La chiesa di Madonna degli Angeli in Vigevano

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CESARE SILVA W LA CHIESA DELLA MADONNA DEGLI ANGELI IN VIGEVANO Con un saggio introduttivo di Anna Strada

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Il libro che mi piace presentare ai lettori ci prende per mano per andare alla scoperta della chiesa della Madonna degli Angeli, purtroppo poco nota anche agli stessi vigevanesi. Raccontandoci la lunga vicenda storica, don Cesare ci riporta indietro di cinque secoli, tra il voto del Duca di Milano e la carità dei Confratelli dell’Annunciata il cui generoso mecenatismo ha lasciato opere preziose che vengono descritte in modo ugualmente gradevole e preciso.

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CESARE SILVA

W

LA CHIESA DELLA MADONNA DEGLI ANGELI

IN VIGEVANO

Con un saggio introduttivo di Anna Strada

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ABBREVIAZIONI

ASCV - Archivio Storico Comunale Vigevano

ASDV - Archivio Storico Diocesano Vigevano

ASPSCV - Archivio Storico Parrocchia di San Cristoforo Vigevano

ASM - Archivio di Stato Milano

BSVV - Biblioteca Seminario Vescovile di Vigevano

Copyright © 2010LOQUENDO EditriceInformagrafica srlPiazza Silvabella 3027036 Mortara PVtel. 0384 326 222e-mail: [email protected]

ISBN

Referenze iconografiche - Museo Diocesano “Tesoro sulla Catedrale” - Marco Rodolfo - Gaetano Mercorillo

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Sommario

La scoperta della Chiesa della Madonna degli Angeli 9Gaetano Mercorillo

Cinque anni e sette mesi 15don Cesare Silva

I

Tutto comincio’....con una caduta da cavallo 21

II

Il voto compiuto 23

III

Frati e pittori 25

IV

La Confraternita dell’Annunciazione del Signore 29

V

La nuova chiesa 37

VI

Sulle spine del Vescovo 39

VII

Nel turbine napoleonico 43

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VIII

Due volte nella polvere... 47

IX

Guida artistica alla chiesa 51

X

Il Centro Aiuto alla Vita 77

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È con vivo apprezzamento e soddisfazione che accetto l’invito del Presidente del Centro Aiuto alla Vita, sig. Gaetano Mercorillo, a presentare l’ultimo libro di don Cesare Silva, il quale, pur com-pletamente immerso nella ricerca tra le carte dell’ Archivio Segre-to Vaticano per condurre il suo dottorato in Storia Ecclesiastica alla Università Gregoriana su un tema intricato come le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica Francese ai tempi di S. Pio X, ha trovato modo di rovistare ancora una volta tra le carte di casa sua.

Il libro che mi piace presentare ai lettori ci prende per mano per andare alla scoperta della chiesa della Madonna degli Angeli, purtroppo poco nota anche agli stessi vigevanesi. Raccontandoci la lunga vicenda storica, don Cesare ci riporta indietro di cinque secoli, tra il voto del Duca di Milano e la carità dei Confratelli dell’ Annunciata il cui generoso mecenatismo ha lasciato opere preziose che vengono descritte in modo ugualmente gradevole e preciso.

Tra i gioielli di questa chiesa ho potuto così anch’io apprezzare e vorrei dire “scoprire”, la pregevole quadreria che è illustrata in un saggio scientifico curato dalla dott.sa Paola Strada della So-vrintendenza ai Beni Culturali di Milano. Questo contributo è innanzitutto frutto di amicizia e stima con l’autore e anche segno di come si stia avviando e come dia i suoi primi frutti l’interazione tra la comunità cristiana e le istituzioni civili per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico e artistico delle nostre chiese e in generale delle istituzioni ecclesiastiche.

Proprio a questo fine, la parrocchia di San Pietro martire insie-

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me al Centro di Aiuto alla Vita - tanto opportunamente ospitato nei locali di questa chiesa dedicata al Mistero dell’ Annunciazione - hanno promosso questa pubblicazione. Un modo per contribui-re a far conoscere e sostenere l’impegno per il restauro dell’antico edificio e delle preziose opere custodite.

Non posso dunque che esprimere il mio più vivo apprezza-mento per queste iniziative, e invitare tutti i nostri concittadini a prenderne parte. Sono certo che molti, scoprendo la storia e l’arte della chiesa della Madonna degli Angeli, non mancheranno di affezionarsi ad essa e di offrire il proprio contributo.

Vigevano, 29 giugno 2010

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La scoperta della Chiesa della Madonna degli Angeli

Quante volte ho fatto “la discesa dei frati” e tutte le volte che arrivavo in fondo non potevo non guardare la “Chiesetta della Madonna degli Angeli”, mi attirava proprio, ma era sempre chiu-sa, e mi rimaneva la voglia di vedere il suo interno, potevo solo apprezzare il bel sagrato con la sua balaustra a delimitare quel non so che di campestre, di rurale, pur se ormai la città l’ha inglo-bata in pieno.

Mi dicevano che era forse la Chiesa più antica di Vigevano, dopo quella di San Giorgio, ma in realtà la facciata non ne dà l’impressione perché, oggettivamente, non ha alcuna caratteristi-ca architettonica che ne riveli l’età, eppure restava sempre il “mi-stero” di capire com’era fatta dentro.

Fino a quando, nel 2004, Don Stefano Cerri, Parroco di San Pietro Martire, su nostra (del Centro di Aiuto alla Vita) richiesta ci offrì l’opportunità di trovare definitivamente sede nei locali della canonica, liberi dopo la morte di Don Giuseppe Bertoglio.

Ci disse, Don Stefano, che mai più appropriata sarebbe stata l’allocazione del Centro di Aiuto alla Vita, a patto che ci prendes-simo cura anche della Chiesetta.

Fu così che finalmente misi piede in Chiesa e ne fui felicemente accolto. Dalla comunità di fedeli raccolti alla Celebrazione dome-nicale della Santa Messa e dalla storia , dalla vita di questo tempio dedicato al Mistero dell’Annunciazione.

Giuro, non sapevamo che la Chiesa della Madonna degli Angeli fosse dedicata all’Annunciazione, al SI’ ALLA VITA per eccellen-za, alla VITA che avrebbe cambiato il destino di ogni uomo, di ciascun uomo.

Ci siamo guardati attorno ed abbiamo capito che saremmo stati veramente a casa nostra e come tale abbiamo iniziato a conside-

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rarla, dedicandole cura ed amore.

Ne siamo ricambiati abbondantemente. Ci sentiamo protetti e sostenuti nell’impegno costante e pressante per la vita.

Qui, ha trovato giustificazione e dono l’erezione di una edicola dedicata a Santa Gianna Beretta Molla, la Santa Sorriso di Dio, la Santa della vita, l’unica presente in una chiesa della nostra Dio-cesi.

Qui, si spiegano i tanti appuntamenti di preghiera che si orga-nizzano in momenti diversi dalla celebrazione domenicale (l’Ado-razione Eucaristica dei Nove Mesi per la Vita, il Rosario di Mag-gio, la Via Crucis, la Festa della Chiesa).

Qui, si comprendono gli sforzi dovuti e necessari per rendere la Chiesa sempre più bella ed accogliente.

Qui, si capisce la necessità di continuare nei restauri, dopo aver sistemato il campanile, perché il grado di crescita di una comunità cristiana si riconosce anche dalla premura con cui si salvaguarda la Casa di Dio, nel nostro caso, anche, della Casa della Madonna degli Angeli.

Questo libro di Don Cesare Silva, cui va tutto il nostro più senti-to ringraziamento per la dedizione con cui ha tracciato il solco che recupera storia, arte e costume con grande maestria, vuole essere un punto fermo di questa memoria e di questa storia, oltre che un buon veicolo per continuare nell’opera, appunto, di restauro.

Perché acquistandolo si dà, sì, sostegno finanziario, ma soprat-tutto, si tiene viva una identità fatta di cultura e tradizioni, che contraddistingue, in fin dei conti, non solo i vari gruppi di persone che si sono tramandate, nel tempo, fede e comunione, impegni e convinzioni, e pure il fondamento del patrimonio di tutta la no-stra città di Vigevano.

E non è poco. Vale veramente la pena di aderirvi e di lasciarsi prendere per conservare e migliorare la nostra qualità della vita.

Gaetano Mercorillo

Presidente del Centro di Aiuto alla Vita.

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Santa Maria degli Angeli e il suo apparato decorativo

A ricordare la piccola cappella fatta erigere nel 1472 da Ga-leazzo Maria Sforza, rimane la porzione di muro che conserva il lacerto di affresco con la Natività o Adorazione del Bambino, valorizzato come altar maggiore entro una struttura architetto-nica realizzata a fine Cinquecento. Nel luogo dove sorge la chie-sa di Santa Maria degli Angeli il duca milanese due anni prima era caduto con il cavallo, senza riscontrare alcun danno: ne era conseguita la dedicazione di una chiesa alla Vergine che lo ave-va protetto, sul terreno teatro dell’incidente, a quel tempo situato fuori Vigevano. Costruita “… al Pillastrello che va a Mortara” di piccole proporzioni e in brevissimo tempo (da marzo in poi) su progetto dell’architetto fiorentino Benedetto Ferrini , la cappella ducale tra i mesi di agosto e dicembre del 1472 aveva l’interno completamente rivestito di affreschi, come riporta addirittura nel dettaglio il documento ritrovato di recente relativo al collaudo e alla valutazione economica dell’intervento, redatto da due artisti fatti incaricare dal duca stesso . Erano stati chiamati tre pittori della corte milanese, Bonifacio Bembo, Leonardo Ponzoni e Za-netto Bugatto, a dipingere il complesso ciclo decorativo con Cristo risorto forse sulla superficie di una cupola, alle pareti la Natività con la famiglia ducale ai lati , ritratta a grandezza naturale, otto figure di santi, festoni e angeli in atto di suonare le trombe. In oc-casione del restauro del 1997 è stato attribuito a Zanetto Bugatto quel poco rimasto di autentico nella Natività, una volta eliminate con una scelta discutibile le ottocentesche ridipinture a tempera dovute a Gian Battista Garberini (il bue, l’asinello nella mangiato-ia e l’angelo con il cartiglio) e tenute invece le porzioni del Bambi-no, delle mani e del volto di Maria, riconosciute di un rifacimento di fine Cinquecento . A modelli iconografici fiamminghi, e di Ro-gier van der Weyden in particolare, rimandano l’arco della grotta scavata nella roccia e il gruppo superstite della Sacra Famiglia. E Zanetto, lo sfortunato pittore di cui ci è giunto poco o nulla, prima di diventare artista alla corte degli Sforza specializzato - guarda caso - nei ritratti, era stato spedito giovinetto nelle Fiandre a fare il suo apprendistato presso Rogier van der Weyden .

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Le fonti vigevanesi hanno registrato almeno la fase saliente del-le pesanti trasformazioni subite dalla chiesetta sforzesca, e ad essa e ai decenni di poco successivi si può ricondurre parte

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Questo piccolo contributo non sarebbe stato possibile senza l’entusiasmo e la capacità di coinvolgimento di don Cesare Silva e senza la disponibilità della schedatura CEI fatta realizzare in anni recenti dalla Curia di Vigevano.

Su Benetto Ferrini, che in seguito lavorerà anche al castello di Vigevano, e i documenti dell’Archivio di Stato di Milano in relazione alla originaria cappella ducale, cfr. M. Verga Bandirali, Documenti per Benedetto Ferrini ingegnere ducale sforzesco (1453-1479), in “Arte Lombarda”, 60, 1981, pp. 49-102, in partic. pp. 59, 80, docc. 93-94. Sulla cappella votiva, B. Biffignandi Bucella, Memorie istoriche della città e contado di Vigevano, 1810, p. 151; Pianzola, Vigevano. Memorie religiose, Vigevano 1930, p. 92; V. Ramella, Storia di Vi-gevano, Vigevano 1972, p. 240.

Su indicazioni di S. Bandera (Documenti per i Bembo: una bottega di pitto-ri, una città ducale del Quattrocento e gli Sforza, in “Arte Lombarda”, 80-82, 1987, p. 176), reso noto da Maria Teresa Binaghi Olivari nel 1994 (Vigevano dai Visconti agli Sforza, Vigevano 1994, in partic. pp. 8-17) e ripubblicato in Vigevano 1472: Zanetto Bugatto, in Ambrogio da Fossano detto il Borgognone. Un pittore per la Certosa, cat. a cura di G. C. Sciolla, Pavia, Castello Viscon-teo e Certosa di Pavia, 4 aprile-30 giugno 1998, Milano 1998, pp. 113-119, in partic. pp. 114-115.

“Si fece dipingere sua Signoria da uno lato con li fioli maschij da un lato del-la Madonna ed da l’altro la Duchessa Bona con le fiole”: cfr. Simone del Pozzo, Libro fatto da S. d. P. che contiene la descrizione e l’estimo dei terreni fatto nel 1550, ms., Vigevano, Archivio Storico Civico, art. 179, ff. 644 (634) r v.

Per l’attribuzione, le vicende relative all’edificio ed altro, cfr. Binaghi Oliva-ri, cit., 1998, pp. 113-119. Il restauro, diretto da M. T. Binaghi Olivari, è stato eseguito da Paola Zanolini.

