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La canzone ‘Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete’: fra permanenza e cambiamento ROSARIO SCRIMIERI 1. Queste riflessioni considerano la canzone Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete nel momento della sua composizione, cioè, inserita nella di- namica temporale della produzione poetica di Dante, prescindendo dun- que dall’interpretazione che l’autore ne fece in un secondo tempo, nel Convivio. Userò tuttavia i dati cronologici e biografici che si possono de- durre dal Convivio per determinare la data della sua composizione e per inquadrarla nell’evoluzione della poetica di Dante. Ma queste riflessioni sulla canzone saranno guidate dal prosimetro della Vita nuova, giacché a ben vedere si può considerare la canzone come il perno poetico tra il li- bello e l’opera poetica successiva di Dante, costituendo un testo chiave della rappresentazione del conflitto che Dante soffre tra gli anni 1291-94, e, per questa ragione, un testo chiave anche per capire la dinamica del processo di creazione poetica nel nostro autore. Lo studio di questa canzone a continuazione di quello della montanina 1 può essere considerato un fortunato fenomeno di sincronicità che rivela, a mio avviso, in maniera particolarmente chiara il modo in cui procede la dinamica della scrittura poetica in Dante; illustra come nella sua opera il nuovo sorge da ciò che ad un certo momento è diventato vecchio e deve essere superato. Non si tratta certamente di un processo che la critica non 79

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La canzone ‘Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete’:fra permanenza e cambiamento

ROSARIO SCRIMIERI

1. Queste riflessioni considerano la canzone Voi che ‘ntendendo il terzociel movete nel momento della sua composizione, cioè, inserita nella di-namica temporale della produzione poetica di Dante, prescindendo dun-que dall’interpretazione che l’autore ne fece in un secondo tempo, nelConvivio. Userò tuttavia i dati cronologici e biografici che si possono de-durre dal Convivio per determinare la data della sua composizione e perinquadrarla nell’evoluzione della poetica di Dante. Ma queste riflessionisulla canzone saranno guidate dal prosimetro della Vita nuova, giacché aben vedere si può considerare la canzone come il perno poetico tra il li-bello e l’opera poetica successiva di Dante, costituendo un testo chiavedella rappresentazione del conflitto che Dante soffre tra gli anni 1291-94,e, per questa ragione, un testo chiave anche per capire la dinamica delprocesso di creazione poetica nel nostro autore.

Lo studio di questa canzone a continuazione di quello della montanina1

può essere considerato un fortunato fenomeno di sincronicità che rivela,a mio avviso, in maniera particolarmente chiara il modo in cui procede ladinamica della scrittura poetica in Dante; illustra come nella sua opera ilnuovo sorge da ciò che ad un certo momento è diventato vecchio e deveessere superato. Non si tratta certamente di un processo che la critica non

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abbia già segnalato ma la circostanza dell’avvicinamento dello studio diqueste due canzoni lo ha reso, secondo me, più evidente. La canzone Voiche ‘ntendendo costituisce l’aggancio tra la Vita nuova e la successivaopera poetica di Dante, allo stesso modo in cui la montanina lo è fra il pe-riodo della poetica allegorica delle canzoni dottrinali e del Convivio, e laCommedia. Se guardiamo specularmente le due canzoni, Voi che ‘nten-dendo sarebbe l’anello fra una poetica visionaria inerente alla Vita nuova,e quella delle canzoni successive, culminante, dopo le canzoni allegorico-morali e dottrinali dell’esilio, nella prosa del trattato. Mentre la monta-nina sarebbe a sua volta l’anello fra quest’ultima poetica allegorica equella visionaria della Commedia. Metapoeticamente parlando, entrambele canzoni rappresentano una crisi di passaggio, un conflitto fra perma-nenza e cambiamento, che per quanto riguarda Voi che ‘ntendendo e lecanzoni successive si manifesta man mano si rivelano i contenuti che rap-presenta la nuova donna.

Per dimostrare questa crisi di passaggio, tenterò di descrivere nel modopiù breve possibile la dinamica temporale inerente al processo di creazionein Dante, partendo dalle rime di gioventù, con lo scopo di mettere in lucesoprattutto la dialettica che si produce nella sua opera fra prosa e poesia,o in modo più concreto, fra il prosimetro della Vita nuova e la poesia suc-cessiva. Questa descrizione ci costringerà a usare in certi momenti delledate non del tutto sicure, dibattute dalla critica, e per questa ragione ac-cettabili con un margine di approssimazione di due o tre anni. Dal 1283al 1291, ci troviamo in un tempo di poesia: Dante scrive le prime rime digioventù. Nel 1293-1294 emerge la prosa nella sua opera con la scritturadella Vita nuova; simultaneamente compone anche delle poesie come lacanzone Voi che ‘ntendendo. Segue poi un intenso tempo di poesia chearriva fino ad intorno al 1306-07, data in cui di nuovo si manifesta laprosa nel De Vulgari Eloquentia e nel Convivio. Finalmente, intorno al1307-1309, Dante ritorna alla poesia e scrive la canzone detta montanina,e forse inizia i primi canti dell’Inferno. Ciò che mette in luce questa brevedescrizione, indipendentemente dai margini di approssimazione temporaleprima citati, è il fatto che quando Dante scrive la prosa finale della Vita

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nuova (1293-1294), scrive pure – secondo l’indicazione temporale chelui stesso dà nel Convivio – la canzone Voi che ‘ntendendo. D’altra parte,intorno al 1293-94, compone anche il resto delle rime dedicate alla donnagentile: il dittico di sonetti Parole mie che per lo mondo siete e O dolcirime che parlando andate, la ballata Voi che savete ragionar d’ amore, lacanzone Amor che ne la mente mi ragiona, e la canzone dottrinale Ledolci rime d’Amor ch’ i’ solia.2 Questa simultaneità temporale della scrit-tura ci permette di inferire che il momento di maturazione poetica e dipensiero di Dante e il suo atteggiamento enunciativo, sono coincidentinella prosa della Vita nuova, nella canzone Voi che ‘ntendendo e nellerime appena citate. Per questa ragione, è interessante soffermarsi a esami-nare la relazione che si stabilisce fra il prosimetro e la canzone che ci oc-cupa, accenando poi brevemente al rapporto fra il prosimetro del Convivioe la canzone montanina, segno quest’ultima della nascita di una nuovapoetica in Dante.

La prosa della Vita nuova spiega in un determinato senso la poesia delpassato, in concreto, una serie di rime di gioventù comprese fra il 1283 eil 1291, e in questo senso è stato rilevato dalla critica il suo carattere re-trospettivo per quanto mette in luce il contenuto di verità nascosto sottoi suoi versi. Si è parlato meno invece, a mio avviso, del suo carattereprospettivo3, sulla sua carica di potenzialità rispetto a quello che diventeràl’immediata scrittura di Dante; si tratta di una prosa intesa come avvia-mento a un nuovo progetto di creazione poetica, indipendente e diversoda quello a cui Dante accenna nel capitolo finale del libello, quando parladi una futura opera della quale per il momento però non pensa di occu-parsi. Nella dinamica del processo creativo di Dante, nella sua poetica infieri, è interessante rilevare che egli alla fine della Vita nuova prende con-gedo di Beatrice ma solo come oggetto immediato di scrittura. La sua di-chiarazione di silenzio rispetto a lei rappresenta non tanto una rotturadefinitiva quanto un conflitto di passaggio fra due diverse età, e la coscienzache Dante ha delle sue diverse vie di uscita. Questo conflitto ci apparirà pa-lesemente descritto dodici o tredici anni dopo nel Convivio (1306-1307),quando, di nuovo, nel tentativo di fare bilancio e di sistemare l’opera poetica

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fatta sin dalla Vita nuova, parlerà dell’antico conflitto, della passata dia-lettica fra permanenza e cambiamento, e ripeterà lo stesso proponimentodi silenzio che allora fece rispetto ad una immediata scrittura su Beatrice4.Nel momento retrospettivo del Convivio, così come in quello della Vitanuova, Dante ha già in mente un nuovo progetto di scrittura poetica: ilprosimetro del Convivio, come quello della Vita nuova, non solo rispondea una volontà di sistemazione e di interpretazione della poesia del passato– interpretazione che consacra Dante come poeta della rettitudine – masignifica anche la chiusura di un periodo poetico a favore di un’altro.Dante raccoglie e si raccoglie guardando indietro per fare un passo inavanti, e per lasciar emergere il nuovo che la sua capacità creativa stà co-vando, novità che sempre si manifesta in lui como novità poetica. Così ac-cade dopo il prosimetro della Vita nuova, a cui seguono le nuove rime epoi le canzoni allegoriche e dottrinali; e così succederà dopo il Convivio,che non arriverà al suo termine perché la forza emergente della nuovapoetica lo sommergerà. Dante, in un certo senso, finisce il progetto delConvivio nella Commedia, integrando l’aspetto prosastico del trattato nelsuo capolavoro poetico. E la montanina è l’anello di transizione fra questidue momenti, come la canzone Voi che ‘ntendendo lo era stato fra la Vitanuova e la poesia successiva. Si tratta di un processo che delinea un mo-vimento in forma di onda ritornante, che coinvolge passato, presente efuturo: l’urgenza di cambiamento, di scrivere una nuova poesia che co-mincia a covarsi nel profondo, promuove in Dante una scrittura in prosadi carattere ricapitolativo che dal presente guarda verso il passato conintenzioni future. Poesia e prosa, prosa e poesia dialetticamente si im-pulsano per fare progredire l’opera di Dante. Dalla riflessione in prosasulle rime di gioventù, raccolte nella Vita nuova, nasce l’impulso e ancheil contenuto delle prime canzoni e delle rime successive, nello stessomodo che dalla riflessione filosofico-morale in prosa sulle canzoni delConvivio nascerà la poetica allegorica della Commedia, assumendoquest’ultima in più ciò che era rimasto sospeso tanto alla fine della Vitanuova come nel Convivio: Beatrice e la sua poetica visionaria, che la can-zone montanina torna a riprendere.

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2. La dialettica fra permanenza e cambiamento regge l’episodio delladonna gentile, dialettica che si proietta anche sulla serie di rime che fuoridalla Vita nuova trattano di questa donna; una dialettica che nel libello sirisolve a favore della permanenza mentre, nella canzone, a favore delcambiamento, anche se non si deve dimenticare, come abbiamo appenadetto, che, se nel libello Beatrice trionfa sulla donna gentile, paradossal-mente non lo fa nella dimensione del “dire”. Questo fatto implicitamentelascia aperta nel presente la possibilità di un cambio di scrittura. Vediamo,così, come lo stesso conflitto viene trattato, nello stesso arco temporale,da diversi punti di vista e con soluzioni persino contraddittorie, e come fi-nalmente questo conflitto finisce per risolversi, nella esplicita dinamicadella scrittura di Dante, cioè nella canzone, a favore della donna gentile,soluzione che si sviluppa e consolida nella canzone Amor che ne la mentemi ragiona ma che prenderà poi una strada diversa ne Le dolci rime d’amorch’ i’ solia5.

