La città dei Laurenti - Enea Tour · a Pomezia, è quello di perdersi in particolari insignifican-...

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A cura di Giosuè Auletta e Michele Zuccarello La città dei Laurenti

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A cura di Giosuè Auletta e Michele Zuccarello

La città dei Laurenti

La PIAZZA della PACEAi bambini e alle bambine

che corrono, pattinano,saltano, vanno in bicicletta,

giocano a pallone nella piazza di Pomezia

REDAZIONE TESTIGiosuè Auletta

COMPUTERGRAFICAMichele Zuccarello

CARTOGRAFIE - DISEGNI - FOTOGiosuè Auletta – Michele Zuccarello

PROGETTO GRAFICOAlice Comunicazione

STAMPAAlice Comunicazione Edizioni

COPYRIGHTAlice Comunicazione

PUBBLICHE RELAZIONI E COORDINAMENTO PUBBLICITAʼ

Eliano Stella

LAVINIUMA cura di Giosuè Auletta e Michele Zuccarello

La città dei Laurenti

L’INDIGENALa quercia di Pomezia, chei bambini conoscono come“QUERCIA di POMONA”, èuna specie indigena identi-ficata come Quercus Su-ber o Sughera. E’ una pian-ta centenaria, testimonevivente dell’identità e delcarattere del luogo. E’ unaquercia sempreverde, altapiù di 10 metri e con unacirconferenza di due metrie mezzo. I bambini dellascuola dell’infanzia di Po-mezia, che l’hanno abbrac-ciata, hanno provato, fa-cendone esperienza, chedentro la grande querciapotrebbero starci 18 picco-li esseri umani (stringendo-si un po’, naturalmente).

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IntroduzioneSalve,

i bambini di Pomezia mi conoscono come la “Quercia di Pomona” ed hanno

immaginato le mie radici con le ali intuendo il segreto della vera

conoscenza locale: radicarsi in un luogo e volare alto.

Io c'ero quando Pomezia non c'era. Non so perché non mi hanno sradicata,

come fecero con le mie piante-sorelle, quando fondarono la città.

Forse perché ero un punto di orientamento su questo colle panoramico dove

da una parte si vedeva il Mare e, dall'altra, Monte Cavo, mentre tutt'intorno

fino ad Ardea c'era una meravigliosa campagna con vallate, boschi e corsi

d'acqua. Dicevano, e continuano a ripeterlo (facendo di tutta un'erba un fa-

scio), che questo è Agro pontino, che qui c'era la Palude, ma non è vero! Io

c'ero, io so, ma solo i bambini di Pomezia hanno capito quello che significo

con la mia presenza in mezzo al traffico che mi soffoca e mi uccide lentamente.

Quando Pomezia, la città nuova, non c'era e gli orizzonti erano aperti, vede-

vo il luogo mitico di un'altra città, antica, costruita intorno ad una pianta

sacra venerata dagli abitanti come segno, simbolo e destino della Natura del

Luogo dal quale dipendeva la Vita della Comunità. La città è Laurentum/La-

vinium/Pratica e la comunità era quella dei Laurenti. Quell'antica città, ora,

può essere rievocata, raccontata ed immaginata, grazie a Giosuè Auletta e

Michele Zuccarello, con l'aiuto della scrofa e del picchio che conoscono

la realtà segreta di Pomezia.

Buon viaggio iniziatico! Ci vediamo alla fine.

La Quercia di Pomona

Il POPOLO dell’ALLORO“C’era un albero di alloro (laurus),nella parte più interna della reggia,

che era sacro e venerato da molto tempo.Si racconta che il re Latino lo aveva trovatoquando fondò la città consacrandolo a Febo

e da quell’albero aveva dato il nome di Laurenti agli abitanti del luogo”

Virgilio,Eneide, libro VII, versi 59-93

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SommarioPresentazioneLavinium e PomeziaLa città antica e la città nuova

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La Natura del Luogo16 - Agro Romano e Agro Pontino19 - La faglia geologica21 - Il gas Radon22 - La pianta dell’Alloro

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Il Mito del Luogo26 - Saturno il saggio27 - Pico il picchio30 - Fauno l’oracolo31 - Latino l’indiges35 - L’indigesto Enea

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Pag. 37La Storia del Luogo

39 - Da Laurentum a Lavinium46 - Laurenti arborigeni48 - Il Villaggio e la Sorgente Sacra50 - Le mura di Lavinium52 - Il Foro di Lavinium56 - Il Fascinum Laurentino58 - Il quartiere dei ceramisti61 - Minerva Tritonia63 - Il Palladio65 - Matrimonio e patrimonio69 - La faccia il viso il volto70 - La Piazza degli Dei73 - La ragazza con il fiore e lo specchio74 - La Memoria di Indiges76 - La Madonnella

79 - Da Lavinium a Pratica di Mare83 - Campo Selva e la torre del V aianico85 - Il borgo medievale88 - Genius Loci89 - La casa di Enea91 - Mater Materia92 - Il mito di Sergio Leone

95 - Da Pratica di Mare a Pomezia98 - Le visuali di Pomezia99 - Concezio Petrucci102 - La Torre Meridiana 104 - La Chiesa del grande bonificatore106 - La casa Comunale109 - Pomona a Pomezia110 - Il culto del Littorio112 - La gioventù del Littorio115 - Cimitero Militare Tedesco116 - Il paesaggio perduto118 - Il bosco del sughereto

Pag. 120 Enea Tour

Pag. 123 Ritorna alle Origini

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LAVINIUM e POMEZIALA CITTÀ ANTICA E LA CITTÀ NUOVAPomezia si presenta, a chi arriva dalla statale pontina148, come un agglomerato informe di case, caseggiati,grattacieli, palazzine e palazzoni, stabilimenti industriali,centri commerciali, negozi, cartelloni pubblicitari, alber-ghi, hotel, vecchi casali, insegne luminose, segnali stra-dali, pali della luce: la prima tentazione è quella di spin-gere sull'acceleratore per allontanarsi, il più in frettapossibile, da un caos urbanistico indescrivibile, indecifra-bile, insensato. A Pomezia, invece, è necessario fermarsiperché la modernità è l'altra faccia dell'antichità. Per ca-pire l'una bisogna conoscere l'altra che spesso si nascon-de e si occulta ai suoi stessi abitanti.Pomezia nasconde, dietro la facciata, una realtà segretache deve essere vista, guardata, osservata da vicino, maanche da lontano. Il rischio che si corre, quando si arrivaa Pomezia, è quello di perdersi in particolari insignifican-ti, senza una visione d'insieme della sua realtà territoriale.

PRESENTAZIONE

LA CITTA’ DI POMEZIAPomezia è il capoluogo di un

comune della provincia di Romacon oltre 60 mila abitanti

IL COMUNE DI POMEZIAIl comune di Pomezia fu istituito

nel 1938 quando non c’era ancoranè la città e nè la comunità.

Gli abitanti originari del comunefurono quelli dei due centri storici

del territorio Ardea e Pratica diMare che avevano antiche

tradizioni comunitarie. Ardea ha fatto parte del

comune di Pomezia fino al 1970quando tornò ad essere

una autonomia locale.

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MUSSOLINI come ENEA

Mussolini, durante il ven-tennio fascista, fu identifi-cato con Enea il miticofondatore della stirpeimperiale di Roma. A Mantova, nel parcovirgiliano, c'è un monu-mento del 1926 checelebra il duce fascistamentre calpesta “Turno”rappresentato come unafricano, simbolo di tutti ipopoli da conquistare eda sottomettere. AncheMussolini, come Enea, fudetto fondatore dell'impe-ro, nel 1936, dopo l'ag-gressione con ogni gene-re di armi, anche chimi-che, degli indigeniin Africa

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All'origine di Pomezia c'è una ideologia totalitaria del XXsecolo con il culto del littorio ed il mito della Romanità.La romanità è l'altra faccia della Latinità che nel territo-rio, oggi di Pomezia, aveva un centro sacro a caratteremetropolitano: Lavinium. C'è un mito di Lavinium che laromanità ha utilizzato, manipolato e stravolto. Il mito èquello di Enea che ancora oggi, a Pomezia, è conosciutonella sua versione ideologica ed hollywoodiana, falsa efuorviante. Il fondatore di Pomezia, durante il fascismo,si identificò con Enea portando alle estreme conseguen-ze l'antica ideologia del Capo con una missione fatale dacompiere: guerre,violenze, persecuzioni razziali.

POMEZIA VISTA DALL’ALTOLa forma urbana di Pomezia, vista dall’alto, si presenta con la città antica ancora immersa nel verde (in basso a sinistra), e la città nuova che si espande nel territorio a macchia d’olio.

ENEA di HOLLYWOODIl mito di Enea a Pomezia è cono-sciuto nella versione hollywoodia-na del genere”sandaloni” anni ‘60

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La storia di Pomezia avrebbe dovuto insegnare qualcosa,almeno con il senno di poi, ma così non è stato. Ha pre-valso, finora, nell'interpretazione della storia locale (daEnea a Mussolini) il punto di vista di conquistatori e co-lonizzatori, sradicati e sradicatori. Virgilio, nell'Eneide, ciracconta un'altra storia locale/universale facendo di Lau-rentum/Lavinium la città mitica/reale di un antico popo-lo indigeno, radicato nel territorio: i Laurenti.E' Lavinium (oggi, Pratica di Mare), la realtà nascosta diPomezia, il luogo dove la storia, radicata nei miti dellenostre comuni origini, può diventare maestra di vita, mala città dei Laurenti, oggi, è isolata dalla modernità, ab-bandonata, inaccessibile come dimostra Pratica di Mare

PRATICA dI MAREPratica di Mare è un luogo identificato come Laurentum, nel mito, e come Lavinium nella storia.

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13con la sua area archeologica che rappresenta la parte in-conscia, nascosta, rimossa della comunità locale. Dove un tempo c'era un'antica città, oggi c'è solo un bor-go medievale in rovina ed un museo, un luogo di memo-ria, dove il protagonista è sempre Lui, Enea, con una te-cnologia multimediale al servizio del suo mito e della suaideologia. All'ingresso del museo, per fortuna, c'è la deadel luogo, Minerva, la sapienza che accoglie i visitatoriricordando, con la sua muta e significante presenza, chel'intelligenza è l'arte della distinzione. Per ragionare epensare è necessario distinguere il vero dal falso, la re-altà dall'ideologia, la latinità dalla romanità. Nel patrimonio mitico dell'antica Lavinium ci sono dueanimali simbolici corrispondenti a due modi di essere, distare al mondo e di conoscere: il picchio e la scrofa. Il picchio e la scrofa, nell'immaginario collettivo del mon-do antico, erano animali-guida legati alla tradizione delviaggio iniziatico. La conoscenza di un luogo presupponeil fiuto della scrofa, l'attaccamento alla terra, la visionedal basso, ma anche il necessario distacco e la giusta di-stanza del picchio, la capacità di vedere dall'alto e dafuori la realtà locale nel suo contesto di appartenenza.L'ideale forma di conoscenza, secondo l'immaginazionedei bambini di Pomezia che hanno imparato a conoscerei miti locali facendo esperienza della realtà, sarebbe unascrofa con le ali.

IL PICCHIOIl Picchio laurentino (Picus viridis)era un simbolo della Latinità. Secon-do Plinio, il Vecchio il picchio cono-sceva il segreto per aprire tutte leporte con un'erba magica detta “Lu-caria”

LA SCROFALa scrofa laurentina (Sus Scrofa) èla femmina del cinghiale che nel-l'immaginario della Latinità rappre-sentava l'insieme dei popoli latini.

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POMEZIAIl sughereto di Pomezia con i Colli Albani all’orizzonte. 2001

RADICAMENTO“Il radicamento è forse lʼesigenza più importante e più misconosciuta dellʼanima umana. È tra le più difficili a definirsi. Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale allʼesistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, lʼessere umano ha una radice. A ogni essere umano occorrono radici multiple. Ha bisogno di ricevere quasi tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene naturalmente”.

Simone WeilLa prima radice

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15LA NATURA del LUOGOLa Radice

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AGRO ROMANO e AGRO PONTINOL’ideologia “razionalista”,come chiave di interpreta-zione di Pomezia e della suastoria, si fonda su una pre-messa locale e territorialeche non corrisponde alla re-altà di fatto. La premessa èche Pomezia si trova nel-l’agro pontino. ma la naturadel luogo ci mostra un’altrarealtà che i miti locali ri-chiamano continuamente al-la nostra memoria. Pomeziafa parte dell’agro romano o,più precisamente, dell’agrolaurentino che aveva ed ha

una particolare e straordina-ria identità territoriale deter-minata da un paesaggio in-visibile: il paesaggio geolo-gico.L’originario schema urbani-stico di Pom ezia si apriva,non a caso, in corrisponden-za delle due primordiali real-tà geologiche che hanno ge-nerato il territorio laurentino:il vulcano laziale, da una par-te, ed il mare dall’altra.Araldo di Crollalanza, il pre-sidente dell’Opera NazionaleCombattenti, sapeva bene (elo scrisse nel 1937) quale erala vera natura del territorio

Il VULCANO e la MONTAGNAL’Agro Romano e l’Agro Pontino sonodue realtà geologiche diverse:confondere l’uno con l’altro significanon capire la differenza tra un vulca-no ed una montagna.

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La PREMESSA IDEOLOGICAUna volta stabilita la premessa, il punto di partenza, l'ideologia rifiuta gli insegnamenti della realtà

Hannah Arendt“Alle origini del totalitarismo”

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IL VULCANO LAZIALEPratica di Mare, nel territorio di Pomezia, si trova su una faglia geologica del più grande vulcano d'Italia: il Vulcano Laziale. La faglia geologica di Pratica di Mare separa i bacini idrografici di importanti corsi d'acqua che fanno parte di unsistema territoriale ignorato da qualsiasi piano paesistico locale, provinciale, regionale.

della futura Pomezia dove nonera necessaria alcuna opera dibonifica: “L’attività nell’agroromano si differenzia notevol-mente da quella compiuta nel-l’agro pontino perché non miraa riscattare la terra dall’acqui-trino e dalle boscaglie, a redi-merla con opere grandiose nei

corsi d’acqua, ad appoderarla e atrasformarla in senso totalitario ,ma tende a correggere le caratteri-stiche idrografiche esistenti”L’antica città di Lavinium, molti secoliprima di Pomezia, aveva fondato losviluppo duraturo della comunità loca-le sulle caratteristiche naturali, geolo-giche ed ambientali, del territorio.

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La città antica non nasce atavolino, tracciando linee suun foglio di carta bianca, madalla profonda conoscenzadella natura locale che de-terminava, condizionava e

suggeriva la scelta degli in-sediamenti umani. Il territo-rio laurentino dell’antica La-vinium è lo spartiac que didue grandi bacini id rograficiche scendono dal VulcanoLaziale verso il Mar T irrenoed il fiume T evere.

BACINI IDROGRAFICIDue grandi bacini idrografici (RioTorto e Malafede) caratterizzano ilterritorio di Pomezia con la fagliageologica di Pratica di Mare.

FAGLIA DIRETTA

MATER MATERIAL’Argilla alla base del territorio di Pomezia

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La FAGLIA GEOLOGICALavinium/Pratica di Mare sitrova in corrispondenza di unafaglia geologica che ha solle-vato l’antico fondo del mare.La faglia laurentina costitui-sce il bordo rialzato di un si-stema geologico, con alti ebassi strutturali, conosciutocome il “bacino di Ardea” (theArdea basin).La posizione geografica di La-vinium è quella di un territorioal limite di due realtà geologi-che: continentale e marina. Il

centro di Lavinium/Pratica diMare è situato in un punto dicerniera tra i depositi conti-nentali connessi con il V ulca-no laziale e quelli marini lega-ti alle variazioni della linea dispiaggia durante le epochegeologiche.Per milioni di anni, durante ilPliocene, la zona fu un grandemare aperto con le onde chesi frangevano a ridosso deimonti Lepini. Nel fondo delmare si depositavano i sedi-menti della terraferma dando

La FAGLIA GEOLOGICAPratica di Mare si trovain corrispondenza

di una faglia (frattura)geologica diretta che ha sollevato l'antico fondo del mare.La faglia di Pratica di Maredelimita a nord ovestil bacino geologico di Ardea.Le argille marinedi Pratica di Mare si trovano a 50 metrisul livello del mare, mentre ad Ardeasono coperte da uncompatto strato di tufo vulcanico

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origine a rocce sedimentariecome l’argilla.Le argille azzurre del Pliocenesi possono vedere a Pratica diMare dove in una cava, aquattro chilometri dal mare,c’è un archivio naturale conla storia geologica del territo-rio che conserva le testimo-nianze fossili della vita mari-na.Nei periodi glaciali la li-nea di costa arretrava e laprofondità del mare si riduce-va anche in seguito a solleva-menti della terra. Alle oscilla-zioni del mare corrispondevala presenza nel Mediterraneodi forme di vita tipiche deimari freddi del nord come

l’Artica Islandica o dei maricaldi come lo Strombus Bubo-nius. I materiali di origine vul-canica, come tufo e p ozzola-na, furono la conseguenzadelle più violente esplosionidel Vulcano Laziale che pre-senta a Lavinium una partemarginale del suo vasto ap-parato. La parte marina di La-vinium, andando verso il ma-re, è costituita da cordoni didune litoranee parallele allacosta. Le dune più antiche elontane dal mare sono forma-te da sabbie rossicce, mentrequelle più recenti e vicine allaspiaggia si trovano dove si èsviluppata la città balneare di

PRATICA di MARELa cava di argille del Pliocene(5 milioni di anni fà) alle pendicidel borgo medioevale

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PRATICA di MARELa cava Tacconi con i fossili dell’antico mare che copriva

la zone nel Pliocene

Torvaianica o si possono ve-dere a Capocotta.Il territorio laurentino, all’al-tezza di Lavinium/Pratica diMare sprofondava di decinee decine di metri nello spa-zio di un chilometro. Le du-ne antiche e recenti delimi-tavano una pianura litora-nea con una grande laguna,paludi, acquitrini e corsid’acqua in mezzo ad una fo-resta umida che faceva par-

te della vasta selva laurenti-na descritta da Virgilio nel-l’Eneide. Era un ambiente,tra terra e mare, vario, multi-forme, indefinito, infero ebrulicante di ogni forma di vi-ta vegetale ed animale. Inquesto scenario naturale, na-turalmente collegato al terri-torio ardeatino, il popolo del-la grande laguna costiera fe-ce l’esperienza, mitica e rea-le, dell’incontro con l’Altro.

Il RADON a POMEZIANel comune di Pomezia è stata accertata, con mappe di rischio, la pre-senza di gas Radon per la natura vulcanica del territorio con le sue fa-glie geologiche. Il gas Radon, secondo l'Organizzazione Mondiale dellaSanità, è la prima causa di tumori al polmone dopo il fumo. Il radon, co-nosciuto anche come “silent killer”, è un pericolo per la salute quandosi concentra negli ambienti chiusi costruiti in zone a rischio. La primaforma di prevenzione è l'informazione, cioè la conoscenza del territoriodove si vive. La Comunità Europea, lo Stato Italiano, la Regione Laziohanno approvato raccomandazioni, direttive, leggi che stabiliscono tut-to quello che può e deve essere fatto per non ammalarsi respirando gasradon: misurazioni obbligatorie nei luoghi di lavoro come le scuole, nuo-vi regolamenti edilizi, modalità di costruzione degli edifici, opere di bo-nifica nelle abitazioni già costruite

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aspetti fondamentali che simanifestano, in superficie,con piante diverse che coesi-stono nello stesso ambiente.Nella parte pianeggiante, incorrispondenza di depositisedimentari come sabbie esabbie argillose, con presen-za di acqua, si trova un boscocon piante di querce (rovere,cerro), carpini e frassini. Lecondizioni climatiche, deter-minate dalla presenza di ac-que di falda superficiale,consentono lo sviluppo diuna vegetazione non medi-terranea nonostante che ilclima sia decisamente medi-terraneo. La vegetazione haun aspetto più mediterraneo,con la presenza di piante diquercia come lecci e sughe-

La PIANTA dell’ALLOROLa natura del luogo può esse-re identificata con una piantada considerare come unostraordinario monumento ve-getale: l’alloro o laurus nobilis.La pianta de ll’alloro, nelmondo antico, identificava ilterritorio ed il popolo deiLaurenti di Lavinium (Lauren-tes Lavinates).Il territorio laurentino del-l’antica Lavinium, intorno aPratica di Mare, ha ancora lecaratteristiche ambientalidell’antico paesaggio vege-tale. Il luogo conserva le te-stimonianze naturali di comeera la foresta che in passatocircondava la città antica. Inbase alla natura del luogo sipossono distinguere due

I pensieri dell’alloro

“Tutti li giorni, ammalapena er sole

cala de’ dietro a le montagne d’oro,

le piante se confideno fra loro

un sacco de pensieri e de parole.

