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100 LA CHIESA DI SAN DOMENICO IN RAVENNA: NOTIZIE SULLA “FACIES” MEDIEVALE ATTRAVERSO ALCUNE INDAGINI INEDITE di Paola Novara 1. I Predicatori a Ravenna L’ingresso dei Frati Predicatori di San Domenico in Ravenna data al 1269 e alla volontà dell’arcivescovo Federico Fontana, che invitò la famiglia a insediarsi in città (Novara 2008b). L’Ordine dei Predicatori fu fondato da Domenico di Guzman (1173-1221) nel 1215, anno in cui Domenico si recò a Roma e presentò a papa Innocenzo III la domanda di approvazione della sua ipotesi di creazione di un nuovo gruppo. La nuova famiglia religiosa venne definitivamente approvata, dopo la prima accettazione da parte di Innocenzo III, da Onorio III nel 1216. Secondo la ricostruzione di Lino Sighinolfi (Sighinolfi 1929), cui si deve l’analisi dei superstiti documenti legati alla fondazione del convento ravennate (Curradi 1993, n. 70, p. 787), prima del loro ingresso in città, i Frati Predicatori chie- sero che fosse assegnato loro il luogo ove era ubicata una casa appartenente all’arcivescovo. Il 2 marzo 1269, nella sacrestia della chiesa di S. Giovanni Evangelista, l’arcivescovo Filippo Fontana sancì ufficialmente la presenza dei Domenicani in Ravenna e concesse a frate Ugolino e a frate Gerardo, che rice- vevano a nome del loro ordine, il palazzo e la torre che si diceva fossero appartenuti un tempo al Baccalario, posti nella regione di S. Agnese, per costruirvi la chiesa, il cimitero e le abitazioni dell’ordine. Benvenuto, abate del monastero di S. Giovanni Evangelista, con l’autorizzazione dei confratelli, aggiungeva a ciò la cappella di S. Maria in Caliope unita ai predetti palazzo, torre e corte, con tutti gli averi, perché senza quella chiesa l’ordine non avrebbe potuto costruire con comodità le strutture che aveva intenzione di realizzare. La chiesa fu intitolata alla Beata Vergine Madre di Dio e a San Domenico. Risulta particolarmente difficile ipotizzare lo sviluppo to- pografico descritto nelle fonti. Anche la definizione dei confini presente nel documento di insediamento offre scarse possibilità di ricostruzione. La cappella di S. Maria in Domo qui grece di- citur in Caliope, è documentata a partire dal X secolo (a. 975, AAR, F 2330: ed. Benericetti 2002, n. 189, pp. 274-278), ma non se ne conosce l’epoca di fondazione (Novara 2008a). Secondo una carta del XII secolo (a. 1193, AAR, H 3092: ed. Fantuzzi, I, n. 148, pp. 337-338; Id. V, p. 165), si trovava in prossimità del capitolium, la cui ubicazione ci è sconosciuta, e al ponte di Augusto, situato lungo l’odierna via Salara, come attestato dal ritrovamento dei resti. Nel XVIII secolo fu realizzato uno schizzo in cui si tentava di ricostruire, sulla base della documentazione pregressa, la topografia dell’area in cui si stabilirono i Predicatori in città. Il disegno, inviato ad Eustachio Sirena vicario generale della Con- gregazione di S. Sabina di Tolentino e storico dei Domenicani, si trova ora inserito in un volume dell’archivio conventuale (ASR, CRS, Domenicani, vol. 1721, c. 3), dopo il riordino operato nei primi del Novecento da Silvio Bernicoli. Lo schizzo tenta di ricostruire a posteriori un settore urbano sulla base dei vari riferimenti topografici presenti nella documentazione, ma è di difficile interpretazione, e anche la trascrizione tentata dallo storico Silvio Bernicoli lascia aperti molti dubbi (Bernicoli 1923, p. 30). 