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La classe operala a Genova dì Marco Doria La guerra e l’industria genovese Al riconoscimento dell’importanza della prima guerra mondiale per lo sviluppo dell’industria italiana e per le trasformazioni sociali ad esso collegate non ha fatto riscontro per lungo tem- po una produzione storiografica che analizzas- se criticamente la figura e il ruolo della classe operaia come componente del processo pro- duttivo. Si parlasse di operai-imboscati da con- trapporre ai fanti-contadini o all’“esercito indu- striale” che al pari dei soldati al fronte lottava per la vittoria, si dipingessero i lavoratori nelle fabbriche come “piccoli pescecani” che benefi- ciavano di laute retribuzioni o come miserabili sfruttati che preparavano la rivoluzione, ogni giudizio al riguardo era pensato e letto in chiave di polemica politica. Ancora nel 1976 Giorgio Rochat sottolineava l’importanza di nuove ri- cerche d’archivio che evitassero luoghi comuni e schemi aprioristici (*). Questo lavoro si propone di studiare la classe operaia del genovesato, la sua composizione, la sua collocazione oggettiva nell’economia di guerra, le dinamiche salariali e le condizioni di vita. Si tralascia di esaminare in questa sede quanto attiene strettamente alla storia politica e sindacale del movimento operaio genovese ne- gli anni della prima guerra mondiale. Analizzare le vicende degli operai dell’indu- stria a Genova — senza limitarsi a quelli che erano i confini amministrativi del capoluogo ligure ma considerando un’area comprensoria- le più vasta ed economicamente integrata — significa puntare il proprio obiettivo sul prole- tariato di una regione chiave per la produzione di materiale bellico e perciò assai sensibile alla particolare congiuntura 0 . Qualche osservazione sulla situazione della Liguria nel 1911 permette di valutare più preci- samente le modificazioni intervenute negli anni (') Nella sua brillante disamina della storiografia relativa alla prima guerra mondiale (L’Italia nella prima guerra mondiale), Milano, Feltrinelli, 1976 Giorgio Rochat notava la mancanza di “studi documentati sulle reali condizioni di lavoro nelle fabbriche”. Una delle poche eccezioni era costituita dal lavoro di Paolo Spriano, Torino operaia nella grande guerra f 1914-1918), Torino, Einaudi, 1960. In tempi più recenti nuovi studi hanno illustrato con ricchezza di dati la situazione degli operai in importanti aree industriali; tra questi mi limito a segnalare le opere di Luigi Tomassini. Classe operaia e organizzazione sindacale durante la prima guerra mondiale: la Camera del Lavoro di Firenze 1915-1918, in "Ricerche Storiche”, 1979, n. 2-3, pp. 259-374, Stefano Musso, Gli operai di Torino 1900-1920, Milano, Feltrinelli, 1980, e Alessandro Camarda-Santo Peli, L’altro esercito. La classe operaia durante la prima guerra mondiale, Milano, Feltrinelli, 1980. Giovanna Procacci nel suo lavoro su Repressione e dissenso nella prima guerra mondiale fin “Studi Storici”, 1981, n. 1, pp. 119-150) presenta anche un’ampia e aggiornata bibliografia relativa alla classe operaia nella grande guerra. (2) Dei 1976 stabilimenti che, alla fine del 1918, erano stati dichiarati ausiliari 200 si trovavano in Liguria; vi erano occupati 145.942 lavoratori (sui 903.250 che costituivano la manodopera degli stabilimenti ausiliari nell’intero Paese) (MAIC, Annuario Statistico Italiano, 1917-1918, pp. 334-335). Sull’economia di guerra, oltre agli ormai classici saggi di Luigi Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Bari, Laterza, 1933, e Vittorio Franchini, La mobilitazione industriale dell'Italia in guerra, Roma, 1932, cfr. Alberto Caracciolo, ¿a crescita e la trasformazione della grande industria durante la prima guerra mondiale, in Lo sviluppo economico in Italia a cura di G. Fuà, voi. Ili, Milano, Angeli, 1969. “Italia contemporanea”, giugno 1982, n. 146-147.

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La classe operala a Genovadì M arco Doria

La guerra e l’industria genovese

Al riconoscimento dell’importanza della prima guerra mondiale per lo sviluppo dell’industria italiana e per le trasformazioni sociali ad esso collegate non ha fatto riscontro per lungo tem­po una produzione storiografica che analizzas­se criticamente la figura e il ruolo della classe operaia come componente del processo pro­duttivo. Si parlasse di operai-imboscati da con­trapporre ai fanti-contadini o all’“esercito indu­striale” che al pari dei soldati al fronte lottava per la vittoria, si dipingessero i lavoratori nelle fabbriche come “piccoli pescecani” che benefi­ciavano di laute retribuzioni o come miserabili sfruttati che preparavano la rivoluzione, ogni giudizio al riguardo era pensato e letto in chiave di polemica politica. Ancora nel 1976 Giorgio Rochat sottolineava l’importanza di nuove ri­cerche d’archivio che evitassero luoghi comuni e schemi aprioristici (*).

Questo lavoro si propone di studiare la classe operaia del genovesato, la sua composizione, la sua collocazione oggettiva nell’economia di guerra, le dinamiche salariali e le condizioni di vita. Si tralascia di esaminare in questa sede quanto attiene strettamente alla storia politica e sindacale del movimento operaio genovese ne­gli anni della prima guerra mondiale.

Analizzare le vicende degli operai dell’indu­stria a Genova — senza limitarsi a quelli che erano i confini amministrativi del capoluogo ligure ma considerando un’area comprensoria- le più vasta ed economicamente integrata — significa puntare il proprio obiettivo sul prole­tariato di una regione chiave per la produzione di materiale bellico e perciò assai sensibile alla particolare congiuntura 0 .

Qualche osservazione sulla situazione della Liguria nel 1911 permette di valutare più preci­samente le modificazioni intervenute negli anni

(') Nella sua brillante disamina della storiografia relativa alla prima guerra mondiale (L’Italia nella prima guerra mondiale), Milano, Feltrinelli, 1976 Giorgio Rochat notava la mancanza di “studi documentati sulle reali condizioni di lavoro nelle fabbriche”. Una delle poche eccezioni era costituita dal lavoro di Paolo Spriano, Torino operaia nella grande guerra f 1914-1918), Torino, Einaudi, 1960. In tempi più recenti nuovi studi hanno illustrato con ricchezza di dati la situazione degli operai in importanti aree industriali; tra questi mi limito a segnalare le opere di Luigi Tomassini. Classe operaia e organizzazione sindacale durante la prima guerra mondiale: la Camera del Lavoro di Firenze 1915-1918, in "Ricerche Storiche”, 1979, n. 2-3, pp. 259-374, Stefano Musso, Gli operai di Torino 1900-1920, Milano, Feltrinelli, 1980, e Alessandro Camarda-Santo Peli, L’altro esercito. La classe operaia durante la prima guerra mondiale, Milano, Feltrinelli, 1980. Giovanna Procacci nel suo lavoro su Repressione e dissenso nella prima guerra mondiale fin “Studi Storici”, 1981, n. 1, pp. 119-150) presenta anche un’ampia e aggiornata bibliografia relativa alla classe operaia nella grande guerra.(2) Dei 1976 stabilimenti che, alla fine del 1918, erano stati dichiarati ausiliari 200 si trovavano in Liguria; vi erano occupati 145.942 lavoratori (sui 903.250 che costituivano la manodopera degli stabilimenti ausiliari nell’intero Paese) (MAIC, Annuario Statistico Italiano, 1917-1918, pp. 334-335). Sull’economia di guerra, oltre agli ormai classici saggi di Luigi Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Bari, Laterza, 1933, e Vittorio Franchini, La mobilitazione industriale dell'Italia in guerra, Roma, 1932, cfr. Alberto Caracciolo, ¿a crescita e la trasformazione della grande industria durante la prima guerra mondiale, in Lo sviluppo economico in Italia a cura di G. Fuà, voi. Ili, Milano, Angeli, 1969.

“Italia contemporanea”, giugno 1982, n. 146-147.

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di guerra. A quell’epoca il livello dell’occupa­zione industriale nella regione era abbastanza vicino a quello delle zone maggiormente svi­luppate dell’Europa continentale (3). Esami­nando i dati sull’occupazione del censimento del 1911 e disaggregandoli per settori si indivi­duano alcuni tratti peculiari dell’industria genovese.

Forte era l’incidenza degli occupati metal­meccanici sul totale dei lavoratori: nei comuni di Genova, Sampierdarena e Sestri Ponente essi costituivano il 37 per cento della forza lavoro industriale (26 per cento a Genova, 46 per cento a Sampierdarena, 73 per cento a Sestri); la manifattura tessile e l’abbigliamento assorbivano invece, sempre nei tre comuni suddetti, soltanto il 12 per cento ( 17 per cento a Genova, 7 per cento a Sampierdarena, 2 per cento a Sestri) (4). Il peso modesto di questo settore sull’economia genovese appare evidente confrontando i dati relativi alle provincie di Milano, Torino e Genova, mentre nel settore metalmeccanico il rapporto risulta ribaltato (5).

Per quanto riguarda il solo settore meccani­co, sempre nel 1911, il quadro si presentava come segue:in Liguria 22.318 operai per 342 imprese (me­dia 65 occupati per impresa)

in Lombardia 36.199 operai per 1.901 imprese (media 19 occupati per impresa) in Piemonte 21.177 operai per 1.171 imprese (media 18 occupati per impresa) (6).

Minore era in Liguria l’importanza delle pic­cole e piccolissime officine f7).

La dotazione di macchine nel settore metal­meccanico si configurava: a Genova 32.515 cavalli dinamici (29,4% della forza motrice delle industrie della provincia) a Torino 9.460 cavalli dinamici (7,6% della forza motrice delle industrie della provincia) a Milano 7.695 cavalli dinamici (6,7% della forza motrice delle industrie della provincia) (8).

Notevole incidenza della industria metal­meccanica sui livelli occupazionali e sua con­centrazione in grosse fabbriche fomite di mac­chine capaci di sviluppare un vasto potenziale di forza motrice da un lato, debolezza del setto­re tessile e dell’abbigliamento e conseguente esiguità dell’occupazione operaia femminile dall’altro (9): questo il portato delle scelte degli imprenditori genovesi che avevano eletto a ter­reno privilegiato per i loro investimenti l’indu­stria siderurgica, protetta dalle alte tariffe do­ganali, e la meccanica pesante, cui le commesse statali garantivano un cospicuo giro d’af­fari (10).

(3) Valerio Castronovo, La storia economica, in Storia d ’Italia, voi. IV, Torino, Einaudi 1975, p. 185.(•*) MAIC, Annuario Statistico Italiano, 1913, p. 156.(5) Ivi, pp. 156-157. Cfr. la Tabella 1 a pag. 117.(6) Banca Commerciale Italiana, Cenni statistici sul movimento economico dell’Italia, Milano, 1915, p. 187.(7) Cfr. la Tabella 2 a p. 117 elaborata su dati MAIC, Annuario Statistico Italiano, 1914, p. 174.(8) Ivi, 1913, p. 156.(’) Operai e operaie in Liguria in totale e nei principali settori:

maschi femmine

Totale sotto sopra sotto soprai 15 anni i 15 anni i 15 anni i 15 anni

nel complesso delle industrie 109.608 5.552 82.804 3.329 17.923metalmeccanica 44.339 1.775 41.561 112 891tessili 11.156 352 2.290 1.602 6.922chimiche 5.467 81 3.326 65 1.995lavorazione cuoio e pelli 3.643 401 2.914 48 280

(MAIC, Annuario Statistico Italiano, 1913, p. 155 e 1914, pp. 179. 187).(lo) Per gli orientamenti della borghesia industriale genovese e lo sviluppo della struttura produttiva nella regione negli anni precedenti il conflitto, v. Giorgio Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerra mondiale, voi. II, Milano, Giuffrè, 1973.

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L’Ansaldo è sicuramente l’esempio più signi­ficativo di impresa, legata a doppio filo alla produzione di guerra, che vuole pesare sull’o­rientamento delle forze di governo e dell’opi­nione pubblica, attore politico, dunque, nel senso più proprio del termine (><): delle 68.228 tonnellate di stazza complessive costruite nel cantiere Ansaldo di Sestri nel periodo 1911- 1914, l’82 per cento riguarda lavori eseguiti per conto della Regia Marina (12).

La guerra sembra premiare questi orienta­menti: l’industria della regione è impegnata a fondo nella produzione di materiale bellico e alla fine del conflitto il suo contributo alla vitto­ria risulterà determinante (*3). I pagamenti ge­nerosi dello Stato favoriscono i programmi di investimento delle imprese e il raggiungimento di elevate quote di profitto (14).

Crescita quantitativa e composizione della classe operaia

L’impetuoso processo di espansione della strut­tura produttiva ha un effetto diretto sulla classe operaia, che aumenta numericamente e muta la sua composizione qualitativa con la crescente presenza di figure nuove: le donne, per esem­pio, “confinate” prima quasi tutte nel settore tessile, che fanno la loro comparsa in altri rami dell’industria, e i sempre più numerosi contadi­ni inurbati (15).

Non sono possibili confronti su rilevazioni statistiche relative al numero degli addetti al­l’industria effettuate su base omogenea, che documentino la crescita quantitativa della clas­se operaia. L’analisi dei dati del censimento del 1911 rapportati a quelli della Mobilitazione industriale è comunque indicativa di una chiara

0 ‘) Cfr. Ernesto Galli Della Loggia, Problemi di sviluppo industriale e nuovi equilibri politici alla vigilia della prima guerra mondiale; la fondazione della Banca Italiana di Sconto, in “Rivista storica italiana”, 1970, fase. 4, e R.A. Webster, L’imperialismo industriale italiano, Torino, Einaudi, 1974.(12) Emanuele Gazzo, / Cento Anni dell’Ansaldo 1853-1953, Genova, 1953, p. 578.(13) Nel quinquennio 1914-1918 il 33% della produzione nazionale di acciaio viene prodotto in Liguria (Ilva, Altiforni e Acciaierie d ’Italia 1837-1947, Bergamo, 1948, p. 353). La sola Ansaldo fornirà il 49% dei pezzi d’artiglieria fabbricati in Italia tra il gennaio e l’ottobre del 1918 (Archivio Storico Ansaldo (d’ora in avanti ASA), Fondo Puri, dossier 49, memoriale di Mario e Pio Perrone alla Commissione parlamentare d’inchiesta per le spese di guerra).(14) Tale fenomeno interessa ovviamente in misura maggiore l’industria meccanica, che come si è visto è colonna portante della economia della regione. Un campione di sette tra le più importanti società per azioni meccaniche è indicativo al riguardo:

Principali dati di bilancio delle società Fossati, San Giorgio, Cantieri Officine Savoia, Officine Elettromeccaniche, Offi­cine Ferroviarie Liguri, Koerting, Esercizio Bacini

Capitale (A) Utili (B) B/A % Impianti Indice 1914= 100

1914 16.395.000 892.230 5,4 25.054.400 1001915» 16.395.000 1.200.310* 7,3 14.052.195* _*1916 16.800.000 2.943.000 17,5 29.856.650 1191917 26.645.000 6.044.270 22,7 39.521.425 1571918 35.300.000 4.167.230 11,8 59.159.830 236* mancano i dati per la società Esercizio Bacini.Il bilancio delle Officine Ferroviarie Liguri copre il periodo 1 luglio-30 giugno dell’anno successivo. Nel 1917 la Koerting viene assorbita dalla San Giorgio. (Fonti: Tribunale di Genova, Archivio delle società commerciali (d’ora in avanti ATG), b. 23 Esercizio Bacini e Koerting, b. 49 Cantieri Officine Savoia, b. 50 Fossati, b. 52 Officine Elettromeccaniche, b. 58 San Giorgio, b. 78 Officine Ferroviarie Liguri). Un discorso a parte meriterebbe l’Ansaldo, assoluta protagonista del momento. 11 capitale sociale, di 30 milioni nel 1914, sale a 500 milioni nel 1918.1 dipendenti, secondo quanto affermato nella relazione del Consiglio d’Amministrazione sull'esercizio 1918, arrivano ad essere più di 80.000 con le imprese collegate. Dal 1915 al 1918 l’azienda investe in nuovi impianti 588 milioni di lire (E. Gazzo, / cento anni dell'Ansaldo, cit.).0S) In propostito l’opera di Luigi Einaudi sugli “effetti sociali della guerra” non va oltre l’individuazione dei caratteri dì fondo di questa trasformazione. L’analisi di Santo Peli ¿invece più puntuale e dettagliata. Sulla portata del fenomeno della “nuova classe operaia”, ridimensionata nel dopoguerra, v. le conclusioni dell’articolo.

