L ULTIMO IMPERATOREcreare «la moda pronta»: gli altri stilisti sono scandalizzati, ma poi tutti i...

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Il prêt à porter Nel 1959 Pierre Cardin è il primo a creare «la moda pronta»: gli altri stilisti sono scandalizzati, ma poi tutti i grandi nomi lo imitano La moda uomo La prima collezione al mondo di moda maschile è la sua. E quando i Beatles decidono di rinnovare il look, nel ’63, sono «costretti» ad andare da lui. È del ’57 l’apertura della prima boutique Cardin per uomo I negozi monomarca L’apertura di negozi monomarca nei Paesi emergenti, quando questi sono ancora snobbati dagli investitori: nel 1983 è la volta di Ungheria (Budapest) e Cina (Pechino), nel 1986 della Russia (Mosca e poi San Pietroburgo) Le produzioni teatrali Nel 1974 riceve il premio Eur, per l’attività nel mondo dello spettacolo La griffe ovunque Per la prima volta la griffe di uno stilista viene abbinata a prodotti al di fuori dell’abbigliamento: il marchio Pierre Cardin nobilita occhiali, mobili, piastrelle, pentole Ambasciatore onorario È il primo stilista designato dall’Unesco nel 1991 e nel ’92 è eletto membro dell’Académie des Beaux Arts I l titolo non se l’è dato da sé, ma ovviamente gli fa piace- re. Le dernier Empereur, l’ultimo imperatore: si chiama così la biografia filmata, realizzata per France 5 l’anno scor- so da Antoine Coursat. Ma i fatti parlano, e nei fatti Pierre Cardin ha creato un impero: moda, i ristoranti Maxim’s, pro- fumi, musei, teatri, mobilio e articoli di arredamento. Senza contare tutte le infinite licenze (occhiali, piastrelle, pentole, prodotti alimentari) per oggetti messi in vendita con il suo nome. E come un imperatore, da sempre, è lui e solo lui al comando di tutto. «Non ho mai avuto finanziatori, io non ho mai avuto gli Arnault, i Pinault eccetera. Ho creato tutto con le mie forze, prendendo sempre le decisioni, ammini- strando tutto, dagli abiti alle produzioni teatrali, dal design dei mobili ai profumi. Ho realizzato tutto quello che volevo. Sono stato il primo a fare il prêt à porter, nel 1959; sono sta- to il primo a creare le collezioni moda uomo nel 1960. Sono stato il primo ad andare in Giappone, in Cina, in Russia, ad aprire boutiques e a impostare la produzione in quei Paesi. Il primo a usare il sistema delle licenze. Tutto questo, al- l’epoca, irritava i grandi couturiers. E poi tutti, prima o poi, hanno fatto le stesse cose». Fra gli altri primati, non va di- menticata l’elezione di Pierre Cardin a membro della Acadé- mie des Beaux Arts (1992, «il primo couturier a sedere sotto la Coupole dell’Institut de France») e la nomina — 1991 — di Ambasciatore onorario dell’Unesco. A 85 anni, Cardin di- ce: «Il piccolo couturier che veniva dalla provincia, il figlio di emigrati italiani ha fatto tutto questo, e ha saputo durare nel tempo. Non mi sembra poco». Al terzo piano del nume- ro 27 dell’Avenue de Marigny, nello studio di Pierre Cardin, ci sono centinaia di copertine di riviste di moda. Ci sono le fotografie di una vita, con tutte le celebrità che hanno incro- ciato il suo cammino. Dalle finestre si vede l’Eliseo, dove ri- siede il più illustre vicino, il presidente Sarkozy, fresco spo- so di Carla Bruni. «Il presidente è un uomo fortunato ad ave- re una donna così bella — dice —. Sono sicuro che questa unione servirà a rinsaldare i rapporti della Francia con l’Ita- lia». Non dimentica le origini italiane, Pierre Cardin. «No, non potrei proprio. Arrivai in Francia da bambino, gli italiani erano chiamati les macaroni . Poi, con molta fortu- na e molta tenacia, sono diventato quello che sono. Ma i miei rapporti con l’Italia sono sempre stati forti. Tanto che, ad agosto, per le Olimpiadi porto a Pechino un musical su Marco Polo, realizzato da Marie-Claude Petragalla. Del re- sto, grazie anche al cinema, ho avuto modo di frequentare Visconti, Lucia Bosè, Anna Magnani, Sophia Loren, il gran- de costumista Piero Tosi, Mauro Bolognini». Lei ha vestito i Beatles: quando Brian Epstein decise di cambiare — 1963 — l’immagine dei quattro ragazzi di Li- verpool, di togliere il cuoio nero