2. La chiesa di San Domenico La chiesa di San Domenico si trova nel centro storico della città, all’imbocco della via Cavour, ed è in gran parte nascosta alla vista da costruzioni ad uso civile fabbricate a contatto coi muri perimetrali. Quanto rimane del complesso conventuale, sconsacrato all’epoca delle soppressioni napoleoniche, si svilup- pa ad ovest dell’edificio di culto. Secondo quanto si può ricavare da un’antica planimetria raffigurante l’originario quartiere residenziale domenicano (ASR, CRS, Domenicani, vol. 1742, n. XVIII), l’area di pertinenza delle fabbriche dei Predicatori si estendeva entro l’intero isolato contenuto fra le odierne vie Cavour-Pasolini-Mordani-Matteotti. Nella struttura urbana è sopravvissuta l’originaria planimetria con l’alto muro di re- cinzione obliquo lungo la via Pasolini, a delimitare uno spazio cortilizio oggi adibito a parcheggio. In origine i chiostri erano due, disposti parallelamente. Oggi ne sopravvive uno, quello adiacente la chiesa, annesso alle fabbriche moderne dell’isti- tuto scolastico Mordani. Secondo Gaetano Savini, l’impianto del chiostro, che ha colonne di sasso d’Istria e di greco “dalla fattura grossolana dei capitelli e delle basi”, è da collocare nel XIV secolo (Savini, II, p. 5). L’edificio di culto è frutto di diversi periodi costruttivi. L’intervento strutturale più recente, progettato dal romano Gio- van Battista Contini, e messo in atto dal ravennate Francesco Saverio Cicognini, è collocabile nell’ultimo decennio del XVII secolo (Beltrami 1783, pp. 184-189). La chiesa rinnovata fu riconsacrata il 18 novembre 1703. L’intervento previde l’in- serimento, all’altezza del tetto della chiesa in uso fino a quel periodo, di un corpo di fabbrica di perimetro inferiore rispetto all’originaria costruzione e dell’altezza pari a circa la metà della chiesa preesistente. Il blocco inserito in quella occasione è ben identificabile anche a occhio nudo. Nella stessa occasione fu ampiamente modificata la facciata, che, nel tratto inferiore, fu livellata eliminando le sporgenze di cui, comunque, rimase traccia nel paramento murario (fig. 1). Pochi decenni dopo, a metà circa del XVIII secolo, fu ricostruita la cappella collocata a sinistra dell’altare maggiore, destinata a contenere un celebre Crocifisso ligneo dalla singolare forma ad Y (oggi nella cattedrale). Fu realizzata, in sostituzione di una struttura preesistente, fra il 1746 e il 1755 su disegno di Domenico Barbiani, che con il fratello Andrea ne curò anche la decorazione a fresco (vd. le quattro raccolte documentarie denominate “Della nostra cappella del SS. Crocifisso” in ASR, CRS, voll. 1722-1725; Beltrami 1783, p. 187; Ghigi 1912; Gori 1994, p. 121). La storia della chiesa nei secoli precedenti l’intervento progettato dal Contini è di difficile ricostruzione. Una delle più precoci descrizioni della fabbrica è quella, non del tutto esaustiva, di Girolamo Fabri, che scrisse nella metà del XVII secolo (Fabri 1664, p. 155-157): «È questa chiesa di una sol nave sì, ma assai grande, e magnifica, con molti altari, e cap- pelle, tra le quali la più divota è quella del Santissimo Crocifisso, ove sta un’immagine del Redentore pendente in Croce formata in legno, la quale l’anno 1512 quando dal Franzese esercito fu crudelmente saccheggiata Ravenna, con stupendo prodigio sudò sangue, del quale miracoloso avvenimento qui si celebra ogni anno a dodici Aprile solennissima la memoria, e ne abbiamo l’autorità del nostro istorico [vale a dire Girolamo Rossi]». Sin dalle prime stesure delle storie erudite locali, nell’af- frontare la ricostruzione delle vicende della chiesa di San Do- menico il problema in discussione, che ad oggi non ha avuto una soluzione, è stato il rapporto fra l’edificio preesistente l’ingresso dei Predicatori e l’entità delle opere edilizie promosse dai frati. Infatti, se gli interventi più recenti sono facilmente quantificabili e identificabili, quando si passa alla ricostruzione delle fasi di vita medievali, insorgono non poche difficoltà so- prattutto per la insufficienza delle fonti. Coloro i quali hanno affrontato la questione hanno utilizzato come fonte privilegiata le informazioni desunte dalla documentazione e raramente hanno effettuato una analisi del sopravvissuto. Il solo a tenta- re una indagine più approfondita è stato, nei primi anni del Novecento, Gaetano Savini, il quale ha privilegiato quale fonte per la ricostruzione della storia dell’edificio, le strutture giunte a noi (Savini, II, pp. 1-4). L’erudito Girolamo Rossi, che scrisse nella seconda metà del XVI secolo, ritenne che i Domenicani al momento del loro