Su Zanetto Bugatto, cfr. in partic. F. Cavalieri, Osservazioni ed ipotesi per le ricerche sull’arte di Zanetto da Milano, pittore degli Sforza, in “Arte Lombar-da”, 90/91, 1989, pp. 67-80, in partic. p. 74 e L. Syson, Zanetto Bugatto, court portraitist in Sforza Milan, in “The Burlington Magazine”, 138, 1996, pp. 300-308; su Zanetto, l’affresco di Vigevano e la sua relazione con due vetrate della Certosa di Pavia, cfr. di S. Buganza, Interferenze nordiche alla Certosa di Pa-via: Cristoforo de Mottis, una proposta per Zanetto Bugatto e un’apertura su Hans Wits, in La Certosa di Pavia e il suo museo: ultimi restauri e nuovi studi, Milano 2008, pp. 193-217, in partic. pp. 203-206 e p. 216 n. 43.

C. Nubilonio (a cura di M. Cantella), Cronaca di Vigevano, Pavia 1988, p.

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180; C. S. Brambilla, La chiesa di Vigevano, Milano 1669, p. 186 (p.101?); M. Gianolio, De Viglevano et omnibus episcopis qui usque ad MDCCCI sanctam et regiam viglevanesem ecclesiam rexere, Novariae 1844, p. 65. Ma cfr. anche F. Pianzola, Memorie religiose.

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Cinque anni e sette mesi

Cinque anni e sette mesi sono passati da quando iniziò il mio interessamento per la chiesa della Madonna degli Angeli: era da poco morto l’ultimo Cappellano e l’allora Prevosto di San Pietro martire aveva incaricato della Messa domenicale il canonico Pa-stormerlo; che diverse volte mi è capitato di surrogare durante le vacanze; e la mia povera persona di ordinare un po’ le suppellettili e le carte. Poco dopo venne l’idea di ospitare nella casa annessa il Centro di Aiuto alla Vita che oltre a godere finalmente di uno spazio adeguato, offriva la cura e l’animazione di questo luogo sacro, in cui per secoli hanno pregato tanti fedeli associati nella Confraternita intitolata all’Annunciazione del Signore: a quale meglio nominata sede potevano ambire i volontari del centro?

Queste notizie storico – artistiche mi furono richieste dall’amico Gaetano pochi mesi dopo la mia ordinazione sacerdotale; il mini-stero come Curato in un paese e poi l’invio a Roma per gli studi all’Università Gregoriana ne hanno ritardato la ricerca e la stesu-ra. Vogliono essere un modesto strumento per far conoscere un

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tassello prezioso dell’arte religiosa della nostra città e poi un pic-colo segno di amicizia verso quei concittadini che generosamente in molti modi si prodigano per il suo restauro. Ancora una volta la Provvidenza non fa mancare il suo aiuto a chi s’adopera perché la casa del Signore non vada in rovina, ma rimanga testimonianza vivente della fede, della carità e del senso artistico dei nostri an-tenati e della generazione nostra, che ha il dovere di trasmettere quanto ricevuto, non permettendo che se ne alteri il significato, a coloro che verranno.

Desidero infine rivolgere un ringraziamento alla dott. Paola Str-da, funzionario della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Milano per onorare la mia persona di amicizia e stima e questo scritto di un saggio introdutivo sulla preziosa e inedita quadreria sulla no-stra chiesa: un input per nuovi approfondimenti e valorizzazioni.

don Cesare Silva

Roma, nella festa del Beato Angelico, 18 febbraio 2010

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La conversione di San Paolo(particolare, circa 1690), di Luca Giordano (Napoli 1634 - Napoli 1705).Musée des Beaux-Arts de Nancy.

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I

Tutto comincio’....con una caduta da cavallo

La storia della chiesa della Madonna degli Angeli comincia da una... caduta da cavallo. La storia del mondo ne contempla innu-merevoli, e dalle conseguenze più disparate. La Sacra Scrittura, tra le altre, riporta quella dello zelante Saulo, il quale, riavuto-si dalla botta, divenne l’Apostolo delle genti. La caduta di cui par-leremo noi non ebbe conseguenze così prodigiose per la Santa Chiesa, né il malcapitato cavaliere, pur illustre, perse la vista per riacquistarla insieme alla conversione. E dire che di conversione ne avrà avuto sicuramente bisogno, lui come i suoi colleghi. Ma veniamo al dunque. Bisogna sapere che tutta la faccenda comin-ciò l’anno di Grazia 1470, o giù di lì, quando a Vigevano coman-davano gli Sforza e le sorti del Ducato erano rette da Galeazzo Maria Sforza1, padre di Ludovico il Moro, più noto dalle nostre parti per aver voluto la Piazza. A quel tempo l’angolo di Vigevano in cui avvenne il fatto si trovava in aperta campagna, pur essendo a pochi passi dalle mura e dai fossati, lungo la strada che dalla porta di Valle (davanti all’odierna chiesa del Carmine, che allo-ra era solo una cappelletta intitolata a Santa Margherita) usciva per i campi biforcandosi per Gambolò (passando poi davanti alla chiesa di Santa Maria intus vineas e, un poco oltre, a quella di San Michele) oppure per Mortara, risalendo il costone (su cui si estende ora il corso Genova) dopo aver deviato davanti alla cap-pella di San Giacomo, ricordo degli antichi pellegrini, che stava sulla riva della roggia vecchia (più o meno all’incrocio tra via San Giacomo e via Madonna degli Angeli). Attorno erano ortaglie

1 Figlio primogenito del Duca di Milano Francesco Sforza nacque nel 1444 e successe al padre alla morte di lui, nel 1466. Fu ucciso da sicari mentre ascoltava Messa nella chiesa milanese di Santo Stefano il 26 dicembre 1476.

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separate da siepi che in primavera si coloravano con profumati fiori, ombreggiate da rade piante da frutto, (come quelle mele e ciliegie piccole e acidule che si raccolgono ancora in pochi super-stiti alberi in qualche vecchio orto). E soprattutto c’erano i vigneti, in uno dei quali, proprio in questi paraggi, era passato il pontefice San Pio V, quand’era soltanto un frate del convento domenica-no di San Pietro martire, a predire che le viti, fatte crescere su toppie, avrebbero fatto l’uva quando lui sarebbe divenuto papa. E così capitò, e il tupiat portò il vino a Roma, come ricorda una terracotta posta sulla sua casa, in via dei Domenicani. Su questa strada, dove comincia la salita del sabbioso e irto terrazzamento del fiume Ticino (formatosi quand’esso scorreva fin quassù, all’al-ba dei tempi), il cavallo bianco su cui viaggiava il Duca, col suo seguito d’armigeri, cominciò a fare le bizze, e in men che non si dica Galeazzo precipitò a terra. “Vergine Santa!, Angeli di Dio!, soccorretemi”, furono le parole che fece in tempo a proferire in quegli attimi il Duca, che – pur in fondo - un uomo un po’ pio lo era. Riavutisi dallo spavento, i membri del seguito scesero da cavallo per prodigarsi a raccogliere da terra il Duca, che un pò frastornato, si fece mettere supino, sopra i pregiati tessuti della cavalcatura presso il tronco poderoso d’una quercia secolare. Pas-sata una mezz’oretta, e accortisi che il cavaliere era tutto intero e di umore tutto sommato lieto, riportarono l’illustre infermo in castello, dove trovò ad accoglierlo l’archiatra ducale, i notabili, le dame, la corte, la moglie e - forse- un buon frate.... Ripresosi il signor Duca riconobbe che l’esito della rovinosa caduta era stato prodigioso, e ne attribuì il merito all’intercessione alla Madonna e agli Angeli colà invocati. Decise quindi di ricambiare il favore divino promettendo di erigere una cappella intitolata ai suoi Santi Soccorritori nel luogo dell’incidente. E nel giro di pochi giorni squadre di muratori cominciarono a preparare il terreno per l’eri-genda chiesetta, proprio dove comincia la salita.

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II

Il voto compiuto

La faccenda del voto, che abbiamo raccontato con qualche li-cenza letteraria, è riportata sobriamente da Cesare Nubilonio nel-la sua Cronaca di Vigevano, mentre parla del rifacimento della chiesa, avvenuto nel 1583, il tempo in cui stava componendo la sua opera:

In quei giorni si fabbricava di nuovo con elemosine la chiesa di S. Maria degli Angeli; imperocchè non vi era, salvo che la cappella dove è l’altare; dalle bande del quale vi è dipinto il Duca Galeazzo Sforza di Milano, e sua moglie, uno a man verso l’Evangelo, l’altra a man stanca. E la detta cappella la fece fare, perché passando ivi, il cavallo gli mancò sotto, e fu in qualche pericolo della vita; e perciò la fece edificare, intitolandola S. Maria degli Angeli2.

La menzione è pure presente negli scritti del contemporaneo Si-mone del Pozzo3 , e cent’anni dopo nell’ormai irreperibile Chiesa di Vigevano di Carlo Stefano Brambilla4 .

La cappella effettivamente eretta doveva essere un edificio di li-mitate dimensioni, affrescato nella parete dell’altare dalla Natività che ancora si conserva come ancona dell’odierno altare maggiore settecentesco5 . Possiamo fare solo congetture sull’impianto ar-chitettonico originario. Il presbiterio della chiesa attuale, coperto

2 P. 362 dell’edizione curata da Carlo Negroni per la “Miscellanea di Storia Italiana edita per cura della Regia Deputazione di Storia Patria”, tomo XXIX, Torino 1892, pp. 205 – 392 (interessante per l’apparato critico).3 “Estimo Generale”, ff. 634 r e v. (ASCV, art. 179).4 C. S. Brambilla, “La Chiesa di Vigevano”, Milano 1669.5 C. Silva, “La chiesa di San Pietro martire. Le lontane origini tra ipo-tesi storiche e documenti d’archivio”, in “Viglevanum” XIII (2003), pp. 62 – 73.

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dalla volta decorata a stucchi, aggiunta a metà del sec. XVIII, è di proporzioni minori rispetto alla navata antistante, eretta nel 1583 e al retrostante coro, contemporaneamente aggiunto. Il vano è quadrato, aperto da un fornice a tutto sesto; ai lati sono due bracci rettangolari coperti da volta a botte; non è da escludere che esso possa aver conservato le volumetrie del primitivo sacello. Di esso resta soltanto la parte centrale dell’affresco, raffigurante la Nativi-tà con la Madonna e San Giuseppe. Non si conservarono i ritratti dei fondatori, nè quegli Angeli che erano venuti in soccorso del Duca: forse perchè s’era cambiata amministrazione e non si av-vertì il bisogno di conservarne le immagini...

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III

Frati e pittori

Il Duca nella sua magnificenza non aveva pensato ad erigere una semplice cappelletta votiva, ma un tempio elegante, affresca-to dai migliori pittori sulla piazza, affiancato poi da un convento di frati, com’era consuetudine a quei tempi.

Ma andiamo con ordine. Di frati a Vigevano ce ne erano già: i Francescani conventuali risiedevano stabilmente in San Francesco fin dal 1378, e i Domenicani, in San Pietro martire, fin dal 1445. Come è dimostrato per quest’ultimo6, la fondazione di un conven-to era preceduto dalla presenza, saltuaria o provvisoria di qualche frate, che trovava ospitalità presso qualche buona famiglia. Così deve essere stato per i Francescani Osservanti, detti anche zocco-lanti per via delle calzature che portavano7.

Una tradizione volle legare questa presenza con la visita di San Bernardino da Siena, che fu effettivamente a Vigevano, ospite del

6 P. Bellazzi, “Il Beato Cristoforo Macassolio e un po’ di storia pa-tria”, Vigevano 1985.7 Attribuendovi addirittura il disegno e l’iniziativa della costruzione della torre campanaria di quella chiesa, in realtà realizzata, col concorso del Comune, dopo lunghe trattative alcuni decenni dopo sul finire del secolo XV. A. Colombo,”La fondazione del convento di S. Francesco e l’antica sua chie-sa”, Vigevano 1901; P. Bellazzi, “La chiesa di San Francesco in Vigevano”, Vigevano 1964.

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convento di San Francesco8, come testimonia il Brambilla9.

Dalle carte dell’Archivio storico comunale10 risulta che nella primavera del 1470 i rappresentanti del Comune provvidero ad individuare un terreno su cui costruire unam ecclesiam et monasterium fratorum minorum de Observantia, e lo trovarono extra portam valis per viam vetulam in campus Georgius de Colli, ovvero sulla strada vecchia che biforcandosi portava a Gambolò oppure, risalendo la Costa, a Mortara e che passava dove ora sorge la nostra chiesa degli An-geli. Dunque l’idea iniziale era di far sorgere il nuovo comples-so presso l’edicola votiva del Duca. Ma poi le cose cambiarono, come racconta Simone del Pozzo11, e nonostante il fatto che molto materiale fosse già stato portato; forse contribuirono a questo gli stessi frati, che probabilmente già dovevano avere qualche appog-gio fuori porta San Martino, a non molta distanza dalla chiesetta campestre di Santa Giuliana, in un terreno più ampio e comodo.

