del potere amministrativo, dal momento che i principi di legalità, doverosità e inesauribilità conducono a restringere l’oggetto degli accordi “alle sole modalità di esercizio del potere”, determinandosi altrimenti un evidente fuga dalla legalità in favore del consenso “a tutti i costi” dell’interessato [19].

E’ però vero che l’ordinamento conosce fattispecie di carattere generale di accordi su attività amministrativa interamente vincolata, dal momento che l’ordinamento tributario da tempo conosce gli istituti del c.d. concordato fiscale, vale a dire l’accertamento con adesione ex D.lgs. 217/97 e il concordato stragiudiziale e giudiziale, ambiti come noto caratterizzati da attività rigidamente vincolata senza spazi di discrezionalità di alcun tipo per l’amministrazione finanziaria.

Vedremo come l’innovativo istituto introdotto dall’art 10-bis presenti elementi di stimolo proprio in vista di decisioni consensuali, collegandosi alla stessa introduzione, ad opera della l. 15/2005, dell’accordo sostitutivo come strumento generale di esercizio del potere.

1.1 Finalità della partecipazione: contraddittorio istruttorio e “paritario in contestazione”.

La legge 241/90 nell’introdurre il principio del contraddittorio procedimentale, ha imposto l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento nei confronti “dei soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi” nonchè il “diritto” di prendere visione degli atti, di intervento e presentazione di memorie scritte, con l’obbligo della PA di valutarle ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.

Secondo l’opinione diffusa sia in giurisprudenza che in dottrina, la partecipazione procedimentale assume una duplice valenza. Da un lato, di porre i destinatari dell’azione amministrativa in grado di far valere i propri interessi, dall’altro di consentire all’amministrazione di meglio comparare gli interessi coinvolti e di miglior perseguimento dell’interesse pubblico principale, a fronte degli altri interessi pubblici e privati eventualmente coinvolti. Sotto quest’ultimo profilo, “ la comunicazione di avvio, ancorchè posta all’inizio del procedimento, ha una intrinseca potenzialità di prevenire eventuali motivi di ricorso giurisdizionale, assicurando un contradditorio trasparente e un confronto ad armi pari tra la PA e il privato” [20].

La finalità della partecipazione si arricchisce pertanto anche con l’obiettivo della deflazione del contenzioso, principio quanto mai rilevante nel nostro ordinamento, e senza dubbio presente anche e soprattutto nel c.d. preavviso di rigetto introdotto con l’art 10-bis.

Si parla quindi in riferimento al Capo Terzo “Partecipazione al procedimento amministrativo” della legge 241/90 di contraddittorio procedimentale con valenza istruttoria. In dottrina non mancano però ricostruzioni diverse.

Senza pretese di completezza, secondo una tesi [21], la partecipazione si collega all’onere gravante sulla PA di esplicitare in sede procedimentale tutti i motivi di diniego all’accoglimento dell’istanza di privati, valorizzando l’imparzialità e la tutela dell’affidamento. Ne consegue un vero e proprio obbligo di anticipare già nella sede procedimentale tutti i motivi ostativi al rilascio di

provvedimenti, tesi che per quanto suggestiva cozza contro la regola di diritto positivo codificata dall’art 45 TU n. 1054/1924 secondo cui in caso di accoglimento del ricorso il g.a. annulla l’atto “salvo gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa”.

Anche in base ad altra ricostruzione [22], la partecipazione va letta in chiave paragiurisdizionale, come strumento idoneo a consentire ai cittadini di far valere i propri interessi e di ottenere giustizia ancor prima di attivare la macchina processuale, con applicabilità al procedimento della garanzia del contradditorio propria del procedimento giurisdizionale.

In realtà, il contradditorio procedimentale in quanto “necessario ma imperfetto”, per l’inesistenza di paritarietà tra amministrazione procedente e i privati intervenienti, pare decisamente distinto dal contradditorio dei procedimenti contenziosi giurisdizionali [23].

Accanto agli istituti partecipativi di valenza istruttoria in senso stretto, autorevole dottrina [24] ha affiancato altri distinti modelli, di “contradditorio paritario” o “in contestazione”. Si tratta di fattispecie ove le parti interessate possono contraddire sulla decisione che la PA intende adottare, costringendola a valutare le contestazioni in sede di decisione finale, e con le quali l’ordinamento consente il pieno esercizio della “demarchia.” Per Merusi, elemento caratteristico rispetto alla partecipazione classica in funzione istruttoria è la presenza di un quid pluris anche rispetto al processo giurisdizionale o amministrativo, rappresentato dal contradditorio stesso sulla decisione, frutto di amministrazione condivisa [25]. Il contradditorio “ad armi pari” diviene così garanzia a tutela dei diritti fondamentali di libera iniziativa economica e di proprietà [26]. Il c.d. preavviso di rigetto introdotto dalla legge 15 del 2005 ne rappresenterebbe quindi l’estensione all’esercizio di tutti i diritti di libertà.

In questo scenario, pare di poter avvicinare a tale modello anche altri istituti partecipativi di carattere eterogeneo, ma contraddistinti dal comune elemento del rafforzamento del contradditorio nella fase pre-decisoria, nell’intento di deflazione del contenzioso giurisdizionale, proprio di una ricerca quanto più possibile condivisa della scelta discrezionale amministrativa.

Ci si riferisce in particolare alla fattispecie di cu all’art 88 Dlgs. 12 aprile 2006 n. 1 63 “Codice dei contratti di lavori forniture e servizi”, ove il legislatore andando ben al di là di quanto imposto dal diritto comunitario, ha previsto per l’esclusione delle offerte anomale sopra soglia un contraddittorio particolarmente rafforzato, articolato oltre che in sede di offerta e di successiva risposta del concorrente alle giustificazioni richieste dalla stazione appaltante per la sospetta anomalia, in una sorta di peculiare “preavviso di esclusione” dalla gara.

Il Codice introduce così un triplice livello di contradditorio:

- anticipato in sede di offerta, se prescritto nel bando di gara, quindi con carattere eventuale, non necessario e comunque mai sostitutivo di quello successivo [27];

- successivo alla presentazione dell’offerta a seguito della richiesta di giustificazioni da parte della stazione appaltante sul sospetto di anomalia, di carattere necessario;

- finale sulla proposta di esclusione mediante audizione dell’offerente.

La giurisprudenza della CGUE è consolidata nel ritenere indefettibile il solo contraddittorio successivo alla presentazione delle offerte, essendo rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante imporre in aggiunta giustificazioni a corredo delle stesse offerte [28], mentre non impone un’ulteriore ed ultimo confronto dialettico verbale pregiudiziale all’esclusione.

Sono apparentemente evidenti le analogie con l’art 10-bis l. 241/90 [29], anche in punto di eventuale irrilevanza della violazione per “invariabilità del risultato” mediante ipotizzabile applicazione dell’art 21-octies. L’interprete deve interrogarsi sui rapporti con l’art 10-bis, anche chiedendosi se l’art 88 Codice sia stato introdotto dal legislatore nella convinzione della applicabilità altrimenti del c.d. preavviso di rigetto.

La risposta è negativa, dal momento che se è vero che l’art 2 c. 3° Codice contratti opera un generale rinvio alle disposizioni sul procedimento di cui alla l. 241/90 (per quanto non espressamente previsto nel Codice), l’espressa esclusione contenuta nell’ultimo capoverso dell’art 10-bis relativamente ai procedimenti concorsuali toglie ogni dubbio. Si potrebbe forse ritenere, richiamandosi a Merusi, che il particolare rafforzamento del contradditorio sia qui imposto dall’esigenza della tutela del diritto fondamentale di libertà economica, potenzialmente gravemente mutilato da esclusioni dall’aggiudicazione di appalti pubblici che non siano frutto di un serrato confronto dialettico con la PA.

Ma non pare qui invocabile nemmeno l’art 21-octies l. 241/90.

Quanto alla prima parte perché l’attività della stazione appaltante volta a verificare l’anomalia è pacificamente di natura discrezionale tecnica e non vincolata, quanto alla seconda parte perché il riferimento è al solo vizio di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, a meno che non si voglia equipararvi il mancato “preavviso di esclusione,” equiparazione che parte della giurisprudenza peraltro già effettua in relazione all’art 10-bis l.241/90 [30].

L’interesse dell’operatore economico concorrente a giustificare il ribasso offerto è considerato quindi degno di particolare rilevanza, anche evidentemente per l’elevato rischio di contenzioso, pur mantenendo invece contraddittoriamente il legislatore per gli appalti sotto soglia il meccanismo della esclusione automatica a discrezione della stazione appaltante, su cui è recentemente calata la scure della CGUE [31] che ne ha puntualmente rilevato il contrasto con il diritto comunitario.

In definitiva, anche il Codice contratti conferma la tendenza evolutiva verso nuove forme di contraddittorio, e senza in questo caso lasciar spazio a forme di sanatoria processuale, salvo eventuali letture con finalità di conservazione dell’attività amministrativa da parte della giurisprudenza, secondo i criteri che verranno esaminati al par 6 e 6.1.

Altre ipotesi rilevanti potrebbero ben ravvisarsi negli art 14 e 46 Codice beni culturali e paesaggio (D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 e s.m.) o nell’art. 11 Codice comunicazioni elettroniche (D.lgs. 1 agosto 2003 n. 259).

In questo contesto, l’art 10-bis l. 241/90 appare in prima approssimazione come istituto innovativo, ancora alla ricerca di un corretto inquadramento da parte della dottrina, al di là degli approcci a volte un po’ troppo semplicistici seguiti dalla giurisprudenza, se si eccettua qualche recente autorevole trattazione sistematica che ne sottolinea soprattutto il fine di “prevenire e deflazionare il successivo contenzioso originato dall’impugnazione del provvedimento [32]”. In particolare, non

appare per nulla scontata la natura partecipativa con valenza esclusivamente o prevalentemente istruttoria, così come il carattere formale anche ai fini della “sanatoria processuale” ex art 21-octies [33] e dell’esercizio del potere di convalida ex art.21-nonies.

1.2 Gli interessi c.d. partecipativi, carattere della strumentalità e il problema della effettiva tutela (cenni).

Il problema della natura giuridica dell’interesse alla partecipazione procedimentale ha originato diverse tesi in dottrina, mentre la giurisprudenza si è consolidata nel senso della consistenza di interesse legittimo c.d. partecipativo, di valenza strumentale rispetto al bene della vita tutelato in sede procedimentale e giurisdizionale. In dottrina, una prima tesi propende per ricostruire la situazione giuridica soggettiva derivante dalla legittimazione ad intervenire nel procedimento come interesse legittimo [34]. Altra tesi assegna all’interesse partecipativo natura distinta dall’interesse legittimo, ma anche dal diritto soggettivo.

Entrambe le impostazioni però convergono in buona sostanza nel riconoscere la strumentalità della posizione sostanziale, come tale non oggetto di tutela autonoma ma in quanto utile per il conseguimento dell’utilità finale, ovvero della pretesa sostanziale, sia essa di tipo pretensivo od oppositivo. Ulteriore conferma della strumentalità viene riproposta recentemente anche dalla stessa Adunanza Plenaria, la quale nelle note pronunce in tema di accesso dell’aprile 2006, pur senza prendere “salomonicamente” posizione sulla questione della natura giuridica, riconosce nel “diritto” di accesso “una situazione soggettiva che più che riconoscere utilità finali, risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante di diritto o interesse [35]”.

Del resto, lo stesso fondamentale arresto della Plenaria in tema di danno da ritardo, conferma in relazione alla violazione dell’obbligo di concludere il procedimento entro il termine finale di cui all’art 2 l.241/90 la rilevanza strumentale delle norme sul procedimento rispetto all’utilitas finale, alla spettanza del bene della vita. La precisazione è fondamentale non solo quanto alle conseguenze in punto di legittimità o meno del provvedimento finale assunto in violazione delle norme sulla partecipazione, ma anche sotto il profilo risarcitorio autonomo, ammesso che la tutela risarcitoria costituisca un mezzo di tutela adeguato allo scopo.

Altra ricostruzione invalsa in dottrina considera la “pretesa partecipativa” quale diritto soggettivo, diritto a sé stante tutelato in modo autonomo dall’ordinamento [36], nell’ottica di una concezione paritaria se non lato sensu negoziale dell’attività amministrativa [37].

La previsione del “giusto procedimento” tra i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU (art 6), oltre che dal diritto comunitario (art 41 Carta europea diritti dell’uomo), potrebbe rafforzare questo ragionamento. Come noto, la giurisprudenza della CGUE è costante nell’affermare l’indifferenza per la qualificazione interna degli interessi protetti a livello comunitario, nel noto doppio limite della “effettività” ed “equivalenza” [38]. Tuttavia, l’effettività della tutela potrebbe dirsi pregiudicata dal momento in cui l’ordinamento italiano nell’ottica dell’”identità del risultato” più che del “conseguimento dello scopo”, sacrifica sull’altare del risultato finale dell’azione amministrativa il diritto/interesse ad essere coinvolti nelle decisioni sfavorevoli.

Né par possibile ricostruire la pretesa alla partecipazione in termini civilistici di diritto di credito nei confronti della PA all’adempimento degli obblighi procedimentali, tesi peraltro autorevolmente sostenuta in dottrina principalmente ma non solo, in riferimento all’obbligo di concludere il procedimento nel rispetto del termine finale [39].

Sulla scia di questa impostazione sarebbe lecito sostenere l’esistenza dei diritti soggettivi alla comunicazione di avvio, di accesso agli atti, di conclusione del procedimento entro il termine legale, nonché da ultimo alla comunicazione dei motivo ostativi all’accoglimento dell’istanza introdotto dall’art 10-bis [40], quali posizioni sostanziali del tutto autonome dal bene della vita oggetto dell’interesse legittimo, tutelabili dall’ordinamento secondo criteri autonomi.

Al di là del problema della qualificazione dogmatica dell’interesse partecipativo, che rischia di apparire fine a sé stesso, rimane sul tappeto il problema della compatibilità con il parametro di effettività comunitaria dei rimedi offerti dall’ordinamento interno contro la violazione delle regole del contraddittorio c.d. utile.

E ciò è ancora più evidente nei procedimenti in cui la partecipazione è diretta alla tutela di interessi sostanziali di diretto rilievo comunitario ove il contraddittorio è garanzia per l’esercizio dello stesso, come nella fattispecie esaminata sub 1.1 del sub procedimento di valutazione dell’anomalia delle offerte economiche per l’aggiudicazione di appalti pubblici

Una parziale ma insoddisfacente risposta può rinvenirsi nella ricostruzione della natura giuridica della responsabilità da lesione di interesse legittimo in termini di responsabilità precontrattuale o contrattuale da “contatto qualificato”, prescindente dal giudizio prognostico di spettanza del bene della vita come presupposto del risarcimento. Tale modello di responsabilità, invero tendenzialmente recessivo e decisamente oggi minoritario in giurisprudenza [41], valorizza le garanzie procedimentali di cui alla legge 241/90 come regoli legali tipiche di correttezza da parte della PA, da rispettare a prescindere dal risultato finale, circa le modalità ed i tempi stabiliti dalla legge per l’esercizio del potere autoritativo, secondo i principi di legalità e buon andamento.

Così opinando, a prescindere dal problema della quantificazione del danno, la violazione del giusto procedimento - ma anche del termine finale per la conclusione del procedimento - integra una violazione dei parametri di correttezza e buona fede ex art 1337-38 c.c. o ex art 1375 c.c. idonea a fondare una pretesa risarcitoria [42].

Come si vedrà al par 4, seguendo la tesi della responsabilità da “contatto qualificato”, sarebbe evidente il disvalore del comportamento amministrativo elusivo del “giusto procedimento”e dell’art 10-bis, magari poi aggravato dalla integrazione in giudizio dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, in una logica unilaterale dell’esercizio del potere come visto ripudiata dal diritto amministrativo europeo.

In altre parole, l’art 10-bis, laddove applicabile, comporta un obbligo di collaborazione con gli interessati la cui violazione sarebbe senz’altro apprezzabile sia in termini di colpa ex art. 1218 c.c., che di violazione dei canoni di correttezza e lealtà ex art 1337-38 c.c. e indipendentemente dal giudizio di spettanza del bene della vita (rectius come bene della vita autonomo) fermo restando la difficoltà sul piano probatorio del danno sofferto.

D’altronde è oramai consolidato l’orientamento pretorio che sancisce la responsabilità di tipo precontrattuale della PA in presenza di comportamenti procedimentali lesivi del dovere di correttezza e buona fede scolpiti dagli art 1337-1338 c.c., a prescindere dalla legittimità o meno del provvedimento finale, essendo la fonte del danno non il provvedimento ma proprio il comportamento scorretto amministrativo se ed in quanto lesivo dell’affidamento incolpevole ingenerato nei confronti dell’interessato. Tale orientamento, maturato in riferimento ai procedimenti di evidenza pubblica per l’aggiudicazione di contratti in ipotesi di esercizio legittimo ma scorretto del potere di autotutela con funzione di riesame, potrebbe essere recepito anche per la tutela risarcitoria degli interessi procedimentali, come rimedio al decifit di tutela attuale.

La riconducibilità del danno non all’attività provvedimentale ma al comportamento determina una relazione qualificata che potrebbe assumere rilievo sul piano risarcitorio, naturalmente sussistendo gli elementi costitutivi della responsabilità precontrattuale richiesti dagli art. 1337-38 c.c., tra cui in particolare la lesione di un affidamento incolpevole [43].

Indipendentemente dalla natura giuridica della responsabilità da lesione di interessi procedimentali, si ritiene che la via della tutela risarcitoria possa ritenersi oggi imposta in quanto costituzionalmente orientata al principio di effettività della tutela giurisdizionale contro l’attività amministrativa codificato dall’art 113 Cost., norma che comunque interpretata non può lasciare completamente priva di tutela la posizione sostanziale dell’ interesse legittimo. Anche a voler sostenere che l’art 113 Cost. non imponga la tutela demolitoria come unico strumento defensionale contro l’attività illegittima richiamandosi ad una concezione sostanziale di interesse legittimo, non può non condividersi che comunque l’art 113 “fondi piuttosto e per l’appunto la generalità e la pienezza della tutela giurisdizionale nei confronti della PA” imponendo comunque una tutela, pur se diversa

da quella classica demolitoria e conformativa, ponendosi altrimenti l’art 21-octies sul piano della incostituzionalità [44].

Milita inoltre in questo senso la stessa caduta della pregiudiziale amministrativa ad opera della oramai consolidata giurisprudenza della Cassazione, lasciando all’interessato l’opzione tra tutela di annullamento nel termine di decadenza ex art 21 l. TAR e tutela risarcitoria nel termine di prescrizione decorrente dall’evento di danno. Infatti, la non annullabilità del provvedimento ex art 21-octies non dovrebbe a maggior ragione pregiudicare l’azione risarcitoria, per l’impossibilità di coltivare con successo una azione demolitoria preclusa ope legis, per carenza di interesse.

Tanto che anche opinando nel senso della permanenza della pregiudizialità alla stregua del dominante orientamento della giurisprudenza del G.A., non si vedono ostacoli seri all’esercizio dell’azione risarcitoria, dal momento che la regola della pregiudiziale ha un senso logico ex art 3 e 97 Cost. soltanto laddove il danno derivi da un provvedimento che sia annullabile in giudizio.

Ma a prescindere dal risarcimento, certo è che il principio di buona amministrazione di cui all’art 41 Carta di Nizza, conforma il rapporto tra cittadini ed Istituzioni nel senso della reciproca lealtà e collaborazione.

Resta sullo sfondo del diritto positivo una tutela degli interessi partecipativi nell’ordinamento interno, specie a seguito dell’entrata in vigore dell’art 21-octies, oggi scarsamente apprezzabile sul piano della effettività ed efficacia, e di dubbia compatibilità sia sotto il profilo comunitario che costituzionale, specie mediante il richiamo alla disciplina interposta contenuta nella CEDU, come costantemente interpretata dalla Corte europea.

1.3 La partecipazione nella l. 15 del 11 febbraio 2005: una contraddizione di fondo.

E’ opinione diffusa in dottrina come l’istituto della partecipazione in senso istruttorio esca a seguito dell’entrata in vigore della l. 2005 n. 15 complessivamente “mortificato,” al di là di apparenti aperture in senso ampliativo. Indubbiamente il nuovo testo del Capo Terzo della l. 241/90 sembrerebbe aver potenziato e non di poco la partecipazione procedimentale nel suo complesso.

Inanzitutto e in termini generali, il richiamo operato dal testo novellato dell’art 1 l.241 ai principi comunitari tra i principi fondamentali dell’azione amministrativa, al di là del valore di mero recepimento di un principio già pacificamente vigente per la primazia del diritto comunitario, parrebbe significare l’intenzione di valorizzarne ulteriormente l’efficacia.

Passando all’esame del Capo Terzo “Partecipazione al procedimento amministrativo”, l’art. 8 comma 2° c ter in senso non poco innovativo, estende espressamente la comunicazione di avvio del procedimento anche nei procedimenti ad istanza di parte, superando l’orientamento giurisprudenziale, anche se non prevalente, in senso contrario [45], dando la stura per una lettura della novella l.15 in chiave di apertura verso il principio di buona amministrazione e corretto esercizio del potere rispetto a meno convincenti teorie sulla c.d. amministrazione per risultati [46].

Poi, l’estensione dello strumento degli accordi sostitutivi in termini generali depone anche qui per la chiara volontà di valorizzare la partecipazione, affiancando con pari dignità alla conclusione del procedimento mediante provvedimento, la conclusione in via convenzionale, impregiudicata la vexata quaestio della natura giuridica negoziale o pubblicistica.

Detto che anche l’art. 11 rientra nel Capo Terzo, la possibilità che la partecipazione sfoci sempre nella sua manifestazione più estrema della definizione pattizia degli interessi coinvolti è indubbio indice di una nuova concezione di amministrazione Né pare sul punto decisivo in senso contrario, l’introduzione ad opera della novella della obbligatoria determinazione delle ragioni di pubblico interesse che inducono la PA a preferire lo strumento convenzionale, in analogia alla determinazione a contrarre di cui all’art. 11 c.2° Codice contratti e 192 T.u.e.l [47].

Si tratta di atto endoprocedimentale, di norma non autonomamente lesivo, esplicativo delle ragioni che inducono l’amministrazione ad agire in via convenzionale, e di cui ci si interroga circa i rapporti con l’accordo finale sostitutivo o di recepimento dell’accordo sul contenuto, in termini di reciproche interferenze in punto di invalidità ed efficacia.

Infine, last but not least, l’introduzione del nuovo istituto con valenza anche partecipativa del “preavviso di rigetto” sembrerebbe in prima approssimazione voler ulteriormente ampliare il contraddittorio procedimentale, pur con l’evidente limitazione dell’ambito di applicazione della norma, frutto come si dirà ampiamente di una visione miope ed esclusivamente sul piano verticale della dialettica tra cittadini e PA. L’innovativa previsione di un contraddittorio sulla proposta di provvedimento finale come tentativo di concordare o quanto meno condividere, laddove possibile, l’esito finale di alcune scelte amministrative, costituisce dunque l’ennesimo evidente indice di apparente fortissima apertura verso la partecipazione.

In questo contesto, l’introduzione da parte della l. 11 febbraio 2005 n. 15 dell’art 21-octies rischia di svuotare di significato il principio del giusto procedimento rectius del “diritto” europeo ad una buona amministrazione, oltre che del diritto fondamentale ad un processo equo ex art 6 CEDU, in forte ed evidente contraddizione con l’impianto complessivo della stessa legge generale sul procedimento [48].

1.4 La dequotazione della partecipazione procedimentale come vizio formale.

Con l’entrata in vigore dell’art 21-octies è opinione diffusa in dottrina che la prevista inidoneità della violazione degli obblighi di partecipazione ad inficiare l’annullabilità del provvedimento finale qualora sia dimostrata l’identità del contenuto dispositivo del provvedimento finale, comporti una vera e propria dequotazione del procedimento rispetto al provvedimento [49]. In controtendenza rispetto alla scelta operata nel 90, il legislatore della legge 15 sceglie così di preferire alla garanzia delle modalità con cui la PA interagisce con gli interessati, la logica del solo risultato finale e dell’”efficienza” amministrativa. Si perde di vista la centralità della partecipazione come strumento di valenza essenziale nello stesso interesse pubblico ad avvalersi dell’apporto partecipativo in chiave di collaborazione, di accertamento dei presupposti di fatto o di diritto rilevanti fino alla stessa chance di condivisione della scelta finale.

Rinviando al par 6 per la trattazione dell’art 21-octies e del rapporto con la violazione dell’art 10-bis, si rendono evidenti in prima battuta alcune considerazioni.

Anche volendo respingere il tentativo di riconoscere valenza di autonomo bene della vita all’interesse partecipativo, quanto alla prima parte dell’art 21- octies è indispensabile chiarire cosa si intenda per attività vincolata, nel fermo convincimento che in molti casi l’assioma attività vincolata/inutilità della partecipazione sia del tutto infondato, come del resto ha opportunamente chiarito parte della giurisprudenza [50].

E’ di palese evidenza come non possa parlarsi di inutilità della partecipazione allorquando pur al cospetto di attività rigidamente vincolata nell’an e nel quomodo dal legislatore, vi siano spazi di contestazione ed incertezza in merito ai presupposti di fatto per l’adozione del provvedimento.

Può farsi un chiaro riferimento al settore della repressione dell’abusivismo edilizio - attività pacificamente vincolata senza alcuna valutazione di interessi e doverosa - ove ben necessario può essere il momento dell’accertamento dei presupposti fattuali e giuridici in contradditorio con il privato interessato, quali l’avvenuto o meno completamento funzionale delle opere nei procedimenti di condono edilizio, oppure l’elemento della colpa del proprietario non autore dell’abuso ex art 29 TU edilizia

Ancora e sempre nel campo dell’edilizia, il provvedimento dichiarativo della decadenza del permesso di costruire ex art 15 TU edilizia per violazione dei termini per l’inizio e la fine dei lavori, per quanto pacificamente vincolato e di natura dichiarativa di effetti che si collegano alla scadenza del termine, rende sicuramente utile la partecipazione dell’interessato in merito all’accertamento del grado di avanzamento o meno dei lavori, in misura tale da ritenersi insussistenti i presupposti fattuali per l’adozione del provvedimento.

Ciò nonostante, in riferimento alla necessità della partecipazione in ipotesi di attività vincolata la giurisprudenza amministrativa prima dell’entrata in vigore dell’art 21-octies si era ampiamente divisa [51]. Basti pensare che anche in riferimento al nuovo istituto di cui all’art 10-bis l. 241/90 parte della giurisprudenza si sta spingendo non solo nel senso dell’applicabilità dell’art 21-octies per attività di autorizzazione di carattere vincolato, ma verso la stessa inapplicabilità tout court [52].

La dequotazione della partecipazione si colloca del resto in un più ampio disegno del legislatore della novella del 2005 di complessivo sistematico depotenziamento delle regole imposte alla PA per l’esercizio del potere finalizzate a garantire i principi fondamentali di trasparenza, pubblicità, legalità e buon andamento, tutti relegati ad un ruolo secondario rispetto al “risultato finale” [53].