dei loro esordi ad Am- burgo, venne da lei. E nacque il look Beatles: pantaloni stretti, il tronchetto con l'elastico ai lati e soprattutto la giacca senza collo. «Sì, i Beatles... Ero il primo ad avere una linea uomo, per questo vennero da me. Ma non ho vestito solo loro, e poi la musica non è stato il mio amore più grande. Ho amato e amo di più il teatro, il cinema. Ho lavorato fino da subito con Jean Cocteau, nel 1946, per i costumi della "Bella e la bestia". Ho conosciuto i più grandi costumisti, Christian Bérard e Marcel Escoffier. Tra i miei film ricordo "La princi- pessa di Clèves", con Marina Vlady, e "Jeanne la française" con Jeanne Moreau (lì avevo anche una parte da attore). Ho studiato storia del costume, ho visitato musei, ma senza mai confondere la moda con il revival, con il recupero di antiquariato. No, creare per me vuol dire inventare qualco- sa che non c’è. Qualcosa che va bene per domani. Compito del couturier non è fare un bel vestito, è cambiare l’immagi- ne del mondo. Oggi invece si copia dal passato, si combina un po’ di questo un po’ di quello. Si fa del barocco. Io no, sono sempre stato assolutamente moderno». E come ha cominciato? «Tutto è cominciato a Parigi, nel ’45. Arrivavo da Vichy, dove avevo fatto pratica in una sartoria. Poi, quando i tede- schi cominciarono a prendere gli uomini per mandarli al la- voro coatto, ho avuto la fortuna di essere assunto dalla Cro- ce rossa francese. Il generale Verdier mi prese come contabi- le, anche se non sapevo nulla di contabili- tà. Finita la guerra, andai a Parigi. Primo impiego, da Jeanne Paquin, il migliore atelier di moda in assoluto. Lì incontrati Cocteau. Ma ho cambiato subito. Andan- do da Dior». Nel momento migliore, quando Dior creava il New Look. «Sì, io ero il prémier, l’addetto al taglio. Il famoso tailleur Dior, il suoi manteaux li ho tagliati io». Ma già nel ’50 lei lascia e si mette da solo. Perché? «Incoscienza, audacia, la giovinezza ti fa fare i grandi passi. Misi su una mia mai- son. Pochi soldi. Di me dicevano: quel gio- vane non ha finanziatori, però ha delle idee. Le giornaliste di moda mi adorava- no, venivano alle mie sfilate anche se le facevo a un quinto piano e dovevano se- dere su degli sgabelli, altro che i saloni di Dior. Fatto sta che sui giornali il mio no- me appariva grande come quello dei mag- giori couturiers». Poi, nel ’59, la rivoluzione. «Ho inventato il prêt-à-porter, con una sfilata alla Galerie Printemps, fra le reazio- ni scandalizzate di quelli della haute cou- ture. L’ho fatto per due ordini di motivi. Uno, economico. Con l’alta moda non puoi fare la quantità e quindi il guada- gno: solo producendo in serie, con prezzi accessibili, hai profitto. L’altro motivo, di- ciamo così, era ideologico: un po’ di sini- stra, un po’ socialista. Volevo mettere la moda alla portata di tutti, non solo dei ric- chi. Cercavo, lo ripeto, il modo per cam- biare faccia al mondo: la grande diffusio- ne degli abiti prêt-à-porter serviva a que- sto». Nascono così gli abiti dal taglio inimitabile, gli stivali, i cuissards; l’impiego di materiali nuovi e inauditi (plastica, metallo, plexiglas); i cappelli a el- metto, i colori decisi (bianco, nero, ros- so, giallo). Gli anni ’60 e ’70 hanno la sua impronta. Il grande mutamen- to: non era più il vestito ad adat- tarsi alla donna, era una nuova donna che prendeva forma nei suoi abiti. «Io ragiono come uno scul- tore, creo una forma con il tes- suto, poi metto il corpo den- tro quella forma. È un proce- dimento da artista, per cui ciò che conta è la creazione di una forma che non c’era prima. E che è destinata a durare». Pierre Cardin I P RIMATI L’ULTIMO I MPERATORE Cominciai da Dior, ero addetto al taglio Ragiono come uno scultore. Creo una forma e ci metto dentro un corpo «Ho realizzato tutto quello che volevo senza mai avere dietro i soldi di un Arnault» DI RANIERI POLESE P ERSONAGGI Accademico Pierre Cardin dopo la nomina a membro dell’Académie des Beaux-Arts nel 1992 Creatività A Roma nel 1960 e, sotto, i suoi abiti op-art (Mencarini/G. Neri) 9 Mode e Modi Lunedì 18 Febbraio 2008 Corriere della Sera