L’alloro dice: “Poveretti noi!

Dove so’ annati queli tempi belli

quanno servivo a incoronà l’eroi?

Ormai lavoro pe’ li fegatelli:

o ar più per intreccià quarche corona

su la fronte sudata d’un podista c’ha

vinto er premio de la Maratona!

Oggi tutta la stima è per chi ariva

prima...”.

TrilussaLi pensieri dell’arberi

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SCHEMA GEOLOGICO CON IN-DICAZIONE DELLE PIANTE DELTERRITORIO .

re, dove ci sono terreni vulca-nici immediatamente a mon-te della zona pianeggiante.Le condizioni ambientali de-terminate sia dal grado diumidità del terreno che dallaposizione topografica del luo-go permettono ad una speciebotanica come il laurus nobi-lis di affermarsi decisamentein questa nicchia ecologicacostituendo un vero e propriolaureto con esemplari di no-tevoli dimensioni fino a diecimetri di altezza. L’Alloro, per i botanici, è unaspecie vegetale sopravvissu-ta alle glaciazioni dell’er aquaternaria. E’ una testimo-nianza di antiche foreste,proprie di un clima caldo, co-stituite da piante con fogliesempreverdi e coriacee (lau-

rofille) che oggi sopravvivonosolo nelle isole Canarie eparzialmente nel bacino delMediterraneo. Alloro, in lati-no, si scrive laurus, un nomedi genere femminile puravendo la desinenza (laur us)maschile.Laurenton era anche il nomegreco della costa dove, secon-do la leggenda, sbarcò Enea,ma prima ancora, Saturno.

POMEZIALa Sughera (quercus suber)della piazza sul colle dove fufondata Pomezia indica la natura del luogo

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La TRADIZIONE LOCALE“Il vecchio Saturno e l'immagine di Giano bifrontestavano all'ingresso con gli altri re delle origini.”

VirgilioEneide, libro VII, versi 180-181

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25IL MITOdel LUOGO

L’origine

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L’ETÀ DELL’ORO

“In questa foresta primordialevivevano i FAUNI, le NINFE egli uomini nati dalla stirpe de-gli alberi di quercia. Non col-tivavano la terra e non aveva-no ancora aggiogato i buoi;andavano a caccia e mangia-vano erbe e frutta. In questaterra giunse dall’Olimpo Sa-turno, scacciato con la vio-lenza delle armi da Giove: quivisse in esilio dopo aver per-duto il suo regno. Saturno riu-nì le genti e stabilì le regolecomuni. Fu Saturno a chiama-re Latium questa terra perchéin questi luoghi ospitali avevatrovato, da latitante, un sicurorifugio dove nascondersi. Ilregno di Saturno fu l’età del-l’oro per il Lazio e tutti viveva-no in pace, ma in seguito nac-quero le discordie e le guerreper il desiderio di avere.

Virgilio(Eneide, libro VIII, 307-327)

SATURNO, il SaggioVirgilio, nell’Eneide, raccon-ta i miti originali dei Lauren-ti radicati nelle più antichetradizioni latine, italich e emediterranee. La mitologialaurentina comincia con Sa-turno, ma presuppone Giano,la Porta, il fantastico Media-tore del territorio.Giano bifronte, la primordia-le divinità del Lazio antico, èuna metafora del territorio. ILaurenti di Lavinium, come iRutuli di Ardea, assimilava-no la linea dell’orizzonte o lariva del mare a soglie di por-te cosmiche e naturali chemettevano in comunicazioneil cielo con la terra, la terracon il mare.Saturno, il mitico progenito-re dei re laurentini (Pico,Fauno, Latino), arrivò dalmare: era uno straniero, unprofugo, che cercava un luo-go dove rifugiarsi per sfuggi-re alle armi di Giove che loperseguitava. La popolazio-ne indigena lo accolse nelnostro territorio dove Satur-no si nascose ( latuit) dandocosì origine al nome Lazio(Latium).Il vecchio e saggio Saturnofu un Grande Educatore cheriuscì “ad instillare nellementi ancora selvagge degliIndigeni una concezione piùelevata di vita per il bene co-mune” (OGR, 3, 3). Con l’arri-vo di Saturno nel Lazio co-

minciò la mitica età dell’oroquando non c’era bisogno dileggi per essere giusti e laproprietà era comune. Gli in-segnamenti di Saturno nonfurono mai dimenticati anchequando lo Straniero, venutoda lontano, scomparve al-l’improvviso.“Si racconta chegli uomini di quel tempoquando arrivavano straniericapaci di aiutarli a viveremeglio, con i loro consigli ela loro sapienza, credevanoche fossero nati dal Cielo edalla Terra. Anche Saturno fudetto figlio del Cielo e dellaTerra e la sua memoria futramandata alle generazionifuture” (OGR,1,2)Saturno si ricordava e si fe-steggiava a dicembre in oc-casione dell’inversione co-smica del Sole (Solstizio d’in-verno) con scambi di doni edi ruoli sociali che mettevanosottosopra l’ordinamento ge-rarchico della società. I riti ditrasgressione rievocavano iltempo più antico del Lazioquando si riteneva che l’ordi-namento sociale fosse fon-dato sui diritti di ospitalità edi reciprocità.La leggenda racconta cheSaturno, il Dio nascosto, spa-rì all’improvviso rendendosiinvisibile. Ogni ricerca fu inu-tile e gli Indigeni, per onora-re la sua memoria, chiamaro-no Saturnia la terra e la gen-te del Lazio.

IL SIMBOLO DI SATURNO

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PICO, il PicchioPico, figlio di Saturno, era unre dei Laurenti. Era bellissi-mo: tutte le Ninfe dei fiumi.le Driadi e le Amadriadi deiboschi laurentini sospiravanoper lui. Pico, però, amava so-lo Canente, una ninfa tantobella quanto brava a cantare.Con il suo canto faceva fre-mere gli a lberi, smuoveva isassi, ammansiva le bestieferoci, tratteneva l’acqua deifiumi ed incantava gli uccelliin aria. “Un giorno, mentre Canentecantava con la sua dolcissi-ma voce, Pico uscì dalla sua

casa per andare a caccia dicinghiali nelle campagnelaurentine. Cavalcava un fo-coso cavallo ed indo ssavaun mantello di porpora fer-mato da un med aglioned’oro. In quelle selve si tro-vava per caso anche Circe,la figlia del Sole, che stavaraccogliendo nuove erbe perle sue pozioni magiche. Da dietro un cespuglio videil re Pico e rimase sbalordi-ta. Le erbe che aveva raccol-to le caddero di mano e sen-tì un fre mito caldo, comeuna vampata, per tutto ilcorpo. Voleva uscire alloscoperto per dire al giovanePico quanto l o desiderava,ma il cavallo del re corse viacon la gente che lo seguiva.Circe, indispettita, con il po-tere delle sue erbe e dellesue formule magiche , creòun cinghiale fantasma chepassò velocemente davantial re. Pico lo vide e lo rincor-se, ma il cinghiale era spari-to in un fitto bosco dove ilcavallo non poteva entrare.Il re laurentino scese da ca-vallo e si lanciò all’insegui-mento di quella preda cheera solo un’ombra, un’appa-renza, una vana illusione.Circe, intanto, recitava paro-le misteriose, formule infer-

IL PICCHIO LAURENTINO“Il re Pico, domatore di cavalli,fu trasformato in uccello dalla MagaCirce con la bacchetta d’oro.”

Virgilio(Eneide, libro VII, 189-191)

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nali, nenie segrete che ave-vano il potere di oscurare ilsole. Venne la notte ed icompagni del re si perseronel bosco. Circe, finalmente, si trovòsola con Pico: “Bellissimogiovane, i tuoi occhi mi han-no affascinata. Ti supplico,anche se sono una dea, diaccettare come suocero ilSole che pe netra ovunquecon il suo sguardo. T i prego,non mi respingere”. Pico ri-sponde: “Chiunque tu sia,non sono tuo. Appartengo adun’altra donna e spero di es-serlo per t utta la vita. Ca-nente è il mio amore”. Circeprovò ancora a commuovereil re la urentino, ma inutil-mente. La figlia del Sole, al-lora, pronunciò le sue male-dizioni: “Me la pagherai. Ca-nente non ti rivedrà mai più.Imparerai a tue spese cosapuò fare u na donna, unadonna offesa ed una donnainnamorata ed io sono don-na, offesa ed innamorata”.Circe si girò due volte ad oc-cidente e due volte ad orien-te, toccò tre volte Pico con labacchetta magica, recitò trevolte una formula segreta. Ilgiovane re fuggì via, ma ave-va la sensazion e di esserepiù veloce del solito. Si vide

ricoperto di penne, trasfor-mato in uccello. Un uccelloche abita nei boschi del Lazioe sforacchia, con il suo durobecco, le selvatiche querce.Le sue penne hanno il coloredel mantello purpureo e lepiume del collo sono giallecome il medaglione d’oro. DiPico rimane solo una cosa: ilnome Picchio (Picus)” (Ovi-dio, Met., XIV, 320-395).Canente attese invano il ma-rito. Tutto il popolo dei Lau-renti, di notte, andò nel laselva per cercare, alla lucedelle torce, il re scomparso.Canente pianse, si strappò icapelli e cominciò a vagareper le campagn e del Lazio.Dopo sei giorni di ricerche,senza mangiare e senza dor-mire, si accasciò sulle rive diun fiume. Il suo pianto di do-lore svanì nell ’aria come ilsuono di una canna suonatadal vento. Il picchio, associa-to alle quercia, era conside-rato un uccello profetico chemetteva in co municazione,come il fulmine, il cielo e laterra.

PICO e CIRCELa maga Circe trasforma il Re Picoin un picchio

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Il PICCHIO visto da VICINO

Il PICCHIO LAURENTINO (Picus viridis), lungo circa 30-35 cm, ha il vertice del capo rosso con lepiumette gialle sotto la gola. Il maschio si distingue dalla femmina perché ha una macchia ros-sa all'interno del nero sulle guance. Ha un becco robusto che usa come un compressore perscavare buchi nei tronchi degli alberi. E' dotato di un ammortizzatore naturale che isola il cer-vello durante i lavori di scavo. Ha una lingua lunga e appiccicosa con piccoli arpioni in punta.Il volo del picchio laurentino è ondulato con fasi alternate di volo battuto seguito dal volo adali chiuse. Il verso del picchio laurentino è la risata della maga Circe prima della trasformazio-ne di Pico. Il martellamento ed il tambureggiamento sono le modalità per procurarsi il cibo (lar-ve, formiche ed altri insetti) o per corteggiare la femmina. Il picchio si riproduce da metà apri-le a metà maggio. La femmina depone da 5 a 7 uova e dopo circa 15-20 giorni nascono i picco-li. Il picchio laurentino è una specie protetta e non emigra. La sua presenza in un territorio è in-dice di equilibrio biologico nel mondo della natura.

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non separava ancora l’uma-nità dall’animalità. Era un es-sere imprevedibile che si po-teva manifestare come lupo,capro e serpente, ma anchecome incubo, istinto, panico,saggezza e follia. La compa-gna di Fauno si identificavacon la Bona Dea, la più mi-steriosa divinità latina che sifesteggiava il primo maggiocon rituali segreti riservatialle donne.

FAUNO, l’oracoloFauno, il figlio di Pico, era laVoce della Foresta che si ma-nifestava dove la faglia geo-logica del territorio laurenti-no rivelava l’esistenza delmondo infero: Albunea. Fau-no era detto anche Silvanused i Rutuli di Ardea lo vene-ravano come Inuus. La naturadi Fauno, come quella di Pi-co, era ambigua. Fauno ap-parteneva ad un mondo che

SANTA PALOMBA La grotta di Fauno

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31LATINO, l’IndigesVirgilio racconta che quandoEnea sbarcò nel Lazio il re deiLaurenti era Latino, il figliodel fatidico Fauno e della nin-fa Marica. I Troiani che Eneamandò ad esplorare il territo-rio arrivarono nella miticaLaurentum.Il primo incontro tra Troiani eLaurenti presenta, in sotto-fondo, le originarie ragioni diun contrasto irriducibile tra ilmito della Forza ( Giove) equello della Giustizia (Satur-no). Il re Latino accoglie gli in-viati di Enea dicendo “siamola gente di Saturno che ha unsenso innato della giustizia”(Eneide, VII, 202-204), mentrei Troiani si vantano di discen-dere da Giove ignorando diessere nella terra che avevaaccolto e nascosto Saturno.La tradizione, nelle sue ver-sioni locali, racconta comeuna terribile tragedia per il reLatino e la casa regnante diLaurentum l’arrivo di Eneanel Lazio. Nella tradizio nemitica locale, vista dalla par-te dei Laurenti, c’è il raccon-to di come il re Latino fece laprima conoscenza di Enea edei Troiani, violenti ed ‘ag-gressivi.“Latino, in primo luogo, si la-mentava per il fatto che i

Troiani, senza preavviso esenza motivo, avevano sca-tenato la Guerra. Voleva sa-pere da Enea perché sac-cheggiava il territorio doveera sbarcato.Voleva fargli capire che chiè attaccato ha il diritto di di-fendersi dall’aggressore.Voleva sapere da Enea per-ché, se desiderava cose ra-gionevoli, aveva deciso diprendersi con la violenzaquello che poteva ottenerepacificamente con il con-senso degli abitanti del luo-go. Enea, con le sue azionicontrarie al diritto universa-le della giustizia, disonoravase stesso e la sua gente”(Dionisio di Alicarnasso,Antichità romane, libro I, 58)Enea, per i Laurenti, era un“predone”, come scrive V ir-gilio nell’Eneide ( libro XI,verso 484), quando le donnedi Laurentum implorano ladea Minerva di proteggerela città che il capo dei Troia-ni voleva sradicare ed an-nientare. Enea era uno stra-niero, un profugo come Sa-turno, ma arrivò nel Laziocon le armi, a capo di unesercito su trenta navi, perprendersi con la violenzaquella terra come se fossela “sua” terra promessa.

LA GENTE DI SATURNO“Venite, entrate come nostriospiti e non ignorate i Latini: sia-mo gente di Saturno che non habisogno di leggi per essere giu-sta spontaneamente. Virgilio (Eneide, VII, 202-204)

LA RADICE DEL POTERELo scettro dei Re Latini era la radicedi un albero per significare che ilvero potere era quello della naturache genera, alimenta e sostiena laVita

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figlia Lavinia, ma i compro-messi sono inutili quando ilmito è costretto a prendereatto di una realtà storica lo-cale che ancora oggi non puòessere detta, raccontata,spiegata, ma solo mitica-mente immaginata.Lavinia, la giovane principes-sa dei Laurenti, era l’unica fi-glia del re Latino e della regi-na Amata. Virgilio, nell’Enei-de, ci descrive il suo aspetto:aveva lunghi capelli, occhigraziosi e belli, una carnagio-ne chiara come l’avorio. Pri-ma dell’arrivo di Enea, il pa-

Il vecchio re Latino, che vive-va da tempo in pace con i po-poli vicini, “sapeva” chi era-no veramente i “Troiani”(cioè i futuri “Romani”) e aquale dio si ispiravano. Il pa-dre Fauno, con la sua profe-zia, lo aveva avvertito che lostato delle cose nel Lazio eradestinato, con il sangue, acambiare. Il re Latino tentò diallearsi con Ene a, di fareconcessioni ai Troiani per ri-sparmiare alla sua genteguerre, lutti e sofferenze. Eraanche disposto a dare in ma-trimonio ad Enea la sua unica

LAVINIA e TURNOLavinia e Turno, nell'Eneide, sono due fidanzati adolescenti: Lavinia ha 15 anni, T urno 16 o 17 anni. L'interpretazioneideologica dell'Eneide presenta Turno, il giovane re dei Rutuli come un violento aggressore di Enea. T urno, in realtà,è unpatriota che difende la sua terra dall'invasore Enea. Enea aggredisce e vuole sottomettere gli indigeni del Lazio (Rutuli,Laurenti, ecc) sbarcando con un esercito su trenta navi. V irgilio racconta la lotta e la resistenza degli Indigeni che si di-fendono con ogni mezzo. Una lettura filologica dell'Eneide svela il vero volto di Enea, feroce criminaledi guerra e mo-dello mitico di tanti tiranni, despoti e dittatori che hanno insanguinato la storia dell'Umanità

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dre l’aveva promessa in ma-trimonio al bellissimo Turno,il principe dei Rutuli. La regi-na Amata, che desideravatanto queste nozze, era riu-scita a convincere il marito.Lavinia e Turno erano moltogiovani: la prima non avevaancora quindici anni ed il se-condo era poco più di un ado-lescente. Virgilio ci fa capireche i due fidanzati si amava-no: quando Turno fissa Lavi-nia “arde d’amore” (En. XII,

70-71), mentre la vergine di-venta tutta rossa. La reginaAmata preferisce suicidarsi,impiccandosi, piuttosto cheaccettare un genero comeEnea destinato ad ereditareil patrimonio della figli a: ilregno dei Laurenti. Enea uc-cise Turno e sposò Lavinia.Non fu un matrimonio felice.Ebbero un solo f iglio cheEnea non vide mai perchénacque dopo la sua morte.Lavinia lo partorì e lo allevò

LA REGINA dei LAURENTIAmata, la Regina dei Laurenti, sisuicidò impiccandosi quando laCittà di Laurentum stava per es-

sere presa da Enea

IL FATALISTA ENEA

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sua scomparsa cercarono illoro re per terra e per marefinché lo trovarono sospesoin aria ad un laccio” (J. Car-copino)Ogni anno, a Lavinium, si ce-lebrava una antichissima fe-sta per ricordare il re Latino.Il giorno della festa i Lauren-ti facevano finta di cercare ilre in città e nel bosco. Dopoaverlo cercato dappertutto interra, lo cercavano in aria do-ve avevano appeso, ai ramidegli alberi, una miriade difantocci, bambole e bambo-lotti che oscillavano al vento.Gli Oscilla venivano colpiti,di testa, saltando ritualmen-te. L’aria, come l’acqua ed ilfuoco, era considerata unelemento di purificazione. Il re Latino veniva identifica-to con la luce del Sole che siriteneva formato da un’ariapurissima: l’etere. Nel corsodel tempo gli oscilla divenne-ro altalene per divertire ibambini laurentini durante lafesta che commemor ava lamorte di un re venerato daiLaurenti come Pater Indigese dai Latini come Iuppiter In-diges o Latiar, l’antenato mi-tico primordiale della stirpelatina.

nella selva laure ntina perpaura che il primo figlio diEnea (Ascanio) lo uccidesseper eliminare il futuro eredeal trono. Lavinia lo chiamòLatino Silvio. Le leggende locali ricordanoanche la fine d el re Latinoche sparì all’improvviso co-me Saturno e Pico. “Quando iLaurenti si accorsero della

LA NASCITA di ENEAVirgilio, nell'Eneide, ci pre-senta una acuta analisi psi-cologica della “personalitàEnea”, il fatalista. Enea fu abbandonato dallamadre “Venere” subito dopola nascita e quando, nel pri-mo libro dell'Eneide, incontrain un bosco la madre sotto lespoglie di una giovane donnale dice queste parole:“Mamma, perché sei cosìcrudele e mi inganni sempre? Perché non posso prendertiper mano, dirti e sentire da tecose vere?”