Condivisibile pare allora il tentativo [54] di evitare la piena dequotazione isolando il vizio di partecipazione dagli altri vizi formali o procedimentali, ritenendo applicabile la seconda parte dell’art 21-octies anche all’attività vincolata, con tutte le diverse conseguenze in termini di onere probatorio. Si ritiene che tale tesi possa ricevere conferma oltre che sul piano testuale, dalla dimostrata rilevanza costituzionale, comunitaria ed europea della partecipazione, idonea a giustificare anche ex art 3 Cost. una tutela differenziata e preferenziale rispetto ad altri vizi “formali”.

E’ agevole però anche in questo caso ravvisarne una comoda elusione, allorchè la PA proceda ad applicare correttamente l’art 7 l. 241/90 ma senza controdedurre adeguatamente sulle osservazioni degli interessati, con conseguente obbligato ritorno alla meno garantista prima parte dell’art 21- octies sub specie di vizio “formale” di assenza o insufficienza del supporto motivazionale, con possibile rilevabilità d’ufficio della carenza di interesse al ricorso.

D’altronde, senza voler anticipare le considerazioni che saranno trattate al par 6, la sola deduzione in giudizio della natura vincolata dell’attività non pare sufficiente alla dimostrazione della non annullabilità del provvedimento, “ogni qualvolta il vincolo derivi da precisi presupposti di fatto, la cui ricorrenza è invece contestata dai motivi di gravame, proprio perché il decifit partecipativo non ha consentito di dimostrare la erroneità dei presupposti di fatto da cui muove l’amministrazione [55]”.

Così opinando, l’ambito di applicazione dell’art 21-octies c.2° primo allinea sarebbe condivisibilmente circoscritto alle sole fattispecie provvedimentali vincolate senza alcuna contestazione od incertezza in merito ai presupposti fattuali e giuridici.

La ricomprensione nel regime dei vizi formali di vizi quali l’omessa o insufficiente motivazione ex art 3 l. 241/90 o l’incompetenza relativa, rappresentano una controtendenza sia rispetto ai valori costituzionali come integrati dalla CEDU, sia rispetto al diritto amministrativo europeo.

In particolare, la violazione dell’art 3 l. 241/90 se sanabile come vizio formale ai sensi dell’art 21-octies, ma anche mediante il potere di convalida ai sensi del nuovo art 21-nonies comma secondo [56], rischia di provocare gravissime conseguenze in termini sia di diritto sostanziale che processuale.

La sostenuta possibilità di integrazione della motivazione in giudizio o motivazione postuma [57] rischia però anch’essa di infrangersi contro il muro sia dell’art 111 della Carta costituzionale che del diritto amministrativo europeo. Infatti, quanto al primo profilo l’art 111 commi 1° e 2° Cost nello stabilire che “la giurisdizione si attua con il giusto processo regolato dalla legge”, che si svolge “nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale” pare incompatibile con un sistema ove nel contesto di un processo quale quello amministrativo di legittimità ancora avente ad oggetto la demolizione dell’atto impugnato, si consenta alla PA “di mutare le carte in tavola” non motivando la propria attività e riservandosi l’onere di motivazione solo in sede giurisdizionale e secundum eventus litis.

Sotto il secondo profilo, l’art 6 della CEDU nella parte in cui riconosce come diritto fondamentale anche il diritto ad un processo oltre che entro termini temporali ragionevoli, “equo”, si rende parimenti incompatibile, specie a seguito della rilevanza costituzionale ex art 117 c. primo Cost per effetto delle sentenze n. 348 e 349 dell’ottobre 2007.

Ben coglie in giurisprudenza tale contrasto una recente ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale per contrasto con gli art 111 e 117 c.1°Cost. (oltre che con gli art 24 e 113) in relazione alla normativa in tema di abilitazione alla professione di avvocato, “nella parte in cui non prevede l’obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle operazioni di valutazione delle prove scritte d’esame” [58].

D’altronde si è visto al par 1 come la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia interpretato estensivamente l’art 6 CEDU anche in chiave di diritto amministrativo sostanziale, oltre che come garanzia processuale. Ancora, in riferimento agli atti delle istituzioni comunitarie, un orientamento giurisprudenziale seppur non pacifico afferma la regola della non integrabilità della motivazione, se non in circostanze eccezionali [59].

Il panorama giurisprudenziale interno è però prevalentemente indirizzato in senso molto diverso, sia sul versante della possibilità di integrazione della motivazione in giudizio che su quello della sufficienza della motivazione numerica nelle valutazioni effettuate dalle commissioni in sede di pubblici concorsi o di gara, sufficienza in qualche modo avallata dalla stessa Consulta che ha ripetutamente respinto le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal G.A. [60].

Merita forse allora maggior riflessione l’orientamento minoritario che a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 15/2005 assegna al vizio di violazione dell’art 3 l.241/90 natura sostanziale ed essenziale sotto il profilo strutturale, idoneo a determinarne la nullità ex art 21-septies, orientamento che ha trovato isolati ma significativi consensi anche in giurisprudenza [61].

In conclusione, la complessiva dequotazione del procedimento pare di dubbia compatibilità con le spinte provenienti dal diritto comunitario, nonché con i diritti fondamentali riconosciuti dall’art 111 della Grundnorm e dall’art 6 CEDU. Il fenomeno “tutto italiano” per cui sia consentito, a seguito di un procedimento iniquo perchè non aperto alla partecipazione, un ulteriore squilibrio della posizione delle parti in sede processuale mediante la correzione unilaterale di una motivazione errata perché non ponderata secondo gli interessi pubblici e privati coinvolti, risulta fortemente lesivo dei suesposti

diritti, e in definitiva idoneo ad incrementare l’illegalità amministrativa oltre che disincentivare l’esercizio di azioni giudiziarie [62].

2. Profili generali dell’art. 10-bis nel quadro della novella l. 15/2005.

L’art 10-bis l. 241/1990 per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 6 l. 11 febbraio 2005 n. 15 ha introdotto l’obbligo per la PA di comunicazione, nei procedimenti ad istanza di parte, dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda prima dell’adozione di un provvedimento negativo, obbligo oggi comunemente “battezzato” con il termine di “preavviso di rigetto o diniego”.

Il testo della norma è il seguente: “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”.

Il carattere del tutto innovativo pone inevitabilmente diversi nodi interpretativi, a cominciare dalla stessa natura giuridica e dalle finalità sottese, ambito di applicazione, contenuto del preavviso, forma ed effetti, nonché non ultimo, dal delicato rapporto con i procedimenti speciali disciplinati dal legislatore statale e regionale.

Pregiudiziale è pertanto lo studio sulla natura dell’obbligo previsto dall’art 10 -bis, dubitandosi fortemente sulla fondatezza della tesi, sin qui dominante tanto in giurisprudenza [63] che in dottrina [64], che lo inquadra tra gli strumenti di partecipazione procedimentale, in parallelo più o meno evidente con la comunicazione di avvio del procedimento come modello del contraddittorio procedimentale classico di tipo istruttorio [65]. In realtà, il nuovo istituto pare sfuggire da “tranquillizzanti” classificazioni dogmatiche, imponendosi la comprensione delle ragioni che hanno indotto il legislatore ad introdurre un obbligo particolarmente oneroso sul versante del principio del non aggravio del procedimento, in controtendenza rispetto ad uno scenario, quale quello delineato dalla legge 15/2005, finalizzato nel complesso alla semplificazione procedimentale.

Ci si riferisce evidentemente in particolare alla nuova disciplina del silenzio assenso, della conferenza di servizi decisoria, all’ampliamento dell’operatività della d.i.a. [66], alla azionabilità del silenzio rifiuto senza la pregiudiziale della diffida a provvedere.

Qual’è il significato e l’utilità pratica del preavviso di rigetto?

Viene da chiedersi se l’istituto sia davvero un sostanziale duplicato della comunicazione di avvio di cui all’art 7 l.241/90 posticipato alla fase decisoria, nel qual caso sorge spontaneo il forte dubbio circa l’utilità sia per lo stesso istante che per la PA, oppure strumento diverso, ma pur sempre riconducibile agli istituti partecipativi di stampo istruttorio, oppure ancora presenti caratteristiche del tutto peculiari, pur se in coerenza con l’impostazione di fondo della l.15/2005 di semplificazione

dell’agere amministrativo e di complessivo potenziamento della tutela giurisdizionale nei confronti del potere.

Ad opinione dello scrivente si impone una lettura dell’art 10-bis il più possibile in chiave di sistema, di coerenza quindi con le nuove linee fondamentali tracciate dal legislatore in riferimento all’azione amministrativa, al provvedimento, al complesso delle tutele accordate agli interessati nei confronti dell’esercizio del potere, correndo altrimenti il rischio di svuotare il preavviso di diniego di apprezzabili utilità pratiche, e con dubbi di compatibilità con il principio costituzionale di ragionevolezza.

Ma anche volendo seguire la prevalente tesi della natura partecipativa, sarebbe ugualmente opportuno partire dalla rilevanza costituzionale degli strumenti di partecipazione procedimentale, oggi sostenibile sia direttamente sulla base dell’art 97 Cost., sia in via interposta sulla base dell’art 117 c. 1° in relazione all’art 6 CEDU, con conseguenze importanti sul piano della tutela invocabile per violazione dell’obbligo imposto dall’art 10-bis.

Non meno importante è individuare l’ambito di applicazione, se esteso anche ai provvedimenti vincolati, come esclude parte della giurisprudenza e della dottrina [67], e comprendere il delicato rapporto tra art 10-bis e procedimenti speciali, ove, come vedremo, il preavviso di rigetto rischia di divenire un inutile duplicazione di garanzie di confronto dialettico già contemplate, come nel caso (ma non solo) della d.i.a.

Il problema riflette la più ampia tematica del rapporto tra disciplina generale del procedimento contenuta nella legge 241/90 e s.m. e disciplina di settore (procedimenti espropriativi, edilizi, affidamento di contratti di appalto o concessione pubblici ecc.) quasi mai definito dal legislatore [68], nonché del rapporto tra potestà legislativa statale e regionale, non certo risolto dall’ambiguo disposto dell’art. 29 l.241/90, quantomeno in riferimento al testo antecedente le modifiche apportate dalla l. 18.06.2009 n. 69. Per quanto attiene al primo, la tesi dominante va nel senso della prevalenza della disciplina procedimentale di settore [69] seppur con il limite della previsione di garanzie partecipative quanto meno similari, pena il ritorno alla più garantistica l. 241 [70].

Per quanto riguarda il riparto della potestà legislativa tra centro e regioni, l’autonomia regionale - in necessaria sintesi - pare ampiamente condizionata, tra l’altro, dall’ampiezza della potestà esclusiva statale codificata dall’art 117 Cost. in materia di l.e.d,[71] di tutela giurisdizionale, e tutela della concorrenza. Limitazioni ancora maggiori conseguirebbero dal riconoscimento in senso più radicale alla l. 241 del valore di norma costituzionale interposta ex art 117 c.1° Cost., come normativa di stretta attuazione di diversi principi quali quelli espressi dagli art 97, 111, 24, 103, 21 Cost, che si saldano insieme nella legge generale sul procedimento [72].

Il nuovo comma 2-bis dell’art, 29 l. 241/90, nel testo introdotto dalla l. 18.06.2009 n. 69, qualifica ora espressamente come livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117 secondo comma lett. m) Cost. “le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti”. Da una prima lettura, la novella pare rafforzare la potestà statale, incidendo comunque l’art 10-bis oltre che sulla partecipazione, sulla stessa durata dei procedimenti [73].

Naturalmente, maggiori spazi di intervento si impongono laddove la disciplina procedimentale di settore di matrice statale in materie concorrenti stabilisca i principi a livello regolamentare, come nell’ipotesi prevista dall’art 20 TU edilizia, ove tra l’altro la legislazione regionale [74] ben può qualificare gli effetti del silenzio in modo completamente diverso [75]. Ciò premesso, non pare di poter riconoscere significativi spazi di intervento per il legislatore regionale in riferimento all’art 10-bis, nel senso di non poterne escludere l’applicazione se non a condizione di contemplare forme di dialogo collaborativo “ paritario” similari e sostitutive [76], comunque di livello non inferiore quanto a tutela ai sensi dell’art 2-quater l. 241/90, nel testo introdotto dalla l. 2009 n. 69.

Si può discutere se il legislatore regionale possa intervenire in senso parzialmente correttivo in merito agli effetti, potendo sostituire alla davvero irragionevole previsione della interruzione dei termini anche in ipotesi di mancata ricezione delle controdeduzioni, una più coerente fattispecie di sospensione [77], così come se estendere l’ambito di applicazione della norma anche nei confronti dei terzi controinteressati, accentuandone i profili partecipativi, o ancora se possa aumentare il termine di 10 giorni a disposizione del privato per contraddire [78].

Sul punto appare poi di notevole rilevanza la tematica del rapporto tra art 10 -bis e art 19 l. 241/90, dal momento che l’attrazione delle istanze di autorizzazione e concessione nel campo della d.i.a. rischia di restringerne notevolmente l’ambito di applicazione, in riferimento alle attività vincolate e/o sottoposte a valutazioni di natura discrezionale tecnica. Questo naturalmente se si accetta l’impostazione qui seguita che nega l’operatività del preavviso di diniego alla d.i.a., come si vedrà però non seguita da un diffuso orientamento della giurisprudenza amministrativa di prime cure.

L’art 10-bis sarà allora applicabile al di fuori del campo elettivo della d.i.a., per le sole attività soggette ad autorizzazione, nulla osta, concessione licenza soggette a valutazioni espressione di discrezionalità amministrativa, o comunque per le attività che, pur vincolate, risultano escluse ex art 19 ratione materiae.

E’ allora condivisibile l’esclusione per i provvedimenti conclusivi del procedimento a contenuto vincolato, ma non per una pretesa incompatibilità tra art 10-bis e attività vincolata, bensì per l’assorbimento del 10-bis nell’art 19. Al di fuori dell’applicazione della d.i.a. non si vede infatti perchè il preavviso di rigetto non debba applicarsi anche per attività vincolate, ove indipendentemente dalla natura giuridica dell’istituto, può essere sempre utile un contraddittorio, nello spirito collaborativo e deflattivo che caratterizza l’istituto.

Del resto come visto, la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato ritiene indispensabile la partecipazione anche in ipotesi di attività vincolata laddove vi sia contestazione sull’accertamento dei presupposti per l’adozione del provvedimento [79].

Sul versante dei mezzi di tutela invocabili dall’interessato in caso di omissione della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, appare ancora una volta dirimente la questione della natura di diritto o di interesse legittimo della pretesa al rispetto dell’art 10-bis. Si vedrà che pur senza aderire alla peraltro suggestiva tesi della dignità di diritto soggettivo delle pretese partecipative, non può accertarsi la riconducibilità tout court della violazione dell’art 10-bis al regime dei vizi “formali” non invalidanti, a pena di confinare l’istituto in un limbo di inutilità, in solo danno del principio generale di non aggravio del procedimento codificato dall’art. 1 c.1°.

Pare invece scontato e pacifico in giurisprudenza il carattere endoprocedimentale dell’atto che ne esclude la immediata lesività e l’autonoma impugnabilità [80], potendosi gravare solo il provvedimento definitivo di rigetto, deducendo il vizio di insufficiente motivazione o di eccesso di potere in caso di diniego per motivi del tutto diversi da quelli indicati nel preavviso.

Un recupero dell’utilità dell’art 10-bis potrebbe invero derivare da una lettura che imponga alla PA la definizione già in sede procedimentale della fondatezza della pretesa sostanziale azionata, con una vera e propria consumazione del potere amministrativo di rigetto [81]. Così opinando sarebbe precluso alla PA non solo il rigetto finale per motivi non esplicitati nel preavviso, ma anche in sede processuale l’integrazione della motivazione in giudizio - oramai come visto nel par 1.4 ammessa dalla giurisprudenza amministrativa - così come un rigetto diversamente motivato a seguito del giudicato di annullamento, avendo già la PA esaurito il potere.

Alla peraltro evidente obiezione della elusione del principio cardine del nostro ordinamento processuale amministrativo della salvezza del riesercizio del potere amministrativo a seguito dell’annullamento giurisdizionale codificato dall’art 26 c.2° l.TAR, si può però notare come il preavviso di diniego, in qualche modo, “cristallizzi” la posizione della PA al fine della ricerca di una soluzione condivisa. Tanto da far pensare alla costituzione di un vero e proprio obbligo di clare loqui esplicitando in modo esaustivo i motivi a supporto della decisione di rigetto, fatte salve le sopravvenienze emerse in sede decisoria, obbligo quantomeno in riferimento al modello procedimentale ordinario, costantemente negato dalla giurisprudenza.

Pur dovendosi confermare il principio della inesauribilità del potere, pare che successivamente al giudicato un nuovo rigetto per motivi diversi e già deducibili in sede di preavviso avrebbe riflessi sul piano civilistico del risarcimento del danno, per violazione del canone della buona fede procedimentale e giurisdizione del G.A. laddove vi sia giurisdizione esclusiva.

Sostenere l’integrazione della motivazione in giudizio anche ove la PA abbia in sede procedimentale indicato le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza appare gravemente lesivo del principio del giusto processo, oggi costituzionalizzato con l’art 111 Cost., oltre che fonte di responsabilità risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale della PA, reputando il preavviso atto idoneo, pur se endoprocedimentale [82] ad ingenerare un legittimo affidamento in ordine al rigetto dell’istanza per i soli motivi ivi indicati.

La giurisprudenza del resto, pur non giungendo a queste conclusioni, comincia a negare l’integrazione postuma della motivazione nell’ipotesi di omissione, nel provvedimento decisorio di rigetto, delle ragioni del mancato accoglimento delle controdeduzioni al preavviso [83].

Sempre nell’ottica della semplificazione a cui si è ispirato il legislatore della l.15, non pare di poter precludere l’utilizzo del preavviso di diniego senza il necessario utilizzo della forma scritta [84]. L’amministrazione ben potrebbe preferire convocare personalmente gli istanti per comunicare i motivi ostativi o avvalersi dei mezzi telematici, come soluzione dialettica opportuna al fine di conseguire le finalità collaborative e deflattive proprie dell’istituto.

Del resto questa soluzione è accolta in parte dallo stesso legislatore quanto al procedimento di verifica e di esclusione delle offerte anormalmente basse contenuto nell’art 88 Codice Contratti, procedimento che come visto al par. 1.1 presenta molte analogie con l’art 10-bis. Né verrebbe smentita da un preteso carattere formale, anche a seguito della nullità strutturale introdotta dall’art 21-

septies l. 241/90, dell’attività amministrativa, come conferma la dottrina [85] sostenendo anche nel diritto amministrativo la valenza del principio di derivazione civilistica della libertà di forma, al di fuori dei casi naturalmente in cui la legge prescriva la nullità, cosa che non si riscontra nell’art 10-bis [86].

Senza tacere che l’applicazione del principio di matrice pretoria del raggiungimento dello scopo anche all’istituto del preavviso di rigetto, renderebbe di fatto possibile un confronto dialettico sostanziale indipendentemente dalla forma utilizzata.

Quanto infine al soggetto competente a “dirigere il contraddittorio” il primo allinea prevede una competenza concorrente del responsabile del procedimento e dell’autorità competente. Una lettura dell’art 10-bis combinata con il nuovo testo dell’art 6 l. 241/90 dovrebbe condurre a preferire la competenza del responsabile del procedimento, coerentemente con il potenziamento predecisorio del suo ruolo in riferimento alla elaborazione della proposta di provvedimento.

Non è da escludersi la possibilità per l’amministrazione, nell’esercizio della propria autonomia di organizzazione, di assegnare al titolare della potestà ad adottare il provvedimento finale anche il ruolo del contraddittorio predecisionale. Tale facoltà sarebbe però quantomai inopportuna e probabilmente illegittima per violazione dell’art 1 c. 2° l. 241 in ipotesi di procedimento ad istanza di parte con decisione finale da assumersi da parte di organi collegiali, o peggio ancora previa conferenza di servizi decisoria (vedi par. 2.10).

2.1 Finalità e natura giuridica del nuovo istituto.

L’art 10-bis è collocato al Capo III dedicato alla “Partecipazione al procedimento amministrativo” tra gli istituti quindi di partecipazione, al pari della comunicazione di avvio (art 7) dell’intervento (art 9) degli accordi (art 11).

La collocazione sistematica non pare elemento decisivo per dedurne la natura di partecipazione in senso stretto, così come il termine “diritto” utilizzato nelle rubriche degli articoli del Capo III non è mai stato ritenuto decisivo, come dimostra il costante orientamento giurisprudenziale teso alla qualificazione delle pretese partecipative come interessi legittimi procedimentali [87]. Prendendo come riferimento il modello della comunicazione di avvio già introdotto nel testo originario della l.241/90, emergono le differenze che fanno del preavviso di rigetto un istituto dai caratteri peculiari, ove il carattere partecipativo è presente ma rimane per così dire sullo sfondo, assorbito da altri elementi.

La partecipazione in senso classico di tipo istruttorio è già ampiamente soddisfatta, se rispettata dall’amministrazione, dalla comunicazione di avvio oltre che dalla presentazione di memorie e documenti, che la PA deve valutare e di cui deve fornire specifica motivazione nel caso di accoglimento. Trattasi di partecipazione, come logico che sia, aperta non solo nei confronti dei soggetti destinatari degli effetti diretti ma anche di tutti coloro che possono subire un pregiudizio, con il solo limite della facile individuabilità.

Una partecipazione limitata ai soli soggetti istanti - si pensi all’istanza per l’ottenimento di un titolo autorizzatorio o concessorio - e preclusa ai controinteressati non avrebbe alcuna logica, in contrasto con lo stesso concetto di discrezionalità amministrativa come momento di scelta e di ponderazione dei vari interessi pubblici e privati interessati dall’azione amministrativa. Sarebbe una

partecipazione assolutamente “miope e monca”, con conseguente illegittimità costituzionale per contrasto con gli art. 3, 97, 113, 117 c.1°in relazione all’art. 6 CEDU.

L’art 10-bis, in netta contrapposizione con gli istituti di partecipazione, restringe il contraddittorio ai soli soggetti istanti, pretermettendo completamente i controinteressati, ai quali non verrà mai consentito di interloquire con la PA nella fase predecisoria in ipotesi di diniego.

A me sembra che o si consente la comunicazione dei motivi ostativi anche ai controinteressati, salvandone la ratio partecipativa [88], oppure si deve ricercare altrove il fondamento e la ragion d’essere dell’art 10-bis.

La prima strada sarebbe in teoria percorribile, ma urta contro il chiaro disposto letterale del primo allinea della norma, e conferma la voluntas legis di introdurre un quid novi rispetto all’art 7 l. 241/90. Non appare invece decisivo il rilievo per cui la partecipazione procedimentale sarebbe tutelata soltanto nei procedimenti ad iniziativa d’ufficio, dal momento che come visto, risultava soltanto il frutto di orientamento pretorio non pacifico e criticato peraltro dalla dottrina.

Sul punto in ogni caso, il nuovo testo dell’art. 8 c. 2° c ter l. 241 nell’espressa estensione della comunicazione di avvio ai procedimenti ad iniziativa di parte dovrebbe assumere rilievo innovativo, in definitiva apertura della partecipazione a tutti i procedimenti. La finalità partecipativa pare invece ancora posta in contraddizione dall’esclusione contenuta nell’ultimo allinea dell’art 10-bis dall’ambito di applicazione per i procedimenti concorsuali.

L’art 13 l. 241 infatti esclude già le disposizioni sulla partecipazione per i procedimenti volti all’emanazione di atti amministrativi generali, tra cui vi rientrano i bandi di gara, di concorso pubblico et simila. La giurisprudenza, muovendo dal carattere unitario dei procedimenti concorsuali in genere, esclude per es. la necessità di applicare l’art 7 agli atti di esclusione per carenza dei requisiti di partecipazione, così come all’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria con l’aggiudicazione definitiva, essendo sufficiente la sola comunicazione personale del provvedimento [89].

Mutatis mutandis, o il legislatore ha escluso l’art 10-bis ai procedimenti concorsuali per un mero lapsus calami, oppure ha ritenuto di dover specificare l’esclusione proprio perchè consapevole della finalità partecipativa in senso soltanto lato.

Anche l’effetto interruttivo previsto dal preavviso mal si combina con la pretesa natura partecipativa. La previsione di un ulteriore contraddittorio nella fase predecisoria se intesa come un sostanziale omologo della comunicazione di avvio - anche ai fini dell’eventuale irrilevanza in termini di annullabilità giurisdizionale - porta al paradosso di un interruzione senza che l’erronea o arbitraria applicazione della norma possa sortire alcun effetto per la PA. Sarebbe ancora una volta contraddetta la stessa logica della prevalenza del risultato sulle garanzie formali sottese all’art. 21-octies, con una interruzione del procedimento imposta dalla legge a beneficio di una garanzia comunque non rilevante almeno sul piano della tutela demolitoria.

In realtà, pare che il preavviso di rigetto quale ne sia l’ambito di applicazione, risponda alla ratio di deflazione del contenzioso, mirando in chiave difensiva [90] ad un riesame da parte della PA del proprio operato, per errore nella valutazione dei presupposti di diritto o di fatto, o in chiave più strettamente collaborativa [91] ad una scelta finale condivisa, fino all’eventuale accordo sul contenuto discrezionale del provvedimento finale.

Pare cioè di poter collegare l’art 10-bis al successivo art 11, come momento in cui può emergere l’opportunità anche al fine di evitare una lite, di ricercare una soluzione pattizia, per es. concordando l’accoglimento dell’istanza subordinatamente a modifiche oppure sotto condizioni o modalità esecutive, non rare per es. nel campo dell’edilizia [92]. La ripetizione della fase istruttoria comporta la possibilità di modificare l’istanza, in modo tale da soddisfare le esigenze della PA, nell’ottica collaborativa che permea l’istituto.

Il preavviso di rigetto può cioè valere anche come stimolo per la conclusione di accordi, ultima chance posta nella fase predecisoria, di soluzione condivisa sulle modalità di esercizio del potere relativamente ad attività autorizzatorie di contenuto discrezionale amministrativo, che come si è visto dovrebbe essere l’ambito elettivo se non esclusivo di operatività dell’art 10-bis. D’altronde, la minaccia di un possibile contenzioso suscitato dalle osservazioni fornite dall’istante potrebbe veramente indurre la PA alla ricerca di una soluzione per quanto possibile condivisa, e ridare slancio ad un istituto quale quello degli accordi ancor’oggi poco utilizzato [93].

