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Anno IX, n° 6 NOVEMBRE / DICEMBRE 2004 L L notiziario di vita piansanese oggetta la la oggetta Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - art. 1 comma 2 D.L. 353 del 24.12.2003 - DCB Centro Viterbo notiziario di vita piansanese giugno 1944: sessant’anni dopo S P E C I A L E S P E C I A L E 53 copertina di Giancarlo Breccola passa la guerra giugno 1944: passa la guerra

Transcript of L S E S E P L oggetta EC I A erano venduti a prezzo controllato per cui, col proce-dere del...

Anno IX, n° 6NOVEMBRE / DICEMBRE 2004

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Il furore della guerra arrivòanche nei paesi e nelle con-

trade della Tuscia, nell’Altola-zio. Gli aerei cominciarono asvettare sopra i cieli dellaMaremma liberando il lorocarico di morte e di distruzio-ne. Il ricordo dell’altra grandeguerra, finita ventisei anni pri-ma, consumata in località mol-to lontane, lungo le valli dell’I-sonzo, del Piave o sulle gelidependici delle Alpi, aveva con-servato il dolore per i caduti eper quanti non erano più ritor-nati a casa, un elenco di nomiscolpiti sul marmo, il difficilereinserimento nella vita civiledei reduci, il trionfalistico eorgoglioso comunicato diArmando Diaz. Il nuovo conflit-to, viceversa, soprattutto apartire dalla fine del ‘43 e finoal giugno del 1944, ebbe unimpatto diverso sulle popola-zioni, stravolgendone dramma-ticamente la vita quotidiana.L’Italia divenne il teatro di unoscontro senza precedenti tradue eserciti contrapposti chesi incalzarono dalla Sicilia finoalle regioni settentrionali,lasciando scolpite negli occhiesterrefatti delle popolazioniimmagini di morte, di dolore edi distruzione.Tutto era cominciato nel 1939:doveva essere una guerrabreve e invece risultò il conflit-to più sanguinoso di tutti itempi, una guerra mondiale etotale per la vastità del teatro,per la durata, per la messa incampo di eserciti imponenti,per il coinvolgimento dellecolonie. I protagonisti, Germa-nia, Austria, Italia e Giapponeda una parte; Francia, Inghil-terra e Russia dall’altra, mise-ro al servizio della guerra illoro apparato industriale, laloro tecnologia più avanzata,le loro economie. Le vicendebelliche ebbero un andamentodecisamente favorevole allepotenze dell’Asse fino allametà del ‘42. Ma l’attacco giap-ponese alla base aeronavalestatunitense di Pearl Harbordel dicembre del ‘42 fece supe-rare la neutralità degli StatiUniti, di fatto già sbilanciati a

favore delle forze anti-naziste, che nella se-conda metà del ‘42 porta-rono nel conflitto tutta laloro potenza economicae militare, determinandouna svolta nell’andamen-to della guerra.Negli ambienti di corte etra alcuni esponenti dellagerarchia fascista appari-va drammaticamentechiara la situazione chesi andava delineando. Lesorti della guerra erano decisa-mente mutate a favore deglialleati: la sconfitta di El Ala-mein; lo sbarco anglo-america-no in Marocco e Algeria; lasconfitta delle armate tede-sche a Stalingrado. La perma-nenza alla guida del paese diMussolini era avvertita semprepiù come ingombrante e diostacolo per le sorti dell’Italiae del fascismo. Gli alleati, con-sapevoli della profonda crisi incui si dimenava l’Italia e delledifficoltà in cui versava il suoesercito, riunitisi il 14 gennaiodel 1943 a Casablanca percoordinare i loro programmid’azione, decisero, tra l’altro,lo sbarco in Sicilia, che poiebbe luogo il 10 luglio succes-sivo e con il quale iniziò l’inva-sione del suolo italiano.Da questo momento la peniso-la italiana divenne teatro diuno dei più sanguinosi scontritra le forze alleate da una parte- che, come i garibaldini nel1860, iniziarono da sud ladrammatica riconquista dell’I-talia - e le truppe dell’Asse dal-l’altra, costrette a retrocedereverso nord. Uno scontro fron-tale su un terreno conteso pal-mo a palmo, con attacchi a tut-ti gli obiettivi militarmentesignificativi e l’inevitabile coin-volgimento delle popolazionicivili. Due settimane dopo, una bur-rascosa riunione del Gran Con-siglio del fascismo mise inminoranza Mussolini provo-candone la caduta. La situazio-ne precipitò rapidamente. Ilgoverno fu affidato al mare-sciallo Badoglio che ben pre-sto prese contatti con gli allea-