Non è contraddittorio che un autore dia soluzioni diverse, persino op-poste, allo stesso conflitto che lo scinde, e persino nello stesso momentoin cui lo soffre. Al contrario, procedere mettendo in piena luce le propriecontraddizioni è il modo più genuino di rappresentare l’intensità dellascissione inerente alla dialettica del sì e del no. Per questo motivo, non ènecessario supporre, secondo me, un secondo tempo per il finale dellaVita nuova che, per certo settore della critica, sarebbe rimasta bloccatanel 1293-94, nel capitolo XXXVIII a causa del conflitto della donna gen-tile, e al quale Dante avrebbe dato una soluzione fuori della Vita nuova,nelle canzoni e nelle rime dedicate a questa donna6. La contraddizione frala soluzione della Vita nuova e quella della canzone rappresenta l’espres-sione, in un tempo coincidente, di due maniere diverse di vivere e di ri-solvere lo stesso conflitto, soluzioni d’altra parte non assolutamenteincompatibili ma complementarie. Nella prima, coerentemente con la di-namica del significato di quest’opera, a favore di Beatrice e di quanto leiimplica e fa intuire a livello di una poetica visionaria; una poetica dedicataa una morta, cioè all’inframondo che è quello dell’inconscio, dell’intro-versione, del confinamento nella camera dei pensieri, il mondo delle idee

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di Platone e dell’anelito di ideale; e fuori della Vita nuova, a favore delladonna gentile e di quanto lei implica a livello di una poesia incentrata sulprincipio di realtà, sulla estroversione, il pensiero riflessivo e la ragionepratica, sulla filosofia di Aristotele e l’anelito di realtà. Non si deve di-menticare che questi anni, e i successivi dell’esilio, sono in Dante anni diun’intensa attività politica e le canzoni paulatinamente vanno intensifi-cando il loro aspetto pubblico, cioè, il loro carattere pratico. Piuttosto chedeviazioni e fratture fra i due testi, ci sarebbe, dunque, nel livello profondodella dinamica creativa di Dante, una coerenza, una complementarietà,ciò che non esclude che nel periodo critico fra il 1291 e il 1293/94 – e piùtardi, fra il 1306 e il 1307/08 – si manifesti con forza la tensione del con-flitto e la dialettica fra permanenza e cambiamento. Nella Vita nuova,dalla visione di Beatrice bambina (XXXIX) in poi, si rappresenterebbe,secondo me, un modo di risolvere il conflitto; nella canzone, una via di-versa. Nella prima, attraverso una poetica visionaria, ma Dante è privo an-cora dei mezzi intellettuali e poetici per poter materializzarla e per questaragione impone a se stesso il silenzio7; nella canzone, nella sue prime trestanze, attraverso una poetica innestata nella allegoria d’amore, nella lineadella tradizione stilnovista, qui anche cavalcantiana, risolta nella quartastanza nel senso che vedremo più avanti.

La visione del sonetto Oltre la spera implica un soggetto in una situa-zione di abbassamento del livello di coscienza, quasi come accade neisogni dove non agiscono più gli inciampi della realtà; si tratta di momentidi barlumi intuitivi che raccoglie il dinamismo dell’immaginazione. Mala realtà esterna, dove rimane? Questa realtà è ciò che si costella intornoall’immagine della donna gentile. Dante ha fatto un “sogno” su se stesso:«si incomincia per sognare ciò che si è affinché dopo, nel risveglio, lo sipensi, lo si concepisca e lo si immagini, traducendolo in un compito con-creto e rivelatore di ciò che siamo» (Febres-Cordero 2010: 209. La tradu-zione è mia). Ma Dante non arriva a capire ancora ciò che ha visto nel suo“sogno” perché «non sempre si arriva a esprimere ciò che si concepisce,si pensa o si immagina in un sogno. È necessario risvegliarsi del tutto peressere interamente» (Febres-Cordero 2010: 210. La traduzione è mia). Per

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risvegliarsi del tutto, è necessario entrare nella dimensione della realtà;questo è ciò che sembra proporre a Dante la nuova donna e la forza che dalei scaturisce. Si tratta dell’anelito del reale per poter adempiere l’anelitodell’ideale. L’agire del soggetto in Oltre la spera risponde al movimentodell’intuizione, della «intelligenzia nova che […] pur su lo tira» (v. 3, 4).Per contro, l’agire del soggetto nei capitoli XXXV-XXXVIII della Vitanuova e nella canzone, risponde, invece, grazie all’intervento di «uno spi-ritel novo d’amore» (XXXVIII) e di «uno spiritel d’amor gentile» (v. 42della canzone), alla logica di quanto lo lega al principio di realtà8, a un at-teggiamento che punta prima di tutto verso il recupero della salute: «Chiveder vuol la salute, / faccia che gli occhi d’esta donna miri» (vv. 24-25).Anni dopo, nel Convivio (II, XII, 2), Dante dirà a proposito di quel mo-mento: «la mia mente che si argomentava di sanare».

3. Le similitudini e le differenze fra la Vita nuova e la canzone9 sonolegate logicamente alle due diverse soluzioni che ognuno di questi testioffre al conflitto della donna gentile. Le similitudini appaiono, dunque, neicapitoli della Vita nuova in cui Dante si schiera a favore della donna gen-tile; mentre le differenze, in seguito alla visione di Beatrice bambina(XXXIX), dopo il rifiuto di Dante di quella donna. Per questa ragione, lacanzone, più che con il sonetto Oltre la spera (XLI), si collega con il so-netto Gentil pensero (XXXVIII), anche se nell’ultimo verso di Oltre laspera e nel primo della canzone appare il verbo intendere, e sebbene nelsonetto compaia una «intelligenzia nova» (v. 3) e nella canzone un «ra-gionar novo» (vv. 2, 3).

Nel sonetto Gentil pensero, così come nella canzone, si rappresenta iltrionfo della donna gentile. Lo «spiritel novo d’amore» del sonetto siriallaccia con lo «spiritel d’amor gentile» della canzone. Proprio dopo leparole che alla fine del sonetto il cuore dice all’anima a proposito dellospiritel novo de amore10, si verifica nel capitolo seguente della Vita nuovala soluzione del conflitto della donna gentile a favore di Beatrice, graziealla mediazione della visione di Beatrice bambina. Nello stesso modo,

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nella canzone, ma in senso contrario, dopo che lo «spiritel d’amor gentile»dice all’anima «pensa di chiamarla donna omai» (v. 48), praticamente siimpone il trionfo della donna gentile su Beatrice. Ciò che accadrà dunquenella Vita nuova in seguito alla visione di Beatrice bambina non potrà piùcoincidere con il contenuto della canzone giacché, da questo momento inpoi, ognuno di questi testi risponde a una logica diversa di pensiero e dipoetica; ognuno di loro implica due diverse possibilità di affrontare il pro-blema della conoscenza in rapporto con le potenze dell’anima (vegetativa,sensitiva e razionale) e con i diversi modi di attività dell’immaginazionenel suo tentativo di rappresentare questo problema. È interessante perciòconfrontare alcuni aspetti della canzone e del capitolo XLI della Vitanuova, aspetti che in un primo approccio sembrano avere lo stesso signi-ficato.

In questo senso, il «pensero» di cui parla la prosa del sonetto Oltre laspera per riferirsi al sospiro-spirito peregrino del sonetto, non è equiva-lente, secondo me, al «soave penser» (v. 15) della seconda stanza dellacanzone, né all’«umil pensero» (v. 28) della terza. C’è una qualità che lifa diversi: il pensiero della canzone, anche se pure arriva – come lo faquello della Vita nuova – al luogo dove vede «una donna glorïar» (v. 17),sarebbe un pensiero legato al ricordo lacrimoso di Beatrice, sommersonella nigredo della perdita e della vedovanza, dello stesso tipo di quelloche Dante nella Vita nuova opponeva al pensiero della donna pietosa, primadella visione di Beatrice bambina. Mentre invece il pensiero-sospiro-spiritoperegrino di Oltre la spera nasce proprio dopo quella visione ed è statoispirato dall’immagine dei pellegrini che si dirigono a Roma per contem-plare la vera icona di Cristo. Si tratta qui di un «pensero» che ha integratol’intuizione e l’immaginazione fantastica, cioè di un’«intelligenza nova»che permette di intravedere il mistero della contemplazione divina. L’ef-fetto, a sua volta, che le parole del «soave penser» della canzone provo-cano nell’anima è di regressione e di fuga verso la morte: «di cuiparlav’a·mme sì dolcemente / che l’anima dicea “I’ me·n vo’gire”» (vv.17-18), mentre nella Vita nuova, l’effetto del pensiero-sospiro-spirito pe-regrino, sospinto da una nuova intelligenza, è il volo fantastico verso la

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conoscenza dell’ineffabile. Il pensiero vitanovistico appartiene a una poe-tica visionaria; il «soave penser» della canzone, anche se arriva al luogodove vede Beatrice «glorïar» (v. 17), appartiene invece a una poetica li-rico-elegiaca che l’incontro con la donna gentile sta aiutando a superare,nello stesso modo in cui nel libro di Boezio la donna-filosofia cacciavafuori le muse ispiratrici di una poesia legata all’inerzia dell’autommise-razione e al letargo.come visione intellettuale.