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Il prêt à porter

Nel 1959 Pierre Cardin è il primo a

creare «la moda pronta»: gli altri stilisti

sono scandalizzati, ma poi tutti i grandi

nomi lo imitano

La moda uomo

La prima collezione al mondo di moda

maschile è la sua. E quando i Beatles

decidono di rinnovare il look, nel ’63,

sono «costretti» ad andare da lui. È del

’57 l’apertura della prima boutique

Cardin per uomo

I negozi monomarca

L’apertura di negozi monomarca nei

Paesi emergenti, quando questi sono

ancora snobbati dagli investitori: nel

1983 è la volta di Ungheria (Budapest)

e Cina (Pechino), nel 1986 della Russia

(Mosca e poi San Pietroburgo)

Le produzioni teatrali

Nel 1974 riceve il premio Eur, per

l’attività nel mondo dello spettacolo

La griffe ovunque

Per la prima volta la griffe di uno stilista

viene abbinata a prodotti al di fuori

dell’abbigliamento: il marchio

Pierre Cardin nobilita occhiali,

mobili, piastrelle, pentole

Ambasciatoreonorario

È il primo stilista

designato dall’Unesco

nel 1991 e nel ’92 è

eletto membro

dell’Académie

des Beaux Arts

I l titolo non se l’è dato da sé, ma ovviamente gli fa piace-re. Le dernier Empereur, l’ultimo imperatore: si chiama

così la biografia filmata, realizzata per France 5 l’anno scor-so da Antoine Coursat. Ma i fatti parlano, e nei fatti PierreCardin ha creato un impero: moda, i ristoranti Maxim’s, pro-fumi, musei, teatri, mobilio e articoli di arredamento. Senzacontare tutte le infinite licenze (occhiali, piastrelle, pentole,prodotti alimentari) per oggetti messi in vendita con il suonome. E come un imperatore, da sempre, è lui e solo lui alcomando di tutto. «Non ho mai avuto finanziatori, io nonho mai avuto gli Arnault, i Pinault eccetera. Ho creato tuttocon le mie forze, prendendo sempre le decisioni, ammini-strando tutto, dagli abiti alle produzioni teatrali, dal designdei mobili ai profumi. Ho realizzato tutto quello che volevo.Sono stato il primo a fare il prêt à porter, nel 1959; sono sta-to il primo a creare le collezioni moda uomo nel 1960. Sonostato il primo ad andare in Giappone, in Cina, in Russia, adaprire boutiques e a impostare la produzione in quei Paesi.Il primo a usare il sistema delle licenze. Tutto questo, al-l’epoca, irritava i grandi couturiers. E poi tutti, prima o poi,hanno fatto le stesse cose». Fra gli altri primati, non va di-menticata l’elezione di Pierre Cardin a membro della Acadé-mie des Beaux Arts (1992, «il primo couturier a sedere sottola Coupole dell’Institut de France») e la nomina — 1991 —di Ambasciatore onorario dell’Unesco. A 85 anni, Cardin di-ce: «Il piccolo couturier che veniva dalla provincia, il figliodi emigrati italiani ha fatto tutto questo, e ha saputo durarenel tempo. Non mi sembra poco». Al terzo piano del nume-ro 27 dell’Avenue de Marigny, nello studio di Pierre Cardin,ci sono centinaia di copertine di riviste di moda. Ci sono lefotografie di una vita, con tutte le celebrità che hanno incro-ciato il suo cammino. Dalle finestre si vede l’Eliseo, dove ri-siede il più illustre vicino, il presidente Sarkozy, fresco spo-so di Carla Bruni. «Il presidente è un uomo fortunato ad ave-re una donna così bella — dice —. Sono sicuro che questaunione servirà a rinsaldare i rapporti della Francia con l’Ita-lia».

Non dimentica le origini italiane, Pierre Cardin.«No, non potrei proprio. Arrivai in Francia da bambino,

gli italiani erano chiamati les macaroni . Poi, con molta fortu-na e molta tenacia, sono diventato quello che sono. Ma imiei rapporti con l’Italia sono sempre stati forti. Tanto che,ad agosto, per le Olimpiadi porto a Pechino un musical suMarco Polo, realizzato da Marie-Claude Petragalla. Del re-sto, grazie anche al cinema, ho avuto modo di frequentareVisconti, Lucia Bosè, Anna Magnani, Sophia Loren, il gran-de costumista Piero Tosi, Mauro Bolognini».

Lei ha vestito i Beatles: quando Brian Epstein decise dicambiare — 1963 — l’immagine dei quattro ragazzi di Li-verpool, di togliere il cuoio nero dei loro esordi ad Am-burgo, venne da lei. E nacque il look Beatles: pantalonistretti, il tronchetto con l'elastico ai lati e soprattutto lagiacca senza collo.