VirgilioEneide, libro I, 407-409

Giovanbattista Tiepolo

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35ENEA UCCIDE TURNO

L’INDIGES(to) ENEASi parla di Enea come sefosse un personaggio stori-co: in realtà non è mai esi-stito. Enea fu creato dallafantasia del grande poetache chiamiamo Omero. Ilnome di Enea significa “ lagrande angoscia”, il senti-mento che provò la dea V e-nere quando si r ese contoche era stata messa incintada un mortale (Anchise).Enea interpreta la condizio-ne dell’uomo che ha unamissione da compiere. E’convinto che questa missio-ne gli è stata affidata dalDestino o Fato e vive secon-do questa logica missiona-ria. Enea si fa interpretedella volontà degli dei (“Dioè con noi”) giustificando co-sì tutte le sue azioni, pubbli-

che e private, anche le piùvergognose, ignobili e cru-deli. Dissimula in voltoquello che nasconde nelcuore, ma di fronte ad unadonna come la regina Dido-ne viene smaschera to emesso a nudo. La relazione tra Enea e La-vinium rivela, sotto la su-perficie, un contrasto insa-nabile. Enea “fondò” Lavi-nium, ma contro la sua vo-lontà. Appena sbarcato sul-la costa laurentina, fu pre-so dallo sconforto: il postonon gli piaceva perché eratroppo arido e sabbioso.Era depresso, non mangia-va più. Voleva ripartire incerca di una terra migliore.Furono i Penati, le divinitàlocali, ad ordinargli di fer-marsi in quel luogo che sa-rebbe stato anche il suo se-polcro dopo essere scom-parso, annegando, in unfiume. I Romani credevano(e facevano cre dere) chefosse stato “assunto in cie-lo” come Romolo e lo iden-tificarono a Lavinium comeIndiges, il vero fond atoredella città (Latino).

L’ARRIVO di ENEA«Dappertutto c’erano villaggiche stavano bruciando, e così fi-nalmente ho capito. Quelli cheerano arrivati dal mare non era-no una banda di predoni, comece n’erano già state in passato.Erano centinaia, forse addiritturamigliaia: un intero popolo di soliuomini, e volevano la nostra ter-ra e le nostre donne»

S. Vassalli,

Un infinito numero

di Luca Giordano

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Il FATO di ENEA“Sradicherò questa città”

VirgilioEneide, libro XII, verso 569

NASCONDERE“Come un nevrotico regressivola città doveva nascondere a se stessa certi aspetti della realtà per poter funzionare”

Philip DickI Simulacri

SRADICAMENTOLo sradicamento è di gran lunga la più pericolosa malattia delle società umane, perché si moltiplica da sola. Gente realmente sradicata non ha che due comportamenti possibili: o cadere in unʼinerzia dellʼanima quasi pari alla morte (come la maggior parte degli schiavi dellʼImpero romano), o gettarsi in unʼattivitàche tende sempre a sradicare, spesso con metodi violentissimi, coloro che non lo sono ancora o che lo sono solo in parte. Chi è sradicato sradica.

Simone Weil

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Ideologia e Realtà

LA RESISTENZA DEL PUGILEIl grande mosaico, in bianco e nero, che si trova nelle terme imperiali dell'antica Lavinium, è un simbolo della città ab-bandonata dopo ogni scavo archeologico. Il pugile continua a combattere contro il degrado culturale ed ambientale chediventa irreversibile quando il degrado diventa anche mentale.

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Da LAURENTUM a LAVINIUMLavinium non ha conservato come Ardea il suo nome origina-rio. Virgilio racconta che quando i T roiani di Enea sbarcarononel Lazio scoprirono l’esistenza di una città in mezzo alla fore-sta: Laurentum. Ferdinando Castagnoli, alla fine del XX secolo,identificò Laurentum con Lavinium/Pratica di mare in seguito ascoperte archeologiche che hanno riportato alla luce la cittàdei Laurenti. Gli abitanti di Lavinium erano con osciuti con ildoppio nome di “ Laurentes Lavinates dove un elemento desi-gna l’appartenenza etnica, l’altro la comunità organizzata”(Massimo Pallottino).Il popolo dei Laurenti di Lavinium ha una lunga storia che co-mincia nell’età del bronzo (XV-XIV secolo a. C.) corrispondenteal tempo mitico di Giano e di Saturno. Le testimonianze ar-cheologiche trovate intorno alle due rocche, piccola e grande,di Lavinium confermano una continuità di vita del centro stori-co che collega la formazione della città laurentina alle culturepreistoriche dell’Italia antica ed, in particolare, alla civiltà ap-penninica.

PRATICA di MAREPratica di Mare, l’antica Laviniumcon le statue votive del Santuariodi Minerva.

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La città prende forma nell’età del ferro (VIII-VII secolo a. C.)quando l’insediamento locale non è più un semplice aggrega-to di capanne sparse sul territorio, ma un complesso sistemadi relazioni sociali ( civitas). La città si chiude e si fortifica, inalto, su pianori con ripide pareti di tufo su basi di argilla, men-tre si apre, in basso, nella vallate verso il mare dove la grandelaguna costiera fa da tramite con il mondo mediterraneo.Il paesaggio costiero era molto diverso da quello attuale conTorvaianica e Martin Pescatore. Il popolo della grande laguna,da Lavinium ad Ardea, viveva di caccia, di pesca, ma anche ditutte le attività legate alla lavorazione del sale. Il pericolo co-stante nella storia di una città marinara coma Lavinium furonoi predoni del mare che nel corso dei secoli, dal mitico Enea al-lo storico Hassan Agà, le popolazioni locali dovettero affronta-re. Le relazioni che i Laurenti stabilirono con altri popoli medi-terranei non erano fondate sulla forza e sulla violenza, ma surapporti di collaborazione e di scambi che per essere attuatiavevano bisogno di rituali di riconoscimento, procedure e stru-menti diplomatici. Non è un caso se tra i Laurenti troviamo iprimi mediatori di pace dell’Italia antica (i feziali) che avevano

LAVINIUM: LE DUE ROCCHELa prima forma di insediamentoumano, a Lavinium, fu suggeritodalla natura del luogo sul collecon le due rocche (piccola egrande) che dominavano il terri-torio sottostante con numerosesorgenti d'acqua.

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il compito le risolvere le controversie con le parole prima di fa-re ricorso alle armi. C’era un codice non scritto che tutti dove-vano rispettare: il diritto delle genti (ius gentium). Quando i Ro-mani, nell’VIII secolo a. C., maltrattarono, derubarono, aggre-dirono ed uccisero gli ambasciatori di Lavinium, i Laurenti nonesitarono, dopo aver chiesto inutilmente giustizia, ad uccidereil re di Roma Tito Tazio che si era reso responsabile di criminicontro il diritto delle genti.Lo sviluppo economico e culturale di Lavinium, in età orienta-lizzante ed arcaica (VIII-VI secolo a. C.) fu la conseguenza di unintenso fenomeno di scambi commerciali, di accoglimento edintegrazione nella comunità locale di genti diverse (Latini, Etru-schi, Fenici, Greci). Lavinium, con i suoi santuari di frontiera, fuuno dei luoghi della latinità dove la cultura del margine era unmodo di vivere e di convivere. I Laurenti definirono la loro iden-tità (ciò che rimane stabile nel tempo) nel rapporto continuo edessenziale con genti diverse.

LAVINIUM: la FORMA della CITTA'La città di Lavinium si estendeva per27 ettari ed era racchiusa da oltretre chilometri di fortificazioni.

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Questi contatti di frontiera, fondati sulla sicurezza delle perso-ne e la certezza dello scambio, erano mediati da culti e divini-tà che si adattavano alla mentalità degli indigeni e degli stra-nieri. Un culto di riferimento comune fu la grande dea mediter-ranea Afrodite, divinità marina che si identifica con Venere. Gliospiti dei santuari laurentini erano marinai, mercanti, viaggia-tori, avventurieri, ambasciatori, delegati politici, rappresentan-ti di città che portavano merci, ambasciate e novità di mondilontani trasmettendo così informazioni, leggende, tecnologie emodi di vita.La conquista romana del Lazio, nel IV secolo a. C., pose fine al-l’apertura mediterranea dei Laurenti di Lavinium che furonoisolati dagli altri popoli latini. I conquistatori romani sciolserola Lega delle città latine, che comprendeva anche Lavinium,per impedire qualsiasi forma di relazioni sociali, commerciali epolitiche. Il destino di ogni città latina fu discusso caso per ca-so: alcune furono duramente punite come Anzio e V elletri, adaltre fu confiscato una parte del territorio. I Romani riservaro-no a Lavinium un trattamento speciale perché “ i Laurenti nonsi erano ribellati. Con i Laurenti fu deciso di rinnovare il tratta-to di alleanza che da allora viene rinnovato ogni anno diecigiorni dopo le ferie latine” (Tito Livio, VIII, 11).La verità è che i Laurenti di Lavinium si erano ribellati, ma nonavevano fatto in tempo a schierare le loro forze armate conquelle della Lega latina prima della battaglia contro i Romani.L’esercito laurentino si era appena messo in marcia al coman-do del pretore Milionio, quando giunse la notizia che i Latinierano stati sconfitti. I Laurenti si aspettavano una dura punizio-ne che fu terribile, ma non immediata. Lavinium aveva il pre-stigio religioso di una Metropoli o Città Madre che i Romanivolevano sfruttare per giustificare e legittimare il loro dominiosui Latini. Lavinium ebbe uno statuto speciale che la legava a Roma co-me la sede ufficiale dei Penati Pubblici della Stato e la leggen-da di Enea, utilizzata dai Laurenti come strumento di integra-zione sociale e culturale, divenne un sistema ideologico, parti-colarmente efficace, per giustificare l’imperialismo romano. Una vecchia tomba del VII secolo a. C., nella necropoli lauren-

LAVINIUM e ARDEALavinium ed Ardea erano cittàgemelle collegate, nell'anti-chità, da una grande lagunacostiera con un porto inter-nazionale (Castrum Inui) nel ter-ritorio della città dei Rutuli.

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43tina, fu ristrutturata e trasformata in un monumento funebredai Romani, che avevano nazionalizzato i culti di Lavinium,espropriando l’Indiges locale: ancora oggi è conosciuto comeHeroon di Enea.“L’analisi strutturale del mito di Enea, così come è attestato aLavinium, e di quello di Latino, altra figura leggendaria dellacittà di Laurentum, mostra, con le numerose similitudini chemette in luce, che l’uno è venuto a rimpiazz are l’altro inun’epoca che si può fissare al IV secolo a. C. quando Roma af-ferma il suo dominio sul Lazio. Così i miti vivono e si trasfor-mano, lungo i secoli, secondo le circostanze e gli interessi dicoloro che li utilizzano” (A. Grandazzi). La via Laurentina che daRoma portava a Lavinium fu assunta come il principio idealedell’imperialismo romano che interpretava la conquista del La-zio, cioè la sua originaria espansione, come un movimento di-retto da Roma a Lavinium.I Romani fecero realmente a Lavinium quello che Enea volevafare a Laurentum: sradicare la città per svuotarla, dall’interno,di tutti i suoi valori ancestrali, religiosi, culturali. L’opera di sra-dicamento non fu portata a termine per l’aiuto e la lunga resi-stenza dei vicini Rutuli, i fratelli “ consanguinei” dei Laurenti. IRutuli di Ardea si presero cura di Lavinium, dove c’era un san-tuario federale dei popoli latini, perpetuando una memorabiletradizione di resistenza locale all’imperialismo romano che Vir-gilio ci racconta negli ultimi sei libri dell’Eneide.I Romani furono costretti a mettere le “rad ici” a Laviniumquando non riuscirono a trasferire a Roma anche le divinità an-cestrali dei Laurenti: i misteriosi Penati. Lavinium fu ritenutadai Romani “la prima città di stirpe romana nel Lazio: sono qui,infatti, i nostri dei Penati” (Varrone, l.lat., 5,144). I Penati di La-vinium, secondo i Romani, erano quelli di T roia che Enea ave-va portato nel Lazio. Enea, come mitico progenitore della stir-pe romana, giustificava l’esproprio dell’identità e della culturalocale. I consoli romani, ricevuta l’investitura dal popolo, dove-vano andare in pellegrinaggio a Lavinium, la loro “città santa”,per compiere, in nome dello Stato, un sacrificio alle divinità lo-cali e primordiali dei Penati onorati insieme a Vesta, la dea checustodiva l’originario focolare della patria latina.

RUTULI, LAURENTI e SICANII popoli della costa latina, prima del-la conquista romana del Lazio (IV se-colo a. C.) erano i Rutuli di Ardea, iLaurenti di Lavinium (oggi Pratica diMare) e i Sicani di Ficana (oggi Aci-lia): questi popoli sono ricordati daVirgilio nell'Eneide come popolazio-ni indigene con antiche tradizioniche affondano le loro radici nelmondo mediterraneo.

LE ORIGINI DEI ROMANI“Ogni individuo, come ogni popolo,ha bisogno di conoscere le sue ori-gini e quando non le conosce concertezza, se le inventa”

Jacques Poucet

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Il solenne sacrificio dei consoli a Lavinium era il primo atto re-ligioso che legittimava il comando militare ( imperium) dei su-premi magistrati di Roma con il potere assoluto di vita e dimorte. All’imperium dei Romani si contrappose a lungo la li-bertas dei Latini, un altro modo di stare al mondo che corri-sponde al mito di Enea e di Turno.Lavinium, dominata dai Ro mani, fu condanna ta al destino diuna città fantasma con abitanti fittizi e virtuali. Il fascino reli-gioso di Lavinium fu tale che molte divinità laurentine furonotrapiantate a Roma nell’area del circo massimo tra il Palatinoe l’Aventino “per ricreare nell’area circense quell’atmosferache promanava dagli antichi santuari fuori le mura della cittàsacra, il segno di una cura sollecita tutt’altro che disinteressa-ta. La città di Lavinium veniva contemporaneamente svuotatadi quei valori religiosi che ne avevano costituito i fasti tra il VIed il IV secolo a.C. L’ultimo passo si compie agli inizi del II se-colo a.C., nel clima drammatico apertosi nel corso della secon-da guerra punica e preludente alla vicenda dei Baccanali, inun’Italia devastata da quasi quindici anni di guerra e nella tu-multuaria spinta di Roma verso l’oriente. Mentre lo strumentodi propaganda fondato sui miti delle origini si espande all’Egeoe all’Asia, una serie di dediche di templi romani sanziona la de-finitiva scomparsa di Lavinium come città” (Mario Torelli)Nel 190 a. C. i Laurenti sono i grandi assenti alla tradizionalefesta etnica dei Latini ( feriae latinae) sul monte albano, men-tre a chi visitava la città di Lavinium veniva “ mostrata, dai sa-cerdoti, la scrofa di Enea conservata sotto sale” (Varrone, de rerustica, II, 4,18). Lavinium, in età imperiale, era un luogo di parate, cerimonie esacre rappresentazioni: conservava formalmente le sue istitu-zioni (magistrature, senato, collegi sacerdotali), ma non c’erapiù una vita sociale. La città, costretta a restare immutabile eduguale a se stessa per essere meglio ricordata con il suo sa-crario di memorie, languì e si disfece. Una leggenda racconta-va che la città era stata abbandonata dai suoi abitanti, ma ungruppo di famiglie era tornato in patria per custodire gli dei Pe-nati che non volevano allontanarsi da Lavinium.

ROMA: ARA PACIS (I sec.a.C.)Enea sacrifica la scrofa Laurentina

LA SCROFA LAURENTINA

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45Lavinium continuava ad esistere, formalmente, come città per-ché Roma, ogni anno, dieci giorni dopo le ferie latine, dovevarinnovare il tradizionale patto sacro con il popolo dei Laurenti:i cittadini di Lavinium, però, non erano effettivi, ma finti, vir-tuali, onorari ed onorarie erano anche le cariche pubbliche co-me quella del pater patratus addetto a stipulare il trattato dialleanza con i Romani. Questa messa in scena, dal punto di vi-sta dei Romani, non era una finzione, ma un rito che doveva es-sere religiosamente osservato come condizione indispensabiledel regolare e giusto svolgimento delle cose dalle quali Romafaceva dipendere il suo futuro ed il suo potere imperiale.Gli ultimi testimoni della città laurentina, alla fine del I secoloa. C., furono il poeta latino V irgilio e lo storico greco Dionisiodi Alicarnasso. Il poeta raccontò il mito di Laurentum/Laviniumcome una metafora della storia vista dalla parte dei vinti, con-dannati a sparire senza lasciare traccia (i Laurenti, i Rutuli e glialtri popoli italici), mentre lo storico greco, nel suo libro di ar-cheologia romana, racconta la versione locale del mito di Eneadopo aver sentito gli ultimi abitanti del luogo. L ’eroe troiano,nei racconti della tradizione locale, non era venuto in pace co-me Saturno: era essenzialmente uno sradicato che sradica, conuna brutta storia da nascondere (era il traditore di T roia).“La leggenda del tradimento di Enea, pur essendo secondarianel mondo antico, aveva una forte carica eversiva perché eralegata ad un mondo di vinti, tenace e dura a morire. Persa lasua ragion d’essere, annullata la sua carica eversiva, la diceriainfamante tacerà definitivamente solo in età augustea quandodopo la vittoria su Cleopatra il mondo si troverà aggregato sot-to un unico padrone, Ottaviano Augusto, che saprà imbrigliar-lo entro le maglie ferree di una pace davvero livellatrice. Pacepriva di libertà, se non totalmente di ideali, che inesorabilmen-te vanifica ogni voce di dissenso”. (L. Braccesi)

Il POETA VIRGILIO

ENEIDE di VIRGILIOL’Eneide di Virgilio, divisa indodici libri, è la Bibbia dellatradizione locale

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I Laurenti di Lavinium e i Rutuli di Ardea, racconta Virgilio nel-l'Eneide, erano popoli del luogo (autoctoni) e ritenevano diappartenere alla stirpe degli alberi. Stirpe, in latino stirps, erail ceppo, la parte della pianta vicina alle radici che genera ladiscendenza ed ancora oggi con la parola tronco si indicauna parte del corpo umano.L'albero sacro dei Laurenti, il popolo dell'alloro, si trovavanella parte più interna della reggia di Pico con le cento colon-ne. Il simbolismo dell'albero, nel poema virgiliano, è stretta-mente associato a quello della radice nello scettro del re La-tino. Radice, radix in latino, significa qualcosa che ha la forzadi rigenerarsi anche quando la pianta è stata distrutta o rasaal suolo. Il re Latino, tuttavia, è cosciente che ogni forma disradicamento può essere mortificante quando la radice è re-cisa in profondità dalla stirpe, dal ceppo e non potrà più di-ventare un albero (Eneide, libro XII, 206-211). Radice e origine, nell'immaginario latino, sono associati allanascita secondo natura. La posizione naturale di un neonatoera quella “con il capo in basso ed i piedi in alto come nella na-tura degli alberi. I piedi sono i rami, mentre la testa è il ceppo(stirpe) con le radici”. (Aulo Gellio, Notti attiche, XV, 16, 2-4) La nascita di Virgilio, in particolare, era legata a quella di unalbero che la madre aveva sognato poco prima di partorire:“La madre di Virgilio sognò un ramo di alloro che, caduto perterra, mise subito radici, foglie e fiori diventando un albero vi-goroso e maturo” (Elio Donato).L'immagine dell'alloro laurentino, nel settimo libro dell'Enei-de, richiama alla memoria uno sciame d'api (En., VII, 64-67)che rappresenta la città di Laurentum. Le relazioni simbolichetra l'albero e l'ape suggerisce a chi legge l'Eneide una pro-fonda riflessione sul significato di città.

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LA CITTA’ e la COLONIALo stretto legame della città e degli abitanti con l'albero (ar-bor, in latino) ci ricorda che all'origine degli insediamentiumani c'è il radicamento, una profonda relazione tra gli uo-mini ed il territorio. Gli antichi, infatti, distinguevano la cittàdalla colonia: “La città, propriamente detta, è quella fondatada gente nata nel luogo” (Isidoro, Etimologie, XV, 2,8).La città antica non si definiva in base alla parti costruite(urbs) o ai materiali (saxa), ma faceva riferimento alle vite dimolti che la costituivano e ne erano consapevoli. Un insedia-mento umano, senza una popolazione indigena, era una co-lonia. L'albero, con il suo radicamento nel territorio, era unsimbolo della città, cioè un complesso insieme di relazioniche può essere assimilato ad un organismo animale (adesempio un alveare) od umano (gli abitanti di una città). ILaurenti avevano intuito quello che la neurobiologia vegeta-le ha scoperto. Le radici delle piante sono un vero e propriocervello diffuso il cui funzionamento a rete ricorda quello diinternet, e che permette agli alberi non solo di comunicare,ma persino di avere una memoria che fa tesoro delle espe-rienze vissute. Comunicano con i vicini, si prendono cura deipiccoli, hanno un istinto materno (o paterno, per loro è lostesso). Sanno anche difendersi quando sono attaccate.