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linea di tendenza. Nel 1911 risultano occupate nel settore secondario in Liguria 126.424 per­sone, ivi compresi ben 12.314 tra “padroni, capi, direttori” (16). Un prospetto del Comando della Divisione militare di Genova del primo ottobre 1917 che censisce i lavoratori degli sta­bilimenti ausiliari e di altre aziende della regio­ne riporta la cifra di 149.843 occupati (l7).

L’occupazione sembra poi subire un aumen­to particolarmente rilevante nel periodo otto­bre 1917-ottobre 1918: in tale arco di tempo il numero degli stabilimenti ausiliari aumenta di sole 10 unità (da 190 a 200) mentre i dipendenti, 145.942 alla fine del conflitto, crescono di 42.566 unità (l8).

La particolare domanda che la guerra ali­menta, favorendo lo sviluppo dell’industria più direttamente legata alla produzione di materia­le bellico, opera una redistribuzione dei lavora­tori occupati da un settore all’altro, da impresa a impresa. Gli aumenti dell’occupazione più significativi riguardano i comparti metalmec­canico (oltre il 71 per cento tra il 1911 e il 1917) e chimico (oltre il 51 per cento nello stesso periodo) (l9).

Per singole realtà aziendali nei settori “mino­

C6) MAIC, Annuario Statistico Italiano 1913, p. 155.(I7) Archivio Centrale dello Stato, Ministero per le Armi e Munizioni, Comitato Centrale di Mobilitazione Industriale (d’ora in avanti ACS, MAM, CCM1), b. 230. Si tratta di dati che non possono in modo certo considerarsi esaustivi di tutta l’occupazione industriale ligure e che pure denotano un incremento occupazionale dei “dipendenti” che si può valutare sul 30% circa tra il 1911 e il 1917.C8) L'Annuario Statistico Italiano (1917-1918, p. 335), riportando dati del Comitato Centrale Mobilitazione Industriale (CCMI), fornisce la cifra di 145.942 dipendenti impegnati negli stabilimenti ausiliari al termine delle ostilità. Per il confronto ho utilizzato il dato sull’occupazione fornito in ACS, MAM, CCM1, b. 228, prospetto per settori sul personale degli stabilimenti ausiliari (non datato, ma riferentesi all’autunno 1917).(>») I metalmeccanici, circa 45.000 in tutta la regione al censimento industriale del 1911, sono poco meno di 80.000 nei soli stabilimenti ausiliari nell’autunno 1917, sempre considerando il personale dei soli stabilimenti ausiliari (ACS, MAM, CCM1, b. 228, prospetto cit).(2°) Molti operai lasciano le loro officine per andare negli stabilimenti ausiliari ove possono ottenere con più facilità l’esonero (“Il lavoro”, 8 novembre 1917).Le relazioni di vari consigli d’amministrazione, per l’intera durata del conflitto, offrono abbondanti testimonianze sulla scarsità di manodopera. “Vuole la combinazione che il personale dirigente e quello maggiormente pratico nei vari rami dell’azienda sociale si trovasse quasi tutto nei limiti di età che comportano obblighi militari per la qualcosa, poco alla volta, esso dovette recarsi a compiere il proprio dovere verso la patria” ( ATG, b. 23, Internazionale per la torrefazione del caffè, rei. esercizio 1915). Un caso limite è senza dubbio quello della Fabbrica di concimi e affini di Valle Scrivia costretta a sospendere per qualche tempo l’attività per la contemporanea chiamata alle armi dell’amministratore delegato, del direttore e del capo operaio dello stabilimento (ATG, b. 84 rei. esercizio 1918).(2I) ATG, b. 52, Officine Elettromeccaniche, rei. esercizio 1915; b. 49, Cantieri Savoia, rei. esercizio 1915; b. 56, Officine Finalmarina, rei. esercizio 1915.

ri” si possono ipotizzare contrazioni del nume­ro dei dipendenti dovute ai richiami alle armi — per le imprese tessili e poligrafiche, per la quasi totalità non ausiliarie, è assai difficile ottenere l’esonero delle maestranze — e alla maggior forza d’attrazione esercitata dalle aziende metalmeccaniche, in grado di corri­spondere mediamente migliori retribuzioni e di evitare al lavoratore l’invio al fronte (2o).

Attingere al serbatoio delle piccole imprese e delle botteghe artigiane non è comunque suffi­ciente a garantire alla grande industria la ma­nodopera necessaria; all’inizio del conflitto la chiamata alle armi colpisce in modo pesante anche gli organici dei grossi stabilimenti, e di ciò si lamentano a più riprese nel 1915 i consigli di amministrazione delle società metalmecca­niche (21).

La situazione si modifica negli anni seguenti: le principali imprese trovano il modo di assicu­rarsi le maestranze necessarie grazie alle diffuse dichiarazioni di ausiliarità che frenano l’esodo degli operai P ) , mentre l’immissione di nuove forze sul mercato del lavoro permette di aumentare gli organici.

La composizione della classe operaia ligure

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cambia assai più rapidamente di quanto non suggerisca il semplice dato della sua crescita numerica: va infatti preso in considerazione il turnover relativo agli operai richiamati, parti­colarmente forte in alcuni periodi del conflitto, segnatamente nei mesi iniziali e in quelli imme­diatamente successivi alla disfatta di Caporet- to, allorché la necessità di disporre di truppe fresche diventa assolutamente prioritaria ri­spetto alle esigenze della produzione.

Partenze per il fronte, turnover, nuove as­sunzioni: in un breve volgere di tempo alla crescita numerica si accompagna il mutare del­la composizione della classe.

“Prima della guerra noi avevamo 120.000 operai mentre oggi ne abbiamo 600.000. Si sono presi degli uomini e se ne sono fatti degli operai; la maggior parte di essi è venuta dalla campagna...”: così dice il generale Alfredo Dal- lolio, sottosegretario e poi ministro per le Armi e Munizioni, intervenendo nell’aprile 1917 a una seduta del Comitato regionale di mobilita­zione industriale (CRMI) della Liguria (23). Il fenomeno è avvertito anche in Liguria: alle Ferrotaie di Vado “su 10 operai nove sono semplici manovali o contadini sprovvisti di qualunque istruzione professionale ...” (24); il segretario della CdL di Genova-Sampierdarena Barbieri, riferendosi ai metalmeccanici genove­si, afferma che “il manovalato... è dato dai contadini o dai senza mestiere f25).

Significativa di questo periodo è la figura del

contadino operaio: Togliatti e Viglongo, ana­lizzando sulT“Ordine Nuovo” la classe operaia del genovesato, richiamano la psicologia di questi uomini “nell’animo ancora contadini”, che “dai colli circostanti, dalle alte valli del Monferrato scesi nelle officine, non trovano in esse l’ambiente adatto a pienamente trasfor­marli, o per lo meno conservano una fisiono­mia intermedia tra quella del contadino e quel­la del proletario di città” (26).

Non sono solo i contadini a entrare in fab­brica ma persone precedentemente dedite alle occupazioni più varie: “contadini, possidenti, salumieri, osti, barbieri, calzolai, sarti, macellai, ecc., sono entrati a reggimenti nelle officine Ansaldo ... e costituiscono oggi [novembre 1916] un vero esercito in questi stabilimenti (27). “Lotta operaia”, organo della Camera del La­voro di Sestri Ponente, considerando come prima della guerra lavorassero negli stabilimen­to Ansaldo circa 11.000 operai e come alcune migliaia di essi fossero richiamati, rilevando che nell’autunno del 1916 il numero degli occu­pati supera le 20.000 unità, giunge alla conclu­sione che una buona metà degli operai ansaldi- ni è formata da nuovi arrivati e /o imboscati (“ )■

L’impatto con la fabbrica è spesso traumati­co: all’Ansaldo Meccanico, dove vengono ope­rate numerose assunzioni a partire dalla fine del 1914, molti lavorano solo per pochi mesi, in alcuni casi pochi giorni, prima di licenziarsi

(22) ATG, b. 52, Officine Elettromeccaniche, rei. cit. : le officine sono dichiarate ausiliarie “sicché a partire dal settembre [1915] fu possibile portare il numero dei nostri operai a quello necessario per la completa utilizzazione degli impianti esistenti e dei nuovi eseguiti”. Su “Il lavoro” del 9 luglio 1915 è pubblicata una lettera di Antonio Negro, segretario della CdL di Sestri Ponente, in cui si legge: “... la maggioranza dei richiamati in Sestri è costituita da coloro che non appartengono ai grossi stabilimenti (perchè questi sono esonerati) ma che sono invece artigiani, appartenenti alle piccole industrie, ecc. ecc.”.(23) ACS, MAM, COMI, b. 270, verbale seduta CRMI 6 aprile 1917.(24) ACS, MAM, CCMI, b. 144, documenti vertenza novembre 1916.(25) “Il lavoro”, 29 giugno 1916.(26) Paimiro Togliatti-Andrea Viglongo, Rapporto sui fa tti di Sestri, in “L’ordine nuovo”, 13 marzo 1920. Alla luce di queste considerazioni la schematica divisione tra fanti-contadini e operai-imboscati (ripresa da Piero Melograni, Storia politica della grande guerra 1915-1918, Bari-Laterza, 1972, pp. 326-327, e criticata da G. Rochat, L’Italia nella prima guerra mondiale, cit., p. 77) si rivela inadeguata a descrivere una realtà assai più complessa e diversificata, di cui sono esempio i contadini operai. Al riguardo cfr. A. Camarda-S. Peli, L’altro esercito, cit., pp. 61-63.(27) “Lotta operaia”, 26 novembre 1916.(**) Ivi.

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spontaneamente; il turnover è assai elevato sino al secondo semestre del 1915, quando gli auto­licenziamenti calano notevolmente (w): l’alter­nativa al lavoro in fabbrica è adesso combatte­re in trincea.

L’afflusso di nuovi dipendenti alle industrie di guerra comporta un sensibile movimento migratorio: già nel novembre del 1915 “da di­verse città d’Italia convengono a Sampierdare- na decine e decine di operai di tutte le catego­rie” (3°).

Altro segno del cambiamento nella compo­sizione della classe operaia, è, come si è detto la più evidente presenza delle donne (31).

Questo fenomeno, tradizionalmente assurto a immagine del carattere della forza lavoro, presenta però in Liguria aspetti contraddittori. Infatti, pur considerando la disomogeneità dei dati in nostro possesso, si può rilevare che già nel 1911 le donne rappresentavano il 19,3 per cento della manodopera salariata dell’indu­stria, 21.252 unità su un totale di 109.608. Di­versa era la percentuale nei vari settori: in quel­lo metalmeccanico le 1.003 donne e ragazze

occupate costituivano solo il 2,2 per cento della forza lavoro operaia, mentre nel settore tessile l’elemento femminile era largamente maggiori­tario, 8.524 persone pari al 76,3 per cento delle maestranze. Su valori intermedi il settore chi­mico (2.060 donne, 37,6 per cento) e quello della concia e lavorazione del cuoio (328 don­ne, 9 per cento) (32). Nell’autunno del 1917 le operaie dei soli stabilimenti ausiliari ammonta­no a 9.592 unità, il 10 per cento del totale: l’esclusione di quasi tutto il comparto tessile dalle statistiche del ministero Armi e Munizioni spiega questa apparente diminuzione rispetto al 1911. Nel settore metalmeccanico è però sensibile la crescita della manodopera femmini­le sia in valori assoluti che relativi: le operaie sono 6.342, vale a dire l’8,3 per cento del totale, rispetto al 1911 quattro volte più numerose in termini percentuali e oltre sei volte in termini assoluti. L’industria ausiliaria, capace di corri­spondere alle maestranze salari più elevati, esercita un forte potere d’attrazione sulla ma­nodopera femminile; proprio la metalmeccani­ca sottrae forza lavoro alle altre aziende, maga-

(M) ASA, Fondo Ansaldo, dossier 113.1, registri personale stabilimento Meccanico. Tali valutazioni sono confermate da un documento contenuto in ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenze Ansaldo, secondo cui gli operai dell’Ansaldo aumentano dagli 8.670 del 1° luglio 1914 ai 12.672 del 1 ottobre 1915, mentre nello stesso periodo ben 6.383 lavoratori si licenziano dalla società.(3°) “Il lavoro”, 10 settembre 1915. La crescita forte, in percentuale e in valori assoluti, degli operai dell’Ansaldo Meccanico nati fuori della Liguria è indice di questo fenomeno.

Operai dello stabilimento Meccanico Ansaldo divisi per gruppi in base al luogo di nascitaarea genovese Nord Italia Centro Sud

1912 53 % 91,4% 6,1% 2,5%1918 41,7% 83,2% 10,2% 6,6%

Registrano particolari aumenti sul totale nati in Piemonte (province di Alessandria e Asti) e Toscana, segno di un deciso spostamento dalla campagna alla città (Paride Rugafiori, Uomini, macchine, capitali, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 103-110). Uno solo degli stabilimenti genovesi, anche se tra i più importanti, alimenta dunque un flusso verso il capoluogo ligure di circa 2.500 lavoratori nati fuori dell’area genovese.(31) Cfr. Ministero delle Armi e Munizioni, Comitato Centrale di Mobilitazione Industriale, Le donne d’Italia nelle industrie di guerra, Roma, 1918; Comitato per la mobilitazione civile, Il contributo delle maestranze femminili all’opera di allestimento di materiali bellici (1915-1918), Milano-Roma, 1927.Sulla presenza delle donne occupate negli stabilimenti ausiliari liguri, v. Appendice.(32) MAIC, Annuario Statistico Italiano, 1913, p. 155, e 1914, pp. 178-186.