La stessa legge 15 nel novellare il testo dell’art 11 generalizzando l’utilizzo degli accordi di tipo sostitutivo, fa pensare ad un favor per modelli di amministrazione condivisa, così come del resto lo stesso comma 1-bis dell’art 1 l. 241 [94]. Così opinando, si potrebbe sostenere la non sanabilità del vizio di violazione dell’art 10-bis, per una preclusione in danno della stessa PA ad una possibile soluzione negoziata, non sacrificabile sull’altare della identità del contenuto dispositivo del provvedimento, perchè non sarebbe mai possibile a posteriori stabilire quali sarebbero stati gli esiti, nell’ambito come detto di attività private soggette prevalentemente a valutazioni discrezionali amministrative.

Ma verrebbe altresì smentita, ad avviso dello scrivente, la stessa natura formale del vizio, avendo l’art 10-bis una funzione di stimolo in chiave collaborativa alla deflazione del contenzioso, funzione mai sostituibile da un giudizio prognostico di fondatezza dell’istanza effettuabile dal G.A. [95] Pare quindi di poter confermare l’esistenza di una liaison tra l’accordo ed il preavviso, entrambi riconducibili al genus dell’esercizio consensuale del potere, o meglio costituendo il preavviso uno strumento per stimolare il perfezionamento di accordi.

Sembra quindi preferibile ricondurre l’art 10-bis a finalità di contraddittorio paritario o in contestazione, esaminato al par 1.1 oppure di natura paragiurisdizionale con finalità marcatamente deflattive. A mio avviso con l’art 10-bis si potrebbe in definitiva quasi pensare ad una sorta di “incidente procedimentale” con funzione assimilabile lato sensu ai procedimenti amministrativi giustiziali.

Richiamando l’opera di M. Nigro [96], si è di fronte ad un qualcosa che ricorda i rimedi ”rinnovatori” distinti dai rimedi eliminatori, preordinati ad un riesame in opposizione inanzi alla stessa autorità amministrativa, al fine di verificare oltre la legittimità dell’atto (qui potremo dire della proposta di atto) la formazione di un atto amministrativo idoneo a soddisfare - meglio della proposta di rigetto – lo specifico, rectius, gli specifici interessi in gioco.

In ogni caso merita rilievo la centralità dell’obbligo della PA di valutare attentamente le controdeduzioni dell’istante, dovendosi quantomeno limitare sul punto i tentativi di consentire l’integrazione postuma della motivazione in giudizio [97].

Naturalmente, ciò non esclude per il fondamentale principio della salvezza del riesercizio del potere a seguito del giudicato di annullamento, la possibilità per l’amministrazione di rigettare l’istanza per motivi diversi da quelli confutati in sede di preavviso, ma come si è visto e vedremo non

senza conseguenze sotto il profilo risarcitorio, per comportamento contrario ai doveri di buona fede ai sensi degli art 1337-1338 c.c. L’esclusione della ratio partecipativa in senso istruttorio e le esaminate divergenze rispetto alla comunicazione di avvio, si ripercuotono inevitabilmente anche sotto l’aspetto patologico, negando l’applicazione analogica del c. 2° secondo allinea dell’art 21-octies.

In parte inapplicabile, come vedremo, dovrebbe essere anche il primo allinea, non tanto perchè dall’ambito di applicazione del 10-bis dovrebbero esser estranee le attività vincolate (tesi come anticipato qui non seguita) quanto perchè la violazione dell’obbligo di preavviso non appare riconducibile al novero dei vizi di natura formale.

Proprio dalle finalità deflattive è poi possibile dedurne la natura meramente ordinatoria del termine di 10 giorni assegnato all’istante per presentare osservazioni e documenti in risposta al preavviso, non venendo meno l’obbligo di controdedurre sulle osservazioni “tardive” [98], ed essendo sempre rispondente all’interesse pubblico oltre che privato la prevenzione del contenzioso.

2.2 Ambito di applicazione della norma: i presupposti.

Problema pregiudiziale è stabilire se i casi di esclusione siano soltanto quelli codificati, o se sia possibile per ragioni sistematiche, individuarne ulteriori. Vedremo come la giurisprudenza si sia decisamente indirizzata verso quest’ultima posizione.

2.3 Procedimenti relativi ad attività vincolate.

E’ opinione oramai diffusa che il preavviso di diniego si applichi ad istanze volte ad ottenere provvedimenti di autorizzazione e/o concessione a carattere discrezionale, con esclusione per i provvedimenti a contenuto vincolato. Dottrina e giurisprudenza giustificano l’esclusione a causa dell’inutilità dell’apporto partecipativo ad apportare elementi utili alla decisione finale, quindi ancora una volta in base alla finalità di partecipazione [99].

In realtà, allo stesso risultato pare molto più corretto pervenire sulla base di argomentazioni diverse La natura di strumento partecipativo non escluderebbe tout court dall’ambito di applicazione le attività vincolate, se non in ipotesi di assoluta non contestazione dei presupposti fattuali e giuridici [100]. L’esclusione va invece ricercata nell’attrazione delle attività soggette ad autorizzazione, licenza, concessione il cui rilascio dipende esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti previsti dalla legge o da atti amministrativi generali nel campo di applicazione della d.i.a.

La d.i.a circoscrive ancor più l’operatività dell’art 10-bis allorchè si accolga la tesi invalsa presso autorevole dottrina circa l’estensione a seguito della l.15/2005 anche alle attività oggetto di valutazioni discrezionali tecniche.

Naturalmente, qualora si ritenga applicabile l’art 10-bis anche alla d.i.a., come opina parte della giurisprudenza amministrativa di prime cure, si dilaterà considerevolmente l’ambito di applicazione, ma è posizione come si vedrà sub 2.8 non condivisibile per più motivi. Negare l’applicazione del preavviso di rigetto alle attività vincolate porterebbe poi fuori dal 10-bis anche i procedimenti per il rilascio del permesso di costruire o di autorizzazione al mutamento di destinazione d’uso, cosa che non appare affatto pacifica, e smentita dalla stessa giurisprudenza [101], a conferma che al di fuori dell’ambito di operatività della d.i.a. non si può escludere a priori la cogenza della norma per i provvedimenti a contenuto vincolato.

Va detto che, a conferma della generale incertezza che permea ancora il giovane istituto introdotto dall’art 10-bis, altra tesi esclude i procedimenti per il rilascio del permesso a costruire argomentando prevalentemente dal disposto del comma 4°dell’art 20 T.U. edilizia secondo cui “Il responsabile del procedimento, qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta entità rispetto al progetto originario, può, nello stesso termine di cui al comma 3, richiedere tali modifiche, illustrandone le ragioni. L'interessato si pronuncia sulla richiesta di modifica entro il termine fissato e, in caso di adesione, è tenuto ad integrare la documentazione nei successivi quindici giorni. La richiesta di cui al presente comma sospende, fino al relativo esito, il decorso del termine di cui al comma 3.”

La norma stabilisce un rapporto dialettico tra PA e interessato sicuramente non identico quanto a contenuto ed effetti, ma molto simile quanto a ratio e finalità di collaborazione con il privato e di deflazione del contenzioso, con prevalenza qui del profilo collaborativo. Ragion per cui la tesi suesposta non sembra del tutto infondata, trovando l’istante anche in ipotesi di violazione del comma 4° art 20 TU edilizia una possibile tutela data dall’annullamento del diniego evitabile mediante l’instaurazione del contraddittorio.

E’ però ad avviso del sottoscritto decisamente preferibile la tesi dell’applicazione del preavviso, data la netta maggiore ampiezza del preavviso di rigetto (che riguarda tutti i motivi ostativi sia essi in fatto od in diritto) rispetto al solo contraddittorio sulle modifiche di modesta entità. Anche qui quindi si sottolinea ancora una volta la non incompatibilità tra 10 -bis e attività vincolate, in relazione alla “portata generale dell’istituto”, tendenzialmente applicabile “in tutti i procedimenti ad istanza di parte [102]”.

2.4 Procedimenti ad istanza di parte.

Il preavviso di diniego è applicabile ai soli procedimenti ad istanza di parte.

Non sono ad istanza di parte e quindi esclusi i procedimenti iniziati a seguito di denuncia o esposto di terzi, giacchè anche in presenza di un effettivo obbligo di provvedere in ipotesi di denuncia presentata da soggetto in posizione qualificata e differenziata – si pensi al controinteressato che si opponga ad istanza di autorizzazione edilizia, commerciale, paesaggistica ecc. – il provvedimento rimane a tutti gli effetti ad iniziativa ufficiosa [103].

Non pare inoltre riconducibile alla istanza di parte la presentazione di una mera dichiarazione di inizio di attività ex art 19 l. 241/90 o secondo la normativa di settore (d.i.a. edilizia, stazioni radio-base per la telefonia mobile), nemmeno aderendo alla tesi della natura di titolo provvedimentale tacito oggi prevalente a seguito dell’entrata in vigore della l. 15/2005.

Quale che sia la natura giuridica, la dichiarazione di inizio attività è e resta atto privato destinato a provocare l’apertura di un procedimento eventuale nell’ipotesi di riscontro negativo dei requisiti legittimanti al fine dell’emanazione dei provvedimenti inibitori e sanzionatori contemplati dal c. terzo dell’art 19 e 21 l. 241/90.

Non sono infine ad istanza di parte i procedimenti di autotutela attivati dalla PA a seguito della scadenza del termine perentorio per l’esercizio del potere inibitorio di cui al c. 3° dell’art 19 l. 241, espressione di un potere di autotutela con funzione di riesame o, se si nega la tesi provvedimentale tacita, con funzione di ripristino della legalità violata dall’attività intrapresa con la d.i.a.

2.5 Procedimenti concorsuali.

L’art 10-bis contempla l’esclusione solo per le procedure concorsuali e per i procedimenti in materia previdenziale e assistenziale “sorti a seguito di istanza di parte” e gestiti dagli enti previdenziali.

Mentre per i procedimenti in materia previdenziale il disposto normativo è chiaro, anche se forse poco comprensibile, sussiste un contrasto in giurisprudenza in ordine al concetto di procedura concorsuale, se riferito cioè ai soli concorsi pubblici [104] o in generale a tutti i procedimenti caratterizzati da valutazioni comparative al fine di attribuire vantaggi di rilievo economico, quali gare per l’affidamento di contratti, assegnazione alloggi di edilizia residenziale pubblica, di concessione di contributi economici [105]. Non è difficile prevedere che per esigenze di semplificazione connesse all’elevato numero dei partecipanti ad un procedimento concorsuale la giurisprudenza preferirà la tesi più estensiva, nell’ottica però di un complessivo ridimensionamento dell’ambito di applicazione dell’istituto.

Se si ritiene preferibile la tesi che reputa eccezionali le deroghe all’obbligo di comunicazione dei motivi ostativi, ne discende la necessità del preavviso quantomeno per tutti i procedimenti di sola valutazione e scelta di più aspiranti, con obbligo di trasparenza ed imparzialità sindacabile in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità ma senza valutazioni comparative vere e proprie, neppure per soli titoli e senza quindi valenza concorsuale.

Ci si riferisce per es. all’ipotesi degli affidamenti di incarichi di progettazione di lavori pubblici sotto la soglia di 100.000 euro ex art 91 Codice contratti, di incarichi dirigenziali interni ed esterni ex art 109 e 110 T.u.e.l., ove peraltro la natura privatistica degli atti di conferimento oramai invalsa presso la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione dovrebbe senz’altro condurre all’esclusione del preavviso [106].

Ciò detto, res melius perpensa, l’espressa esclusione per i procedimenti concorsuali appare francamente incomprensibile e frutto di un equivoco, comunque di nessuna utilità pratica. Infatti, quale sia il significato da attribuire al termine procedura concorsuale, per tutti i procedimenti sopra descritti è assente il requisito dell’iniziativa ad istanza di parte che il primo allinea dell’art 10-bis eleva a generale presupposto.

E’ infatti principio consolidato come i procedimenti concorsuali siano ad iniziativa officiosa, mediante pubblicazione di bando od avviso che ha natura di atto amministrativo a rilevanza esterna con valore assimilabile all’invitatio ad offerendum, aperto alla presentazione di domande che hanno consistenza tuttalpiù di proposte contrattuali irrevocabili ex art 1329 c.c. condizionate dall’accettazione da parte della PA, giammai di iniziativa di un procedimento già avviato con la pubblicazione della lex specialis [107].

Non si vede pertanto quali possano essere in concreto le procedure concorsuali sorte a seguito di istanza di parte di cui all’ultimo allinea della norma, se non pensando ad un utilizzo terminologico del tutto atecnico e improprio da parte del legislatore.

2.6 I casi di esclusione: non tassatività?

Resta come anticipato inizialmente la questione di fondo se le fattispecie di esclusione debbano ritenersi tipiche [108], o se invece sia possibile in base ad una interpretazione logico-sistematica addivenire ad ulteriori ambiti di totale incompatibilità con l’applicazione dell’istituto.

Quest’ultima sembra essere l’opinione preferibile, e verso cui sta decisamente virando la giurisprudenza [109].

Rinviando al par 2.8 per quanto riguarda la d.i.a., la giurisprudenza esclude l’art 10-bis in diverse altre ipotesi, come per i procedimenti giustiziali [110], per i procedimenti di controllo di nulla osta paesaggistici [111] mentre sussiste un contrasto per quanto riguarda il procedimento di accesso ai documenti amministrativi, pur prevalendo la tesi negativa.

2.7 Procedimenti di accesso ai documenti amministrativi.

Secondo recente giurisprudenza, l’art 10-bis “è norma da ritenersi applicabile anche ai procedimenti finalizzati all’accesso agli atti” con conseguente interruzione del termine di 30 giorni previsto dall’art. 25 c.4° l.241 per effetto della comunicazione di preavviso di rigetto [112]. Non vi è dubbio che l’accesso ai documenti amministrativi assuma consistenza di procedimento ad istanza di parte, anche se le finalità accelleratorie dello speciale rito camerale codificato dall’art. 25 c.4° l.241 risulterebbero gravemente lese.

Senza contare che l’attività dell’amministrazione presenta caratteri pressochè interamente vincolati [113] anche se si è già visto come la natura vincolata non possa di per sè dirsi preclusiva. Certo che pare difficile anche qui individuare la ragionevolezza dell’eventuale comunicazione di preavviso di diniego all’istante e all’insaputa del controinteressato titolare del diritto alla riservatezza.

Errata pare la tesi che esclude il 10-bis sulla base della specialità del procedimento per l’accesso. L’art 10-bis può sicuramente non trovare applicazione nei procedimenti speciali, ma solo allorquando la relativa disciplina speciale già configuri strumenti di confronto dialettico similari [114], a pena di un aggravio procedimentale francamente esorbitante. Viceversa in assenza di tali garanzie minime, non pare ci siano gli estremi per escludere un obbligo posto a garanzia del cittadino nei confronti dell’esercizio del potere nonché dello stesso interesse pubblico alla deflazione del contenzioso, per ovvie ragioni di ragionevolezza, imparzialità, buon andamento e di tutela giurisdizionale contro gli atti della PA.

Ragion per cui, a differenza di quanto si dirà per la dichiarazione di inizio attività, non sembra di poter escludere a priori l’applicazione del preavviso di diniego all’accesso ai documenti, con però necessaria integrazione del preavviso anche al controinteressato, la cui posizione specie dopo l’entrata in vigore della l.15 assume diretta rilevanza [115]. Né a conclusioni diverse si potrebbe giungere per l’ipotizzata incompatibilità tra silenzio con valore legale tipico di diniego e 10-bis, dal momento che come si dirà sub 2.9, pare esatta la tesi di segno opposto.

Come anzi si vedrà, l’eventuale risposta del titolare del diritto di accesso al preavviso di diniego fa scattare per l’amministrazione l’obbligo di adottare un provvedimento espresso e pienamente motivato in merito, con conseguente impedimento alla formazione del silenzio significativo negativo. Ciò detto, si ritiene comunque preferibile, in via strettamente interpretativa, la tesi che esclude il procedimento per l’accesso, per ragioni esclusivamente dovute all’inevitabile depotenziamento della tutela giurisdizionale a favore degli interessati.

Infatti, non solo la comunicazione del preavviso raddoppierebbe il termine breve per la conclusione del procedimento, ma lo stesso silenzio dell’amministrazione sulle osservazioni

impedendo la formazione del silenzio rigetto, costringerebbe l’interessato all’esperimento di un preventivo giudizio di silenzio-rifiuto ex art 21-bis l.TAR.

2.8 Il problema della applicabilità alla d.i.a.

Particolarmente delicato come già anticipato è il rapporto tra 10-bis e 19, ove occorre dar conto del dibattito giurisprudenziale, specie in riferimento alla d.i.a. edilizia.

Secondo infatti una prima tesi, la reiezione della d.i.a. edilizia assume consistenza “di atto reiettivo di un istanza di parte”, con conseguente cogenza dell’obbligo di comunicazione, “atteso il carattere generale della disposizione in parola” [116].

Anche alla d.i.a. codificata dall’art 87 Dlgs. 259/2003 in materia di installazione di impianti di telefonia mobile, si imporrebbe secondo argomentazioni analoghe l’obbligo del preavviso [117].

Secondo altra ricostruzione, invece, recentemente confermata dal Consiglio di Stato, l’istituto “ trova applicazione solo nell’ipotesi di adozione di un provvedimento negativo sull’istanza (di provvedimento positivo) e non nel caso di presentazione di denuncia di inizio attività e successivo ordine o diffida a non iniziare i lavori” [118].

Per i giudici di Palazzo Spada, aderendo alla tesi che ascrive la d.i.a. a strumento di semplificazione sub specie di titolo tacito provvedimentale di assenso:

a) l’ordine di non iniziare i lavori non coincide con la ipotesi di provvedimento negativo su istanza di parte;

b) vi è incompatibilità tra onere di preavviso di diniego e termine ristretto entro entro il quale l’amministrazione deve provvedere, non essendo tra l’altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso.

In aggiunta a tale autorevole arresto va sottolineato che la speciale disciplina della notifica all’interessato dell’ordine motivato di non iniziare i lavori, contenuta nel c. 6° art 23 TU edilizia, assicura già di per sé una forma di confronto e tutela del privato rispondente a finalità analoghe all’art 10-bis, con possibilità per il dichiarante di integrazione della d.i.a. con le modifiche necessarie per renderle conformi alla normativa urbanistica ed edilizia [119].

E’ chiaro che anche ricostruendo la d.i.a. in termini di istituto di liberalizzazione di attività il cui titolo legittimante trova la propria fonte direttamente nella legge - tesi che trova consensi sia in dottrina che in giurisprudenza anche dopo l’entrata in vigore della legge 15/2005 [120] – risulta palese la radicale difformità tra provvedimento di rigetto di istanza e ordine inibitorio.

Riprendendo le fila del rapporto con il preavviso, si reputa che qualunque sia la tesi che si voglia seguire in merito alla natura della d.i.a., dovrebbe senz’altro escludersi, nonostante il silenzio del legislatore sul punto, l’operatività dell’obbligo di preavviso, oltre che per incompatibilità intrinseca, in base al generale principio del divieto di aggravio del procedimento, “se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria” codificato dall’art 1 c. 2° l. 241/90, in base ad una lettura costituzionalmente orientata ex art 3 Cost.

Non può infatti reputarsi ragionevole imporre al contempo in un istituto di liberalizzazione o semplificazione, sia l’invito a conformare l’attività ai requisiti prescritti, sia la comunicazione dei motivi ostativi all’esercizio dell’attività, come visto cosa ben diversa dai motivi ostativi all’accoglimento di una istanza di tipo autorizzatorio. A maggior ragione non sarà assoggettato alla comunicazione ex art 10-bis il provvedimento sanzionatorio iniziato dopo la scadenza del termine perentorio per l’esercizio del potere inibitorio prescritto dal c. terzo art 19 l.241, trattandosi di potere riconducibile al genus dell’autotutela e quindi ad iniziativa d’ufficio. Anche qui il risultato non cambia se si segue la tesi che ascrive la dia a strumento di liberalizzazione, dal momento che almeno secondo una autorevole e condivisibile ricostruzione giurisprudenziale [121], si tratta pur sempre di potere di autotutela finalizzato al ripristino della legalità, pur senza alcuna funzione di riesame.

2.9 Rapporti con il silenzio significativo.

Spunti di riflessione offre il rapporto tra comunicazione di rigetto dell’istanza e silenzio amministrativo, con particolare riferimento alle ipotesi di silenzio c.d. significativo o con valore legale tipico.

Nessuna particolare relazione è infatti rinvenibile al cospetto di silenzio inadempimento, laddove l’emanazione di atto di preavviso di diniego non farà mai venir meno l’attualità dell’obbligo dell’amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, non avendo naturalmente il preavviso, quale atto endoprocedimentale non decisorio [122], alcuna valenza positiva rispetto all’obbligo di concludere il procedimento con provvedimento espresso. Rimane quindi intatto l’inadempimento della PA, e la relativa tutela degli interessati mediante il silenzio rifiuto codificato dall’art 21bis l.TAR.

Venendo al silenzio con valore legale tipico di assenso o diniego, sembra che l’avvento dell’art 10-bis, laddove applicabile, abbia determinato profondi cambiamenti sino a condizionarne il perfezionamento, specie in presenza di risposta da parte del destinatario del preavviso.

Ma andando per gradi, va preliminarmente risolto il nodo della stessa compatibilità del preavviso di rigetto, in ipotesi di mancata presa di posizione da parte del legislatore. Detto che il legislatore al comma 5° dell’art 20 l. 241/90 nel testo modificato dalla l. 15/2005 richiede espressamente nell’ipotesi in cui l’amministrazione voglia impedire la formazione del silenzio assenso l’applicazione dell’art 10-bis, non pare scontata la tesi, pur prevalente, della applicabilità dell’obbligo di comunicazione in caso di silienzio-diniego.

Inanzitutto perché la norma testualmente ne contempla l’applicazione solo nei procedimenti ad istanza di parte, “prima della formale adozione di un provvedimento negativo.” Non pare del tutto assimilabile alla formale adozione di un provvedimento negativo il silenzio.

Ma anche a voler concedere l’equiparazione dell’inerzia significativa alla formale adozione del provvedimento negativo, risulterebbe profondamente alterato l’istituto del silenzio diniego, che invece il legislatore mostra di voler in qualche modo ancora conservare con la previsione di cui al c. 4° dell’art 20 di non operatività del s.a. “ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza”.

Ciò premesso, appare invece decisivo il rilievo secondo cui nelle fattispecie di silenzio significativo si applica integralmente la disciplina procedimentale ordinaria, senza alcuna eccezione -

quindi anche in riferimento agli obblighi di partecipazione e comunicazione - fatto salvo la fase decisoria, sostituita ex lege dal silenzio [123].

Ne discende de plano l’operatività piena anche dell’istituto della comunicazione prescritto dall’art 10-bis.

Inoltre, l’annosa questione della compatibilità del silenzio diniego con gli art 2 c. 1° l. 241/90 e 97 Cost. nonchè con gli art 6 CEDU e 41 Carta europea di Nizza dovrebbe far decisamente virare l’interprete verso la piena applicabilità, con conseguente necessità per l’amministrazione quantomeno di esplicitare espressamente il preavviso di diniego, nell’ottica di un definitivo ridimensionamento di un istituto ampiamente recessivo, come dimostra l’oramai diffuso orientamento giuriprudenziale teso ad applicare la tutela del silenzio rifiuto ex art 21-bis l.TAR anche alle ipotesi di silenzo rigetto, come nella fattispecie di cui all’art 36 TU edilizia, o anche allo stesso art 20 [124].

Pare poi certo che l’eventuale risposta alla comunicazione genererebbe un contraddittorio procedimentale che potrebbe trovare sbocco soltanto con l’adozione di un provvedimento espresso e motivato anche in relazione all’apporto istruttorio e decisorio fornito [125].

In questa ipotesi, l’inerzia risulterebbe cioè priva di qualsiasi effetto legale, con la conseguenza di determinare un mero inadempimento all’obbligo di provvedere tutelabile ex art 21-bis l.TAR. Mentre nell’ipotesi di mancata risposta del destinatario, la comunicazione del preavviso non precluderebbe la formazione dell’effetto legale tipico di rigetto [126]. Alla stregua delle suesposte considerazioni dovrebbe allora riconoscersi l’obbligo di comunicazione del preavviso per tutte le residue fattispecie di silenzio rigetto, tra cui in primis quelle codificate dall’art 25 c. 4° l. 241/90 (vedi 2.4) e dall’ art 20 TU edilizia [127].

Quanto al silenzio assenso, nulla quaestio per quanto riguarda come anticipato la vigenza dell’obbligo, fermo restando le perduranti incertezze specie giurisprudenziali in ordine alla formazione del titolo tacito in seno ai procedimenti speciali, tra cui in primis quello di cui all’art 20 T.U. edilizia [128]. Aperta è invece la questione in merito alla qualificazione dell’inerzia della PA successiva alla comunicazione e protrattasi sino alla scadenza del termine di cui all’art 2 c. 2° o 3° l. 241/90.

Si contendono il campo due tesi contrapposte. Secondo la prima, avallata dalla giurisprudenza di prime cure, il preavviso di rigetto non è atto idoneo ad impedire la formazione del silenzio assenso, che quindi sarebbe pienamente operante stante lo strumento di generale rimedio all’inerzia amministrativa [129]. In base alla seconda tesi invalsa in dottrina, l’inserimento nell’iter procedimentale del preavviso di diniego impedirebbe invece la formazione dell’effetto legale tipico, dal momento che il successivo silenzio perderebbe i caratteri di univocità ed omogeneità necessari per la produzione dell’effetto provvedimentale positivo.

Il silenzio sarebbe “sostanzialmente disomogeneo e strutturalmente contradditorio, con la conseguenza che una sua intepretazione come silenzio significativo costituirebbe una palese violazione dei principi dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa [130]”. Così opinando, la comunicazione del preavviso farebbe scattare per la PA l’obbligo di concludere comunque il procedimento con un provvedimento espresso, con rinvio naturalmente, alla tutela del silenzio rifiuto ex art 21-bis l.TAR. La tesi è apprezzabile in punto di coerenza con i principi di buon

andamento ed imparzialità, dal momento che parrebbe eccessivo l’effetto dell’accoglimento tacito dell’istanza in presenza di un atto predecisorio inequivocabilmente di segno opposto.

Riprendendo le fila del discorso sulle finalità del 10-bis, la sostenuta “cristallizzazione” della volontà dell’amministrazione di segno negativo pur se con atto endoprocedimentale privo di valenza decisoria, pare impedire la formazione del silenzio assenso, con obbligo della PA di definire il procedimento mediante provvedimento espresso e motivato in ordine alle risultanze istruttorie del destinatario del preavviso e degli eventuali controinteressati.

E’ chiaro che in questo modo si potrebbe lamentare una eccessiva compressione dell’istituto del silenzio assenso, in contraddizione profonda rispetto al carattere di rimedio generale all’inerzia amministrativa concepito dal legislatore nella novella l.15/2005. Pare anche qui rilevante il ruolo svolto dall’eventuale comportamento del destinatario della comunicazione, nel senso che la sua mancata risposta al preavviso renderebbe oltremodo irragionevole il rimedio del silenzio assenso, mentre al contrario la presenza di controdeduzioni renderebbe forse eccessivamente penalizzante l’esclusione dell’effetto legale di assenso del silenzio.

