La città dei cittadini

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27 “La città dei cittadini” La sigla ‘CF+S’ appare enigmatica, il titolo ‘Città per un futuro più sostenibile’ già meno. Si tratta di una “biblioteca virtuale” insignita da molti premi internazionali, a partire da quello promosso dall’ONU con il programma ‘Habitat II’ del 1996, e diretta dagli architetti Agustìn Hernandez e Mariano Vazsquez con la collabo- razione di urbanisti e architetti spagnoli e latino- americani. ‘CF+S’ è una vera ‘miniera’ di quelle che gli anglofili ci fanno chiamare ‘best practices’ e che qui diventano, appunto, ‘buenas practicas’ cioè quello di cui abbiamo bisogno per uscire dal vicolo cieco in cui ci hanno condotto un modello economico energivoro e gli eccessi della politica urbanistica degli ultimi quarant’anni trascinata da speculazioni immobiliari e smanie da arketing urbano. L’indirizzo web della Biblioteca (certo, tutto è in spagnolo, ma il buon senso è facilmente comprensibile!) è: http://habitat.aq.upm.es/ a cura di Daniele Lauria Addentrandomi tra i tan documen disponibili online mi ritrovo a leggere che “Osservando le nostre grandi cià che si espandono ogni ora, ogni giorno, ogni anno araendo colonie di migran, divorando l’ambiente su cui esten- dono i loro tentacoli, come polpi gigan, si avverte una sorta di brivido, come se essi tesmonino i sintomi in qualche strana malaa sociale. […] Questa crescita mostruosa delle cià di oggi è il risultato di molteplici cause e dove l’ambiente urbano si deteriora, la convivenza tra gli uomini, la civiltà stessa è in gioco.” …il tono è forse alsonante ma ciò che stupisce è che si traa di un testo (“L’evoluzione delle cià” di Elisée Reclus) del 1895! Ripeto 1895, non è un refuso. Come a dire che da troppo tempo le mutazioni sociali, eco- nomiche, urbane che hanno coinvolto le nostre cià le hanno trasformate in luoghi in cui la vita vera, le relazioni umane scompaiono progressivamente.

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“La città dei cittadini” La sigla ‘CF+S’ appare enigmatica, il titolo ‘Città per un futuro più sostenibile’ già meno. Si tratta di una “biblioteca virtuale” insignita da molti premi internazionali, a partire da quello promosso dall’ONU con il programma ‘Habitat II’ del 1996, e diretta dagli architetti Agustìn Hernandez e Mariano Vazsquez con la collabo-razione di urbanisti e architetti spagnoli e latino-americani. ‘CF+S’ è una vera ‘miniera’ di quelle che gli anglofili ci fanno chiamare ‘best practices’ e che qui diventano, appunto, ‘buenas practicas’ cioè quello di cui abbiamo bisogno per uscire dal vicolo cieco in cui ci hanno condotto un modello economico energivoro e gli eccessi della politica urbanistica degli ultimi quarant’anni trascinata da speculazioni immobiliari e smanie da arketing urbano. L’indirizzo web della Biblioteca (certo, tutto è in spagnolo, ma il buon senso è facilmente comprensibile!) è: http://habitat.aq.upm.es/

a cura di Daniele Lauria

Addentrandomi tra i tanti documenti disponibili online mi ritrovo a leggere che “Osservando le nostre grandi città che si espandono ogni ora, ogni giorno, ogni anno attraendo colonie di migranti, divorando l’ambiente su cui esten-dono i loro tentacoli, come polpi giganti, si avverte una sorta di brivido, come se essi testimonino i sintomi in qualche strana malattia sociale. […] Questa crescita mostruosa delle città di oggi è il risultato di molteplici cause e dove l’ambiente urbano si deteriora, la convivenza tra gli uomini, la civiltà stessa è in gioco.” …il tono è forse altisonante ma ciò che stupisce è che si tratta di un testo (“L’evoluzione delle città” di Elisée Reclus) del 1895! Ripeto 1895, non è un refuso. Come a dire che da troppo tempo le mutazioni sociali, eco-nomiche, urbane che hanno coinvolto le nostre città le hanno trasformate in luoghi in cui la vita vera, le relazioni umane scompaiono progressivamente.