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ri ausiliarie anch’esse (33). Sono soprattutto i proiettifici, quelli di piccolo calibro in primo luogo, ad occupare le donne: nel proiettificio Ansaldo Fiumara le operaie ammontano a 888 su 2.468 operai, in quello di Sestri a 1.009 su 4.295, cosicché Pio Perrone può affermare che questo stabilimento si basa sulla manodopera femminile (M). Particolarità dei proiettifici è quella di registrare una presenza femminile maggiore tra le lavoratrici manuali rispetto ai livelli impiegatizi.

Le 315 donne occupate nel 1917 all’Ansaldo Meccanico (su più di 6.500 dipendenti) sono per la massima parte impiegate amministrative o marcatempo e, tra le qualifiche operaie, torni­trici o aiuto tornitrici (35).

La loro presenza è invece scarsamente rile­vante nei cantieri navali e nella siderurgia, men­tre è più consistente nei calzaturifici e cuoifici, registrando in questo settore un aumento ri­spetto all’anteguerra (36). I dati delle aziende non metalmeccaniche, per la limitatezza del campione che si può analizzare, non consento­no peraltro conclusioni definitive. Rimangono ai margini del discorso sull’industria manifattu­riera le donne impiegate nei pubblici servizi, nelle poste e sui tram come bighettarie, e quelle numerose che, nel chiuso delle loro case, confe­

zionano abiti e uniformi per i soldati, lavoran­do a domicilio per le imprese tessili e percepen­do modestissimi compensi.

In definitiva non sembra che si registri in Liguria un aumento quantitativo delle donne occupate nell’industria pari a quello che si ha in altre parti dell’Italia centrosettentrionale (37). Ciò dipende innanzi tutto dal tipo di fabbrica presente in Liguria, “regione ricca di industrie, ma di industrie meno adatte per la donna, ... ove principalmente prevalgono le industrie co­siddette “pesanti” (38). Le gravose condizioni di lavoro pesano in particolare sulle donne, molte delle quali durano poco in fabbrica e si licen­ziano. Nelle sedute del CRMI diventa un luogo comune ribadire che il tipo di lavorazione svol­to nella regione non è adatto per le lavoratrici: nel gennaio 1917, secondo Còltelletti, solo 58 dei 125 stabilimenti ausiliari sono in grado di utilizzare maestranze femminili, che lì infatti rappresentano il 28 per cento degli operai (39). La robustezza fisica, requisito richiesto dall’in­dustria pesante, gioca a sfavore di un largo impiego delle donne. Un secondo ordine di difficoltà nasce dalla condizione stessa dell’ope- raia-madre di famiglia, che deve poter disporre di sufficiente “tempo libero” per sobbarcarsi anche alle fatiche domestiche.

(33) È il caso della Corderia Nazionale, il cui consiglio d’amministrazione, commentando la dichiarazione d’ausiliarietà pervenutagli, afferma: “Questo fatto, se ha posto un freno all’esodo della nostra maestranza maschile, non ha però dato i risultati che speravamo per l’elemento femminile, che in causa della grande richiesta di manodopera trova maggior profitto impiegarsi nelle fabbriche di proiettili (ATG, b. 62, rei. esercizio 1915-16). Anche il consiglio d’amministrazione della Saponerie e Stearinerie Riunite si lamenta perchè numerose operaie se ne vogliono andare e si licenziano per ¡’“allettamento di inusitati compensi offerti da altri stabilimenti ausiliari” (ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 11-5-1917).(34) ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 8-4-1916.(35) ASA, elaborazione dati libri matricola stabilimento Meccanico.(36) La Conceria Nazionale, che impiega nel 1916 donne in numero eguale a un terzo dei dipendenti (“Il lavoro”, 4 settembre 1916), ha nel 1918 74 operaie su 266 lavoratori; l’Industria Lane e pelli occupa 189 operaie pari al 68% delle maestranze; la Corderia Nazionale, additata dal presidente del CRMI còltelletti quale esempio, conta 293 donne su 476 dipendenti (ACS, MAM, CCMI, b. 228 tabelle maestranze stabilimento ausiliari, presumibilmente relative all’estate 1918).(37) Banca Commerciale Italiana, Cenni statistici..., cit., 1919, p. 167: Maestranze degli stabilimenti ausiliari in Italia al 1° agosto 1918: borghesi 298.000: donne 198.000 (21,9%); esonerati 172.000; comandati e congedati 151.000; ragazzi 60.000; coloniali e prigionieri 24.000; in totale 903.000 lavoratori. V. Franchini, La mobilitazione industriale dell’Italia in guerra, cit., p. 161: “Ove volessimo rappresentarci la scala distributiva tra le varie regioni d’Italia della manodopera femminile impiegata negli stabilimenti di munizionamento, dovremmo tenere la seguente progressione: Sicilia 12; Italia meridionale 17; Emilia-Veneto 26; Liguria 31; Italia centrale 44; Piemonte 66; Lombardia 100”.(38) V. Franchini, op. cit., p. 161.(M) ACS, MAM, CCMI, n. 230, lettera 24 gennaio 1917 Còltelletti al Ministero Armi e Munizioni; b. 230, verbali sedute CRMI, 12 gennaio 1917, 25 gennaio 1918.

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Alcuni episodi documentano la scarsa mobi­lità della manodopera femminile. Nella prima­vera del 1917 le operaie del lanificio Bona di Voltri entrano in sciopero per ottenere aumenti salariali e il padrone risponde con la serrata impegnandosi in un estenuante braccio di ferro con le maestranze. Le organizzazioni sindacali per bloccare la situazione e mettere alle corde la direzione dell’azienda propongono alle operaie di recarsi a lavorare nel proiettificio Ansaldo di Sestri, ove percepirebbero remunerazioni sen­z’altro maggiori. Tale scelta, che avrebbe vero­similmente obbligato la controparte al cedi­mento, è compiuta soltanto da una ventina di lavoratrici; le altre, spesso con figli, non se la sentono di seguirle e cominciano a rientrare nello stabilimento alle condizioni imposte dal padrone (40). Una sconfitta cocente dovuta alla segmentazione del mercato del lavoro femmini­le, che causa sacche di disoccupazione da un lato, domanda insoddisfatta di manodopera dall’altro. Quando nel 1918 cessa le lavorazioni il proiettificio di San Martino, numerose ope­raie rimangono disoccupate essendo troppo complicato per loro recarsi a Sestri nel proietti­ficio Ansaldo, più che mai bisognoso di mano­dopera già addestrata (41).

Sono esempi degli ostacoli obiettivi che si oppongono al disegno di Dallolio, tutto teso a incoraggiare l’impiego delle donne negli stabi­limenti ausiliari (42); le sollecitazioni del mini­stero al riguardo sono continue e ancora nel gennaio 1918 si tiene una riunione in prefettura per verificare con gli industriali le concrete pos­sibilità di assunzione di operaie (43). Quali le reazioni al problema delle forze sociali, im­prenditori e movimento operaio?

Gli industriali non si mostrano affatto ostili all’impiego delle donne che, grazie al sistema dei salari differenziati a parità di qualifica e alla scarsa tutela legislativa, subiscono condizioni di lavoro pesanti: il loro orario settimanale, al pari di quello dei fanciulli, può arrivare alle sessanta ore, esse possono disporre in caso di gravidanza solo di un mese di permesso prima del parto e di un altro dopo, non sono esentate dal lavoro notturno che dovrebbe invece essere interdetto ai minori C4). Per contro vivace è l’opposizione degli operai che temono la com­petitività del lavoro famminile (45). I lavoratori maschi cercano di custodire gelosamente i “se­greti professionali” che possono farli ancora preferire alle donne: così alla San Giorgio le maestranze prendono in considerazione l’idea

(<°) “Il lavoro”, 28 marzo 1917 e 12 aprile 1917. Al CRM1 si discute delle difficoltà che il proiettificio Ansaldo di Sestri incontra nella ricerca di manodopera femminile, non riuscendo a trovare altre donne sul posto e non potendo farle venire da fuori, per l’impossibilità di reperire loro degli alloggi. Viene sollevato il problema dei mezzi di trasporto, il cui servizio dovrebbe essere più efficiente e meno caro per non falcidiare il magro salario dell’operaio e facilitarne l’ingresso negli stabilimenti (ACS, MAM, CCM1, b. 270, verbali sedute CRM1, 20-3-1917, 27-3-1917).(“') ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 1-2-1918.(42) Ciò è necessario per permettere lo spostamento degli uomini “verso le lavorazioni dei medi e grossi calibri, delle bocche da fuoco e degli altri infiniti materiali occorrenti in misura sempre più larga, e per i quali l’opera femminile non può essere utilmente impiegata” (“Il lavoro”, 8 ottobre 1916).(«) “Il Secolo XIX”, 20 gennaio 1918.(44) ACS, MAM, CCMI, b. 130, circolare ministeriale 30 aprile 1917. Non trova conferma a Genova l’affermazione di S. Peli (in A. Camarda-S. Peli, L ’altro esercito, cit., p. 26) che parla di decisa contrarietà degli industriali all’uso massiccio della manodopera femminile, contrarietà motivata dalle minori possibilità di controllo disciplinare che le imprese hanno sulle donne. Nel capoluogo ligure al contrario gli imprenditori sembrano interessati alla possibilità di disporre di manodopera a basso prezzo. Unica voce critica al riguardo quella del proprietario dello stabilimento Elettromeccanico F.lli Marzi: “Sulla maestranza femminile nostrana in rapporto alla mia speciale industria ho poco da dire perchè per antica e recente esperienza ci faccio poco assegnamento e trovo che sarà per me uno dei benefici della bene auspicata pace il poterla ridurre al minimo necessario (ACS, MAM, CCMI, b. 228, lettera al ministero in data 8 novembre 1918).(45) “Lotta operaia”, 10 giugno 1916: “Il lavoro della donna è troppo mal retribuito, esso fa una spietata concorrenza all’uomo, e la borghesia capitalistica trova in essa un proficuo elemento da sfruttare”. Nelle officine le operaie lavorano anche 12 ore al giorno. Nel numero di “Lotta operaia” del 7 gennaio 1917 vengono riprese queste argomentazioni per dimostrare che la presenza femminile in fabbrica è un’arma nelle mani del padrone.

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di non insegnare alle nuove assunte il mestiere Í46) allo scopo di evitare “l’introduzione delle donne per la condotta delle macchine utensili, ad una paga infima, facendoci concorrenza, che sono le nostre compagne, le nostre figlie trasformate in arnesi produttivi utili al buon andamento dell’industria di lor signori” (47).

La difesa della dignità della lavoratrice viene assunta a pretesto per mascherare la tutela a oltranza dei livelli salariali maschili: la ditta Raffetto di Sampierdarena mette le donne al posto degli uomini per la lavorazione della latta; gli uomini lamentano le gravose fatiche cui saranno costrette le operaie e per non ab­bassare “artificialmente” la media dei salari si oppongono al “lamentato, dannoso provvedi­mento” tanto più che la piazza di Sampierda­rena può fornire manodopera a sufficienza “senza bisogno di ricorrere alle donne” i48). Anche i membri dell’aristocrazia operaia, pun­to di forza dell’organizzazione sindacale, i lavo­ratori del libro, avvertono il “grave pericolo che sovrasta la classe”: la loro resistenza alle scelte padronali si configura come un tentativo di difesa di fronte a mutamenti che oggettivamen­te indeboliscono la loro posizione, quali il ri­corso alla manodopera femminile provocato, a loro avviso, solo “da un vero stimolo di rappre­saglia da parte degli industriali”, poiché “l’ap­plicazione della donna ai lavori di composizio­

ne oltreché presentare un grave pericolo per l’integrità delle tariffe, reca serio nocumento all’arte stessa sia dal lato tecnico come da quello del deprezzamento dei salari” (49).

Il discorso relativo all’impiego di forza lavo­ro settoretribuita non è limitato alle donne ma interessa a pieno titolo anche i ragazzi. La loro presenza nelle fabbriche come aiutanti degli operai specializzati è cosa normale; meno pres­sante è perciò l’attenzione a loro rivolta da parte degli organi centrali della mobilitazione. Essi ammontano al 3,9 per cento degli operai occupati negli stabilimenti ausiliari, concentrati soprattutto nella cantieristica e nella metallur­gia (50).

Donne e giovanissimi non sono soggetti ad obblighi militari che riguardano invece la mag­gioranza degli uomini adulti. Costoro possono essere esonerati a tempo indeterminato dal ser­vizio militare oppure comandati dai rispettivi reparti alle fabbriche o anche arruolati ma la­sciati temporaneamente a lavorare nei loro sta­bilimenti (51).

L’alto numero degù esonerati nella metal­meccanica ausiliaria (un operaio ogni quattro) è oggetto di aspre polemiche da parte di chi accusa gli operai di starsene al sicuro guada­gnando lauti compensi. Vi sono esempi clamo­rosi: l’avvocato Domenico Gandolfo, classe 1886, ottiene l’esonero per fare il magazziniere

(46) ACS, MAM, CCMI, b. 230, rapporto comando militare 6-3-1916, in A. Camarda-S. Peli, L'altro esercito, cit., p. 36. Lo stesso documento rinvenuto sempre nell’Archivio Centrale dello Stato, questa volta nel fondo del Ministero deH’Interno, è citato da Gaetano Perillo (Gaetano Periilo-Camillo Gibelli, Storia della Camera del Lavoro di Genova, Roma, Editrice Sindacale Italiana, 1980, p. 222).(47) “Lotta operaia”, 6 agosto 1916.(4S) “Il lavoro”, 7 luglio 1915.(49) “Il lavoro”, 18 settembre 1916.(50) ACS, MAM, CCMI, b. 228, prospetto cit. Banca commerciale italiana, Cenni statistici..., cit., 1919, p. 168, parla di un 3,5% per gli stabilimenti ausiliari, e non, della Liguria. Alla Westinghouse di Vado Ligure nel luglio 1918 ben 416 operai su 1.437 hanno meno di 20 anni (ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenze economiche). Anche i giovanissimi lavorano negli stabilimenti: i ragazzini tra i 12 e i 16 anni de! cantiere Ansaldo di Sestri sono addirittura 400, secondo un rapporto del gennaio 1916 (Ivi. Tale stima pare però eccessiva; probabilmente il numero dei ragazzi impiegati nel cantiere è stato ingrandito sotto l’espressione della loro particolare combattività). Alle Officine Meccaniche di Bolzaneto ragazzini di età compresa tra i 13 e i 16 anni sono addetti alla rifinitura delle granate (Ivi, b. 144, lettera Officine Meccaniche di Bolzaneto al ORMI, 19-9-1918), mentre la Ferriere di Voltri impiega, in una lavorazione giudicata nociva dall’ispettore medico del CRMI, 50 giovani minori di 15 anni come garzoni forgiatori (Ivi, b. 87, prospetto paghe maestranze Ferriere di Voltri, settembre 1918).(51) Sul personale operaio occupato negli stabilimenti ausiliari liguri, soggetto a obblighi militari, v. Appendice.