Naturalmente, in tutte le ipotesi di silenzio significativo, il vizio di omissione della comunicazione preventiva di rigetto produrrà l’illegittimità del provvedimento finale tacito, fermo restando l’eventuale non annullabilità in applicazione dell’art 21-octies, su cui si rinvia al par. 6.1.

2.10 La conferenza di servizi decisoria e gli organi collegiali.

Profili di criticità si rinvengono anche nel rapporto tra 10-bis e conferenze di servizi di carattere decisorio, così come per procedimenti ascrivibili alla competenza quanto alla decisione finale di organi collegiali, naturalmente fermo restando l’iniziativa di parte a tutela di interessi pretensivi.

Per quanto riguarda la conferenza di servizi decisoria, gioca un ruolo non secondario l’inquadramento come modello procedimentale di decisione c.d.”polistrutturata”, o come organo straordinario amministrativo.

E’ noto che oramai dottrina e soprattutto giurisprudenza abbiano decisamente abbracciato la prima tesi [131]. Tuttavia, l’istituto della Conferenza mal si presta ad operazioni di reductio ad unitatem, dal momento che la disciplina contenuta negli art. 14 – 14 quinquies l. 241/90 come novellata dalla l. 15, ha valore generale pienamente derogabile da parte del legislatore statale in tutte le numerosissime ipotesi di conferenze speciali, le quali possono presentare caratteristiche strutturali totalmente difformi.

Basti citare qui l’interessante modello di conferenza previsto dall’art 9 Dlgs 1998 n. 114 c.d. “Bersani” tipico esempio di Conferenza che trae impulso da domanda privata e che la giurisprudenza individua come organo straordinario [132]. Così come modelli difformi di conferenze sono previsti dalla legislazione regionale [133] in materie ricadenti in competenze esclusive o concorrenti, laddove autorevole dottrina ne riconosce ampia autonomia rispetto alla disciplina “quadro” contenuta nella l. 241/90.

Fatte queste doverose premesse, è da chiedersi se il preavviso di rigetto possa applicarsi alle conferenze di servizi indette a seguito di istanza di parte, e se risolto il problema della astratta applicabilità, sia questo uno dei casi di intrinseca incompatibilità non previsto dalla legge.

E’ chiaro che la conferenza di servizi in sé è sempre convocata dall’amministrazione procedente, ma non pare questo un elemento decisivo, a differenza della prevalente opinione invalsa presso la dottrina. Infatti, ai sensi del c. 2° dell’art 14, la convocazione della conferenza “è sempre indetta quando l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga, entro trenta giorni dalla ricezione, da parte dell'amministrazione competente, della relativa richiesta. La conferenza può essere altresì indetta quando nello stesso termine è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate”

Sussiste pertanto un vero e proprio obbligo di indire la conferenza così come di concluderla nel termine massimo previsto dal c. 3° art 14-ter, il che starebbe a significare l’iniziativa pur sempre ufficiosa della conferenza.Non va però fatta confusione tra l’obbligo di iniziare il procedimento su istanza di parte e il medesimo obbligo in caso di denuncia/esposto proveniente da terzi controinteressati.

Se però si segue l’opinione della conferenza come modello procedimentale, pare che anche l’istanza di parte ad ottenere un’autorizzazione “polistrutturata” in sede di conferenza dia vita ad un procedimento che rimane a tutti gli effetti ad iniziativa di parte, generato comunque dall’istanza del soggetto interessato.

In altre parole, la presenza di un’istanza di parte volta ad ottenere un determinato titolo provvedimentale non muta a seconda delle modalità con cui il procedimento viene condotto, a seconda della presenza o meno di altre PA chiamate ad esprimere atti di assenso, nulla osta, intese ecc. come per es nell’ipotesi della conferenza speciale di cui al citato art 9 Dlgs “Bersani”. Se la conferenza “sostituisce” il provvedimento rimane invariata la fonte che ne ha originato l’inizio [134].

Argomento a favore dell’applicabilità dell’art 10-bis potrebbe discendere dalla finalità partecipativa - tesi peraltro qui non seguita - con conseguente piena operatività dell’obbligo. Va detto che la giurisprudenza, in merito alla vexata quaestio della partecipazione dei privati coinvolti in sede di conferenza [135], con recente autorevole arresto pare aver definitivamente chiarito che “la valorizzazione del principio della partecipazione del privato al procedimento non consente che il suddetto principio possa essere eluso a seconda delle modalità con cui il procedimento viene condotto. Anche nei casi in cui alcune fasi vengono sostituite da diversi modelli di procedimento o di adozione delle decisioni (accordi di programma, conferenze di servizi) è onere delle amministrazioni procedenti di individuare tempi e modi per consentire la partecipazione del privato” [136]. Così opinando, anche la comunicazione dei motivi ostativi manterrebbe intatta la piena operatività in sede di conferenza, al pari delle altre comunicazioni con finalità di partecipazione (comunicazione avvio del procedimento, di approvazione della dichiarazione di pubblica utilità nel procedimento espropriativo già iniziato con l’apposizione del vincolo ecc.).

Quindi neutralità della conferenza ai fini della partecipazione. Sembra però che l’applicazione del 10-bis al modello procedimentale della conferenza susciti profili di incompatibilità in relazione alle finalità di semplificazione caratterizzanti la conferenza, come d’altronde visto per la d.i.a.

Seguendo l’oramai consolidata tesi che inquadra la conferenza come modello procedimentale, l’affermazione dell’obbligo della comunicazione del preavviso di rigetto comporterebbe, in prima approssimazione:

- l’obbligo per l’amministrazione procedente di adottare la determinazione predecisoria di rigetto ex art 10-bis, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse;

- l’obbligo per l’amministrazione procedente, ricevute le osservazioni del destinatario, di adottare la determinazione conclusiva ex c. 6 bis art 14 -ter con onere motivazionale in relazione alle osservazioni;

- l’obbligo per l’amministrazione procedente di adottare il provvedimento finale ai sensi del c.9° art 14-ter.

La comunicazione dei motivi ostativi andrebbe infatti collocata nella fase predecisoria della determinazione conclusiva della Conferenza, che dovrebbe riesprimersi a seguito delle controdeduzioni sulla proposta di provvedimento.

E’ evidente come l’innesto di questo ulteriore incidente procedimentale potrebbe avere effetti deleteri, ed in netto contrasto con la ratio di semplificazione a cui si è ispirato il legislatore.

A soluzioni diverse a parere dello scrivente potrebbe giungersi assegnando la comunicazione al responsabile del procedimento, secondo quanto dispone il primo allinea dell’art 10-bis. La collocazione della comunicazione nella fase predecisoria dovrebbe d’altronde condurre di norma alla competenza in capo al responsabile del procedimento, in base allo stesso nuovo testo dell’art 6 l.241/90, il quale al termine dell’istruttoria effettuata dovrebbe effettuare la comunicazione, con riattivazione della conferenza scaduto il termine per la presentazione delle osservazioni e successiva determinazione conclusiva e provvedimento finale. Qui la individuazione del responsabile del procedimento pare più che opportuna - come è nella norma - pressochè obbligata, a pena di un irrazionale aggravio del procedimento.

Pare allora di poter affermare che la conferenza di servizi decisoria rappresenti altro caso non tipizzato di manifesta incompatibilità con l’art 10 -bis, in base ad una lettura costituzionalmente orientata al principio di ragionevolezza e di buona amministrazione ex art. 97 Cost., nonché secondo una lettura logico-sistematica.

Forse a conclusioni parzialmente diverse potrebbe giungersi per le conferenze speciali aventi natura di veri e propri organi straordinari della PA, con comunicazione di preavviso di rigetto deliberata dalla stessa conferenza prima dell’adozione del provvedimento negativo. L’art 10-bis dovrebbe invece ritenenersi applicabile alle ipotesi, invero ad oggi del tutto residuali, di prevista ascrivibilità della competenza ad assumere il provvedimento finale di rigetto di istanza di parte ad organi collegiali, così come del resto pare confermare la giurisprudenza, richiedendo l’obbligo del preavviso in riferimento alle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura [137].

L’organo collegiale competente ad assumere l’atto conclusivo potrebbe altresì adottare l’eventuale preavviso di diniego, anche se anche qui ovvie ragioni di opportunità propendono per assegnarne il compito al responsabile del procedimento, a norma del primo allinea dell’art 10-bis.

3. Gli effetti.

La comunicazione del preavviso “ interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo”.

E’ opinione pressochè unanime in dottrina l’inopportunità della previsione di una causa di interruzione, in contrasto evidente con il divieto di aggravio del procedimento imposto dall’art 1 c.2° l.241/90 [138]. Il legislatore avrebbe infatti più ragionevolmente dovuto introdurre una causa di sospensione ai sensi dell’art 2941 c.c., evitando così la riapertura del termine finale conclusivo.

In base ad una interpretazione logico sistematica e costituzionalmente orientata ex art 3 Cost. , parte della dottrina andando al di là del nomen juris, ritiene che il preavviso di diniego determini soltanto un effetto sospensivo, pena l’insanabile contrasto con l’obbligo di non aggravio del procedimento [139].

In realtà, il chiaro dato testuale della norma non pare lasciar spazio a letture in questa direzione. La previsione legale di un effetto interruttivo e non sospensivo assume semmai rilevanza al fine dell’inquadramento dell’istituto, nel quadro come visto di una logica partecipativa del tutto sui generis, a conferma delle considerazioni svolte al par 1.

In un contesto generale poi di ampliamento del termine finale per la conclusione del procedimento da 30 a 90 giorni ad opera della l. 15 [140], l’effetto interruttivo pare assumere ancor più pregnanza, indice della volontà di assegnare al preavviso un ruolo importante, di strumento deflattivo essenziale. L’effetto interruttivo, al di là del mero lapsus calami legislativo, segna ancora una volta la rilevanza dell’art 10-bis, mettendo in forte dubbio la tesi giurisprudenziale della “sanabilità” mediante applicazione dell’art 21 octies c.2°, sia in riferimento al primo che al secondo allinea.

Interruzione del procedimento e riapertura del termine finale di 90 giorni, o del diverso termine stabilito dalla PA, hanno poco senso e sono anzi incompatibili con la natura “formale” dell’obbligo di cui all’art 10-bis, segnando un profondo iato con l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento.

Se la comunicazione dei motivi ostativi interrompe il procedimento, significa che l’amministrazione deve concentrare ogni sforzo possibile per evitare il contenzioso, ripercorrendo le verifiche in ordine alla fondatezza dell’istanza e ricercando in chiave collaborativa le soluzioni anche integrative satisfattive dell’interesse dell’istante.

La riapertura del termine impone quindi alla PA obblighi rigorosi di esame della fondatezza dell’istanza o se si preferisce del rapporto, ripetendo gli accertamenti circa i presupposti fattuali e giuridici, e riponderando gli interessi pubblici e privati in gioco, il tutto alla luce delle osservazioni pervenute.

Tutto questo, se non vale ad impedire in ipotesi di annullamento giurisdizionale il riesercizio del potere di rigetto per motivi diversi da quelli indicati nel preavviso, segna però un dovere di informazione assai rilevante ai fini della responsabilità risarcitoria, come meglio vedremo.

Tutte le considerazioni suesposte appaiono invece molto meno logiche fino a perdersi nella banalità nell’ipotesi in cui l’istante non risponda al preavviso, e preferisca evitare la strada dialettica con l’amministrazione.

Anche qui il legislatore non opera alcuna distinzione, giacchè la scadenza del termine di 10 giorni dal ricevimento del preavviso è di fatto equiparata alla risposta, così che anche il silenzio dell’interessato comporta il medesimo effetto interruttivo.

Detto che l’eventuale risposta tardiva va comunque tenuta in considerazione dall’amministrazione, come del resto opina recente giurisprudenza di prime cure [141], è davvero incomprensibile l’interruzione allorquando la PA non debba procedere al confronto dialettico sul preavviso.

Mancando l’apporto partecipativo-collaborativo l’amministrazione è priva di elementi utili per ricercare una soluzione condivisa, non potendo ex se ripercorrere diversamente l’iter logico motivazionale indicato nella comunicazione di rigetto.

Stando così le cose, l’interruzione prescritta dall’art 10-bis appare costituzionalmente illegittima per contrasto con gli art 3 (sotto il profilo della ragionevolezza) e 97 Cost. (buon andamento) specie se si considera il divieto di aggravio del procedimento di cui all’art 1 c. 2° l. 241/90 come norma interposta allo stesso art 97 al fine dello scrutinio di costituzionalità. Ciò è reso ancora più evidente nel contesto quale quello delineato dalla l. 15 di complessiva semplificazione dell’azione amministrativa e di potenziamento della tutela giurisdizionale.

Si fa riferimento anche alla nuova disciplina del silenzio rifiuto codificata dall’art 2 l. 241/90, ove l’effetto interruttivo non bilanciato dalla presentazione di controdeduzioni si risolverebbe in un inutile posticipazione dell’attualità dell’obbligo di concludere il procedimento. Né come detto pare di poter risolvere la questione reinterpretando il 10-bis in chiave di effetto sospensivo. In parte qua la norma è da ritenersi incostituzionale, auspicando sul punto un possibile intervento della Consulta mediante sentenza di accoglimento parziale o interpretativa.

Per i suesposti motivi non pare nemmeno potersi escludere un intervento “ortopedico” da parte della legislazione regionale, commutando l’effetto interruttivo con una opportuna sospensione ex art. 2941 c.c, tutelando l’interesse pubblico alla celere definizione del procedimento, in piena coerenza con i principi dell’azione amministrativa codificati dall’art 1 l.241, senza alcuna deminutio delle garanzie minime.

Resta da chiedersi poi se l’inerzia del destinatario della comunicazione possa apprezzarsi in termini di acquiescenza sulla decisione finale di rigetto, precludendo la tutela giurisdizionale amministrativa per inammissibilità del ricorso al TAR. La tesi dell’acquiescenza comporterebbe l’obbligo anche per il privato di rispondere all’amministrazione, in un quadro di contraddittorio paritario in cui la tutela del destinatario sarebbe garantita solo in presenza di un suo apporto procedimentale attivo.

Nonostante qualche opinione in senso favorevole [142], la tesi assolutamente dominante invalsa presso dottrina e giurisprudenza va nel segno della non configurabilità dell’acquiescenza in un momento antecedente la decisione finale [143], nell’ambito di una lettura dell’istituto dell’acquiescenza in termini condivisibilmente rigorosa [144]. Ritengo però rimanga qualche dubbio.

Se, come detto, la comunicazione dei motivo ostativi è atto endoprocedimentale non autonomamente lesivo, è vero che in qualche modo “cristallizza” la posizione dell’amministrazione, senza possibilità in caso di risposta di rigettare l’istanza per motivi diversi (rectius completamente nuovi), né come visto, di farlo successivamente in giudizio. La natura di istituto di “contraddittorio paritario in contestazione” con pesanti ricadute in termini di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa può allora inanzitutto far propendere per ricostruire in termini di obbligo e non di facoltà la risposta del destinatario.

Questo naturalmente non comporta alcun automatismo con l’ulteriore e distinto effetto dell’acquiescenza, ma l’inerzia potrebbe valutarsi comportamento univoco, consapevole e spontaneo circa l’abdicazione di ricorrere in sede giudiziale contro la decisione finale, già di fatto anticipata in sede di preavviso. In altre parole, la mancata contestazione in sede amministrativa del rigetto dell’istanza potrebbe dirsi incompatibile con la volontà di contestare la decisione finale in sede giudiziale, dato il legame stretto tra i 2 momenti, se si accetta la tesi che vede nell’art 10-bis un istituto di tipo “paragiurisdizionale”. In questo modo, l’aggravio procedimentale arrecato dall’interruzione sarebbe quantomeno controbilanciato dall’onere del destinatario di partecipare attivamente al confronto dialettico, pena la definitiva incontrovertibilità del rapporto controverso, quantomeno in relazione ai motivi di diniego esplicitati nel preavviso.

4. Rilevanza dell’applicazione della norma sul piano dell’eventuale tutela risarcitoria.

Uno degli aspetti di maggior interesse offerto dall’art 10-bis è dato dal rapporto con il tema quantomeno attuale della responsabilità civile della PA per lesione dell’interesse legittimo. Si è già anticipato come il riconoscimento di una tutela risarcitoria per lesione degli interessi procedimentali si reputi condizione di legittimità costituzionale dello stesso art 21-octies.

E’ noto come a distanza di dieci anni dalla storica decisione delle Sezioni Unite n. 500 del 1999 rimangono ancora irrisolte numerose questioni di fondo, in riferimento alla stessa natura della responsabilità, senza tralasciare l’elemento soggettivo, il rapporto con il giudizio di spettanza del bene della vita e il connesso problema della risarcibilità del danno da lesione della chance, i confini della reintegrazione in forma specifica, nonché last but not least il rapporto con il giudizio di annullamento [145].

Senza pretese di completezza ed in necessaria sintesi, si tratta di uno dei temi più affascinanti del diritto amministrativo, indice importante dell’effettività della tutela giurisdizionale contro la PA e della piena dignità dell’interesse legittimo quale posizione sostanziale di spettanza di un bene della vita al pari del diritto soggettivo.

Si tratta anche di una delle tematiche maggiormente lasciate all’elaborazione giurisprudenziale, registrandosi una pesante latitanza legislativa nella disciplina di questioni delicate, quali su tutte il rapporto tra giudizio risarcitorio e demolitorio, ove si registra la nota infinita querelle tra Sezioni Unite e Adunanza Plenaria.

Se è vero che all’ampio dibattito teorico fa riscontro un tutt’ora timido utilizzo della condanna al risarcimento dei danni offerta dall’art 7 l.TAR, la stessa giurisprudenza amministrativa ha provveduto, in tempi recenti, a fornire interessanti ricostruzioni sul piano dogmatico. Ci si riferisce in particolare sia alla tesi della responsabilità da “contatto sociale qualificato” invalsa presso parte della giurisprudenza sia del G.A. che del G.O., sia alla tesi della responsabilità precontrattuale da

“comportamento amministrativo scorretto” scissa dal profilo della legittimità del provvedimento e del giudizio demolitorio.

Quanto alla prima, l’indipendenza dal giudizio di spettanza del bene della vita rende praticabile la via della tutela risarcitoria per violazione in generale di interessi di tipo procedimentale, pertanto ben adattabile alla violazione dell’obbligo di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza. Come però già anticipato al par.1.2 si tratta di un modello di responsabilità oramai recessivo specialmente in giurisprudenza, ove la natura aquliana della responsabilità da lesione dell’interesse legittimo appare oramai ius receptum, pur con qualche importante ed opportuno distinguo a seconda delle diverse richieste di danno azionate dal ricorrente [146].

Vi è quindi, se vogliamo, un fenomeno di controtendenza rispetto all’ampliamento delle ipotesi di responsabilità da contatto sociale, effettuato dalla Cassazione nel campo della tutela dei diritti, a partire ma non solo dal noto caso della responsabilità del medico verso il paziente [147]. Pare di poter dire che ragionando in termini di responsabilità da contatto - quindi all’interno di una responsabilità contrattuale o precontrattuale pur in assenza di una fonte contrattuale – la violazione dell’art 10-bis potrebbe apprezzarsi come espressione di una relazione stretta tra cittadino e PA, qualificata da un contraddittorio in fase procedimentale avanzata e predecisoria.

La violazione dell’obbligo od un suo utilizzo arbitrario, come nell’ipotesi di omessa o insufficiente confutazione in motivazione delle controdeduzioni, pare senz’altro integrare una alterazione del rapporto procedimentale valutabile alla stregua di inadempimento di non scarsa importanza ex art 1455 c.c. o come comportamento contrario ai doveri di buona fede e correttezza ai sensi degli art. 1337 e 1338 c.c.

Ma la valorizzazione dell’art 10-bis sul piano risarcitorio può prescindere dalla adesione alla responsabilità da contatto, così come dalla risoluzione del problema del carattere invalidante o meno del vizio di violazione dell’art 10-bis. La giurisprudenza sia di prime cure che del Consiglio di Stato ha da tempo riconosciuto la responsabilità della PA per la violazione dei canoni civilistici di lealtà e correttezza codificati dagli art. 1337 e 1338 c.c. in occasione dell’esercizio del potere amministrativo, superando il consolidato orientamento che ravvisava a fronte dell’esercizio del potere soltanto posizioni di interesse legittimo.

Emblematico il caso dei procedimenti di aggiudicazione di contratti pubblici, ove la Cassazione riteneva inconfigurabile una responsabilità precontrattuale, assorbita dall’eventuale violazione della lex specialis sub specie di violazione delle norme di azione e dei correlati interessi legittimi al corretto esercizio del potere [148]. A fianco ed in parallelo con il sindacato di legittimità sull’esercizio del potere, sussiste oggi un canale di responsabilità indipendente collegato a comportamenti scorretti, per i quali naturalmente non si pongono problematiche di dipendenza dalla coltivazione con successo dell’azione demolitoria inanzi al G.A. [149].

Occorre riflettere se la comunicazione del preavviso di rigetto sia pertanto atto idoneo ad ingenerare nei confronti del destinatario un legittimo affidamento, e quale ne sia il contenuto. Come anticipato al par 2, la giurisprudenza esclude di norma che gli atti endoprocedimentali siano idonei a suscitare affidamenti tutelabili, avendo il solo provvedimento definitivo tale carattere.

Ma se si accetta la tesi secondo cui con la comunicazione de quo la PA debba “scoprire tutte o quasi le sue carte” con obbligo di clare loqui, avrebbe poco senso sostenere il contrario, poiché esiste

già un formale impegno al rigetto dell’istanza secondo i soli motivi esplicitati, senza che l’amministrazione possa liberamente addurre nuovi motivi. Sul punto, ed in necessaria sintesi, la comunicazione prevista dal 10-bis pare richiamare non troppo da lontano il fenomeno civilistico dell’ampliamento degli obblighi informativi nelle trattative contrattuali, recentemente valorizzato dalla Cassazione con particolare riferimento ad ipotesi a forte “asimmetria contrattuale”, sulla decisiva spinta del diritto comunitario.

L’informazione in sede di trattativa assume infatti oggi una portata molto più ampia, estesa a tutti gli elementi utili e conoscibili per la convenienza dell’affare, quindi ben oltre la sola informazione circa l’esistenza di cause di invalidità del contratto ex art. 1338 c.c. Inoltre, le Sezioni Unite in senso decisamente innovativo, aprono la strada del risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale anche alle ipotesi di perfezionamento di un valido contratto, sub specie di danno da contrattazione iniqua o meno vantaggiosa, separando quindi il giudizio di validità del contratto da quello del danno cagionato dalla violazione di obblighi informativi [150].

Pare di poter in qualche modo collegare tali sviluppi raggiunti nel diritto dei contratti anche ai rapporti di diritto amministrativo. Anche qui infatti si assiste ad un fenomeno di progressivo ampliamento degli obblighi informativi a carico della PA, e anche qui si afferma una responsabilità precontrattuale per comportamento scorretto, prescindente dal profilo della legittimità della decisione provvedimentale finale.

In entrambi i casi quindi separazione tra il profilo della patologia degli atti e quello della responsabilità per insufficiente trasparenza informativa, a testimonianza di permanenti punti di contatto tra diritto civile ed amministrativo, ed in entrambi i casi a tutela di un forte squilibrio tra le parti, nell’un caso a danno di un contraente debole, nell’altro di un cittadino “vittima” dell’esercizio del potere. Così opinando, la violazione o falsa applicazione dell’art 10-bis integra una tipica scorrettezza, risarcibile ex art 1337- 38 c.c., se fonte di danno per l’interessato a ricevere la comunicazione di avvio.

Infatti, la comunicazione dei motivi ostativi da parte dell’amministrazione pare assumere consistenza di atto pienamente idoneo ad ingenerare nei confronti del destinatario un legittimo affidamento, confidando in un possibile ripensamento della PA per erronea valutazione dei motivi esplicitati nel preavviso, non conoscendo eventuali altri ragioni ostative note alla sola amministrazione. Per es. la incompleta comunicazione dei motivi ostativi potrebbe inutilmente ingenerare affidamento incolpevole circa l’accoglimento dell’istanza, che potrebbe far leva sul superamento in sede di decisione finale, dei motivi infondati (anche se incompleti) indicati dalla PA.

Si potrebbe replicare che si tratterebbe di danno da ritardo, che la giurispudenza amministrativa in via consolidata ha sino ad oggi appiattito negli angusti limiti della positiva verifica del giudizio prognostico di spettanza del bene della vita [151], ma che l’entrata in vigore dell’art. 2 bis l.241/90 ad opera della l. 2009 n.69 potrebbe condurre a diversi esiti, sempre naturalmente in ipotesi di accertata colpa in capo alla PA.

Senza pretese di completezza, si tratta però di orientamento molto criticato da gran parte della dottrina [152], la quale non manca di sottolineare la assoluta rilevanza autonoma del bene tempo, cioè della certezza dei rapporti giuridici, interesse indipendente da quello della fondatezza della pretesa azionata dall’istante.

E nella fattispecie dell’art 10-bis verrebbe violato proprio l’interesse del soggetto che presenta istanza di autorizzazione ad evitare inutili perdite di tempo a causa di informazioni inesatte od incomplete circa la possibilità di intraprendere o meno una determinata attività, indipendentemente dall’esistenza di altri validi motivi ostativi [153].

A questo punto deve però essere esaminata specularmente anche la rilevanza dell’art.10-bis a svantaggio dell’istante. Infatti, l’inerzia del destinatario della comunicazone sarebbe di ostacolo alla tutela risarcitoria, poiché l’ art 1227 c.c. impone l’onere di collaborazione con l’amministrazione al fine di prevenire il contenzioso. L’istituto del preavviso di diniego mostra anche qui tutta la sua ratio di tutela dell’interesse pubblico alla deflazione del contenzioso.

In punto di giurisdizione non dovrebbero sussistere eccessivi dubbi sulla riconducibilità delle domande di risarcimento alla giurisdizione esclusiva del G.A. (laddove prevista) trattandosi di controversie attinenti a comportamenti pur sempre collegati all’esercizio del potere, come nell’ipotesi di legittimi affidamenti creati dalla stazione appaltante in seno ai procedimenti ad evidenza pubblica. Al di fuori invece della giurisdizione esclusiva, la posizione di diritto azionata per risarcimento danni da responsabilità precontrattuale conduce senz’altro alla giurisdizione del giudice naturale dei diritti, secondo il generale criterio di riparto della giurisdizione fondato sul petitum sostanziale.

Nessun problema di giurisdizione si pone aderendo invece alla tesi della violazione dell’art 10-bis come interesse legittimo procedimentale, ricadendo in ogni caso nella giurisdizione generale di legittimità del G.A. Si è però ampiamente visto come la logica della stretta strumentalità degli interessi legittimi procedimentali costituisca, almeno secondo la giurisprudenza, ostacolo insormontabile per la tutela risarcitoria, fatta eccezione per la tesi della responsabilità da contatto oggi però decisamente recessiva.