ti per negoziare l’armistizio.Questo fu segretamente firma-to a Cassibile, in Sicilia, il 3 set-tembre e annunciato il succes-sivo giorno 8. Teoricamente,per gli italiani la guerra era fini-ta, ma il territorio nazionaleera occupato quasi interamen-te dai tedeschi, inaspriti dal“tradimento” e determinati arespingere l’invasione alleata.Tanto più che Mussolini, libe-rato dagli stessi tedeschi dagliarresti a Campo Imperatore,sul Gran Sasso, fondò a Salò,sul lago di Garda, la Repub-blica Sociale Italiana chiaman-do a raccolta quanti eranorimasti fedeli al regime. Lacorte e il governo, dal canto lo-ro, fuggirono da Roma riparan-do a Brindisi, in territorio con-trollato dagli alleati, e lasciaro-no senza alcuna guida le no-stre forze armate dislocate inItalia e sui vari fronti di guerra.Fu un disastro. Tra eroismi elaceranti casi di coscienza, l’e-sercito si dissolse come neveal sole in un clima di “tutti acasa”. Chi poté, cercò di rag-giungere il proprio paese attra-verso avventurosissime odis-see, ma la quasi totalità deinostri reparti dislocati nei Bal-cani e nell’Egeo fu disarmatadai tedeschi e i soldati condot-ti nei campi di prigionia inGermania. Chi non volle cede-re le armi e resistette eroica-mente, salvo rari casi fu mas-sacrato. Per non cadere in ma-no tedesca, la flotta riuscì araggiungere Malta per conse-gnarsi agli inglesi, e i carabinie-ri, in larghissima parte, abban-

donarono le stazioni. E intantol’Italia, divisa in due dalle op-poste forze occupanti, nellaparte soggetta ai tedeschi ve-deva via via incrudelire laguerra civile, particolarmentedura nel nord del paese rima-sto per molti mesi ancorasotto la morsa nazifascista. Fula pagina più buia e dolorosadella nostra storia recente.I tedeschi e i “repubblichini”,come si chiamarono i fascistidi Salò, inasprirono il controllodel territorio intensificandovipesantemente la vigilanza.Nessuno poteva sfuggire allacapillare censura che implaca-bilmente investiva ogni ideasovversiva, ogni perplessitàsull’andamento della guerra,giudicata disfattismo militare,ogni atteggiamento critico neiconfronti del regime. Reso-conti dettagliati venivano in-viati dal prefetto e dal questo-re di Viterbo al ministro degliInterni e al capo della polizia diRoma. A seconda della gravitàdel reato seguivano denunceall’autorità giudiziaria e relativiprovvedimenti che andavanodall’ammonizione al provvedi-mento di rigore, all’arresto, alconfino. Parallelamente si sca-tenava una guerra multimedia-le: chi voleva notizie sull’anda-mento della guerra aveva adisposizione i bollettini ufficialidi guerra, opportunamenteconfezionati e improntantiall’ottimismo e al trionfalismo,o i documentari dell’Eiar; piùrischioso era sintonizzarsi conradio Londra per sapere lavoce dell’altro fronte.

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1944: primavera di guerraFa’ conto, dunque, di avere davanti agli occhicoorti di barbari spaventose già per l’aspetto eil suono delle voci, schieramenti di soldati armatida ogni parte... le messi ovunque devastate, lecittà rase al suolo, i villaggi dati alle fiamme, ilbestiame saccheggiato, le giovani donne violentate,i vecchi fatti prigionieri, i luoghi sacri violati, ogniparte del mondo stravolta dalle ruberie, dal brigantaggio e dalla violenza.

Erasmo da Rotterdam da Adagia “Dulce bellum inexpertis”, 1528

I giganteschi “B-17”, le famose “fortezze volanti” americane,potevano portare fino a dieci tonnellate di bombe

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Tra il ‘43 e il ‘44 la situazioneera ulteriormente aggravatadal fatto che i prodotti, giàscarsi, erano venduti a prezzocontrollato per cui, col proce-dere del conflitto, tali prodottitendevano a divenire irreperi-bili sul mercato ufficiale ederano quindi disponibili solosul “mercato nero” a prezzi as-sai più elevati. La gente sentivasu di sé il peso della guerra. Ilmorale della popolazione erabasso: più che l’esito, preoc-cupava la durata della guerra.Chi restava in paese era tenutoall’oscuramento delle finestreper non far filtrare nemmenoun filo di luce. In preparazionedell’occupazione della capita-le, gli alleati avevano comincia-to infatti a martellare tutte lepostazioni strategiche e gliobiettivi militari più significati-vi sotto il controllo nazifasci-sta: tra i principali obiettivianche l’aeroporto di Viterbo, ilporto di Civitavecchia e le sta-zioni ferroviarie di Montalto edi Orte. Le operazioni prelimi-nari alla liberazione del territo-rio fecero dunque registrare leprime vittime, danni alle strut-ture aeroportuali e tanta pauranella popolazione. Ma la ripre-sa dell’attività bellica a gen-naio del ‘44 fu ancora più disa-strosa. Fu nuovamente bom-bardata Viterbo e alcune zonedove i tedeschi avevano dislo-cato le loro postazioni militari,e per tutta la primavera talioperazioni si intensificarono inmaniera sempre più massicciae sistematica. Sul fronte di battaglia, il primoostacolo che gli alleati dovette-ro affrontare fu il superamentodella linea Gustav, un imponen-te sbarramento difensivo pre-disposto dall’esercito tedescoche attraversava trasversal-mente l’Italia da Gaeta a Ter-moli al fine di impedire aglianglo-americani l’avanzataverso Roma. La linea, alla finedi settembre del ‘43, fu forzataa seguito di sanguinosissimiscontri che costarono, tra l’al-tro, la distruzione di Cassino. Ilfronte dell’Asse si riorganizzòsulla cosiddetta linea Hitlerche andava da Anzio a Chieti.Anche questa fu forzata nelgennaio del ‘44. La via per lacapitale era aperta. Il 4 giugnole truppe anglo-americanefecero il loro ingresso nellacittà. Il quotidiano Il RegimeFascista di martedì 6 giugnocosì riportava la notizia inprima pagina: “I barbari entra-no in Roma”, e nell’editoriale ORoma o morte era scritto: “Ro-ma non sarà mai più la capitaledell’Italia se non la riconquiste-remo con il nostro sangue”. La guerra, ora, si sposta nellenostre zone. La gente, ai primibombardamenti, aveva abban-donato le proprie case e si eratrasferita in luoghi più sicuri.