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dell’OEG, in sostituzione di un altro magazzi­niere andato sotto le armi, senza che se ne fosse chiesto l’esonero; il commerciante abbiente Giuseppe Origi, classe 1892, è esonerato per divenire autista del direttore della Società In­dustriale Genovese, la cui autovettura è da mesi guasta in garage (52). Contro i borghesi, che si scoprono da un giorno all’altro tornitori o fre­satori, si appuntano gli strali del foglio della Cdl di Sestri Ponente (53).

Numerosi disertori, fattisi cittadini sanmari- nesi, lavorano all’Ansaldo (M), che gode anche della reputazione di rifugio di soldati mancati. D “Lavoro”, quotidiano socialista riformista apertamente schierato a difesa della guerra “pa­triottica”, si fa portavoce di questa campagna che, ignorando deliberatamente l’importanza che agli stessi fini della guerra hanno gli operai delle fabbriche, diventa indiscriminata (55j.

L’impiego da parte dell’Ansaldo di libici re­clutati in Tripolitania e Cirenaica testimonia la necessità assoluta di disporre di manodopera: nella ex piazza d’armi di Sampierdarena sono sistemati in tende e baracche più di 500 africani che lavorano come manovali negli stabilimenti della ditta (56). Sulle loro condizioni di vita ritiene opportuno svolgere delle indagini l’ispet­tore medico addetto alla vigilanza igienico- sanitaria nelle aziende ausiliarie della regione (57); è logico supporre che essi siano adibiti ai

lavori più gravosi e che parimenti non sia delle migliori la loro sistemazione fuori dalla fabbri­ca: solo nell’autunno 1918 l’Ansaldo presenta un progetto al Comune di Pegli per costruire baracche a loro destinate in una parte dell’area di villa Rostand, già acquistata dalla società (58).

La condizione operaia

Professionalità e organizzazione del lavoro. Il profondo ricambio all’interno della classe operaia implica in un primo tempo un inevita­bile abbassamento della capacità professionale complessiva dei lavoratori genovesi. L’inespe­rienza dei giovani e delle donne che si devono improvvisare operai per colmare i vuoti creati dal reclutamento militare è fattore di scarso rendimento delle maestranze e di conseguenti danni alla produzione. Lo stesso logorio degli impianti, oltreché al grande sfruttamento cui questi sono sottoposti, viene imputato talvolta alla limitata capacità dei lavoratori (59). Gli operai provetti sono rari e le aziende fanno a gara per assicurare le prestazioni: come si è detto, alcune ditte, con promessa di maggior salario e con richieste preventive di “esonero”, sottraggono operai ad altre imprese. I tornitori d’artiglieria specializzati, gli attrezzisti e gli ag­giustatori sono ricercatissimi; le società più im­portanti, soprattutto l’Ansaldo e la San Gior-

P ) ACS, MAM, CCMI, b. 230, rapporto comando militare 4 novembre 1916.P ) “Lotta operaia”, 19 giugno 1916, 6 agosto 1916.(«) Ivi, b. 8 a.p ) Il 16 giugno 1917 “Il lavoro” pubblica, senza prenderne le distanze, la lettera di un giovane ufficiale a commento dei moti di Torino: “I miei soldati sono sdegnati dagli avvenimenti di Torino e vorrebbero essere là per sfogarsi contro quella massa di imboscati”. Il giornale, che solleva la questione a partire dall* 1 e 2 settembre 1915, continua la sua polemica il 6 dicembre 1917 e il 19 dicembre 1917. Allorché nel gennaio 1916 vengono arrestati tre “operai” imboscati della Fabbricazione Ghiaccio (il proprietario di una cartoleria, un commesso viaggiatore e un droghiere) il “lavoro” plaude alla operazione che deve servire da esempio (“Il lavoro” 23 gennaio 1916). Sulle posizioni dei socialisti riformisti genovesi e del loro quotidiano cfr. G. Perillo -C. Gibelli, Storia della Camera del lavoro di Genova cit.p ) ACS, MAM, CCMI, b. 104. “Il secolo XIX” del 26 novembre 1918 dà la notizia del ritorno in Africa di circa 70 libici che da quasi due anni lavorano all’Ansaldo.(57) ACS, MAM, CCMI, b. 271, relazione del consulente ispettore medico al CRMI, 2-9-1917.P ) Archivio Storico del Comune di Genova, fondo comuni annessi (d’ora in avanti ASCG), Pegli, b. 83.P ) Su questo punto specifico ATG, b. 64, Siderurgica di Savona, rei. esercizio 1916. Più in generale, per le lamentele sulla scarsa professionalità degli operai: ATG, b. 78, Officine Ferroviarie Liguri, rei. esercizio 1916-17; b. 85, Officine Riparazioni Navi De Maria, rei. esercizio 1917-18; b. 50, Solertia, rei. esercizio 1916; b. 63, Società ligure industria zolfi, rei. esercizio 1918; b. 67, Barabino, rei. esercizio 1915; b. 77, Cartiera del Leira, rei. esercizio 1917; b. 63, voi. 1, Cartiera d’Ormea, rei. esercizio 1915-16.

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gio, sono disposte a qualunque sacrificio per averli in organico (6o). La “caccia allo specializ­zato” condotta dall’Ansaldo interessa perfino l’area torinese, dove la qualificazione dei lavo­ratori meccanici è tradizionalmente più alta che a Genova: dal capoluogo piemontese il locale comitato di mobilitazione industriale segnala l’azione esercitata dalle due ditte Ansaldo di Sampierdarena e Fiat per accaparrarsi sempre nuova manodopera. Esse la reclutano a mezzo di loro agenti in tutte le officine piccole” (61).

La professionalità è anche un fatto genera­zionale. Il rappresentante operaio del CRMI Benato afferma che “nelle grandi officine i buoni operai non sono quelli al di sotto dei 25 anni” (62), indicando così implicitamente un grave problema che deve essere affrontato e risolto, vale a dire l’addestramento dei nuoyi “soldati” dell’esercito industriale. Fin dall’au­tunno 1915 viene costituita un’apposita scuola per operai tornitori, sotto il patrocinio della Camera di commercio e grazie a un contributo finanziario di lire 15.000 di tutte le principali imprese della regione (63), mentre analoga ini­ziativa è presa contemporaneamente dal co­mune di Comigliano che il 29 ottobre 1915 può comunicare alla Camera di commercio che so­no stati licenziati dalla scuola e hanno trovato impiego nei vicini stabilimenti quindici tornito­ri (M). La stampa cittadina fa grande pubblicità all’iniziativa e permette di individuarne i vari obiettivi: innanzi tutto quello di riconvertire

alle lavorazioni di guerra gli operai dei settori in crisi, poligrafici, intagliatori, orefici, poi di dare una formazione professionale a giovani, adulti esenti da obblighi di leva e donne. Viene egualmente sottolineata la immediata assun­zione degli allievi della scuola al termine dei corsi, soprattutto nelle grosse aziende. Poco meno di 4.000 operai escono durante gli anni di guerra dalla scuola di tomeria di Genova, diret­tamente controllata dal ministero Armi e Mu­nizioni a partire dal novembre 1917; nel 1916 viene attivata anche una sezione “fonditori” per preparare lavoratori per la fusione dei proiettili di ghisa di medio e grosso calibro (65). L’istru­zione impartita è strettamente finalizzata alla preparazione di operai addetti al muniziona­mento e una quindicina di giorni di pratica, con un orario giornaliero di quattro ore e mezzo, sono considerati sufficienti per permettere al­l’allievo di superare la “prova d’arte” e di entra­re in fabbrica. “Non si tratta di creare veri tornitori, che occorrerebbero dei mesi” f66) ma “è sufficiente avere dei manovali abbastanza addestrati per compiere un’unica e determinata operazione la quale, specialmente se eseguita con macchine non automatiche non può, nè deve richiedere in alcun modo all’operaio, altre cognizioni o abilità qualsiasi. Un manovale, uomo o donna, ragazzo o maturo, di media intelligenza, pur non avendo mai lavorato a un trapano o a un tornio, in non più di una ventina di giorni potrà imparare a fare almeno una

(60) ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI 19-12-1916.(61) In A. Camarda S. Peli, L’altro esercito, cit., p. 35.(“ ) ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 22-1-1918.(“ ) Ivi, verbale CRMI, 8-4-1916.(M) Archivio di Stato di Genova, Fondo Camera di Commercio (d’ora in avanti ASG), b. 163, lettera 29-10-1915 comune di Cornigliano a C.d.C.(65) ASG, b. 173, relazione sulla scuola officina operai tornitori, 1-7-1916; b. 319, verbale consiglio C.d.C., 7-11-1919. V. Franchini, La mobilitazione industriale dcll italia in guerra cit. p. 152, fornisce la cifra di 3.950 allievi licenziati dalla scuola nel periodo bellico. Al maggio 1918 essi sono 3.300 (ACS, MAM, CCMI, b. 171). Le relazioni inviate alla Camera di commercio (ASG, b. 173) permettono di verificare con precisione come gli allievi venissero con facilità sistemati negli stabilimenti. Al 30 agosto 1916 risultano licenziati dalla scuola: tornitori 878 (militari 713, civili 77, donne 88); fonditori 55 (tutti militari) di cui assegnati agli stabilimenti: tornitori 747 (militari 702, civili 19, donne 26); fonditori 55; 239 tornitori (233 militari, 3 civili, 3 donne) sono stati assegnati agli stabilimenti Ansaldo.A131dicembre 1916risultano licenziati dalla scuola: tornitori 1.485 (militari 1.198, civili 103, donne 184); fonditori 262 (tutti militari) di cui assegnati agli stabilimenti: tornitori 1.341 (militari 1.180, civili 51, donne 110); fonditori 262.(66) ASG, b. 173, rei. cit.

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delle operazioni alle quali la barra di metallo deve essere sottoposta per diventare un proietti­le”: queste le direttive di Dallolio (67), perfetta­mente rispondenti alla nuova organizzazione del lavoro che si afferma nei proiettifici, campo privilegiato di sperimentazione del taylorismo. Proprio in questo ramo della meccanica “viene applicato fino al limite massimo il concetto della divisione del lavoro. Ogni più piccola particolarità viene eseguita da un operaio di­verso e quindi con macchine diverse le quali, perciò, devono essere costruite le più semplici possibili” f68). È quindi pienamente giustificato affermare che “il tornitore di proiettili rappre­senta una qualifica molto secondaria” (69): ciò spiega come proprio nei proiettifici si addensi­no le maestranze femminili alla loro prima esperienza di fabbrica e consiglia una valuta­zione critica dell’eguaglianza tornitore-operaio ad alta professionalità.

Mentre la parcellizzazione rigorosa e “scien­tifica” delle mansioni trova applicazione nei proiettifici, negli altri rami della metalmeccani­ca sopravvivono i metodi di lavorazione del­l’anteguerra. Nell’un caso e nell’altro comun­que la scarsa capacità professionale delle mae­stranze resta un dato caratterizzante: in un can­tiere navale Togliatti e Viglongo calcolano 500 lavoratori qualificati (meccanici, aggiustatori, ecc.) a fronte di 1.500 manovali su 2.000 dipen­denti f70). Per inquadrare e dirigere questa mas­sa di operai dequalificati occorrono capi operai e capi tecnici ben preparati; questa esigenza è sentita dalla Camera di commercio che già alla fine del 1915 propone la costituzione a Genova di una scuola per la formazione di quadri indu­

striali C71). Anche a Comigliano se ne vuole istituire una per capi officina f 2), mentre l’An­saldo si dichiara pronta a sottoscrivere un mi­lione per un politecnico che formi ingegneri e dirigenti d’azienda f73).

Manovali o operai non specializzati da un lato, “capi” e tecnici dall’altro: l’importanza del­l’operaio provetto, orgoglioso del suo mestiere, diminuisce al pari della sua capacità di control­lo del ciclo produttivo. Quanto tutto ciò sia destinato a pesare in seguito non viene piena­mente percepito dalle organizzazioni sindacali: solo “Lotta operaia”, più che altro preoccupata di come un ex contadino aiuto operaio all’An­saldo guadagni più di un esperto aggiustatore, difende la professionalità del lavoratore (74) ma si tratta di una voce isolata. Alla soluzione di problemi più immediati il movimento operaio dedica le sue energie.

Orari, salute, disciplina. Lo sfruttamento in­tenso della manodopera viene portato avanti dal padronato con grande determinazione.

Particolarmente pesante è l’orario di lavoro la cui eccessiva durata è continuamente e aspra­mente criticata dalle organizzazioni sindacali. Un documento della Camera del lavoro di Se­stri Ponente parla di un “persistente prolungato orario di 12, 14, 16 e più ore al giorno” f75) e difficilmente tale voce può ritenersi inesatta essendo confermata da numerose testimonian­ze. Certamente gli episodi di operai che lavora­no per sedici o più ore consecutivamente non costituiscono la norma, sebbene le aziende non manchino di concedere premi e gratifiche a chi acconsente di lavorare per quattordici-sedici

(‘7) ACS, MAM, CCMI, b. 130, circolare 16-12-1915.(6S) ASA, Fondo Puri, dossier 49, appunti del comitato liquidatore della B.I.S.(<*) ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale CRMI, 19-12-1916.(7°) P. Togliatti A. Viglongo Rapporto sui fa tti di Sestri, cit.C1) ASG, b. 557, verbale consiglio CdC 23 dicembre 1915.(72) “Il secolo XIX”, 20 giugno 1916.(73) “Il corriere mercantile”, 3 luglio 1918.(74) “Lotta operaia”, 26 novembre 1916.(75) ACS, MAM, CCMI, b. 51, lettera CdL Sestri Ponente, 10 luglio 1917, anche in G. Perillo-C. Gibelli, Storia della Camera de! Lavoro di Genova, p. 238.