5. Le implicazioni in termini di motivazione finale del provvedimento di diniego.

La comunicazione del preavviso dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza determina in prima battuta la necessità per l’amministrazione di controdedurre in sede di decisione finale in ordine alle osservazioni pervenute. C’è dunque un rafforzamento dell’apparato motivazionale, sia perché occorre anticipare in sede di preavviso i presupposti in fatto ed in diritto ostativi all’accoglimento, sia soprattutto perché la motivazione dell’atto finale dovrà completarsi della valutazione in merito alle controdeduzioni, sempre che il privato non preferisca, a suo rischio e pericolo, rimanere silente [154].

D’altronde è evidente come la stessa consistenza della motivazione sia inversamente proporzionale alla complessità dell’istruttoria. Ovviamente, la motivazione del provvedimento decisorio di rigetto potrà essere anche per relationem, integrata dalle argomentazioni che conducono al mancato accoglimento ed al definitivo diniego.

Il rapporto tra motivazione anticipata e motivazione finale porta con sé diversi punti interrogativi. Il primo consiste nella necessità o meno di corrispondenza puntuale tra preavviso e provvedimento finale dal punto di vista contenutistico, problema che si reputa strettamente connesso con la stessa ratio e utilità pratica dell’istituto. Infatti, consentire una ampia integrazione postuma dei motivi anticipati in sede di preavviso renderebbe l’obbligo imposto dall’art. 10-bis un inutile formalismo privo di qualsiasi apprezzabile utilità meritevole di tutela, e vanificando anzi la potenziata tutela contro il silenzio inadempimento introdotta dalla l. 15/2005.

L’interruzione procedimentale come effetto tipico del preavviso avrebbe solo e soltanto finalità defatigatorie ed elusive del termine finale per concludere il procedimento, a fronte di un contraddittorio del tutto virtuale. Si è infatti visto come la comunicazione anticipata di diniego sia, benchè endoprocedimentale, atto idoneo ad ingenerare affidamento sulla non accoglibilità dell’istanza soltanto per i motivi ivi indicati, confidando in una diversa valutazione a seguito delle controdeduzioni in fatto e diritto.

Appare quindi incontestabile la necessità di una corrispondenza, in linea di principio, sul piano contenutistico dei due atti. [155] Occorre però individuarne il grado di dettaglio. E’ chiaro infatti che non può non riconoscersi all’amministrazione un certo margine di discrezionalità nello sviluppare i motivi proprio in relazione alle osservazioni pervenute. Si deve però trattare – e qui sta il punto – di integrazione di motivi già predeterminati in sede di preavviso, per dirla con la giurisprudenza “ di necessaria iscrizione in quello schema, non essendo consentito all’amministrazione fondare il diniego definitivo su ragioni del tutto nuove, tanto da frustrare la funzione partecipativa propria del preavviso [156]”.

Anche il Consiglio di Stato segue questa impostazione potremmo dire di “flessibilità vincolata” consentendo lo sviluppo dialettico dei motivo negativi senza corrispondenza di dettaglio, ma nel limite dei punti salienti indicati nello “schema” del preavviso [157].

Alla luce del quadro giurisprudenziale, sembra potersi dire raggiunto un ragionevole punto di equlibrio, rendendosi inevitabile consentire una integrazione della motivazione negativa in relazione alle controdeduzioni del privato, nel limite del carattere completamente innovativo rispetto alle anticipazioni contenute nel preavviso.

La tesi qui sostenuta della necessità per l’amministrazione di anticipare con il 10-bis tutte le ragioni ostative ne comporta la necessaria concentrazione in questa sede, con successivo contraddittorio già quasi interamente delineato nella sua “res litigiosa”, con richiamo alla stessa teoria del c.d. autovincolo. L’esigenza di integrazione, in altre parole, andrebbe esclusa per motivi “non dedotti ma deducibili”, mentre rimarrebbe garantita alla PA la possibilità di aggiungere anche motivi del tutto nuovi non deducibili in sede di preavviso, se resisi necessari o dalla indicazione di fatti nuovi nelle controdeduzioni del destinatario, in coerenza con la logica collaborativa che permea l’istituto.

Nondimeno, le eventuali sopravvenienze di fatto o di diritto dovranno consentire un rinnovo delle ragioni ostative. In tali evenienze non pare ipotizzabile una rinnovazione del preavviso, per evidenti ragioni di violazione del divieto di aggravio ex art. 1 c. 2° l. 241/90, con rischio di posticipazione ad libitum del termine di chiusura del procedimento. Si impone anche qui una lettura in chiave oltre che di utilità pratica, di “buona fede procedimentale”, con obblighi reciproci di attuare un contraddittorio “ad armi pari” serio ed effettivo, nell’ottica della ratio di ricerca di una soluzione extragiudiziale della controversia potenziale.

Quel che è certo è l’impossibilità per l’amministrazione di respingere l’istanza per motivi non rientranti nello “schema” del preavviso, o non resisi ex novo indispensabili sulla base di fatti nuovi controdedotti dal privato, nel qual caso non è ipotizzabile un nuovo preavviso. L’art 10-bis è norma che impone a fronte di un notevole aggravio procedimentale un contraddittorio paritario sulla proposta di provvedimento finale, altrimenti mutilato dalla indicazione di motivi parziali o di comodo.

D’altronde, per fare un parallelo tra procedimento e processo, la stessa integrazione della motivazione in giudizio è consentita, almeno secondo un orientamento seppur non certo pacifico, nel limite proprio dello sviluppo delle ragioni già dedotte in sede procedimentale, a pena di una indebita sostituzione del procedimento con il processo [158].

Una lettura più flessibile della corrispondenza tra il contenuto dei due atti conduce inevitabilmente a rilegare il 10-bis in un limbo di inutilità, in danno sia del principio di economicità e non aggravio quanto della tutela giurisdizionale contro l’esercizio del potere, prestandosi la norma ad un utilizzo quasi esclusivamente defatigatorio, al fine di posticipare l’attualità dell’obbligo di provvedere ex art 2 l. 241.

La conseguenza della mancata corrispondenza, nei termini sopra precisati, dovrà apprezzarsi come illegittimità del provvedimento decisorio di diniego per violazione o falsa applicazione dell’art 10-bis [159] - fermo restando per l’annullabilità giurisdizionale il problema della applicabilità o meno dell’art 21 -octies - con ogni conseguenza in punto di responsabilità risarcitoria, disciplinare ecc. Nondimeno, l’amministrazione potrebbe addirittura omettere completamente di motivare in ordine alle osservazioni del privato, preferendo più o meno consapevolmente posticipare le ragioni del diniego in sede processuale, contando sul benevolo orientamento giurisprudenziale favorevole alla integrazione c.d. postuma.

A parere dello scrivente, laddove sia applicabile, l’art 10-bis incide non poco sulla questione, bloccando ogni tentativo di spostare la motivazione dal provvedimento al processo, rectius con provvedimento adottato dall’amministrazione in corso di causa ed impugnabile con motivi aggiunti [160]. Diverse sono le ragioni.

Aver introdotto un incidente procedimentale di contraddittorio avanzato in sede predecisoria, con chiare finalità deflattive determina l’esigibilità normativa di ogni tentativo utile, secondo le regole della c.d. buona fede procedimentale.

Comunicare il preavviso per poi ignorare le difese del privato significa eludere completamente il tentativo di prevenire la lite, precludendo ogni strada per un eventuale accordo o ripensamento dell’autorità amministrativa. Non si tratta qui di sanare “soltanto” un vizio di insufficiente motivazione, quanto di porre rimedio alla falsa applicazione di uno strumento voluto perché idoneo a prevenire il processo, come tale insuscettibile di integrazione postuma [161]. In altre parole, e a parte le ipotesi limite di non contestazione dei presupposti fattuali, anche la natura vincolata dell’attività non esime la PA dall’esperire il tentativo di un confronto “ad armi pari” con spazi anche qui per eventuali accordi ex art 11, seguendo d’altronde un recente filone giurisprudenziale sul rapporto tra accordi e attività vincolata [162].

Non comunicare il preavviso o non controdedurre sulle osservazioni sono inadempimenti che si pongono sullo stesso piano, nel senso elusivo delle finalità sottese all’obbligo di comunicazione, senza che sia possibile alcuna sanatoria in giudizio mediante accertamenti prognostici di identità del contenuto dispositivo del provvedimento finale. L’interessato viene infatti irrimediabilmente leso nella chance offertagli dal legislatore di risoluzione in chiave collaborativa del rapporto amministrativo. D’altronde si segnala nel panorama giurisprudenziale, l’emergere di interessanti arresti nel senso del divieto di integrazione postuma in ipotesi di mancata motivazione sulle osservazioni ex 10-bis, quantomeno qualora l’atto sia espressione di valutazione discrezionale tecnica [163].

Si ritiene però preferibile ampliare tali conclusioni di matrice pretoria anche alle ipotesi di atto finale espressione di attività amministrativa vincolata, per la dimostrata rilevanza della collaborazione dialettica anche per tali segmenti di attività.

Per completare il quadro, rimane da stabilire quale sia l’onere motivazionale in ipotesi di ripensamento dell’amministrazione in accoglimento delle osservazioni pervenute. Le esigenze di tutela dei controinteressati dovrebbero richiedere anche qui l’indicazione puntuale delle ragioni che hanno indotto l’amministrazione a non rigettare l’istanza, per ovvie ragioni di trasparenza dell’operato della PA.

Tuttavia la conclusione non appare scontata. Infatti la collocazione dell’istituto di cui all’art 10-bis negli strumenti di contraddittorio “ad armi pari” in funzione deflattiva isola in parte la posizione dell’istante nei confronti dei terzi controinteressati, non a caso ignorati dalla norma, con l’effetto di limitare l’onere motivazionale soltanto in ipotesi di non accoglimento delle osservazioni contrarie al diniego.

Pertanto, in prima approssimazione, l’accoglimento delle osservazioni potrebbe limitarsi ad operare anche un mero rinvio alle argomentazioni in fatto ed in diritto dell’istante. Viene spontaneo operare un parallelo con i provvedimenti che a seguito del contraddittorio di cui all’art 88 “Codice dei contratti di lavori forniture e servizi” approvato con Dlgs n.163/2006 e s.m. - come visto nel par. 1.1 analogo all’art 10-bis - escludono l’anomalia delle offerte e ne dispongono l’aggiudicazione del contratto.

Anche su questo versante però, l’orientamento sino a poco tempo fa pacifico [164] in merito alla necessità di analitica motivazione soltanto in ipotesi di conferma della valutazione di anomalia e contestuale esclusione dalla gara risulta recentemente rimeditato da attenta giurisprudenza [165], sensibile alle esigenze di tutela delle imprese controinteressate partecipanti alla gara.

Così opinando, si potrebbe forse giungere alle medesime conclusioni anche per il provvedimento finale che rimedita il rigetto dell’istanza a seguito dell’accoglimento delle osservazioni, valorizzando il generale disposto dell’art 3 l.241/90 e con esso, la stessa posizione dei terzi controinteressati, specie ove le osservazioni abbiano fornito informazioni e soluzioni del tutto nuove e non conoscibili sulla base del preavviso, innovando l’istruttoria procedimentale. Vi è però da notare come la completa omissione della posizione dei terzi nell’art 10-bis - come visto frutto non di un mero lapsus calami [166], - parrebbe condurre in senso esattamente opposto, anche per la carenza dell’esigenza di par condicio tra i partecipanti propria dei procedimenti concorsuali, esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione della norma.

Una motivazione per relationem potrebbe per tanto reputarsi qui sufficiente.

6. Art. 21-octies l. 241/90 e nuovo regime dei vizi formali.

E’ noto come l’art 21-octies rappresenti una delle norme più innovative e al contempo criticate della l.15/2005, suscitando analisi completamente contrastanti [167].

Accanto alla tesi che ha salutato con favore il passaggio da un regime di tutela per illegittimità formale ad uno di lesività sostanziale, [168] vi è infatti un prevalente orientamento invalso in dottrina volto a denunziarne, oltre che l’incompatibilità con la struttura del processo amministrativo, lo stesso

contrasto con la Costituzione e il diritto amministrativo europeo [169]. I sostenitori dell’abbandono di una concezione di tutela demolitoria soltanto formale ritengono che l’annullamento per vizi di natura esclusivamente formale sia priva di satisfattività concreta per l’interesse del ricorrente, con una vittoria esclusivamente sul piano processuale, destinata ad essere vanificata dal successivo riesercizio del potere.

Pertanto l’art 21-octies risponderebbe ad una logica di economicità sia all’interno del procedimento che in sede processuale, evitandosi annullamenti non sorretti dalla fondatezza sostanziale della pretesa azionata, id est della spettanza del bene della vita, [170] con conseguente assimilazione all’oggetto del giudizio risarcitorio ex art 7 l. TAR [171].

Così opinando, anche le questioni di legittimità costituzionale per contrasto con gli art 103, 113 e 24 Cost. sarebbero superate sulla base della considerazione per cui l’oggetto della tutela nella Grundnorm non sarebbe l’annullamento degli atti amministrativi illegittimi, bensì l’accertamento della spettanza del bene della vita (es. l’aggiudicazione di un contratto, la realizzazione di un determinato intervento edilizio ecc.) secondo una concezione sostanziale e non processuale della posizione di interesse legittimo [172]. Il nuovo regime dei vizi formali andrebbe quindi letto nel contesto di una complessiva trasformazione dell’oggetto del processo amministrativo in giudizio sul rapporto, come ritengono da ultimo, autorevolmente, anche le Sezioni Unite della Cassazione [173], non seguita però dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato [174].

Peraltro, per giudizio sul rapporto pare doversi intendere accertamento circa la fondatezza della posizione sostanziale di interesse legittimo azionata in giudizio, senza confusioni con il giudizio amministrativo di merito o, tantomeno, di accertamento su diritti soggettivi, non essendo l’art 21-octies norma sulla giurisdizione [175].

Ben diverse sono le considerazioni effettuate da altra dottrina. Come già anticipato, la dequotazione del procedimento e delle correlate garanzie procedimentali a favore del risultato finale dell’attività amministrativa ha sollevato aspre critiche, che lo scrivente ritiene particolarmente fondate in punto di legittimità costituzionale, per la mancata previsione di una tutela alternativa rispetto a quella demolitoria.

Inoltre, lo stesso concetto di giudizio sul rapporto dovrebbe coordinarsi con le regole proprie del processo amministrativo, dove allo stato non vige la regola dell’estensione del giudicato al c.d. “dedotto e deducibile”, e ove invece sarebbe ipotizzabile la sussistenza dell’onere per l’amministrazione, una volta eccepita la non annullabilità ex art 21-octies, di dedurre in giudizio tutti i motivi ostativi alla soddisfazione dell’interesse del ricorrente se ed in quanto deducibili, con inevitabile limitazione del successivo riesercizio del potere a seguito del giudicato.

Indipendentemente dalla lettura favorevole o contraria alla norma e alla correlata questione di costituzionalità, è innegabile che allo stato attuale il nuovo regime normativo dei vizi formali lasci sul tappeto diversi nodi critici, quali:

- l’estensione dell’ambito di applicazione, con particolare riferimento quanto al primo allinea, al concetto di attività vincolata da prendere come riferimento e del significato del termine “palese”;

- la natura del provvedimento affetto da vizi formali, tra irregolarità, sanatoria legale o giudiziale e non annullabilità in giudizio;

- la rilevanza sostanziale o processuale della norma, risolta nel secondo senso dalla prevalente giurisprudenza;

- la legittimità costituzionale, oltre che l’opportunità sul piano delle scelte di politica legislativa;

- sul piano più squisitamente processuale, tra i tanti, la tipologia di sentenza che conclude il processo, se in rito per carenza di interesse o se di rigetto nel merito, nonché l’individuazione, nel primo allinea, della parte onerata dalla prova della irrilevanza del vizio sul contenuto dispositivo. Ma, ancor prima, la stessa compatibilità di un giudizio virtuale-prognostico di identità del contenuto dispositivo del provvedimento finale con il sindacato estrinseco di legittimità formale tipico della giurisdizione generale di legittimità.

In necessaria sintesi, pare pregiudiziale ai fini dell’indagine sul piano dei rapporti tra 21-octies e 10-bis chiarire il concetto di vizio formale e di attività vincolata, quali presupposti che ne condizionano la concreta incidenza sul piano della tutela giurisdizionale, fino a trasformare la norma, in ipotesi, a disposizione “pressoché innocua” [176].

Per quanto riguarda soprattutto il significato di vincolo, non si può che notare un certo margine di incertezza, non essendo chiaro se la fonte possa essere esclusivamente di origine normativa, o se possa invocarsi anche il c.d. autovincolo [177], con cui la PA consuma la propria discrezionalità vincolandosi ad agire in un modo predeterminato, come per es. nell’ipotesi di cui all’art 12 L. 241/90, di accordo ex art 11 o di atto generale.

Parimenti rilevante è la questione di fondo se il vincolo, quale ne sia la fonte, debba essere assoluto, nel senso di riferimento ai soli provvedimenti dichiarativi di effetti già prodotti per legge, oppure se possa ricomprendere anche provvedimenti sì vincolati, ma sulla base di attività di accertamento o valutazione tecnica di tipo anche complesso. Nel primo caso, è chiaro come il raggio di azione dell’art 21-octies sarebbe molto delimitato, essendo poche le fattispecie provvedimentali di natura dichiarativa, tra cui in particolare la repressione degli abusi edilizi [178] e la decadenza per mancato inizio o completamento delle opere di cui all’art 15 TU edilizia [179].

La giurisprudenza più recente ha seguito la tesì più estensiva, favorevole alla riduzione di annullamenti giurisdizionali per vizi di natura esclusivamente formale, mentre autorevole dottrina non ha mancato di circoscriverne l’applicazione in caso di non contestazione dei presupposti di fatto e non complessità del raffronto tra fattispecie completa e precetto [180].

E’ chiaro che seguendo questa impostazione di “spartiacque” all’interno del “mare magnum” dell’attività vincolata, l’ambito di applicazione dell’art 21-octies sarebbe molto circoscritto, in favore del recupero delle garanzie procedimentali.

Ma ambiguo è in definitiva lo stesso concetto di vizio formale, fondamentale al fine di stabilire la natura formale o meno del vizio di violazione dell’art 10 -bis. Si fa strada l’opinione della distinzione in generale tra forme vincolanti e non vincolanti, a seconda che la legge abbia o meno consegnato ad un determinato adempimento formale il compito insurrogabile di garantire un

particolare interesse, che richiama a sua volta la distinzione tra formalitès substantielles e non substantielles coniata dalla giurisprudenza francese, e tra forme formali e sostanziali di matrice comunitaria.

L’art 21-octies farebbe così riferimento alle sole forme non sostanziali, perché non dirette a tutelare specifici ed insurrogabili interessi individuali, o di valenza costituzionale. Così opinando, appare già assai discutibile la ricomprensione nel novero delle forme non vincolanti del vizio di violazione dell’art 3 preordinato anche alla tutela del diritto al “giusto processo” garantito dall’ art 111 Cost, pregiudicato dalla costrizione ad impugnare provvedimenti “al buio”, non adeguatamente motivati in relazione alle esigenze difensive [181].

Tanto che la giurisprudenza più recente propende ad escludere la natura formale del vizio di violazione dell’art 3 allorquando la motivazione sia inerente a provvedimenti diretti alla tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, (come le autorizzazioni paesaggistiche) abbracciando così una concezione potenzialmente molto riduttiva dell’ambito di applicazione dell’art. 21-octies [182].

Vedremo come l’istituto del preavviso di diniego non possa ritenersi norma formale, bensì norma sul procedimento rectius di partecipazione “sostanziale”diretta alla tutela di specifici interessi sia pubblici che privati, incompatibile con un giudizio prognostico di identità di risultato.

Anche la delimitazione dei confini tra primo e secondo allinea dell’art 21-octies non pare scontata.

Infatti, in prima approssimazione, parrebbe che il secondo allinea riguardi soltanto l’attività discrezionale amministrativa, con conseguente attrazione del vizio di violazione dell’art 7 sub specie di “violazione di norma sul procedimento”.

In realtà, ad avviso dello scrivente, pare decisamente preferibile la tesi, peraltro già autorevolmente sostenuta [183], che applica il secondo allinea anche all’attività vincolata, isolando il vizio di violazione dell’art. 7 da tutti gli altri vizi formali, e imponendo sempre alla PA l’onere in giudizio della prova.

Militano a favore di questa affermazione, come anticipato nel par. 1.4, oltre che ragioni sul piano testuale, non avendo il legislatore nel secondo allinea parlato di attività discrezionale, esigenze di differenziazione delle garanzie di stampo partecipativo per la dimostrata rilevanza costituzionale (97,117 c. 1° e 6 CEDU), comunitaria ed europea del contraddittorio procedimentale.

In questo modo sarebbe definitivamente superata la tendenza in atto volta a far ricadere sul ricorrente contro provvedimenti vincolati l’onus probandi circa la positiva rilevanza della partecipazione sulla decisione finale, o se si preferisce, circa la fondatezza della pretesa sostanziale azionata, in una logica di giudizio sul rapporto anziché sulla legittimità formale dell’atto impugnato [184].

Ne discenderebbe una doverosa limitazione della “dequotazione” del vizio di violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, fatta naturalmente eccezione per le ipotesi di raggiungimento dello scopo, meno “pericolose” rispetto alla ratio alla base del 21-octies, che se ne differenzia profondamente [185].

Quanto invece al centrale problema della natura della norma (su cui si rinvia al par. successivo), è rimasta tutto sommato isolata la tesi, pur autorevolmente sostenuta [186], della portata sostanziale imperniata sulla legittimità del provvedimento non annullabile ex art 21-octies, e ricondotta, secondo alcuni, alla categoria della irregolarità, secondo altri alla sanatoria ex lege o processuale. Secondo l’opinione di gran lunga prevalente specie in giurisprudenza, l’art 21-octies non incide affatto sul piano sostanziale, rimanendo il provvedimento affetto da vizi formali illegittimo, bensì sul solo piano della non annullabilità in giudizio, mediante una valutazione ex post di invariabilità del risultato finale idoneo a far venir meno l’interesse al ricorso [187].

Venendo alla discussa tematica della tenuta dell’art 21-octies sul piano della legittimità costituzionale, non si possono non condividere le forti perplessità emerse in dottrina - e ribadire le osservazioni già anticipate - peraltro forse superabili mediante interpretazione rigorosa dell’ambito di applicazione, delimitando il concetto di attività vincolata, oltre che valorizzando il disposto letterale che richiede la rilevanza “palese”, nonchè isolando il vizio di violazione dell’art 7 dagli altri.

Seguendo questa logica, si giunge al risultato di escluderne l’estensione al vizio “sostanziale” di violazione dell’art 10-bis. Non solo infatti appare già discutibile la scissione del piano della legittimità da quello della annullabilità giurisdizionale, sotto il profilo del rispetto del principio di legalità, ma la completa dimenticanza in merito alla previsione di forme di tutela alternativa rispetto a quella demolitoria/conformativa evidenzia un insanabile contrasto con gli art 103 e 113 Cost, a meno che non si voglia espungere dall’ordinamento la figura dell’interesse legittimo procedimentale e degradarlo ad interesse di fatto [188]. Tutto questo denota il rischio non solo di depotenziare a danno del cittadino la tutela in giudizio nei confronti dell’esercizio del potere, ma al contempo di favorire un fenomeno di complessivo degrado dell’attività amministrativa, consentito dalla dequotazione se non della cancellazione delle garanzie formali per la formazione della volontà dell’amministrazione, seguendo un utopistico sogno di “aziendalizzazione”dell’attivit à [189].

In altre parole, il rischio che conti solo la decisione finale a scapito della qualità della decisione sulla base di una istruttoria completa degli elementi conoscitivi forniti dai titolari di interessi coinvolti, con una spaccatura profonda tra tutela nei confronti dell’attività vincolata e discrezionale amministrativa e/o tecnica, determina un fenomeno di surrogazione del processo al procedimento, recentemente battezzato in dottrina con il termine di “processualprocedimento” [190]. Fino a chiedersi se questo sia un fenomeno collegato alla complessiva evoluzione del sindacato giurisdizionale nei confronti dell’attività amministrativa, tendente laddove vi sia discrezionalità amministrativa, a lambire sempre più il merito.

6.1 Rapporti tra art. 21-octies e violazione dell’art. 10-bis. Considerazioni finali.

Il tema del rapporto tra art 10-bis e 21-octies assume fondamentale rilevanza, tanta è l’importanza di stabilire quali siano in concreto le conseguenze ricollegabili alla mancata comunicazione del preavviso. Come peraltro già inevitabilmente anticipato, si impone una lettura che parta dal presupposto secondo cui l’art 10-bis introduce un modello procedimentale speciale, distinto da quello ordinario, a contraddittorio rinforzato di tipo “paritario”, con forte finalità di deflazione del contenzioso mediante la ricerca di soluzioni finali condivise.

Quanto alla prima parte del secondo comma dell’art 21-octies, il vizio di violazione dell’obbligo di preavviso non assume carattere formale bensì sostanziale o, richiamando la giurisprudenza francese, di “formalità substantielle”, in quanto diretta alla tutela di specifici e non

surrogabili interessi, sia privati che pubblici, e per giunta di rilievo costituzionale ai sensi degli art. 24, 97, 111, 113, 117 c.1° Cost.

Infatti, la corretta applicazione del modello procedimentale speciale risponde, da una parte, alla tutela dell’interesse del privato istante alla definizione del “rapporto” nella sede amministrativa in un ottica collaborativa e ove possibile condivisa sulla decisione finale, mentre, dall’altra, all’interesse pubblico alla prevenzione e deflazione del contenzioso. Quindi di forme dirette alla tutela di interessi specifici e non sostituibili a mezzo di un giudizio prognostico di “identità del risultato”, non essendo “sanabile” la lesione della chance ad una decisione finale condivisa e non frutto di atto autoritativo unilaterale da parte della PA.

Non si tratta infatti di ammettere la non annullabilità di un provvedimento viziato nella forma ma “sostanzialmente corretto” e privo di lesività, bensì di eludere uno strumento voluto anche e soprattutto per prevenire un contenzioso giudiziario, mediante una nuova forma di contradditorio di diretto rilievo costituzionale.

Esclusa la natura “formale” del vizio nel senso sopra precisato, rimane la natura di “norma sul procedimento”ai fini sempre dell’applicazione della prima parte del comma secondo. La non annullabilità per violazione dell’art 10-bis, laddove emerga in modo “palese” che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso, dovrebbe allora dirsi in linea di principio possibile, sempre allorquando trattasi di attività interamente vincolata ed in assenza di contestazione sui presupposti di fatto [191].

Negli stretti limiti di questo ambito la regola normativa della non annullabilità potrebbe avere un senso logico, non essendovi spazi per una soluzione condivisa né alternative. Si è visto però come assimilando la violazione dell’art 10-bis a quella sub art 7 l.241/90, sia preferibile la tesi invalsa in dottrina (ma di recente anche in giurisprudenza) che isola il vizio di violazione dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento dalle altre violazioni di norme sul procedimento, applicando la seconda parte anche in ipotesi di attività vincolata, con il risultato - in controtendenza rispetto al fenomeno di dequotazione del procedimento - di valorizzare le garanzie partecipative o lato sensu partecipative [192].