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la chiesa di san domenico in ravenna: noTizie sulla “facies” medievale

aTTraverso alcune indagini inediTe

diPaola Novara

1. I Predicatori a ravenna

L’ingresso dei Frati Predicatori di San domenico in ravenna data al 1269 e alla volontà dell’arcivescovo Federico Fontana, che invitò la famiglia a insediarsi in città (Novara 2008b).

L’ordine dei Predicatori fu fondato da domenico di Guzman (1173-1221) nel 1215, anno in cui domenico si recò a roma e presentò a papa Innocenzo III la domanda di approvazione della sua ipotesi di creazione di un nuovo gruppo. La nuova famiglia religiosa venne definitivamente approvata, dopo la prima accettazione da parte di Innocenzo III, da onorio III nel 1216.

Secondo la ricostruzione di Lino Sighinolfi (Sighinolfi 1929), cui si deve l’analisi dei superstiti documenti legati alla fondazione del convento ravennate (curradi 1993, n. 70, p. 787), prima del loro ingresso in città, i Frati Predicatori chie-sero che fosse assegnato loro il luogo ove era ubicata una casa appartenente all’arcivescovo. Il 2 marzo 1269, nella sacrestia della chiesa di S. Giovanni Evangelista, l’arcivescovo Filippo Fontana sancì ufficialmente la presenza dei domenicani in ravenna e concesse a frate Ugolino e a frate Gerardo, che rice-vevano a nome del loro ordine, il palazzo e la torre che si diceva fossero appartenuti un tempo al Baccalario, posti nella regione di S. Agnese, per costruirvi la chiesa, il cimitero e le abitazioni dell’ordine. Benvenuto, abate del monastero di S. Giovanni Evangelista, con l’autorizzazione dei confratelli, aggiungeva a ciò la cappella di S. Maria in Caliope unita ai predetti palazzo, torre e corte, con tutti gli averi, perché senza quella chiesa l’ordine non avrebbe potuto costruire con comodità le strutture che aveva intenzione di realizzare. La chiesa fu intitolata alla Beata vergine madre di dio e a San domenico.

risulta particolarmente difficile ipotizzare lo sviluppo to-pografico descritto nelle fonti. Anche la definizione dei confini presente nel documento di insediamento offre scarse possibilità di ricostruzione. La cappella di S. maria in Domo qui grece di-citur in Caliope, è documentata a partire dal X secolo (a. 975, AAr, F 2330: ed. Benericetti 2002, n. 189, pp. 274-278), ma non se ne conosce l’epoca di fondazione (Novara 2008a). Secondo una carta del XII secolo (a. 1193, AAr, h 3092: ed. Fantuzzi, I, n. 148, pp. 337-338; Id. v, p. 165), si trovava in prossimità del capitolium, la cui ubicazione ci è sconosciuta, e al ponte di Augusto, situato lungo l’odierna via Salara, come attestato dal ritrovamento dei resti.

Nel XvIII secolo fu realizzato uno schizzo in cui si tentava di ricostruire, sulla base della documentazione pregressa, la topografia dell’area in cui si stabilirono i Predicatori in città. Il disegno, inviato ad Eustachio Sirena vicario generale della con-gregazione di S. Sabina di tolentino e storico dei domenicani, si trova ora inserito in un volume dell’archivio conventuale (ASr, CRS, Domenicani, vol. 1721, c. 3), dopo il riordino operato nei primi del Novecento da Silvio Bernicoli. Lo schizzo tenta di ricostruire a posteriori un settore urbano sulla base dei vari riferimenti topografici presenti nella documentazione, ma è di difficile interpretazione, e anche la trascrizione tentata dallo storico Silvio Bernicoli lascia aperti molti dubbi (Bernicoli 1923, p. 30).

2. la chiesa di san domenico

La chiesa di San domenico si trova nel centro storico della città, all’imbocco della via cavour, ed è in gran parte nascosta alla vista da costruzioni ad uso civile fabbricate a contatto coi

muri perimetrali. Quanto rimane del complesso conventuale, sconsacrato all’epoca delle soppressioni napoleoniche, si svilup-pa ad ovest dell’edificio di culto. Secondo quanto si può ricavare da un’antica planimetria raffigurante l’originario quartiere residenziale domenicano (ASr, CRS, Domenicani, vol. 1742, n. XvIII), l’area di pertinenza delle fabbriche dei Predicatori si estendeva entro l’intero isolato contenuto fra le odierne vie cavour-Pasolini-mordani-matteotti. Nella struttura urbana è sopravvissuta l’originaria planimetria con l’alto muro di re-cinzione obliquo lungo la via Pasolini, a delimitare uno spazio cortilizio oggi adibito a parcheggio. In origine i chiostri erano due, disposti parallelamente. oggi ne sopravvive uno, quello adiacente la chiesa, annesso alle fabbriche moderne dell’isti-tuto scolastico mordani. Secondo Gaetano Savini, l’impianto del chiostro, che ha colonne di sasso d’Istria e di greco “dalla fattura grossolana dei capitelli e delle basi”, è da collocare nel XIv secolo (Savini, II, p. 5).