8 “Sono alcuni d’opinione, che la fabbrica di questa Chiesa col Con-vento sia stata principiata da S. Bernardino da Siena, e se bene non pare vero, trovandosi, e per la memoria sopra la facciata della Chiesa e per il Martiro-logio del cardinale Baronio, e altre historie, che S. Bernardino sia passato à miglio vita trenta un anno prima, cioè l’anno 1444, adì 20 maggio; con tutto ciò può essere, che fin al tempo di s. Bernardino si fosse cominciata qualche fabbrica per abitazione de frati, poiché si legge nel sonetto Breve di Papa Sisto Quarto, che si fosse già dato principio alla fabbrica d’una casa per uno de Padri osservanti, detti zoccolanti, che si dice il pozzo di Santo Bernardino, il che ho potuto notare, per soddisfare in quanto si può alla curiosità di molte persone, che con la medemma opinione pensano, che li alberi, che sono avanti detta Chiesa, siano stati piantati da Santo Bernardino.”, C. S. Brambilla, “Op. cit.” p. 104.9 Seduta del Consiglio Generale del comune dell’8 luglio 1470. ASCV, “Convocati”, 9, c. 6r-v. G. Antenna, “Gli Ordini mendicanti, la comunità e la corte sforzesca”, in “Metamorfosi di un borgo, Vigevano in età viscontea-sforzesca” (a cura di G. Chittolini), Milano 1992; M. Rizzini, “Architettura francescana tra i secoli XIV e XV” in “Metamorfosi”… (ibidem).10 “La prima volta si pensava di fondarla nel locho ove ora si vede la chiesa di S. Maria degli Angioli, per la via stalera o di S. Marco onde già gli era portato una gran parte della materia, dipo si voltò il pensere o fosse dil po-pulo o dil principe, allora si portò nel locho ove al presente si vede fondata”, ASCV, “Estimo Generale”, f.584r.11 Seduta del 1 gennaio 1472. ASCV, “Convocati”, 9

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Questi cominciarono i lavori già nel gennaio 147112.

Intanto si iniziò la pratica per ottenere il riconoscimento della nuova fondazione da parte della Santa Sede per interessamento del Comune e del Duca, che inviò una petizione per l’erezione ca-nonica del monastero al Papa Sisto IV che rispose con una lettera apostolica di approvazione il 10 marzo 147513. Il 20 febbraio il prevosto di Sant’Ambrogio aveva ricevuto un Breve del Papa che lo investiva di autorità per provvedere alla fondazione della chiesa e del convento di Santa Maria delle Grazie per un gruppo di frati osservanti capeggiati dal Beato Pacifico da Cerano.

Intanto la cappella votiva era stata costruita ugualmente, nel luogo del ducale capitombolo, e completata entro l’agosto 1472. Anzi, il Duca aveva inviato un gruppo di artisti della sua Corte per decorarla nel 1472, come risulta da una lettera al podestà di Vigevano: mandiamo li magistro Bonifacio et magistro Leonardo Ponzono de Cremona, nostri depinctori, per fare alcuni nostri lavori14 e come confer-ma un’altra missiva15 (che indica nel 14 dicembre 1472 la conclu-sione dei lavori) e una perizia di stima degli affreschi, in cui si cita

12 M. Gianolio, “De Viglevano et omnibus Episcopis”, Torino 1793 (ed. ampliata: Novara 1844).13 Lettera inviata da Pavia il 27 agosto 1472. ASM, “Missive”, 110, c, 39r.14 “Havemo facto dipingere una capella fuora de questa terra de Vi-gevano, su la strada de Gamballò, da magistro Zaneto, magistro Bonifacio et magistro Leonardo pictori milanesi et adesso volemo far stimare el precio de la loro fatica et opera. Il perché haveray ad ti doy altri pictori alli quali darai il sacramento de indicare secondo la verità et mandarli qui ad vedere la suprascripta opera et ad stimare el pretio de quella.”, ASM, “Missive”, 110, c. 122r.15 La lettera è datata 29 agosto 1472 (ASM, “Fondo autografi, pittori”, cart. 96, fasc.1) e riguarda: “la capela che sua Sg.a ha facta fare fori d’essa terra succo la strada de Mortara.”, F. Malaguzzi Valeri, “Pittori lombardi del Quattrocento”, Milano 1902; G.L. Calvi, “Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti, scultori e pittori che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza”, Milano 1859-65 (alle pp. 192-94 è par-zialmente pubblicata la lettera); F.R. Pesenti, “Per la discussione su Bonifacio Bembo”, in “Arte lombarda”, X (1965), pp. 67-69; C. Mulazzani, “La decora-zione affrescata”, in “La biscia e l’aquila, il castello di Vigevano: una lettura storico-artistica”, Vigevano 1988.

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m.ro Zaneto e compagni pentori16.

Sarebbero identificabili con Zanetto Bugatto, Bonifacio Bembo, e Leonardo Ponzoni. Ma anche la chiesa delle Grazie conteneva preziosi affreschi, completati qualche decennio dopo, in facciata e all’interno della chiesa. Come in altri edifici dell’Ordine17, la na-vata centrale terminava con una grande parete interamente affre-scata con scene della vita di Cristo, da cui si accedeva nel presbite-rio-coro e alle due cappelle laterali, come racconta il Brambilla18. Da qui sorse una certa confusione nell’identificazione degli affre-schi: a Santa Maria degli Angeli ne resta una porzione sull’altare maggiore. Invece alle Grazie non resta più nulla, perché era stata ristrutturata verso il 1744. A dirla tutta, non resta in piedi neppu-re la chiesa, perché non ci si fece scrupolo a demolirla completa-mente dopo le soppressioni napoleoniche del 1810. Vi era sepolto il Beato Cristoforo Macassolio, mortovi in concetto di santità nel 1485, il cui corpo fu portato in Cattedrale con la preziosa tavola di Macrino d’Alba (1502).

16 Come alla coeva chiesa di San Giacomo a Pavia (distrutta), dell’An-nunziata in Abbiategrasso (ora manomessa), delle Grazie a Monza, di San Bernardino a Varallo, Caravaggio, Ivrea. A. Nova, “I tramezzi in Lombar-dia”, in “Il Francescanesimo in Lombardia, storia e arte”, Cinisello Balsamo 1983.17 “Avanti l’Altare Maggiore (come ho potuto vedete in alcune Chiese de Padri zoccolanti) vi è una fabbrica a modo di facciata d’una chiesa, con una porta in mezzo, per cui si passa dall’altar maggiore al restante della chie-sa, qual facciata è tutta dipinta con bellissime figure, che rappresentano la nascita, vita, passione, e morte del salvatore del mondo, fatte, per quello che si trova notato, nell’anno 1500.”, C. S. Brambilla, “Op. cit.”, p. 101.18 P. Bellazzi, “La chiesa di San Dionigi e la sua Confraternita”, Vige-vano 1966; C. Silva, “La chiesa di San Dionigi a Vigevano”, in “Viglevanum” XIX (2009), pp. 102 – 109.

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IV

La Confraternita dell’Annunciazione del Signore

Nei tempi passati la pietà religiosa e le pratiche caritatevoli dei buoni uomini vigevanesi erano svolte attraverso la partecipazione alle Confraternite laicali, che, numerose e ben organizzate, rag-giunsero il numero di undici a Vigevano, senza contare le Compa-gnie devozionali e i Consorzi professionali presenti in quasi tutte le chiese.

Può essere utile un breve richiamo a ciascuna Confraternita del-la nostra città.

La prima confraternita a Vigevano fu quella con sede presso la chiesa di San Dionigi19, aggregata nel 1581 a quella romana della Madonna del Gonfalone. Le prime notizie di un’associazione lai-cale, con scopi di pietà, risale addirittura al 1323. I Confratelli si occupavano anche delle cura in prigione e del seppellimento dei condannati a morte. La chiesa attuale fu costruita a partire del 1750, e completata con la cupola nel 1780. Fu sede parrocchiale dal 1532 al 1852, poi traslata in San Francesco, di cui è sussidia-ria. Ora è stata restaurata, ma purtroppo non è stata restituita ai fedeli, come avrebbe meritato uno dei più antichi luoghi di culto e di carità della città. La Confraternita si disciolse nei primi anni del 1900. La divisa era di colore bianco.

La seconda in città fu quella della Purificazione di Maria presso l’antica chiesa di Santa Maria del Popolo, nata per una burrasco-sa scissione da quella di San Dionigi. Si racconta20 che nel 1511

19 C. Nubilonio, “Op. cit.” pp. 276 – 277.20 C. Silva, “Chiese scomparse in Vigevano”, in “Viglevanum” XIV (2004), pp. 70 – 79.

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alcuni confratelli portarono il miglio da battere, essendo stata la stagione piovosa, in... chiesa, e ne nacque un litigio così insana-bile, che altri confratelli fecero la scissione e crearono una nuova Confraternita, nel 1621, aggregata a quella romana del Suffragio. La chiesa attuale fu eretta nel 1729 su progetto dell’architetto ro-mano Ruggeri; la Confraternita è stata ricostituita nel 1987. La divisa era bianca, poi modificata nel 1600, e infine celeste.

Terza fu quella di San Cristoforo21, con sede nell’omonima chie-sa, eretta nel 1524 in contrada di Valle (via Riberia) da un gruppo di uomini che si unirono per opere di carità e di suffragio dei tanti lutti, avuti in occasione di una terribile pestilenza. Nel 1584 la Confraternita fu intitolata alla SS. Trinità. La chiesa, progettata forse da Cristoforo Solari22 era divenuta sede di parrocchia nel 1532; trasferitasi la cura d’anime nell’ex conventuale di San Pietro martire nel 1806, la chiesa fu chiusa e demolita e la Confraternita si trasferì con quadri e suppellettili; si sciolse nel 1942. Essa gesti-va un ospizio per pellegrini e convalescenti accanto alla chiesa; attraverso il Consorzio della Madonna della Mercede provvedeva al riscatto dei cristiani caduti prigionieri dei pirati mussulmani. Aveva l’abito nero, poi mutato in rosso.

Seguì quella di Santa Maria Maddalena23, fondata nel 1539 nel-la chiesa omonima, eretta dagli Ardizzi nel 1421 (via del Pozzo, angolo via del Popolo) e dotata di preziosi reliquiari trasportati in San Francesco quando fu soppressa chiesa e confraternita nel 1801. Aveva l’abito tanè chiaro con cordone bianco: si sciolse nel 1922.

Fu poi la volta di quella di Sant’Andrea24, fondata nel 1560 nell’omonima chiesa (via XX settembre angolo vicolo Seminario), nominata già nel 1347 e rifatta alla fine del sec. XVI. Soppressa nel 1801 la chiesa, i confratelli, che avevano l’abito verde con la croce rossa a X, si trasferirono in San Dionigi, ove presto si sciol-

21 C. Barbieri, “L’Associazione dell’Immacolata a Vigevano”, Vigeva-no – Mortara 1901.22 C. Silva, “Chiese scomparse…” (“Op. cit.”); P. Bellazzi, “La chiesa di San Francesco…” (“Op. cit.”).23 P. Bellazzi, “La chiamavano via del Paradiso”, Vigevano 1992.24 C. Silva,”ibidem”.

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sero.

Poco dopo, nel 1575 fu la volta di quella di San Bernardo, nell’omonima chiesa, già esistente nel 1498 e ultimamente rifatta nel 1676. Nel 1583 la Confraternita, con l’abito nero, fu aggre-gata a quella romana del SS. Crocefisso, da cui prese il nome. E’ stata ricostituita nel 1984.

L’anno dopo, fu la volta di quella di San Rocco25, con sede nella chiesa omonima eretta nel 1524 (attuale Santuario di Pompei), trasferitasi nel 1576 in un’altra chiesa, accanto a San Pietro marti-re e nel 1647 in una terza (corso Repubblica angolo via del Popo-lo) soppressa nel 1810. I confratelli, che vestivano l’abito verde, si trasferirono prima a San Pietro martire, e poi a San Giorgio, ove presto si sciolsero.

Nel 1583 toccò a quella dell’Annunciazione, come vedremo.

Nel 1599 si costituì la Confraternita della Morte26 nella cappella quattrocentesca della Madonna dei pesci sul naviglio, trasferitasi nel 1606 nella chiesa della Madonna della Neve. Non ebbe mai interruzioni, nemmeno durante l’età napoleonica. I Confratelli, il cui nuovo statuto risale al 1985, indossano l’abito nero.

Nel 1602 nacque la Confraternita della Madonna del Carmine, con sede nella chiesa di Santa Margherita, esistente già nel 1498 e ricostruita più volte. Soppressa la Confraternita, vestita di tanè scuro, nel 1801 fu ricostituita nel 1824 e durò fino al 1942; un gruppo di devoti fa rivivere le tradizioni religiose della Confra-ternita.

Ultima fu quella della Madonna dei sette dolori27, eretta nel 1657 nell’omonima chiesa, eretta nel 1613 e rifatta nel 1722 (è sede di parrocchia dal 1938). Ricostituitasi dopo le soppressioni napoleoniche, si sciolse agli inizi del novecento. Portava l’abito viola.

25 “ibidem”.26 P. Bellazzi – F. Fino, “La chiesa di S. Maria della Neve in Vigevano e la sua Confraternita”, Vigevano 1999.27 G. Sai, “La Chiesa della Beata Vergine dei sette dolori”, Vigevano 1988.

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E dopo questo lungo excursus sulle Confraternite vigevanesi arri-viamo a parlare della nostra.

Alcuni uomini devoti pensarono di dare vita ad una Confrater-nita laicale intitolata alla Madonna, scegliendo come invocazione il mistero dell’Annunciazione del Signore presso l’antica cappella del voto, verso l’anno 1583. Il 1 luglio 1583 ottennero dal Vesco-vo mons. Bernardino Bricennio l’atto di erezione canonica della Confraternita, rogato dal notaio Giovanni Francesco Maggi, Can-celliere Vescovile. I Confratelli iniziarono l’ufficiatura col proprio abito, di colore argentino, soltanto l’8 settembre di quell’anno. E la data scelta non fu casuale28. Lo stesso vescovo approvò lo statu-to del Sodalizio il 23 gennaio 158629.