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ore al giorno (76), ma di regola la giornata lavorativa è pur sempre sulle dodici ore, sia per i turnisti — sono infatti due le squadre che si alternano nell’arco del giorno — che per gli altri operai, per i quali le dieci ore normali sono accompagnate solitamente da almeno un paio d’ore di straordinario, spesso non retribuito come tale. È obbligatorio per l’operaio prestare lavoro a ogni richiesta della direzione, anche nel caso in cui il lavoratore abbia già compiuto una giornata di dodici ore C7)- Lo straordinario obbligatorio deve consentire l’attuazione della direttiva degli industriali che volevano la gior­nata lavorativa di almeno dodici ore (78). L’e­same dei prospetti delle buste paga di varie aziende metalmeccaniche, riportanti pure l’ora­rio giornaliero, permette di stabilire che verso la conclusione del conflitto, quando la mancanza di energia e le difficoltà nell’approvvigiona­mento delle materie prime impongono un ral­lentamento della produzione, la durata media della giornata lavorativa è sulle dieci e mezzo, undici ore C9). Parallelamente al prolungamen­to dell’orario di lavoro si registra una drastica riduzione dei riposi settimanali: nelle industrie a “fuoco continuo” esso è sostituito dal “riposo quindicinale di 36 ore”, un eufemismo questo per dire che è soppresso un riposo settimanale

su due (8o). Viene talvolta reso obbligatorio il lavoro nel giorno festivo f ) , benché tale prov­vedimento susciti resistenze vivaci e anche per­plessità: la sua efficacia è limitata perchè l’ope­raio che, pur dovendo recarsi al lavoro, indossa l’abito della festa, nello stabilimento tende a fare il meno possibile per timore di sporcarsi o di rovinare il vestito buono.

Le gravose condizioni di lavoro sono indica­te dalla Camera del lavoro di Sestri Ponente come causa diretta dell’assenteismo (*2) e su tale analisi concorda anche l’ispettore medico ad­detto alla vigilanza igienico-sanitaria negli sta­bilimenti della regione: “Non ci sembra infon­data la opinione che il maggior contributo [alle assenze per malattia] si debba ad un vero biso­gno di riposo” (83). I ritmi elevati e l’impossibili­tà di ricuperare le energie nei pochi riposi con­cessi fiaccano i lavoratori e li spingono a diser­tare il lavoro. I tassi di assenteismo oscillano attorno al 5 per cento e sono più alti nelle grandi aziende che nelle piccole; il primato spet­ta, anche in questo campo, all’Ansaldo i cui stabilimenti “danno uno spettacolo di indisci­plina veramente biasimevole”, registrando livel­li di assenteismo del 10 per cento (?*). Tale fenomeno non è comunque imputabile soltan­to a operai non abituati al regime di fabbrica,

C6) È quanto accade all’Ansaldo. All’Elettromeccanico di Rivarolo si registrano alcuni casi di orario sino alle 18 ore consecutive, mentre sovente al proiettificio Ansaldo i tornitori fanno una giornata e mezzo, vale a dire circa 15 ore di lavoro (“Lotta operaia”, 23 luglio 1916). Una fonte non sospetta, il rapporto dell’ispettore medico responsabile degli stabilimenti ausiliari liguri, cita anche casi limite di 24 ore consecutive di lavoro (ACS, MAM, CCMI, b. 271, relazione del consulente medico).(” ) ACS, MAM, CCMI, b. 87, deliberato CRM1, 13-1-1916. L’obbligatorietà dello straordinario viene ribadita l’anno successivo (b. 270, verbale sedute CRMI, 31-1-1917).(7S) “Lotta operaia”, 6 agosto 1916.(79) ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenze ditte Esercizio Bacini, Fonderie Liguri, Torriani Odero, Elettromeccanico di Rivarolo. Unica eccezione la Marconi dove gli operai lavoravano mediamente 8 ore e mezzo, 9.(80) ACS, MAM, CCMI. b. 270, verbale seduta CRMI, 19-12-1916.(81) ACS, MAM, CCMI, b. 87, telegramma del ministero dell’Interno al sottosegretariato Armi e Munizioni, 5-1-1916, su agitazioni Ferriere di Voltri.(82) ACS, MAM, CCMI, b. 51, lettera Cd Lai CRMI, 10 luglio 1917; data la pesantezza dell’orario di lavoro “il numero degli operai frequentemente ammalati aumenta in modo allarmante”. Sulla stessa linea “Lotta operaia”, 20 novembre 1916: “Fra le maestranze si denota certa stanchezza e sfibramento. E gli operai pensano che continuando nei sistemi adottati fin d’ora, tale stanchezza aumenterebbe con tutto danno della produzione, mentre limitando le ore straordinarie e soprattutto praticando scrupolosamente il riposo settimanale, la produzione ne avvantaggerebbe”.(83) ACS, MAM, CCMI, b. 271, relazione cit. Dalla suddetta relazione ho tratto le informazioni sulla salute e l’igiene negli stabilimenti contenute nelle pagine seguenti, ove non abbia altrimenti indicato.(84) ACS, MAM, CCMI, b. 230, rapporto del comando militare di Genova, 11-1-1917.

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magari dichiarati inabili al servizio militare perchè fisicamente malformati, che si danno malati con la complicità di qualche medico compiacente. Gli infortuni aumentano in misu­ra notevole: i ritmi intensi imposti all’operaio e il suo minore addestramento professionale lo rendono più facilmente vittima di incidenti (85). Nell’area genovese gli assenti dal lavoro per “lesione manifesta” quasi eguagliano gli assenti per malattia. La percentuale del 5 per cento di assenze per infortunio è “elevata cifra” e aspetto drammatico di una realtà sulla quale i vari organi di informazione calano un prudente si­lenzio. I giornali tacciono su un incidente mor­tale occorso a un operaio della Ferriere di Vol- tri (*6), così come minimizzano o ignorano la notizia della grave sciagura avvenuta in uno stabilimento Ansaldo a Comigliano, dove per il crollo di un padiglione muoiono sedici lavo­ratori (*7). Il “Lavoro” che pure, prima del con­flitto, non mancava di informare il lettore sugli incidenti sul lavoro avvenuti nelle varie officine, sotto titoli amaramente sarcastici quali “la paga dell’operaio”, preferisce ignorare l’argomento. Sono indizi indiretti — il reparto segheria della Westinghouse di Vado è soprannominato “carnaio” per gli incidenti che vi si verificano (88J — che avvalorano i rapidi cenni al riguardo contenuti nel rapporto dell’ispettore medico, che maggiormente si dilunga sugli altri pro­blemi igienico-sanitari delle fabbriche. Gli in­dustriali non hanno una “mentalità igienica” e invocano, non sempre a proposito secondo l’i­spettore, le difficoltà del momento allorquando viene loro richiesto di prendere provvedimenti anche modesti per tutelare la salute del lavora­tore. Gli stessi operai mancano di coscienza e si

rifiutano sovente di fare uso di maschere e caschi protettivi.

Tutti i vecchi impianti sono carenti di servizi igienici, spogliatoi, e difettano di illuminazione e ventilazione, né molto migliore è la situazione di quelli nuovi. I bagni sono inesistenti, scarsi i lavabi; solo alla Sipe di Cengio, nel reparto della produzione dell’acido picrico esiste un impianto di docce, ma gli operai ne fanno scar­so uso. Su 168 stabilimenti ausiliari, venti, e tra questi la Corderia Nazionale e il Torriani, sono sprovvisti del medico di fiducia. Le donne sof­frono particolarmente di tale stato di cose; quel­le interrogate dall’ispettore medico, che spesso ha riscontrato nelle operaie visitate infezioni tubercolari, dichiarano di essere diminuite di peso e di soffrire di disturbi dispeptici. I disturbi intestinali sono frequenti a causa della cattiva alimentazione e delle pause ristrette concesse per il pasto: anche nelle fabbriche dove si pro­duce tritolo o acido picrico, lavorazioni assai nocive, gli operai consumano il loro pasto du­rante il lavoro, non avendo un’ora Ubera per l’intervaUo. L’industria chimica è tra tutte sicu­ramente la più insalubre: nel 1918 i servizi di vigilanza igienico-sanitari multano di 1.000 Ure la conceria Bocciardo, dove si sono verificati alcuni casi di carbonchio (89). Nausee, capogiri, disturbi vari sono comunque abituaU in vari settori: dalla manutenzione dei forni nella side­rurgia f 0) ai lavori di saldatura con fiamma ossiacetilenica o di verniciatura eseguita con sostanze o solventi tossici; a queste operazioni sono adibiti anche minorenni. La temperatura deU’ambiente è, come rileva l’ispettore medico, sovente eccessivamente alta, contribuendo così a generare nel lavoratore un senso diffuso di

(85) Proprio nell’area del Comitato regionale ligure si registra il più alto rapporto tra giornate perdute a causa di infortunio e maestranze mediamente occupate (L. Tomassini, Classe operaia e organizzazione sindacale, cit., p. 302). Sempre da L. Tomassini, /vi, pp. 300-302, sono riportati dati che documentano l’aumento degli infortuni sul lavoro.(86) “Lotta operaia”, 27 maggio 1916.(87) ACS, MAM, CCMI, b. 47, lettera 27-8-1917.(88) “Il lavoro”, 8 luglio 1916.(89) ACS, MAM, CCMI, b. 93, lettera 29-12-1918.(,0) Ivi, b. 87, vertenza Siderurgica di Savona.

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stanchezza: “in alcuni casi di lavori di saldatura autogena, come quelli fatti a squadre nella fab­bricazione delle bombe Batignolles, applicando un termometro al petto degli operai, abbiamo trovato una temperatura ambiente da 50° a 55 °C".

Per imporre all’operaio i lunghi orari e le pesanti condizioni di lavoro si fa ricorso a una complessa legislatura straordinaria. Il decreto luogotenenziale n. 1277 del 22-8-1915 proroga d’autorità i contratti a tre mesi dalla fine del conflitto, mentre i decreti sulla mobilitazione industriale, sottomettendo i lavoratori degli stabilimenti ausiliari alla giurisdizione militare, cancellano di fatto il diritto di sciopero I91).

Fioccano le multe per chi arriva in ritardo e per chi fuma sul lavoro, e sono multe pesanti, equivalenti anche a quindici ore di salario. Continue le denunce a capi e ingegneri, para­gonati a degli aguzzini da “Lotta operaia”, che narra come a un operaio dell’Elettromeccani­co, che chiede un giorno di permesso per recarsi ad Alessandria dove gli è morta una sorella, il capo risponda: “Lavori, tanto è morta” (?2).

Anche da questi episodi si ricava l’impres­sione di un isolamento degli operai dai quadri aziendali, isolamento che rende più agevole l’azione repressiva. Gli imprenditori sfruttano

l’occasione propizia per ridurre gli spazi al mo­vimento operaio sui cui militanti pende la mi­naccia della revoca dell’esonero e del conse­guente invio al fronte (93); a ogni protesta dei lavoratori si accompagnano puntuali le misure repressive. Particolare accanimento viene di­mostrato nei riguardi dei “politici” per i quali esistono delle vere e proprie liste di proscrizione f54): il “maggior numero di revoche di esoneri è dovuto al fatto di avere privato di tale beneficio parecchi individui denunciati dall’autorità poli­tica quali anarchici o neutralisti”, per il rinve­nimento, nel corso di perquisizioni nei loro armadi negli spogliatoi, di materiale propa­gandistico sulla conferenza di Zimmerwald l95).

Semplici militanti di base e importanti diri­genti sindacali sono vittime di quello che Ro- chat definisce “il regime di guerra” f96).

Emblematica è la vicenda dell’operaio Egi­dio Priami, che gli accurati rapporti del co­mando militare ci permettono di seguire con precisione: il Priami è occupato all’Officina Al­lestimento Navi Ansaldo assieme a quattro suoi figli “scalmanati propagandisti neutralisti e anarchici”, tanto che a tutti e quattro viene revocato l’esonero; il Priami, facendosi figurare un perseguitato dall’autorità militare”, ottiene la solidarietà dei compagni di lavoro che entra-

(9I) Sulla legislazione repressiva applicata nelle fabbriche v. Guido Neppi Modona, Sciopero, potere politico e magistratura 1870-1922, Bari, Laterza, 1969, e G. Procacci, Repressione e dissenso nella prima guerra mondiate, cit. f92) “Lotta operaia”, 23 luglio 1916. Sono segnalati numerosissimi casi che testimoniano del clima pesante avvertito nelle fabbriche. Alle Ferriere di Voltri la direzione decide la serrata per alcuni giorni del reparto bulloneria, dove lavorano 350 operai, perchè un lavoratore, verosimilmente un ragazzo, ha sputato sulla firma del direttore in calce a un avviso sull’obbligo di recarsi al lavoro in giorno festivo (ACS, MAM, COMI, b. 87, vertenze Ferriere di Voltri); al cantiere Ansaldo a scopo intimidatorio si affliggono sui muri le sentenze con le quali operai sono stati condannati dal tribunale militare (“11 lavoro”, 22 febbraio 1916).(,3) Questo provvedimento viene preso nei confronti di 46 operai della Fiat San Giorgio che hanno scioperato per la morte sul lavoro di un loro compagno; successivamente, per non privare lo stabilimento di lavoratori capaci, i 46 operai militarizzati vengono comandati nella stessa fabbrica (ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 31-3-1916). Lo stesso accade a 117 operai dell’Ansaldo, protagonisti di un’agitazione nel marzo 1916; in questa occasione due lavoratori militari fanno ritorno ai corpi di appartenenza; vengono inoltre denunciati 39 operai civili ritenuti i maggiori responsabili dell’agitazione (Ivi, b. 87, vertenza Ansaldo). In seguito a uno sciopero alla Ferriere bruzzo e alle Acciaierie Italiane di Bolzaneto il comando militare impone la chiusura degli stabilimenti per otto giorni e procede alla revoca dell’esonero e all’immediato invio ai corpi di 12 operai (Ivi b. 230, rapporto 9 giugno 1917).(,4) ACS, MAM, CCMI, b. 230, rapporto 8 dicembre 1916; Ivi, b. 144, Ferrotaie, lettera della direzione al comando militare zona Savona in cui si segnalano i nomi degli operai distintisi come leader nelle agitazioni.(,3) Ivi, b. 230, rapporto 4 novembre 1916.(56) Alla Stearinerie Lanza viene stroncato con diversi licenziamenti il tentativo di costituire una lega operaia (“Lotta operaia”, 27 maggio 1916); al Cantiere Navale di Riva Trigoso vengono inflitti sei giorni di carcere di rigore a un operaio che fa il tesseramento per la lega (“Il lavoro”, 20 ottobre 1916).

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no in sciopero: dopo pochi mesi viene trasferito nello stabilimento di Cervignano (97). “Decapi­tata” è la Camera del Lavoro di Sestri, al cui segretario Antonio Negro viene revocato l’eso­nero nei primi mesi del 1916 (98); il suo succes­sore Alibrando Giovannetti è arrestato nel 1918 sotto l’accusa di propaganda disfattista e il foglio “Lotta operaia” è costretto a cessare le pubblicazioni f 9). Anche Bernardo Odicini, operaio della Ferriere di Voltri e segretario della locale Camera del lavoro, e Umberto Bartolomai, operaio del tubificio Ansaldo di Fegino e segretario dell’Unione Metallurgica di Sampierdarena, conoscono la stessa sorte di Negro (10°). Odicini è un riformista in favore del quale Ferruccio Ancillotti, segretario della Camera del lavoro di Genova-Sampierdarena e autorevole membro del CCMI, spezza una lancia in una seduta del CRMI, facendo rileva­re come “fra i vari centri del genovesato Voltri è la località dove il movimento operaio si è svolto con la maggiore disciplina e con la maggiore serietà di intenti” (|01). A nulla vale comunque la perorazione di Ancillotti. A Bartolomai non serve neppure l’essere interventista e l’avere condotto una lotta accanita, in collaborazione con l’autorità, per indebolire la sezione sam- pierdarenese del sindacato metallurgico, legato alla CdL di Sestri (lo2): contro di lui si è pro­nunciato Pio Perrone che accusandolo di avere ispirato opuscoli dove si confrontano le paghe

degli operai italiani e di quelli francesi, ne ottie­ne prima l’allontanamento dal CRMI, del qua­le Bartolomai è membro, e successivamente l’invio al corpo (103).