Neanche il significato del verbo «intendere» nel sonetto Oltre la spera:«io no lo intendo, sì parla sottile» (v. 10), «sì ch’io lo ‘ntendo ben, donnemie care» (v. 14), è equivalente, secondo me, a quello del primo versodella canzone: «Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete». Nella canzoneil verbo «intendere» viene usato, a mio avviso, nello stesso senso in cuilo fa Guinizzelli nell’ultima stanza della canzone Al cor gentil11: «Splende‘n la ‘ntelligenzia del cielo / Deo criator più che ‘n nostr’occhi il sole:/ella intende suo fattor oltra ‘l cielo, / e ‘l ciel volgiando, a Lui obedirtole» (vv. 41-44). Questi versi spiegano la qualità delle intelligenze ange-liche, capaci di intuire Dio («intendere suo fattor») senza la mediazionedel pensiero riflessivo, procedendo da loro, in forma immediata e simul-tanea, la realizzazione della volontà divina, cioè, il movimento dei diversicieli, proprio come accade nel primo verso della nostra canzone. Il signi-ficato del verbo «intendere» nei versi finali del sonetto della Vita nuovasi riferisce, invece, all’incapacità della ragione di comprendere e tradurrein concetti e in parole ciò che lo spirito peregrino ha visto – l’intuizioneha intuito – nel suo volo fantastico. Per questo motivo, il significato della«intelligenzia nova» del verso terzo del sonetto sarebbe diverso da quellodel «ragionar novo» del verso terzo della canzone; «intelligenzia» e «ra-gionar» costituiscono manifestazioni di due diverse funzioni dell’anima;la prima, l’intuizione, attivata dall’immaginazione fantastica, spinge versol’ alto, verso la contemplazione delle cose che non sono corpi e non hannoniente a che vedere con i corpi, col rischio implicito della scissione delsoggetto fra l’alto e il basso, mentre il «ragionar novo ch’è nel core» dellacanzone, spingerebbe verso la considerazione delle cose della realtà diquaggiù, la prima fra esse, quella del corpo, delle sue sensazioni, legate

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all’esperienza delle emozioni e del sentimento, legate perciò, come ab-biamo detto, alla salute psichica e corporale. In questo senso, il tratto delladonna gentile che merita di essere rilevato, tanto nella Vita nuova comenella canzone, è la sua qualità di sanatrice, qualità presente anche nelladonna-filosofia del libro di Boezio, e che nella nostra canzone antecedea quelle eccelse con cui Dante la intuisce nella quarta stanza, e nellacanzone Amor che ne la mente mi ragiona. Il sonetto Oltre la spera è im-postato, dunque, in termini di visione intellettuale, anche se questa fallisce.Invece nella canzone, sull’immagine di Beatrice – pur non da escluderedel tutto come visione metafisica intellettuale – prevale l’impostazioneincentrata sulle ragioni del sentimento, espresse secondo una poetica li-rico-elegiaca.

4. Nella Vita nuova l’episodio della donna gentile finisce col sonettoGentil pensero (XXXVIII), che corrisponde al contenuto della prima partedella canzone Voi che ‘ntendendo. Da questo momento in poi si diramanole due possibili soluzioni del conflitto, coincidenti, come abbiamo detto,nel tempo: quella del libello, con la visione di Beatrice bambina(XXXIX), che di nuovo situa Dante nell’ordine del tempo passato e siapre verso una poetica visionaria, materializzata nel sonetto Oltre la spera(soluzione che opta, come abbiamo detto, per la permanenza di Beatricema, d’altra parte, per il silenzio nel presente rispetto alla scrittura a leidedicata); l’altra, fuori del libello, nella canzone, che nella quarta stanzasi decide a favore della donna gentile, cioè, a favore del cambiamento.Dante ci mostra così i primi passi verso un nuovo progetto poetico.

Nella prosa che commenta il sonetto Oltre la spera (XLI) Dante citaesplicitamente un’opera di Aristotele. Già questo filosofo era apparso,senza espressa citazione di un’ opera, nel capitolo XXV12, «ma adesso cisi trova di fronte a un discorso tecnico-filosofico /…/ che è ricondotto aun libro specifico aristotelico» (Corti 1983a: 152), quello secondo dellaMetafisica, «segnale che isola e diferenzia i capitoli finali della Vitanuova» (Colombo 1993: 181), e che indica che Dante nel 1293-94 non

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solo era già entrato in contatto ma si era anche familiarizzato con la filo-sofia13. Infatti, secondo le indicazioni cronologiche che Dante dà nel Con-vivio, già dal 1291 aveva cominciato a frequentare gli studi di filosofia esi può dire che nel 1293 – data della canzone e dei capitoli finali dellaVita nuova – aveva maturato il suo rapporto con questa disciplina. Inquesto senso, una prova dell’avvicinamento alla funzione intellettuale sa-rebbe la sostituzione della parola sospiro del sonetto Oltre la spera perquella di «pensero» nella prosa: Dante spiega che nel sonetto lo ha chia-mato sospiro, «per lo nome d’alcuno suo effetto» (XLI, 3); questa sosti-tuzione sembra voler aprire uno spazio, nel nunc del tempo della prosa –tempo di interpretazione della vecchia poesia con intenzioni, già in mente,di una futura poetica –, all’intervento della ragione nel processo rappre-sentato; un processo razionale pur sempre connesso alla funzione intui-tiva, alla funzione dell’anima intellettuale, secondo il linguaggioaristotelico. Così accade anche, ma in un senso diverso, nella prosa checommenta il sonetto Gentil pensero (XXXVIII) dove il significato delsostantivo «pensero» e del verbo «pensare» – d’altissima presenza – siricollega al ragionare del cuore a favore delle sensazioni, delle emozionie del principio di realtà (a favore dell’ «appetito», dice Dante), aspettiproiettati sulla donna gentile, in opposizione al ragionare dell’anima, le-gato alla funzione intuitiva. Si stabilisce così in quest’ultimo sonetto unfitto dibattito dialettico fra la ragione dell’anima e l’appetito inerente alcuore (XXXVIII, 5), dibattito che più tardi Dante riprenderà con profon-dità nel Convivio, e che già nella Vita nuova ci mostra la sua esigenza di«una più sottile lettura ora orientata in direzione allegorica, ora sostenutada specifiche competenze, in questo caso fisiologico-filosofiche» (Co-lombo ad locum in Alighieri 1993: 170)14.

Ci confrontiamo così con lo spinoso problema del possibile statuto alle-gorico della donna gentile, riconosciuto da alcuni critici15 riguardo alladonna della canzone, non solo perché così lo fa Dante nella sua interpre-tazione del Convivio ma perché essi considerano che così pure la concepìDante nel tempo di composizione della canzone, come lo prova il suocongedo16. Per contro, rispetto alla donna gentile della Vita nuova, la cri-

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tica è quasi unanime sul suo carattere non allegorico17. Non pretendo cer-tamente risolvere questo problema sul quale hanno discuso i più autore-voli critici. Tenterò soltanto di aggiungere qualche riflessione al dibattitocritico in favore del significato simbolico della donna gentile della prosadella Vita nuova, nella modalità del simbolismo figurale, mantenendo per-ciò intatto il suo senso letterale, considerandola dunque non come unafinzione ma come un donna reale nella storia di Dante «scritta nel librodella memoria», una storia che Dante presenta come realmente vissuta eaccaduta, cioè come vera (Scrimieri 1999: 13-38). Si evita così la fratturae si mantiene la coerenza tra la donna gentile della Vita nuova e quelladella nostra canzone riguardo al loro carattere simbolico in ambedue itesti.

In questo senso, non si deve dimenticare che lo stesso Dante nel capi-tolo secondo del libello, vuole che non si consideri il contenuto della suaopera come un «parlare fabuloso», espressione molto vicina a quella di“favola” o di “finzione”18. In effetti, il proemio del libello aveva situato ilsuo contenuto sotto la rubrica «incipit vita nova». Il «parlare fabuloso», in-vece, suscettibile di essere equiparato ad espressioni come «le favole deli poeti» e «le parole fittizie» del Convivio (II, I, 3), si riferirebbe a un tipodi scrittura non adatta al progetto di un autore che vuol presentare, invece,la narrazione della propria vita come una storia vera19. D’accordo con ilcarattere poetico prospettivo che abbiamo voluto sottolineare nella prosadella Vita nuova, penso che in quest’opera ci sia il germe di una propostadi poetica allegorico-figurale20, dove il livello letterale si presenta noncome finzione ma come storia. Bisogna qui ricordare il capitolo XXIVche significativamente precede la digressione di Dante sulla questionedella personificazione del dio Amore. Dante in questo capitolo mette incrisi, a mio avviso, la personificazione tradizionale della retorica classica,attraverso le parole che il dio Amore pronuncia su Beatrice: «E chi volessesottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore per molta so-miglianza che ha meco» (XXIV, 5). Si produce qui l’identificazione diBeatrice con quella del dio Amore – «per molta somiglianza che ha meco»– in quanto essa è capace di rappresentarlo, di essere la sua figura, con la

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novità sostanziale, però, che nella Vita nuova Beatrice, prima della suamorte, è una donna concreta che si mette in rapporto con un autore realeche sta narrando la sua storia; è una sostanza corporale che vive e si muovenel mondo mentre il dio Amore, come subito dopo spiegherà Dante, è unprodotto della finzione dei poeti. Coerentemente, dopo questo capitolo, ildio Amore non tornerà più nella prosa del libello, come se Dante volessefar intendere che nella futura poetica che in lui si sta covando, la figura re-torica della personificazione astratta viene superata dalla sintesi o dalla«contaminazione» (D’Andrea 1987: 78) con l’allegoria figurale, radicatanella storia, in questo caso nella sua propria storia21.

Da questo momento Beatrice diventa – fra altre possibilità – figura ti-pologica dell’amore. Fra altre possibilità, perché proprio in questo stessocapitolo, un po’ prima delle parole appena citate del dio Amore, questistabilisce una relazione analogica fra Beatrice e Cristo, grazie alla corre-lazione Giovanna-Primavera e San Giovanni Battista: Giovanna-Prima-vera sta a San Giovanni come Beatrice sta a Cristo, e questa non è statané sarà l’unica volta che nel libello l’immagine di Beatrice appare comefigura di Cristo (Scrimieri 2005: 246-256). Si percepisce così nella Vitanuova l’emergere di una poetica incipiente, quella dell’allegoria in factische Dante svilupperà nella Commedia, allegoria che prende la propia vitadell’autore come base dell’analogia. Questa nuova poetica, emergentenella Vita nuova rispetto alla figura di Beatrice22, credo che possa esten-dersi anche ad altri personaggi ed eventi dei capitoli finali del libello, eche la donna gentile dunque possa anche essere interpretata in questosenso. Il ruolo di «schermo della veritate», che nei primi capitoli dellaVita nuova avevano rappresentato le diverse donne, è superato adesso afavore di questa figura. “Contaminata” dall’allegorismo figurale, emer-gente in Beatrice, la donna gentile – donna anche concreta nella storiache l’autore sta raccontando su se stesso – può considerarsi pure comeuna manifestazione incipiente di allegoria figurale, portatrice di valoripropri e definiti.

In questo senso, anche se, in principio, i parametri dell’allegoria tradi-zionale d’amore e di quella cavalcantiana della frammentazione animica

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soggiacciono alle prime tre stanze della canzone, la presenza dell’inter-testo evangelico (Luc. XXIII 46) nella quarta: «Amor, segnor verace, /ecco l’ancella tua, fa’ che·tti piace» (vv. 51-52), ci consente di affermareche nella canzone, come accade nella Vita nuova, si può individuare purel’allusione ad un secondo livello di significato simbolico-figurale in sensocristologico. Non c’è frattura dunque tra libello e canzone. È necessariosoltanto trovare la base della correlazione analogica fra l’intertesto evan-gelico citato e la storia di Dante dopo la morte di Beatrice perché, comeaccadeva nella Vita nuova con l’uso degli intertesti evangelici, è coerentepensare che Dante nella canzone continui a giocare con la potenzialitàallegorica, metapoetica e persino anagogica23 di questa risorsa, in rapportoadesso con il significato della donna gentile.