La chiesa era però assai piccola: subito la Confraternita si attivò per riedificare una chiesa più grande, e con il coro per l’ufficiatu-ra.

La Confraternita era una libera associazione di laici che si erano voluti costituire, sotto l’autorità del Vescovo, per celebrare ogni domenica l’Ufficio della Madonna, oltre che ascoltare Messa e confessarsi con una certa frequenza. Promettevano di vivere one-stamente, da buoni cristiani, contribuendo a opere di carità spiri-tuali e materiali specialmente in soccorso dei più poveri. Avendo costruito con le offerte dei membri la propria chiesa, ne assume-

28 L’8 settembre è infatti la festa della Natività della Madonna, ed è la più importante e antica festa mariana della città, tra le molte, essendo questo il titolo dell’Altare della Vergine in Cattedrale, ricordo della prima chiesa vigevanese, che secondo la tradizione sorgeva sul castello ed era intitolata a Maria nascente. Anche i Confratelli della Madonna della Neve sceglieranno nel 1606 la stessa data per inaugurare la loro nuova chiesa, e lo stesso i Cap-puccini per la nuova chiesa di Santa Maria del Crocefisso, nel 1609, intitolata a Maria Nascente.29 “Initio sui Pontificatus, petentibus aliquibus piis viris Viglevanen-sibus, ad divini cultus augmentum, et ad animarum salutem promovendam, calendis Jiulii anno MDLXXXIII constituit in aedicula S. Mariae Angelorum Sodalitatem sub titulo Annunciationis Beatae Virginis, attributo ejus Con-fratribus habitu coloris cerulei, et novam Ecclesiam S. Mariae Angelorum extra muros suis praecipue sumptibus aedificari, et perfici curavit, eamque statutis conditionibus laudatae Sodalitati assignavit die XXIII januarii anno MDLXXXVI.”, M. Gianolio, “Op.cit.” p.65: in nota si fa riferimento al disper-so Archivio della Confraternita.

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vano la cura e l’amministrazione. Le Confraternite erano solite predisporre le pratiche necessarie per l’aggregazione con Arci-confraternite di Roma analoghe per titolo o finalità. In questo modo assumevano le regole e gli statuti di quelle, generalmente approvate dal Papa, e ne godevano i privilegi e i benefici spirituali. La nostra ottenne l’aggregazione con l’Arciconfraternita dell’An-nunciazione, che aveva sede presso la chiesa di Santa Maria so-pra Minerva in Roma con lettera del 26 aprile 1584; una ulterio-re conferma fu data il 13 agosto 160230. Dagli atti di una Visita del 166931 apprendiamo di un atto di aggregazione, riconosciuto dall’Ordinario datato 7 ottobre 1610.

La carità della Confraternita si applicava a casi particolari, come la provvista di una congrua dote per far maritare fanciulle povere (sul modello dell’Arciconfraternita romana). Era un modo per offrire a loro un futuro migliore, evitando loro un destino di serve o peggio. I Confratelli amministravano la rendita di trecen-to scudi che fra’ Andrea Riberia, fratello della benefica Donna Agnese32, aveva lasciato per legato testamentario rogato il 4 feb-braio 1587 per provvedere alla Messa quotidiana all’altare della chiesa della Madonna degli Angeli e alla dote di cento lire impe-riali per una fanciulla povera. Questa era invitata a partecipare alla solenne processione annuale il giorno dell’Annunciazione. La Chiesa ebbe due altri legati testamentari, di un certo rilievo: uno di Paolo Previde Frigerio del 23 marzo 1668 per la celebrazione di varie Messe lungo l’anno; l’altro di Vincenzo Ferrari Vio che nel 1703 fondava una Cappellania per la Messa quotidiana con

30 C.S. Brambilla (“Op. cit.”) riporta l’incipit delle lettere: infatti ebbe a consultare (come il Gianolio) l’archivio della Confraternita, requisito dal Demanio e disperso a causa della soppressioni napoleoniche.31 Visita pastorale del Vescovo mons. Visconti del 23 gennaio 1669 (ASDV).32 Figlia di don Andrea de Ribera Castiglia e moglie di don Michele Lenza, Reggente della Corona spagnola a Milano; rimasta vedova si ritirò a Vigevano nel monastero delle Domenicane dell’Assunta (nella cui chiesa, ora profanata, fu sepolta). Fondò nel 1629 l’Orfanatrofio della Presentazione di Maria (in via Cairoli, soppresso nel 1799, confluì nel 1819 nell’ex monastero delle Carmelitane in via Riberia, dalla Riberia beneficato alla fondazione nel 1641) e fu munifica con gli istituti religiosi e caritativi della città.

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beneficio costituito nel 174233. Entrambi i legati cessarono con le soppressioni napoleoniche.

La Confraternita, apprendiamo da una nota del 181934, anno-verava trai suoi membri uomini della frazione Sforzesca, i quali indossavano l’abito proprio in occasione della processione della Madonna la prima domenica di luglio.

Ogni Confraternita aveva un abito proprio, che ne distingueva i membri da quelli delle altre. Indossavano i nostri una cappa di colore argentino quando recitavano l’ufficio in coro, assistevano alle funzioni nella loro chiesa o accompagnavano i cortei funebri. Alle processioni poi si presentavano con il proprio gonfalone: ogni Confraternita aveva il proprio come segno distintivo e motivo di orgoglio. Per questo a Vigevano rimangono alcuni esemplari bel-lissimi oltre a quello della Madonna degli Angeli. Nel 1969 in-serito nelle raccolte del Museo Diocesano (pensato dal Vescovo Mons. Barbero e mai realizzato per la sua improvvisa morte) ed esposto nella seconda sala del Tesoro del Duomo35. La Confra-ternita ne possedette anche un altro, più piccolo, per le occasioni meno solenni, usualmente esposto in chiesa, a destra dell’altare maggiore.

Alle processioni bisognava rispettare rigorosamente un certo ordine, sanzionato dall’antichità d’ogni Confraternita: ogni viola-

33 Dagli Atti della Visita pastorale del vescovo mons. Scarampi del 18 luglio 1756 (ASDV).34 “Relazione dello stato della Parrocchia al titolo di San Cristoforo...”, manoscritto inedito del 1819 (ASPSCV).35 Il Museo contiene anche il gonfalone della Confraternita di Santa Maria del popolo, simile per fattura e coevo. Tra i più preziosi è senz’altro lo stendardo della Compagnia del Rosario in San Pietro martire, con ricamati in quindici medaglioni i Misteri del Rosario e nel verso la Madonna coi Santi Domenico e Caterina (inizi del sec. XVIII).

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zione poteva comportare controversie e perfino... disordini36. Gli Ufficiali (Priore, Vice-Priore, Maestro dei Novizi) portavano dei bastoni processionali in legno dorato, le cui insegne, baroccamen-te sagomate, raffigurano in olio l’Annunciazione: si sono conser-vate anche ai nostri giorni.

36 Sentite un caso, raccontato dal nostro sempre diligente Brambilla (“Op. cit.” p. 91), capitato ai Confratelli di Santa Maria del popolo: “L’an-no poi 1662 hanno li confratelli di detta vener. Compagnia fatto edificare la Capella con l’Altare della Madonna del Suffragio à man dritta della chiesa, e precedendo le dovute cerimonie di Santa Chiesa si celebrò a detto altare la prima Messa il giorno di tutti li Santi, chìè il primo di Novembre, e hanno li confratelli aggiunto all’abito il rocchetto, con il cordone nero, capello, e coro-na, per uniformarsi a ciò, che dispone il Breve della soletta aggregatione (del Suffragio), per il che ne sono nati diversi disguidi, e inconvenienti, avendo le tre Compagnie (cioè le altre Confraternite di Vigevano) preteso, che questa del popolo, per l’habito sonetto dovesse come compagnia nuova, andare all’ulti-mo luogo in occasione delle pubbliche processioni, ma finalmente è piaciuto a Sua Divina Maestà metter fine a tante discordie, che disturbavano tutte le principali divotioni, con la destrezza (sic) e autorità di monsigno Vescovo Gi-rolamo Visconti, essendosi detta Compagnia del Popolo, in occasione delle Quarant’Ore, fatte nella Cattedrale la Settimana Santa dell’anno 1668, riso-luta di andar all’ultimo luogo, e così, per gratia di Dio, si va continuando con molta consolatione dei buoni cittadini.”

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V

La nuova chiesa

Torniamo a parlare della chiesa: avevamo lasciato i Confratelli alle prese con la fondazione e la necessità di edificare una chie-sa più grande e un coro adeguato per le ufficiature. Il Vescovo Bricennio, racconta il Gianolio37, ebbe ad approvare con solerzia la nuova associazione laicale e volle contribuire con elargizioni personali alla raccolta di elemosine per la costruzione della nuova chiesa. Si decise di aggiungere alla primitiva cappella, mantenu-ta come presbiterio, un corpo longitudinale, più alto e largo, co-perto da volta a botte e diviso in due campate, creando quattro arcate laterali, della medesima dimensione di quella d’accesso al presbiterio. Pare che la chiesa, così ampliata, cominciò ad essere officiata nel 1586. Nel 1592 i confratelli posero mano alla costru-zione del coro, per collocare gli stalli ove assistere alle Funzioni e recitare l’Ufficio. Questo fu concepito come un organismo auto-nomo, largo quanto la navata, distinto dal presbiterio, avendovi conservato il muro retrostante l’altare, ove vi è l’antico affresco. E’ un vano rettangolare coperto da volta a botte che si risolve in una vela in prossimità delle finestre laterali. Per il collegamento con la chiesa si approntarono due porte lateralmente al presbiterio. In quegli anni fu anche eretto il campaniletto, alto e snello, la cui cel-la, di linee sobriamente tardo-cinquecentesche accoglie un unica campana. E’ singolarmente fondato tra la navata e il presbiterio, su cui appoggia due muri; gli altri sono invece a trabalzo sulla volta, e sorretti da un sistema di travi lignee e chiavi in ferro tra i muri e la volta, che, pur nella solidità costruttiva, rivelano una

37 “Op. cit.”; A. Colli, “Maria Santissima onorata in Vigevano”, Mor-tara – Vigevano 1904.

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certa arditezza.

La chiesa rimase con un solo altare fino al 1657 quando fu eret-ta una cappella sfondando la seconda campata verso l’altare mag-giore, nel quale fu costruito un altare dedicato ai Santi Mona Ar-civescovo e Mauro Abate. La prima Messa si celebrò à detto Altare dal Dottore Vincenzo Colli Vicario generale del Vescovo Adarzo il dì 16. Agosto di detto anno, & il giorno seguente si solennizzò la festa con Messa cantata, & Vespero à due Chori di Musica38.

38 Brambilla, “Op. cit.”, p. 186.

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VI

Sulle spine del Vescovo

Principale evento della vita della Confraternita era, come ac-cennato, la solenne processione che si teneva ogni anno il giorno dell’Annunciazione (il 25 marzo) all’ora di mezzogiorno partendo dalla Cattedrale fino alla chiesa degli Angeli ove si cantava Messa solenne. I Confratelli in mattinata si recavano col loro Cappellano (in piviale) in Duomo, portandosi dietro le statue della Vergine Annunciata e dell’Arcangelo, usualmente collocate presso l’alta-re maggiore della loro chiesa. La Madonna, montata sopra una portantina era recata sulle spalle con un ricco tronetto in legno dorato (ancora esistente); due robusti confratelli portavano ai lati due ingrombanti candelabri (ora collocati in presbiterio). Il priore, il suo vicario e il maestro dei novizi avevano tramano ciascuno un bastone recante l’insegna del sodalizio dipinta su un artisti-co cartiglio (ancora conservati). E poi era la volta del grandioso stendardo portato da quattro confratelli che con corde cercavano di tenerlo ritto. Dopo una breve orazione si formava la proces-sione, che richiamava una gran folla di gente, specialmente dalle campagne che sperando nell’accennarsi del tepore primaverile rendevano il rito religioso l’occasione per una colorata festa popo-lare, ove s’alternavano alle laudi sacre canti un pò profani, danze, luminarie e perfino, lungo il percorso banchetti di venditori di scarabattole e leccornie (del tempo...). Giunti alla chiesetta, dopo aver percorso un tratto di strada tra siepi fiorite e vigneti curati, si cantava la messa solenne, con tre preti parati, l’altare ornato con le suppellettili argentate e dorate e drappi colorati di stoffe prezio-se. Nel coro gli uomini esibivano le voci baritonali –forse un pò imbarbarite dalle cadenze vigevanesi – nell’intonare il bel latino delle messe gregoriane... Fin qui niente di male, anzi. A qualcuno

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verranno in mente le processioni che ancora ai nostri giorni si svolgono nel mezzogiorno d’Italia...