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Il VILLAGGIO E LA

SORGENTE SACRAUn’altura a forma di bastionedominava, nell’età del ferro,la sorgente di Lavinium chefino agli anni cinquanta for-niva l’acqua al paese. Sull’al-

LAVINIUML'area del villaggio preistorico

tura sono state trovate letracce di sette capanne (VIII-VII secolo a.C.) identificatedalla presenza di fori per ipali e dalle canalette per l’in-serzione delle pareti. Le ca-panne avevano for ma e di-mensioni diverse. La capan-na più grande, del VII secoloa.C., era ovale. C’era ancheuna capanna rettangolarecon lo spazio interno diviso intre parti. La porta delle ca-panne si trova va, in preva-lenza, sul lato corto rivolto asud ovest. La porta dellagrande capanna di Laviniumera protetta da una tettoiasostenuta da due pali. Il le-gno, l’argilla, il fango, il leta-me, le canne di pa lude, le

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frasche degli alberi costitui-vano il materiale di costruzio-ne. Accanto e sotto le capan-ne c’erano le tombe di bam-bini e ragazzi (3-12 anni). Lacostruzione delle capanne fucontemporanea all’istituzio-ne di un culto che durerà piùdi cinquecento anni. In duegrandi fosse furono deposita-te più di trentamila pentole dicoccio in miniatura. Le minu-scole pentole contenevano,probabilmente, un’offerta li-quida alla misteriosa divinitàdel luogo che doveva essereonorata con u n rigoroso ri-tuale da compiere nel rispet-to di una tradizione che si tra-mandava di ge nerazione ingenerazione.Nel VI secolo a.C. l’altura do-

ve c’erano le capanne fu uti-lizzata, in parte, come cavadi tufo per la costruzionedelle mura urbane. L’areadelle capanne fu spianata elasciata libera da costruzio-ni. mentre si perp etuaval’antico culto della venera-zione dell’acqua. Il culto del-le sorgenti, in origine, avevail significato di una presa dipossesso del territorio in re-lazione ai bisogni vitali di uninsediamento. La città arcai-ca si apriva e si sviluppavadalla parte del mare consantuari, abitazioni in mura-tura ed impianti artigianali,ma rimaneva legata alle tra-dizioni del suo preistoricopassato.

IL CULTO DELLA SORGENTENel deposito votivo del villaggiopreistorico di Lavinium sonostate trovate circa 30.000pentoline di coccio

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Le MURA di LAVINIUMVirgilio, nell’Eneide, ricordapiù volte “le mura promessedi Lavinium” (En., I,58) chedovevano custodire e difen-dere i simboli divini della

LA FORTIFICAZIONELa costruzione delle mura diLavinium nel fregio dellabasilica Emilia a Roma (I sec. a. C.)

continuità della stirpe: gli deiPenati. Le mura di Lavinium,alla luce del sole, sono statedistrutte dal tempo e dagliuomini. Solo la terra, fedelecustode della memoria, haconservato nel sottosuolo iresti di quelle imponenti for-tificazioni che circondavanoe difendevano la città deiLaurenti. La prima fortifica-zione della città, nel VII seco-lo a. C., e ra formata da unammasso di grosse scheggedi cappellaccio, un tufo chesi disgrega facilmente. Que-sto sistema difensivo non do-veva essere sicuro se in etàarcaica (VI secolo a. C.) lemura furono rifatte con bloc-

LAVINIUMLa porta delle mura con lastrada che conduceva ad Ardea

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51chi di tufo, sempre di cap-pellaccio, ma squadrati e si-stemati con cura p er darepiù solidità alla strutturadella cinta muraria. Adoriente della città è stata ri-trovata la fortificazione ar-caica con un bastione chedifendeva una porta. Dallaporta orientale usciva lastrada, con i basoli di selce,che conduceva ad Ardea. Lastrada incrociava la via por-tuense che collegava i collialbani con il mare: a sinistrasi andava nel bosco sacro diAlbunea dove c’era il croce-via delle fate latine e l’ora-colo di Fauno, a destra si ar-rivava nella valle fuori lemura dove c’era la necropolilaurentina con la piazza de-gli dei. Fuori le mura di Lavi-nium, nei pressi della porta,è stata trovata, nel 1993,una tomba a tumulo conquattro sarcofagi. La tombafu utilizzata dal VI al IV seco-lo a.C.

LAVINIUMLa porta fortificata (ricostruzione)

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IL FORO DI LAVINIUM:Una terrazza sul mare

Il foro di Lavinium era ed è unpunto panoramico straordi-nario per osservare il pae-saggio. Dall’antica piazza deiLaurenti si domina la pianurafino al mare dove il sole e laluna tramontano all’orizzon-te. E’ un luogo ideale per ve-dere la nascita della Lunache i sacerdoti lavinati invo-cavano come Iuno Calendarisall’inizio del ciclo mensile.Dall’alto del pianoro si vede-vano le navi che approdava-no a Laurenton: con questonome si identificava tutta lacosta tra Ardea e Laviniumcon la sua grande laguna. Nell’età del bronzo, l’a rea

LAVINIUML'area del foro laurentino

Il MONUMENTO della SCROFA“Nel foro di Lavinium sono esposte alpubblico le statue della scrofa equelle dei trenta porcellini. Il cada-vere della scrofa di Enea, conservatasotto sole, viene mostrato dai sacer-dotii”.

MarcoTerenzio Varrone(De re rustica, II, 4,18)

del foro era un luogo sacrodove si seppellivano le cene-ri degli antenati onorati con ilrito della cremazione. Con laformazione della città, il forodi Lavinium era una piazzacon edifici pubblici, templi emonumenti che celebravanola metropoli dei Latini. Uno diquesti monumenti era unagrande scultura in bronzo cherappresentava la scrofa con itrenta porcellini. Nel foro siconservava, sotto sale, an-che il cadavere della scrofadi Enea che i sacerdoti di La-vinium mostravano ai pelle-grini come una sa cra reli-quia.Un altro monumento ricorda-va il tempo delle origini ed ildestino della città. Era for-

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LAVINIUM: Il foro laurentinoGli scavi archeologici nell'area del foro laurentino, la piaz-za antica di Lavinium, testimoniano una continuità storicache ha origine nell'età del bronzo con le tombe ad incinera-zione. Gli strati archeologici si sovrappongono fino all'etàimperiale quando la città diventa il sacrario della famigliaGiulio-Claudia che faceva risalire le sue origini ad Enea .

Una tomba a pozzetto con l'urnacineraria a forma di capanna edil corredo funebre

La scrofa laurentina era espostanel foro di Lavinium come unsimbolo della latinità

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Il LUPO, l’AQUILA e la VOLPE RUTULA“Si racconta che al tempo della fondazione di Lavinium i Troiani videro il seguente prodigio. Nella foresta sisviluppò un incendio spontaneo. Un lupo gettava sul fuoco pezzi di legna secca che portava con la bocca,mentre un aquila sbatteva le ali per alimentare le fiamme. Una volpe rossa bagnava la coda nel fiume e get-tava acqua sul fuoco nel tentativo di spegnere l’incendio. Alla fine il lupo e l’aquila ebbero la meglio e la vol-pe sparì nella foresta. Enea interpretò il presagio dicendo che la città avrebbe prevalso sugli avversari per di-ventare grande e famosa perché la buona fortuna che aveva ricevuto dagli Dei era più potente dell’invidiaumana. Nel foro di Lavinium c’è un monumento che ricorda gli antichi segni del futuro destino: sono le statue,in bronzo, dei tre animali che si sono conservate dopo tantissimi anni”.

Dionisio di Alicarnasso(archeologia romana, I, 59)

La volpe rutula, nel monumento del foro di Lavinium, celebrava il buon senso di chi nonesita ad intervenire per impedire che il fuoco distrugga la foresta. Fuor di metafora, lavolpe rappresentava i Rutuli di Ardea che avevano tentato più volte, come racconta Dio-nisio di Alicarnasso nella sua storia di Roma, di impedire che le guerre scatenate dagliEneadi, cioè i Romani, mettessero a ferro e a fuoco il territorio dei Latini. Con il dominiodei Romani nel Lazio prevalse l'interpretazione ideologica di Enea, cioè l'esaltazionedel lupo e dell'aquila. Il buon senso della volpe fu sconfitto dalla forza, ma i Laurenti nonhanno mai dimenticato l'aiuto dei fratelli Rutuli.

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55mato da tre statue di bronzo:un lupo, un’aquila ed una vol-pe. Il lupo e l’aquila alimen-tavano un fuoco che la volperutula tentava di spegnare.Il monumento nel foro di La-vinium che scandalizzava S.Agostino era il Fascinum: ungrande membro virile che sivenerava durante la festadella fertilità dedicata al dioLiber Pater.La piazza pubblica dell’anticaLavinium era delimitata, sullato più corto, ad occidente,da un grande tempio visibileanche dal mare. Si ritieneche il tempio laurentino, rico-struito nel corso dei secoli,fosse quello di Minerva. Iltempio più antico (V secolo a.C.) fu rimpiazzato da un edifi-cio di culto che nel I secoloa. C. si presentava con unascalinata in mezzo a duestrutture monumentali. I latilunghi della piazza erano de-limitati da costruzioni con iportici. Uno di questi ambien-ti era un “Augusteo”, un luo-go di culto della famiglia im-periale che si vantava di ave-re come antenato Enea: la fa-miglia Giulia. Nell’Augusteodi Lavinium sono stati trovatii ritratti, in marmo, di tre im-peratori della famiglia Giulio-

Claudia: Augusto, Tiberio eClaudio.Nei pressi del foro sono sta-ti scavati i resti delle granditerme costruite al tempo diSettimio Severo e quelli delgrande edificio pubblico conil portico (II secolo d.C.) dovesono state trovate due basidi marmo con lunghe iscri-zioni in latino: la prima eradedicata ad onorare la me-moria del senatore L. ValerioPoplicola Messalla, l’altra èquella dedicata da EgnaziaSalviana al marito C. Servi-lio Diodoro che aveva lascia-to un beneficio alla città diLavinium ed all’associazionelocale dei dendrofori.

I TRE IMPERATORIAugusto,Tiberio e Claudio sono itre Imperatori, della FamigliaGiulio-Claudia, ritrovati negliscavi del Foro di Lavinium. I treImperatori Romani ritenevano diessere i discendenti di Enea.

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Il FASCINUMLAURENTINOUna festa popolare dell’anti-ca Lavinium scandalizzava unpadre della Chiesa comeSant’Agostino che, nella Cit-tà di Dio (VII, 21), così la de-scrive: “Varrone raccontache in Italia si celebravanoalcuni riti in onore del Dio Li-ber talmente osceni che du-rante la cerimonia sacra ve-nivano adorate le parti inti-me dell’uomo in pubblico etra l’esultanza dei presenti.Nei giorni della festa dedica-ta a Liber una statua del fal-lo veniva messa su un carro e

portato, in processione, pri-ma in campagna e poi in cit-tà. A Lavinium questa f estadurava addirittura un mese.In quei g iorni si parlava i nmodo scurrile ed osceno ac-compagnando in processioneil simbolo fallico nei campi fi-no a quando veniva riportatonel foro della città per esserericollocato nel suo santuario.In quella occasione la più ri-spettata ed onesta madre difamiglia incoronava il falloalla presenza del popolo fa-cendo in pubblico quello chenemmeno la più svergognataputtana avrebbe fatto in pri-

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IL SATIRO DI LAVINIUMIl Satiro laurentino (I secolo a. C.)rappresentava le forze vitali dellanatura che si scatenavano quandoerano represse nell'individuo e nellasocietà.

vato o a teatro. Così si dove-va pregare il Dio Liber controil malocchio per ottenere chei semi fruttificassero nellaterra dei campi”.Lavinium era il centro princi-pale, in Italia, del culto falli-co dedicato a Liber Pater chei Greci iden tificavano conDionisio e i Romani con Bac-co. Liber Pater, prima di esse-re un dio del vino, era una di-vinità agreste e arborea dellanatura fertile e feconda. Pa-ter era un titolo onorifico,

mentre “Liber a liberamentoappellatum voluit”. Le orge rituali erano destina-te, più o meno inconsciamen-te, ad entrare in comunica-zione con il Numen, lo Spiritoprimordiale e selvatico dellaNatura annullando la diffe-renza tra l’umanità e la divi-nità. Questo rapporto anima-lesco ed istintivo con la natu-ra liberava le più profond eenergie emotive generandouno stato di vitalità ed entu-siasmo come quello dei Fau-ni e dei Satiri. Le cerimonieorgiastiche, a Roma, furonoduramente represse dallostato perché mettevano inpericolo l’ordine pubblico. ALavinium, come ad Ardea, ilculto fallico animava una en-tusiasmante festa campa-gnola, dove tutto era gioioso,eccessivo e sfrenato, senzaessere osceno, vergognoso osconveniente. Le bevute inonore di Liber si dicevano li-bagioni, mentre i dolci prepa-rati per l’occasione erano lefocacce spalmate di miele (li-ba). Liber era un dio che nonpoteva essere ignorato per-ché la sessualità umana e lafertilità della terra sono po-tenti forze generatrici diun’unica natura.

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Il QUARTIERE deiCERAMISTIIl materiale archeologico piùabbondante di Lavinium è laceramica. La ceramica si tro-va nelle tombe, nei santuari,negli abitati, nei depositi vo-tivi. In super ficie è sparsadappertutto ridotta in fram-menti indistruttibili. La cera-mica è il risultato della tra-sformazione, con il fuoco, diuna materia prima come l’ar-gilla. Le argille azzurre di La-vinium, sfruttate fino a pocotempo fa da f abbriche dipiatti e mattoni, erano pre-giate per la loro purezza eplasticità. All’inizio dell’etàdel ferro l’argilla per fare va-si, brocche, scodelle, tazze egrandi contenitori (doli), eramodellata a mano e cottasulla brace in focolari al-l’aperto. La ceramica era pro-

LAVINIUMil quartiere degli artigiani ceramisti

dotta in casa durante le sta-gioni dell’anno con le condi-zioni ambientali favorevoliall’essiccazione ed alla cot-tura all’aperto. L’uso dei fornichiusi e del tornio, con il di-sco ruotante, i ntrodusseroimportanti cambiamenti nel-la tecnologia della ceramicaa Lavinium. In un quartieredella città antica c’è una con-centrazione di fornaci checonsente di seguire gli svi-luppi tecnologici di una atti-vità economica semp re piùcomplessa ed articolata. Lafornace più antica è dell’VIIIsecolo a.C.: è scavata nellaterra, con le pareti rivestitedi argilla, per non disperdereil calore. I vasi erano cotti afuoco diretto, cioè a contattocon la fiamma. Il colore dellaceramica era n ero o grigioscuro per il fumo o la fuliggi-ne. Per separare il fuoco daivasi fu usata la griglia che di-videva la fornace in due ca-mere: una per bruciare la le-gna e l’altra per la cottura. Lacopertura della fornace erasempre provvisoria ed i vasivenivano calati dall’alto sullagriglia. Per alimentare il fuo-co di queste fornaci ci volevamolta legna (facilmente di-sponibile nella selva lauren-tina) ed un periodo di tempo

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59più lungo per la cottura. Il ca-lore prodotto dal fuoco pote-va raggiungeva temperatureelevate (900-1000 gradi) edassicurava una cottura lentaed uniforme di tutte le partidel vaso. Nelle fornaci si cuo-cevano non solo vasi, ma an-che tegole, lastre architetto-niche, ex-voto, statue ed altriprodotti in terracotta. Duefornaci erano affiancate perridurre al massimo la disper-sione di calore. Le strutturedel quartiere vicino alle for-naci sono state “ interpretatecome parti di cap annoni etettoie legate alla produzio-ne” (M. Fenel li). Una vascacircolare, con un diametro diquattro metri, serviva per ladecantazione ed il lavaggiodell’argilla che prima di esse-

re utilizzata veniva “ pestata,battuta, lavorata come la pa-sta del pane, tagliata ripetu-tamente con appositi pesanticoltelli per ottenere un pro-dotto omogeneo, più facil-mente plasmabile ed elimi-nare le bolle d’aria che sa-rebbero rovinose nella fasedi cottura” (M. Fenelli). Unaconduttura collegava la va-sca ad un pozzo. Dalla finedel III secolo a.C. le fornacinon furono più utilizzate. Lacrisi dell’economia locale se-gnò la fine di un’attività pro-duttiva che utilizzava le risor-se naturali del territorio , sifaceva con la terra, l’acqua, ilfuoco ed era in sintonia conla mentalità tradizionalista diun popolo come que llo deiLaurenti.

Nel quartiere dei ceramisti laurentini c'erano le botteghe artigiane per la raccolta, la lavorazione e la cottura dell'argilla estratta dalla cava locale

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Le statue votive di Laviniumtestimoniano l’alto livelloqualitativo dell’artigianatolocale e la perizia tecnica diceramisti che conoscevano isegreti di lavorare e cuocerela terra. Le statue facevano

LAVINIUMIl luogo con la discarica delle antiche terracotte votive

LAVINIUMLe statue di terracotta ricompostedopo la scoperta dell'antica di-scarica dei Laurenti sono più dicento.

parte di una discarica di ter-recotte che gli abitanti di La-vinium avevano gettato in uncanalone a poca distanzadalla sacra sorgente. Il mate-riale era stato scaricato tuttoinsieme alla fine del III seco-lo a.C. Per la violenza dell’im-patto, le sculture erano an-date in frantumi formando unammasso di migliaia di pezzipiù o meno grandi. Le teste diun centinaio di statue si era-no staccate dal corpo ed era-no rotolate in basso fino allabase del mucchio. Prima diseppellire tutto sotto unostrato di terra, i Laurenti get-tarono nella fossa anche lagrande statua di Minerva.

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61MINERVA TRITONIANell’antica discarica di terra-cotte sacre sono state trova-te quattro statue di Minerva:due grandi e due piccole. Lastatua più grande della dea,dopo il restauro, è alta quasidue metri ed ha un aspettoimpressionante. I grandi oc-chi della dea sono fissi nelvuoto con uno sguardo im-passibile. Virgilio, nell’Enei-de, la definisce “ Vergine Tri-tonia, potente signora dellaguerra”(En. XII, 483). Un tritone, uomo-pesce, af-fianca la statua della dea perricordare la nascita e l’origi-ne di Mine rva. La Minervadei Laurenti è la versione la-tina della dea greca Atenabalzata fuori dalla testa delpadre Zeus armata come unuomo, una do nna-maschioche in greco era anche dettaPallade. Le armi della Miner-va laurentina sono l’elmo, loscudo, la spada. Sul petto esulle spalle porta l’egida, (lapelle di capra che rendeva in-vulnerabili) con il volto dellaGorgone Medusa. Il corpodella dea è pieno di serpenti.Un mostruoso serpente, contre teste, si attorciglia albraccio destro che impugnala spada, mentre piccoli ser-

penti ornano il corpetto e loscudo. I serpenti richiamanoalla memoria divinità medi-terranee come la dea del-l’isola di Creta, con il senonudo ed i serpenti in mano, ola grande protettrice del-l’acropoli di Atene con il suofiglio-serpente sacro. Sulloscudo di Menerva (come siscriveva in latino) sono dise-gnati i simboli lunari: Men, ingreco, è il nome della Luna. Iceramisti di Lavinium, nel Vsecolo a.C., conoscevano imiti greci e realizzarono unagrande statua di culto con icaratteri indigeni della men-talità e della religione locale.La Minerva dei Laurenti nonè una dea dei mestieri comela Minerva dei Romani. E’una dea guerriera, vergine emadre, che assiste e proteg-ge la comunità dei suoi devo-ti nei momenti fondamentalidella vita: l’iniziazione deigiovani con il delicato pas-saggio dall’infanzia all’etàadulta, il matrimonio, la ma-ternità, il parto. La sua prote-zione assicura la continuitàdel gruppo sociale che si ac-cresce attraverso l’ammis-sione e la gen erazione dinuovi membri. Nella città an-tiche il numero è potenza.