Sulle campagne e sulle cittàincombeva, tra l’orrore e losdegno delle popolazioni, ilrombo degli aerei e il fragoredei bombardamenti diretticontro obiettivi militari: fabbri-che, stazioni, porti, ponti, de-positi di munizioni. Lo scoppioassordante delle bombe si dis-solveva sopra scenari di di-struzione e di morte; impetuo-si spostamenti d’aria provoca-vano lesioni ai fabbricati. Ogniattività si era fermata: scuole,cinema, servizio postale. Neipaesi semideserti echeggiava-no i comunicati radio sull’an-damento della guerra.Anche nel nostro territoriogruppi di cittadini antifascistisi ritrovarono in “bande” parti-giane che, pur non avendo lastruttura e gli obiettivi dellaresistenza del Nord, e pur nonincidendo sostanzialmente nel-l’andamento delle operazionibelliche in corso, in qualchemodo fecero sentire la propriaazione nella Tuscia attraversolocali operazioni di sabotaggiodi reti telefoniche, linee ferro-viarie, sottrazione di armi,volantinaggio antinazi-fascista.Accanto a sinceri antifascistidi più antica data si ritrovaro-no militari italiani sbandati,

impossibilitati a raggiungere leloro case oltre le linee tede-sche; renitenti alla leva indige-ni, anch’essi costretti alla clan-destinità per evitare l’arresto;prigionieri alleati evasi, o para-cadutisti e aviatori finiti oltrele linee nemiche; uomini e gio-vani in cerca di scampo dalleretate di “lavoratori forzati”.Tra i fuorusciti non mancaro-no neppure piccoli opportuni-smi di bassa lega, com’è facileimmaginare in situazioni simili;“lungimiranti” in cerca di cre-diti patriottici o desiderosi diricostruirsi una verginità poli-tica; violenti e facinorosi innon buona considerazione trala loro stessa gente, che tavol-ta esposero sconsideratamen-te alla rappresaglia. In com-plesso, dalle testimonianze quiraccolte (o taciute), risulta chenel territorio oggetto di indagi-ne tali gruppi o individui furo-no minoranza e non sempreben visti dalle popolazioni, tut-tora emblematicamente reti-centi nell’esprimere un giudi-

zio su di essi. Ma non v’è dub-bio che furono le loro più altemotivazioni ideali, gli elementimigliori e più coscienti di loro,i martiri che pure ci furono,che con il loro sacrificio ridie-dero all’Italia la dignità dinazione democratica riscattan-dola dall’abisso in cui la guerral’aveva precipitata. “Quello chemi fa impazzire - aveva scrittoall’indomani dell’armistiziodell’8 settembre BonaventuraTecchi, che pure aveva sem-pre avversato la guerra invo-candone la fine - è che non solosi sia perduto tutto ma, prima ditutto, l’onore, la stima: la stimadi tutti. Ora è aperta la corsa achi più ci disprezza”.

Subito dopo la liberazione diRoma, il 5 giugno, “iniziava lacampagna d’estate, che ci a-vrebbe visto protagonisti. - scri-ve Claudio Biscarini - Su tutto ilfronte, unità americane e ingle-si si gettarono all’inseguimentodi Kesselring e delle sue arma-te, la X e la XIV. I germanici era-no in rotta completa. Le loroforti perdite e la mancata distru-zione dei ponti di Roma permi-sero alle truppe corazzate al-leate di avanzare molto spedi-te. Ma il loro tentativo di “sca-

valcare” le armate tedesche infuga con un cuneo insinuato traloro fallì. Si ritornava all’inse-guimento frontale, tattica moltocara a Kesselring”. Le truppealleate avanzarono a nord diRoma seguendo tre direttriciprincipali: la V armata america-na, col 4° corpo, seguì il per-corso dell’Aurelia verso Civita-vecchia, inviando nel contem-po piccoli raggruppamenti nel-l’entroterra a supportare ecoordinare l’avanzata del CEF(corpo di spedizione francese,costituito principalmente damilitari nordafricani), che fureimmesso in linea il 9 giugnoed avanzava centralmentelungo la Cassia, in direzione diViterbo e Acquapendente; l’VIIIarmata britannica percorse lafascia di territorio più internacompresa tra la Cassia e lavalle del Tevere, ossia lungo levie Flaminia e Salaria in dire-zione di Orvieto e Terni. Sol-tanto all’altezza del lago diBolsena le truppe naziste riu-scirono a ricompattarsi. Il loro