Niente di male, solo che, siccome l’Incarnazione andò a capita-re un 25 marzo, per le bizze del calendario lunare qualche volta la festa dell’Annunciazione si trova ad essere in quaresima! E le sacre rubriche non mentono e non danno deroghe, sicché bisogna spostare la festa dell’Annunciazione al primo giorno libero dopo l’ottava di Pasqua. Vallo a dire ai Confratelli! E pii cerimonieri e zelanti promotori dell’osservanza liturgica avevano da sudare nel far capire di spostare processione e feste connesse in un tempo diverso. Arresisi il più delle volte, ricorrevano all’Eccellentissimo Vescovo, a cui - siccome liturgo della diocesi - toccava emettere ingiunzioni e decreti per far recedere i confratelli dal proposito di trasformare la quaresima in...carnevale e spostare la loro festa. Di solito obbedivano; altre volte no. Pare di vederli, sotto le toppie e gli alberi da frutto dell’orto confinante con la chiesa e la cascinetta degli Angeli, i confratelli più devoti soccombere alle argomenta-zioni dei più, non sottili certo, come quelle – condite di latinorum - del buon canonico invitato a notificare e persuadere... E allora cosa capitava? Di tutto. Come quel 25 marzo dell’anno di Nostra Salute 1664. Sentite un po’.

L’allora Vescovo mons. Attilio Pietrasanta aveva proibito la pro-cessione perchè le feste profane che vi svolgevano non potevano tollerarsi in tempo di quaresima. Inoltre all’ora solita in Duomo si teneva il Quaresimale. I Confratelli alla notifica del decreto non fecero una piega: come ogni anno si radunò una folla alla chiesa degli Angeli che, salmeggiando e cantando, si recò in Duomo. Quindi, cantando accompagnati da suonatori, entrarono in chie-sa, mentre il Vescovo, i Canonici, il clero e molto popolo (seguaci di altre Confraternite, evidentemente) ascoltavano compunti il se-vero predicatore. Successe il finimondo; il giorno dopo i Confra-telli promotori del delitto furono scomunicati (allora si usava an-che per meno...) e, passato qualche tempo, fatta penitenza, furono perdonati, reintegrati, e tornarono a fare quel che pareva loro.

La processione ebbe termine per causa di forza maggiore al tempo dell’invasione francese delle nostre contrade. Venuti a por-tare la libertà, l’uguaglianza, eccetera, i nuovi padroni chiusero

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chiese e conventi, e mandarono a mondare il riso i canonici, i fra-ti, le suore, e i membri delle Confraternite, incamerando – bontà loro – i beni e svendendoli a loro amici o..collaborazionisti! E in più furono proibiti abiti e distintivi religiosi, oltre a manifestazioni di culto esterne: ecco in cosa consiste la libertà per molti. Anche oggi… Cacciato l’invasore e avviata la restaurazione (a partire dalle tradizioni religiose), la ricostituita Confraternita riprese la processione annuale. Nel 1819 non si portavano più le statue ma la processione si svolgeva ancora, pur senza le musiche e l’appara-to esteriore e il senso di festa popolare dei secoli passati39. Si tenne fino al 1939. Poi venne la guerra e nessuno se ne ricordò più.

39 “Alli 25 detto mese (marzo) nella suddetta chiesa della Madonna degli Angeli posta come sopra si fa la processione dopo il mezzogiorno co-minciando la detta processione dalla Cattedrale sino alla detta Chiesa in cui vanno processionalmente sotto lo stendardo i Disciplini della detta Confrater-nita sino alla loro Chiesa situata come sopra, ed ivi arrivati si canta la Mes-sa solenne avendo i detti Confratelli come asseriscono il privilegio di un’ora dopo il mezzogiorno (?) non portando alcun simulacro accompagnando tal processione il Cappellano apparato in piviale.”, da: “Relazione dello stato”, manoscritto inedito del 1819 (ASPSCV).

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VII

Nel turbine napoleonico

Tra i periodi più turbolenti che la storia bimillenaria della Chie-sa ricordi ha un bel posto d’onore il periodo napoleonico con le sciagurate soppressioni di monasteri e corporazioni religiose, e la dispersione di un patrimonio storico e artistico oltre che religioso di valore inestimabile.

Le prime avvisaglie che stava capitando qualcosa di grosso an-che dalle nostre parti, si ebbero con le prime manovre finanziarie da parte del governo di Sardegna con la cessione dei contributi pubblici a feste religiose; poi nel 1796 fu la volta delle campa-ne, tolte dai campanili delle chiese (ove ne erano più di una) per fare cannoni contro l’invasore francese (ma siccome si trattava di bronzo dissacrato non funzionarono affatto): a Vigevano furono calate 22 campate. Nel 1802 il governo francese (stavolta) rubò l’unica campana della Madonna degli Angeli40. Intanto tra il 1798 e il 1810 nella sola città di Vigevano, a causa delle leggi soppres-sive, vennero chiuse e vendute ben 9 chiese con annesso convento o monastero (in seguito furono riaperte le sole chiese di San Fran-cesco e San Pietro M.), e oltre 20 chiese di Confraternite e Ora-tori. Poche di esse rimasero aperte perché dichiarate sussidiarie di Parrocchie (per San Cristoforo: San Pietro martire, ove nel 1806 si trasferirà il titolo parrocchiale, cedendo la vecchia chiesa, e il Carmine) o perchè salvate dai Confratelli e ripristinate passata la bufera napoleonica (come appunto questa nostra chiesa)41.

40 P. Muggiati, “Quando la città rimase senza campane”, in “Vigleva-num” VIII (1998), pp. 102 - 109.41 Le vicende delle chiese vigevanesi sotto la bufera napoleonica sono accennate in C. Silva, “Chiese scomparse…” (“Op. cit.”).

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La Confraternita fu soppressa per decreto napoleonico nel 1801, ma i Confratelli riuscirono a dimostrare di averla costruita e man-tenuta essi stessi, con sostanze proprie; forse perché avevano usato buoni argomenti col Delegato del Demanio, come avevano fatto i Confratelli della Madonna dei sette dolori42. In questo modo la chiesa rimase aperta al culto conservando la sacrestia e la sala della Confraternita, come cappella privata, facendovi celebrare la Messa e celebrando l’Ufficio in coro, come prima, ma senza abito (perché proibito dal libertario regime). Il Demanio del Diparti-mento d’Agogna mise all’asta a Novara il 25 luglio 1806 diversi arredi della chiesa acquistati da certo Giovanni Battista Annovazzi probabilmente Confratello43. La casa (due locali al piano inferiore e due al superiore) con la corte erano stati venduti dal Demanio il 10 novembre 1804 a certo Giuseppe Sassi che in seguito li ce-dette alla Confraternita nella persona di alcuni membri in forma privata e da loro ceduta successivamente ad altri con transazioni fittizie fino al riconoscimento legale dell’ente Confraternita avve-

42 “Venne destituita anch’essa in una colle altre, ma siccome in questa Conf.a v’era scritto in qualità di Confrattello il Delegato del Demanio Gio: Batta MAjnardi poco lo molestò, cosicche rimase quasi illesa nelle suppellet-tii, con lasciarli anche la campana, ed hanno sempre seguitate le loro funzio-ni à preferenza delle altre. Continuano al presente li Confrattelli ad officiare senz’abito, e si permette che la chiesa resti aperta per comodo dè cassinali che la circondano.”, L. Cotta Morandini, manoscritto inedito contenente la crona-ca delle soppressioni napoleoniche in Vigevano, steso tra il 1807 e il 1812 (già in BSVV).43 Si conserva la distinta della vendita tra le poche carte già della Con-fraternita depositate in ASPSCV. L’Archivio della Confraternita andò requisi-to e disperso con la Soppressione del 1801; delle carte successive ho potuto recuperare solo pochi documenti finiti tra le carte del prevosto Masperi. Nel documento si nomina l’altare, l’ancona e il contraltare in legno dell’altare di San Mauro, il bancone di sacrestia, pochi mobili, un paliotto, un baldacchino, una croce e 10 candelieri in legno: gli oggetti più preziosi erano stati proba-bilmente sottratti alla requisizione.

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nuto nel 193144. Il cascinotto retrostante con il terreno annesso fu comperato dall’avv.Vincenzo Deomini (fondatore dell’Opera pia omonima) che pensava di localizzarvi il cimitero parrocchiale di San Cristoforo. Il progetto non si potè realizzare, e la casa ritornò de facto alla Confraternita45.

44 Era l’unico modo per mettere in salvo le opere religiose e anche di carità (come l’ospizio Sant’Anna di Garlasco o l’Oratorio dell’Immacolata a Vigevano) dagli incameramenti del Governo cosiddetto liberale. La proprietà passò poi da Vincenzo Sassi (proprietario della tenuta Mombelo ceduta nel 1895 ai Cappuccini per farne l’attuale convento) a Carlo Garberini. Resta documentazione di altre cessioni nel 1877 e 1885; ricordiamo i nomi dei Con-fratelli: Luigi Comelli, Carlo Beretta, Giuseppe Magni, Giovanni Bricchetti, Piero Sala e Giovanni de Martini.45 “Soppressa la Confraternita, gli Confratelli hanno ottenuto dal Go-verno la Chiesa, e Sagrestia a loro disposizione, ed a loro spese tutte le Feste dopo celebrate l’Offizio fanno celebrare anche la Messa senza però portare abito. L’abitato fù comperato dal S.r Avv.to Vincenzo Deomini, il quale forsi le cederà al Parroco di S. Cristoforo per formare il Cimiterio della stessa Parrocchia, come ben presto avrà il suo effetto stantechè pochi mesi sono si è ottenuta dal Governo di seppellire i morti nelle loro rispettive Parrochie. Dopo l’abolizione della Conf.a il Chiesetto di S. Giacomo non si aperse più e si considera come più non vi fosse. Alla predetta Chiesa oltre le Doti che nomina l’Autore, altri pii Sig. Confrattelli ne aggiunsero coll’andare dei tem-pi altre tre. Le cui entrate si di queste, che delle altre furono trasportate dal pred. Governo.”, L. Cotta Morandini, “Op. cit.”, il cascinotto fu venduto dalla Confraternita verso il 1956 all’Ursus; pare che il denaro fu offerto a mons. Vescovo per la ristrutturazione del Seminario Vescovile.

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VIII

Due volte nella polvere...

Abbiamo visto che la chiesa degli Angeli corse il rischio di finire male, come molte altre di Vigevano (e anche di maggior pregio storico ed artistico). Poi però, passato il turbine, la Confraternita si ricostituì e tornò ad occuparsi della propria chiesa, riparando innanzitutto i danni dell’incuria di quegli anni. inoltre provvide a un nuovo organo a canne, nel 1832, in luogo del precedente. Nel 1856 rinnovò l’altare di San Mauro, con l’altare marmoreo e la pala del Garberini, e fece un’altra cappella uguale a destra. Nel 1919 ridecorò completamente la chiesa. In seguito però ca-pitò che la Confraternita perse vigore, mancarono i ricambi ge-nerazionali, e fece la fine di altre antiche compagnie, scioltesi di fatto nei primi decenni del novecento. I pochi Confratelli rimasti smisero di cantare l’Ufficio in coro la domenica mattina. Anche la festa non venne più celebrata; negli anni cinquanta poi non si celebrò più Messa: la chiesa finì per rimanere sempre chiusa. Il deperimento delle strutture e delle opere conservate fu immediato e grave, anche per l’abbandono sostanziale del complesso. Verso la fine degli anni sessanta il prevosto di San Pietro martire (nel cui territorio sorge la chiesa) iniziò ad interessarsi fattivamente per il recupero della chiesa, che però giuridicamente apparteneva pienamente alla Confraternita. Il 7 agosto 1971 Mons. Masperi, dopo un sopralluogo col prof. Giuseppe Franzoso chiese alla Cu-ria il benestare per ricoverare in Parrocchia gli oggetti più preziosi e deperibili, anche a seguito di diversi furti. L’11 giugno 1972 il Prevosto manifesta l’interesse di assumersi l’onere di restaurare e mantenere la chiesa: il 21 dello stesso mese di giugno con regolare atto notarile l’ultimo Confratello, sig. Alfredo Cairo (classe 1908) rinunciava al suo titolo di unico rappresentante giuridico della

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Confraternita. Tre giorni dopo il Vescovo mons. Rossi nominava Amministratore dell’Ente Confraternita dell’Annunziata in Santa Maria degli Angeli il Parroco pro-tempore di San Pietro martire al quale si concedeva di nominare un Cappellano della chiesa. Gra-zie al lascito alla Parrocchia delle sorelle Ester e Marina Canedi il prev. Masperi iniziava il restauro della chiesa col rifacimento dei tetti e il recupero dei quadri miseramente ammucchiati in coro re-cuperati e restaurati per interessamento del sig. Francesco Fino. I locali della casa annessa vennero completamente ristrutturati per ricavarne una abitazione: alla rinuncia dalla Parrocchia, mons. Masperi chiese al Vescovo con lettera del 1 marzo 1975 di potersi ritirare con la sorella Giuseppina concedendole l’uso vita natural durante. Il 21 settembre 1975 il vescovo mons. Rossi inaugurava i restauri e riapriva al culto la chiesa. Il restauratore della chie-sa, nominato Cappellano, vi rimase però pochi anni, morendo il 9 marzo 1979; nella casa rimase la sorella; la chiesa fu officiata nei giorni festivi da un frate del vicino convento dei Cappuccini. Essendo passata al Parroco pro-tempore di San Pietro martire la nomina del Cappellano, fu designato don Dante Merassi (coa-diutore in parrocchia) che però morì nel 1983, senza prenderne possesso. Fu quindi nominato il can. Giuseppe Bertoglio, che vi prese possesso solo nel 1996 e vi rimase fino alla morte avvenuta nel maggio 2004; il Prevosto mons. Cerri assicurò la Messa festi-va (incaricando il coadiutore can. Pastormerlo) così da evitare la chiusura della chiesa. Nel frattempo il Centro d’Aiuto alla vita di Vigevano, a causa della precaria sistemazione, cercava una sede adatta per poter svolgere la sua delicata attività. Con l’approva-zione del Vescovo, il Centro trasferiva la sua sede nell’abitazione del Cappellano che veniva inaugurata da mons. Baggini il 30 gen-naio 2005.