La figura della donna gentile della canzone in questo senso si perce-pisce talmente collegata a quella della Vita nuova che non si può non sen-tirla senza quel “sovrappiù di realtà” che le perviene dalla donna gentiledel prosimetro, quell’aggiunta di realtà che il simbolismo figurale concedealle sue personificazioni. Dal punto di vista strettamente di poetica, ladonna gentile della canzone ha qualcosa in più della pura personificazioneretorica; non è coincidente con la personificazione astratta dell’allegoriad’amore, di carattere filosofico-morale24. Questa potrebbe essere la ra-gione, secondo me, della riluttanza che certo settore della critica sente aconsiderare allegorica la nostra canzone.

Finalmente, a conferma delle nostre affermazioni, sta il fatto, come ab-biamo detto prima, della coincidenza delle date di scrittura della prosa fi-nale della Vita nuova e della canzone, dove nel congedo, da Dante stessoviene riconosciuto alla donna gentile un secondo senso: «che saranno radi/ color che la tua ragion intendan bene» (vv. 53-54); senso evidente anchenel resto delle rime a lei dedicate, scritte in questo stesso periodo. La con-temporaneità della scrittura della prosa finale della Vita nuova, della can-zone, e del resto di queste rime, ci permette di inferire nel loro autore unacoincidenza di pensiero e di poetica in fieri, coincidenza che rende pos-sibile stabilire una relazione di identità fra la donna di tutte queste com-posizioni, anche in rapporto a un suo secondo senso.

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5. Per concludere l’argomento che abbiamo trattato, ci resta di pene-trare nello studio del significato della donna gentile nel corpus che ab-biamo scelto in questa sede. Tratteremo dunque adesso delle differenze fraquesta donna nella Vita nuova, dove appare anzitutto segnata dal trattodella pietà, e la donna «cortese e saggia nella sua grandezza» della can-zone (v. 47) che, in un certo senso, si mostra sprovvista di questa qualità25.La donna gentile della Vita nuova si presenta anzitutto nella funzione diconsolatrice, nello stesso modo in cui la filosofia appariva nel libro diBoezio26. Tenteremo così di definire in primo luogo lo statuto retorico fi-gurativo di questa donna considerandola come incipiente manifestazionedi simbolo figurale della filosofia e di dimostrare come nella canzonequesto significato subisce delle modificazioni, e in conseguenza anchenel resto delle rime a lei riferite al di fuori del libello.

Nel sonetto Oltre la spera e nella canzone si mettono a confronto duequalità diverse di saggezza e di conoscenza, e, in conseguenza, anche dueforme diverse di attività dell’immaginazione in rapporto alla rappresen-tazione di questa conoscenza. Beatrice rappresenta la saggezza che pro-cede dalla parte più elevata dell’anima, dalla visione intellettuale, quellache contempla, secondo le parole di Sant’ Agostino nel De Genesi ad lit-teram (XII, 24, 50), quelle cose che «neque sunt corpora, neque ullas ge-runt formas similes corporum» (San Agustín 1969: 1009), e che nel suogrado più elevato porta l’intelletto alla contemplazione della divinità27. Ilsonetto rappresenta questo tipo di attività dell’anima intellettuale: un’«intelligenza nova» innalza sempre di più il dinamismo dell’immagina-zione, qui sotto la forma del «sospiro-spirito peregrino», fino ad arrivareal luogo dove si trova Beatrice, l’empireo, la sede dei beati che contem-plano faccia a faccia Dio. Ma Dante non comprende il significato di ciòche lo spirito fantastico gli riferisce di aver contemplato nel suo volo28.

L’esperienza che si rappresenta in questo sonetto mostra una immagi-nazione secondo il paradigma della teologia mistica medievale, come po-tenza mediatrice di un misterium ineffabile, quello dell’unione dell’anima

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e del corpo29. Questo è il tema del trattato De unione corporis et spiritusdi Ugo di San Vittore, che situa fra l’abisso che separa queste due sostanzeuna sorta di mistica scala di Giacobbe: l’immaginazione, grazie alla qualeil corpo ascende verso lo spirito e lo spirito scende fino al corpo (in Agam-ben 1977: 115). D’altra parte, con l’immagine dello «spirito peregrino»,che allo stesso tempo è un sospiro che esce dal cuore, Dante lascia intra-vedere, a proposito dell’immaginazione, la dottrina medico-psicofisiolo-gica dello spirito vitale, adottata dalla poetica stilnovista, secondo la qualel’immaginazione costituisce una delle manifestazioni di quello spirito30.In questo caso il volo dello spirito fantastico è scaturito nell’anima da unbarlume intuitivo sulla più alta manifestazione della saggezza, ma l’in-telletto non comprende; rimane chiaro in lui soltanto il ricordo dell’imma-gine mediatrice, oggetto del desiderio, l’immagine di Beatrice.

Di fronte a questa saggezza, che tipo di saggezza rappresenta la donnagentile e attraverso quale mezzo dell’immaginazione poetica Dante tentadi rappresentarla? Tanto nella prosa che commenta il sonetto Gentil pen-sero (XXXVIII) – e anche nello stesso sonetto, l’ultimo dedicato alladonna gentile nella Vita nuova – come nelle tre prime strofe della canzone,si rappresenta il conflitto che scinde il soggetto fra Beatrice e questadonna nei termini della poetica della frammentazione animica cavalcan-tiana e della dottrina psico-fisiologica dello spirito vitale, adesso diventato«spirito d’amore». Nella prosa del capitolo XXXVIII il significato delsostantivo «pensero» e del verbo «pensare», come ho detto, si collega, dauna parte, con il ragionare del cuore in favore delle sensazioni, delle emo-zioni e del sentimento – in favore dell’appetito, dice Dante – che suscitala donna gentile, un ragionare legato al principio di realtà, alla necessitàdi ricuperare la salute del corpo e dell’anima, di uscire dalle afflizioni edall’amarezza del lutto31, aspetti tutti legati alle esigenze dell’anima ve-getativa e sensitiva, in opposizione al «pensero» dell’ anima che ragionain difesa della fedeltà a Beatrice32, cioè, a favore delle esigenze dell’animaintellettuale. Si stabilisce così in questo capitolo un dibattito dialettico frail concetto di ragione che rappresenta l’anima intellettuale, la più alta e no-bile facoltà dell’uomo, quella che lo accomuna alla divinità, e il concetto

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di ragione inerente al cuore, che difende le richieste della vis vegetativae sensitiva, e che tenta di liberare Dante dall’invilita vita del lutto; un ra-gionare che lo invita, in opposizione all’intenso ricordo di Beatrice, a vi-vere un nuovo amore. Si tratta di un conflitto, dunque, fra le diversepotenze dell’anima che, come abbiamo detto, Dante ritornerà a formularecon profondità nel Convivio.

Da tutte queste considerazioni si potrebbe dedurre che la saggezza sog-giacente alla figura della donna gentile nella Vita nuova è quella che rap-presenta la filosofia di Cavalcanti, essendo la prova testuale di questaaffermazione il ricorso che fa Dante alla poetica della frammentazioneanimica, della rappresentazione drammatica del conflitto, e della potentepresenza dello spirito vitale, manifestato come «spirito d’amore», ricorsiprivilegiati dalla poetica cavalcantiana. Sappiamo che l’interlocutore piùimportante di Dante nella Vita nuova è questo poeta, «il suo primoamico», ed è possibile che alla fine del libello Dante voglia mettere inevidenza in un modo definitivo le differenze che lo separano da lui. Ca-valcanti considerava l’amore come una passione naturale orientata versoil piacere e la perpetuazione della specie, che richiede di essere corrispostoe soddisfatto secondo l’ordine e la ragione naturali. Come logico e filosofodella natura situava l’amore esclusivamente nella dimensione dell’ animasensitiva, e solo in questa dimensione, sempre guidato dalla ragione edall’ordine naturale, poteva essere goduto e portato alla sua “perfezione”,nel senso di “realizzazione” delle esigenze dell’anima sensitiva; solo inquesta dimensione poteva anche essere sofferto, quando accadeva la per-dita dell’amata, senza possibilità alcuna di “redenzione” grazie alla sua in-tegrazione o sintesi con le facoltà superiori dell’anima: la ragione el’intelletto. Sembra, dunque, che Dante alla fine della storia narrata nellaVita nuova, perduta per sempre Beatrice a causa della sua morte, tenti distabilire in un primo momento la possibilità di risolvere le contraddizionifra le diverse potenze dell’anima nei termini della fisiologia e della filo-sofia naturale, scatenando così il conflitto insolubile fra anima sensitivae intellettuale, fra dimensione naturale e soprannaturale, conflitto che fi-nalmente risolve rifiutando questa concezione filosofica grazie alla me-

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diazione dell’immaginazione fra anima sensitiva e intellettuale, graziealla mediazione dello «spirito fantastico». Una soluzione, ciononostante,che per il momento rimane incompiuta perché, dopo la visione, l’aspira-zione dell’anima intellettuale alla comprensione non si verifica.

La differenza fondamentale, dunque, che separa Dante da Cavalcanticonsiste nella funzione che in ognuno di loro compie l’immaginazionerispetto al processo di acquisizione della conoscenza e di accesso alla partepiù elevata dell’anima. La differenza fra i due poeti si basa sulla funzionesimbolica, sul potere trasmutatore e d’attrazione che su ognuno di loroesercitano le immagini. In Cavalcanti, l’immaginazione, mentre durano ilconflitto, la sofferenza e il disordine occasionato dalla perdita dell’amata,non può offrire all’intelletto la forma astratta e depurata dai dati sensibili,l’ “idea” suscettibile di contemplazione. Neanche si propone in questopoeta il potente movimento d’introversione e di riflusso dell’eros verso sestesso che è la soluzione che adotta Dante alla fine della Vita nuova. Questopassaggio dell’immagine, dalla facoltà psico-fisiologica dell’immagina-zione alla sua contemplazione da parte dell’anima intellettuale, rappresentaappunto il nodo cruciale che separa Dante da Cavalcanti33.