Il padronato, riaffermando con efficacia la propria autorità assoluta e indiscutibile in fab­brica, non fa alcuna distinzione tra sindacalisti e riformisti, tra pacifisti e interventisti.

Le paghe. La questione della dinamica dei salari negli anni di guerra, pur ampiamente dibattuta in sede storiografica, necessita di ulte­riori approfondimenti e indagini concrete su molte serie omogenee prima di poter giungere a conclusioni complessive (,o4). Le differenze esi­stenti nelle retribuzioni delle varie categorie, la diversità dei trends, la frammentarietà dei dati raccolti, rendono arduo tracciare un quadro generale definitivo della realtà genovese.

Sono però possibili alcune osservazioni sui salari di una categoria tra le più significative a Genova, quella dei siderurgici: l’industriale Giorgio Falck e la FIOM propongono dati non dissimili sui salari giornalieri medi, com­prensivi dell’indennità caroviveri dei cottimi e dello straordinario, corrisposti negli stabili- menti siderurgici dell’alta Italia.

Un’abbondante documentazione, sempre re­lativa alle paghe medie giornaliere complessive, consente di ritenere valida con buona appros­simazione anche per la realtà genovese la Tabella

(97) ACS, MAM, CCMI, b. 230, rapporti 11 gennaio 1917, 9 maggio 1917.(’*) “Lotta operaia”, 27 maggio 1916; G. Perillo-C. Gibelli, Storia della Camera del lavoro di Genova, cit., p. 221.(") G. Perillo-C. Gibelli, op. cit., p. 248.(,0°) ACS, MAM, CCMI, b. 230, rapporto 11 gennaio 1917 (Odicini); Ivi, b. 171, fascicolo Bartolomai.(i°i) /vi, b. 270, verbale seduta CRMI, 2 gennaio 1917.(,M) G. Perillo-C. Gibelli, op. cit., pp. 245-246.(loj) Nel luglio 1918 Pio Perrone chiede che vengano adottati provvedimenti contro il Bartolomai (ACS, MAM, CCMI, b. 171, fascicolo Bartolomai); il 7 agosto 1918 il proprietario dell’Ansaldo si lamenta in una lettera al ministro della Guerra, generale Zuppelli, per la “debolezza della mobilitazione industriale (che) ci impedì sempre di compiere quella depurazione degli elementi di disordine” tra cui appunto il Bartolomai e il sindacato socialista di Sampierdarena Bettinotti (ACS, MAM, CCMI, b. 14). Nell’agosto 1918 Bartolomai viene estromesso dal CRMI, in settembre gli viene revocato l’esonero (ACS, MAM, CCMI, b. 171, fascicolo Bartolomai).(1<>4) P. Melograni (Storia politica della Grande Guerra 1915-1918, cit., pp. 359-369), contestando la ormai classica interpretazione basata sui dati Inail, sostiene la tesi di “un aumento” dei salari reali per una parte almeno del proletariato industriale ed una sostanziale stabilità per un’altra parte di esso” (p. 362). Tale affermazione, che si regge più su critiche avanzate ai dati dellTnail che su ricerche originali, è contraddetta da altri storici. Tra questi, Paolo Frascani (Politica economica e finanza pubblica in Italia nel primo dopoguerra (1918-1922), Napoli, 1975, pp. 71 ss.) e L. Tomassini (Classe operaia e organizzazione sindacale cit., pp. 279-283) che, richiamandosi al dibattito generale sull’argomento, prende in esame il caso fiorentino.

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3 (lo5) a pag. 117, da cui si rileva, accanto alla crescita considerevole delle retribuzioni nomi­nali, la progressiva perdita del potere d’acqui­sto dei salari dei siderurgici (lo6).

La spinta agli aumenti salariali è la logica conseguenza del vertiginoso aumento di prezzi al consumo. Gli stessi consigli di amministra­zione di varie aziende ritengono i crescenti costi del lavoro giustificati dall’elevato tasso di infla­zione (lo7). Generi alimentari quali la carne bovina e il lardo costano nel 1918 dalle tre alle cinque volte più di quanto non costassero pri­ma dell’inizio del conflitto, mentre più contenu­

ti sono gli aumenti dei prodotti calmierati, pa­ne, farina e pasta (lo8).

Essendo i contratti bloccati per tutta la dura­ta della guerra, viene concessa ai lavoratori una speciale indennità caroviveri che dovrebbe sal­vaguardare, almeno in parte, il potere d’acqui­sto dei salari. La sua incidenza sul complesso della retribuzione aumenta progressivamente: inferiore a una lira al giorno sino all’estate del 1917, viene portata nell’autunno dello stesso anno all’1,50-1,60, in seguito alle vertenze del­l’estate 1918 raggiunge il suo livello massimo, stabilizzandosi sulle 3 lire giornaliere (Io9). L’in-

(i°5 ) Per le serie salariali Falck e FIOM v. Alessandra Pescarolo, Riconversione industriale e composizione di classe, Milano, Angeli, 1979, p. 214. Per l’indice del costo della vita v. ISTAT, Il valore della lira nei primi cento anni dell’Unità d’Italia 1861-1961, Roma, 1961, p. 10.(lo6) Nel 1915 la paga media alla fonderia di ghisa Ansaldo risulta essere, secondo un prospetto presentato dall’azienda, di L. 5,20 giornaliere (ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenza Ansaldo). Oscillanti attorno alle 6 lire sono i salari giornalieri del maggior numero degli operai della Siderurgia di Savona in seguito dall’aumento concesso dal CRMI nel febbraio 1916 (Ivi, b. 87). Nella primavera del 1917 il guadagno medio di un operaio della Acciaierie Italiane di Bolzaneto è di L. 7,50 al giorno (Ivi, b. 270, verbale seduta CRMI, I maggio 1917). Nell’autunno dello stesso anno alcuni lavoratori specializzati, maestri di forno e primi laminatori, guadagnano 12-13 lire mentre i manovali, all’estremo opposto della scala retributiva, ricevono un compenso di circa 6 lire giornaliere (Ivi, b. 87, vertenza Acciaierie Italiane). Nello stesso 1917 i manovali della Ligure Metallurgica hanno retribuzioni medie che si aggirano sulle L. 6,50 (Ivi, b. 144). Il CRMI fornisce, per l’autunno del 1917, dati sui salari giornalieri di ferriere, fonderie e acciaierie rispettivamente di L. 8,72, 9,25 e 9,24, non dissimili da quelli della tabella (M AIC, Annuario Statistico Italiano, 1917-18, p. 336). Alla Acciaierie e Ferriere di Prà, nel febbraio 1918, al treno di laminazione il capotreno percepisce L. 15, il suo aiuto 11,25, gli attrappatori 9,32, altri operai non qualificati ricevono meno di 9 lire; il maestro di forno guadagna di più di 14 lire mentre il suo garzone deve accontentarsi di 8,35 (ACS, MAM, CCMI, b. 144, Acciaierie e Ferriere di Prà, prospetti paghe maestranze del febbraio 1918). Questi i salari giornalieri della Ferriera Bruzzo nell’estate 1918: maestro forno 11,65, maestro forno ricottura 13,20, garzone forno 8,67, primo degrossitore 10,98, secondo degrossitore 9,66, attrappatori 10,65, primo laminatore 13,62, secondo laminatore 10,98; altri operai, non qualificati e aiuti, percepiscono meno di 9 lire (Ivi). Tutti questi dati confermano sostanzialmente le serie salariali Falck e Fiom precedentemente esaminate. Anche “Lotta operaia” ( 18 luglio 1917) offre ai suoi lettori una serie salariale riferita a un operaio cottimista di uno stabilimento siderurgico, che presenta però una diversa dinamica. Le Cifre relative alle paghe del 1914, 1915 e 1916 sono superiori rispetto a quelle delle serie Falck e Fiom, mentre inferiore è quella relativa al 1917: ne consegue, stando alla tabella proposta, una più marcata caduta del salario reale.

Lire Salario reale indice

1914 6,6 1001915 6,84 971916 7,32 821917 8,16 66

(lo7) ATG, b. 83: il Consiglio d’Amministrazione della Tessitura Valle Stura, nella relazione esercizio 1917, parla di ”... continui, sebbene giustificatissimi, aumenti della manodopera”; analoghe osservazioni nella relazione sull’esercizio 1916 della Società Commercio e Lavorazione Metalli (ATG, b. 24).0°8) MAIC, Annuario Statistico Italiano, 1917-1918, p.216.(lw) In ACS, MAM, CCMI, b. 87, 144, 270, numerosi documenti illustrano la dinamica dell’indennità di caroviveri nel periodo bellico. Nel giugno 1916 gli operai della Bruzzo percepiscono L. 0,80 giornaliere; a ottobre dello stesso anno i lavoratori delle Officine Ferroviarie Liguri ottengono L. 0,50. Nel gennaio 1917 il caroviveri peri dipendenti Ansaldo è di L. 0,90. Gli operai di Odero, Fossati, Ligure Metallurgica ottengono la lira nell’estate 1917, quando gli operai della concia devono ancora accontentarsi di L. 0,40 (ASG, b. 317, lettera 13 giugno 1917 al prefetto). Nell’autunno del 1917 l’azione rivendicativa del movimento operaio strappa nuovi aumenti dell’indennità fissata a L. 1,60 alla Ligure Metallurgica, a L. 1,50 alla Officine Ferroviarie Liguri. Da questo momento gli aumenti si succedono rapidi sino a che nell’estate 1918 tutte le principali aziende siderurgiche, Ligure Metallurgica, Acciaierie e Ferriere di Prà, Ferriere di Voltri e l’Ansalso concedono 3

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dennità di caroviveri è uguale per tutti i lavora­tori dell’azienda (ad eccezione dei ragazzi e delle donne, che si devono accontentare di una somma ridotta), a somiglianza dell’attuale pun­to unico di contingenza, e tale caratteristica altera la tradizionale gerarchia retributiva, fa­vorendo un restringimento del ventaglio sala­riale. Non esistendo alcun automatico colle­gamento tra caroviveri e costo della vita, i ritoc­chi all’indennità sono di volta in volta contrat­tati nel corso di vertenze, talora aspre, che si concludono con l’arbitrato del CRMI.

Allo scopo di ridurre la conflittualità nelle fabbriche la direzione dell’Uva propone nel lu­glio 1918 la indicizzazione trimestrale dell’in­dennità caroviveri, in modo da farla diventare una vera e propria scala mobile ( '1o). Si è ormai al termine della guerra, la proposta dell’Uva non trova applicazione e rimane solo un esem­pio di come, con notevole pragmatismo, da parte padronale si cerchi di neutralizzare gli effetti del fenomeno inflazionistico come inne­sco di pericolose tensioni sociali.

Se all’interno di una stessa azienda, per effet­to degli aumenti dell’indennità di caroviveri eguali per tutti, si evidenzia la tendenza all’ap­piattimento delle retribuzioni, la diversa forma contrattuale delle varie categorie settoriali degli operai mantiene e a volte accentua una diversi­ficazione dei livelli retributivi (m).

Tra i metalmeccanici sono nettamente dis­criminati le donne e i giovani (anche se questa

non è una peculiarità del periodo bellico), e non solo per quanto riguarda l’indennità di carovi­veri. A parità di mansione non corrisponde identica retribuzione tra uomo e donna: così allo stabilimento meccanico delle Grazie della Esercizio Bacini le donne che lavorano in fon­deria ricevono un compenso orario pari alla metà di quello dei loro colleghi maschi. Tra tutte le fabbriche dell’Ansaldo la paga media più bassa si registra nei proiettifici, vale a dire là dove più massiccia è l’occupazione femminile (l12). “Lotta operaia” denuncia come il lavoro della donna sia “troppo mal retribuito”: nel 1916 esse come apprendiste difficilmente gua­dagnano più di lire 1 al giorno e, divenute operaie provette, non raggiungono le 2 lire ( ',3). Salari esigui sono pure quelli dei giovani: gli apprendisti del cantiere Odero della Foce, an­cora nel 1918, percepiscono paghe inferiori alle due lire giornaliere (>14). Particolarmente basse sono le paghe nel settore tessile, dove si concen­tra la manodopera femminile: nell’autunno del 1916 le operaie del lanificio Bona di Voltri, lavorando 11-13 ore al giorno, guadagnano un salario di lire 1,40-1,80; qualcosa di più percepi­scono gli uomini che possono arrivare a lire 3,20; con un “maestro” pagato circa 6 lire gior­naliere, lavorano una mezza dozzina di giovani di età inferiore ai ventidue anni; per loro l’in­dennità di caroviveri è di lire 0,10 al giorno (! 15).

La necessità di stimolare al massimo la pro­duzione da un lato e la difficoltà oggettiva di

lire per gli operai adulti. Nello stesso periodo i dipendenti del cantiere Odero della Foce percepiscono lire 3,20 mentre quelli di Esercizio Bacini, Torriani, Officine Elettromeccaniche hanno ancora poco più di lire 2.(uo) ACS, MAM, CCMI, b. 144, lettera Uva al CRMI, 15 luglio 1918. Tale proposta non è isolata. Varie voci si erano infatti levate per suggerire questa soluzione che peraltro non fu mai adottata. L’argomento viene trattato con ricchezza di informazioni da Luciano Segreto nella sua tesi di laurea su L’industria italiana durante la grande guerra, relatore prof. G. Mori, Università di Firenze, Facoltà di economia e commercio, anno accademico 1980-1981.(in) Indubbio interesse avrebbe lo studio di un fenomeno che esula dall’ambito della presente ricerca: se il processo di livellamento salariale tra operai e impiegati che caratterizzò gli anni postbellici fosse già iniziato in questo periodo.("2) ACS, MAM, CCMI, b. 87 prospetto paghe Esercizio Bacini, stab. meccanico delle Grazie, luglio 1918, Ivi, vertenza Ansaldo.(" 5) “Lotta operaia” 1 giugno 1916, 6 agosto 1916.("4) ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenza Odero.(in) “Il lavoro”, 23 settembre 1916. Sempre il corrispondente da Voltri de “Il lavoro”, il 17 marzo 1917 ci informa che la paga giornaliera delle operaie della fabbrica di cenci Casalino è di L. 1,05. A confermare i bassissimi livelli salariali esistenti nel settore tessile le lavoratrici del cotonificio De Ferrari di S. Quirico guadagnano L. 2,10 al cottimo dopo undici ore di lavoro, mentre numerose fanciulle di età compresa trai 13 e i 16 anni percepiscono solo L. 1,10(“Lotta operaia”, 24dicembre 1916).