Il volontari del Centro hanno preso a cuore anche la vicina chiesa, animando la Messa domenicale e diverse funzioni durante l’anno, come la preghiera mensile per la vita, l’ultima domenica d’ogni mese. E’ di questi mesi la mobilitazione che coinvolge an-che i fedeli del rione, per provvedere agli interventi più urgenti che lo stato della chiesa, a trent’anni dai restauri, richiede. Il primo intervento ha riguardato il consolidamento statico e il restauro del campanile, inaugurato il 25 ottobre 2009. Dal febbraio 2008 la

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chiesa ospita le celebrazioni liturgiche della Comunità Ortodos-sa dipendente dall’Esarcato per le parrocchie di tradizione russa del Patriarcato di Costantinopoli, officiato da P. Sergio Mainoldi, parroco della chiesa russa di Sanremo. L’Ordinario diocesano ha inteso venire incontro, nell’attesa di una sede propria, alle neces-sità spirituali dei numerosi immigrati dell’est europeo presenti a Vigevano, nel segno di un ecumenismo concreto e della fraternità cristana.

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IX

Guida artistica alla chiesa

La chiesa della Madonna degli Angeli si trova immersa nel cemento della prima periferia industriale della città, accanto al grande complesso dell’ex calzaturificio Ghisio (poi Ursus Gom-ma), bell’esempio di archeologia industriale, ora del tutto rinno-vato e riqualificato. Attorno sono condomini, casette, e moderni complessi residenziali che stanno prendendo il posto di piccole e grandi fabbriche. Fino al primo dopoguerra, quando tutto attorno erano orti e vigneti, intervallati da folte siepi e rade piante da frut-to, dietro la chiesa sorgeva un cascinale composto da una grande casa, secentesca, e altri edifici agricoli, già di proprietà della Con-fraternita. Fu sostituito negli anni sessanta dal solito capannone in cemento armato. La chiesa si trova incuneata alla confluenza tra due strade46 che salgano alla costiera (corso Genova) appena sotto il convento dei frati Cappuccini (iniziato nel 1895 in luogo della villa Mombello). E’ preceduta da un bel sagrato cintato da transenne in sasso, di sistemazione ottocentesca, recentemente ri-piantumato. La facciata a capanna, coronata da timpanatura, è ingentilita da un semplice portale di gusto seicentesco; sopra un riquadro contiene un affresco raffigurante l’Annunciazione, quasi del tutto sbiadito: è presumibile opera di autore locale del sec. XVII. La finestra superiore, baroccamente sagomata, fu aperta nel sec. XVIII. Lungo il fianco destro, si eleva alto e snello, il campanile, di semplici linee seicentesche, eretto (in un secondo tempo, come si nota dalla muratura) tra la navata e il presbiterio (si noti che due lati sono di trabalzo sulla volta, ben concatenati

46 La via Bretti fu tracciata soltanto negli anni cinquanta del secolo scorso.

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con travi e chiavi). Nella cella (preceduta da un grande cartiglio) è alloggiata un’unica campana, che pare risalire al sec. XVIII47. A sinistra della facciata è il fianco della casa della Confraternita, radicalmente ristrutturata negli anni 1970-74; dal 2004 ospita la sede diocesana del Centro aiuto alla vita. L’edificio, addossato alla chiesa, era adibito ad abitazione del sagrestano: comprendeva an-che un locale adibito a sacrestia, e al piano superiore la sala delle riunioni della Confraternita. La scala originaria, addossata alla parete contigua alla facciata conduceva nella sala della Confrater-nita, ove si tenevano le adunanze e si conservavano le carte e gli arredi della chiesa, e alla cantoria dell’organo. Da un’altra scala, esterna, per un doppio ballatoio si accedeva ad altri locali abitati dal sagrestano. Davanti alla casa è un piccolo cortile, cui si accede da un portone sormontato da un arco in muratura baroccamente sagomato (sec. XVIII).

L’interno della chiesa ha mantenuto l’aspetto primitivo, non essendo stato oggetto, a differenza delle altre chiese di Confra-ternite vigevanesi, ad estesi interventi di decorazione nel corso dell’ottocento. Si entra per un portone in noce, con riquadri ele-gantemente sagomati (inizi sec. XVIII). La navata centrale si pre-senta come un vano rettangolare coperto da una profonda vol-ta a botte: si aprono lateralmente due campate per lato, spartite da semplici lesene e cornici, i cui arconi d’accesso sono uguali a quelli del presbiterio (come nella vicina chiesa della Confraternita del Carmine, iniziata pochi anni dopo). Le prime due campate sono appena accennate; le altre si aprono in cappelle minori, che ospitano altari laterali. A destra si aprono due finestre a forno; la navata è poi illuminata, oltre che dal finestrone di facciata (non originario) da due finestrelle rettangolari che si aprono sopra il cornicione. Ai lati dell’ingresso vi sono due acquasantiere (sec. XVII) sagomate a conchiglia in marmo nero (piuttosto raro dalle nostre parti). Si notino le piastrelle del pavimento, in cotto lom-bardo variegato (prima metà sec. XVIII) nella navata e in pre-sbiterio (di fattura diversa). Sopra l’ingresso è la grande cantoria dell’organo, prezioso e antico strumento. La cantoria, in legno

47 “Consacrata l’anno 1817 da Mons. Vescovo Milesi”: relazione del prev. Motta per la Visita Pastorale del 1876 (ASPSCV).

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sagomato, è spartita in sette riquadri decorati con motivi floreali e simboli musicali, e dipinta con varie tonalità di azzurro; risale al 1832, come l’aspetto attuale della cassa dell’organo, composta da tre corpi: quello centrale sotto il finestrone contiene le can-ne di facciata dello strumento; le torri laterali, ornate da pilastri d’ordine dorico e timpanature aggettanti d’intonazione classica, contengono canne di mostra. Lo strumento è stato costruito dalla casa organaria Serassi di Bergamo48, certamente non “ex novo” ma rinnovando uno strumento precedente, riconducibile agli inizi del sec. XVIII49, di cui vennero mantenute parti consistenti. La sistemazione attuale dell’organo risale agli inizi del ‘900, quando vennero realizzate alcune innovazioni, non sostanziali; nel 2000 fu riattivato da Krengli di Novara. E’ attualmente funzionante, e meriterebbe un accurato restauro per una adeguata valorizzazio-ne di uno strumento pregiato, che è il più antico della città. L’or-gano conta 15 registri e 722 canne in buona lega di stagno.

La volta della navata è affrescata con al centro un grande dipin-to dell’Annunciazione, opera di Luigi Gazzi50, pittore vigevanese, eseguito nel 1919; ai lati riquadri sagomati nell’insieme decorati-vo di gusto classico, richiamano i Santi Rocco e Sebastiano, ve-nerati nell’altare laterale destro. La campata successiva è ornata al centro da una tipica raffigurazione trinitaria. Sull’arcone del presbiterio, nella lunetta, è appeso un prezioso crocefisso in legno e stucco, caratteristico per la capigliatura in capelli umani del Cri-sto; pare interessante opera scultorea di ambito lombardo della

48 Come si legge nella targhetta posta sulla tastiera, affiancata da due grifoni in ottone. Tra le carte della confraternita si trova la fattura di una ri-pulitura accurata dello strumento firmata Giovanni Mentasti, ma senza data. Nel catalogo delle realizzazioni della casa organaria Serassi compare al n 435 dell’anno 1832. A Vigevano i Serassi lavorarono all’organo di San Pietro martire (1818, ampliato nel 1867 dal Lingiardi e poi da Krengli nel 1927; re-sta parte del solenne ripieno) e del Duomo (1791-95, rifatto dai Lingiardi nel 1845).49 Del precedente strumento fu mantenuta la tastiera e la pedaliera con i tasti cromatici invertiti (come negli antichi clavicembali), le manette dei re-gistri, numerose canne e una parte della struttura fonica.50 Visse tra gli ultimi decenni dell’ottocento e i primi del novecento; allievo di Vincenzo Boniforti (a sua volta allievo del Garberini), fu decoratore e pittore di paesaggi; collaborò a diversi lavori con Raffele e Ottone.

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seconda metà del sec. XVII.

Nella prima campata destra è alloggiato un confessionale in le-gno di noce, sagomato e modanato di gusto eclettico, della secon-da metà del sec. XIX. A quell’epoca risalgono anche i banchi in navata, in noce, di forme assai consuete nelle chiese cittadine.

A destra, nel vano voltato a botte aperto nel 1657 per ospitarvi l’altare di San Mauro, è la cappella dei S.S. Sebastiano e Roc-co, rinnovata verso il 1855, quando fu costruito il pregevole altare marmoreo di gusto neoclassico, con specchiature e riquadrature, malamente riattato negli anni settanta del novecento. L’ancona è delimitata da due lesene in stucco, con dorature che sostengono la trabeazione con eleganti decorazioni classicheggianti. Al cen-tro è una pregevole tela di autore lombardo. Raffigura al centro la Madonna col Bambino, tra nuvole e volti di angeli; ai lati, in basso, sono raffigurati i Santi Sebastiano e Rocco nella tipica ico-nografia. Un angelo indica la piaga della peste nella gamba di San Rocco. I due Santi erano assai venerati a Vigevano e in Lomellina per la difesa della peste, con numerose chiese e confraternite: a Vigevano ce ne furono ben tre. Si ignora la provenienza o l’ubica-zione originaria di questo quadro, che meriterebbe un restauro.

Sotto la predella fu sepolto mons. Felice Masperi, prevosto di San Pietro martire dal 1948 al 1975, che alla rinuncia si ritirò presso questa chiesa, di cui aveva curato il restauro51. Una lapide

51 Nato nel 1907 nella parrocchia di San Pietro martire, dopo aver concluso gli studi nel Seminario di Tortona, fu ordinato sacerdote nel 1931 e destinato alla cura della parrocchia dell’Abbazia di Acqualunga, presso Fra-scarolo. Fu trasferito nel 1936 come Parroco ad Albonese, rinnovò la Parroc-chia e restaurò la chiesa, e fu trasferito dodici anni dopo a San Pietro martire, ove fece il solenne ingresso l’8 dicembre 1948. Costruì l’Asilo – Oratorio e il cinema Moderno; zelò il culto del Beato Matteo di cui promosse il restauro dello Scurolo con la nuova cassa artistica e le feste straordinarie del 1950 e 1970. Fu assistente diocesano dell’Azione Cattolica e dell’Opera Federativa Trasporto Ammalati Lourdes. Generoso ed esigente, fu brillante predicatore con una lunga attività in missioni popolari per l’Italia e l’estero con la “Pro Civitate Christiana”. Dimessosi dalla Parrocchia per motivi di salute il 30 aprile 1975 fu nominato Canonico della Cattedrale ritirandosi come Cappel-lano alla chiesa degli Angeli, morendovi il 9 marzo 1979. M. Bianchi, “Mons. Felice Masperi”, Vigevano 1989.

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ne ricorda la figura e l’opera52. A sinistra è appeso un crocefisso in stucco, ottocentesco.

Siamo giunti di fronte all’andito del presbiterio, preceduto da una arcata resa elegante dalla decorazione plastica di gusto barocco in stucco dipinto e dorato, sostenuta da pilastri modanati decorati da un motivo continuo vegetale; sull’arco è un cartiglio in stucco. Lateralmente sono due statue a forte rilievo, in stucco, raffiguranti Davide (a sinistra) e Salomone (a destra). Il sottarco è riccamente decorato da fregi e quattro cartigli che contengono tracce di decorazioni a fresco (anch’esse settecentesche); analoga mano dipinse le grottesche del pilastro (in parte sbiadite e lacu-nose). Sul gradino è poggiata la balaustrata in marmi policromi elegantemente sagomata (1750 circa), chiusa al centro da un bel cancelletto in ferro battuto con fregi dorati, di esecuzione otto-centesca. A lato è provvisoriamente collocato un crocefisso ligneo d’ambito lombardo (ottocentesco). Il presbiterio è delimitato da pilastri e lesene modanate che riprendono i motivi dell’arcone di accesso (i sottarchi presentano decorazioni più semplificate); i pennacchi della cupola sono occupati da altrettanti angeli a forte rilievo che reggono la trabeazione della calotta. Quest’ultima è spartita in quattro parti da fregi (con al centro una figura alata) che delimitano cartigli baroccamente sagomati sostenuti ciascuno da due angeli. Al centro sono quattro tele ovali, entro cornici de-corate a festoni e dorate, raffiguranti la Visitazione (sopra l’alta-re), la fuga in Egitto (destra), la presentazione di Gesù al Tempio (sopra l’ingresso), il ritrovamento di Gesù tra i Dottori del Tempio (sinistra). Paiono di mano discreta, lombarda, precedente però alla erezione della cupola (sec. XVII). Al centro, entro tondo con teste di putti è un angelo che reca il cartiglio con la scritta: ANNUNCIO VOBIS GAUDIUM MAGNUM (in allusione all’annuncio dell’In-carnazione del Signore a Maria SS.). E’ evidente il richiamo agli stucchi della cupola della vicina chiesa del Cristo (databile con certezza tra il 1749 e il 1751), questi ultimi recentemente ripu-

52 CAN. MONS. FELICE MASPERI / PREVOSTO DI SAN PIETRO MARTIRE / PER L’ARDENTE PAROLA E L’INSTANCABILE FERVORE DI OPERE / FU PADRE MAESTRO PASTORE / DI UNA GRANDE FAMIGLIA CHE CONSEGNA A QUESTO MARMO / IL RICORDO E LA RICONOSCEN-ZA / 1907 – 1979.