obiettivo eraquello di crea-re una linea di-fensiva chetrattenesse il più a lungo possi-bile l’avanzata alleata all’inter-no dei confini del Lazio, per-mettendo al resto delle truppetedesche di riorganizzarsi edar vita alla linea Gotica (so-stanzialmente lungo il confinemeridionale dell’Emilia Roma-gna), la più massiccia fortifica-zione nazifascista della campa-gna d’Italia. Inizialmente, così,gli alleati attraversarono laTuscia molto velocemente esenza particolari problemi. Inuna settimana risalirono daCivita Castellana e Civitavec-chia ad Orvieto e Acquapen-dente. La resistenza tedesca silimitò a piccole schermaglie,distruzioni di ponti e rapideazioni di artiglieria. Il 7 giugno, all’indomani dellosbarco in Normandia, gli allea-ti arrivarono a Civita Castel-lana. Il giorno seguente Civita-vecchia ed il suo porto veniva-no liberati da unità americane.Il giorno 8 l’avanzata USA vennerallentata a sud di Tarquinia daazioni di disturbo tedesche,mentre il 2° corpo USA giunse auna decina di chilometri daViterbo. Unità della 34a divisio-ne entrarono a Tarquinia il 9giugno, mentre la 6a divisionecorazzata sudafricana prende-va contatto a Viterbo con unitàdella 1a divisione corazzataamericana e si spingeva inavanti in direzione di Orvieto.Con la liberazione di Viterbo eVetralla, dunque, il giorno 9 ilfronte già era sulla linea Terni-Tarquinia, mentre nell’ex quar-tier generale di Kesselringpresso Civita Castellana veni-vano trovati importanti docu-menti abbandonati dal coman-do tedesco in fuga.Ma sentiamo in dettaglio, suquesti momenti cruciali per lavita dei nostri paesi, cosa scri-ve il già citato Claudio Bisca-rini in “1944: i francesi e laliberazione di Siena”, che vo-gliamo riportare per interoproprio perché offre una cro-naca molto particolareggiatadelle forze in campo e deiminimi spostamenti del frontedi guerra, almeno nella fasciacentrale dell’avanzata, quellache ci riguarda direttamente:“I francesi vennero immessi inlinea il 9 giugno dietro il IIcorpo americano, che avevapreso il posto del VI, nella zonadi Tuscania e Viterbo. I lorouffici di informazione segnala-vano già una linea difensivatedesca detta Frieda (sarà lalinea del Trasimeno, NdA). Il10 giugno il CEF (corpo di spe-dizione francese) sorpassava erilevava il II corpo americano esi spingeva a nord. La sua zonadi azione era molto vasta estretta, delimitata dal lago di

SPECIALEpassaggio del fronte

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Bolsena e daifiumi Orcia eOmbrone. Que-sto faceva sì

che i francesi non potesseromettere in azione più di duedivisioni per volta. Per ovviarea questo inconveniente si pen-sò di formare una grande unitàchiamata Corpo di Insegui-mento, al comando del genera-le De Larminat, compostodalle divisioni 3a di fanteriaalgerina e 1a di fanteria maroc-china. Le altre due, 2a di fante-ria marocchina e 4a marocchi-na di montagna, più i Goumsche completavano il CEF, eranoin seconda linea. Il terreno affi-dato ai francesi era largo da 20a 25 km di media con due stra-de importanti e altre meno. Unasse principale era costituitodalla SS. Cassia, da Viterbo perSiena, Poggibonsi e Firenze.Un’altra, un po’ più seconda-ria, era la Sasso d’Ombrone,S.Fiora, Colle Val d’Elsa, Cer-taldo, Empoli. Per l’avanzatavennero previsti cinque obiet-tivi da raggiungere... [il primodei quali, in provincia diViterbo, era la strada n. 74 anord del lago di Bolsena]. Perarrivare a questi risultati leintenzioni erano di risparmiaregli effettivi in previsione di par-tecipare all’ultimo grandeassalto alleato in Italia, costrin-gendo i tedeschi a desisteredalla lotta impiegando in avan-ti tutti gli elementi mobili eincuneandosi tra le truppeavversarie in ritirata. Per otte-nere ciò occorreva non attar-darsi in caso di sacche isolatedi resistenza e, se la posizioneda conquistare si rivelava fortee scaglionata in profondità,dopo un primo approccio,chiedere l’assistenza dell’arti-glieria pesante per aprire lastrada alle fanterie.Il Corpo d’Inseguimento rice-vette, a tale scopo, le truppecorazzate e blindate necessa-rie. Erano: alla 3a DFA (divisionedi fanteria algerina), il 755°battaglione carri medi ameri-cano, il 7° reggimento Caccia-tori d’Africa meno uno squa-

drone, e il gruppo d’artiglieriaamericano Godfrey; alla 1a DFM(divisione di fanteria maroc-china), il 757° battaglione carriamericani, il 3° squadrone cac-ciacarri M 10 del 7° reggimentoCacciatori d’Africa e il gruppodi artiglieria americano Meyer.L’artiglieria pesante consiste-va in due gruppi da 105 mm.Le due divisioni del Corpod’Inseguimento, la 3a DFA e 1a