In questo modo, potrebbe chiarirsi l’enigma del rifiuto della donna gen-tile da parte di Dante nella Vita nuova come rifiuto della filosofia intesaesclusivamente come ragione logica, votata solo alla dimensione naturaledell’uomo, incentrata sulle esigenze dell’anima vegetativa e sensitiva,scissa dalla facoltà mediatrice dell’immaginazione. Una possibile spie-gazione di questo enigma potrebbe basarsi sull’ipotesi, appena accennata,che una esclusiva e unilaterale ascrizione alla logica della filosofia natu-rale, nella linea cavalcantiana, sigillava irremissibilmente la desintegra-zione fra le diverse potenze dell’anima. È dunque questo atteggiamentodi unilaterale ascrizione alla logica della filosofia naturale ciò che Danterifiuta; rifiuto a cui sembrano riferirsi le parole introduttive del capitolosuccessivo dove si narra la visione di Beatrice bambina (XXXIX): «Con-tra questo avversario de la ragione si levoe un die, quasi ne l’ora de lanona, una forte imaginazione in me». La condizione di «avversario dellaragione» non si riferirebbe qui alla donna gentile ma al «gentil pensero»

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del sonetto precedente, legato in un modo ossessivo alle ragioni dell’a-nima sensitiva e che, come Dante dice nella prosa, rappresenta l’immo-derato appetito che si sta destando in lui verso quella donna in detrimentodel suo amore per Beatrice. Non è dunque la donna gentile, in se stessaconsiderata, l’avversaria della ragione ma l’«immoderata cogitatio», l’irra-zionale attaccamento di Dante verso di lei. Se questa donna rappresentala filosofia, nel senso di guida dell’uomo nella sua dimensione naturale erealtà terrenale, la stessa riflessione filosofica si rende conto dei propri li-miti e che non è ragionevole abbandonarsi a lei in un modo esclusivo eunilaterale, come fa Cavalcanti.

In questo senso, è da ricordare il significativo passaggio della prosadella Vita nuova (XXXVII, 2), che fa anche luce sulla questione del rifiutoda parte di Dante della donna gentile in quell’opera e sulla sua accoglienzanella canzone34. Questo passaggio dimostra che la «donna pietosa» e la«gloriosa donna», sono legate l’una all’altra in un determinato senso. Nelmomento delle recriminazioni di Dante ai suoi occhi, a causa della forteattrazione che sentono per la nuova donna, quest’ultima non si presentacome rivale di Beatrice ma, al contrario, come una donna che sente com-passione verso di lei. Le parole di Dante permetterebbero di considerarele due figure femminili come due aspetti opposti ma allo stesso tempocomplementari; come due figure che investono due dimensioni diversedella vita dell’uomo: quella naturale-terrenale e quella soprannaturale-ce-lestiale. Da questo punto di vista, la compassione della donna gentile versoBeatrice potrebbe interpretarsi simbolicamente come la necessaria dispo-sizione positiva, “simpatetica”, della natura terrena e delle facoltà naturalidell’uomo, rappresentate dalla donna gentile, ad accogliere e manifestarenel mondo sublunare la dimensione soprannaturale che Beatrice rappre-senta; sembra che questo non possa avvenire senza la collaborazione, lacompassione della donna gentile, e di quanto lei rappresenta.

6. Penetriamo così nel significato della donna gentile della canzone Voiche ‘ntendendo e della paradossale adesione che Dante mostra qui verso

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di lei, dove le conferisce le più alte qualità e la fa diventare la sua nuovasignora, tenendo conto di tutto quanto abbiamo detto su di lei nella Vitanuova. Per cominciare, devo riferirmi al processo di creazione poetica inDante, al mito di creazione che soggiace alla sua immaginazione, vinco-lato, secondo il paradigma cristiano del suo tempo, al simbolo della Trinitàdivina; questo simbolo, d’accordo con la psicologia del profondo, è unaproiezione oggettivata nel dogma religioso collettivo dei processi inconscidi creazione nell’uomo35. In questo senso, una delle ipotesi d’interpreta-zione globale delle canzoni distese sarebbe proprio dimostrare come inesse si rappresenta il dinamismo della coscienza in rapporto al processodi creazione poetica, processo che ha il suo contrappunto simbolico nelladinamica della vita trinitaria divina. Per dimostrare questo dobbiamo ten-tare di precisare il significato della donna gentile della canzone perché, sele canzoni distese costituiscono un corpus unitario e coerente36, questadonna rappresenterebbe il punto di partenza di una dinamica di senso dovesicuramente tornerà a farsi presente sotto altre modalità e apparenze.

Nella Vita nuova Dante stabilisce una analogia fra Beatrice e Cristo, ilLogos divino, seconda persona della Trinità. Con questa identificazione,in un modo più o meno cosciente, Dante in un certo senso sta concependola divinità come una quaternità dove Beatrice rappresenterebbe l’aspettofemminile del Logos, o il Logos nella sua manifestazione femminile.Beatrice, grazie agli intertesti evangelici che la rendono imago di Cristo,non soltanto sarebbe un miracolo di Dio – una creatura eccelsa pur sempreesterna alla vita divina – ma una manifestazione in terra della secondapersona divina: il Verbo divino sotto forma di donna37 (Scrimieri 2005:246-256). Una volta che lei muore, questa imago sparisce dalla terra perritornare nel seno della Trinità da dove proveniva38. La figura che mani-festava il Logos non c’è più. Rimane in potenza, latente nel seno dellavita trinitaria. Psicologicamente parlando, sprofonda nell’inconscio.

E qui entra in gioco la donna gentile. Abbiamo visto come nella Vitanuova questa donna è rifiutata da Dante perché rappresenta una soluzioneunilaterale del conflitto secondo i principi della filosofia naturale, nellalinea di Cavalcanti. La pietà e la compassione, nonostante, che ad un certo

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momento – dice Dante – la donna gentile mostra per Beatrice ci ha fattointuire che fra ambedue le donne esiste una relazione. E questo rapportosi può percepire nella canzone, mantenendo pur sempre fermo su quest’ul-tima il punto di riferimento della Vita nuova e l’identificazione analogicache in quest’opera Dante fa fra Beatrice e Cristo. Allo stesso modo diCristo, dopo il suo soggiorno sulla terra e dopo la sua ascensione in cielo,Beatrice è vissuta sulla terra ed è tornata in cielo. Come Cristo adesso èfuori dal mondo e assente dalla vita concreta degli uomini, suscettibilesolo di essere contemplata grazie al raptus dello spirito fantastico, comesuccede nel sonetto finale della Vita nuova, ma inaccessibile in un mododiretto all’intelletto umano. In questo modo e facendo un passo in avantinell’analogia con la dinamica della vita trinitaria, si potrebbe enunciarel’ipotesi secondo la quale la donna gentile della canzone rappresenterebbeuna seconda creazione, una seconda incarnazione di Beatrice sulla terra,come Logos e sapientia divina ma adattata adesso alla dimensione umana,come saggezza accessibile all’intelletto e applicabile alla vita terrenaledegli uomini. In questo senso, sarebbe qualcosa di meno rispetto a Bea-trice che nel seno della vita trinitaria contempla faccia a faccia eterna-mente Dio ma, d’altra parte, sarebbe qualcosa in più rispetto a Beatriceperché adesso la saggezza divina può manifestarsi nella vita degli uomini;e in ogni modo sarebbe sempre qualcosa in più rispetto alla donna gentiledella Vita nuova perché adesso, come manifestazione della sapienza di-vina e nello stesso tempo come creatura che vive sulla terra, questa donnaè capace di accogliere e di integrare i contenuti della saggezza divina fattaumana – cioè, le esigenze della vis vegetativa, sensitiva e razionale dell’a-nima – e i contenuti e le richieste più elevate dell’anima e dell’intelletto,quelli direttamente legati alla natura divina dell’uomo, cosa che la donnagentile della Vita nuova non era in grado di fare.

Ci sono nella canzone una serie di tratti testuali che avallano questa in-terpretazione. Come Beatrice e la donna gentile della Vita nuova, la donnadella canzone porta salute e salvezza: «[…] Chi veder vuol la salute, /faccia che gli occhi d’esta donna miri» (vv. 24-25); integra in lei, dunque,la capacità sanatrice della donna pietosa e la salvifica di Beatrice, la salute

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del corpo e dell’anima. Come Beatrice è marcata dal miracolo, tratto chesi materializza nel contesto chiave che ci permette di realizzare la nostrainterpretazione: i versi della quarta stanza che lasciano intravedere l’in-tertesto evangelico della annunciazione, le parole della Vergine Maria nelmistero dell’incarnazione, «Ecce ancilla Domini: fiat mihi secundum ver-bum tuum» (Luc. I 38): «Che se tu non t’inganni, tu vedrai / di sì alti mi-racoli adornezza / che tu dirai: ‘Amor, segnor verace, / ecco l’ancella tua,fa’ che·tti piace’» (vv. 49-52), indizio nella canzone di un secondo livellodi significato in senso cristologico. Allo stesso modo del capitolo XXIVdella Vita nuova dove Dante stabiliva una relazione analogica fra Gio-vanna-Primavera e Giovanni Battista che implicava quella fra Beatrice eCristo, analogia che faceva diventare Giovanna figura che preannunciaBeatrice, come Giovanni Battista lo era stato di Cristo – Giovanna-Prima-vera, anche sul piano metapoetico perché la poesia di Cavalcanti soggiacealla sua figura –, è necessario adesso trovare la correlazione analogica fraquesto intertesto evangelico e quanto sta accadendo a Dante dopo la par-tita di Beatrice, perché, come abbiamo detto a proposito dell’uso degliintertesti evangelici nella Vita nuova, è coerente pensare che Dante nellacanzone, contemporanea al libello, continui a giocare con la potenzialitàallegorica in senso cristologico di questo ricorso testuale, in rapportoadesso al significato della donna gentile.

Nella canzone le parole che fanno intravedere l’intertesto evangelicodella annunciazione, dette da «uno spiritel d’amor gentile», cioè dal dioAmore, sono da attribuire all’anima di Dante che, una volta accortasi dellanatura della nuova donna («tu vedrai / di sì alti miracoli adornezza», vv.40-50), sarà in grado di pronunciarle: «‘Amor, segnor verace, / ecco l’an-cella tua, fa’ che·tti piace’» (vv. 51-52). Si svela così il miracolo che qua-lifica la donna gentile come quello del mistero dell’incarnazione, il misteroineffabile dell’unione del cielo e della terra, della dimensione soprannatu-rale e naturale, dell’anima e del corpo; mistero in cui, dalla prospettivasimbolica, si proiettano i processi di attualizzazione dei contenuti inconscinegli atti di creazione dell’uomo. Se nella Vita nuova abbiamo consideratoBeatrice, dopo la sua partita, come figura femminile del Logos, come la

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saggezza divina che è tornata dal Padre, adesso eternamente unita a Dio,possiamo considerare che la donna gentile della canzone rappresenta laproiezione sulla terra, più in concreto, sull’anima di Dante, della saggezzadi Beatrice-Cristo, per poter così materializzarsi, “incarnarsi” nella suavita e opera.