L’edificio di culto è frutto di diversi periodi costruttivi. L’intervento strutturale più recente, progettato dal romano Gio-van Battista contini, e messo in atto dal ravennate Francesco Saverio cicognini, è collocabile nell’ultimo decennio del XvII secolo (Beltrami 1783, pp. 184-189). La chiesa rinnovata fu riconsacrata il 18 novembre 1703. L’intervento previde l’in-serimento, all’altezza del tetto della chiesa in uso fino a quel periodo, di un corpo di fabbrica di perimetro inferiore rispetto all’originaria costruzione e dell’altezza pari a circa la metà della chiesa preesistente. Il blocco inserito in quella occasione è ben identificabile anche a occhio nudo. Nella stessa occasione fu ampiamente modificata la facciata, che, nel tratto inferiore, fu livellata eliminando le sporgenze di cui, comunque, rimase traccia nel paramento murario (fig. 1).

Pochi decenni dopo, a metà circa del XvIII secolo, fu ricostruita la cappella collocata a sinistra dell’altare maggiore, destinata a contenere un celebre crocifisso ligneo dalla singolare forma ad Y (oggi nella cattedrale). Fu realizzata, in sostituzione di una struttura preesistente, fra il 1746 e il 1755 su disegno di domenico Barbiani, che con il fratello Andrea ne curò anche la decorazione a fresco (vd. le quattro raccolte documentarie denominate “della nostra cappella del SS. crocifisso” in ASr, CRS, voll. 1722-1725; Beltrami 1783, p. 187; Ghigi 1912; Gori 1994, p. 121).

La storia della chiesa nei secoli precedenti l’intervento progettato dal contini è di difficile ricostruzione.

Una delle più precoci descrizioni della fabbrica è quella, non del tutto esaustiva, di Girolamo Fabri, che scrisse nella metà del XvII secolo (Fabri 1664, p. 155-157): «È questa chiesa di una sol nave sì, ma assai grande, e magnifica, con molti altari, e cap-pelle, tra le quali la più divota è quella del Santissimo crocifisso, ove sta un’immagine del redentore pendente in croce formata in legno, la quale l’anno 1512 quando dal Franzese esercito fu crudelmente saccheggiata ravenna, con stupendo prodigio sudò sangue, del quale miracoloso avvenimento qui si celebra ogni anno a dodici Aprile solennissima la memoria, e ne abbiamo l’autorità del nostro istorico [vale a dire Girolamo Rossi]».

Sin dalle prime stesure delle storie erudite locali, nell’af-frontare la ricostruzione delle vicende della chiesa di San do-menico il problema in discussione, che ad oggi non ha avuto una soluzione, è stato il rapporto fra l’edificio preesistente l’ingresso dei Predicatori e l’entità delle opere edilizie promosse dai frati. Infatti, se gli interventi più recenti sono facilmente quantificabili e identificabili, quando si passa alla ricostruzione delle fasi di vita medievali, insorgono non poche difficoltà so-prattutto per la insufficienza delle fonti. coloro i quali hanno affrontato la questione hanno utilizzato come fonte privilegiata le informazioni desunte dalla documentazione e raramente hanno effettuato una analisi del sopravvissuto. Il solo a tenta-re una indagine più approfondita è stato, nei primi anni del Novecento, Gaetano Savini, il quale ha privilegiato quale fonte per la ricostruzione della storia dell’edificio, le strutture giunte a noi (Savini, II, pp. 1-4).

L’erudito Girolamo rossi, che scrisse nella seconda metà del XvI secolo, ritenne che i domenicani al momento del loro

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fig. 1 – Ravenna, chiesa di San Domenico. Planimetria con riconoscimento delle fasi di vita più antiche (grigio scuro); facciata con individuazione delle due principali fasi di vita; ricostruzione del fianco orientale; ricostruzione della facciata con l’individuazione delle indagini archeologiche.