Tuttavia, è la stessa assimilazione tra art 7 e 10-bis che come visto pare errata, pur se ampiamente avallata dalla giurisprudenza. La finalità della comunicazione del preavviso non è infatti quella di partecipazione in senso classico, cioè in chiave istruttoria, propria della comunicazione di avvio, bensì di strumento atto a favorire una soluzione ove possibile negoziata, di stimolo in chiave collaborativa e difensiva alla deflazione del contenzioso.

Come ampiamente sostenuto, è istituto di contraddittorio “paritario o in contestazione” oppure di tipo paragiurisdizionale. [193] Ragion per cui la seconda parte del secondo comma dell’art 21-octies dovrebbe dirsi di per sé non applicabile, come del resto opina parte della giurisprudenza [194] e della dottrina [195].

Ma anche volendo per ipotesi assimilare comunicazione di preavviso e di avvio, la prova dell’irrilevanza della partecipazione sul contenuto dispositivo sarebbe oltremodo difficile, a fronte di una scelta discrezionale amministrativa.

Infatti, la PA sarebbe tenuta a provare in giudizio la inutilità dell’apporto partecipativo ai fini della decisione finale anche in relazione ad una possibile soluzione condivisa ex art 11 - sia mediante accordo sul contenuto che sostitutivo - in concreto sempre possibile su tutti gli elementi discrezionali anche tecnici e anche nei procedimenti finalizzati all’adozione di atti di natura vincolata [196].

Ragion per cui, anche volendo aderire a questo indirizzo, l’applicazione pratica del secondo allinea dovrebbe essere del tutto marginale.

Per quanto riguarda l’ipotesi non infrequente del rigetto dell’istanza per motivi diversi da quelli indicati nel preavviso, si è visto come sia decisamente preferibile la tesi che nega l’integrazione postuma in giudizio della motivazione, senza spazio per una “sanatoria” ex 21-octies o una convalida ex art 21-nonies, avendo l’amministrazione irrimediabilmente violato l’obbligo di indicare nel preavviso tutti i motivi ostativi “deducibili”, e fermo restando comunque l’aspetto della tutela risarcitoria ex art 1337-38 c.c.

Spazi per la non annullabilità in giudizio ex art 21-octies dovrebbero invece ammettersi per il vizio di omessa o insufficiente motivazione in relazione all’accoglimento delle osservazioni del destinatario della comunicazione, con ripensamento dell’amministrazione ed accoglimento dell’istanza. Qui non vi sono ragioni particolari legate alle finalità dell’istituto, dal momento che trattasi di tipico vizio di violazione dell’art 3 l.241/90 in relazione alle esigenze difensive dei controinteressati - che come visto risultano completamente e consapevolmente estranei rispetto all’istituto del preavviso di rigetto - vizio “formale” eventualmente non invalidante e suscettibile di integrazione postuma, nei limiti in cui ciò sia ammissibile [197].

Detto che secondo l’opinione preferibile, la ratio dell’art 21-octies non ha nulla a che vedere con l’orientamento giurisprudenziale della non annullabilità per conseguimento dello scopo [198], resta da chiarire se siano configurabili atti provenienti dall’amministrazione di contenuto diverso dal preavviso ma capaci di rendere comunque edotti gli interessati circa i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza. Alla domanda può darsi risposta affermativa, nel limite in cui sia effettivamente dato ravvisare atti di contenuto equipollente, non essendo all’uopo sufficienti comunicazioni inerenti la sola pendenza di un procedimento, semmai idonei al raggiungimento dello scopo del solo art 7 l. 241/90.

Occorrono dunque atti che garantiscano agli interessati la piena conoscenza della posizione dell’amministrazione in merito al rigetto dell’istanza, maturata a seguito del completamento dell’istruttoria e non nella sola fase del tutto iniziale, come nell’ipotesi di partecipazione dell’interessato a diversi incontri e di confutazione delle posizioni della PA con memorie scritte, realizzandosi le finalità di “contraddittorio rinforzato” volute dalla norma [199]. Anche qui però pare difficile ipotizzare il pieno rispetto “aliunde percepto” dello scopo della norma violata, avendo la comunicazione del preavviso il fine di invitare il privato a controdedurre espressamente sulla “proposta di provvedimento” al fine della riapertura dell’istruttoria procedimentale, atto dunque difficilmente surrogabile con equipollenti [200].

Ed infatti, la tesi giurisprudenziale sopra citata che applica la regola della non annullabilità per conseguimento dello scopo, parte non a caso dalla assimilazione di fondo dell’istituto del preavviso alla comunicazione di avvio del procedimento [201], tesi non condivisa nel presente testo.

Naturalmente, nell’ambito dei forti limiti sopra indicati, l’art 21-octies potrebbe trovare applicazione anche nelle ipotesi di illegittima formazione del silenzio significativo, allorquando l’amministrazione abbia contravvenuto all’obbligo di comunicare espressamente il preavviso di diniego, come visto valevole oltre che per le ipotesi di silenzio con valore di assenso, per quelle di silenzio-rigetto. Anche qui però il silenzio della PA renderà particolarmente difficile la prova della identità del contenuto dispositivo, tenendo inoltre presente quanto detto al par 2.9 circa l’incidenza della comunicazione di preavviso sulla stessa formazione del silenzio significativo, in ipotesi di risposta dell’interessato.

In conclusione il rapporto tra art 10-bis e 21-octies risente fortemente dell’inquadramento dell’istituto del preavviso, ove l’accostamento all’art 7 quale istituto di partecipazione procedimentale in senso stretto conduce alla più che possibile non annullabilità in giudizi [202]. Viceversa, secondo la ricostruzione completamente diversa seguita nel testo, la violazione o la falsa applicazione dell’art 10-bis - una volta effettuata una rigorosa delimitazione dell’ambito di applicazione della norma specie in relazione all’istituto della d.i.a. [203] - può difficilmente non dar luogo alla annullabilità in giudizio, sia secondo la logica dell’”identità di risultato” sottesa al 21-octies, che secondo l’indirizzo di matrice pretoria del “conseguimento dello scopo”.

Tutto questo in forte controtendenza rispetto al descritto fenomeno in atto della “dequotazione procedimentale”, valorizzando doverosamente le garanzie partecipative secondo il dettato costituzionale, comunitario ed amministrativo europeo [204].

A conclusioni simili non può del resto che giungersi anche per il rapporto tra nuovo regime normativo dei vizi formali ed istituti di contraddittorio “ad armi pari” analoghi all’art 10-bis, oltre che per la diretta rilevanza comunitaria degli interessi in gioco e del diritto europeo ad una “buona amministrazione”, per la non equipollenza tra violazione dell’obbligo di comunicazione del preavviso rectius dei “preavvisi di esclusione” di cui all’art 88 Codice Contratti e comunicazione di avvio del procedimento.

In parallelo con la tematica della “capacità invalidante” del vizio di violazione dell’art 10-bis, rimane poi sullo sfondo la possibile responsabilità risarcitoria dell’amministrazione per violazione delle regole di “buona fede procedimentale”, anche e soprattutto ove non sia applicabile la tutela demolitoria, distinguendo il piano della legittimità da quello del comportamento amministrativo scorretto [205].

[1] Il riferimento è al comma terzo lett. d) dell’art. 44 l. n. 88/09, che prevede “che la stazione appaltante, tempestivamente informata dell’imminente proposizione di un ricorso giurisdizionale, con una indicazione sommaria dei relativi motivi, si pronunci valutando se intervenire o meno in autotutela” creando una fattispecie di autotutela con funzione di riesame a carattere vincolato e relativo obbligo di provvedere ex art 2 l. 241/90 e 21-bis l. 1034/1971.

[2] P. QUINTO “Il nuovo processo amministrativo : la doppia delega, i due articoli 44 e l’elogio della brevità” in www.Giustamm.it. n. 8/2009

[3] E’l’autorevole tesi sostenuta da GISONDI “Il legislatore consacra la risarcibilità del danno da ritardo” in Il nuovo procedimento amministrativo commento organico alla legge 18 giugno 2009 n. 69 a cura di CARINGELLA-PROTTO 2009.

[4] F. SAITTA “Sulla negoziabilità delle condizioni cui subordinare la sanatoria degli abusi edilizi: notazioni su un’inusuale ipotesi di accordo integrativo” in Rivista Giuridica dell’edilizia 2007 pag 732, F. GOISIS “Compromettibilità in arbitri (e transigibilità) delle controversie relative all’esercizio del potere amministrativo” in Rivista Diritto processuale amministrativo 1/2006.

[5] Corte Costituzionale sentenza 17 marzo 2006 n. 104 secondo cui “la pubblicità dell’azione amministrativa ha assunto specie dopo l’entrata in vigore della l. 241/90 il valore di un principio generale, che attua sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art 97 primo comma Cost.) sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti dell’amministrazione (art 24 e 113 Cost)”. Secondo la Consulta “manifestazioni tra le più rilevanti del principio di pubblicità – oltre all’accesso ai documenti amministrativi – è l’obbligo di comunicazione dei provvedimenti amministrativi oggi sancito dall’art 21 bis l.241/90 nel testo novellato dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15”. La Consulta non ricomprende espressamente nella regola della pubblicità la comunicazione di avvio del procedimento, ma la logica perseguita può indurre l’interprete a collegare alla pubblicazione del momento finale altresì l’aspetto iniziale dell’azione amministrativa, parimenti espressione del medesimo principio. Con la sentenza in esame la Corte Costituzionale sancisce quindi definitivamente la valenza costituzionale della pubblicità dell’agere amministrativo, superando il precedente orientamento limitato alla affermazione di solo principio fondamentale dell’ordinamento

[6] Art 41 Carta dei diritti fondamentali dell’UE proclamata a Nizza il 7 dicembre 2001. Allo stato attuale le disposizioni della Carta sono però prive di effetti giuridici vincolanti, (S. CASSESE “Le basi costituzionali” in Trattato di diritto amministrativo a cura di S. CASSESE Tomo I Giuffrè 2003) pur essendo destinata ad assumere una posizione di higher low ossia di sovraordinazione al pari delle norme contenute nei Trattati, e quindi di vera e propria fonte del diritto comunitario (F. CARINGELLA Corso di diritto amministrativo Tomo I Giuffrè 2005, Tribunale primo grado UE sent. 19 febbraio 1998 causa 42/96)

[7] La nozione di contenuto sfavorevole dovrebbe trarsi nell’ordinamento interno dal disposto dell’art. 21 bis l. 241/90 in tema di efficacia dei provvedimenti, e coincidere nei provvedimenti “limitativi della sfera giuridica dei privati”, non coincidenti con i soli provvedimenti afflittivi. Vi dovrebbero perciò rientrare oltre tutti i provvedimenti che respingono istanze volte ad ottenere atti ampliativi di tipo vincolato (es. autorizzazioni et simila) anche quelli che incidono comunque negativamente sugli interessi pretensivi, come nell’ipotesi dell’aggiudicazione in favore di altro concorrente. D’altronde come esposto nel testo, il “principio di buona amministrazione” affermato dalla giurisprudenza della CGUE viene ritenuto applicabile anche ai procedimenti autorizzatori.

[8] “Il diritto ad una buona amministrazione” di F. TRIMARCHI BANFI in Trattato di diritto amministrativo europeo diretto da M.P. CHITI e G. GRECO coordinato da G.F. CARTEI E D. URANIA GALLETTA Parte Generale Tomo I Giuffrè 2007

[9] “Il diritto ad una buona amministrazione” di F. TRIMARCHI BANFI op. citata

[10] Questo non significa affatto come ben chiarito dalla Consulta la parificazione della CEDU al diritto comunitario. Infatti, mentre l’efficacia diretta del diritto comunitario trova il suo fondamento nell’art 11 Cost. ed incontra il solo limite dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione ( c.d. contro limiti), l’efficacia della CEDU va individuata in base all’art 117 c.primo Cost. con il limite del rispetto di tutte le norme costituzionali, nessuna esclusa. La normativa CEDU va dunque distinta dalle norme costituzionali, le quali rimangono pienamente sovraordinate ad essa. La Corte Costituzionale quindi, come espressamente affermato in motivazione, dichiara di non aderire all’orientamento peraltro non univoco della Cassazione (Sezioni Unite sentenza 2005 n. 28507) volto a riconoscere l’efficacia diretta al pari delle norme comunitarie, con obbligo di disapplicazione in caso di contrasto con la normativa interna primaria.

[11] S. CASSESE “Le basi costituzionali” op. citata.

[12] Ben coglie in giurisprudenza il contrasto tra CEDU e disciplina nazionale, una recente ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale per contrasto con gli art 111 e 117 c. 1° Cost. (oltre che con gli art 24 e 113) in relazione alla normativa in tema di abilitazione alla professione di avvocato, “nella parte in cui non prevede

l’obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle operazioni di valutazione delle prove scritte d’esame”.(TRGA sez. Trento ord. 5 maggio 2008 n. 31). L’ordinanza ritiene non equo un processo come quello giurisdizionale amministrativo ove l’interessato è costretto ad impugnare provvedimenti non adeguatamente motivati in relazione alle proprie minime esigenze difensive.

[13] Consiglio di Stato ordinanza 7 febbraio 2006 n. 489.

[14] Si rinvia alla descrizione delle consolidate elaborazioni giurisprudenziali del “raggiungimento dello scopo” e della “identità di risultato”.

[15] Va detto che la questione dell’esistenza di un favor per il perfezionamento di accordi non è affatto pacifica. In direzione negativa pare propendere Consiglio di Stato sentenza sez. VI 15 maggio 2002 n. 2636, dal momento che richiede come praticabilità dell’istituto (in senso fortemente riduttivo) l’esistenza di “una maggiore utilità rispetto a quella che le parti avrebbero conseguito mediante l’adozione del provvedimento finale ”. In dottrina vedi G. SCIULLO “Profili degli accordi fra amministrazioni pubbliche e privati” in Riv. trim. Diritto Amministrativo Giuffrè 4/2007 secondo cui il suesposto favor pare d’altra parte contraddetto se non escluso dalla introduzione della preventiva determinazione dell’amministrazione circa la conclusione dell’accordo, provvedimento che farebbe pensare esattamente il contrario.

[16] Decisamente contrario al concetto di annullamento per vizi soltanto formali in quanto fonte per il ricorrente di una inutile vittoria processuale è V. CAIANIELLO Manuale di diritto processuale amministrativo Utet 2003. Anche F. CARINGELLA (Manuale di diritto amministrativo Giuffrè 2007 e Corso di diritto amministrativo Giuffrè 2005) opta per una lettura tutto sommato non negativa evidenziandone l’inserimento in un contesto di oramai piena evoluzione dell’oggetto del processo amministrativo da giudizio sulla validità dell’atto impugnato a giudizio sul rapporto, pur però evidenziando la grave lacuna della mancata previsione di strumenti di tutela alternativi a quelli demolitori.

[17] Consiglio di Stato sentenza sez. VI 15 maggio 2002 n. 2636

[18] Consiglio di Stato sez. IV sent. 10 dicembre 2007 n. 6344 - conferma TAR Liguria sez. I sent. 13 giugno 2006 n. 542. - a proposito di accordo inerente la realizzazione di opere ai fini del rilascio dell’accertamento di conformità edilizia ex art 36 TU edilizia. Per l’ampliamento dell’istituto degli accordi ex art 11 all’attività discrezionale tecnica e vincolata vedi ex multis in dottrina F. CINTIOLI “Le tecniche di Alternative Dispute Resolution” in Giustamm.it n. 9/2009.

[19] F. SAITTA op. citata peraltro molto critico in ordine alla possibilità di accordi in questo tipo di attività rigidamente vincolata, non disponendo l’amministrazione di alcun spazio di scelta e ponderazione di interessi.

[20] Consiglio di Stato sez. V sent. 21 aprile 2006 n. 2254.

[21] M. CLARICH Giudicato e potere amministrativo Padova 1989.

[22] M. NIGRO Giustizia amministrativa Il Mulino 2001.

[23] E. FREDIANI Partecipazione procedimentale, contradditorio e comunicazione . dal deposito di memorie scritte e documenti al “preavviso di rigetto” in Rivista di diritto amministrativo Giuffrè 2005.

[24] F. MERUSI “Le “avventure” del contradditorio nelle recenti riforme del provvedimento amministrativo” in F. MERUSI, A FIORITTO, G. CIAGLIA, V. GIOMI, A. BERTANI Lezioni sul procedimento amministrativo Plus 2005.

[25] Appartengono a tali forme secondo l’autore l’art 11 Codice Comunicazioni elettroniche approvato con Dlgs.1 agosto 2003 n. 259 (che attua la direttiva quadro 7 marzo 2002 n. 2002/21/CE), il contradditorio nel procedimento espropriativo, infine l’art 10 bis l.241/90. L’art 11 Codice

Comunicazioni elettroniche anzi dà la stura per l’affermazione di un principio comunitario molto più generale impositivo del “contradditorio in contestazione” per tutti i provvedimenti che hanno incidenza notevole sulla libertà di impresa, con “forte impatto sul mercato di riferimento”.

[26] Anche il procedimento espropriativo sarebbe caratterizzato secondo Merusi dal contradditorio paritario. In realtà pare di poter rinvenire nell’attuale procedimento unitario delineato dal TU approvato con D.p.r. 8 giugno 2001 n. 327 ampie forme di partecipazione nelle diverse fasi (apposizione del vincolo, dichiarazione di pubblica utilità) unitamente al favor per la definizione consensuale mediante cessione bonaria, ma pur sempre nell’ambito del contradditorio in senso classico istruttorio.

[27] Con possibilità di esclusione per la mancata ottemperanza alle disposizioni del bando solamente nei confronti delle offerte che risulteranno anomale (ex multis Consiglio di Stato sez V 21 novembre 2003 n. 7615)

[28] CGUE 27 novembre 2001 n. 285-286/99 sez VI secondo cui è possibile che la norma nazionale chieda giustificazioni preventive a fini acceleratori e di semplificazione purchè non violi la regola del contraddittorio successivo, sempre necessario e non sostituibile.

[29] Trattato sui contratti pubblici a cura di M.A. SANDULLI, R. DE NICTOLIS, R.GAROFOLI Vol. III Giuffrè 2007.

[30] TAR Campania Napoli 2006 sent. n. 651, TAR Emilia Romagna II 6.11.2006 sent. n. 2875.

[31] CGUE sez IV sentenza 15 maggio 2008 C 147/2006 e 148/2006.

[32] Consiglio di Stato Commissione speciale – parere 26 febbraio 2008 n. 2518/2007.

[33] Definisce l’art 21 octies l. 241/90 come istituto di “sanatoria giudiziale permanente” TAR Campania Napoli III 14 marzo 2007 sent. n. 2075.

[34] V. CERULLI IRELLI Corso di diritto amministrativo Giappichelli 2000, G: PALEOLOGO “La legge del 1990 n. 241: procedimenti amministrativi ed accesso ai documenti dell’amministrazione” in Diritto processuale amministrativo 1991 pg 10, F. LEDDA “Problema amministrativo e partecipazione al procedimento” in Diritto amministrativo 1993 pg 140.

[35] Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 18 aprile 2006 n. 6 e 20 aprile 2006 n. 7.

[36] E. DALFINO e L. PACIONE “Basi per il diritto soggettivo di partecipazione nel procedimento amministrativo” in Foro Italiano 1992 V, A. ZITO Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo Giuffrè 1996 pg 79-80, M. RENNA “Obblighi procedimentali e responsabilità dell’amministrazione” in Riv. Trim. Diritto Amministrativo 3/2005 Giuffrè.

[37] La ricostruzione in termini di diritto soggettivo potrebbe dopo l’entrata in vigore della l. 15/2005 trovare una testuale conferma nella rubrica dell’art 10 l. 241/90 intitolata “diritti dei partecipanti al procedimento”; d’altronde già la l. 241/90 utilizzava il termine diritto oltre che per l’accesso anche per la presentazione di memorie e documenti. Va però sottolineato, come noto, che non di rado il legislatore utilizza in senso atecnico il termine diritto, come parte della giurisprudenza amministrativa ha più volte evidenziato con particolare riferimento all’accesso ai documenti amministrativi, la cui natura giuridica comunque è tutt’ora oggetto di vexata quaestio non risolta nemmeno dopo gli interventi dell’Adunanza Plenaria del 2006 . Ulteriore elemento per sostenere il carattere di diritto soggettivo potrebbe individuarsi nel collegamento tra partecipazione e “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” ex art 117 comma secondo lett m) Cost., come conferma l’art 22 l. 241/90 nel testo novellato dalla l. 15/2005 per quanto però riguarda il solo accesso ai documenti.

[38] CGUE sentenza 13 marzo 2007 causa C 432/05 Unibet, 7 giugno 2007 cause riunite da C 222/05 a C 225/05 van der Weerd.

[39] M.CLARICH Termine del procedimento e potere amministrativo Torino 1995.

[40] M. RENNA op. citata.

[41] Dopo la sentenza delle Sezioni Unite 1999 n. 500, aveva aderito alla tesi della responsabilità da contatto qualificato sia la stessa Cassazione con la sent. sez. I 10 gennaio 2003 n. 157, sia il Consiglio di Stato ( in particolare sent sez V 6 agosto 2001 n. 4239, V 14 giugno 2001 n. 3169, VI 20 gennaio 2003 n. 340). Di recente si richiama ancora alla responsabilità da contatto qualificato TAR Puglia Lecce 21 dicembre 2006 n. 6040.

[42] Come però anticipato, si tratta di un modello di responsabilità che la giurisprudenza più recente ha mostrato di voler abbandonare, ricostruendo la responsabilità della PA da lesione di interesse legittimo in chiave aquiliana, e ove la lesione dell’interesse procedimentale non rileva quale autonomo bene della vita, potendo la violazione degli art 7 e 10 l. 241/90 rilevate tuttalpiù come elementi per l’accertamento della colpa della PA. Sul punto, in necessaria sintesi, merita forse attenzione l’orientamento invalso sia in giurisprudenza che in dottrina teso a negare una rigida reductio ad unitatem della responsabilità da lesione di interesse legittimo, “dovendosi analizzare in concreto e nell’ambito del quadro normativo di riferimento il rapporto che si instaura tra il soggetto leso e la PA” (U. DI BENEDETTO Diritto amministrativo – Giurisprudenza e casi pratici Maggioli 2007). In giurisprudenza TAR Lazio Latina sent. 24 aprile 2007 n. 291 secondo cui il paradigma di riferimento può essere rappresentato sia in termini di contatto sociale che di modello aquiliano, dipendendo dalla prospettazione fatta nella domanda del danneggiato.

[43] Secondo M. RENNA op. citata la responsabilità contrattuale della PA per violazione degli obblighi procedimentali andrebbe affermata senza necessità di “scomodare”il contatto qualificato, invocando l’art 1218 c.c. per inadempimento di obbligazioni procedimentali già cristallizzate dalla legge, a cui corrispondono diritti ad una prestazione procedimentale. Tale ricostruzione, pur suggestiva e convincente in relazione alla natura di diritto di credito delle pretese partecipative, pare però mostrare il fianco alla radicale carenza di una fonte contrattuale tra PA e cittadino, non rinvenendosi alcun perfezionamento di contratto neppure per facta concludentia. Pare allora inevitabile ricostruire la responsabilità o in termini di contatto sociale qualificato ex art 1173 c.c., ravvisando nel procedimento un fatto idoneo a produrre obbligazioni civili, o in termini di responsabilità precontrattuale.

[44] Vedi le ampie considerazioni in tal senso di L. FERRARA “La partecipazione tra illegittimità e illegalità. Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile” in Rivista Diritto Amministrativo n. 1/2008, per il quale la salvezza della costituzionalità della norma va ricercata soprattutto nella applicazione della seconda parte dell’art 21 octies anche alla violazione dell’art 7 l. 241/90 a fronte di attività vincolata e non solo discrezionale. Sostengono l’illegittimità costituzionale per carenza di tutela sostitutiva anche F. VOLPE “La non annullabilità dei provvedimenti amministrativi illegittimi” in Riv.trim. Diritto processuale amministrativo 2/2008 Giuffrè, M. RENNA op. citata.

[45] Consiglio di Stato sez V 7 aprile 2004 n. 1969.

[46] In questi esatti termini vedi le considerazioni di M.A.SANDULLI “La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità vere e apparenti” in www.federalismi.it

[47] In senso contrario G. SCIULLO op.citata.

[48] Così opinando in dottrina afferma che “l’istituto della partecipazione è al contempo esaltato e mortificato” CARINGELLA Manuale di diritto amministrativo Giuffrè 2007

[49] Sulla dequotazione procedimentale vedi ex multis G. MONTEDORO “Potere amministrativo, sindacato del giudice e difetto di motivazione” in www giust-amm.it

[50] Ex multis Consiglio di Stato sez. V 29 gennaio 2004 n. 296 che sottolinea l’indefettibilità della partecipazione anche in caso di attività interamente vincolata, allorquando vi sia contestazione od incertezza tra le parti circa i presupposti fattuali o giuridici. Da ultimo vedi anche Consiglio di Stato (sez IV sent. 6 novembre 2008 n. 5500) in materia di provvedimenti sanzionatori riguardanti lottizzazioni abusive ex art 18 l. 28 febbraio 1985 n. 47 e soprattutto Consiglio di Stato sez. VI 4 agosto 2009 sent. n. 4899.

[51] Infatti a fronte dell’orientamento che esclude l’utilità della partecipazione solo allorquando non vi sia contestazione od incertezza tra le parti circa i presupposti fattuali o giuridici, vi era altro indirizzo completamente opposto nel senso della irrilevanza tout court dell’apporto partecipativo (ex multis Consiglio di Stato IV 30 settembre 2002 n. 5003)

[52] Consiglio di Stato sez. V sent. 10 ottobre 2007 n. 5321 secondo cui “non è invocabile la violazione dell’art 10 bis l. 241/90 allorquando il provvedimento amministrativo abbia contenuto vincolato”.

[53] In dottrina vedi le ampie considerazioni di D. CORLETTO “Vizi “formali” e poteri del giudice amministrativo” in Rivista trimestrale diritto processuale amministrativo 1/2006 che parla di fenomeno di impropria “aziendalizzazione” dell’attività amministrativa.

[54] L. FERRARA “La partecipazione tra illegittimità e illegalità. Considerazioni sulla disciplina dell’annullamento non pronunciabile” in Rivista Diritto Amministrativo n. 1/2008.

[55] E’ questa l’importante affermazione testualmente contenuta in Consiglio di Stato IV sent. 6 novembre 2008 n. 5500.

[56] Convalida che secondo un orientamento sarebbe possibile anche in pendenza di giudizio e oltre l’ipotesi espressamente prevista da parte dell’art 6 l. 18 marzo 1968 n. 249 per il solo vizio di incompetenza relativa. Per la tesi negativa in dottrina U. DI BENEDETTO Diritto amministrativo – Giurisprudenza e casi pratici Maggioli 2007 pag. 500.