LAVINIUMLa statua in terracotta di Minervacon il Tritone (V sec. a. C.)

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MINERVA TRITONIAVirgilio, nel libro XIdell'Eneide, ricorda la dea laurentina che difendeva la città. In uno dei momenti piùdrammatici del poema virgiliano, le donne e i bambinivanno, in processione, al tempio e pregano Minerva:“Vergine Tritonia, potente nelle armi,che presiedi alla guerra, spezza la lancia del predone frigio,e sbattilo al suolo sotto le alte porte”.Qundo Enea decideràdi radere al suolo la città dei Laurentiper sterminare gli abitanti(donne, bambini, anziani)

sarà Turno, il re dei Rutulicome ultimo difensore,a sacrificare la sua vitaper la salvezza dei Laurenti.

PRATICA di MARE, antica Lavinium (Pomezia)La Dea MINERVA con il TRITONE (V secolo a. C.)Ricostruzione

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63Minerva, protettrice di chi in-segna e di chi impara, è ladea delle cose fatte bene e aregola d’arte; favoriscel’unione e la concordia de icittadini: per questo è nemi-ca dell’Invidia “che mangiacarne di vipera, ride soloquando c’è sofferenza e pro-va dispiacere vedendo il suc-cesso degli uomini” (Ovidio,Le Met., II, 780-81)La dea fu “scaricata” quandoLavinium non aveva pi ù ilgrande prestigio, la sovranitàe la potenza economica dellacittà arcaica. Quando fu but-tata nella fossa, come un inu-tile pezzo di coccio, era chia-ro che, in realtà, era stata lacomunità a pro teggere laVergine Tritonia.

IL PALLADIOUna delle q uattro statue diMinerva, trovate a Lavinium,è alta novantacinque centi-metri e mezzo . La statuetta,cinta in vita da due serpenti,ha una posizione rigidamentefrontale ed è volutamentesproporzionata in tutte le sueparti con i seni troppo alti ele ginocchia t roppo basse.Sembra la rappresentazione,in terracotta, di un antico ido-lo di legno (xoana), venerato

come una sacra reliquia: ilPalladio. Il Palladio era con-siderato il più potente tali -smano portafortuna del mon-do antico. Secondo la leg-genda era un ’immagine diPallade Atena (Minerva) ca-duta dal cielo durante la fon-dazione di Troia. Il Palladio, custodito nellarocca di Troia, aveva protettola città fino a quando non furubato da Ulisse e Diomede.La notte della caduta di T ro-ia, il Palladio chiuse gli occhiper non vedere lo stupro diCassandra violentata da Aia-ce. Diomede, terrorizzato da-gli strani poteri dell’idolo tro-iano, lo restituì ad Enea chelo ripose in un santuario diLavinium.Secondo la tradizione locale,invece, era stato Ulisse aportare il Palladio in Italiadonandolo alla maga Circe.Telegono, il figlio di Circe e diUlisse, diede il Palladio al reLatino che fece costruire untempio nella città dei Lauren-ti per cust odirlo come unasacra reliquia.

LAVINIUMLa statua in terracotta di Minervaidentificata con il Palladio

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MATRIMONIO EPATRIMONIONell’antica Lavinium, oggiPratica di Mare, i matrimonisono ancora fre quenti. Agliocchi dei futuri sposi lo sce-nario del luogo sembra idea-le per cel ebrare un rito dipassaggio come il matrimo-nio Gli abiti cerimoniali, i gio-ielli indossati, le acconciatu-re dei capelli, il velo dellasposa, i gesti propiziatori ebenauguranti di parenti edamici, i chicchi di riso sullatesta degli sposi richiamano

alla memoria antichi riti e co-stumi che spesso si fannoper tradizione senza co m-prenderne il significato. Glisposi, in terracotta, dell’anti-ca Lavinium ci mostranoquanto siamo uguali e diver-si dai nostri antenati. Le cerimonie nuziali segna-vano il passaggio dall’adole-scenza all’età adulta. Già al-l’età di dodici anni, dopo laprima mestruazione, una ra-gazza era viri potens, cioèadatta per l’uomo. La vesti-zione della sposa era fissata

Pagina accantoLAVINIUMStatua in terracotta della donna conla colomba (V secolo a. C.).La donna, con gli occhi a mandorla,porta sul petto un monile riccamentedecorato (ricostruito in oro). Sullatesta ha un diadema a sbalzo ( rico-struito in oro) che termina a forma dileone.

La DOTE delle FANCIULLE“La promessa di matrimonio, in ori-gine, è essenzialmente un atto reli-gioso attraverso la quale si consa-cra il pa tto fra le famiglie in vistadelle nozze. Il santuario è il garante delle condi-zioni fisiche, economiche, socialidei futuri coniugi certificando che igiovani sono in grado di procreare,che sussistono le premesse finan-ziarie dell’accordo, che i giovani so-no a tutti gli effetti liberi e membridella comunità. Le fanciulle di Lavi-nium portano indosso le copie esat-te, tratte in gran parte da calchi de-gli originali, di tutto l’oro che costi-tuisce la dote pattuita per le nozzeed offrono doni che attestano la pro-pria condizione di essere pronte perl’uomo (viri potens)”

Mario Torelli

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da un preciso rituale. La not-te prima delle nozze, la futu-ra sposa si coricava con i ca-pelli raccolti in una reticella(reticulum) dopo aver indos-sato una tunica bianca di la-na, tessuta in casa tutta d’unpezzo. La tunica era stretta,in vita, da una cintura di lanacon un nodo speciale che so-lo Ercole era stato capace disciogliere. Questo nodo eradetto erculeo ed era di buon

augurio perché Ercole avevaavuto settanta figli. Il giornodopo si sottoponeva ad unalaboriosa acconciatura deicapelli che venivano divisi insei trecce o grandi boccoli,tre da un lato e tre dall’altrodel capo. La sposa indossa-va le vesti cerimoniali e siavvolgeva nel velo nuzialeche scendeva sul viso percoprire la testa (nubere), co-me le nuvole ( nubes) velanoil cielo.“Che cosa simboleggia il ve-lo? Segna la differenza tranascondersi e travestirsi. E’un simbolo della concentra-zione in se stesse. (...) Met-tere un velo su qualcosa neaumenta l’azione e il senti-mento. Tutte le donne lohanno sempre sap uto” (C.Pinkola Estès)Il velo da sposa si chiamavaflammeum perché aveva ilparticolare colore dellafiamma (flamma): un rossoarancio simile al tuorlo del-l’uovo. Il rosso, con le sfu-mature di giallo, era il coloredella giovinezza, della gioiae dell’allegria. Si credevache questo colore così lumi-noso favorisse la fertilitàdella donna ed il potere fe-condante dell’uomo.

Pagina accantoLAVINIUMStatua in terracotta con il velo (rico-struito) della sposa (IV secolo a. C.)

LAVINIUMStatua in terracotta con i boccoli, i grandi occhi e la fossetta sul mento (IV se-colo a. C.) La ragazza porta un girocollo di perline ed una collana di pendentia forma di lancia con una sferetta sulla punta ( ricostruzione in oro).

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69Gli splendidi gioielli della do-te che indossavano le donnedi Lavinium (anelli, bracciali,armille, collane, orecchini,diademi) mostravano il livelloeconomico della famiglia:matrimonio ha sempre fattorima con patrimonio. Il giornodelle nozze, nel santuariodella dea Minerva, si offriva-no i simboli dell’infanzia or-

mai finita come la palla odella purezza verginale comela colomba. Si chiedevanotanti figli come i chicchi del-la melagrana, il frutto dellavita e de lla morte, simbolodel matrimonio.

Pagina accantoLAVINIUMStatua in terracotta della donna conla palla (IV secolo a. C.)La donna ha una collana (ricostruitain oro) con pendenti a forma dighianda.La donna porta sul petto due piccolesfere schiacciate (bulle) e un'anfo-retta sostenute da fili d'oro intrec-ciati a maglia (ricostruzione)

La FACCIA, il VISO, il VOLTOLe statue in terracotta di Lavinium ritraggono persone con fisionomie diverse. I Latini, di-versamente dai Greci, distinguevano la faccia dal viso e dal volto. Faccia si diceva facies(dal verbo facere) perché era una faccia-ta fatta dalla natura. Il viso, visum, era soltantociò che si vedeva od era visto, mentre il volto, vultus, esprimeva il carattere di una perso-

na. La faccia si riferisce all'esteriorità. Il volto all'inte-riorità. Il volto si identificava, in primo luogo, conl'apertura della bocca (os) attraverso la quale si par-la. Anche gli animali hanno la bocca, ma non possonoavere un volto perché non hanno la parola. L'identitàdi un individuo, nel mondo latino, non può essere de-finita dalla faccia, ma dalla persona (per -sona) cioèattraverso (per) il suono che si esprime dalla suabocca. Il volto si esprime anche con l'apertura degliocchi (oculi) che consentono a ciò che sta dentro divenire fuori e a ciò che sta fuori di entrare dentro. Lepersone si riconoscono dall'aspetto (aspectus), losguardo di un altro che ti osserva attentamente, al dilà della facciata, per riconoscere chi sei veramenteda quello che dici, dall'espressione dei tuoi occhi, daituoi lineamenti (figura) e dal tuo portamento (statura).

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LA PIAZZA DEGLI DEILa valle sottostant e il forodell’antica Lavinium è un luo-go, ampio e p ianeggiante:era particolarmente adattoall’accoglienza di numerosepersone per lo svolgimentodella solenne festa nazionaledei Latini, ricordata da Stra-bone. La scoperta dell’areaarcheologica, negli anni cin-quanta del XX secolo, fu do-vuta ad una anomalia: la pre-senza, in superficie, del tufolitoide di Ardea. A Pratica diMare, infatti, c’è un tufo chesi sfalda facilmente disgre-gandosi come le mura anti-che della città che non si so-no conservate fuori terra.La lunga fila degli altari. ver-so occidente, s i trova nellaparte ancora più pianeggian-

te della valle dove sorge lachiesetta paleocristiana diSanta Maria delle V igne,l’eredità cristiana di un gran-de culto femminile pagano.Le alte mura della città ( ar-dua moenia) ed una lagunacostiera (vasta palus) delimi-tavano, a nord e a sud, l’anti-co paesaggio che corrispon-de alla descrizione del cam-po dove si svolse il duello fi-nale tra Turno ed Enea (En. li-bro XII, v.744)Fino a pochi anni fa c’era an-cora il fontanile con la sor-gente d’acqua dove sono sta-te trovate testimonianze divita che risalgono all’età delbronzo. La sorgente era unpunto di riferimento degli an-tichi naviganti mediterraneiche approdavano nel portonaturale della laguna per ri-fornirsi d’acqua potabile, ri-parare le navi e passare lanotte. I Fenici, prima dei Gre-ci, proteggevano le sorgenticon immagini sacre (feticci)della dea Astarte, la V eneredell’oriente, che aveva il po-tere di preservare l’acqua daogni forma di inquinamento.Il nome della sorgente, nellalingua dei Fenici, era AIN cheha la stessa radice di AINE-IAS, il nome greco di Enea.La tradizione, non a caso, le-

LAVINIUMIl santuario con i tredici altari. (VI-IV secolo a. C.)

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LAVINIUMIl santuario con tredici altari all'in-terno del grande capannone. Gli al-tari (VI-IV secolo a. C.) sono colloca-ti lungo la linea meridiana del luogo.

gava lo sbarco di Enea sullacosta laurentina al miracolodella sorgente che il Soleaveva fatto scaturire dallasabbia delle dune per disse-tare i Troiani.L’antico scenario della vallesacra di Lavinium, con gli al-tari fuori le mura della città,la laguna costiera, l’olivo sel-vatico, il bosco corrisponde,in modo impressionante, alloscenario di una tragedia gre-ca: le Supplici di Eschilo. Latragedia racconta la storia diun gruppo di donne ( Danaidi)che, inseguite dai loro pre-tendenti, sbarcano in un pae-se straniero p er chiedereospitalità ed aiuto. L’azione sisvolge vicino al mare dove le

Danaidi si sono strette intor-no ad una “comunità di alta-ri” costruiti sopra un rialzodel terreno. Gli abitanti delluogo, subito accorsi, nonosano toccarle perché ledonne hanno messo sugli al-tari rametti di olivo che ga-rantisce la protezione deglideii numerosi altari di Lavinium(ne sono stati trovati, finora,14) fanno parte di un conte-sto che gli archeologi nonsono ancora riusciti a deci-frare: ne risulta un compren-sorio di cui non si riesce astabilire “nè limiti nè forma”(F.Cairoli Giuliani). Se ci so-no gli altari, dovrebbe esser-ci un tempio che però non è

LAVINIUMAltare (ricostruzione)

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LAVINIUM: il santuario della LatinitàIl santuario con 13 altari, all'interno del grande capannone, fu scoperto, ne-gli anni '50 del XX secolo, dagli archeologi Ferdinando Castagnoli e LucosCozza osservando una anomalia del luogo: la presenza di un particolare ti-po di tufo litoide proveniente dal territorio di Ardea. Il santuario fuori l'areaurbana della città di Lavi-nium è un monumentounico al mondo. Era unsantuario federale deipopoli latini che mettevain comunicazione il mon-do della Latinità con lepopolazioni mediterra-nee (Fenici, Greci, Etru-schi, Cartaginesi): unluogo di incontri, scambicommerciali, relazionipolitiche e culturali.

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73stato trovato perché, proba-bilmente, non è altro che laNatura del Luogo.I primi t re altari furono co-struiti su una piccola alturaartificiale, nel VI secolo a.C.Erano rivolti ad oriente ed inlinea con la meridiana (nord-sud) del luogo. Furono inau-gurati con offerte votive pro-venienti dalle regioni di Spar-ta ed Atene ( la Laconia el’Attica) come coppe dipintein terracotta e statuine in

bronzo che r iproducevanoragazzi e ragazze. Un atto diomaggio ai giovani era an-che l’iscrizione latina con ladedica a Castore e Polluce.Vicino agli altari fu costruitoun edificio con un porticoche nel V secolo a.C. fu in-cendiato, ricostruito, am-pliato ed, infine, raso al suo-lo. In due fornaci, davanti alportico, si cuoceva la cera-mica.

La RAGAZZA con il FIORE e lo SPECCHIO

Le offerte votive dei Greci che inaugurarono il santua-rio di Lavinium, avrebbe detto Eraclito, “non dicono enon nascondono, ma significano”.Una statuetta di bronzo, alta un palmo, raf figura unaragazza con il corpo fasciato da una lunga veste: ha unfiore nella mano destra ed uno specchio nella sinistra.E’ una divinità o una Kore, una sacerdotessa al servi-zio di una divinità. Il fiore f a pensare a Proserpina, lospecchio ad Afrodite.L’interno di una coppa rappresen-ta un simposio, un banchetto con due personaggi di-stesi che bevono vino. La scena è animat a da musi-canti e danzatori con geni alati c he planano dall’alto,frutti ed animali simbolici (melagrane, salamandre). Ilsimposio, nel mondo greco, era una f orma di educa-zione “per fare esperienza della nostra v era natura”(Platone, Leggi, II, 1). Il vino met teva alla prova la ca-pacità di dominare le passioni umane che il succo del-la vite poteva scatenare. Il vino a veva la stessa ambi-valenza del fuoco che riscalda ed illumina, brucia e de-vasta. “Godi e bevi bene” c’è scritto in greco su unacoppa da vino del santuario di Lavinium. Era un invitoa conoscere se stessi, bevendo insieme agli amici, inun situazione limite: per dimostrare di avere la ragionecorrendo il rischio di perdere il senno. Per sapere checos’è il coraggio è necessario provare la paura.

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LAVINIUM La Tomba dell’Antenato dei Laurenti

LA MEMORIA DI INDIGESLa tomba a tumulo, nella sa-cra valle di Lavinium. facevaparte di una necropoli del -l’età del ferro. Era una tombamonumentale dove, in un

sarcofago del VII secolo a.C.era stato sepolto un re indi-geno con un corredo funebredi armi e vasi. In età arcaicala tomba a tumulo si trovavaa confine di due mondi, tra lacittà chiusa nelle sue muraed il porto della laguna sem-pre più aperto ai traffici ed airapporti internazionali.La cultura dei Laurenti avevaun forte carattere nazionalee patriottico che si fondavasul culto degli antenati. Gliantenati erano i capostipiti, iprogenitori (Pater), l’originedelle generazioni. La mortecreava un legame indissolu-bile con il territorio, la terrapatria dove erano sepolti gliantenati. Nel VI secolo a.C.la tomba a tumulo del capo

LAVINIUMLa tomba del “Pater Indiges” con lasepoltura, in primo piano, del VII se-colo a.C.

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75indigeno fu ritualmente pro-fanata, con una cerimonia tri-bale, “per ricercare il corpodel progenitore” (Torelli) in-vocato come Pater e Indiges.Indiges veniva tradotto, ingreco, con la parola Gen-ar-ches che significava “ l’origi-ne della stirpe”. Fu istituito oimposto così un c ulto dellamemoria che era un culto ci-vico della comunità locale. Il Pater è Indiges perché siperpetua nella comunità digenerazione in generazionegrazie alla memoria collettivadella comunità cittadina. Co-sì si fonda il culto dell’Eroeche protegge i suoi discen-denti insieme alla terra pa-tria dove si vener a la suatomba.Indiges è la potente manife-stazione di un re divinizzato,dopo la morte, come antena-to primordiale e capostipiteancestrale del popolo di Lavi-nium. Indiges era Latino, il redei Laurenti che a monte Ca-

vo veniva onorato come Iup-piter Latiaris il Padre Cele-ste dei popoli latini. La con-sacrazione del tumulo al Pa-ter Indiges fu contempora-nea alla costruz ione dellemura urbane ed all’inaugu-razione di un grande spaziosacro con tre altari. Nel IVsecolo a.C. il venerato tumu-lo del Pater Indiges fu tra-sformato in un monumentofunebre identificato dagli ar-cheologi come Heroon diEnea sulla base di una de-scrizione di Dionisio di Ali-carnasso. Una parte del tu-mulo fu sbancata per l’inse-rimento di un tempietto, unacella con quattr o angolichiusa da una finta porta ditufo come nelle tombe rupe-stri. L’area davanti alla fac-ciata monumentale fu pavi-mentata con un bat tuto dischegge di tuf o. L’Heroonera orientato a nord-est ver-so la via che dalla città por-tava al mare.

LAVINIUMLa porta in tufo (ricostruzione) delmonumento funebre dove si veneraval'antenato primordiale dei Laurenti: ilPater Indiges che i Romani identifi-carono con Enea.