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liti e restaurati, restituendo la freschezza della cromia originaria (qui invece si nota l’alterazione delle tinte, che paiono offuscate da una maldestra ridipintura ottocentesca, non rimossa durante le ripuliture degli anni settanta). L’altare maggiore è grandio-sa composizione settecentesca in marmi policromi elegantemente sagomati e intarsiati nel paliotto e nella doppia alzata con volute e medaglioni. Pregevole è pure il tabernacolo, sormontato da una testa d’angelo in marmo bianco e affiancato da due modanature con ricco fregio in metallo dorato; lo sportello è in lamina di rame dorata e argentata, raffigurante con sbalzo e cesello a forte rilievo l’Annunciazione. Sopra è l’ancona in stucco a forte rilievo (coeren-te con le restanti decorazioni), delimitata da due putti che reggono la timpanatura mistilinea con al centro la raffigurazione a mezzo busto di Dio Padre. Al centro, entro riquadro baroccamente sa-gomato in marmo nero (chiuso da vetrina con cornice in stucco dorato) è il primitivo affresco raffigurante la Natività del Signore con la Madonna e San Giuseppe. L’aspetto attuale è dovuto ad un opinabile restauro dell’ottobre 1993 che ha purtroppo cancellato le aggiunte e i ritocchi del Garberini (come un gruppo di angeli in alto, lo sfondo, il bue e l’asino). A lato entro nicchioni (malamente dipinti in tempi recenti) a conchiglia (chiusi da vetrine con corni-ci dorate) sono le statue processionali della Madonna annunciata e dell’Arcangelo Gabriele. Le statue, in legno scolpito dipinto e dorato, sono poste sopra piedistalli – portantine, e costituiscono un interessante esempio di scultura lombarda della seconda metà del sec. XVII. Ai lati sono appoggiati i due montanti del tronetto processionale usato per la statua della Vergine, in legno scolpito e dorato (seconda metà sec. XVIII) con ricca decorazione a tralcio e putto sommitale (la corona superiore, analoga, è collocata in coro). Davanti alla predella, su una pedana posticcia, è l’altare mobile, la cui mensa è sostenuta da colonne tortili e ingentilita da una scultura con putti in legno dorato e scolpito di imitazione settecentesca (fu commissionato nel 1975). Ai lati dell’altare sono due imponenti candelabri processionali (cilostri) in legno riccamente scolpito e dorato di gusto classico (commissionati a Vittore Ruffo-

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ni di Novara nel 1840); la base del lume per il SS. Sacramento53 (abitualmente conservato nel tabernacolo) è una colonnina in le-gno con base e capitello ionico ottocentesco (già nello Scurolo di San Pietro Martire).

Lateralmente al presbiterio sono due vani laterali coperti da vol-ta a botte decorata con ricchi fregi a vivaci colori di gusto rococò, ricoperti da una recente scialbatura. A sinistra era l’accesso alla sagrestia, murata nel dopoguerra (il vano fu smembrato trent’an-ni fa); ai lati si intravedono sotto lo scialbo le basi di due figure di profeti affrescate (dalla parte opposta però l’intonaco pare re-cente). Queste decorazioni a sfondi architettonici, figure, e decori sono da ascriversi alla seconda metà del sec. XVIII54: meritereb-bero un ripristino.

A destra è lo stendardo minore della Confraternita, eseguito da una bottega milanese nei primi decenni dell’ottocento; attorniata da una cornice a volute e fregi ricamato in oro a forte rilievo è raf-figurata l’Annunciazione ricamata a punto e ago in oro e seta colorata .

Sopra l’altare era appesa una ricca corona in ottone dorato e sbalzato (seconda metà sec. XIX), ancora conservata, che nelle festività era accompagnata da drappi in seta bianchi o rossi.

La parete di fondo del presbiterio presenta due accessi al coro, chiusi da cancellate in ferro battuto con fregi dorati, realizzati nel novecento imitando il cancelletto tra le balaustre. Il vano del coro è autonomo rispetto al resto della chiesa: a pianta rettangolare, è coperto da una bassa volta a botte da cui si aprono due vele in corrispondenza dei finestroni settecenteschi. Al centro della volta è un riquadro: doveva contenere un affresco; la decorazione origi-naria è occultata dalla scialbatura attuale.

53 Ci piace ricordare che per molti anni il lume del SS.mo fu inserito in una lampada da minatore donata a Mons. Masperi dagli operai delle miniere di Marcinelle in Belgio in occasione di una missione al popolo predicata dal Prevosto in favore degli immigrati italiani.54 Si vedano gli analoghi esempi nei cori delle chiese vigevanesi di San Dionigi e Santa Maria del popolo (in parte rinnovati nell’ottocento). Fino a non molto fa si scorgevano ancora alle pareti della diruta chiesa di san Vittore alla Sforzesca.

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La parete del dossale dell’altare maggiore è occupata da un grande affresco, abbastanza ben conservato, attribuito a un pitto-re d’ambito piemontese degli inizi del seicento (qualcuno vi vuole la mano del Moncalvo, altri, più solidamente, della bottega dei Fiammenghini) di fattura accurata. Raffigura l’incoronazione del-la Vergine Maria da parte della SS. Trinità tra schiere di angeli. Il sottostante riquadro, che mostra le cerniere che sostenevano i cardini di un doppio sportello che lo chiudeva, è un interessante affresco, non ben conservato, raffigurante l’Ultima cena, attribu-ito a un non modesto autore d’ambito lombardo della seconda metà del cinquecento. Il bancone di sagrestia è stato trent’anni fa portato altrove; l’armadio a destra (di produzione tardo ottocen-tesca) richiama nella elegante sagomatura le forme del bancone, d’ambito piemontese (inizi sec. XVII); l’altro armadio e il cas-settone che vi si trovano risalgono alla fine dell’ottocento. Con-tengono alcuni paramenti antichi di pregio55. La chiesa conserva qualche suppellettile antica56, anche se gli oggetti più pregevoli, per sicurezza, sono conservati al sicuro, altrove57. Ugualmente ri-posta in luogo più consono è l’interessante collezione di libri cora-

55 Ricordiamo una pianeta rossa in damasco (prima metà sec. XVII), due altre bianche e un piviale in taffetà liserè (inizi sec. XIX), una verde in damasco e altra in raso (coeve alle precedenti); altra assai preziosa in ricco taffetà rosacea (produzione francese della seconda metà del sec. XVIII); conti-nenza ricamata pregevolmente in oro (inizi sec. XIX). Altri accessori ricamati in seta su lamina d’argento risalgono al settecento e fanno intuire la ricchezza della Confraternita.56 Ricordiamo la serie di sei reliquiari a ostensorio in lamina barocca-mente sbalzata e vasi porta palma in legno e metallo (sec. XVIII); altri quattro reliquiari ad urna rivestiti di lamina (inizi sec. XIX); varie serie di candelieri in rame sbalzato eargentato (sec. XVIII- XIX).57 Ricordiamo due calici in metallo argentato di linee classiche (metà sec. XVIII), turibolo e navicella (fine sec. XVII), ostensorio con fregi e pen-dagli (inizi sec. XIX), quattro busti reliquiari di santi in legno scolpito (sec. XVII). Oggetto di grande pregio è un calice in argento di fusione con la raffi-gurazione dell’Annunciazione di un Santo Abate e di un altro (dal cappuccio sembra un Domenicano) a forte sbalzo: prezioso lavoro di scuola napoletana reca l’iscrizione D.C.B.N.T.C. Napoli 1768. Recentemente studiato e colloca-to tra le raccolte della chiesa di San Pietro martire è da riconoscersi nel calice recuperato nella sacrestia degli Angeli nel 1971 dal Prev. Masperi. N. Sanna, “Inedito calice napoletano nella chiesa di San Pietro martire”, in “Vigleva-num” XVII (2007), pp. 36 – 39.

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li, risalenti per lo più ai sec. XVII- XIX58. Nella parete di fondo, e parzialmente in quelle laterali, è il coro ligneo in noce modanato e sagomato; gli stalli dell’ordine superiore sono ornati di riquadra-ture sagomate di gusto barocco, assai semplici, risalenti agli inizi del sec. XVIII; l’ordine inferiore, gli inginocchiatoi, e la sistema-zione complessiva, sono però stati eseguiti nel 1884. Al centro è un inginocchiatoio in noce baroccamente sagomato (sec. XVIII); un altro è posto in presbiterio. Di un certo interesse è la quadreria59 appesa alle pareti del coro. Si possono individuare due serie di-verse di tele: cominciamo dalla parete destra. Verso il presbiterio è appeso un quadrettino ex voto, olio su tela (1876) firmato da G. B. Garberini: raffigura una donna che sta precipitando, e in alto, tra volti d’angeli, la Vergine Maria60. Accanto in basso è un bel quadro di autore lombardo di inizio seicento (ipotizzabile l’appar-tenenza all’ambito dei Fiammenghini, i fratelli Giovanni Battista (1561-1627) e Mauro (1575-1640) Della Rovere. Particolarmente

58 Si conservano ancora 9 libri corali, di varie dimensioni. Alcuni sono rilegati in legno rivestito di cuoio con borchie metalliche e pregevoli decora-zioni (sec. XVII-XVIII, uno è datato 1808), due grandi Antifonari miniati (sec. XVII), oltre a diversi Messali (uno molto pregevole risale al 1729) e libri d’Uf-ficio. Questi corali erano collocati su un leggio in legno, al centro del coro (il letturino), e servivano per seguire le partiture della Messa e delle Ufficiature, riportando i testi e le notazioni musicali gregoriane; erano scritti a mano e ornati da capilettera e frontespizi miniati; alcuni mostrano disegni preziosa-mente eseguiti. Meriterebbero uno studio approfondito.59 Nella relazione stesa dal Prev. Motta per la Visita Pastorale del 1876 (“cit.”) leggiamo: “vi sono 30 quadri che non fanno parte degli altari, rap-presentanti S. Anna, i S. Misteri Dolorosi, la Caduta di Gesù sotto la Croce, l’Adorazione dei Magi, due della Fuga in Egitto, e due della Presentazione di Gesù al Tempio, il Presepio, l’Assunzione di Maria, S. Gio. Battista, S. Girola-mo, S. Domenico, S. Nicolao da Tolentino, S. Agostino, S. Carlo, l’Annunciata, S. Enrico, la Disputa di Gesù coi Dottori, due della Visitazione di N. S. a S. Elisabetta, due di S. Carlo, S. Tommaso d’Aquino e due non conoscibili”. Tra le carte della Confraternita è un interessante autografo di G. B. Garberini da-tato 7 maggio 1888 contenente una perizia di un quadro ritratto di uomo agli Angeli conservato forse nella sala a mio parere io ritengo dell’epoca del 1700 circa, esso quadro non si può dire che sia un lavoro di autore o di pennello classico, tuttavia non manca di pregio. (ASPSCV).60 Quadretti ex voto dipinti erano frequenti un tempo nelle nostre chie-se: se ne conservano un paio nella sagrestia della chiesa del Carmine e altret-tanti in quella di San Carlo (tutti ottocenteschi, e d’ambito vigevanese).

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preziosa la loro opera nella Chiesa di S. Eusebio a Gambolò), entro cornice in legno dorato scolpito a festoni (coeva): raffigura la presentazione di Gesù al Tempio. Sopra è una tela rettangola-re orizzontale (con cornice analoga) che appartiene ad una serie composta attualmente di sette tele, di autore anonimo d’ambito lombardo – veneto dei primi decenni del sec. XVII. Raffigura la nascita di Gesù e in secondo piano l’annuncio ai pastori. Oltre è altra analoga, con dipinta la deposizione di Cristo morto nel sepolcro. Nella parete di fronte, in basso, da sinistra: la preghie-ra di Gesù nell’orto degli ulivi; Cristo inchiodato alla croce; la deposizione del Signore dalla croce con angeli. Sopra, apparte-nenti alla serie dei quadri in verticali, ma di artista diverso, da sinistra: l’adorazione dei Re Magi; l’Annunciazione (questa tela è più grande, mal ritoccata e di mano meno felice); la fuga in Egit-to. Quest’ultimo quadro è notevole e appartiene alla stessa mano della Presentazione al Tempio. Una terza tela, della stessa mano, è attualmente in deposito presso un noto industriale cittadino, che trent’anni fa contribuì ai restauri della chiesa: raffigura la visita di Maria SS. a S. Elisabetta. Nella parete di sinistra, sono appese due altre tele orizzontali: verso l’altare: Gesù cade sotto il peso della croce; oltre la finestra: Cristo flagellato e insultato dai soldati.