Nel dogma cristiano della Trinità, eminentemente patriarcale e maschile,la manifestazione del Logos divino si verificò in un tempo puntuale dellastoria, grazie all’incarnazione della seconda persona divina, il Verbo, nellaVergine Maria. Una volta salito in cielo, il Verbo continua a manifestarsisulla terra attraverso l’azione dello Spirito Santo, la terza persona dellaTrinità. Nel simbolo della Trinità cristiana non era presente dunque la fi-gura femminile come rappresentazione della saggezza che, secondo i testidell’antichità biblica, accompagnava Dio in tutti i suoi atti di creazione;soltanto lo Spirito Santo rimane come unica traccia di quella figura39.Dante, invece, nel trasporre il simbolo trinitario alla rappresentazione delpropio processo di creazione, ricupera in Beatrice la figura femminile dellasapientia divina, una figura che, dopo la sua morte, è ritornata al seno delladivinità, cioè, psicologicamente parlando, è stata sepolta dall’inconscio; eproietta sulla donna gentile quella saggezza, facendo di lei una sua nuovamanifestazione e attualizzazione sulla terra. Fin qui, il movimento dellaproiezione del simbolo trinitario sarebbe, dunque, stato: Beatrice-Cristo,Logos femminile divino, scende sulla terra «a miracol mostrare» (XXVI)e ritorna in cielo dopo la sua morte, rimanendo inaccessibile all’intellettoumano, ma grazie all’intervento dello spirito d’Amore, una secondadonna, la donna gentile, s’incarna sulla terra, si ri-incarna nell’anima diDante, e fa da mediatrice fra Beatrice-Cristo e Dante, cioè fra la sapienzadivina e l’intelletto umano40.

Su Dante gravita, come lascia intravedere nella canzone l’intertestoevangelico dell’annunciazione, la numinosità del mistero dell’incarna-zione. Da questo punto di vista, le parole «ecce ancilla Domini: fiat mihisecundum verbum tuum» (Luc. I, 38) del testo evangelico, inducono astabilire, rispetto al significato della canzone, una relazione analogica fral’anima di Dante e la figura della Vergine Maria. Maria è una creazione

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specifica di Dio Padre perché possa incarnarsi in lei suo Figlio, perchépossa manifestarsi sulla terra Dio fatto uomo, e così una nuova saggezza,divina e insieme umana. Allo stesso modo, l’anima di Dante, creazionespecifica di Dio, una volta adottato rispetto ai suggerimenti del dio Amorelo stesso atteggiamento di umiltà e di ubbidienza di Maria, rende possibilein lei l’incarnazione di una nuova figura di donna come nuova manifesta-zione della saggezza divina, umana e accessibile agli uomini41, suscettibiledi manifestarsi nella vita e nell’ opera di Dante.

Dal punto di vista del processo d’individuazione, visto anche come di-namica del processo di creazione poetica, si tratterebbe di una nuova fi-gura femminile nella quale Dante proietta un nuovo aspetto della suaanima, collegata alla funzione inferiore, le sens du réel, quella che deveequilibrare la tendenza della superiore, rappresentata da Beatrice, l’intui-zione che insieme all’attività dell’immaginazione fantastica, è creatice dimondi ineffabili, come quello rappresentato nel sonetto Oltre la spera.Questa nuova figura tenterà che i contenuti che Beatrice rappresenta siincarnino nella attività poetica concreta di Dante, manifestandosi comeuna saggezza nuova, divina e insieme umana.

Se scaviamo nell’analogia del mistero dell’incarnazione in rapporto alprocesso di individuazione e di creazione poetica, alla stregua del signi-ficato cristologico della canzone reso possibile dall’intertesto evangelico,nella linea della Vita nuova, vediamo come dalla Vergine Maria, grazieall’azione dello Spirito Santo, nasce il Figlio di Dio fatto uomo, il Logosdivino incarnato. Parimenti, nell’anima di Dante, grazie all’azione del dioAmore sotto la forma dello «spiritel d’amor gentile» – simbolo dello Spi-rito Santo – si incarna una nuova forma di saggezza che farà accessibili,attraverso una nuova poetica, i contenuti che Beatrice rappresenta comeimago di Cristo. Come la Vergine Maria, mediatrice tra Cristo e gli uo-mini, questa nuova manifestazione dell’anima di Dante sarà mediatrice traBeatrice-Cristo – e quanto lei rappresenta –, e la vita e opera del soggetto;tra la funzione superiore della coscienza e quella inferiore; tra il cielo ela terra interiori dello stesso Dante. Da qui sorge la connessione fra ambe-due le figure, la necessità che Beatrice ha della donna gentile, e come senza

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questa seconda incarnazione, non si potrà attualizzare nella coscienza enell’opera di Dante quanto gli fece intuire e intravedere la prima incarna-zione, quella di Beatrice; come senza questa figura mediatrice non potràpiù progredire il suo processo di individuazione.

Si rappresentano così nella donna gentile aspetti del mistero dell’in-carnazione, o meglio, del mistero della “ri-incarnazione” del Logos di-vino, una volta che Cristo, salito ai cieli, lascia i suoi discipoli privi dellasua immediata presenza. Dopo questa perdita, la manifestazione di Diosulla terra solo può accadere punto per punto in ogni anima concreta,quando l’anima lascia lo spazio all’azione dello Spirito Santo, in modoche in lei possa reincarnarsi Cristo. Così lo promisero le parole che questiindirizzò ai suoi discepoli: «Ma il Paraclito, lo Spirito Santo, che il Padreinvierà in mio nome, vi mostrerà tutto e vi farà ricordare tutto quanto viho detto» (Jn. 14, 26). Lo Spirito Santo è l’inviato di Cristo che attualizzanell’anima di ogni uomo la figura di Cristo, producendo così, ogni volta,una sua nuova incarnazione nella storia. Ma perché questo mistero possaaccadere, l’anima deve avere lo stesso atteggiamento di umiltà e di ubbi-dienza di Maria verso i movimenti ispiratori dello Spirito Santo. Il con-tenuto di questo mistero costituirebbe il livello simbolico, nel sensofigurale-cristologico, della canzone, cioè, la seconda incarnazione inDante della saggezza divina, adesso fatta umana grazie all’azione dellospirito d’Amore in favore di una nuova donna, nuova figura dell’animache integra le più alte intuizioni con gli aspetti più bassi della natura terrenadell’uomo («umile» significherebbe anche qui l’essere a livello dell’humus, della terra).

Da questo prospettiva, la donna gentile sarebbe figura, nel mondo sublu-nare, della filosofia nella sua forma più elevata. Nel suo commento delConvivio, Dante non parla dell’intertesto evangelico presente nella can-zone, a partire dal quale abbiamo elaborato la nostra interpretazione, mamantiene implicito il significato cristologico della donna gentile, come fi-gura della seconda persona della Trinità, quando considera questa donnacome la «bellissima e onestissima figlia de lo Imperatore de lo universo,a la quale Pittagora pose nome Filosofia» (II, xv, 12), cioè, Figlia del Padre,

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Logos femminile incarnato sulla terra, come lo era stata Beatrice nella Vitanuova. Nel trattato quarto del Convivio Dante corrobora invece il rapportofra l’azione dello spirito d’Amore e l’incarnazione nell’anima della filoso-fia, nel senso che abbiamo visto: «Allora si troverà questa donna nobilis-sima quando si truova la sua camera, cioè l’anima in cui essa alberga. Edessa filosofia non solamente alberga pur ne li sapienti, ma eziandio […]essa è dovunque alberga l’amore di quella» (Convivio IV, XXX, 5).

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NOTE

1 Mi riferisco al convegno organizzato dal Grupo Tenzone, dedicato alla can-zone Amor, da che convien pur ch’io mi doglia, svoltosi a Setcases (Spagna) nelluglio 2008. I contributi sono stati pubblicati in “La Biblioteca de Tenzone”, Ed.di Emilio Pasquini, Departamento de Filología Italiana UCM-Asociación Com-plutense de Dantología, Madrid, 2009.

2 In questo senso, è interessante notare come nel catalogo delle canzoni distese,le tre canzoni sopra citate appaiono – dopo la prima, Così nel mio parlar voglioesser aspro – nell’ordine menzionato. Questo fatto è in rapporto con la coerenzatematica che a tutte e tre conferisce la presenza della donna gentile e il conflittoche questa donna suscita in Dante.

3 Questo carattere prospettivo della prosa della Vita nuova, in rapporto allanascita di una nuova poetica allegorica, è stato messo in rilievo da Raffaele Pinto:«l’allegoria non è in realtà estranea al Dante fiorentino, che anzi la dispiega ro-manzescamente nella Vita nuova per piegare il senso delle proprie liriche alnuovo mito di Beatrice» (Pinto 2007: 127). In questo senso, anche Enrico Fenzinel suo penetrante lavoro del 1975 dice: «[…] quel che nella Vita nuova non c’èè tanto importante quanto quel che c’è. Dante, quando ordina e commenta partedelle sue rime, già s’è immerso negli studi filosofici e ha maturato insieme sia lapossibilità di comporre il libello, sia quella di prenderne subito le distanze. E lafunzione del De amicitia in questo momento ha due facce, perché serve alla Vitanuova mentre fornisce le prime armi per uscirne, garantendo circa un futuro chedovrà trascenderla» (Fenzi 1975: 25).

4 «[…] mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta…» (Vita nuovaXLII, 1).

5 La dialettica permanenza vs cambiamento si manifesta pure nel resto dellecomposizioni dedicate alla donna gentile: così nel sonetto Parole mie che per lomondo siete, dove significativamente viene citato il primo verso di Voi ch’ ‘nten-dendo e dove Dante, rivolgendosi alle proprie parole, chiede loro di congedarsidalla donna gentile perché saranno le ultime a lei dedicate, dato che in questadonna non c’è amore («Con lei non state, ché non v’è Amore»); mentre invecenel sonetto successivo, O dolci rime che parlando andate, si pente di ciò che hadetto prima e chiede alle sue rime di non ascoltare le parole del precedente so-

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netto, loro fratello, «chè ne la sua sentenzia non dimora / cosa che amica sia diveritate».

6 In questo senso, secondo me, solo la tesi di Bruno Nardi – che sostiene cheDante aggiunse unicamente il capitolo finale (XLII), intorno al 1308, cioè, in-torno alla data della scrittura del Convivio – avrebbe forse una coerenza di carat-tere metapoetico con il progetto del Convivio dove Dante, se da una parte sipropone di «non derogare in parte alcuna» la Vita nuova, dall’altra, decide di«terminare lo parlare di quella viva Beatrice beata, de la quale più parlare inquesto libro non intendo per proponimento» (II, VIII, 7). Tanto nel capitolo finaledella Vita nuova come in questo passo del Convivio, Dante non dichiara l’abban-dono di Beatrice ma l’interruzione, per il momento, della scrittura su di lei, equesta interruzione, in entrambi i casi, è motivata dalla sua dedizione alla filo-sofia. Riguardo a questo problema, così interpreta e risolve Guglielmo Gorni lecontraddittorie soluzioni che Dante dà al conflitto tra la donna gentile e Beatrice:l’importante episodio de la donna gentile «comporta esiti diversi»: «una doppiasoluzione di continuità nella Vita Nova (abbandono di Beatrice per la gentile; epoi abbandono di questa e ritorno a Beatrice, come dopo una tentazione vinta),per ripristinare lo statu quo iscritto di necessità nell’opera. E invece, nel Convivio,uno sviluppo binario: un montaggio non già in serie, ma in parallelo rispetto allaVita Nova, a cui Dante non intende affatto “dirogare”» (Gorni 1996: XX).