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La classe operaia a Genova 111

ottenere un aumento di produttività attraverso il capital deepening dall’altro inducono gli im­prenditori a percorrere la via di un più intenso sfruttamento della forza lavoro. La diminuzio­ne dell’assenteismo in seguito alla dichiarazione di ausiliarietà è il primo risultato conseguito dal padronato su questa strada (,16); il già citato tentativo di applicare, in alcune aziende, nuovi metodi di organizzazione del lavoro è un altro esempio di questa politica padronale. Una autentica rivoluzione nella struttura del salario è il terzo aspetto. Sempre più frequenti diven­gono la diffusione del cottimo e il ricorso allo straordinario, con il prolungarsi degli orari di lavoro. Un esame dell’applicazione dei cottimi dell’industria consente di chiarire gli orienta­menti degli imprenditori, consapevoli che in­centivazioni individuali e di reparto avrebbero favorito una più elevata produttività.

L’attenzione dedicata al problema ai massi­mi livelli della Mobilitazione Industriale è te­stimoniata dalla costituzione di un’apposita commissione mista industriali-operai, che do­vrebbe promuovere la diffusione e la regola­

mentazione di sistemi di cottimo (117).L’Ansaldo, per parte sua, già nel 1916 fa

stendere dai suoi uffici tecnici uno studio sulle retribuzioni, in cui si sottolinea la superiorità del cottimo rispetto al lavoro “ad economia”. Negli stabilimenti del maggior complesso ge­novese i cottimi trovano larga applicazione raggiungendo e superando il 70 per cento della paga base (*18). Ma si tratta ancora di poca cosa in confronto a quanto avviene ai cantieri Sa­voia, dove grazie ai cottimi alcuni operai realiz­zano un incasso superiore del 100-120 per cento rispetto alla paga base ( '19). Risulta in tal modo ribaltato il rapporto tra utile di cottimo e paga base derivante dalla tariffa oraria, che prima costituiva la voce fondamentale del salario. Es­sendo la tariffa oraria direttamente legata alla professionalità dell’operaio, ne consegue che il “mestiere” determina meno di prima l’ammon­tare complessivo del salario. La tradizionale gerarchia retributiva viene corretta, premiando gli operai che, magari per la migliore efficienza dei macchinari del loro reparto, aumentano più sensibilmente la propria produzione (I2°).

(116) ACS, MAM, CCMI, b. 230, rapporto comando militare al Sottosegretario: nel giugno 1916 gli assenti al cantiere Ansaldo di Sestri sono pari al 5% della forza lavoro; prima che lo stabilimento fosse dichiarato ausiliario erano il 13%.(117) Tale commissione è composta da Dante Ferrari, Giuseppe Orlando, Ernesto Breda, Cesare Fera, Pio Terrone, quali rappresentanti degli industriali, e Ferruccio Ancillotti, Emilio Colombino, Bruno Buozzi, Guido di Dio e Carlo Sinigaglia in rappresentanza dei lavoratori (A. Camarda-S. Peli, L'altro esercito cit., p. 119, n. 41).C18) Al cantiere di Sestri il guadagno degli operai che lavorano a cottimo equivale, nel gennaio 1916, al 35% della paga base (ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenza Ansaldo). Nello stabilimento Artiglieria gli operai cottimisti, che nel giugno 1914 rappresentano il 23,5% del totale dei dipendenti (180 su 769), sono nel luglio 1916 ben 2.178 su 2.547 occupati, vale a dire l’85,5% della forza lavoro dello stabilimento; nello stesso arco di tempo gli utili medi di cottimo sono saliti dal 28,8% al 70,3% della paga base (Ivi, b. 270, verbale seduta CRMI, 16 marzo 1917).(U9) ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 16 marzo 1917.(I2°) La scala delle retribuzioni giornaliere degli addetti al treno profilato e al treno lamiere della Acciaierie e Ferriere di Prà è modificata dalla diversa incidenza del cottimo (ACS, MAM, CCMI, b. 144, prospetto del febbraio 1918).

Treno a profilati1* squadra 2 squadra

pagabase

% cottimo/ paga base

paga totale in Lire

% cottimo/ paga base

paga totale in Lire

capotrenoaiuto laminatore (per il treno lamiere: aiuto

6,50 156 18,28 141 17,28

capotreno) 3,75 156 11,22 141 10,65attrappatore 3,50 156 10,59 141 10,10maestro forno 5,80 156 16,48 141 15,59garzone forno 3 208 10,85 205 10,76macchinista 3,50 156 10,58 137 9,90manovale placca 2,50 156 8,02 141 7,83gazogista 3,25 156 9,90 141 9,44

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Inoltre aziende il cui prodotto è immediata­mente quantificabile, ad esempio le siderurgi­che, applicano estensivamente il nuovo sistema e sono in grado di corrispondere utili di cotti­mo, e quindi salari, maggiori rispetto ad altre dove la qualità del lavoro conta di più, come le officine di riparazioni navali.

Ai lavoratori della San Giorgio che chiedo­no miglioramenti salariali, giustificando le loro richieste con l’aumento del costo della vita e con i maggiori profitti dell’impresa, il CRMI risponde negativamente sostenendo che, grazie al cottimo, lavorando un po’ di più gli operai possono incassare eque retribuzioni (m).

A fronte del rifiuto padronale di ritoccare la paga base gli operai indotti ad accettare i nuovi sistemi retributivi per meglio salvaguardare il potere d’acquisto dei salari (122). Nel settembre

del 1916 i lavoratori del cantiere navale di Riva Trigoso rivendicano la generalizzazione del cottimo, in modo che anche coloro che ne sono al momento esclusi possano ricavarne i benefici (l23). Nessuna opposizione quindi da parte ope­raia; si annotano per contro le proteste dei lavoratori “ad economia” (,24) e di quanti riten­gono di avere cottimi inferiori a quelli in vigore in altri stabilimenti (125). L’azione sindacale è volta a evitare revisioni unitalerali delle tariffe e a fissarle nuovamente ogni qualvolta l’introdu­zione di nuove macchine rimette in discussione la quota minima di produzione necessaria per realizzare la paga base (l26).

Ancillotti, e con lui le organizzazioni rifor- miste, accettano in fondo la logica della retri­buzione a cottimo: la presenza dei più impor­tanti sindacalisti della corrente riformista nella speciale commissione ministeriale lo conferma

Treno lamiere1“ squadra 2” squadra

paga % cottimo/ paga totale % cottimo/ paga totalebase paga base in Lire paga base in Lire

capotrenoaiuto laminatore (per il treno lamiere: aiuto

7 93 15,15 93 15,15

capotreno) 5 93 11,25 93 11,28attrappatore 4 93 9,32 93 9,34maestro forno 6,50 93 14,15 93 14,18garzone forno 3,50 93 8,35 93 8,38macchinista 4 93 9,32 93 9,34manovale placca 2 93 5,46 93 5,47gazogista 3,75 93 8,84 93 8,86

C21) ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenza San Giorgio, novembre 1915.(122) Ivi, b. 144, lettera della società Ferrotaieal CRMI, dicembre 1917: “Il cottimo è talmente invalso nei sistemi industriali che ormai l’operaio ne fa grande affidamento e giustamente lo considera come parte integrante del suo salario”.(12J) “Il lavoro”, 12 settembre 1916.(I2<) Cosi i dipendenti dell’Union de Gaz: ”... gli operai dipendenti dell’Union de Gaz lavorano tutti in economia e non percepiscono per conseguenza quelle integrazioni di paga che si realizzano dagli operai della maggior parte degli altri stabilimenti...” (ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenza Union de Gaz).(I25) Ivi, vertenza Officine Elettromeccaniche. Nell’autunno 1918 gli utili di cottimo sono in massima parte inferiore al 40% della paga base, percentuale questa concordata in maggio tra direzione e maestranze. La Fiom afferma poi che le tariffe di cottimo per le stesse lavorazioni all’Elettromeccanico Ansaldo sono superiori dal 50 al 200%.(12‘) Alla Ligure Metallurgica “prima dell’awenuta trasformazione del treno il minimo consentito di produzione per realizzare la paga base di L. 5 era di tonnellate 30, attualmente invece il minimo è salito a tonnellate 50. La produzione normale era prima tonnellata 65 per cui percepivano un utile (di cottimo) del 110%. La produzione normale odierna è invece di tonnellate 70, di conseguenza l’utile è disceso al 40%, con conseguente diminuzione dei salari globali (/vi, Ligure Metallurgica, lettera CdL Sestri Ponente, autunno 1917).

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inequivocabilmente (l27).Pure “Lotta operaia”, che avverte con preoc­

cupazione le sperequazioni che il sistema del cottimo introduce tra i lavoratori e non manca di far rilevare implicitamente quale formidabile arma esso sia nelle mani del padrone, si limita a denunciare i ritocchi operati alle tariffe a danno dei lavoratori o le eccessive differenze nelle remunerazioni da reparto a reparto (128).

Oltre al cottimo, anche lo straordinario permette di arrotondare la paga giornaliera. Un memoriale presentato nell’estate 1918 dai lavoratori dell’Allestimento Navi Ansaldo ri­conosce come “nel nuovo periodo della guerra l’operaio trovava nel crescente provento del lavoro straordinario un forte aiuto per fronteg­giare l’aumento del costo della vita. Non furo­no certo le prime indennità di pochi soldi al giorno e poi di una lira, quelle che permisero all’operaio di recuperare le difficoltà create dal­l’alterazione dei valori” (l29). Accomunabile al cottimo per il più gravoso impegno che impo­ne, lo straordinario lega sempre più l’uomo al posto di lavoro. Sistemi “dannosi e atti soltanto a mantenere l’incondizionato dominio degli in­dustriali” sono subiti passivamente e a poco o nulla valgono gli sforzi dei sindacalisti per

smuovere le masse (13°). Il risultato di maggior rilievo conseguito è l’aumento della tariffa do­po la decima ora, che fissa in dieci ore la durata della giornata normale (131).

La vita fuori della fabbrica. Sul tenore di vita del proletariato il dibattito storiografico si è sviluppato ricalcando le linee delle discussioni sulla dinamica salariale. Gli stessi studiosi che fanno proprie le tesi degli alti salari si affrettano a sottolineare, a conferma della loro teoria, l’aumento dei consumi popolari (l32); chi invece scorge nella documentazione raccolta la prova della perdita del potere d’acquisto dei salari obietta che diverse possono essere le ragioni della crescita dei consumi: innanzi tutto un maggior numero di occupati per famiglia, con il lavoro di donne e giovani, consente una certa larghezza nella spesa a vari nuclei familiari; è poi particolarmente arduo valutare quanto il consumo di zuccheri e alcoolici del contadino divenuto soldato sia aumentato rispetto a quando, prima della guerra, lavorava nei campi.

La vendita delle bevande alcooliche, soprat­tutto del vino, nelle periferie industriali delle grandi città permette ad alcuni di affermare che è proprio “in vino e bevande alcooliche che si

C27) “Il lavoro” 9 settembre 1916. Buozzi e Colombino si dichiarano per una revisione delle tariffe di cottimo, in quanto il fissarle a un livello basso “non favorisce né gli operai che hanno bisogno di guadagnare, né l’intento di intensificare la produzione”. Ancillotti, per parte sua, è convinto “che in più stabilimenti liguri la produzione aumenterebbe se gli operai fossero assicurati che a detto aumento non corrisponderà la riduzione del prezzo di cottimo”.(I28) “Lotta operaia”, 13 maggio 1916: il cottimo crea sperequazione tra chi esegue nuovi lavori nel reparto torneria della San Giorgio; 6 agosto 1916: alla officine Ferroviarie Liguri Bagnara aumentano i cottimi a un solo reparto disgregando il fronte operaio; 19 agosto 1916: arbitrariamente ritoccati dalla direzione i cottimi all’Ansaldo Meccanico; 16 settembre 1916: all’Ansaldo “mentre in uno stabilimento si concede di guadagnare dei cottimi da poter ricompensare la meschina giornata nominale in altri non si permette un guadagno che conceda di vivere e se qualche lavoratore lavora un po’ di più in modo da guadagnare un cottimo buono, ecco la penna dei signori, come un siluro del Censore, gettarsi sul cottimo e tagliare in modo che non possa più ricavare una mercede adeguata alle esigenze della vita”.(I2I>) ACS, MAM, CCMI, b. 87, vertenza Ansaldo, memoriale allestimento navi, 9-7-1918.(I3°) “Il lavoro”, 29 giugno 1916.(IM) “Lotta operaia”, 6 agosto 1916: questo è l’obiettivo raggiunto dagli operai San Giorgio. Non è poco pensando che al Fossati era regolare eseguire due ore di straordinario senza percepire soprassaldo (“Lotta operaia”, 23 luglio 1916) e alla Ferriere Bruzzosi aveva la paga oraria maggiorata solo dopo la dodicesima ora (ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 27 febbraio 1917).(I32) P. Melograni, Storia politica della grande guerra, cit., pp. 365-369. Uno studio attento sugli introiti del dazio comunale, che tenga conto del variare delle tariffe e della diversa incidenza dei vari generi, potrebbe offrire utili indicazioni al riguardo; rimarrebbero sempre i dubbi dell’effettiva efficienza dell’ufficio del dazio, di cui si lamenta la carenza degli organici. Discutendo il bilancio nel consiglio comunale di Genova, diversi consiglieri parlano di una diminuzione dei consumi; il gettito del dazio scende dai 13,5 milioni del 1914 agli 11 milioni del 1917 (ASCG, verbali consiglio comunale di Genova, anno 1917, p. 432, e anno 1918, p. 323).

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disperde la maggior parte dei guadagni ecce­zionali delle classi lavoratrici” (133). Gramsci, riferendosi al caso torinese, contesta questa af­fermazione e spiega l’aumento nella vendita del vino da parte dell’Alleanza Cooperativa con l’apertura di nuove mescite e con il crescente numero dei clienti che pasteggiano a vino (134). Certo è che agitazioni di vaste dimensioni, quali i moti di Torino dell’estate 1917, sono determi­nate dalla rabbia popolare per la mancanza di generi alimentari di prima necessità, segno indi­scutibile dell’impoverimento, quanto meno temporaneo, delle mense delle famiglie operaie.