LAVINIUMLa tomba a tumulo del Pater Indigesdei Laurenti (ricostruzione)

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LA MADONNELLALa Madonnella è una chie-setta del V secolo dedicataalla Vergine Maria, la Madredi Dio: solitaria, in mezzo al-la campagna, resiste al tem-

po ed all’incuria. La Madon-nella fu costruita sui resti diuna grande villa imperialequando il santuario dei tredi-ci altari era sepolto da alme-no cinquecento anni. Nei do-cumenti medievali è ricorda-ta come Santa Ma ria delleVigne. Il culto medievale del-la Madonnella perpetua lamemoria ancestrale degli an-tichi culti locali. Come Afro-dite, Giunone od Iside, MariaVergine e Madre è una gran-de divinità mediterranea chefa parte della nostra cultura.Come Enea fu Assunta in cie-lo. La festa dell’ Assunta sicelebra ad agosto, lo stessomese dell’antica festa dellavendemmia (Vinalia rustica)in onore di V enere Afrodite,la dea degli orti e delle vigne.A Pratica di Mare, come adArdea, i culti medievali fuoridella rocca son o dedicati aSante Donne (Maria e Mari-na) che ricordano l’antico le-game con il mare. Dentro lerocche fortificate si venera,invece, un Santo potente co-me San Pietro: la mentalitàreligiosa medievale conti-nuava ad associare la margi-nalità alla femminilità. L ’ar-chitettura sacra della Ma-donnella traduce questaFemminilità in Accoglienza. Il

LAVINIUMLa Madonnella

LAVINIUMLa piccola chiesa di campagna diSanta Maria delle Vigne nella rico-struzione dei bambini

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suggestivo santuario è for-mato da due parti: una chiusae l’altra aperta. La parte chiu-sa è formata da una strutturacon otto lati , simile ad unatorre dei venti, coperta a cu-pola. La parte aperta, rivoltaa nord dove ci sono gli antichialtari, è formata da due absi-di che abbracciano il visitato-re. Si tratta di un nartece, unatrio che un tempo era coper-to: è simile ad un forcipe, lostrumento che aiuta le donnenel parto. L’aula ottagonale ètipica dell’architettura paleo-cristiana (IV-VI secolo) per ibattisteri, i santuari con l’ac-qua della fonte battesimale.Le parti originarie della mu-ratura sono costituite damattoni che erano già statiutilizzati. Nel corso dei secolila Madonnella fu restauratanumerose volte. La cupola,

nella sua forma attuale, èdel XVII secolo quando lachiesetta fu d ecorata connumerosi affreschi. Sopral’altare si può ancora intra-vedere una Madonna con ilbambino, circondata daquindici quadretti con i mi-steri del Rosario. La Madon-na del Rosario fu particolar-mente venerata dopo la bat-taglia di Lepanto (1571) co-me Nostra Signora della Vit-toria. I restauri più grandidella Madonnella furono fat-ti nella parte dove c’è la fi-nestra esposta ai venti mari-ni. La corni ce della cupola(XI-XII secolo) sporge legger-mente in fuori ed è formatada un giro d i mattoncinitriangolati, disposti a dentidi sega, al centro di due fila-ri di mattoni.

LAVINIUMLa pianta della Madonnella

LAVINIUMLa chiesa di Santa Maria delle Vigne,detta la Madonnella.

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Da LAVINIUM a PRATICA di MareL’antica Lavinium, nel medioevo cristiano, cambiò nome. Il no-me di Lavinium evocava un passato millenario di tradizioni re-ligiose e riti pagani che non era opportuno ricordare e perpe-tuare. Per Quinto Aurelio Simmaco, nel IV secolo, era ancorauna civitas religiosa di un impero che stava per tramontare,mentre Sant’Agostino la ricordava come la sede di osceni ritipagani.I nuovi protagonisti della storia locale furono i monaci bene-dettini del monastero di San Paolo fuori le Mura che, nel 1081,avevano avuto da Papa Gregorio VII la conferma della CivitasPatrica concessa loro da Papa Marino nel IX secolo. Il nomePatrica conservava soltanto un g enerico riferimento al Paterdelle primordiali divinità locali ( Pater Indiges, Liber Pater) chepoteva essere accettato nel nuovo contesto religioso. La reli-giosità dell’antica Lavinium non poteva essere facilmenteestirpata se il primo tempio cristiano di Patrica era dedicato alculto di San Lorenzo. Lorenzo ( Laurentius in latino) indicaval’abitante della città laurentina, ma l’unica testimonianza aPratica di Mare della primitiva chiesa cristiana è un abside delVI secolo.La chiesa di San Lorenzo, a partire dal XII secolo, subì trasfor-mazioni così profonde e radicali che il culto originario fu sosti-tuito dall’attuale culto di San Pietro, il principe degli apostoli.Questo passaggio da San Lorenzo a San Pietro segnò anche lafine dell’autonomia locale soffocata dai monaci feudatari che

Pagina accantoPRATICA DI MARELa porta d'ingresso al borgorinascimentale

PRATICA DI MAREL'abside dell'antica chiesa diSan Lorenzo (VI secolo)

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fecero a Pratica quello che non riuscirono a fare ad Ardea, do-ve la resistenza degli abitanti arrivò all’affermazione dell’au-togoverno nel nome di Santa Marina.Nel XII secolo non si parla più di Civitas (comunità organizza-ta), ma di Castrum Patricae (luogo fortificato). Un secolo dopol’antica Lavinium era solo “il casale che si chiama Patrica”. Ilnome di Pratica si legge, per la prima volta, in un documentodel 1499 che registra un accordo tra Gabriele Cesarini ed An-tonio Frangipane. Nel XVI secolo Pratica era una proprietà del-la famiglia Massimi.ll marchese Luca Massimi incaricò l’architetto Antonio daSangallo, il giovane di progettare una fortezza con un borgoche corrisponde, in parte, a quello attuale. Il borgo medievaledi Pratica era dominato da una torre quadrata, alta quarantametri e circondata da un palazzo. Su quella torre, che si vede-va da molto lontano, sono saliti nel corso dei secoli viaggiato-ri, scrittori e pittori come Charles V ictor De Bonstetten, Ga-ston Boissier, Edward Lear che ci hanno descritto la meravi-gliosa visione del Lazio virgiliano immaginando quello che gliscavi archeologici avrebbero svelato. Leggere l’Eneide sotto ilcielo di Enea e di Turno, davanti al paesaggio che aveva ispi-

IL CASTELLO DI PRATICA (1836)Gli artisti stranieri, come EdwardLear, fecero lunghi viaggi in Italianel corso del XIX secolo, per vederela bellezza di luoghi virgiliani come“Pratica a Mare” ed Ardea. Dallatorre di Pratica, alta 40 metri, si ve-deva il paesaggio spettacolare dellanatura locale reso ancora più affa-scinante dalla lettura dell'Eneide diVirgilio che ogni viaggiatore portavacome guida alla scoperta del Laziovirgiliano.

PRATICA di MARELa lapide con il nome di Papa PaoloV Borghese nella facciata dellachiesa di S. Pietro

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rato il poeta, era un’esperienza emozionante che faceva di Pra-tica e di Ardea due luoghi indimenticabili della campagna ro-mana.Pratica di Mare, diversamente da Ardea che fin dal XII secoloera un comune autonomo, non ha più conosciuto l’autogover-no: l’autonomia civica è stata sempre soffocata dai signorottilocali che hanno impedito qualsiasi forma di organizzazione co-munitaria. I pirati algerini del predone Assan Agà, nel 1588,entrarono nel borgo, praticamente senza difese, saccheggiaro-no il castello e rapirono gli abitanti dopo aver ucciso quelli cheresistevano. Ci furono altre incursioni che lasciarono un segnoindelebile sulla mancanza di sicurezza nel territorio di Praticache evocava la terrificante paura dei predoni del mare.La difesa del territorio e la protezione dei suoi abitanti era uncompito che spettava al padrone del luogo, ma la famigliaMassimi, carica di debiti, preferì vendere, nel 1617, la sua pro-prietà a Marcantonio Borghese, nipote di Papa Paolo V . Il pri-mo impegno del principe Borghese fu quello di procurarsi armi,artiglierie, munizioni e reclutare i soldati che dovevano fare laguardia nel castello. Tutte le spese furono sostenute grazie alparente Papa. Per gli eredi di Marca ntonio Borghese Pratica

LA MAPPA DEI CACCIATORIIl castello di Pratica di Mare compa-re nella mappa per i cacciatori diEufrosino della Volpaia (1547) in cor-rispondenza del corso d'acqua (oggiFosso di Pratica) con la foce nell'en-troterra. Il luogo dove verrà fondataPomezia è ancora un colle panora-mico nella campagna

LA TORRE DISTRUTTALa torre simbolo di Pratica fudistrutta, insieme a quelle di Pomezia e di Tovaianica, durante laseconda guerra mondiale

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“di mare” fu soprattutto “ una lieta divagazione campestre ”per andare a caccia, trascorrere in pace la domenica e fare fe-sta con gli altri baroni romani. Alla fine dell’ottocento, doposecoli di abbandono, Pratica di Mare era ridotta in condizionimiserevoli.Marcantonio IV Borghese, nel 1881, decise di assegnare quelpossedimento al figlio Camillo, principe di Vivaro. Camillo Bor-ghese spese grosse somme di denaro per demolizioni e re-stauri nel castello, fece abbattere baracche e tuguri, ricostruìle case in rovina in modo che il borgo si presentò di nuovo ”co-me era in origine, un tutto omogeneo, regolare, in quattro fileparallele di case comode e pulite facenti ala al palazzo baro-nale. Poi fornì la borgata di acqua potabile e vi stabilì una ca-sa di suore, le figlie della Croce, per l’educazione dei bambinie l’assistenza ai malati. Ottenne che vi fosse impiantato un uf-ficio postale in diretta comunicazione con Roma, una linea te-legrafica e telefonica, una stazione sanitaria ed un’altra di re-gi carabinieri, l’arricchì di energia elettrica ed, infine, accop-piando l’utile al dilettevole, vi impiantò una fabbrica di cera-miche artistiche” (Giovanni Battista Trovalusci).Seguendo l’esempio dei grandi allevatori del passato locale,citati da Virgilio nell’Eneide, Camillo Borghese allevò cavalli dirazza araba e la vaccheria di Pratica fu all’avanguardia nellalavorazione del latte “all’uso svizzero”. Dalle Marche, dal Ve-neto, dal Friuli, dalla Toscana fece venire famiglie di agricol-tori, ma l’impresa di colonizzazione fallì perché non prevedevaalcuna forma di insediamento stabile per consentire ai colonidi radicarsi nel territorio.

L'AQUILA e il DRAGONEL'aquila ed il dragone sono il sim-bolo della famiglia Borghese cheabita nel palazzo padronale delborgo di Pratica di Mare. I dueanimali identificano anche laceramica, di colore oro turchese,prodotta nella fabbrica artigianadel luogo.

POMEZIA (Torvaianica)Uno dei tanti casali abbandonaticostruiti sui resti di antiche villeimperiali

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CAMPO SELVA e la TORRE del VAIANICOLa mappa del catasto alessandrino, realizzato nel XVII secolo per l'agro romano, illu-stra com'era il territorio dove oggi c'è la città balneare di T orvaianica. La torre delvaianico fu fatta costruire nel 1580. dai Cesarini di Ardea che erano i proprietari lati-fondisti anche della tenuta di Campo Selva. Il territorio disegnato nella mappa non èpaludoso e deserto, ma un paesaggio vario con diverse attività economiche legate aiboschi, ai campi, al mare, al fiume, alla laguna costiera. Si vedono all'opera cercato-ri, taglialegna, mietitori, pastori, cacciatori, pescatori che utilizzano tutte le risorseterritoriali. Nel XX secolo il fascismo impose una visione ideologica di questo territo-rio con la retorica del “buon colono” venuto da lontano a bonificare una “terra palu-dosa e malsana”.

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UN BORGO ABBANDONATOIl borgo di Pratica di Mare, nell'anno 2010, si presentava come un luogo abbandonato, disabitato, pericolante, degradatoe senza cura. Lo Spirito del Luogo (Genius Loci) continuava a riproporre la sua antica e sempre attuale storia di sradica-mento fino a quando, caduto il velo dell'ideologia, apparve la realtà con la sua drammatica verità sotto gli occhi di tutti:fu questa la prima iniziativa di rinascita del luogo.

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Il BORGO MEDIEVALEUna lapide, a Pratica di Ma-re, ricorda ai visitatori che ilborgo, nel comune di Pome-zia, “sorge sul sito dell’acro-poli dell’antica Lavinium”.La località si trova a circaquattro chilometri e mezzodal mare. La distanza corri-sponde ai ventiquattro stadiche, secondo la l eggenda,Enea percorse all ’insegui-mento della scrofa laurenti-

na.“La scrofa che i sacerdotistavano per sacrificare sul li-torale sfuggì a quelli che latrattenevano e si mise a cor-rere allontanandosi dal mare.Enea capì che quella era laguida a quattro zampe profe-tizzata dall’oracolo e la seguìtenendosi a breve distanzaper evitare che la bestia, di-sturbata dagli inseguitori,deviasse dal percorso che glidei avevano stabilito. Dopoessersi allontanata dal mareper circa ventiquattro stadi,Enea vide la scrofa, che eraincinta, salire un una collinadove, sfinita dalla stanchez-za, cadde a terra.(...) Si racconta che il giornodopo la scrofa partorì trentaporcellini. Enea sacrificò alledivinità dei suoi padri la scro-fa con i suoi piccoli nel luogodove oggi c’è un santuarioche gli abitanti di Lavinium

PRATICA di MAREL’area del borgo sull’antica Rocca diLavinium

PRATICA DI MARELa lapide all'ingresso del borgo ri-

corda l'importanza del luogo.

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PRATICA DI MARELa fontana-abbeveratoiodel borgo

te pizzeria, ma molti edifici,con i solai che crollano, sonoabbandonati e da aperture abocca di lupo sale un odoredi muffa e di chiuso che pren-de alla gola. A Pratica di Ma-re sembra che n on ci sianiente da vedere, ma bastasedersi sulle panchine sotto igrandi alberi di platano agi-tati dal vento per sentire chec’è qualcosa: le antiche divi-nità locali (Penati e Lari) nonhanno ancora abbandonatoquesto luogo.Nel muro perimetrale, in fon-do a destra, c’è un locale do-ve sono in mostra le belle ce-ramiche dipinte con il turche-

hanno reso inaccessibile aiforestieri. Enea ordinò ai Tro-iani di spostare l’accampa-mento sulla collina dove col-locò le div inità che avevaportato da Troia e si dedicò,con grande impegno, all’edi-ficazione della città” (Dioni-sio di Alicarnasso, Archeolo-gia romana, I, 56, 1, 5; I, 57,1)Bastano pochi minuti per fa-re un giro del borgo domina-to da un palazzo feuda lesbarrato da un pesante por-tone. C’è la chiesa di SanPietro; c’è qualche casa an-cora abitata; c’è il “barEnea”, un negozio di alimen-tari, una fontana, un ristoran-

PRATICA DI MAREIl ricordo dei Latini e di Lavinia, inuno dei luoghi più sacri della Latini-tà, è affidato a due indicazioni stra-dali.

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se di Pratica. Nel laboratoriol’artigiano ceramista lavoraancora l’argilla con un vec-chio tornio a pedale lubrifica-to dal grasso di maiale. Si hal’impressione di sprofondarenel passato: il laboratorio diceramica, infatti, è una tradi-zione del padrone del luogo. Ostacoli e difficoltà di ognigenere sbarrano il passo,scoraggiano o tengono lonta-

ni cittadini e turisti, italiani ostranieri, da Lavinium/Prati-ca di mare come se fosse unavergogna da nascondere. An-cora oggi, a più di cinquantaanni dalla scoperta, è prati-camente inaccessibile, nono-stante i miliardi di lire spesi ele numerose “inaugurazioni”,il famoso monumento delle“XIII are”, un complesso ar-cheologico unico al mondo.

LA MADONNANella chiesa di San Pietro, a Pratica di Mare,una Madonna su un'alta mensola, perpetual'antica ed ignorata memoria della divinitàlocale legata al culto della luna e del serpente

PRATICA di MARELa chiesa di San Pietro è uno dei pochi monumenti restaurati del borgo medievale di Pratica di Mare mentre intorno tut-to va in rovina.

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GENIUS LOCII LARI E I PENATI

“Dei di due specie proteggono la città. Gli uni e gli altri sono così piccoliche non si vedono e così numerosi che non si possono contare. Gli uni

stanno sulle porte delle case, all’interno, vicino all’attaccapanni e alportaombrelli. Nei traslochi seguono le famiglie e s’installano nei nuovi

alloggi alla consegna delle chiavi. Gli altri stanno in cucina, si nascondo-no di preferenza sotto le pentole, o nella cappa del camino, o nel ripo-

stiglio delle scope: fanno parte della casa e quando la famiglia che ciabitava se ne va, loro restano coi nuovi inquilini; forse erano già lì quan-do la casa non c’era ancora, nascosti tra l’erbaccia dell’area fabbrica-

bile. Per distinguerli chiameremo Penati gli uni e gli altri Lari. (…) I Penati credono di essere loro l’anima della città, anche se sono

arrivati l’anno scorso. I Lari considerano i Penati ospiti provvisori. (…) In comune hanno questo: che su quanto succede in famiglia e in

città trovano sempre da ridire. I Penati tirando in ballo i vecchi, i bisnon-ni, la famiglia di una volta, i Lari l’ambiente com’era prima che lo rovinas-

sero. Ma non è detto che vivano solo di ricordi: fanno progetti sullacarriera che faranno i bambini da grandi (i Penati), su cosa potrebbe

diventare quella zona (i Lari) se fosse in buone mani. A tendere l’orec-chio, specie di notte, li senti parlottare fitto fitto”

Italo CalvinoLe città invisibili

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89La CASA di ENEAIl museo civico archeologicodi Pomezia fu inaugurato nel-la primavera dell’anno 2005come “Casa di Enea” (hic do-mus Aeneae).nella restaura-ta stazione sanitaria di Prati-ca di Mare. Il museo presen-ta una visione unilaterale eparziale della storia loca lecon l’uso invasivo di tecnolo-gie multimediali (filmati, sta-tue parlanti, multivisioni, sa-cerdoti virtuali). La tradizionelocale della leggenda di Eneaviene presentata “a mozzichie bocconi” senza distinguerecome facevano i Latini i fatti

(facta) dalle finzioni (ficta). Ilmuseo non è integr ato conl’area archeologica, chiusaed inaccessibile, dell’anticaLavinium che continua ad es-sere una città virtuale nono-stante mezzo secolo d i sco-perte (villaggi preistorici, ne-cropoli, santuari, templi, de-positi votivi, abitazioni, forti-ficazioni, impianti artigianali,ville, terme, ecc.). Il museo èpraticamente isolato nellasua struttura e non fa partedi alcun circuito turistico, re-almente effettivo, sia in am-bito comunale che interco-munale: il territorio di appar-

PRATICA di MAREIl museo archeologico Lavinium

PRATICA di MAREL'ingresso al museo archeologicoLavinium, inaugurato nel 2005.Il museo, in un primo tempo, dovevaavere un diverso allestimento chevalorizzava la storia del luogo vistadal popolo dei Laurenti.

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tenenza, nel sito ufficiale delmuseo, è ancora identificatocon l’agro pontino! . I bambini di Pomezia hannoosservato ed analizzato lostato di queste cose ed han-no provato a cambiarlo real-mente progettando una pistaciclabile per unire la cittànuova con la città antica, ilpresente con il passato, lamodernità con l’antichità. Ibambini hanno misurato il

percorso, fatto sopralluoghi,valutata la fattibilità, propo-sto soluzioni, raccolto firme epresentato il progetto ai cit-tadini ed agli amministratorilocali. Il percorso, con la pi-sta ciclabile, non è stato an-cora realizzato, ma i bambininon hanno perso la fiducianel mondo degli adulti: primao poi ci sarà qualcuno, a Po-mezia, che crede nel futuro epensa al bene comune.

IL NUOVO E L'ANTICOI bambini di Pomezia, nel 2006, ave-vano progettato una pista ciclabileper unire quello che oggi è separato:la città nuova con la città antica, ilpresente con il passato, il patrimo-nio culturale con lo sviluppo educa-tivo e turistico della comunità localecoinvolgendo ed interessando legiovani generazioni.

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91MATER MATERIAIl geosito laurentinoAlle pendici della collina conle due rocche dell'antica Lavi-nium c'è la memoria naturalegeologica del luogo che rac-conta la storia di come si èformato il territorio. Il luogo,oggi, è sfruttato come un la-ghetto di pesca sportiva nonessendone riconosciuta lasua straordinaria importanzacome geosito, un monumentogeologico di grande valorepaesaggistico, turistico, edu-cativo e didattico. Nel geosi-to laurentino, come “luogodella Terra” , si possono ve-dere, in sezione stratigrafica,

le argille azzurre del Plioce-ne, le sabbie rosse delle du-ne antiche, i materiali vulca-nici che costituiscono lo stra-to fecondo del suolo.Il luogo, nella seconda metàdel XX secolo, era una cavadi argilla per fare mattoni etegole marsigliesi che veni-vano cotte nei grandi forn iora abbandonati. Le falde ac-quifere, attraverso le sorgen-ti, alimentano il lago e i pic-coli corsi d'acqua che conflui-scono nel fosso di Pratica, untempo sacro, ma ora ridotto atrasportare ogni genere di li-quami e veleni industriali almare

PRATICA DI MAREIl geosito con la memoria geologicadel luogo: in primo piano il lago chesi è formato dove un tempo c'era lacava di argilla.