7 Ariani mette in rilievo questo problema attraveso l’opposizione «dire» vs«dicer» dell’ultimo capitolo della Vita nuova: «… io vidi cose che mi fecero pro-porre di non dire più di questa benedetta» vs «io spero di dicer di lei quello chemai fu detto d’alcuna» (XLII), «dove la perentoria insorgenza del tema dell’inef-fabilità lega la problemática cognitiva dell’intelletto […] all’inadeguatezza deimezzi espressivi (il “dire”), tale da far promettere al poeta di tacere fino a quandonon potrà parlare di Beatrice con modalità formali inaudite (dove è notevole loslittamento del poliptoto al latinismo ‘tragico’ “dicer”)» (Ariani 2009: 40).

8 Secondo la teoria dei tipi psicologici di C.G. Jung, l’intuizione in Dante sa-rebbe la prima funzione della coscienza, quella che dalla prima gioventù lo guidae gli mostra i significati nascosti e trascendenti della realtà sensibile, mentre lasensazione, il senso del corpo, il principio della realtà, costituirebbero il conte-nuto della funzione inferiore, quella più lontana dalla coscienza, i cui contenutigenerano conflitti che il soggetto deve risolvere. Su questa problematica, vid.Scrimieri 2005: 29-36.

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9 In questo ordine di idee, Enrico Fenzi (1975) studia in profondità e in unmodo esaustivo le relazioni fra Vita nuova e la nostra canzone.

10 «Ei le risponde: “Oi anima pensosa, / questi è uno spiritel novo d’amore, /che reca innanzi me li suoi disiri; / e la sua vita, e tutto ‘l suo valore, / mosse deli occhi di quella pietosa / che si turbava de’ nostri martiri”» (XXXVIII, 11-14).

11 Così lo interpreta De Robertis (in Alighieri 2005: 22).12 Aristotele viene citato da Dante sotto il nome divulgato nel medioevo di «lo

filosofo», senza menzione di opera, per spiegare, secondo le nozioni codificatedalla scolastica, i concetti di corpo e moto, di materia e mobilità.

13 Secondo Bruno Nardi, il primo contatto di Dante con la filosofia che, se-condo il Convivio avviene «dopo alquanto tempo» in seguito alla morte di Bea-trice, sarebbe accaduto otto mesi dopo quella morte, cioè, otto mesi dopo il mesedi giugno del 1290. Nardi fa il calcolo di questo numero di mesi per deduzionegiacché, se vi aggiungiamo i trenta («picciol tempo») che Dante dice nel Conviviodovettero trascorrere per “entrare” negli studi della filosofia, questo numero con-corda con la data della perifrasi astronomica con la quale Dante spiega quandosi innamorò della donna gentile: i tre anni e due mesi delle rivoluzioni di Veneredopo la morte di Beatrice, tempo necessario, per l’«inmoderata cogitatio», per il“nutrimento” di questo amore; mesi che, una volta trascorsi, hanno come conse-guenza l’innamoramento di Dante; e tempo, in un secondo livello di senso, didedizione allo studio della filosofia, che finisce con l’amore passionato del nostroautore per la filosofia.

14 In questo senso, Enrico Fenzi sostiene che il parlar sottile dello spirito pe-regrino di Oltre la spera «è forse passibile d’una interpretazione più precisa diquella corrente che intende sottile come sinonimo di difficile, profondo […] È in-vece più probabile che l’aggettivo sia connotato filosoficamente e disegni la qua-lità specifica di quell’intellettuale parlare, obbediente alla sostanza spirituale edunque non conoscibile dell’oggetto, solo intuibile per via analogica, ‘assotti-gliando’ al massimo quei fantasmi delle cose materiali che la fantasia […] ci for-nisce» (Fenzi 1975: 19).

15 Fra i più notevoli, Michele Barbi (1968: XIX ss) che apre una tradizione cri-tica nel senso positivo del significato allegorico della donna delle canzoni; Gian-franco Contini, a sua volta, dice: «L’allegorismo s’inizia col divorzio deisignificati; e allora Voi che ‘ntendendo si chiuderà sulla patetica esclamazione“Ponete mente almen com’io son bella”» (Contini 1997: XIX). A proposito della

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ballata Voi che savete ragionar d’amore, riferita pure alla donna gentile, Continidifende il suo valore allegorico originario: «l’antichità della applicazione allego-rica dello stil novo»; e osserva la presenza nella ballata del motivo dell’autocon-templazione della donna come allegoria della riflessione filosofica, motivo cheDante spiegherà nella prosa del Convivio, commentando la canzone seconda, eche più tardi riapparirà nel Purgatorio, XXVII; «la donna è la Filosofia, la con-templazione di sé è la riflessione; e il suo contegno è la durezza della scienza,restia a concedersi, ma che alla fine premierà il perseverante» (Contini ad locumin Alighieri 1997: 94-95). Bruno Nardi stima, a sua volta, che dopo la Vita nuova«Dante prese a cantare della filosofia, per mezzo di parole fittizie, celando sottoil velo dell’allegoria la “sentenza vera” e raffigurando la filosofia, di cui si era in-namorato, sotto il simbolo di una donna gentile e bella […]. Nacquero così lerime allegoriche dedicate alla filosofia. Tali sono Voi che ‘ntendendo, le quattrocanzoni Amor, che movi tua vertà dal cielo (90ª dal testo critico), Io sento sìd’Amor la gran possanza (91ª), Voi che savete ragionar d’Amore (80ª), e infineAmor che ne la mente mi ragiona, premessa al terzo trattato del Convivio» (1960:7-8). Enrico Fenzi (1975) si schiera nella linea del Barbi, a favore dunque dell’in-terpretazione allegorica della donna gentile della canzone. Il suo saggio offre unadocumentata panoramica della critica su questo problema.

16 La propria canzone nel suo congedo stabilisce la possibilità di due diversilivelli di lettura: «Canzone, io credo che saranno radi / color che tua ragione in-tendan bene, / tanto la parli faticosa e forte» (vv. 53-55), e con ciò due possibilitipi di destinatari: quelli che sapranno leggere e capire l’allegoria, cioè, che am-metteranno che Dante è diventato un poeta “amante” della filosofia; e quegli altriche, non sapendo riconoscere il livello allegorico, rimarranno solo con la bellezzadel suo piano letterale, incentrato sulla poesia d’amore: «Onde, se per ventura egliadiviene / che tu dinanzi da persone vadi / che non ti paian d’essa bene accorte,/ allor ti priego che ti riconforte, / dicendo lor, diletta mia novella: / “Ponetemente almen com’io son bella”» (vv. 56-61). Nonostante, un’altro settore dellacritica non ammette il carattere allegorico della canzone, e considera unicamenteil suo senso letterale, incentrato sulla tematica d’amore; per questa corrente cri-tica, la canzone, come le altre “distese”, «sono canzoni che appunto ad una letturanon condizionata dalle ragioni intrinseche e sopravvenute del Convivio […] senz’altro valgano a Dante non certo infamia bensì imperitura fama di massimo can-tore d’amore» (Tonelli 2007: 57); sono canzoni, dunque, la cui ispirazione “pri-maria e originaria” è quella d’amore. Natascia Tonelli, in questo senso, ritiene

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«con Barbi, ancorché lo stesso fosse convinto dello statuto allegorico di queste[delle canzoni], “che per i bisogni e i propositi coi quali [D.] s’accinse a scrivereil Convivio, adattasse a nuove invenzioni e a nuovi fini quello che aveva già pen-sato e scritto con intendimenti diversi” (1968: XXXV) e, più nettamente […] conPasquini che le canzoni, “seppure scritte in origine per situazioni amorose”, sonoe sarebbero state “convertite grazie al commento in grandi temi di filosofia mo-rale” grazie ad “una straordinaria operazione di riciclaggio” (2006: 45)» (Tonelli2007: 70).

17 Fra quelli che ammettono il carattere allegorico della donna gentile dellaVita nuova, Foster-Boyde tendono ad accettare la spiegazione data da Dante nelConvivio ed a considerare originariamente allegorico l’episodio della Vita nuova;essi spiegherebbero la discrepanza tra quest’opera e la canzone Voi che‘nten-dendo, ammettendo che nel libello la Filosofia (la donna pietosa) appare ancoraa Dante come incompatibile con la Teologia (Beatrice), mentre più tardi nel corsodi una maturazione intellettuale, la Filosofia, prima ripudiata, instaurerebbe undiverso rapporto con la Teologia (Foster-Boyde 1967b: 341-362). Invece EnricoFenzi dice: «per parte mia, non ho scrupuli nel seguire chi, dal Barbi in giù, pensache la donna pietosa della Vita nuova resti irriducibile alla tarda escogitazionedantesca, e insomma sia altra cosa da quella allegorica della canzone» (1975: 2).

18 «E però che soprastare a le passioni e atti di tanta gioventude para alcunoparlare fabuloso, mi partirò da esse» (Vita nuova II, 10).

19 Lo sviluppo interpretativo che fa Dante della sua poesia nella prosa dellaVita nuova sarebbe autobiografico nel senso che l’io che si proietta sull’enunciatonon è un io fittizio né finto, narrante una finzione, ma l’io reale di un autore sto-ricamente concreto che presenta la sua storia come una storia vera (Scrimieri1999: 26-27). D’altra parte, non si deve dimenticare che l’io della prosa dellaVita nuova trae la sua origine dall’io lirico, costitutivo e costituente delle poesieche Dante inserisce nel prosimetro, e che la realtà dell’io lirico, procedente dallarealtà del soggetto enunciativo, conferisce la qualità di reale all’oggetto enun-ciato, come avviene in una lettera o in un documento autobiografico (Scrimieri1999: 25).

20 Come suggerisce Maria Corti, «non è chi non veda come una passioncellasensibile sia difficilmente conciliabile con il tono e il clima della Vita nuova» (Corti1983a: 148-150); e d’ altra parte, Manuela Colombo, per difendere il significatodella donna gentile oltre a quello letterale, osserva che «l’episodio della gentile se

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non fosse schermo di una fase della poesia dantesca, rappresenterebbe un hapaxnel libello, essendo tutte le altre donne “importanti” del libro (si vedano le duedonne-schermo, per esempio) lo strumento umano con cui Dante rappresenta informa narrativa l’inquieto procedere della propria poesia, dagli inizi cortesi altrionfo delle nuove rime» (Colombo ad locum in Alighieri 1993: 162). Solo che,a mio avviso, il secondo significato di questa donna va oltre quello strettamentemetapoetico, dato che, come si sa, non c’è un cambiamento sul piano dell’espres-sione poetica che non sia stato preceduto dal corrispondente cambiamento sulpiano del contenuto.