DFM, rispettivamente a sinistradel lago di Bolsena e a destra,dettero vita a dei gruppi diriserva, blindati. La 3a DFAaveva il gruppo Bonjour e duegruppi di riserva, il Peponnet eil Chappuis, dai nomi dei co-mandanti. La 1a DFM disponevadi una avanguardia motoriz-zata al comando del tenentocolonnello Garbay.Di fronte, i tedeschi erano cosìschierati: la 20a divisione dacampo della Luftwaffe, con il39° e 40° reggimento Jager, piùuna batteria del 20° reggimen-to artiglieria. Davanti al XIIIcorpo d’armata inglese, cheavanzava sulla destra del CEF,c’erano elementi della 356a

divisione fanteria e della 4a

paracadutisti, più la 90a divisio-ne panzer grenadier. Contro ilIV corpo d’armata americano,che aveva sostituito il II e avan-zava sulla sinistra verso lacosta, c’era il 147° reggimentofanteria della 65a divisione.Il 10 giugno, con il rilevamentoda parte della 3a DFA a Tusca-nia dell’85a divisione fanteriaamericana, si dava inizio alleoperazioni. La divisione riuscì,dopo aver incontrato le primedifficoltà a Piansano, a occu-pare Marta e Capodimonte, adovest del lago di Bolsena. Adestra, la 1a DFM, che avevarilevato l’88a divisione fanteriaamericana Blue Devil, trovò laprima forte resistenza a Mon-tefiascone, molto protetta dacampi minati, e dove erano inazione anche carri armatitedeschi. [...] Nella notte lacittà cadde. [...] L’11 giugno,alle ore 8 del mattino, la 3a DFAoccupava e rastrellava lasacca di Piansano e, a mezzo-

giorno, era attaccata la stradaa nord di Valentano. Si trattavadella SS. 312.Ischia e Farnese vennero occu-pate e rastrellate, poi il gruppoBonjour insieme al 755° carriamericano si spinse verso laSS. 74, il primo obiettivo. Intan-to la 1a DFM, che aveva perso ilcontatto con il nemico all’alba,lo riprese a mezzogiorno. Isuoi due gruppi, Ovest al co-mando del tenente colonnelloBoviere e Est agli ordini deltenente colonnello Gardet, at-taccarono, a sera, Fosso d’Ar-lona e il massiccio montuosoche era a 3 km a nord di Pog-gio Selva. La zona dove si svol-gevano i combattimenti eraaspra e brulla con molti piccolifossati che la intersecavanorendendo difficile il camminospecie ai blindati. La 3a DFAcombatteva in piena Selva delLamone, cara ai briganti delsecolo scorso.Il 12 giugno la resistenza tede-sca si irrigidì. La 3a DFA, con isuoi gruppi Bardin e Chappuis,venne contrattaccata da duecompagnie della 20a Luftwaffeda campo nella zona di Latera-Monte S.Magno. Respinto ilcontrattacco, la sera era a con-tatto con la SS. 74 a Bagni Ter-mali e Miniera di Zolfo, a 6 kmda Valentano. A sinistra unatask force americana detta Ra-mey operava sull’asse Farnese-Pitigliano-Montebuono (q.519). Quest’unità si trovava a 1km da Pitigliano.La 1a DFM venne contrattaccataanch’essa, all’alba, da due bat-taglioni e da carri armati nellazona di Monterotondo e Mon-terado, presso Bagnoregio. Iltentativo nemico di infiltrarsitra i due gruppi Est e Ovest erafallito, e alle 10 la situazioneera di nuovo sotto controllo,con forti perdite dei francesi. Asera, dopo aver superato tena-ci resistenze, la divisione era aFosso Melona con il gruppoOvest e sul Monterado con ilgruppo Est.Il XIII corpo inglese attaccavaintanto Bagnoregio. La sella diAcquapendente e la città di Or-

vieto sembravano voler esserepiù a lungo difese dai tedeschi.Le posizioni delle truppe nemi-che erano le seguenti: di fronteal IV corpo americano c’eranoelementi di varie divisioni. La 3a

DFA doveva combattere controil 40° reggimento 20a Lft. Div.; la1a DFM avanzante su Acqua-pendente fronteggiava rispetti-vamente il 39° reggimento della20a Lft. Div., il 145° reggimentodella 15a Pz. Gre. Div. e il 192°reggimento di riserva. Di fronteal XIII corpo britannico, cheavanzava su Orvieto, c’era ladivisione paracadutisti corazza-ti Hermann Goering.Era intanto sempre più eviden-te che l’attività tedesca si sta-va rafforzando...”, e mentresulla sinistra del fronte il 13giugno gli americani conqui-stavano Pitigliano e Manciano,i primi paesi ormai in terratoscana, a destra, la 1a DFM conil suo gruppo Est occupava, asera, Poggio Apparita, e i suda-fricani del XIII corpo inglese,con la 6a divisione corazzata,avevano preso Bagnoregio eLubriano. Il gruppo Est della 1a