[57] La giurisprudenza amministrativa formatasi dopo l’entrata in vigore della legge 15/2005 si sta consolidando nel senso della ammissibilità dell’integrazione della motivazione in giudizio (ex multis CGA sent 26 luglio 2006 n. 402). Da segnalare però Consiglio di Stato V sent 9 ottobre 2007 n. 5271 secondo cui “deve ritenersi che pur continuando a sussistere il divieto di motivazione postuma (rappresentando l’obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa) tale divieto sia ormai attenuato, non potendosi affermare che l’amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato ovvero attraverso un atto successivo che sia esplicativo delle ragioni che hanno comportato l’adozione del provvedimento stesso.” L’apertura del Consiglio di Stato alla motivazione postuma è quindi circondata da condivisibili limitazioni, ribadendo anzi la permanenza di un generale divieto, divieto che era peraltro assolutamente pacifico in giurisprudenza prima dell’entrata in vigore della legge 15/2005, se si eccettua l’isolata pronuncia del TAR Lazio 2002 n. 398. Vedi da ultimo anche T.A.R. Puglia Lecce II sentenza 5 febbraio 2008 n. 356 secondo cui “Alla luce dell’attuale quadro normativo, la p.a può ben integrare, adottando un nuovo atto in corso di giudizio, la motivazione dell’atto impugnato, fermo restando che il nuovo atto non possa violare il canone secondo il quale l’atto amministrativo non può disporre che per l’avvenire (salve le ipotesi in cui l’atto è fisiologicamente retroattivo) e quindi non è idoneo a sanare il vizio motivazionale di un atto che abbia già prodotti i suoi effetti”

[58] TRGA sez Trento ord. 5 maggio 2008 n. 31.

[59] Tribunale primo grado sent. 15 giugno 2005 causa 349/03.

[60] Da ultimo la Consulta in riferimento all’esame di abilitazione alla professione di avvocato, con sentenza 30 gennaio 2009 n. 20 ritiene oramai “diritto vivente” la sufficienza del voto alfanumerico.

[61] Vedi TAR Sicilia Catania I 11 settembre 2006 sent. n. 1403 che identifica la motivazione come “il luogo giuridico di emersione dell’interesse pubblico perseguito”. In dottrina si segnala l’impostazione seguita da F.

TESAURO Istituzioni di diritto tributario Utet 2007 secondo cui il vizio di omessa od insufficiente motivazione per attività amministrava vincolata - quale pacificamente è l’attività di accertamento condotta dall’amministrazione finanziaria - non avrebbe mai natura formale giacchè la motivazione attiene al contenuto dell’atto. Ne consegue secondo TESAURO la nullità strutturale ex art 21 septies l. 241/90.

[62] Ben si comprende allora la denunzia circa l’inadeguatezza della tutela nella giurisdizione amministrativa, riflessa in una sorte di prosecuzione dell’attività amministrativa, ove il g.a. verrebbe ad assumere l’indebito ruolo di “pubblica amministrazione di secondo grado” (Vedi le considerazione di F. VOLPE “Per una riforma del processo amministrativo” in Rivista diritto processuale amministrativo Vedi le considerazione di F. VOLPE “Per una riforma del processo amministrativo” in Rivista diritto processuale amministrativo 2/2007).

[63] TAR Lazio Roma III ter 17 luglio 2007 sent. n.6503, TAR Puglia Lecce II 24 agosto 2006 sent. n. 4281, TAR Valle d’Aosta 12 luglio 2007 sent. n. 106, TAR Emilia –Romagna II 6 novembre 2006 sent. n. 2875, TAR Campania Napoli sent. 2006 n. 651, TAR Molise 25 gennaio 2007 sent. n. 57. Da segnalare che secondo Consiglio di Stato (sent. 13 novembre 2007 n. 6325) la finalità dell’istituto non è soltanto partecipativa, bensì anche collaborativa e deflattiva.

[64] Vedi soprattutto V. CERULLI IRELLI Lineamenti del diritto amministrativo Giappichelli 2008, F.G. SCOCA a cura di Diritto Amministrativo Giappichelli 2008, M. CORRADINO Il diritto amministrativo alla luce della recente giurisprudenza Cedam 2007, R. CHIEPPA a cura di Temi di diritto amministrativo Giuffrè 2006 “Partecipazione al procedimento” di B. LUBRANO, CARINGELLA Manuale di diritto amministrativo Giuffrè 2007, L. FERRARA “La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza nel riformato quadro delle garanzie procedimentali” in studi in onore di L. Mazzarolli vol II Cedam 2007, V. FANTI “La “nuova” comunicazione nel procedimento amministrativo”in Urbanistica e appalti 11/2005, che ne sottolinea la riconducibilità al principio del giusto procedimento. Più ampie invece le considerazioni di GAROFOLI - G. FERRARI Manuale di diritto amministrativo Nel diritto 2008, che ne sottolinea anche le finalità di deflazione del contenzioso e di collaborazione, così come quelle di E. FREDIANI “Partecipazione procedimentale, contradditorio e comunicazione. Dal deposito di memorie scritte e documenti al “preavviso di rigetto” in Rivista di diritto amministrativo Giuffrè 2005 che pone l’art 10 bis in una posizione intermedia tra la comunicazione ex art 10 e la partecipazione alla decisione amministrativa ex art. 11.

[65] Vedi ex multis ad es. TAR Emilia Romagna sez. II sent 6/11/2006 n. 2875 secondo cui il preavviso “ha la stessa natura e finalità dell’art 7 l. 241/90 essendo entrambi finalizzati a garantire la partecipazione al procedimento”

[66] E’ diffuso l’orientamento che dopo la l. 15/2005 amplia l’ambito di applicazione della d.i.a. anche ai procedimenti caratterizzati da valutazioni discrezionali tecniche, dal momento che il nuovo art 19 non richiede più che l’accertamento dei presupposti dell’autorizzazione avvenga senza “prove a ciò distinte che comportino valutazioni tecnico- discrezionali, unitamente alla previsione del potere di assumere determinazioni in autotutela, presupponente necessariamente margini di discrezionalità in capo all’amministrazione. In questo senso CARINGELLA Manuale di diritto amministrativo Giuffrè 2007.

[67] In giurisprudenza Consiglio di Stato V 10 ottobre 2007 sent. n. 5321 che esclude l’art 10 bis ai procedimenti di condono edilizio ex art 32 d.l. 269/2003 sia per il carattere vincolato che per la specialità del procedimento. In dottrina V. CERULLI IRELLI Lineamenti del diritto amministrativo Giappichelli 2008, CARINGELLA Manuale op.citata. Ritengono invece applicabile il 10 bis anche in ipotesi di attività vincolata, come nel procedimento di rilascio del permesso di costruire, TAR Veneto II 6 novembre 2006 sent. n. 3674, TAR Molise I 18 luglio 2007 n. 632, TAR Valle d’Aosta 12 luglio 2007 n. 106.

[68] Fa eccezione l’art. 2 c. 3° del vigente Codice Contratti approvato con Dlgs. n. 163/2006.

[69] Consiglio di Stato 6325/2007, TAR Lazio I 10 luglio 2007 sent. n. 6230 che nega l’applicabilità dell’art 10 bis ai procedimenti speciali in materia di antitrust.

[70] Consiglio di Stato 16 ottobre 2007 sent. n. 6183 secondo cui la l. 241/90 non trova applicazione per i procedimenti speciali soltanto “laddove la specifica normativa di settore già prevede forme sufficienti di garanzie di partecipazione”.

[71] Ritiene che i principi fondamentali della l. 241 attengano alla tutela dei livelli essenziali di diritti civili e sociali TAR Valle d’Aosta sent. 12 luglio 2007 n. 106 secondo cui “ il termine prestazioni ex art 117 secondo comma lettera m) della Costituzione deve essere interpretato oltre che nel senso di prestazioni materiali, anche nel senso di attività svolta dai pubblici uffici a favore dei cittadini, pure attraverso una attività procedimentalizzata”. Conclude il TAR per la piena applicabilità dell’art 10 bis l. 241 nei confronti della legislazione regionale anche a statuto speciale inerente il procedimento di condono edilizio, attesane la natura di strumento di garanzia oltre che di esigenze partecipative, di altri rilevanti valori dell’ordinamento quali la deflazione delle controversie e la trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa.

[72] Per una lettura in questo senso A. CELOTTO “Articolo 29” in La PA e la sua azione. Saggi critici sulla l. 241/90 riformata dalle l.15/05 e 80/05.

[73] In questo senso A. CELOTTO “Il riscritto art 29 l. n. 241/1990 in R. GAROFOLI “La nuova disciplina del procedimento e del processo amministrativo” Nel diritto 2009.

[74] Vedi per es l’art 13 della l.r. Emilia Romagna 2002 n. 31.

[75] R. CHIEPPA-V. LOPILATO Studi di diritto amministrativo Giuffrè 2007, 849.

[76] Sostanzialmente in questi termini anche TAR Sicilia Palermo II 13 marzo 2007 sent. n. 809.

[77] Vedi par 3.

[78] Lo ritiene possibile S. TARULLO “L’art 10 bis della legge 241/90: il preavviso di rigetto tra garanzia partecipativa e collaborazione istruttoria” in www. giustamm.it

[79] Vedi da ultimo Consiglio di Stato IV sent. 6 novembre 2008 n. 5500 (vedi massima citata al par 1.4) e sez. VI 4 agosto 2009 sent. n. 4899.

[80] Il preavviso di rigetto “riveste natura di atto endo procedimentale, poiché tale norma impone all’amministrazione, prima di adottare un provvedimento sfavorevole, nei confronti del richiedente, di comunicargli le ragioni ostative all’accoglimento della sua istanza, si da rendere possibile l’instaurazione di un vero e proprio contraddittorio endo-procedimentale a carattere necesario, ed aumentare così le chances del cittadino di ottenere dalla stessa PA ciò che gli interessa, con la conseguenza che lo stesso non è immeditamente lesivo della sfera giuridica dei destinatari e quindi non è autonomamente ed immediatamente impugnabile” (Consiglio di Stato IV 10 luglio 2007 n. 4828). Vedi da ultimo TAR Latina I sent 13 gennaio 2009 n. 19 che pur confermandone la non autonoma lesività, ne afferma la autonoma impugnabilità in ipotesi di accertata capacità a determinare arresto procedimentale.

[81] E’ la tesi di M. CLARICH “Tipicità delle azioni e azione di adempimento nel processo amministrativo” in Dir. Proc.amministrativo 3/2005 Giuffrè.

[82] La prevalente giurisprudenza (ex multis Consiglio di Stato V 24 marzo 2006 sent. 1526 che qualifica la posizione dell’aggiudicatario provvisorio come “aspettativa di mero fatto”) esclude per es. in materia di aggiudicazione provvisoria, l’idoneità di atti endoprocedimentali a suscitare affidamenti legittimi, negandone rilevanza sia ai fini della responsabilità risarcitoria sia ai fini dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento nell’ipotesi di non conferma da parte dell’aggiudicazione definitiva. Nell’ipotesi dell’art 10 bis tali conclusioni dovrebbero essere a giudizio dello scrivente rivisitate, a pena di svuotare la norma di significato. Che senso avrebbe un contraddittorio procedimentale sulla decisione negativa in deroga all’obbligo di non aggravio se poi l’amministrazione potesse liberamente rigettare l’istanza per motivi diversi? Va detto che altra lettura giurisprudenziale riconosce una aspettativa tutelata nei confronti degli atti endoprocedimentali e in caso

di autotutela una possibile frustrazione dell’affidamento ingenerato in capo ai partecipanti e segnatamente all’aggiudicatario provvisorio (TAR Piemonte 23 ottobre 2006 sent n. 3792, Consiglio di Stato VI 4 dicembre 2006 sent. n. 7102).

[83] Consiglio di Stato Sez. VI, Sent. n. 2596 del 22-05-2007 secondo cui “ Poiché l'art. 10 bis della L. n. 241/1990 stabilisce che nel caso in cui vengano presentate all'Amministrazione dagli interessati le osservazioni in ordine al provvedimento negativo da questa adottato, dell'eventuale mancato accoglimento di queste deve essere data ragione nella motivazione del provvedimento finale, nel caso in cui nulla al riguardo, nel provvedimento in questione, è detto, si deve ritenere che l'omissione di detta fase procedimentale (valorizzante il momento del contraddittorio fra privato e P.A. ed incidente anche sul contenuto dell'atto finale indicando un contenuto necessario della motivazione) non possa essere sanata in via postuma in sede processuale con integrazione negli atti difensivi della motivazione di rigetto della domanda e ciò qualora l'atto sia espressione di una sfera di valutazione discrezionale tecnica dell'Amministrazione”.

[84] Ritiene imprenscindibile l’uso della forma scritta M. CORRADINO Il diritto amministrativo alla luce della recente giurisprudenza Cedam 2007 argomentando dal fatto che il legislatore utilizza la locuzione “ricevimento”. Così anche S. TARULLO op. citata.

[85] GAROFOLI - G. FERRARI Manuale di diritto amministrativo Nel diritto 2008.

[86] Naturalmente in disparte il problema della forma come requisito di validità, per esigenze di certezza dei rapporti l’amministrazione dovrà opportunamente procedere a redigere verbale del contraddittorio orale svoltosi.

[87] Per il quale si rinvia al par 1.2.

[88] Sostiene l’applicazione analogica nei confronti dei controinteressati D.SORACE Diritto delle amministrazioni pubbliche Il Mulino III ed.

[89] Ex multis Consiglio di Stato V 24 marzo 2006 sent. n. 1526.

[90] Sottolineano in particolare la funzione difensiva in luogo di quella collaborativa F.G. SCOCA a cura di Diritto Amministrativo Giappichelli 2008, D. SORACE op.citata. Secondo CARINGELLA Manuale di diritto amministrativo Giuffrè 2007, la funzione delle osservazioni avrebbe una duplice valenza, oppositiva ma anche collaborativa, in senso quindi analogo a quanto sostenuto nel testo. In giurisprudenza afferma la ratio partecipativa ma anche collaborativa e deflattiva Consiglio di Stato IV 13 novembre 2007 sent. n. 6325, mentre TAR Puglia- Bari sez. II 26 ottobre 2009 sent. n. 2471 evidenzia in particolare la finalità di pubblico interesse alla deflazione del contenzioso.

[91] In giurisprudenza sottolinea la finalità collaborativa oltre che deflattiva in particolare Consiglio di Stato 13 novembre 2007 sent. n. 6325, “attraverso la introduzione di uno specifico contraddittorio tra amministrazione e interessato sulle ragioni che ostano all’accoglimento della domanda, al fine di comporre o superare nel procedimento tali ragioni, o quantomeno affinché il provvedimento finale, pur negativo, tenga conto anche delle osservazioni formulate su tali punti dall’interessato.”

[92] Vedi art 32 l. 1150/1942 “Attribuzione del podestà per la vigilanza sulle costruzioni” La giurisprudenza (T.A.R. Sicilia sez. I sent. 25.10.2006 n. 1960, T.A.R. Liguria sez. I sent. 21 gennaio 2000 n. 35, sez. I sent. 8 maggio 2006 n. 433) propende per ritenere ammissibile il rilascio di titoli edilizi condizionati, nel limite della ricorrenza di specifici presupposti, in ossequio al principio di tipicità e nominatività proprio dell’attività amministrativa provvedimentale. Ne consegue l’inammissibilità “nell’ipotesi in cui le prescrizioni imposte dalla PA non solo attengano ad aspetti

sostanziali dell’intervento sottoposto al suo esame, ma non rivestano neppure carattere “autoesecutive”, implicando necessariamente un’ulteriore attività da parte del richiedente o di altro soggetto (pubblico o privato) coinvolto nel relativo procedimento, allo scopo di poter compiutamente definire l’oggetto della concessione medesima, e la sua conformità ai parametri legali.”(T.A.R. Liguria sez. I sent. 8 maggio 2006 n. 433).

[93] Ravvisa la possibilità che dopo il preavviso la PA addivenga alla formazione di accordi ex art 11 S. TARULLO op. citata.

[94] In realtà il suesposto favor pare d’altra parte contraddetto se non escluso dalla introduzione della preventiva determinazione dell’amministrazione circa la conclusione dell’accordo, provvedimento che farebbe pensare esattamente il contrario. Vedi G. SCIULLO op.citata.

[95] Nega in giurisprudenza la natura formale TAR Lazio III bis 27 maggio 2008 sent. n. 5113. In dottrina vedi le considerazioni di E.M. MARENGHI “Giusto procedimento e processualprocedimento” in Rivista trimestrale diritto processuale amministrativo 4/2008, secondo cui l’art 10 bis rientra nel novero degli strumenti di partecipazione di sostanza, rispondenti sia all’interesse pubblico che privato, contrapposti a quelli di mera forma.

[96] M. NIGRO Giustizia amministrativa Il Mulino 2001.

[97] Così autorevolmente Consiglio di Stato Sez. VI, Sent. n. 2596 del 22-05-2007, Da ultimo TAR Puglia- Bari sez. II 26 ottobre 2009 sent. n. 2471 sottolinea il rafforzamento dell’onere motivazionale in relazione agli elementi istruttori dedotti dall’interessato nel contraddittorio procedimentale.

[98] In questo senso TAR Basilicata sent. 2 gennaio 2008 n. 6 e in dottrina CARINGELLA Manuale di diritto amministrativo Giuffrè 2007.

[99] Così V. CERULLI IRELLI op. citata ed in giurisprudenza Consiglio di Stato sent. 10 ottobre 2007, in termini anche V. FANTI “La “nuova” comunicazione nel procedimento amministrativo”in Urbanistica e appalti 11/2005.

[100] Sulla indefettibilità della partecipazione anche in provvedimenti privi di profili di discrezionalità vedi da ultimo l’autorevole arresto del Consiglio di Stato (sez. IV sent. 6 novembre 2008 n. 5500) citato al par 1.4.

[101] Ritengono applicabile il 10 bis al procedimento di rilascio del permesso di costruire Consiglio di Stato IV 13 novembre 2007 sent. 6325, TAR Veneto II 6 novembre 2006 sent. n. 3674, TAR Molise I 18 luglio 2007 n. 632, TAR Valle d’Aosta 12 luglio 2007 n. 106, TAR Molise 25 gennaio 2007 sent. n. 57. In dottrina N. CENTOFANTI Diritto urbanistico Cedam 2008. Per quanto riguarda l’autorizzazione al mutamento di destinazione d’uso, ritiene applicabile l’art 10 bis TAR Veneto II 1 giugno 2005 n. 2358.

[102] Consiglio di Stato IV 13 novembre 2007 sent. 6325.

[103] F. CARINGELLA Manuale di diritto amministrativo Milano 2006, A. DI MARIO “La nuova partecipazione al procedimento: potenziamento e dequotazione” in Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi 15/2005 e 80/2005 Tomo I, 461.

[104] In senso restrittivo TAR Lazio III ter sent. 17 luglio 2007 n. 6503.

[105] In questo senso F.G. SCOCA Diritto Amministrativo Giappichelli 2008 ed in giurisprudenza TAR Sicilia Palermo sent 2007 n. 1957 secondo cui “L’obbligo di invio del cd. "preavviso di rigetto" previsto dall’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 non trova applicazione, secondo quanto testualmente previsto dalla disposizione stessa, nel caso di "procedure concorsuali"; con quest'ultima espressione

si è inteso fare riferimento a tutte le procedure caratterizzate da una pluralità di istanze e da un concorso delle stesse ai fini del conseguimento della utilità perseguita (alla stregua del principio è stato ritenuto che l'obbligo del preavviso di rigetto non sussisteva nel caso di una procedura indetta per la concessione di finanziamenti pubblici”

[106] Cassazione Sezioni Unite 7 novembre 2008 sent. n. 26799.

[107] In questi termini in dottrina CIANFLONE-GIOVANNINI L’appalto di opere pubbliche 11 ed. Giuffrè. In giurisprudenza evidenzia la natura di proposta irrevocabile delle domande di partecipazione alle gare - nell’implicito presupposto del valore di mero invito ad offrire del bando - per l’aggiudicazione di contratti Consiglio di Stato V 11 dicembre 2007 sent. n. 6362.

[108] Come ritiene TAR Lazio III ter sent. 17 luglio 2007 n. 6503.

[109] Consiglio di Stato Commissione speciale parere 26 febbraio 2008 n. 2518/2007 secondo cui “La disciplina sul c.d. preavviso di rigetto di cui all’art. 10 bis, L. n. 241 del 1990 mira ad introdurre il contraddittorio nei procedimenti amministrativi, al fine di prevenire e deflazionare il successivo contenzioso originato dall’impugnazione del provvedimento. Detta norma ha una portata generale e va letta in senso non restrittivo, pena la vanificazione dell’intento legislativo di valorizzare il contraddittorio e, in definitiva, il dialogo tra cittadini e istituzioni. L’elenco di procedimenti ai quali non si applica il c.d. preavviso di rigetto di cui all’art. 10 bis, L. n. 241 del 1990 non è tassativo, potendosi e dovendosi enucleare altri casi di sottrazione al preavviso di rigetto, alla luce di una interpretazione sistematica; in particolare, si sottraggono al preavviso di rigetto: a) il procedimento della denuncia di inizio attività in materia edilizia, per molteplici considerazioni (l’assenza di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento amministrativo; la tempistica peculiare del procedimento, incompatibile con i tempi del preavviso di rigetto, che comporta una interruzione del termine per provvedere) b) i procedimenti di secondo grado e, segnatamente, i procedimenti di autotutela avviati su istanza di parte e sfociati in atti confermativi c) i procedimenti di controllo di nulla osta paesaggistici.

[110] Consiglio di Stato Commissione speciale parere 26 febbraio 2008 n. 2518/2007 “L’art. 10 bis L. n. 241 del 1990 sul c.d. preavviso di rigetto non riguarda i procedimenti di amministrazione contenziosa e, pertanto, non è applicabile ai ricorsi amministrativi, la cui decisione non deve essere preceduta dalla comunicazione di un preavviso di rigetto inviata al ricorrente”.

[111] TAR Campania Salerno II sent. 30 marzo 2006 n. 346.

[112] TAR Puglia Bari III sent. 4 giugno 2008 n. 1388.

[113] Il potere esercitato in sede di esame dell’istanza di accesso è infatti funzionale alla tutela del privato e consiste nella ricognizione e verifica priva di discrezionalità circa la sussistenza dei presupposti di legge e l’assenza di elementi ostativi all’accesso.

[114] Consiglio di Stato IV 4813/2003, VI 5 dicembre 2007 sent. 6183 secondo cui “la legge 241/90 non trova applicazione per i procedimenti speciali laddove la specifica normativa di settore già prevede forme sufficienti di garanzie di partecipazione”.

[115] Il nuovo testo dell’art 22 c. 1° lett. c) individua come controinteressati tutti i soggetti individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che all’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza. Vedi anche l’art 3 del nuovo Regolamento in materia di accesso approvato con DPR 12/04/2006 n. 184.

[116] TAR Piemonte sent. 5 luglio 2006 n. 2728.

[117] TAR Campania Napoli sent. 17 gennaio 2007 n. 748.

[118] Consiglio di Stato IV sent. 12 settembre 2007 n. 4828.

[119] In questo senso TAR Veneto sez. II sent 13 settembre 2005 n. 3418, partendo sempre dalla natura di titolo provvedimentale tacito della d.i.a.

[120] Sostengono la natura di atto formalmente e soggettivamente privato ritenendo non decisiva la previsione da parte della l. 15/2005 del potere di assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi degli art. 21-quinquies e 21-nonies Consiglio di Stato V 22 febbraio 2007 sent. n. 948, TAR Puglia Lecce III 3 aprile 2007 sent. n. 1652. In dottrina. F. CARINGELLA Manuale di diritto amministrativo Milano 2006.

[121] Consiglio di Stato IV 4 settembre 2002 sent. n. 4453.

[122] G. VELTRI “Il preavviso di rigetto: il punto su dottrina e giurisprudenza” in www.ildirittopericoncorsi.it.

[123] Ex multis U. DI BENEDETTO Diritto Amministrativo…. op. citata.

[124] Vedi TAR Campania II 29 marzo 2006 sent. 3262, TAR Sardegna 6 maggio 2003 sent. n. 544 In riferimento al silenzio rifiuto sull’istanza di accertamento di conformità vedi TAR Campania Napoli IV 20 novembre 2001 sent. n. 4875 .Va detto che secondo altro orientamento giurisprudenziale, invero prevalente, sarebbe invece inapplicabile il rito speciale di cui all’art 21 bis per l’evidente considerazione della elusione del termine di decadenza per l’impugnazione dei provvedimenti ex art 21 l. TAR, avendo già la PA adempiuto all’obbligo di provvedere seppur tacitamente (ex multis TAR Piemonte 8 marzo 2006 sent. n. 1173).

[125] Così GAROFOLI - G. FERRARI op. citata, A. VACCA “Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art 10 bis l. 7 agosto 1990 n. 241 e modalità di esercizio del potere amministrativo: prima ricostruzione di un complesso fenomeno di alterazioni procedimentali “ In Foro amministrativo 2006 n. 1828. In questi termini pare anche G. VELTRI “Il preavviso di rigetto: il punto su dottrina e giurisprudenza” in www.ildirittopericoncorsi.it

[126] GAROFOLI - G. FERRARI Manuale di diritto amministrativo Nel diritto 2008.

[127] Sempre qualora si accolga la tesi recentemente confermata dal Consiglio di Stato della natura di “provvedimento tacito di rigetto” (sez. IV 13 novembre 2007 sent. 6325).

[128] Si fa riferimento alla tesi secondo cui “la nuova disposizione si applica anche al procedimento di rilascio del permesso di costruire, dato che il citato art 20, 4° comma della citata l. 241/90 elenca gli atti e i procedimenti tassativi cui la disposizione non si applica, fra i quali non vi è il procedimento in questione” (TAR Molise sent. 25 gennaio 2007 n. 57). Va detto che a conclusioni esattamente opposte approda la ricostruzione prevalentemente accolta, sia in base alla specialità della disciplina contenuta nel D.p.r. 380/2001 sia per l’espressa incompatibilità tra silenzio assenso e silenzio diniego, qualificando l’inerzia di cui all’art 20 TU edilizia quale ipotesi di silenzio-diniego (così ex multis Consiglio di Stato 13 novembre 2007 sent. n. 6325).

[129] TAR Lazio Roma II bis 3 gennaio 2008 n. 8, TAR Puglia Lecce III 22 febbraio 2007 n. 625, TAR Campanai Napoli II 12 novembre 2004 n. 16775.

[130] A. VACCA op. citata.

[131] Corte Costituzionale sent. 8 febbraio 1993 n. 62 e 10 marzo 1996 n. 79, Consiglio di Stato IV 9 luglio 1999 sent. n .1193.

[132] TAR Marche 2004 sent n. 976.