insediamento in S. maria in Caliope, procedessero ad un amplia-mento dell’edificio (rossi 1589, lib. vI, p. 443), ma è probabile che si tratti solo di una errata lettura della documentazione. Girolamo Fabri che, come rossi, vide San domenico quando ancora non era stata oggetto delle modifiche secentesche, facendo riferimento ad una iscrizione presente nell’edificio, riteneva che la fabbrica allora in uso fosse frutto di un grande intervento costruttivo terminato nel 1374: «I quali tutti orna-menti ha ricevuti questa chiesa dopo l’introduzione di questi padri [Domenicani], quali dopo averla grandemente ampliata fecero consecrarla a sei di agosto l’anno 1374 come indica una lapide fuor della porta laterale a mano destra entrando, ove si legge: MCCCLXXIV die VI augusti…». Secondo Fabri, l’opera sarebbe stata preceduta, nel 1363, da un intervento che avrebbe portato alla costruzione del portale: «E pochi anni avanti fu pur fatta la porta maggiore ornata tutta di marmi con vari intagli nel cui architrave leggonsi questi quattro versi: Pando domum Domini… dalle quali due iscrizioni si vede essere edificata com’era già anche anticamente ad onor di maria sempre vergine seben’oggi col titolo di S. domenico comunemente si chiama (…)». Pertanto, entrambi interpretarono l’edificio come il frutto di successivi interventi operati sull’impianto preesistente l’insediamento dei domenicani, mantenuto in vita.

Passando agli studi effettuati nel XX secolo, corrado ricci, ha ritenuto che immediatamente dopo l’ingresso dei domeni-cani in città, nel XIII secolo, si procedesse alla costruzione ex novo di un edificio di culto, che nel XIv secolo sarebbe stato ampliato e riconsacrato (ricci 1878, p. 38); alla fase di vita trecentesca, ricci attribuiva gli archi ogivali della facciata, messi a filo col resto del paramento e murati nel 1699 (ricci 1923, p. 28), nonché «gli archi parimenti ogivali rimasti nel primo piano della torre, adorni nella grossezza di pitture quattrocentesche di scuola romagnola».

di diverso avviso è lo storico locale mario Pierpaoli, che negli anni ’90 del Novecento ha ipotizzato, con l’ausilio delle sole fonti documentarie, che successivamente al loro insedia-mento, i domenicani occupassero la chiesa già esistente di S. maria in Caliope e che il solo intervento costruttivo promosso fosse quello che portò alla realizzazione di un nuovo edificio nel XIv secolo (Pierpaoli 1998).

L’analisi condotta da Gaetano Savini nei primi anni del Novecento, con i limiti dati dalle pionieristiche metodologie applicate, era mirata ad individuare le tracce delle fasi costruttive più antiche (Savini, II, p. 1). In proposito egli scrisse: «l’ar-chitettura del primo periodo di costruzione è gotica, ma poco ne rimane perché tutto o quasi è stato guastato o smussato. La fronte di questa chiesa è altissima, più in basso vedesi la linea del timpano della chiesa antica che era assai più bassa; di antico rimane la finestra tonda del mezzo, stata murata; invece della porta rettangolare nuda di cornici eravi una bella porta adorna di marmi. Ai lati della porta vi resta l’indizio di sei archi a sesto acuto, tre per parte, barbaramente stati guastati; per entro erano archi di sepolture. Nella fiancata ad est, qualche archetto gotico ancora si vede, e così nella facciata posteriore, a sud, vedesi anche l’avanzo della finestra tonda del mezzo».

3. la storia dell’edificio sulla base della rilettura delle fonti e del sopravvissuto

riprendendo in mano la documentazione, va rilevato come la fonte più significativa per ricostruire la storia medievale della chiesa ravennate di San domenico sia l’epigrafe ancora oggi conservata all’interno dell’edificio, che informa di un impor-tante intervento costruttivo avvenuto nella seconda metà del XIv secolo. L’epigrafe, murata presso l’ingresso laterale, recita:

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MCCCLXXIV die VI augusti tempore Domini Gregorii papae XI consecrata fuit haec ecclesia fratrum praedicatorum ad honorem Beatissimae Virginis Mariae cum octo altaribus et claustro et dormitorio procurante fr. Hugone de Ravenna tunc priore cum subsidio munifici populi Ravenn. cui Deus per suam misericordiam semper retribuat bona. AMEN.

Secondo Girolamo Fabri, nella metà del XvII secolo sull’ar-chitrave della porta di accesso alla chiesa vi era una iscrizione che collocava la realizzazione dell’ingresso nel 1363: Pando domum Domini: servi venite petentes, ante Crucem veniam, vel Virginis ante figuram, Iacobus abbatis me fieri fecit in annis sexsaginta tribus Domini cum mille trecentis.

La documentazione d’archivio attesta, per l’anno 1365, un legato testamentario per il «laborerium triffore ecclesie S. dominici» (1365 settembre 24, ASr, AN, Memoriale XIv/3, c. 63v; vd. Bernicoli 1912, p. 197), e per il 1375, un legato per il «laborerium trionis» (1375 settembre 21, ASr, AN, Memoriale XXXvII, c. 94v).