Questi quadri sono di un certo interesse, e dovevano fare parte di due serie: una con episodi della vita di Cristo (ne restano sette) e un’altra, più pregevole (ma si notino le medesime cornici origi-narie), con episodi dell’infanzia del Signore (ne restano quattro più uno in deposito). Sono stati restaurati negli anni settanta da Carlo Pagnoni di Novara, ma meriterebbero un nuovo intervento di recupero (si notano diverse lacune e danneggiamenti della su-perficie pittorica).

Ritornando in navata, si osservi appeso a sinistra, un olio su tavola firmato e datato (G. Polli, 1919) raffigurante la Vergine in trono con frutti e fiori, di gusto neo-rinascimentale. E’ stato scelto come icona del Centro di aiuto alla vita che ha sede presso questa chiesa.

Si apre quindi la cappella dei S.S. Mauro e Mona, aper-ta verso il 1855, trasferendo il titolo dell’altare opposto, la cui

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pala andò dispersa. L’altare, in marmo e stucco, è del tutto simile all’altro di fronte; contiene una bella pala del vigevanese Giovan Battista Garberini61 raffigurante San Mauro, vestito da monaco benedettino (dietro si intravede un giovane) che guarisce un ap-pestato e vicino una giovane donna con dei bambini; in alto, su nubi, è San Mona, in abiti pontificali. Fu dipinta nel 1856. San Mauro62 fin dal sec. XVII fu singolarmente venerato in questa chiesa, invocandone il patrocinio contro la peste che in tempi e modalità diverse affliggeva nei tempi passati le nostre popolazioni e in generale per le virtù taumaturgiche dell’intercessione del San-to per malattie ed infermità. Il suo culto ebbe una certa diffusione anche dalle nostre parti63. La festa popolare, il 15 gennaio, era assai partecipata dal popolo che accorreva alla Messa solenne al mattino e al Vespro con benedizione la sera. San Mona64, Arcive-scovo di Milano, fu forse associato alla devozione perchè si festeg-giava il suo pio transito da questo mondo il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione, e festa di questa chiesa. Al centro del paliot-to, marmoreo, sono raffigurate le insegne episcopali (libro aperto, mitria, pastorale, croce) in stucco dorato. Al centro dell’alzata dei candelieri è abitualmente esposto un reliquiario ad urna, con cri-

61 Il maggior pittore vigevanese visse tra il 1819 e il 1896: non c’è chie-sa cittadina che non conservi affreschi o quadri del Garberini. Tra le pale d’altare ricordiamo quelle di San Pio V (1840) in San Pietro martire e di San Luigi (1844) e San Carlo (1894, ritenuto giustamente capolavoro della matu-rità). Fu anche apprezzato ritrattista (diverse opere nella Pinacoteca civica e nella Quadreria dell’Ospedale).62 Discepolo di San Benedetto, fu abate di Montecassino tra i sec. VI e VII. A partire dal sec. XVI si diffuse, per opera dell’Ordine dei Benedettini, la devozione a questo Santo e la pratica della benedizione con la reliquia della Santa Croce (di cui provvide in vita un prezioso frammento) con speciale for-mula e gesto (signum Sancti Mauri) in favore degli infermi. A. Lentini, “Bi-bliotheca Sanctorum”, vol. IX coll. 210 e 249.63 La vita è illustrata in un importante ciclo di affreschi cinquecenteschi nella chiesa di San Salvatore (detta anche appunto di San Mauro) a Pavia. Nell’ottocento San Mauro era venerato anche a San Bernardo, ove si faceva la festa come agli Angeli.64 Fu il quinto vescovo di Milano, tra San Calimero e San Mirocle. Morì per tradizione verso l’anno 250, ricco di meriti per aver evangelizzato le cam-pagne del milanese. Il corpo fu traslato nel Duomo di Milano nel 1576 per volere di San Carlo. A. Rimoldi, “Bibliotheca Sanctorum”, vol. IX col. 541.

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stallo, in legno dorato e scolpito di gusto barocco (inizi sec. XIX). A destra è appesa una tela della seconda metà del sec. XVIII raf-figurante San Nicola da Tolentino secondo la usuale iconografia.

Accanto è una lapide posta nel 1975 in occasione della riaper-tura della chiesa restaurata, che ricorda anche i principali bene-fattori65.

Nella campata seguente è un grande armadio in legno intonaca-to. Conteneva un tempo lo stendardo processionale della Confraterni-ta, ora esposto nella seconda sala del Museo Diocesano del Tesoro della Cattedrale. Di grandi dimensioni (mt 3 x 1,90) fu eseguito nel 1839 dalla ditta Giussani di Milano. Al centro è raffigurato a ricamo in oro e seta colorato in punto ago l’Annuncio dell’Angelo a Maria: gli incarnati sono dipinti su raso; la raggiera della colom-ba dello Spirito Santo e l’aureola della Vergine sono in fili e lamel-le d’oro. Tutt’intorno è un ricco fregio a candelabra simmetriche, girali, foglie in ricamo d’oro a forte rilievo. Entro sono quattro medaglioni, in raso dipinto nell’incarnato e il resto ricamato in seta e oro a punto ago raffiguranti entro preziose cornici la visita di Maria ad Elisabetta, la natività del Signore, la presentazione al Tempio, Gesù fra i dottori del Tempio (ovvero i Misteri gaudiosi del Rosario)66. Nel fondo è stata collocata una luminosa tela raffi-

65 “QUESTA STORICA CHIESA RIAPERTA AL PUBBLICO CULTO / IL 21 SETTEMBRE 1975 / DA SUA ECC. MONS. MARIO ROSSI / VESCOVO DI VIGEVANO / RESTAURATE LE OPERE D’ARTE IN ESSA CUSTODITE / PER INIZIATIVA DEL CAN. MONS. FELICE MASPERI / PREVOSTO EME-RITO DI SAN CRISTOFORO / COL SOSTEGNO DEI BENEFATTORI QUI RI-CORDATI / PARROCCHIA DI SAN CRISTOFORO / BEPPE MORESCHI IN MEM. DEL PAPA’ MARIO / COMM. AUDISIO AGOSTINO IN MEM. DELLA CONSORTE LINA / CAV. MASCHERPA LUIGI IN MEM. DI OTTONE GIU-SEPPE E PAOLO / VITTORIO E LORENZO SANTIERI / FAM. COLLARINI IN MEM. DEL FRATELLO MARIO / TINA E GIUSEPPE PERTUSI / CASSA DI RISPARMIO DI VIGEVANO / CANEDI ESTER / GRANDI ERNESTO / PEZZOLI DOTT. SERGIO / VANDO EMAIO GILARDI / LUIGI E CARLO BIANCHI / MASPERI GIUSEPPINA / RITA E GIUSEPPE GALLETTI.”66 S. Molinari, “Vigevano, il Duomo e il suo tesoro”, Vigevano 1979.

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gurante Santa Gianna Beretta Molla67, commissionata al pittore vigevanese Carlo Albero Robbiati68.

67 Nata a Magenta il 14 ottobre 1922, fu diligente medico pediatra, sposa cristiana e madre esemplare di tre figli, svolgenda opera di apostolato nell’Azione Cattolica. Mentre aspettava il quarto figlio le fu diagnosticata una cisti ovarica. Preferendo la salute della creatura che portava in grembo alla propria, dopo averla data alla luce, moriva il 21 aprile 1962. La causa di be-atificazione fu avviata nel 1972 e fu beatificata dal papa Giovanni Paolo II il 24 aprile 1994 e canonizzata il 16 maggio 2004. Papa Paolo VI nell’Angelus domenicale del 23 settembre 1973 indicò in Gianna Beretta Molla un fulgido esempio di meditata immolazione ad un mondo troppo facile a soffocare la vita. G. Pelucche, “L’Amore più grande. Santa Gianna Beretta Molla”, Mila-no 2004.68 Nato a Vigevano nel 1952, si diploma all’Accademia di Brera nel 1975, laureandosi poi in Architettura al Politecnico di Milano nel 1980. Ha iniziato a dipingere a soli sei anni di età, sotto la guida del padre; nel 1978 ha iniziato a esporre con una personale a Vigevano, proseguendo in altre città, con numerosi riconoscimenti.

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Il Centro Aiuto alla Vita

Il “Movimento per la Vita” della Diocesi di Vigevano nasce nel 1979 all’interno dell’Azione Cattolica diocesana, per poi racco-gliere adesioni presso parrocchie e gruppi ecclesiali diversi in un contesto nazionale segnato da profondi stravolgimenti e dall’ap-provazione della legge che legalizzava l’aborto (la famigerata 194), all’interno di una campagna politica e mediatica promossa dal partito radicale antitetica alla cultura cristiana della vita. Già nel 1975 a Firenze e due anni dopo a Milano erano nate le prime aggregazioni di matrice cattolica per promuovere la cultura della vita e il sostegno concreto alle madri in difficoltà: furono esse a promuovere nel 1980 una grande raccolta di firme per l’indizio-ne di un referendum abrogativo della 194 in direzione opposta alla proposta radicale. Nacque anche in Diocesi la necessità di creare un’organizzazione stabile, che ebbe a contare su esponenti dell’Azione Cattolica, tra cui Marco Bianchi e Pierangelo Marti-noli, che divenne il primo presidente della nuova associazione con sede a Vigevano (nel Palazzo Vescovile, in locali contigui all’AC) e un centro a Mortara. Vennero così approntati due piani d’azione: uno culturale, sociale, e politico di contrasto alla imperante cultu-ra abortista, e l’altro eminentemente caritativo, attraverso il soste-gno delle famiglie in difficoltà, favorendo la scelta della vita. Dopo la sconfitta referendaria del 1981, il movimento prese rinnovato vigore, trasferendosi nella nuova sede, all’inizio di vicolo degli Anselmi (di fronte all’ingresso laterale della chiesa di San Pietro martire), in un locale privato, così da superare la barriera dell’am-biente ecclesiale. Nacquero varie iniziative come conferenze, di-battiti, mostre (tra cui “arte per la vita” con opere di Ngun Su Yen

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e Verlich), e collaborazioni, specialmente con l’Ufficio Diocesano per la pastorale familiare. A causa di divergenze con la nuova pro-prietà e atti vandalici e intimidatori, la sede si trasferisce in via Rocca Vecchia, nei locali del vecchio Seminario minore, accanto alla sede del Patronato ACLI. Presto si è costretti al trasferimento in Via Rocca Vecchia al n. l, ex-seminario, di fianco al Patronato Acli. Sede infelice per certi versi (accesso, riscaldamento) buona per altri (sempre in centro, più spazio, già operante nel sociale per la presenza delle Acli). Intanto la Chiesa diocesana mostra attenzione a questa realtà dedicando anche una “Quaresima di fraternità” per il CAV e intensificando la collaborazione con la Caritas, che getta le basi per la costituzione di un centro a Garla-sco. Nasceranno in seguito i centri di Gambolò e Robbio (Diocesi di Vercelli). Si collabora inoltre con i servizi sociali del Comune, con la pubblica sicurezza e altre istituzioni; nonostante la conven-zione stipulata nel 1992 con l’azienda sanitaria locale per ope-rare all’interno delle strutture sanitarie, non mancano chiusure e difficoltà. A scopo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di autofinanziamento delle attività, vengono realizzate nuove ini-ziative, soprattutto nell’ambito della annuale “Giornata per la vita”, con mostre, presidi in Piazza Ducale e davanti a San Pietro martire per il Beato Matteo, conferenze, e non ultimo, l’offerta delle “primule della vita” in ogni parrocchia. Intanto il CAV viene legalmente costituito com Associazione di volontariato con atto notarile e riconosciuto dalla Regione. La sede è poi nuovamente trasferita in via Cairoli, in un immobile di proprietà della Dioce-si, nell’ambito del Centro di consulenza famigliare. Nel 1990 il CAV con altri soggetti ed enti si fa promotore della creazione di una Comunità di Accoglienza per minori che viene denominata Fondazione Comunità di Accoglienza “Madre Amabile”. Si trat-ta di realizzare una struttura secondo gli standard di legge per concretizzare una comunità alloggio per minori dai 3/11 anni in stato di abbandono o in situazione di difficoltà familiare, con sede in locali messi a disposizione dalla Parrocchia dell’Immacolata. Seguono nuovi trasferimenti della sede, in via San Francesco e poi in via del Terraggio, questa volta presso privati. Dovendo liberare i locali, viene in aiuto mons. Stefano Cerri, Prevosto di San Pie-tro martire, patrono della chiesa degli Angeli, di cui era venutasi

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a liberare la casa annessa per la morte dell’ultimo Cappellano. Nel gennaio 2005 il vescovo mons. Claudio Baggini inaugurava la nuova sede e affidava, in accordo con la parrocchia la chiesa e i locali annessi al Centro Aiuto alla Vita, che veniva a trovarsi nella sede della disciolta Confraternita dell’Annunciazione di Maria. Oltre a provvedere alla manutenzione della chiesa (bisognosa di radicali interventi di restauro) il CAV si occupa della animazione della Messa festiva e di varie iniziative di preghiera lungo l’anno, come il Rosario quotidiano nel mese di maggio, la benedizione mensile per le mamme in attesa per i nove mesi della gravidanza, e la promozione della devozione a Santa Gianna Beretta Molla, eletta opportunamente patrona delle iniziative legate alla promo-zione della vita, a cui è stata dedicata nel 2006 un’immagine in chiesa69.

AD MAJOREM DEI GLORIAM

69 Ringrazio per le notizie il sig. Gaetano Mercorillo, animatore del Centro di Aiuto alla Vita.

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Finito di stampare nel mese di settembre 2010da Informagrafica srl - Mortara