[133] Vedi la Conferenza prevista dall’art. 13 della L.R. n. 26 del 1999.

[134] Va detto che l’opinione espressa nel testo pare del tutto isolata, poiché si ritiene che il privato possa soltanto sollecitare l’indizione della conferenza, che è e rimane ad iniziativa dell’amministrazione procedente. SANTINI “Analisi della giurisprudenza in tema di conferenza di servizi” in Urbanistica e appalti 2005 889.

[135] Per l’oscillazione giurisprudenziale sul punto vedi per es TAR Puglia 2100/2002 che ne esclude l’obbligatorietà, e TAR Lazio I 20 gennaio 2005 n.62 che più condivisibilmente, ammette l’intervento collaborativo “pur senza alcuna rilevanza ai fini del perfezionamento del consenso” in seno alla conferenza.

[136] Consiglio di Stato sez VI 16 ottobre 2007 sent. n. 6183

[137] Consiglio di Stato IV 13 marzo 2008 sent. n. 1052 in riferimento al provvedimento con cui il CSM ha espresso diniego in merito ad istanza avanzata da magistrato per la riammissione all’ordine giudiziario, non preceduto dalla comunicazione all’interessato del preavviso di rigetto.

[138] S. TARULLO op. citata.

[139] S. TARULLO op. citata.

[140] Termine ora nuovamente ridotto in 30 giorni per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali, per effetto dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art 2 l. 241/90, come modificato dalla l. 18.06.2009 n. 69. Sulla natura vincolante della norma nei confronti anche delle amministrazioni non statali vedi le considerazioni di D. RUSSO “La nuova disciplina dei termini e della responsabilità per danno da ritardo” in R. GAROFOLI “La nuova disciplina del procedimento e del processo amministrativo” Nel Diritto 2009.

[141] TAR Basilicata sent. 2 gennaio 2008 n. 6.

[142] L. TARANTINO “Preavviso di diniego, acquiescenza e tutela giurisdizionale endoprocedimentale” in Urbanistica e appalti 6/2005 secondo cui “la piena indicazione da parte dell’amministrazione delle ragioni ostative colma il decifit conoscitivo del privato che può consapevolmente e spontaneamente prestare acquiescenza”. Vedi anche F. CARINGELLA Corso di diritto amministrativo che evidenzia in particolare perché possa formarsi acquiescenza il requisito della immediata lesività.

[143] TAR Puglia II sent. 2004 n. 4306.

[144] Vedi ex multis R. GALLI Corso di diritto amministrativo Cedam.che richiede la presenza “di fatti univoci, chiari e concordanti che manifestino la volontà di accettare definitivamente gli effetti dell’azione amministrativa, e denotino il preciso intendimento di rinunciare a contrastarla”.

[145] Ben coglie in giurisprudenza tale stato di incertezza la recente ordinanza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 3165 del 18 luglio 2008 di rimessione all’Adunanza Plenaria di numerose questioni in tema di risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo.

[146] Alla luce delle considerazioni anticipate nel par 1.2 non pare corretto proporre una rigida reductio ad unitatem della responsabilità da lesione di interesse legittimo. A parte infatti le ipotesi di responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto ove vengono naturalmente in gioco posizioni sostanziali di diritto soggettivo e ove la giurisdizione del G.A. è sostenibile solo in ipotesi di giurisdizione esclusiva, possono coesistere sul terreno della lesione di interessi legittimi, ipotesi di responsabilità di tipo contrattuale da contatto qualificato prospettabili sulla base della concreta domanda giudiziale del ricorrente.

[147] La tesi della responsabilità contrattuale da contatto per quanto riguarda il rapporto tra medico e paziente è oramai decisamente consolidata in giurisprudenza (Cassazione 22 dicembre 1999 sent. n. 589, 2005 sent. n. 7997, 2004 sent. n. 10297). Significativo è che la stessa Cassazione sta ampliando la responsabilità da contatto anche all’ipotesi del danno arrecato dal minore a sé stesso, non ritenendo applicabile l’art 2048 c.c. (Cassazione

27 giugno 2006 sent. n. 9346) nonché da ultimo alla responsabilità della banca che paga l’assegno circolare a persona diversa dal beneficiario del titolo anche in mancanza di un contratto, ovvero in violazione dell’obbligo paracontrattuale discendente dal contatto sociale (Cassazione Sezioni Unite 26 giugno 2007 sent. n. 14712) .

[148] Sezioni Unite 5 dicembre 1995 sent. n. 12523, Sezioni Unite 26 maggio 1997 sent. n. 4673 secondo cui la responsabilità precontrattuale può configurarsi quindi soltanto nella limitata ipotesi in cui la PA scelga il contraente mediante trattativa privata.

[149] L’ipotesi non è soltanto quella della responsabilità per lesione dell’affidamento dei concorrenti alla legittimità degli atti adottati nelle procedure ad evidenza pubblica, successivamente riformati in autotutela, riconosciuta da prima dalla giurisprudenza di prime cure sino alla fondamentale decisione n. 6 del 5 settembre 2005 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Ci si riferisce anche alle fattispecie di responsabilità da comportamento illecito nel campo del governo del territorio e in particolare nell’occupazione di beni privati protrattasi dopo la scadenza del termine di dichiarazione di pubblica utilità senza la tempestiva emanazione del decreto di esproprio. A parte le problematiche in punto di giurisdizione, laddove il contrasto tra Adunanza Plenaria e Sezioni Unite è ancora del tutto aperto, interessa qui sottolineare come la stessa Adunanza Plenaria abbia completamente separato l’azione di responsabilità contro la PA per illecita occupazione dall’azione demolitoria, trattandosi di responsabilità da comportamento per cui non ha alcun senso ragionare in termini di pregiudizialità (Adunanza Plenaria decisione n. 9 del 30 luglio 2007.

[150] Si fa riferimento alla fondamentale sent Sezioni Unite Cassazione 19 dicembre 2007 n. 26724 che conferma in toto le conclusioni a cui era giunta la Cassazione con la sent 19024/2005. Secondo tali arresti “la responsabilità precontrattuale è configurabile non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o o inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; ed in siffatta ipotesi il risarcimento del danno deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggiore aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto”.

[151] Si fa naturalmente riferimento alla criticata decisione dell’Adunanza Plenaria del 15 settembre 2005 n. 7 secondo cui è ipotizzabile la tutela risarcitoria “nel solo caso in cui il provvedimento richiesto e non adottato, ovvero adottato in ritardo, si configuri come favorevole per il privato istante, e non anche laddove esso compendi un rigetto dell’istanza presentata dal privato medesimo” L’Adunanza Plenaria ha disatteso l’impostazione che la IV sezione del Consiglio di Stato aveva seguito nell’ordinanza di rimessione (n.875/2005) secondo cui “l’affidamento del privato alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa sembra nell’attuale realtà economica e nella moderna concezione del c.d. rapporto amministrativo, essere interesse meritevole di tutela in sé considerato, non essendo sufficiente relegare tale tutela alla previsione e alla azionabilità di strumenti processuali a carattere propulsivo che si giustificano solo nell’ottica del conseguimento dell’utilità finale ma appaiono poco appaganti rispetto all’interesse del privato a vedere definita con certezza la propria posizione in relazione ad un’istanza rivolta all’amministrazione”

[152] Vedi ex multis CARINGELLA Manuale op.citata, GAROFOLI - G.FERRARI op. citata.

[153] Ipotizza in dottrina la responsabilità risarcitoria per i danni patrimoniali arrecati per effetto del prolungamento dello stato di incertezza sull’esito della domanda L. FERRARA “La comunicazione dei motivi……”op.citata.

[154] Nel qual caso, come visto al par 3 non si capisce quale sia la ratio della pur prevista interruzione procedimentale, non avendo l’amministrazione nuovi elementi per rivedere un’istruttoria già completa e “matura per la decisione finale”. Sul rafforzamento dell’onere motivazionale in caso di risposta dell’interessato alla comunicazione di preavviso vedi da ultimo TAR Puglia-Bari sez. II 26 ottobre 2009 sent. n. 2471.

[155] Vedi in dottrina F.G. SCOCA op. citata per il quale è condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale che non richiede una corrispondenza puntuale e di dettaglio, M. CORRADINO op. citata che parla di vero e proprio

“autovincolo” non potendo la PA motivare la scelta conclusiva in modo difforme da quanto già preventivamente comunicato all’istante.

[156] TAR Piemonte I 7 febbraio 2007 sent n. 503.

[157] Consiglio di Stato IV 13 novembre 2007 sent n. 6325 secondo cui “La stessa finalità della norma comporta che non debba esservi necessariamente corrispondenza totale, tale da assurgere a condizione di legittimità del provvedimento finale, in ogni dettaglio tra il contenuto del preavviso e il diniego medesimo, ben potendo l’amministrazione, sulla base delle osservazioni del privato, ma anche in via autonoma, precisare meglio le proprie posizioni giuridiche nell’atto di diniego, che assume, esso solo, natura di atto lesivo. La natura endoprocedimentale del preavviso di diniego, la sua inautonoma impugnabilità, la sua evidente ratio collaborativa e partecipativa rispetto alle facoltà del privato, fanno sì che tale preavviso non corrisponda in ogni suo dettagliato elemento a quanto contenuto nel diniego, ma ne costituisca solo uno schema, evidenziandone i punti salienti”

[158] Vedi Consiglio di Stato V sent. 9 ottobre 2007 n. 5271 secondo cui “deve ritenersi che pur continuando a sussistere il divieto di motivazione postuma (rappresentando l’obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa) tale divieto sia ormai attenuato, non potendosi affermare che l’amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato ovvero attraverso un atto successivo che sia esplicativo delle ragioni che hanno comportato l’adozione del provvedimento stesso.”

[159] In giurisprudenza è del tutto pacifica “l’illegittimità del provvedimento che non esterni compiutamente e specificatamente la motivazione che ha indotto l’amministrazione all’adozione dell’atto pur in presenza di controdeduzioni formalizzate dal destinatario dell’azione amministrativa” TAR Basilicata 2 agosto 2005 n. 738, TAR Marche sez. I 7 febbraio 2006 n. 14.

[160] In dottrina ritiene che l’art 10 bis incida in senso negativo sulla motivazione postuma, oltre che sulla applicazione dell’art 21 octies, pur senza comportare alcuna preclusione procedimentale E.M. MARENGHI op.citata.

[161] Secondo E.M. MARENGHI op. citata, si tratta di strumento di partecipazione non di tipo formale, bensì di sostanza, nell’interesse sia pubblico che privato.

[162] Si fa riferimento all’indirizzo che ritiene possibile la conclusione di accordi anche per procedimenti a contenuto vincolato limitatamente ai profili di discrezionalità amministrativa o tecnica presenti, su cui vedi Consiglio di Stato sez. IV sent 10 dicembre 2007 n.6344 - conferma TAR Liguria sez I sent 13 giugno 2006 n. 542. - a proposito di accordo inerente la realizzazione di opere ai fini del rilascio dell’accertamento di conformità edilizia ex art 36 TU edilizia.

[163] Consiglio di Stato Sez. VI, Sent. n. 2596 del 22-05-2007 secondo cui “ Poiché l'art. 10 bis della L. n. 241/1990 stabilisce che nel caso in cui vengano presentate all'Amministrazione dagli interessati le osservazioni in ordine al provvedimento negativo da questa adottato, dell'eventuale mancato accoglimento di queste deve essere data ragione nella motivazione del provvedimento finale, nel caso in cui nulla al riguardo, nel provvedimento in questione, è detto, si deve ritenere che l'omissione di detta fase procedimentale (valorizzante il momento del contraddittorio fra privato e P.A. ed incidente anche sul contenuto dell'atto finale indicando un contenuto necessario della motivazione) non possa essere sanata in via postuma in sede processuale con integrazione negli atti difensivi della motivazione di rigetto della domanda e ciò qualora l'atto sia espressione di una sfera di valutazione discrezionale tecnica dell'Amministrazione.

[164] Vedi ex multis TAR Piemonte I 10 novembre 2008 sent. n. 2858

[165] Consiglio di Stato IV 17 settembre 2007 n. 4837 secondo cui “Va aggiunto che è proprio il carattere di "discrezionalità tecnica" dell’operato dell’Amministrazione in sede di verifica dell’anomalia ad imporre, anche con riguardo alla par condicio dei concorrenti, che il relativo

giudizio finale sia congruamente e dettagliatamente motivato, dando conto dell’esame di tutti gli elementi dell’offerta e delle ragioni di attendibilità o di inattendibilità dei singoli elementi nell’insieme (cfr. tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 11 dicembre 2001, n. 6217). A tale proposito, va ancora ribadito che il giudizio di verifica che ne occupa ha natura globale e sintetica e deve risultare da un’analisi di carattere tecnico delle singole componenti in cui l’offerta di scompone, al fine di individuare l’incidenza delle singole voci sull’offerta complessiva (cfr., fra le tante, Cons .Stato, Sez. VI, n. 6217 del 2001 cit.); in altri termini, la scomposizione nelle singole voci deve essere ricondotta ad unità, al fine di valutare se l’anomalia delle stesse si traduca nella inattendibilità o nella mancanza di serietà dell’offerta nella sua globalità.Il che priva di consistenza, anche, la tesi della ammissibilità di una motivazione "implicita" sul punto”.

[166] Vedi par 2.1

[167] Tanto che in dottrina risulta messa in dubbio la stessa portata innovativa, avendo la legge 11 febbraio 2005 n. 15 soltanto recepito gli orientamenti pretori della irregolarità dell’atto amministrativo e della non annullabilità per raggiungimento dello scopo o per identità del risultato. Così V.CERULLI IRELLI Lineamenti del diritto amministrativo Giappichelli 2008.

[168] F. CARINGELLA Manuale….op. citata, V. CERULLI IRELLI op. citata.

[169] Per una lettura particolarmente critica vedi ex multis E.M. MARENGHI op. citata, D. CORLETTO op. citata, L. FERRARA “La partecipazione tra ….”op. citata, per il quale la salvezza della costituzionalità della norma va ricercata soprattutto nella applicazione della seconda parte dell’art 21 octies anche alla violazione dell’art 7 l. 241/90 a fronte di attività vincolata e non solo discrezionale. Sostengono l’illegittimità costituzionale per carenza di tutela sostitutiva rispetto alla denegata tutela demolitoria F. VOLPE “La non annullabilità …”op.citata, M. RENNA op. citata.

[170] Così G. CORSO Manuale di diritto amministrativo Giappichelli 2008 seppur in senso molto critico. Vedi in giurisprudenza TAR Sardegna 25 maggio 2005 sent. n. 1170.

[171] Evidenzia la identità dell’oggetto tra giudizio risarcitorio per lesione di interesse legittimo e giudizio demolitorio a seguito dell’entrata in vigore dell’art 21 octies D. CORLETTO op. citata.

[172] Per una lettura in questa direzione del dettato costituzionale in materia di tutela giurisdizionale amministrativa vedi soprattutto V. CAIANIELLO op. citata.

[173] Cassazione Sezioni Unite 23 dicembre 2008 sent. n. 30254.

[174] Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 22 ottobre 2007 sent. n. 12 seppur obiter dicta.

[175] Secondo D. CORLETTO op. citata nei confronti dell’attività vincolata, ove applicabile il primo allinea del secondo comma, scompare invece l’interesse legittimo per far posto ad un giudizio di accertamento del diritto soggettivo fatto valere. In questo senso, giudizio sul rapporto equivale quindi ad accertamento del diritto, con scomparsa dell’interesse legittimo.

[176] Vedi le considerazioni di G. CORSO Manuale di diritto amministrativo Giappichelli 2008.

[177] Sul concetto di autovincolo vedi le interessanti considerazioni di F.G. SCOCA Contributo al tema della fattispecie precettiva Perugia 1979 che ricostruisce la decisione amministrativa come “fattispecie a formazione progressiva” ove la discrezionalità amministrativa verrebbe consumata nella fase a monte della fisazione dei criteri, doverosa in ossequio al principio di imparzialità. Favorevole alla lettura estensiva del concetto di autovincolo è decisamente F. CARINGELLA “Il nuovo ruolo del G.A.: articolo 21 octies legge 241” in www.giustizia-amministrativa.it.

[178] Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis di recente T.A.R. Veneto sez II 13 marzo 2008 n. 605) “il potere di repressione degli abusi edilizi non è sottoposto a limiti di tempo o alla valutazione dell’interesse pubblico bensì all’oggettivo riscontro della abusività dell’opera.”

[179] Ex multis TAR Lazio II bis 28 giugno 2005 n. 5370.

[180] R. CHIEPPA “I vizi non invalidanti” in Temi di diritto amministrativo Giuffrè 2006, D. CORLETTO op. citata secondo cui l’art 21 octies non troverebbe spazio ogni qualvolta vi sia incertezza oltre che sui presupposti fattuali, su quelli giuridici. In giurisprudenza vedi Consiglio di Stato IV 6 novembre 2008 sent. n. 5500 che ai fini della dimostrazione che il provvedimento non sia annullabile, nega l’applicabilità dell’art 21 octies ogni qualvolta il ricorrente contesti la ricorrenza dei presupposti di fatto a fondamento del vincolo.

[181] Sulla presunta illegittimità costituzionale per contrasto con l’art 111 Cost oltre che con l’art 117 c. 1° Cost. di norme che non prevedono l’obbligo di motivare il voto in occasione delle prove scritte di abilitazione alla professione da avvocato vedi TRGA Trento 5 maggio 2008 ord. 31.

[182] Vedi l’interessante TAR Liguria II 9 gennaio 2009 sent. n. 43 secondo cui “il difetto di motivazione in sede di autorizzazione paesaggistica non può essere qualificato alla stregua di un vizio di forma ai sensi dell’art. 21 octies c. 2° atteso che sottende all’esplicazione di un giudizio connesso alla tutela di interessi primari di tutela ex art 117 lett s) Cost”.

[183] L. FERRARA “La partecipazione tra illegittimità…..”op.citata.

[184] Tendenza dimostrata dall’oramai costante indirizzo pretorio volto ad applicare il primo allinea del 21 octies d’ufficio, a prescindere da eccezione dell’amministrazione resistente, quale difetto di interesse al ricorso, che costringe di fatto il ricorrente a dedurre in giudizio vizi di natura anche sostanziale. Sul punto vedi ex multis anche D. CORLETTO op citata, e in giurisprudenza Consiglio di Stato sez V 29 aprile 2009 n.2723 secondo cui “deve ritenersi inammissibile il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione di inizio del procedimento ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all’amministrazione”.

[185] Consiglio di Stato VI 11 settembre 2006 sent. n. 5260 secondo cui l’accertamento del raggiungimento dello scopo “esclude la sussistenza del vizio senza neanche dover valutare se sussistano o meno i presupposti per l’applicazione dell’art 21 octies”.

[186] Consiglio di Stato 19 marzo 2007 n. 1307.

[187] In giurisprudenza ex multis Consiglio di Stato VI 17 ottobre 2006 sent n.6194, VI 4 settembre 2007 sent. n. 4614. L’opzione per la natura processuale rende l’art 21 octies applicabile a tutti i giudizi in corso, quindi anche ai provvedimenti emanati prima dell’entrata in vigore della legge 15/2005.

[188] Opzione ermeneutica peraltro possibile potendo leggere l’art 21 octies come voluntas legis di dequotare il vizio di violazione di norme procedimentali a mera irregolarità, lesiva di interessi di mero fatto o amministrativamente protetti.

[189] Parla di impropria “aziendalizzazione” D. CORLETTO op. citata.

[190] E.M. MARENGHI op. citata.

[191] Ex multis Consiglio di Stato IV 6 novembre 2008 sent. n. 5500 secondo cui ai fini della dimostrazione che il provvedimento non sia annullabile, nega l’applicabilità dell’art 21 octies ogni qualvolta il ricorrente contesti la ricorrenza dei presupposti di fatto a fondamento del vincolo.

[192] L. FERRARA “La partecipazione tra illegittimità….”op. citata, per il quale la salvezza della costituzionalità della norma va ricercata soprattutto nella applicazione della seconda parte dell’art 21 octies anche alla

violazione dell’art 7 l. 241/90 a fronte di attività vincolata e non solo discrezionale. Secondo il medesimo autore (vedi L. FERRARA “La comunicazione dei motivi..”op. citata) il suesposto orientamento sarebbe valido anche per il vizio di violazione dell’art 10 bis, nella complessiva ottica di valorizzazione, anziché di dequotazione, della partecipazione. Anche parte della giurisprudenza, superando il dato testuale dell’art 21 octies comma secondo prima parte, introduce in ipotesi di violazione dell’art 10 bis l’onere probatorio a carico della PA esclusivamente previsto dalla seconda parte dell’art 21 octies, anche in ipotesi di attività vincolata (TAR Veneto II 2006 sent. n. 1110, TAR Puglia Lecce II 5 dicembre 2005 sent n. 5633). Da ultimo la tesi dell’applicabilità della seconda parte dell’art 21-octies anche ai provvedimenti di natura vincolata, con relativo trasferimento dell’onere probatorio a carico della PA, è stata autorevolmente sostenuta dal Consiglio di Stato, sez. VI sent. 4 agosto 2009 n. 4809.

[193] Vedi le considerazioni svolte nei par 2 e 2.1.

[194] TAR Abruzzo L’Aquila 27 luglio 2006 n. 621 secondo cui “né può ritenenrsi applicabile la seconda parte della medesima disposizione, che contempla il medesimo divieto solo per la mancata comunicazione di avvio del procedimento, seppur sempre subordinato alla medesima suenunciata condizione, ma non già per la violazione dell’obbligo, previsto dal citato art 10 bis, di rappresentare le ragioni che si oppongono alla emanazione del provvedimento”.

[195] D. SORACE op.citata secondo cui “sebbene si tratti di una norma procedimentale essa riguarda una particolare e nuova garanzia procedimentale per le ipotesi di insoddisfazione degli interessati, dunque una fattispecie specifica che avrebbe dovuto essere richiamata espressamente perché parrebbe altrimenti contraddittorio che il legislatore l’abbia prevista per poi attenuarne la portata facendola rinetrare nella disposizione generale in parola”. Contrario alla irrilevanza del vizio procedurale ex art 10-bis ai fini della tutela demolitoria è anche M.A. SANDULLI “La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità vere e apparenti” in www.federalismi.it

[196] Consiglio di Stato 10 dicembre 2007 sent n. 6344, TAR Liguria I 13 giugno 2006 sent.n. 542 che ritengono possibile un accordo ex art 11 l. 241/90 inerente le modalità tecniche di realizzazione di opere edilizie ai fini del rilascio dell’accertamento di conformità edilizia ex art 36 TU edilizia. Per una lettura critica in ordine alla possibilità di accordi in questo tipo di attività rigidamente vincolata, non disponendo l’amministrazione di alcun spazio di scelta e ponderazione di interessi vedi F. SAITTA op.citata. Favorevole ad accordi aventi ad oggetto anche il potere di tipo discrezionale tecnico e di tipo vincolato è invece F. CINTIOLI “Le tecniche di Alternative Dispute Resolution” in Giustamm.it n. 9/2009.

[197] Vedi le considerazioni svolte al par 5 per le quali si è reputato sufficiente in questo caso una motivazione per relationem.

[198] Consiglio di Stato VI 11 settembre 2006 sent. n. 5260 secondo cui l’accertamento del raggiungimento dello scopo “esclude la sussistenza del vizio senza neanche dover valutare se sussistano o meno i presupposti per l’applicazione dell’art 21 octies.

[199] In questo senso TAR Puglia Lecce II 24 agosto 2006 n. 4281 secondo cui “ la regola partecipativa posta dall’art. 10-bis della L.241/90 non possa essere intesa in senso meccanico e formalistico, avendo la stessa non già una ragione formale ma , bensì sostanziale, ossia la possibilità per il propulsore di un procedimento amministrativo di venire a conoscenza delle ragioni impeditive all’accoglimento della sua istanza, prima che il provvedimento negativo sia divenuto definitvo e, quindi, in un momento tale da permettere all’Amm.ne di meditare meglio in ordine al procedimento medesimo mediante una completa rappresentazione di tutte le circostanze di fatto di diritto allo stesso sottese.Risulta pertanto palese che, laddove il destinatario del provvedimento finale abbia avuto modo, nel corso del procedimento, di venire a conoscenza delle ragioni impeditive all’accoglimento della sua istanza, confutandole efficacemente, la riproposizione delle stesse risulterebbe non solo inutile ma, anzi dispendiosa e contraria ai principi di efficacia e buon andamento dell’agere amministrativo tutelati dall’art. 98 Cost. Può difatti ancora trovare applicazione quella giurisprudenza che, in materia di comunicazione dell’avvio del procedimento prevista dall’art. 7

della L. 241/90, ha affermato una lettura non "meccanica e formalistica" della previsione dell'art. 7 l. 241/1990 ed in particolare, la necessità di escludere l'illegittimità dell'atto amministrativo non preceduto dalla comunicazione di inizio procedimento tutte le volte in cui l'interessato abbia comunque esercitato le proprie facoltà partecipative, ad esempio, presentando comunque le proprie osservazioni).. omissis….Tali principi possono difatti essere analogamente applicati nell’interpretazione del citato art. 10 bis della l. 241/90, trovando gli stessi la medesima ratio ispiratrice.”

[200] Favorevole alla non annullabilità per conseguimento dello scopo in dottrina è S. TARULLO op. citata “ogniqualvolta si appuri che il contraddittorio si è comunque sviluppato in modo adeguato anche sui motivi ostativi, o che comunque il contenuto del provvedimento finale non sarebbe stato modificato pur all’esito di una effettiva partecipazione”. In termini anche V. FANTI op. citata.

[201] Vedi motivazione sentenza TAR Puglia citata a nota precedente.

[202] Tesi ampiamente sostenuta in giurisprudenza vedi TAR Lazio Roma III ter 17 luglio 2007 sent. n. 6503, TAR Puglia Lecce II 24 agosto 2006 sent. n. 4281, TAR Valle d’Aosta 12 luglio 2007 sent. n. 106, TAR Emilia –Romagna II 6 novembre 2006 sent. n. 2875, TAR Campania Napoli sent. 2006 n. 651, TAR Molise 25 gennaio 2007 sent. n. 57. In dottrina decisamente favorevole all’applicazione anche della seconda parte del c.2° dell’art. 21-octies è V. FANTI op. citata secondo cui “la comunicazione del preavviso di rifiuto è istituto del tutto assimilabile alla comunicazione dell’inizio dell’attività amministrativa.”

[203] Su cui ampiamente vedi par.2.

[204] Specie in riferimento, come visto al par. 1, oltre che agli art 97 e 111 Cost. all’art 117 c. 1° Cost in relazione all’art 6 CEDU interpretato come norma di garanzia non solo processuale ma anche procedimentale.

[205] Vedi da ultimo Consiglio di Stato 7 settembre 2009 sent. n. 5245 che non ritiene ostativa alla configurazione della responsabilità precontrattuale della PA, con riferimento alle procedure di evidenza pubblica, la legittimità degli atti della sequenza procedimentale.