21 «L’intensità della partecipazione [di Dante] alla vita dell’immaginazione, lasua tendenza a identificarsi, a far tutt’uno con essa […] mette in crisi le figure re-toriche della tradizione. […] È questa intensità che determina l’irrequieta ade-sione a quella tradizione retorica e costituisce, quindi, se non sbaglio, il motivoprofondo della “contaminazione” di due modelli esegetici eterogenei» (D’Andrea1987: 78), quello dell’allegoria dei poeti e quello dell’allegoria dei teologi o infactis, ancorata, nel caso di Dante, nella propria storia vissuta.

22 Il reiterato intertesto evangelico, riferito analogicamente a Beatrice, fa dilei «un’autentica figura di Cristo in terra» (Gorni 1996: XLI), fino al punto che«non sia abusivo applicare anche al prosimetro la categoria di realismo dantescoteorizzata da Auerbach. Tanta, pur tra tante mistificazioni, è la verità della storia,proiettata in una dimensione escatologica» (Gorni 1996: XLIV).

23 Più tardi Dante, nel Convivio II, I, 4, teorizzerà su questa possibilità. Anchese comincia dicendo che eseguirà l’interpretazione delle sue canzoni, prendendo«lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato», alla fine del capitolo con-clude: «sopra ciascuna canzone ragionerò prima la letterale sentenza, e appressodi quella ragionerò la sua allegoria, cioè la nascosa veritade; e talvolta de li altrisensi toccherò incidentemente, come a luogo e a tempo si converrà» (ConvivioII, I, 15. Il corsivo è mio). Baránski considera che «non ci siano difficoltà a con-ciliare le due affermazioni, le quali non sono, come alcuni ritengono, “contrad-dittorie”. Intorno all’inizio del XIV secolo era già largamente diffusa l’opinioneche un piccolo numero d’opere pagane, prima fra tutte la quarta Egloga di Vir-gilio, non potessero rientrare completamente nei confini dell’allegoria dei poeti»(Baránski 1993: 552).

24 Senza dimenticare, d’altra parte, come abbiamo detto sopra, che la canzone,in quanto appartenente al genere lirico, non sfugge alla qualità inerente all’atto

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enunciativo lirico che l’ha originata, atto che procede da un soggetto reale, nonfittizio né finto, che conferisce per questa ragione la qualità di realtà all’oggettoenunciato, cioè, in questo caso, alla donna gentile (Scrimieri 1999: 25).

25 Invece questo tratto di pietà, nella canzone, lo possiede «l’umil pensero» cheparla di Beatrice al poeta e che fugge di fronte al nuovo «spiritel d’amor gentile»:«e dice: “Oh lassa me, come si fugge / questo pietoso che m’ ha consolata!”»(vv. 31-32).

26 Così ne parlerà Dante nel Convivio: «la mia mente, che si argomentava disanare, provide, poi che né ‘l mio né l’altrui consolare valea, ritornare al modoche alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e misimi a leggere quello nonconosciuto di molti libro di Boezio, nel quale cattivo e discacciato, consolatos’avea» (II, XII, 2).

27 Più tardi Dante dirà nel Convivio che questa saggezza è «la divina filosofiade la divina essenza, però che in esso [in Dio] non può essere cosa a la sua es-senzia aggiunta; […] ed è in lui per modo perfetto e vero, quasi per eterno ma-trimonio» (Convivio III, XII, 12-13), saggezza che corrisponde alla terra con laparte più nobile dell’anima umana, la ragione: « […] l’anima umana, la qualecon la nobilitade de la potenza ultima, cioè ragione, participa de la divina naturaa guisa de sempiterna intelligenzia; però che l’anima è tanto in quella sovranapotenza nobilitata e denudata da materia, che la divina luce, come in angelo,raggira [risplende] in quella: e però l’uomo è divino animale da li filosofi chia-mato» (Convivio III, II, 14).

28 «Ne la quarta [parte] dico come elli la vede tale, cioè in tale qualitade, cheio non lo posso intendere, cioè a dire che lo mio pensero sale ne la qualitade dicostei in grado che lo mio intelletto non lo puote comprendere; con ciò sia cosache lo nostro intelletto s’abbia a quelle benedette anime sì come l’occhio debolea lo sole: e ciò dice lo Filosofo nel secondo de la metafisica» (Vita nuova XLI, 6).Più tardi nel Convivio, a proposito delle cose che sorpassano la capacità dell’in-telletto, Dante dirà: «Dov’è da sapere che in alcuno modo queste cose nostro in-telletto abbagliano, in quanto certe cose [si] affermano essere che lo intellettonostro guardare non può, cioè Dio e la etternitate e la prima materia; che certis-simamente si veggiono, e con tutta fede si credono essere, e per quello che sonointendere noi non potemo» (Convivio III, XV, 6).

29 D’accordo con questo paradigma, l’immaginazione è il medium che per-mette il passaggio dalla realtà esterna fattuale alla realtà interna fantasmatica;

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quest’ultima a sua volta, secondo la via psicognoseologica descritta da Avicenna,e dopo da Ugo di San Vittore, attraverso la progressiva denudatio dell’immaginedei tratti concreti sensoriali, accompagnata dalla ragione e dall’intelletto, rag-giunge la zona delle astrazioni e l’esperienza della vita superiore dello spirito. Iltratto, dunque, che caratterizza Dante nel panorama intellettuale del suo tempoe quello della sua ascrizione, in confronto alle correnti strettamente razionalisti-che, alla linea di pensiero che attribuisce all’immaginazione una capacità e poterecognoscitivo trascendente, al di là dei limiti che possa stabilire la ragione. Nonper nulla, nella Vita nuova l’elemento propulsore dell’evoluzione della coscienzasono le diverse visioni, prodotti dell’immaginazione, e non per nulla il puntod’origine della Commedia è concepito come una grande visione.

30 Lo spirito vitale giace nel cuore e di lì si diffonde attraverso le arterie sututto il corpo. Una volta arrivato alla cavità del cerebro, dove ha la sua sedel’immaginazione, si sottilizza al massimo e diventa spirito fantastico, confe-rendo sostanza pneumatica alle immagini della percezioni visiva – lo «spirito

visivo» –, assumendo così una funzione mediatrice fra corpo e anima, fra materiae spirito (Agamben 1993).

31 «Or tu se’ stato in tanta tribulazione, perché non vuoli tu ritrarre te da tantaamaritudine?» (Vita nuova XXXVIII, 3).

32 «E quando da la ragione mosso, e dicea fra me medessimo: “Deo, che pen-sero è questo, che in così vile modo vuole consolare me e non mi lascia quasialtro pensare?”» (Vita nuova XXXVIII, 2).

33 Dante, dopo aver rifiutato la donna gentile, oscilla verso una posizione neo-platonica (Klein 1975) e rappresenta un tipo d’immaginazione capace di liberarsidai condizionamenti dell’appettito sensibile, e capace di elevarsi fino alla contem-plazione dell’idea, mentre per Cavalcanti l’immaginazione «è il luogo critico,l’abisso nella natura umana nel quale si nascondono e si agitano tutti i turbinidelle passioni. [...] Guido Cavalcanti non nega la conoscenza intellettuale ma laconfusione tra l´evento dell´anima sensitiva e quello dell´anima intellettiva» (Ga-gliardi 1997: 58-59).

34 Si tratta delle parole che Dante rivolge ai suoi occhi, che cominciano a di-lettarsi troppo nel guardare questa donna: «che non mira voi, se non in quanto lepesa de la gloriosa donna di cui piangere solete» (Vita nuova XXXVII, 2).

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35 Seguo in queste considerazioni sul simbolo della Trinità le riflessioni di C.G. Jung (1981).

36 Mi riferisco al progetto di ricerca proposto e dibattuto nei Convegni orga-nizzati dal Gruppo Tenzone, basato sull’idea di Tanturli (2003) e provato con so-lidi argomenti testuali da Natascia Tonelli (2006).

37 Questo sarebbe un punto di possibile eterodossia nella Vita nuova. Dante siprotegge da questa possibile eterodossia, inerente al significato che concede aBeatrice, lasciando soltanto intravedere, attraverso gli intertesti evangelici, chelei è imago Christi. Non la sustituisce esplicitamente a Cristo ma in un modo im-plicito la fa diventare la sua figura sempre dentro i limiti dell’analogia cristiano-medievale, analogia che costituisce la base dell’allegoria in factis. Non lasostituisce esplicitamente ma il passo verso questa sostituzione è breve. Dal puntodi vista della psicologia del profondo, tanto Cristo, simbolo del Sé, come Beatrice,simbolo dell’anima – ma anche in certi momenti, simbolo velato dell’aspetto fem-minile del Sé – rappresentano un contenuto potente e sconosciuto dell’inconscio;il primo, Cristo, riconosciuto dall’autorità religiosa collettiva; il secondo, Bea-trice, non riconosciuto da quella, e per questa ragione, mostrata, come figura diCristo, soltanto in forma velata attraverso gli intertesti evangelici; una figura cheparteciperebbe alla pari di Cristo, come un quarto numero, della vita trinitariadivina (Scrimieri 2008: 74).

38 In questo senso, bisogna ricordare per spiegare la natura di Beatrice, speci-ficamente derivante da Dio, il capitolo XXIX della Vita nuova dove Dante dice:«questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intenderech’ella era uno nove, cioè un miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è sola-mente la mirabile Trinitade» (XXIX, 3).

39 Questa traccia della sapientia divina come presenza femminile nel simbolotrinitario sarebbe rappresentata dall’immagine dello Spirito Santo come colomba,simbolo di Venere Afrodite, la dea pagana dell’amore.

40 In questo senso, Carlos López Cortezo ha studiato questa canzone seguendole riflessioni di San Agostino nel De Trinitate, e ha individuato il rapporto delladonna gentile con Cristo fatto uomo, allegoria della Filosofia umana intesa comefilosofia divina manifestata sulla terra. Vid. in questo stesso volume.

41 Enrico Fenzi ha percepito questo aspetto “terrenale” della donna gentilecome allegoria della filosofia: «Dante ha dunque convertito la tensione intellet-

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tuale e fantastica che per un attimo, alla fine del libello, s’era focalizzata sull’im-magine della gloria paradisiaca di Beatrice, nell’esaltazione di un’altra `donna´,fornita di quella stessa ultraterrena perfezione e incaricata di interventi efficacie durevoli nelle cose di quaggiù» (Fenzi 1975: 20). Ma non ho trovato, tranne lostudio appena citato di López Cortezo, nessun critico che abbia basato la sua in-terpretazione sulla trasposizione che fa Dante dei contenuti del simbolo trinitarioe del mistero dell’incarnazione alla rappresentazione poetica del proprio processocreativo, basato sulla prova testuale nella canzone dell’intertesto evangelicodell’annunciazione.

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