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Il MITO di SERGIO LEONEA Pratica di Mare, nel picco-lo cimitero sulla collina, dadove si vede il mare, è sepol-to Sergio Leone (1929-1989),un mito del cinema italiano e

mondiale. Sulla sua tomba,con i leoni, c’è l' iscrizione:“C’era una volta, c’è, ci saràsempre” che ricorda la pe-renne attualità del mito nellastoria umana. Il sindaco dellaCapitale tentò di opporsi altrasferimento della tombadel regista da Roma a Praticadi Mare, ma l’ultima volontàdi Sergio Leone fu quella diradicarsi nell’antica terra deiLaurenti dove veniva spessocon gli amici affascinato dal-la bellezza del luogo e delpaesaggio.Il regista Sergio Leone puòessere considerato l'erededei grandi viaggiatori del La-zio virgiliano che riuscivano a

PRATICA DI MAREIl cimitero dove si trova la tomba diSergio Leone

PRATICA DI MARELa tomba di Sergio Leone con i leoni

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vedere i paesaggi “animati”.Scorci delle campagne intor-no a Pratica di Mare e ad Ar-dea li ritroviamo nei films diSergio Leone. Lo sguardo delviaggiatore-regista riusciva avedere l'aspetto locale/uni-versale di una realtà facen-dola diventare parte inte-grante di una narrazione.Sergio Leone era un grandenarratore di storie con perso-naggi che non dimenticano leingiustizie subite da prepo-tenti violenti ed arroganti. Ilpassato come memoria per-

sonale (il ricordo) e collettiva(la storia) è una forte motiva-zione, nel cinema del regista,a resistere ed a lottare perl'affermazione della dignitàumana.Nei films western di S ergioLeone, come nell’Eneide diVirgilio, c’è l’immancabilesfida finale tra il “buono” edil “cattivo”. La differenza èche il cattivo (l'invasoreEnea), nel poema virgiliano,vince, mentre il buono (l'indi-geno Turno) muore: è questoil brutto della realtà.

PRATICA DI MARELa scritta sulla tomba di SergioLeone ricorda la perenne attualitàdel mito

PRATICA DI MAREIl ritratto del regista nella tomba del

cimitero sulla collina

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Da PRATICA di Mare a POMEZIABenito Mussolini, il fondatore dell’impero che durò cinque an-ni (1936-1941) annunciò la fondazione di Pomezia nel 1936 du-rante l’inaugurazione di Aprilia.Un anno prima c’era stato l’inutile appello contro la “bonifica”dell’archeologo Giuseppe Lugli: ” Pochi, credo hanno percorsoquella pittoresca regione tra la tenuta di Castel Porziano e Ar-dea: il terreno abbastanza accidentato, solcato da strette vallie limpidi ruscelli, rivestiti di bassa macchia, conserva ancoraun aspetto primitivo e di secolare abbandono che solo viene in-terrotto da qualche casale e da ciuffi di boscaglie più alte. Lamano dell’uomo si è fortunatamente ast enuta finora dallosconvolgere quelle zolle sacre, dal profanare questa plaga sil-vestre densa di mistero e piana di emozione. Speriamo che unpaesaggio così suggestivo venga rispettato, ed anzi è da augu-rarsi che tutta la regione venga un giorno dichiarata parco na-zionale sotto il nome del grande poeta che creò l’epopea delleorigini di Roma”.

POMEZIA ORIGINARIALe fotografie di Pomezia,in bianco e nero, ci presentano la realtàdel territorio se le vediamo nel loro verocontesto paesaggisticocolorando il cielo, la terra e mettendo in evidenza gli orizzonti oggi perduti.La convinzione di moltiabitanti di Pomezia,in particolare le giovani generazioni,di vivere in una città fondata in una paludeè smentita quando si faesperienza del luogo.

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Per il duce del fascismo Benito Mussolini, ossessionato dalvuoto tra Roma e Littoria, la fondazione di Pomezia avrebbecompletato la grande impresa della “ romanità contro le forzenegative della natura”.Pomezia fu progettata, fondata, costruita ed inaugurata a tap-pe forzate, in tempi fascistissimi, dall’ottobre 1937 all’ottobre1939.2PTS è la sigla degli architetti (Petrucci e T ufaroli) e degli in-gegneri (Paolini e Silenzi) che vinsero il concorso per il pianoregolatore di Pomezia. Il nuovo centro di colonizzazione alleporte di Roma doveva essere un grosso borgo rurale di tremi-la abitanti per una popolazione complessiva di dodicimila.L’ideologia fondante di Pomezia è il Razzismo e la Guerra chele scelte urbanistiche rivelano come nelle colonie africanedell’impero fascista divise in zone per i bianchi e per i neri.“Razzisti erano anche i piani delle città nuove pontine; di undiverso razzismo, se si vuole, ma comunque chiaramente de-terminato. In quel caso la separazione avveniva tra i “coloni”,

TRATTORI E CARRI ARMATI“Pomezia, nuova città della terra bonificata,mette in marcia i trattori meccaniciprima dei suoi potenticarri armati”

Da “L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA” 29 ottobre 1939-XVIII

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i fanti della terra, e le gerarchie amministrative, impiegati esorveglianti in un destino prefissato e statico ” (Riccardo Ma-riani).Pomezia fu costruita con materiali vulcanici locali (il tufo, lapozzolana, la selce, la pomice), perché i materiali metallici co-me il ferro servivano per gli armamenti della prossima guerra.I coloni, appena arrivati, furono mandati a fare la guerra pochimesi dopo l’inaugurazione di Pomezia. Si riunivano nella piaz-za dell’Impero, oggi piazza Indipendenza, ed accompagnati daipreti ritornavano nella stazione di Santa Palomba per andare acombattere, come invasori, in Albania, in Grecia, in Africa, inRussia fino a quando la Guerra arrivò a Pomezia portando di-struzione, dolore e morte nelle stesse case e casali dove ave-vano lasciato parenti, mogli, figli.

IL FATALISMO DELLA GUERRAL'artista Eliano Stella,di Pomezia, ha immaginatola Guerra come una spirale fatale che riducel'Umanità in carnefici evittime che distruggono,violentano, ammazzanoe muoiono con ogni mezzo (spade, carri armati, bombe).Non ci sono vincitori e vinti: è la visione virgiliana della Storia con il grido“Guerre, maledette Guerre”(Bella horrida Bella)

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Le VISUALI di POMEZIAIl modello urbanistico di Pomezia si ispirava all’accampamen-to militare romano (castrum) ed alla società feudale. Il proget-to di Petrucci fu scelto, fondamentalmente, per le sue “visua-li paesistiche” con la terrazza panoramica verso il grande cra-tere vulcanico dei Colli Albani ed il viale alberato che avevacome riferimento la torre di Pratica di Mare. Il luogo, con la quercia di Pomona, si trovava a 105 metri sullivello del mare e ci si arrivava percorrendo la via di Petronel-la. Era un colle panoramico con la bella vallata sottostante delfosso della Crocetta. Il paesaggio fino ad Ardea era una suc-cessione quasi continua di boschi e boschetti come quelli delSughereto, di Cerasamarino, di Selva Piana, di Piangimino edella Banditella con sorgenti e corsi d’acqua.Le visione paesaggistica, originaria del luogo, che aveva sug-gestionato Concezio Petrucci, esiste ancora, ma non è più vi-sibile. Il centro storico di Pomezia, dopo la guerra, è stato in-globato da colate di cemento che hanno fatto sparire, nellapercezione degli abitanti, anche la presenza del colle panora-mico: ancora oggi c’è gente che crede di vivere in una cittàfondata in una palude! I normali processi di sviluppo economico a Pomezia, dopo lafine della seconda guerra mondiale, furono stravolti dagli in-terventi previsti dalla Cassa del Mezzogiorno (CasMez) che

POMEZIA: LA PIAZZA DELL'IMPERONella piazza dell'Impero del centrostorico di Pomezia, dominato dallatorre, erano collocati “gli edifici piùrappresentativi e più in contatto conla vita cittadina: la chiesa, la casacomunale, la casa del fascio, l'edifi-cio postale, la locanda, la trattoria, ilcaffè e nel lato della terrazza pano-ramica, i negozi e dei portici checon quello del comune costituisconoluogo di passaggio e di riunione”.Nelle immediate vicinanze dellapiazza c'erano il cinematografo, lacaserma dei carabinieri, il comples-so della Gioventù Italiana del Littoriocon la scuola e l'asilo, l'aziendaagraria dell'Opera Nazionale Com-battenti e le abitazioni.

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trasformò un minuscolo borgo agricolo in uno dei maggioricentri industriali d’Italia. A Pomezia, nel 1959, c’erano solodue impianti industriali: nel 1971 erano 151. Gli economisti, inItalia e all’estero, cercarono di capire le ragioni di questo stra-ordinario fenomeno industriale senza precedenti in materia diinvestimenti economici sul territorio; uno sviluppo economicorapidissimo aveva investito e sconvolto le strutture demogra-fiche e sociali dell’Italia centrale con lo scatenamento di for-ze che, ancora oggi, non si è in grado di controllare per l’im-provvisa rottura di un millenario equilibrio ambientale che fi-no a poco tempo fa aveva preservato i fondamentali beni co-muni: l’acqua, l’aria, il suolo.Le industrie di Pomezia furono classificate come “atipiche”perché non si fondavano su risorse locali o su oggettive con-dizioni di mercato, ma sull’esistenza di un fattore del tutto ar-tificiale e politico che determinava la localizzazione, l’attra-zione e l’addensamento degli stabilimenti industriali: una li-nea di frontiera, tracciata a tavolino, che collegava il T irrenoall’Adriatico dividendo l’Italia.

CONCEZIO PETRUCCI,l’architetto dalla doppia vitaL’architetto vincitore del concorso indetto dall’Opera Nazionale Combat-tenti aveva una doppia vita quando progettò Pomezia. Concezio Petrucci si era innamorato di una ebrea tedesca costretta ascappare dalla Germania nazista, dove aveva lasciato il marito ed un fi-glio ancora bambino, nel tentativo di sfuggire alla persecuzione razziale. Da questa relazione nacque una figlia nel 1938 quando, anche in Italia,cominciarono le persecuzioni razziali. Petrucci, architetto del regime, na-scose la vera identità della compagna facendola passare come la “go-vernante” della sua bambina. Il figlio della donna, rimasto in Germania,fu ucciso in un campo di concentramento, mentre in Italia Concezio Pe-trucci fu incaricato di progettare, all’EUR, il padiglione della Razza perospitare la mostra che teorizzava e giustificava, per motivi di igiene esanità, la “bonifica umana”, cioè l’eliminazione fisica di milioni di per-sone. Petrucci morì a Roma nel 1946 a soli 44 anni. La figlia, conosciu-ta la verità, percorrendo la via Pontina girava la faccia dall’altra partequando arrivava all’altezza di Pomezia.

“Tu mi chiedevi se ero fascista ed ionon sapevo cosa risponderti. Era la verità: non lo sapevo. Eppure proprio perché non sapevo, ero fascista”

Concezio Petrucci

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Il confine latino di questa frontiera, tra i Colli Albani ed il ma-re, fu spostato nel 1955 da Ardea a Pomezia per essere più vi-cino possibile, ma non troppo, al grande mercato romano. Co-minciò così la corsa agli incentivi, ai contributi, alle sovvenzio-ni ed alle agevolazioni economiche dello Stato che trasforma-rono il territorio tra Latina e Pomezia nel “far west industria-le” del Lazio.La mancanza di chiare direttive di sviluppo e di previsione neipiani di intervento determinarono radicali trasformazioni delpaesaggio e spostamenti di popolazione con gravi conseguen-ze urbanistiche e sociali che avrebbero potuto essere evitatecon una programmazione economica. Dopo la liquidazionedella Cassa del Mezzogiorno, nel 1984, cominciò il declino in-

Sopra e Sotto

L'ESPANSIONE di POMEZIAPomezia si espande in tutte le dire-zioni occupando lo spazio circostan-te. L'espansione avviene con la logi-ca dei saldamenti che riempie i“vuoti” di campagna tra il centro sto-rico ed il mare, i Colli Albani, Ardeae Roma.

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101dustriale di Pomezia che all’inizio del XXI secolo divenne irre-versibile. Il ventennio dell’industrializzazione forzata, nel terri-torio di Pomezia, aveva lasciato come eredità una situazioneambientale che la popolazione riuscì ad affrontare solo quan-do la realtà nascosta di Pomezia venne finalmente allo scoper-to. Non fu facile uscire da quell’inferno di sradicamento, inqui-namento, manipolazione delle coscienze che molti avevano ac-cettato fino a diventarne parte a tal punto da non vederlo più. Pomezia, vista da Ardea, si presenta come uno dei tentacoli ur-bani della capitale, la metropoli romana che avanza e si espan-de nella campagna, un vuoto da riempire di cemento: la conqui-sta della terra continua. Come un lago dalle rive basse si perdein acquitrini, così Roma continua ad espandersi per chilometriin una palude di cemento diluita nel territorio latino e laurenti-no passando da una periferia all’altra lungo la via Pontina (Eur ,Spinaceto, Tor de Cenci, Castel Romano, Pomezia). Questo con-sumo di suolo insensato che immobilizza capitali, risorse e viteumane, viene presentato, ancora oggi, come uno sviluppo fata-le utilizzando i miti del luogo (Enea, Minerva, Pomona).

Il Senso“Che senso ha il vostro costrui-re? Qual’ è il fine di una città incostruzione se non una città?Dove è il piano che seguite,il progetto?”

Italo Calvino

POMEZIA vista da ARDEAPomezia vista dal centro storico diArdea si presenta all'orizzonte con isuoi palazzoni che avanzano nellacampagna consumando suolo e co-prendo tutto di cemento.

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La TORRE MERIDIANANella piazza dell’Impero diPomezia (oggi piazza indipen-denza), dove confluiva e con-fluisce via Roma, ci sono duestrutture imponenti: la T orree la Chiesa. Gli altri edificiperimetrali (il palazzo comu-nale, la casa del fascio, l’uf-ficio postale) sono collegatida un elemento architettoni-co ricorrente: l’arco romano.La torre quadrata di Pomezia,distrutta durante la guerra ericostruita subito dopo, è alta25 metri con una terrazza pa-

noramica da dove si può an-cora riconoscere la naturadel luogo e vedere il paesag-gio industriale che la circon-da. La torre, in basso, è inglo-bata nel suo basamento diportici e funziona come unagrande meridiana con gli an-goli orientati secondo i punticardinali.La torre ha ai utato moltibambini di Pomezia ad orien-tarsi e a fare importanti sco-perte astronomiche, cioè acrescere scoprendo le rela-zioni del Luogo con il T utto.

POMEZIALa Campana della Torre1939

IL SERBATOIO DELL'ACQUANella torre, sotto la cella campana-ria, c'era il serbatoio che alimentaval'acquedotto comunale

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103Questi bambini avevanoideato un percorso educativoe didattico, aperto a tutti, perraggiungere, grazie alla tor-re, livelli di conoscenza loca-le/universale sempre più alti.L’obiettivo pratico e simboli-co del per corso all’internodella torre era quello di arri-vare sulla terrazza panorami-ca per (ri)scoprire Pomeziadall’alto. Inutile dire che ibambini sono stati fermati allivello più basso!

I BAMBINI E LA TORRELa Torre di Pomezia ha gli angoli orientati secondo iquattro punti cardinali. Guardando la Torre è possibileorientarsi nello spazio come hanno fatto i bambini dellescuole locali con un progetto educativo e didattico allascoperta del Cielo. I bambini sono partiti dalla conoscen-za dei monumenti archeologici di Lavinium, come il san-tuario dei tredici altari, per fare una ricerca di archeoa-stronomia tra passato, presente e futuro.

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rocchiale. Fu la curia vescovi-le di Albano a scegliere SanBenedetto come titolare del-la nuova parrocchia di Pome-zia. Era un modo per rendereomaggio al Duce: “Benedet-to” era come dire ”Benito”.La chiesa di Pomezia è gran-de, enorme: sembra vuotaanche quando è piena (puòcontenere fino a mille perso-ne). L’elemento dominantedell’unica navata rettangola-re, con le cappelle laterali, èl’arco della romanità. Un co-lossale San Ben edetto, ilGrande Bonificatore, è raffi-gurato nell’abside con SanMauro e S an Placido chehanno le facce dei figli delpittore Cipriano Efisio Oppo,l’artista che fu incaricato di

La CHIESA del GRANDEBONIFICATORELa chiesa di San Benedetto,nella piazza di Pomezia, è uncomplesso architettonico conun imponente edificio di cul-to, la sagrestia, la casa pa-

POMEZIA: Chiesa di San BenedettoIl battesimo di Gesù di Corrado Corelli

POMEZIA:La Chiesa di San Benedettocon il campanile

POMEZIA:La chiesa di San Benedetto, ilpatrono della città insieme aSanta Teresa del Bambin Gesù.

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decorare la chiesa che si ri-vela, soprattutto, nei suoiaspetti particolari (piccolesculture, quadretti). La storiadi San Benedetto fu scolpitada Venanzo Crocetti sulla

facciata della chiesa sotto iventi piccoli archi con le ve-trate. Venanzio Crocetti hascolpito anche le quattro for-melle in bronzo con gli evan-gelisti nel portone centrale.

POMEZIA: Chiesa di San BenedettoL’architrave di marmo con la storiadi San Benedetto scolpita da Venan-zo Crocetti

POMEZIA: Chiesa di San BenedettoLa storia di San Benedetto (partico-lare) con San Placido che presentail modellino della chiesa

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LA CASA COMUNALE

Nella storica piaz za dell'Im-pero di Pomezia, destinataalle grandi adunate, ci sonodue palazzi che si fronteggia-

no sui due lati meridionale esettentrionale: negli ingressimonumentali sono scolpiti isimboli che identificavano il

POMEZIALa casa comunale (Municipio) primadel rifacimento della piazza

POMEZIAIl portone d’ingresso della casacomunale

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Comune e lo Stato fascista.Lo stemma della casa comu-nale rappresenta il busto diuna donna, racchiusa in unoscudo coronato, tra due aqui-le imperiali. L'immagine della donna, conla cesta della frutta sul capo,fu scelta dall'Opera Naziona-le Combattenti come simbolodella nuova città ispirandosial mito latino della dea Po-mona, ma anche alle giovanicontadine del luogo. La gio-vane donna, vestita di verde,aveva un fazzoletto rosso conuna cesta d'oro ricolma dispighe e di frutta. I colori delcomune di Pom ezia sonol'azzurro e il rosso per ricor-dare i due elementi fonda-mentali del territorio: il mareed il vulcano.Un'altra immagine di donna,con un bambino, si trovavaall'interno della casa comu-

nale. L'attuale portone d'in-gresso al municipio è decora-to da pannelli, con 12 scultu-re in legno realizzate dai ra-gazzi di una scuola media diPomezia.Le sculture r accontano lastoria del luogo fin dalle ori-gini e le trasformazioni dellacittà nel corso del tempo.

POMEZIALo stemma, in marmo, delComune di Pomezia tra ledue aquile imperiali

POMEZIAIl portone della casa comunale

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109POMONA a POMEZIA

Nel palazzo comunale di Pomezia c’è stata, per poco tempo,

una pittura murale realizzata con una tecnica molto antica,

l’encausto, da Ferruccio Ferrazzi. Rappresentava una donna

con un bambino su un carro trainato da due cavalli guidati da

un giovane uomo. Era l’unica opera d’arte di Pomezia che ri-

chiamava alla memoria la natura del luogo ed i suoi miti ance-

strali. Per il pittore era una “Elegia terrestre”, un inno alla ter-

ra che si ispirava a “Pomona e V ertumno” dell’artista Pontor-

mo. La pittura di Pomona rivelò subito che i muri di Pomezia

erano stati fatti con la sabbia di mare per risparmiare sui costi

di costruzione. I colori diluiti nella cera ed applicati a caldo si

alteravano e l’artista era disperato, ma riuscì a finire l’opera

che fu danneggiata dall’esplosione della torre, nel 1944, e poi

ricoperta ed imbiancata senza lasciare traccia.