Sempre alla luce della documentazione d’archivio, ap-prendiamo che nel XIv secolo davanti alla facciata della chiesa vi erano il sagrato (1376 dicembre 23, ASr, AN, Memoriale XXvII, c. 177v), con il cimitero (1362 maggio 2, ASr, AN, Memoriale XI, c. 101; 1362 agosto 6, ASr, AN, Memoriale XI/I, c. 154r; 1368 maggio 15, ASr, AN, Memoriale XvII, c. 62v) e che l’edificio era dotato di un’ardica (1359 giugno 2, ASr, AN, Memoriale vII/II, c. 44v).

Passando alla analisi diretta degli alzati sopravvissuti, va rile-vato che i tratti di fabbrica oggi visibili si riducono alla facciata, all’abside, e ad alcune porzioni del muro perimetrale orientale.

La facciata è la parete più complessa. vi si individua il tratto attribuibile alla sopraelevazione di XvII. Il tratto inferiore, il cui prospetto è ascrivibile entro un quadrato, è delimitato da due lesene, ha un oculo centrale, la porta di ingresso rettangolare, frutto di un taglio recente, e due finestre rettangolari, tampo-nate. Lungo il margine inferiore del paramento sono visibili i resti di sei arcate a sesto acuto, tamponate, che originariamente

fig. 2 – Restituzione grafica dell’area indagata nel gennaio-febbraio 1988 (SBAP, Archivio disegni, 14239).

fig. 3 – Restituzione grafica dell’area indagata nel gennaio-febbraio 1988, planimetria (SBAP, Archivio disegni, 14238).

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fig. 4 – Ravenna, gennaio-febbraio 1988; ritrovamento di avanzi di portale presso la facciata della chiesa di San Domenico (foto SBAP).

dovevano sporgere dal filo della parete, come si può compren-dere dallo stato della muratura tagliata in breccia.

Il muro perimetrale che si sviluppa lungo l’odierna via matteotti, è solo in parte visibile poiché vi si addossano numerosi edifici moderni. vi si apre un accesso laterale alla chiesa, coperto da un portichetto del XvI secolo. Le porzioni di parete visibili denunciano una costruzione uniforme; sono individuabili i resti di tre finestre allungate, terminanti con archi a sesto acuto, tamponate, la cui esistenza è documentata in modo più dettagliato, pure da alcune foto scattate nel 1967, anno in cui fu costruito uno degli edifici lungo la via matteotti (Bcr, Fondo Fotografico Ravennate, file 608; negativi in Fondo Fotografico Tasselli, nn. 4887-4895).

L’abside, a pianta rettangolare, si conserva per intero. Alla sommità è coronata da una cornice ad archetti. Nella parete di fondo sono visibili le tracce di due finestre a sesto acuto in parte murate e in parte sostituite da finestre rettangolari, a loro volta tamponate. Inoltre al di sopra delle due finestre, sono visibili i resti di un oculo, anch’esso tamponato, di cui resta un breve tratto dei laterizi di delimitazione.

Al muro perimetrale occidentale si addossa il chiostro, oggi inserito in fabbriche moderne (vd. supra).

Le murature dei tratti analizzati sono uniformi, costruite con laterizi interi, di colore rosa e rosso intenso; si può ritenere che l’intero perimetro inferiore dell’edificio faccia parte di una unica fase costruttiva pertinente ad una fabbrica che si doveva presentare come un ampio vano rettangolare mononave, con tetto a doppio spiovente ed abside quadrata, e sui cui muri pe-rimetrali si aprivano finestre allungate, terminanti alla sommità con archi a sesto acuto. L’edificio rientrava nel gusto “gotico padano”, introdotto a ravenna nel XIv secolo, che si manifestò attraverso forme architettoniche e decorative inedite per la città, che furono ottenute utilizzando principalmente materiali della tradizione, come il laterizio. L’icnografia della chiesa dei dome-nicani non doveva essere molto dissimile, seppure di dimensioni maggiori, da quella della chiesa costruita per il culto presso il locus domine Clare de Polenta (S. chiara, oggi, con modifiche,

trasformata nel teatro rasi), la cui costruzione si colloca nella prima metà del XIv secolo (montanari 1995, pp. 14-17).