DFM liberava e ripuliva dai ritar-datari tedeschi la città di Bol-sena. Anche dalla parte est, illago omonimo era completa-mente in mano agli alleati.Kesselring, per difendere que-sto territorio, non aveva im-piegato grosse unità, che sistavano ritirando verso lalinea Frieda, ma dei reparti dacombattimento detti Kampf-gruppe. Essi erano formati davari gruppi di uomini decisi atutto e al comando di ufficialienergici. Il loro compito era diritardare l’avanzata degli allea-ti in modo che le forze più con-sistenti si attestassero su posi-zioni più forti. L’elemento piùrappresentativo dei Kampf-gruppe erano i guastatori, cheavevano il compito di eseguirequelle distruzioni (ponti, alberiabbattuti, case e posa di mine)giudicati necessari a consegui-re lo scopo. Nella zona di Bol-sena si distinsero i Kampf-gruppe Jenisch, Wehrmann,Knetsch e Semarade, con lacompagnia guardie Kesselringe il III battaglione rimpiazzi.Dopo l’aggiramento del lago, ilCorpo d’Inseguimento cercò dioccupare la strada n. 74 perintero e Acquapendente. A talescopo, la 3a DFA, il 14 giugno,inviava dei gruppi esplorantiverso questa località e Onano.Venne preparato un piano perl’attacco. Dei tre gruppi delladivisione, uno doveva attacca-re l’obiettivo e gli altri dueavrebbero assicurato la neces-saria copertura. Nella notte uncontrattacco venne respinto, epoi la 3a DFA occupava Onano,S. Quirico. S. Leonardo e So-rano, attraversando così tuttala strada statale n. 74, primoobiettivo. Gli americani aveva-

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no nel frattempo assalito Scan-sano. Il XIII corpo attaccava sul-l’asse Orvieto-Bagnoregio. Inquesta zona il primo paese aessere coinvolto fu Bardano.La 1a DFM attaccava anch’essala SS. 74 con due raggruppa-menti e occupava San Lorenzoe Castelviscardo. La strada anordovest di Acquapendentevenne presa a colpi di canno-ne, per l’intenso traffico tede-sco. Il nemico era in piena riti-rata. Massacrata dalle perditesubite, la 20a Lft.Div. venne riti-rata dal fronte, momentanea-mente, e rimpiazzata dalla 4a

paracadutisti che ad agostoavrebbe difeso Firenze. (...) Il15 giugno... alle 10 la 1a DFMliberava Acquapendente e gua-dava il Paglia. (...) Alla seracadevano Centeno e Monte Ru-feno e, nella notte, Trevinano eMonte Spano...”.Era l’ultimo lembo dellaprovincia di Viterbo.Dalla metà di giugno laguerra proseguiva indirezione della To-scana e dell’Umbria. Perle nostre zone seguiva unperiodo non me-no faticoso edifficile. Laguerra avevalasciato die-tro di séuna popola-zione prostratanel fisico e nello spiri-to; si cominciarono acontare i morti del più tre-mendo conflitto della storiadell’umanità; ognuno, per lasua parte, si rimboccò le mani-che per rimuovere le maceriee ricostruire o restaurare case,edifici pubblici, strade, ponti,scuole, stazioni, porti, aero-porti. La scarsità di viveri diogni genere rendeva la vitaancora più difficile; assai dolo-roso e faticoso fu l’inserimentonella società di quanti tornaro-no a casa mutilati dentro efuori. Si chiudeva una paginadella nostra storia e se ne apri-va una nuova su cui era giàscritto tutto l’alfabeto del dolo-re e della miseria. Ha scrittoErasmo da Rotterdam che laguerra piace a chi non la cono-sce. La nostra gente ha cono-sciuto gli orrori e le umiliazionidi una guerra terribile e perquesto non vorrà mai più ripe-tere una tale esperienza. Questo numero speciale dellaLoggetta si ripropone di rico-struire più dettagliatamente,attraverso documenti e testi-monianze, gli avvenimenti le-gati al passaggio del fronte diguerra e alla liberazione dellenostre terre dall’occupazionenazifascista. Una storia “mino-re”, se vogliamo, che ha soloun vago riflesso nella sinteticastoriografia ufficiale proprioperché vissuta e raccontatadalla gente, ma che proprio

per questo ci dà la vera dimen-sione della drammaticità scon-volgente della guerra, altri-menti incomprensibile e lonta-na. Le difficoltà incontrate dagliautori dei vari interventi nonsono state di poco conto, so-prattutto perché, alivello lo-cale, sul-l’even-to sto-rico es-aminatonon esi-ste una bi-bliografiadegna diqueston o m e .Vi so-n o