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Altri libri, anche questi non proprio recenti, testimoniano quanto poco si è fatto nei decenni per rispondere all’appello di chi, già mezzo secolo fa, de-nunciava gli eccessi di uno sviluppo insostenibile. Eppure la svolta è dietro l’angolo: oggi l’ambiente (anche quello urbano) soffre ‘malattie’ sempre più aggressive ma anche più curabili dotandosi, di un pizzico di buona volontà e, buone pratiche, appunto. Come avviene in tante città sudamericane, come Curitiba guidata per anni dall’architetto Jaime Lerner che chiude questo se-condo numero di ‘Firenze Dispari’.Tanti sono poi i testi che promuovono il tema di una ‘urbanistica sociale’ che altro non è che la riproposizione di una città centrata sui bisogni e i desideri di chi la abita. Da qui nasce, in molte parti del mondo, il protagonismo dei comitati cittadini di base e da questa considerazione parte l’ultimo libro di Agustin Hernandez: “La città dei cittadini” dove la preposizione ‘dei’ potreb-be anche essere ‘ai’ o ‘per’, il senso cambierebbe di poco. Ho trovato interessante la declinazione di due questioni chiave: l’ambien-te urbano come elemento di genesi della qualità della vita ovvero è tempo di recuperare e ‘riabilitare’ l’habitat urbano come scenario ‘sociale’ in cui il cittadino è il protagonista su cui si centrano le politiche urbane, della re-sidenza, dei servizi, della mobilità; e la responsabilità urbana come punto di sintesi della libertà individuale, della responsabilità sociale (delle nostre azioni come della relazione tra la proprietà privata e lo spazio urbano circo-stante), della responsabilità ecologica cui dovremmo fare ricorso quando ci muoviamo, quando produciamo scarti e rifiuti, quando ‘lasciamo un ‘segno’ del nostro passaggio.Nel testo, Hernandez si sofferma sulla definizione della città-quartiere che non è negazione della valenza strategica che può avere un’area metropoli-tana ma, anzi, ne è l’elemento cardine, essenziale per ridare qualità alla vita quotidiana e per ridurre il congestionamento tipico delle città che sono state pianificate sotto l’effetto di zonizzazioni funzionali eccessive.Importante, poi, la valenza che l’autore dà al ‘quartiere’ non come perimetro amministrativo ma come spazio delle relazioni e dell’interdipendenza per un recupero delle occasioni di convivenza, degli spazi multifunzionali, della pre-valenza dello spazio pubblico (che significa che è della comunità) sugli inte-ressi privati, della ‘coesistenza’ che, già teorizzata da Schoonbrodt nel 1995*, oggi si potrebbe tradurre con la logica della condivisione (‘sharing’). Il ‘quartiere’ così definito è però più di quello che identifichiamo con la ‘zona di vicinato’ o che centriamo su una piazza perché deve innescare relazioni e integrazioni più ampie, deve garantire funzioni e servizi che per sostenersi hanno bisogno di una utenza sufficientemente numerosa.

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*”La coesistenza degli uomini tra loro e la coesistenza delle loro attività come sinonimo di convi-venza degli esseri umani e di si-nergia tra le loro attività”

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Di fatto il ‘quartiere-città’ di Hernanez è molto simile a quello pensato dal celeberrimo ‘Media-Lab’ del MIT di Boston che ha messo a punto un progetto che si chiama ‘Back to the future’ (non è la traduzione del titolo della locale festa del PD!) in cui si pianifica un ritorno alla logica del ‘quartiere’, di uno spazio urbano di dimensioni limitate dove ogni cittadino può avere facile ac-cesso ai servizi della vita quotidiana, in un tessuto verde e servito da mobilità a impatto zero. Guardare indietro per andare avanti.Quindi il ‘quartiere’ diventa l’unità di misura della città ‘diffusa’ che diven-ta tessuto connettivo, rete fluida di spostamenti veloci, maglia di attività ed eventi di respiro metropolitano. Pensando a Firenze, l’idea del ‘quartiere-città’ potrebbe aiutare nel recupero dell’identità di aree un tempo vitali, ridefinire un tessuto sociale, culturale ed economico di base e, perfino, dare nuova luce alle logiche di recupero dei contenitori dismessi: un certo numero di aree ed edifici vuoti possono essere messi a disposizione delle comunità di ‘quartiere’ mentre altri, per di-mensione e ‘posizione’ potrebbero diventare, anche con i modi suggeriti qui da Roberto Melosi, protagonisti di grandi azioni di rigenerazione urbana. In-fine potremmo provare, su questo modello urbano, a ridisegnare la mobilità pubblica e ridefinire i confini di quella privata, non solo per rendere il centro storico più accessibile e vivibile ma anche per guadagnare, tutti, tempo e salute!

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Copenhagen vista da “GEHL Architects” http://gehlcitiesforpeople.dk

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