A fianco della parete occidentale dell’abside, si erge un piccolo campanile quadrangolare, stilisticamente dissonante rispetto la parte più antica dell’edificio di culto, nella cui parte inferiore è stato ricavato il vano di passaggio fra sacrestia e pre-sbiterio. durante i lavori condotti nel Seicento, la costruzione di un soffitto ha creato un vano di risulta in cui sono visibili i resti di quattro arcate a sesto acuto, che in origine facevano parte del primo livello del campanile. Nelle arcate (sottarchi e parete sottostante) sopravvivono avanzi di pittura da attribuire a due distinte fasi: l’una può essere datata, sulla base del confronto con analoghi dipinti della chiesa di S. maria ad Nives di Faenza, alla seconda metà del XIII secolo, l’altra al pieno XIv secolo. Luciana martini, che ha pubblicato i lacerti, ha attribuito le pitture agli anni contenuti fra il 1269, anno dell’ingresso dei domenicani in ravenna, e il 1374, anno della consacrazione della chiesa ristrutturata (martini 2001).

4. le scoperte degli anni ’80 del novecento

verso la metà degli anni ’80 del Novecento si fece pres-sante la necessità di procedere con un adeguato intervento di consolidamento della chiesa di San domenico (vd. SBAP, Archivio, fasc. 34rA, lettera prot. 3476 del 22 aprile 1985). Nell’ottobre del 1986, grazie ad un progetto realizzato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di ravenna e al finanziamento ottenuto applicando la legge n. 845 del 10 dicembre 1980 (Protezione del territorio del comune di Ravenna dal fenomeno della subsidenza), prese il via il primo lotto di lavori (vd. Ibid., lettera prot. 10631 del 22 ottobre 1986). La notizia fu accolta con grande favore dalla stampa locale («Il resto del carlino», 27 novembre 1986).

Il 22 febbraio 1988, l’allora soprintendente Francesco Zurli inviava ai quotidiani locali un comunicato stampa che recitava: «Nel corso dei lavori di consolidamento statico della chiesa di San domenico in via cavour, finanziati con la legge n. 845

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fig. 5 – Ravenna, gennaio-febbraio 1988; ritrovamento di avanzi della parte inferiore della facciata della chiesa di San Domenico (foto SBAP).

del 1980 e diretti dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di ravenna, è emerso un tratto basamentale murario di ottima fattura attribuibile al secolo XIv. La strut-tura è da riferirsi agli antichi archi ogivali per le sepolture in facciata, che nel 1699 furono murati e smantellati a metà e posti a filo con la facciata, sopraelevata dall’architetto romano contini e ridotta alle forme attuali. corrado ricci nella sua Guida attribuisce la costruzione della struttura ad archi ogivali al 1374, data che una lapide all’interno della Sacrestia riferisce alla riconsacrazione ed ampliamento del sacro edificio, edificato un secolo prima dai padri predicatori domenicani».

La notizia, che fu pubblicata sul quotidiano Il Resto del Carlino (vd. Resti dal passato, «Il resto del carlino», 6 marzo 1988), è rimasta sino ad oggi la sola informazione resa pubblica riguardante tale, importante ritrovamento. Quanto rimesso in

luce fu documentato dai tecnici della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di ravenna, pertanto ho ritenuto opportuno riprendere in mano la documentazione e i materiali raccolti in quella occasione e fornirne una informazione più dettagliata.

Nel frangente, furono realizzati due disegni (SBAP, Archivio Disegni, invv. 14238, 14239, datati gennaio-febbraio 1988) (figg. 2-3); nella stessa occasione furono scattate pure alcune fo-tografie (SBAP, Archivio fotografico, invv. 75136, 75140, 75143, 75156, 75531, 75638, 75683, 75684, 76532) (figg. 4-5). Inol-tre, furono raccolti alcuni materiali, e in particolare due laterizi decorati con croce in rilievo, originariamente inseriti nella muratura (vd. infra). Ad oggi, non ho trovato alcuna relazione effettuata al momento della raccolta della documentazione, pertanto le considerazioni che qui riporto sono state ricavate

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dall’analisi dei rilievi tecnici e delle fotografie: ciò comporterà alcune approssimazioni, ad esempio, nella definizione delle quote e, in generale, nella interpretazione dei dati.

L’intervento di consolidamento rese necessario scavare, lungo la facciata dell’edificio di culto, un’ampia fossa della profondità di circa 2 m. Al momento dell’inizio dei lavori, dopo avere asportato la gradinata di accesso alla chiesa e il piancito del sagrato, fu rimesso il luce un deposito di sabbia giallastra, in cui emergevano alcuni tratti di pavimentazione realizzata con laterizi disposti di taglio; in corrispondenza dell’apertura della porta di ingresso, era visibile una botola rettangolare, con coperchio di marmo, a fianco della quale erano collocati due blocchi marmorei di modeste dimensioni, squadrati e modanati, il cui piano d’appoggio corrispondeva a quello della pavimentazione laterizia (fig. 4).

terminato lo scavo della fossa e raggiunta la profondità di circa 2 m, la parte inferiore della facciata della chiesa era stata riportata completamente a vista (fig. 5).