pochi te-sti, di valore

disuguale, citatinella rassegna della paginaseguente, e qualche sporadicoarticolo su singoli episodi ap-parso su giornali e riviste loca-li, ma non raccolte organichedi documenti, non sezioni spe-cifiche in archivi e biblioteche,non lavori promossi in talsenso da associazioni e istitutidi cultura operanti in loco.Sicché si è dovuto supplire ingran parte con la raccolta delletestimonianze orali dei prota-gonisti, all’epoca più o menoattivi o semplicemente spetta-tori, per fortuna ancora reperi-bili a sessant’anni dall’eventostorico. Il loro apporto è statofondamentale, quantunque lavicinanza agli eventi, l’espe-rienza diretta della tragedia,riscopra ferite mai veramenterimarginate e forse non con-sente un approccio del tutto“sine ira et studio”.Difficoltà ancora maggiori sisono incontrate nel reperimen-to del materiale iconografico -com’è facile immaginare - perl’estrema rarità di foto e filmatisu un teatro di operazioni di

non grandissima importanzastrategica e “mediatica” (ossiadi forte impatto e valore sim-bolico come Roma o Cassino,per intenderci), costellato dipiccoli e piccolissimi centri diprovincia scarsamente noti aldi fuori del raggio d’azionemilitare. Sicché anche in que-sto caso si è dovuto supplirein gran parte con immagini direpertorio, relative ad analo-ghe situazioni vissute in altreparti d’Italia, che nell’insieme,però, garantiscono ugualmen-te un supporto documentariosufficientemente ampio.Va da sé, infine, che ogni singo-

lo autore, testi-mone di unas p e c i f i c a

realtà am-bientale,ha rac-colto efiltrato id a t ic o nperso-n a l esensi -b i l i t àed ap-

paratocr i t ico -

culturale,facendosi

i n t e r p r e t edel sentire co-

mune e dunquevariamente svi-

luppando i singoliaspetti del momen-

to storico esaminato.Pur nella monotemati-

cità degli interventi enel rispetto di una comune

traccia di lavoro, ne sono risul-tati perciò contributi diversifi-cati, sia per l’ampiezza dellatrattazione, dipendente moltospesso dalla documentazionedisponibile; sia per i contenuti,dove più cronachistici e dove,invece, tendenti ad approfondi-menti di varia natura; sia per laforma degli elaborati, chevanno da esposizioni più sche-matiche ad altre non menorigorose ma più discorsive eletterarie; com’è, del resto,nello spirito della Loggetta,nella sua spontaneità e capa-cità di aggregazione, nella con-sapevolezza della comuneappartenenza ad una più ampiaidentità storica e culturale. D’altra parte non era neppurenostra intenzione fare una“enciclopedia”, o dire l’ultimaparola in materia. Anzi, l’augu-rio è che il presente lavorooffra il pretesto per ulterioriapprofondimenti; che entrinelle scuole, nelle biblioteche,nelle associazioni culturali deinostri centri per stimolare rac-colte documentarie e suggerireoccasioni di discussione suuna pagina così tragica eimportante della nostra storia;alla quale, disgraziatamente, ci

rimandano levicende altret-tanto tragiche epericolose delnostro tempo. Prima che siatroppo tardi. E perché non sidimentichi; perché si conoscadalle nuove generazioni; per-ché non si ripeta.

Roberto SelleriAntonio Mattei

Nella presentazione dei 29 centriinteressanti si è cercato di seguire unordine approssimativamente cronolo-gico, partendo quindi da sud comeper seguire in contemporanea l’avan-zare del fronte di guerra sulle variedirettrici di marcia. Per facilitare laricerca dei comuni, eccone l’indice:Acquapendente p. 73Marcello RossiArlena di Castro p. 38Anna Carla MelaragniBagnoregio p. 54G. Battista CrocoliBlera p. 7Felice SantellaBolsena p. 56Flavio Batini (e Stefano Bordo)Canino p. 21Roberto SelleriCapodimonte p. 36Piero CarosiCastiglione in Teverina p. 49Cesare CorradiniCellere p. 24Paolo De RocchiFarnese p. 29Antonio BiaginiGradoli p. 60Paolo CardiniGrotte di Castro p. 64Adelio Marziantonio (e Alberto Porretti)Ischia di Castro p. 27Angelo AlessandriniLatera p. 59Emanuele GermaniLubriano p. 52M. Assunta ScarinoMarta p. 32M. Irene FedeliMontalto di Castro p. 17Aldo MorelliMonte Romano p. 13Cesare GallettiMontefiascone p. 30Giancarlo BreccolaOnano p. 71Giuliano Giuliani (e Bonafede Mancini)Piansano p. 40Antonio MatteiProceno p. 75Gabriele MannaioliSan Lorenzo Nuovo p. 70Silvio VerrucciTarquinia p. 16Giovanna MencarelliTessennano p. 23Sara CostantiniTuscania p. 19Luigi Tei (e Alfredo Stendardi)Valentano p. 46Bonafede Mancini, Romualdo LuziVetralla p. 9Fulvio Ferri, Mary Jane CryanViterbo p. 11Giorgio Falcioni (e Elena Russo)

SPECIALEpassaggio del fronte

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LoggettaLla

novembre-dicembre 2004SPECIALE

pass

aggi

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l fro

nte

TusciaLibri newsdi Romualdo Luzi

BARBINI, Bruno - CAROSI, Attilio, Viterbo e la Tuscia.Dall’istituzione della provincia al decentramentoregionale (1927-1970), Viterbo, Agnesotti, 1988,318 p. ill.Grande affresco storico, per l’intera provincia e perun lungo periodo, di fondamentale importanza pertutti quei passaggi che interessano la nostra zona.