Il mito di Pomona è raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi (li-

bro XIV, 623-771) subito dopo la morte di Enea, assunto in cie-

lo. Pomona era una amadriade, la bellissima ninfa di una quer-

cia locale che non era una divinità immortale: la sua vita dipen-

deva da quella dell’albero. Se la quercia bruciava o veniva ta-

gliata, Pomona moriva. Ovidio descrive Pomona che aveva una

falce ricurva, come quella di Saturno, per curare le piante. Po-

mona amava tutte le piante, ma soprattutto quelle che germo-

gliavano, generavano e fruttificavano. La ninfa le curava, le po-

tava, le innestava, le irrigava, le proteggeva con le recinzioni

dalla violenza dei rurali. Nessun uomo poteva entrare nei me-

ravigliosi frutteti (Pomaria) di Pomona. Ci riuscì solo Vertumno,

il Trasformista che si travestì da povera vecchietta, raccontò

storie di amori non corrisposti, ma Pomona si innamorò soltan-

to quando Vertumno si presentò con il suo vero aspetto senza

più finzioni, travestimenti ed ipocrisie.

POMONA e VERTUMNO Di Francesco Melzi (1491-1570)

Nella pagina accantoLA DONNA con il BAMBINONella casa comunale di Pomezia c'era una pittura ad encaustodi Ferruccio Ferrazzi con un simbolo di pace: una donna con un bambino

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Il CULTO del LITTORIO“Per due decenni, sotto il governo fascista, le piazzed'Italia, dalle grandi città ai piccoli paesi, furono trasfor-mate in un unico, immenso scenario dove milioni di per-sone celebravano, con una simultanea coralità, scandi-ta da un ritmo continuo, le feste della nazione, gli anniversari del regime, le vit-torie della “rivoluzione”, il culto dei caduti, la glorificazione degli “eroi”, la con-sacrazione dei simboli, le apparizioni del duce. Molte altre cerimonie, adunate,parate, mostre e pellegrinaggi d'occasione moltiplicavano il ciclo annuale deiriti di massa del regime fascista. Popolo e paese furono avvolti in una fitta retedi simboli che abbracciava l'urbanistica e il paesaggio, le macchine e i monu-menti, l'arte e il costume, gli abiti e i gesti, imprimendo ovunque e su tutto, dal-lo stemma dello Stato ai tombini di strada, l'emblema del fascio littorio”

Emilio Gentile

IDEOLOGIA e ARCHEOLOGIAIl fascismo praticava una archeologia simbolica che esaltava la romanità con i suoi riti, miti e cul-ti. Il fascio littorio, ritenuto un simbolo dell'antica Roma, fu il primo culto imposto dal fascismo. L'in-carico di ricostruire l'immagine del fascio littorio nella sua versione originale fu affidato a Giaco-mo Boni, l'archeologo che dirigeva gli scavi nel foro romano e sul Palatino. Il modello romano-fa-scista, simbolo di forza e di dominio legato al potere di vita e di morte dei supremi magistrati di Ro-ma, rappresentava un fascio di verghe legate insieme da lacci di cuoio (fasces) con una scure col-locata di lato a significare la guerra. Il fascio littorio, nel 1926, fu dichiarato “emblema” dello Sta-to, un marchio da collocare su ogni opera del regime fascista come a Pomezia. I fasci littori, nel1929, sostituirono i leoni di sostegno dello scudo dei Savoia nel nuovo stemma dello Stato Italiano

XVII=VIXIIL CATTIVO PRESAGIO

Pomezia fu fondata nell'anno XVII dell'Era Fascista. Gli antichi latiniassociavano il numero XVII, cioè 17, ad un presagio di morte perché con le stesse lettere si poteva scriverela parola VIXI, cioè “vissi”, “sono morto”, “non esisto più”

L'ERA FASCISTAL'era fascista fu creata dal fascismoadottando come data di inizio quella delgiorno successivo alla marcia su Roma,che avvenne il 28 ottobre 1922. Il primoanno dell'era fascista iniziava il 29 otto-bre 1922 e terminava il 28 ottobre 1923.L'obbligo di aggiungere, in numero ro-mano, l'anno dell'era fascista accanto aquello dell'era cristiana entrò in vigorea partire dal 29 ottobre 1927

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POMEZIALa casa del fascio era il palazzo con i saloni per le riunioni e gli uffici delle organizzazioni fasciste (la Milizia, il segre-tario politico, i fasci femminili, i combattenti e mutilati, i sindacati). Il palazzo era stato progettato con un un ingressoanche su via Roma.

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La GIOVENTU’ delLITTORIOMolti bambini di Pomeziavanno ancora a scuola neglistorici locali dove un temposi formava la Gioventù del lit-torio. L’architettura, come ar-te del regime, aveva una fun-zione “educativa” come di-mostra anche l’ingressoavanzato con il portale dellaGIL rispetto a quello rientratoe quasi nascosto della scuolaelementare. L’educazione fa-scista metteva in primo pia-

no gli esercizi fisici, la ginna-stica, lo sport per preparare igiovani a combattere, a farela guerrra. La casa della GILcon la palestra, la scuola ele-mentare e l’asilo d’infanziacostituiva un uni co blocconelle immediate vicinanzedella piazza delle adunate, lapiazza dell’Impero. Le palmedei giardini ricordavano aibambini che crescevano il lo-ro destino di futuri soldati elegionari nelle colonie africa-ne dell’impero fascista.

Il MONUMENTO dei COLONII coloni di Pomezia, provenienti dal-l’Italia (i Romagnoli), dalla Bosnia (iTrentini), dalla Romania (i V eneti) edalla Francia condividevano un desti-no di sradicamento essendo stati co-stretti a lasciare le te rre di origi neper calamità naturali o per motivi so-ciali e politici (disoccupazione, di-scriminazione, nazionalismi, guerre).

POMEZIAIl palazzo, con la palestra, della Gio-ventù Italiana del Littorio

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L'EDUCAZIONE alla GUERRAUn bambino di Pomeziapresenta l'arma al duce

che passa con i gerarchi fascisti.

BAMBINI SOLDATIIl fascismo, come ogni ideologia totalitaria (nazismo, comunismo, imperialismo, colonialismo ecc.)

educava alla guerra fin dall'infanzia.Il suddito ideale

del regime totalitarioè l'individuo per il quale

la distinzione fra realtà e finzione, vero e falso, non esiste più

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Il CIMITERO dei SOLDATI TEDESCHI Nei cimitero monumentale di guerra tedesco, a Pomezia, sono sepolti 27.443 soldati del III Reichche dal 1943 al 1945 misero in atto ogni genere di violenza (distruzioni, deportazioni, torture,rappresaglie, massacri) fino a diventare essi stessi vittime delle atrocità della guerra scatenata dalnazismo. Erano giovani, molti avevano meno di 20 anni, che combattevano ed ammazzavano con laconvinzione che dio fosse dalla loro parte: sulla fibbia della loro cintura c'era un aquila con lascritta “GOTT MIT UNS” (Dio è con Noi)

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I l CIMITERO MILIT ARETEDESCOIl cimitero militare tedesco diPomezia, dove sono sepo lti isoldati del III Reich, è uno deipiù grandi d'Italia per quantoriguarda i caduti della Germa-nia nazista. Fu inaugurato il 6maggio del 1960 su un'area dicirca 10 ettari, offerta gratui-tamente dallo Stato Italiano,nei pressi del b osco del Su-ghereto. Si presenta come ungrande prato verde, diviso inventi blocchi con migliaia dicroci in pietra, tutte allineate,sotto alberi sempreverdi (pini,cipressi, querce). Un viale cen-trale, subito dopo l'ingresso,conduce al monumento con iquattro pilastri angolari ch esostengono la piatta coperturasopra la grande fossa comune.Nel grande blocco scolpito configure di donne e bambini, alcentro del monumento, c'è lascritta bilingue tedesco/italia-no sotto cinque croci: “LA SUAVOLONTA' LA NOSTRA PACE”.Migliaia di soldati non hannoun nome: i loro resti furono

trovati in tombe sparse nellazona di Ardea, di Aprilia, e diPomezia dopo lo sbarco delleforze alleate nella zona traTorre Astura e Tor San Lorenzo(22 gennaio 1944). Il cimitero militare tedesco diPomezia, poco frequentato daabitanti e turisti, è da visitareleggendo un libro della scrittri-ce Simone Weil “Sulla Germa-nia totalitaria”. Le sue rifles-sioni sulle origini dell'hitleri-smo ci riportano all'antica Ro-ma ed alla stor ia del nostroterritorio. I Nazisti, secondoSimone Weil, “sono stati i piùscrupolosi allievi dei Romaniperché ne hanno imitato letecniche terroristiche per di-ventare padroni del mondo” Alla luce dell'analisi di Simo-ne Weil è sconvolgente sco-prire che Enea, il progenitoredei Romani, quando decide disterminare i Laurenti incita isuoi guerrieri con il grido “IUP-PITER HAC STAT”, (En., libroXII, 565) equivalente al “GOTTMIT UNS” dei nazisti.

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Il PAESAGGIO PERDUTOLa piazza storica di Pomeziasi apriva a nord est con unavisione paesaggistica verso iColli albani dove c'è il grandecratere del Vulcano Lazialeche ha formato il territoriocon i suoi pian ori di tufo.L'originaria apertura paesag-gistica che identificava la na-

tura del luogo era preannun-ciata da un giardino che invi-tava a passeggiare fino al li-mite del colle per guardarelontano. Quella visione, oggi,è scomparsa facendo veniremeno la stessa funzione deiportici che, in origine, inqua-dravano la prospettiva pae-saggistica. La ristrutturazio-ne della piazza, alla fine delXX secolo, ha d efinito unabella area pedonale dove ibambini di Pomezia possonogiocare al centro della città,ma la grande vasca-piscinacon le fontane monumentalisotto la torre, limita lo sguar-do. Una inuti le recinzioneisola il giardino dal resto del-la piazza che ha perso la suaprospettiva. Attraversando ilgiardino alberato si arriva

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dove c'è, sulla sinistra, unasorella della quercia di Po-mona. La sughera, avendo adisposizione più spazio diterra, ti fa capire, solo guar-dandola, quanto soffre la

quercia di Pomona sulla stra-da. Vicino alla sughera si ri-vede il Vulcano Laziale, madove una volta c'era una val-lata c'è ora solo una bucacon un parcheggio.

POMEZIALa visione paesaggistica dallaterrazza panoramica di Pomezia in costruzione

POMEZIALa visione attuale dal giardinodella piazza

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Il BOSCO del SUGHERETOIl bosco del Sughereto è l'im-magine speculare di comeera il luogo dove fu fondataPomezia. Passeggiare in que-sto bosco sign ifica fare unviaggio nel te mpo, passaredalla modernità di Pomeziaalla realtà di un altro mondoche da migliaia di anni r/esi-ste accanto a noi. Nel mondolatino la sughera (Quercussuber) era la pianta madreper eccellenza sempre asso-ciata alla prolifica scrofa: su-beries (sughera) e sus (scro-fa) hanno la stessa radice la-tina. Le sughere sono speciearboree che esistono da oltre60 milioni di anni e costitui-scono una caratteristica am-bientale della parte occiden-tale del mar Mediterraneo.Nel Sughereto di Pomezia,con un fitto sot tobosco dimirti, cisti, a llori, ci sonopiante alte quasi 20 metri equalcuna ha più di 200 anni.La sughera è un albero sem-preverde che teme il freddointenso ed il fuoco dal qualesi difende con uno straordi-nario isolante naturale eignifugo: il sughero.Le radici sono a fittone, cioèpenetrano nel terreno quan-do la pianta è giovane, mapoi si ramif icano intensa-mente e, come aveva già no-tato il poeta Virgilio, siestendono in pr ofondità

quanto l'altezza della pianta:così in basso come in alto! Lasughera fiorisce da aprile amaggio e sulla stessa piantaci sono fiori maschili e fem-minili.Molti bambini di Pomezia,soprattutto quelli più piccolidelle scuole d ell'infanzia,hanno imparato a conoscereil bosco del Sughereto conesperienze educative e didat-tiche attraverso i miti localilegati alla natura del territo-rio (Pomona, Pico, Canente,Fauno). La scomparsa del Su-ghereto di Pomezia, ridottoormai a pochi ettari di boscocon al centro una universitàfrequentata da migliaia distudenti, segnerà la fine diun mondo dove e ra ancorapossibile, a Pomezia, alimen-tare la fantasia e l'immagina-zione dei bambini con la sco-perta di una straordinaria re-altà locale.

POMEZIAIl bosco del Sughereto, a sud est diPomezia, si presenta dall'alto come

una macchia verde delimitata da co-struzioni.

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POMEZIAIl bosco del Sughereto con piante che hanno più di 200 anni

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ENEA TOURLa Porta LaurentinaPomezia era destinata ad essere la porta dell’agro redento,

cioè l’inizio di un percorso turistico che avrebbe dovuto porta-

re i visitatori dell’Esposizione Universale Romana, nel 1942, a

scoprire come il regime fascista aveva vinto la battaglia con-

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121tro la “mortifera palude”. La via di penetrazione era la Media-

na, oggi Pontina, che collegava Pomezia con Aprilia e Littoria.

La guerra travolse tutto e tutti.

Oggi c’è un nuovo ed innovativo percorso turistico riconosciu-

to come itinerario culturale europeo che promuove la cono-

scenza di Pomezia nei suoi molteplici aspetti (geologici, ar-

cheologici, storici, sociali, ambientali, culturali, urbanistici) li-

berando questa città da una soffocante visione ideologica del-

la sua storia che condiziona il suo passato ed il suo futuro.

L’itinerario è quello ideato dal Virgilio duemila anni fa quando,

mutatis mutandis, c’era la stessa situazione di sradicamento

della realtà locale. Il poeta aveva inaugurato, con lo Sguardo

della Dea, una visione d’insieme di quella che oggi è l’area me-

tropolitana di Roma. L ’interpretazione ideologica dell’Eneide,

messa a punto durante il fascismo, ha impedito il riconosci-

mento del Lazio virgiliano con gravi conseguenze per la sua na-

tura e la sua storia. La riproposta, sotto varie forme, di questa

interpretazione ideologica perpetua a Pomezia la separazione

tra presente e passato, tra beni culturali e vita sociale, tra pa-

trimonio locale e sviluppo economico. La riscoperta di Pome-

zia, con la sua antica porta laurentina, è innanzitutto la prima

forma di rispetto dei suoi abitanti, vecchi e nuovi, passati, pre-

senti e futuri. Pomezia, con il suo territorio, è una parte impor-

tante del Lazio virgiliano. Diversamente da Ardea, dove le aree

archeologiche sono nel centro abitato, a Pomezia la città anti-

ca è separata dalla modernità sempre più vicina e travolgente.

Queste diversità locali sono il grande valore del Lazio virgilia-

no che l’itinerario ENEA TOUR valorizza e promuove. La meto-

dologia è quella sistematica e narrativa dell’Eneide di V irgilio

interpretata “filologicamente” rispettando quello che il poeta

ha scritto nel suo capolavoro senza tempo ispirandosi alle tra-

dizioni locali del nostro territorio.

ENEA TOURIl logo, marchio di qualità del per-corso turistico

UN NUOVO BENE CULTURALEIl circuito ENEA TOUR: le originilatine di Roma ha avuto il rico-noscimento di “Itinerario cultu-rale europeo”. ENEA TOUR è unnuovo bene culturale dell'areametropolitana di Roma che va-lorizza il patrimonio locale (lanatura, la storia, la cultura,l'economia) nel suo contesto diappartenenza: il paesaggio delLazio virgiliano

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RITORNA alle ORIGINI

IN QUESTO LUOGO CHE OGGI È POMEZIA,LUNGO LA STRADA DOVE VIVO TRA ESALAZIONI GASSOSE,

VELENOSE ED INQUINANTI TI RICORDO CHE NON DIPENDO DA TE

SE NON PER IL RISPETTO CHE DEVI AD OGNI FORMA DI VITA

MATERIALE, VEGETALE, ANIMALE ED UMANA.SO ASSIMILARE E TRASFORMARE GLI ELEMENTI PRIMORDIALI

DELL’ESISTENZA. DAL POCO TERRENO CHE MI HANNO LASCIATO

ASPIRO L’ACQUA E I MINERALI DISCIOLTI,MENTRE MI NUTRO DIRETTAMENTE DELL’ENERGIA SOLARE E

SVILUPPO OSSIGENO, QUELLO CHE RESPIRI. SE ABITI IN QUESTO TERRITORIO O VIENI DA FUORI FERMATI UN

MOMENTO, GUARDAMI E PENSA. TRAMITE ME, CHE UNISCO TERRA

E CIELO, CONSCIO ED INCONSCIO, PUOI SALIRE E SCENDERE,PASSARE DALLA MATERIA OSCURA E SOTTERRANEA,

DA CUI UN GIORNO SEI USCITO, ALLA PURA ENERGIA LUMINOSA.PUOI RISCOPRIRE LE TUE ORIGINI GRAZIE ALL’ALBERO

GENEALOGICO I CUI RAMI SONO I TUOI ANTENATI E RITROVARE

L’UMANITÀ INTERA NELL’ALBERO DELL’EVOLUZIONE

CHE TI COLLEGA CON LA VITA NEL SUO ESPANDERSI.RIAFFONDANDO NELLE TUE E MIE RADICI PUOI ATTINGERE ALLA

FONTE, ALLE ACQUE PRIMORDIALI DI OGNI VITA

PAX INTRANTIBUS EXEUNTIBUS

SALUS

La Quer c ia d i Pomona

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I LUOGHI DELL'ENEIDE: SEI GUIDE PER CONOSCERE UN MITOa cura di Giosuè Auletta e Michele Zuccarello

Le nuove guide edite dalla Alice Comunicazione, presentano, illustrano e raccontano l'area metro-politana di Roma attraverso un viaggio affascinante nei luoghi del Lazio che hanno ispirato l'Enei-de di Virgilio. L'itinerario è quello delle origini latine di Roma (Enea T our), un nuovo bene culturaleche integra ogni luogo nel suo contesto di appartenenza: il paesaggio classico della latinità. Ardea, Lavinium, Albunea, Ficana, Pallanteum, Monte Cavo fanno parte di un insieme territorialeed introducono alla conoscenza di una nuova visione di Roma e della sua storia. Le sei guide delLazio virgiliano mettono in pratica l'antica “Arte della Memoria” riportando alla luce i miti, i popo-li, i santuari, le città, i monumenti, i personaggi del mondo latino intorno alla Capitale d'Italia. Il mito dell'Eneide ritrova, finalmente il suo territorio di riferimento, il suo paesaggio di memorie, lesue storiche radici nei luoghi dove Virgilio immaginò l'età dell'oro.

LA VERA ENEIDE DI VIRGILIO

Nel testo della guida sono citati alcuni autori che si invita a conoscere: Italo Calvino,Simone Weil, Hannah Arendt, Philip Dick, Emilio Gentile, Riccardo Mariani, ma si invi-ta, innanzitutto, se si vuole comprendere fino in fondo il valore della storia locale/uni-versale, a scoprire la vera Eneide di Virgilio. Il poema virgiliano, in particolare a Po-

mezia e a Roma, continua ad essere sistematicamente fatto a pezzi, manipolato, stra-volto, utilizzato a fini ideologici per impedire di conoscere quello che il poeta ha ve-ramente scritto. L'Eneide va sempre letta con il testo latino a fronte, anche se non

sapete una sola parola di latino, perché non è stata scritta in italiano o in quelle tra-duzioni incomprensibili tipo Annibal Caro imposte dalla scuola italiana.

Il personaggio di Enea, descritto da Virgilio nell'Eneide, è del tutto inventato, ma an-cora non si è capaci di demitizzare il mito di Enea. Il fatto che oggi si sia convinti chela realtà sia stata mascherata con degli artifici non implica, di per sé, la capacità di

analizzare criticamente i valori di quella realtà trasmessi con la finzione e l'ideologia.Visitando Laurentum/Lavinium/Pomezia ed il suo territorio è possibile conoscere larealtà di una storia ancora segreta e, finalmente, scoprire la vera Eneide di Virgilio.

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