L’asportazione dei depositi di terreno rese possibile indivi-duare innanzitutto, in prossimità della porta d’ingresso, i resti delle fondazioni di un portale monumentale, in cui era inserita una cassa in muratura corrispondente al coperchio di botola rin-venuto al momento dell’inizio dei lavori, all’interno della quale erano alcuni resti scheletrici. Le fondazioni del portale erano realizzate con conci litici squadrati legati a tratti di muratura laterizia. La struttura, di larghezza pari allo spazio che intercorre fra le due lesene centrali di facciata e della profondità di circa 1 m, formava due blocchi che si estendevano dallo spigolo della porta fino all’angolo esterno della lesena, tagliati obliquamente lungo il margine interno. Alle estremità erano collocati i due marmi modanati individuati all’inizio dei lavori.

Lungo la parete di facciata, a destra e a sinistra dei resti delle strutture del portale, erano visibili due ampi tratti di muratura, dell’altezza di circa 1,50 m, sporgenti dal filo della facciata della chiesa di circa 45 cm. La sommità della muratura, che si trovava a circa 30 cm al di sotto dei tratti di pavimentazione in laterizi, recava le tracce di uno smontaggio sistematico. Il paramento, sul quale si aprivano alcune buche pontaie, era realizzato con laterizi interi di colore rosso e rosa; due larghe lesene aggettanti scompartivano ogni settore in tre porzioni corrispondenti alla luce delle tre arcate a sesto acuto di cui restano avanzi in faccia-ta. Lungo la parte inferiore della muratura correva una risega costituita da una ampia modanatura sporgente.

In due settori della muratura erano incassati grandi laterizi decorati con una croce aggettante (27×24 cm; sp. 6 cm circa); entrambi i laterizi furono raccolti e ora si conservano presso il museo Nazionale di ravenna (fig. 5). In prossimità della porta di accesso, la muratura terminava in appoggio ad un pilastrino di marmo. La fondazione del portale inglobò la primitiva solu-zione adottata per l’accesso alla chiesa e le indagini non hanno reso possibile raccogliere alcun dato in proposito.

Quanto emerso dallo scavo, ci consente di documentare almeno due importanti fasi costruttive dell’edificio di culto. La fase più antica individuata, è rappresentata dalla muratura sporgente lungo il tratto inferiore della facciata; tale muratura, unita ai grandi archi a sesto acuto oggi scalpellati fino a raggiun-gere il filo della parete di facciata e tamponati, costituiva una monumentale struttura caratterizzata da due serie di tre arcate predisposte ad accogliere sepolture, sul modello di quelle presenti sul fianco della chiesa degli Eremitani di Padova, o sulla facciata e sul fianco di S. maria Novella di Firenze e S. Giacomo maggio-re di Bologna. tale impianto è verosimilmente da collocare nel XIv secolo. La quota d’uso in fase con questa struttura si trovava a circa 1,80 m al di sotto dell’odierno piano d’uso del sagrato.

La seconda fase identificabile, è rappresentata dai resti del portale monumentale di cui sono state rintracciate le fonda-zioni. tale impianto modificò quello precedente, in particolare con l’eliminazione di parte della muratura in aggetto fino a raggiungere la quota del nuovo piano di calpestio, da ricono-scere nel piano in laterizi disposti di testa di cui sono emersi alcuni tratti, e con la trasformazione della porta d’accesso, che cancellò quella precedente. È verosimile che questa seconda

fase individuata, sia da associare ai lavori realizzati sul finire del XvII secolo, di cui possediamo ampia informazione.

Le ricerche riguardanti le indagini svolte nella chiesa ravennate di San domenico nascono dalla realizzazione della dissertazione conclusiva del corso in Scienze per i Beni culturali e Ambientali svolto presso l’Università degli Studi di Ferrara. La tesi, dal titolo Topografia urbana di Ravenna nel Medioevo: fonti archivistiche, cartografiche e archeologiche, ha avuto come relatore il prof. mauro calzolari (insegnamento di topografia dell’Italia antica).

ringrazio la Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di ravenna, arch. Antonella ranaldi, per avermi concesso di pubblicare la documentazione conservata nell’archi-vio della Soprintendenza e i colleghi della Soprintendenza e del museo Nazionale per la collaborazione prestata nell’analisi della documentazione e dei materiali. ringrazio, inoltre, la curia di ravenna, proprietaria dell’immobile, per avere autorizzato la consultazione del materiale in questione.

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