Senza raggiungere la stessa ampiezza regi­stratasi a Torino, tali fenomeni sono avvertibili anche a Genova: nei primi mesi del 1917 viene deciso nel capoluogo e nei comuni limitrofi il razionamento della carne e dello zucchero, mentre da tempo la stampa cittadina lamenta scarsità e cattiva qualità del pane in vendita nei negozi. In agosto il tesseramento viene esteso alle farine e alla pasta (135): davanti ai negozi si ingrossano le code e sono segnalate dalla pre­fettura numerose manifestazioni di donne; il 20 agosto scoppiano incidenti a Sampierdarena, Rivarolo e Borzoli, e alcuni forni vengono assa­liti e saccheggiati (13é). Quando più acuta diven­ta la crisi nei rifornimenti annonari si sviluppa un’intensa campagna tesa a soffocare il mal­contento popolare, una campagna fatta di mi­nacce, senza disdegnare il ricorso ai tradizionali sistemi repressivi, integrato con una certa dose di paternalismo: il “Lavoro”, impegnato nella difesa dell’operato del commissario governati­vo agli approvvigionamenti, il deputato social-

riformista Giuseppe Canepa, pubblica il “deca­logo del buon cittadino”, per il quale punto fermo è l’accettare con animo sereno il razio­namento (137). Non mancano accuse più dure, insinuazioni di viltà e scarso senso civico, all’in­dirizzo di chi protesta per la disfunzione del servizio di rifornimento delle vettovaglie: “Se costoro che tremano solo perchè nel fronte interno hanno corso rischio di mettere a repen­taglio il loro ventre, che farebbero se si trovas­sero veramente sulla linea del fuoco dove è a repentaglio la vita?” (138). Il quotidiano riformi­sta parla in perfetta sintonia con i fogli “bor­ghesi” — il “Secolo XIX” invita gli operai alla calma, ricordando che chi lavora nell’industria ha vita più facile del fante in trincea (139) — che si preoccupano pure di dimostrare il loro più genuino interessamento per la salute delle classi meno abbienti. Secondo il “Corriere mercanti­le”, “mangiare poco e regolarmente significa digerire bene: — e il digerire bene produce buon sangue, salute ottima e buon umore” (l4°). Più “scientifico” il “Secolo XIX”rileva che se si mangia troppa carne “si va incontro all’obesità, all’artritismo, alla gotta, all’arteriosclerosi, al­l’apoplessia” (l41). Bisogna in qualche modo preparare i lettori al notevole calo nella macel­lazione delle carni a Genova: nel giugno 1915 erano stati macellati 625.000 Kg di carne, tre anni più tardi soltanto 170.000 Kg con una diminuzione secca del 72 per cento (142); nello stesso periodo la popolazione della città si è andata ingrossando di migliaia di unità. Se la carne è sempre stata rara sulla mensa delle famiglie operaie, con la mancanza dell’olio di-

(m) Cosi Giuseppe Prato, in Paolo Spriano, Storia di Torino operaia e socialista, Torino, Einaudi, 1972, p. 385.(134) Ivi. Sul consumo delle bevande alcooliche in generale e del vino in particolare, v. Michela Figurelli, L'alcool e ¡a classe. Cenni per una storia deH’alcoolismo in Italia, in “Classe”, giugno 1978, n. 15, pp. 93-136.(135) “Il secolo XIX”, 29 agosto 1917, a Sampierdarena; 15 settembre 1917, a Cornigliano.(136) G. Perillo-C. Gibelli, Storia della Camera del lavoro di Genova, cit., p. 241.(137) “Il lavoro”, 30 settembre 1917.C38)/vi, 28 agosto 1917C39) “Il secolo XIX”, 20 settembre 1917.(no) “j| corriere mercantile”, 23 aprile 1917.04') “Il secolo XIX”, 4 ottobre 1917.('«) Ivi, 9 luglio 1918.

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venta difficile anche preparare quei prodotti di friggitoria molto in uso nel capoluogo li­gure 043).

Si moltiplicano i problemi annonari ma ana­loghe traversie non conosce il consumo del vino. L’alcool diviene un surrogato delle calorie che fanno difetto nell’alimentazione abituale, disseta e riscalda e aiuta l’operaio a sopportare i disagi dell’ambiente di lavoro e gli sforzi pro­lungati. “Lotta operaia” osserva preoccupata il diffondersi di abitudini che fiaccano la coscien­za di classe e abbrutiscono il lavoratore: “Molti operai, al sabato sera, con pochi soldi dura­mente guadagnati, si impancano nelle taverne fumose, oscure, anguste, ove l’aria è pesante di esalazioni acri di alcool, dove un rumore con­fuso di rauche voci e di bicchieri cozzanti, di liquidi mesciuti e di gole gorgoglianti, contri­buisce a rendere il quadro più nauseante e più fosco”. L’alcool ha, in un certo senso, nella fabbrica la funzione che ha al fronte la razione supplementare di grappa data ai fanti che si preparano per l’attacco: alle Acciaierie Italiane di Bolzaneto agli operai di un reparto che re­clamano aumenti salariali la direzione dello stabilimento offre bottiglie di vino (144).

Se è grave la questione degli approvvigio­namenti alimentari, addirittura drammatico è il problema della casa. Alla mancanza di nuove abitazioni non suppliscono programmi di edili­zia popolare, congelati del resto dalla giunta comunale clerico-moderata uscita vincente dal­le elezioni amministrative dell’estate 1914.Amministrazioni più sensibili, come il comune di Sestri Ponente, riescono a edificare alcuni caseggiati, ma l’iniziativa non è sufficiente a soddisfare la domanda di alloggi (l45); il comu­

ne di Comigliano deve scontrarsi con l’Ansaldo per mantenere la destinazione ad area residen­ziale a un terreno su cui ha posto gli occhi la ditta. H problema si aggrava in modo allarman­te nei centri che conoscono uno sviluppo indu­striale più intenso (146): questo è il caso di Sam- pierdarena dove “si stipano, si riempiono di persone i quartieri popolari dove generalmente le case sono addossate le une alle altre, in vie o vicoli stretti, in cui difficilmente entra il sole, e malamente vi circola l’aria ... ”. “In Sampier- darena è avvenuto proprio così: le case dei popolani sono abituate dal doppio o dal triplo delle persone che l’igiene permetterebbe...”: in queste condizioni c’è da temere il diffondersi delle malattie; diventa più facile il contagio della spagnola che, nel 1918, imperversa in tutta Europa. Nemmeno il poter disporre di buoni stipendi consente di trovare adeguata sistemazione. Come rileva il “Corriere mercan­tile”, “vi sono anche molte persone di civilissi­ma condizione in Sampierdarena che non han­no famiglie o dimora stabile e devono ricorrere all’uso delle camere mobigliate: ingegneri, di­rettori, alti impiegati degli stabilimento Ansal­do, ufficiali” (I47).

Forti di questa situazione i proprietari di case possono aumentare i canoni, che pure dovrebbero essere bloccati. Varie ragioni — sovraimposte deliberate dagli enti locali, aumenti delle imposte sulle case, necessità di tutelarsi delle imposte sulle case, necessità di tutelarsi dall’aumento del costo della vita (14S) — vengono addotte per giustificare un atteg­giamento che esaspera le tensioni sociali: si costituiscono comitati operai contro il carofitti, hanno luogo diverse manifestazioni per solleci­tare l’adozione di provvedimenti da parte delle

(l43) ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 15 marzo 1918.044) “Lotta operaia”, 23 luglio 1916.(145) ASCG, Sestri, b. 73. Per una più completa utilizzazione degli spazi il pianterreno nelle case fatte costruire dal Comune, originariamente occupato da botteghe, viene trasformato ad uso promiscuo abitazioni e negozi.(146) ACS, MAM, CCMI, b. 270, verbale seduta CRMI, 1 febbraio 1918.047) “Il corriere mercantile”, 23 ottobre 1918.(I4S) “Il secolo XIX”, 20 gennaio 1916.

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116 Marco Doria

autorità tesi a impedire l’aumento delle pi­gioni (149).

Le polemiche con i commercianti per l’alto costo dei generi alimentari e con i proprietari di case che aumentano o cercano di aumentare i canoni di affitto, oltre a documentare come i problemi dei lavoratori non siano circoscritti ai muri della fabbrica, evidenziano come si con­sumi quella rottura tra classe operaia e vasti strati di ceto medio che a caro prezzo sarà pagata nel dopoguerra.

Conclusioni

Le trasformazioni degli anni di guerra hanno confermato, accentuandola, la tendenza del­l’industria genovese a identificarsi sempre più con l’industria pesante: i massicci spostamenti di manodopera da un settore all’altro ne sono la logica conseguenza (15°). Questa caratteristi­ca del capitale genovese lega le sorti dei lavora­tori alle grandi scelte di politica industriale compiute dal governo; non sembra però che le organizzazioni del movimento operaio ne fos­sero allora pienamente coscienti.

D fenomeno della “nuova classe operaia” ha a Genova una portata più limitata rispetto agli altri poli del triangolo industriale; ai fattori che

rendevano meno facile un diffuso impiego delle donne si aggiungeranno gli effetti della crisi di riconversione, che porterà all’espulsione dalle fabbriche di molti di coloro che vi erano entrati durante il conflitto.

Resta comunque il fatto che la guerra è stata un momento di elaborazione e, almeno in certi settori, di applicazione di nuovi criteri di orga­nizzazione del lavoro, resi necessari dalla pre­senza di operai non qualificati e dalle pressanti esigenze della produzione in serie; senza esage­rarne la portata nell’immediato, si tratta in­dubbiamente dell’avvio di un processo destina­to a proseguire nel tempo.

La guerra lascia anche una pesante eredità nel campo delle relazioni industriali: il sistema di regole ferree che bene o male aveva retto negli anni del conflitto risulterà intollerabile in tempo di pace; l’esplosione delle lotte operaie nel 1919, la conquista della giornata lavorativa di otto ore, gli aumenti salariali sono il risultato del tentativo di rovesciare una situazione di subalternità. Quella che per la classe operaia era stata una sconfitta storica, per la borghesia è invece una esperienza ricca di suggerimenti. Di fronte al pericolo “rosso” la linea autoritaria, seguita negli anni 1915-18, sembrerà la soluzio­ne più sicura.

Marco D ona

C4’) [vi, 22 dicembre 1916, 13 gennaio 1917, 19 aprile 1918; “11 lavoro”, 23 dicembre 1916, 16 febbraio 1917; ASCG, Rivarolo, b. 106: il 2 febbraio 1916 la sezione rivarolese del PSI con la Società operaia di mutuo soccorso e la Lega metallurgici officine elettromeccaniche scrivono all’amministrazione civica “per conferire circa l’opera del Comune in merito... alPimpedimento da porsi ai proprietari di case di aumentare le pigioni”.fiso) jjei 1921, nonostante l’ondata di licenziamenti postbellica, gli addetti delle aziende siderurgiche, metallurgiche e meccaniche (nella provincia di Genova, confini attuali) sono aumentati del 20% rispetto al 1911 (G. Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova, cit., p. 548).

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La classe operaia a Genova 117

Tabella 1

Settore tessile Settore metalmeccanico

Occupati % sul totale degli addetti

industriali

Occupati % sul totale degli addetti

industriali

Genova 20.737 16 48.240 38,6Torino 55.936 32,9 38.327 22,6Milano 146.233 42 68.095 19,6

Tabella 2

Distribuzione del personale nelle imprese metalmeccaniche a seconda delle loro dimensioni in Liguria, Piemonte e Lombardia

Imprese con al massimo 10 persone

a

Imprese con più di

10 persone b

Rapporto

a b

Liguria 5.159 43.862 1:8,5Piemonte 13.550 44.903 1:3,3Lombardia 22.971 80.319 1:3,5

Tabella 3 - Salario giornaliero medio stabilimenti siderurgici alta ItaliaDati Falck

indiceDati Fiom

indiceIndice costo

della vitaSalario reale

Falck Fiom

1914 5,68 100 5,56 100 100 100 1001915 5,77 102 5,74 103 107 95 961916 6,64 117 6,59 119 134 87 891917 8,44 149 8,50 153 189 79 811918 10,92 192 11,05 199 264 73 75

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118 Marco Doria

A P P E N D I C E(F o n te : A C S , M A M , C C M I, B . 228)

Donne occupate negli stabilimenti ausiliari liguri, autunno 1917 (le cifre tra parentesi si riferiscono al totale dei dipendenti)

dirigenti % Operaie % % totaleimpiegate _______________________

Stabilimenti metallurgici 117 (1.142) 10,2 1.773 (25.415) 6,9 7Stabilimenti artiglierie 194 (1.269) 15,2 454 (14.247) 3,1 4,1Cantieri navali 169 (1.298) 13 210 (16.402) 1,2 2,1Proiettifici piccolo calibro Proiettifìci grosso e

99 (399) 24,8 1.488 (5.061) 29,4 29

medio calibro 56 (321) 17,4 1.380 (6.728) 20,5 20,3Meccanica di precisione 191 (792) 24,1 454 (4.727) 9,6 11,6Aviazione 142 (310) 45,8 584 (3.386) 17,2 19,6

Totale metalmeccanica 968 (5.531) 17 6.342 (75.966) 8,3 8,9Fabbriche esplosivi 15 (349) 4,2 619 (5.745) 10,7 10,4Industrie tessili 9 (49) 18,3 649 (1.145) 56,6 55,1Calzaturifici e cuoifici 24 (137) 17,5 319 (1.374) 23,2 22,7Industrie alimentari Industrie estrattive

14 (181) 7,7 260 (1.165) 22,3 20,3

e minerarie 10 (65) 15,3 150 (1.620) 9,2 9,4Industrie chimiche e gasometri 77 (391) 19,6 144 (2.530) 5,6 7,5Industrie elettriche 82 (375) 21,8 20 (1.378) 1,4 5,8Industrie varie 48 (323) 14,8 1.088 (4.952) 21,9 21,5

Tot. generale 1.247 (7.401) 16,8 9.592 (95.875) 10 10,4

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La classe operaia a Genova 119

Personale operaio degli stabilimenti ausiliari liguri soggetto a obblighi militari, autunno 1917

esonerati % com andati o lasciati a

disposizione

% totale operai

Stabilimenti metallurgici 6.820 26,8 6.237 24,5 25.415Stabilimenti artiglierie 3.188 22,3 4.706 33 14.247Cantieri navali 4.417 26,9 3.617 22 16.402Proiettifici piccolo calibro Proiettifici grosso

1.259 24,8 1.177 23,2 5.061

e medio calibro 1.764 26,2 2.119 31,4 6.728Meccanica di precisione 1.046 22,1 1.744 36,8 4.727Aviazione 310 9,1 1.590 46,9 3.386Totale metalmeccanica 18.804 24,7 21.190 27,8 75.966Fabbriche esplosivi Industrie tessili

3.356 58,4 975 16,9 5.745

e m anifatturiere 24 2 84 7,3 1.145Calzaturifici e cuoifici 266 19,3 153 11,1 1.374Industrie alimentari Industrie estrattive

144 12,3 45 3,8 1.165

e minerarie 264 16,2 461 28,4 1.620Chimiche e gasometri 662 26,1 474 18,7 2.530Elettriche 386 28 275 19,9 1.378Varie 1.322 26,6 712 14,3 4.952

Totale generale 25.228 26,3 24.369 25,4 95.875