«Sì, i Beatles... Ero il primo ad avere una linea uomo, perquesto vennero da me. Ma non ho vestito solo loro, e poi lamusica non è stato il mio amore più grande. Ho amato eamo di più il teatro, il cinema. Ho lavorato fino da subitocon Jean Cocteau, nel 1946, per i costumi della "Bella e labestia". Ho conosciuto i più grandi costumisti, ChristianBérard e Marcel Escoffier. Tra i miei film ricordo "La princi-pessa di Clèves", con Marina Vlady, e "Jeanne la française"con Jeanne Moreau (lì avevo anche una parte da attore). Hostudiato storia del costume, ho visitato musei, ma senzamai confondere la moda con il revival, con il recupero diantiquariato. No, creare per me vuol dire inventare qualco-sa che non c’è. Qualcosa che va bene per domani. Compitodel couturier non è fare un bel vestito, è cambiare l’immagi-ne del mondo. Oggi invece si copia dal passato, si combinaun po’ di questo un po’ di quello. Si fa del barocco. Io no,sono sempre stato assolutamente moderno».

E come ha cominciato?«Tutto è cominciato a Parigi, nel ’45. Arrivavo da Vichy,

dove avevo fatto pratica in una sartoria. Poi, quando i tede-schi cominciarono a prendere gli uomini per mandarli al la-voro coatto, ho avuto la fortuna di essere assunto dalla Cro-ce rossa francese. Il generale Verdier mi prese come contabi-

le, anche se non sapevo nulla di contabili-tà. Finita la guerra, andai a Parigi. Primoimpiego, da Jeanne Paquin, il miglioreatelier di moda in assoluto. Lì incontratiCocteau. Ma ho cambiato subito. Andan-do da Dior».

Nel momento migliore, quando Diorcreava il New Look.

«Sì, io ero il prémier, l’addetto al taglio.Il famoso tailleur Dior, il suoi manteaux liho tagliati io».

Ma già nel ’50 lei lascia e si mette dasolo. Perché?

«Incoscienza, audacia, la giovinezza tifa fare i grandi passi. Misi su una mia mai-son. Pochi soldi. Di me dicevano: quel gio-vane non ha finanziatori, però ha delleidee. Le giornaliste di moda mi adorava-no, venivano alle mie sfilate anche se lefacevo a un quinto piano e dovevano se-dere su degli sgabelli, altro che i saloni diDior. Fatto sta che sui giornali il mio no-me appariva grande come quello dei mag-giori couturiers».

Poi, nel ’59, la rivoluzione.«Ho inventato il prêt-à-porter, con una

sfilata alla Galerie Printemps, fra le reazio-ni scandalizzate di quelli della haute cou-ture. L’ho fatto per due ordini di motivi.Uno, economico. Con l’alta moda nonpuoi fare la quantità e quindi il guada-gno: solo producendo in serie, con prezziaccessibili, hai profitto. L’altro motivo, di-ciamo così, era ideologico: un po’ di sini-stra, un po’ socialista. Volevo mettere lamoda alla portata di tutti, non solo dei ric-chi. Cercavo, lo ripeto, il modo per cam-biare faccia al mondo: la grande diffusio-ne degli abiti prêt-à-porter serviva a que-sto».

Nascono così gli abiti dal taglio inimitabile, gli stivali, icuissards; l’impiego di materiali nuovi e inauditi(plastica, metallo, plexiglas); i cappelli a el-metto, i colori decisi (bianco, nero, ros-so, giallo). Gli anni ’60 e ’70 hanno lasua impronta. Il grande mutamen-to: non era più il vestito ad adat-tarsi alla donna, era una nuovadonna che prendeva forma neisuoi abiti.

«Io ragiono come uno scul-tore, creo una forma con il tes-suto, poi metto il corpo den-tro quella forma. È un proce-dimento da artista, per cui ciòche conta è la creazione di unaforma che non c’era prima. Eche è destinata a durare».

Pierre Cardin

I P R I M A T I

L’ULTIMOIMPERATORE

Cominciai da Dior, ero addetto al taglio

Ragiono come uno scultore. Creo

una forma e ci metto dentro un corpo

«Ho realizzato tutto quello che volevosenza mai avere dietro i soldi di un Arnault»

D I R A N I E R I P O L E S E

P E R S O N A G G I

AccademicoPierre Cardin dopo lanomina a membrodell’Académie desBeaux-Arts nel 1992

Creatività A Roma nel 1960 e, sotto, i suoi abiti op-art (Mencarini/G. Neri)

9Mode e Modi Lunedì 18 Febbraio 2008 Corriere della Sera