BIGIOTTI, Terenzio, La batta-glia di Bagnoregio (8-13giugno 1944). II edizione,Grotte di Castro, Ceccarelli,s.a., 126 p. fig. f.t.

La battaglia “come fu vissuta e sofferta dentro ilpaese”, con narrazione personale e vivace, ricca ditestimonianze dirette.

BISCARINI, Claudio, 1944: ifrancesi e la liberazione diSiena. Storia e immaginidelle operazioni militari,Siena, Nuova Immagine, 1992, 157 p. ill.Preziosissima fonte per le operazioni di guerra delletruppe alleate che prendono le mosse da Tuscaniaper risalire verso il lago di Bolsena e quindi fino aSiena.

CORRADINI, Cesare, Tempo diGuerra. Vicende vissute daiCastiglionesi durante la

seconda guerra mondiale, vol. 6 della Collana distudi e ricerche, Comune di Castiglione in Teverina,1997 (Montefiascone, tip. Pellico), 240 p. ill.Lavoro ampio, interessante e insostituibile. Puntuali iricordi, le informazioni, le vicende dei tanti personag-gi coinvolti, sia durante l’occupazione tedesca sia neldramma finale della liberazione.

CRUCIANI, Vincenzo Mario,Campane e cannoni, Siena, Ed. il Leccio, 1994, XVII-345 p.La liberazione di Valentano sotto forma di romanzo-verità. Lettura coinvolgente, pur nella “fantasia”.Introduzione storica di Romualdo Luzi.

MARIOTTI, Nazzareno, Patriotie partigiani nel Lazio. Celleree Canino liberati, Viterbo,ed. Cultura, [1994].Personale testimonianza sul-l’attività partigiana nella

zona e sulla banda Arancio di Montauto. Docu-mentazione eterogenea edisarmonica, da utilizzarecon attenzione e parzialmen-te da verificare.

MARZIANTONIO, Adelio, Avvenimenti, tradizioni edimmagini di Grotte di Castro. 1900-1950, Acqua-pendente, Tip. Ambrosiani, 2000.Parte del più ampio lavoro di ricostruzione storica, èparticolarmente accurata e documentata la fase del-l’occupazione prima e della liberazione poi, con pun-tuali riferimenti all’intera area del lago.

MATTEI, Antonio, Quei morti ciservono, Comune di Pian-sano, 2001 (Grotte di C.,Ceccarelli), 352 p. fig.Brevi biografie dei soldaticaduti nelle due guerre,soprattutto nel loro risvoltoumano e familiare, ossial’“altra faccia” della guerra.Studio integrato da un pano-rama del passaggio del frontea Piansano nell’ultima guerracon le immancabili vittimecivili.

1945-1995. 50 anni dalla fine della guerra. SanLorenzo ricorda…, San Lorenzo Nuovo, Scuola MediaStatale, 1995, 32 p. ill.Ricerca scolastica tradotta in un breve fascicolo sullevittime dei bombardamenti e sui danni all’abitato.

PANNUCCI, Ersilia, Presenti! Icaduti di Capodimonte nellaseconda guerra mondiale,Comune di Capodimonte,1995 (Grotte di C., Ceccarel-li), 192 p. fig. “Non è la storia della II guer-ra mondiale - scrive la com-pianta amica Pannucci - è la storia di come vissero inostri soldati... perché ognuno di loro è un eroe scono-sciuto”. Sono ancora “Presenti!”, nella memoria singolae collettiva di un popolo, come ha voluto sottolinearenel titolo di questo suo lavoro storicamente ineccepibile.

QUADERNI della resistenza laziale, Roma, RegioneLazio, 1977 (Roma, Stilgraf) vol. 3, 216 p.Questo terzo quaderno contiene il contributo di BrunoDi Porto sulla resistenza nel viterbese. Lo storico offreun ampio panorama di quanto accaduto nel territoriodella nostra provincia, con ricca e importante docu-mentazione allegata.

QUATTRANNI, Antonio - PURI,Antonietta (a cura), “Quandopassò il fronte…”. I danni diguerra e la liberazione dalfascismo. Bolsena 1943-1945, Acquapendente, Ambrosini, 2001, 64 p. ill.Agile ma interessante documento che non manca diaccenti di condanna per la guerra. Elenca le vittime deibombardamenti e documenta soprattutto i danni adabitazioni private ed edifici pubblici.

TECCHI, Bonaventura, Vigilia diguerra 1940, Milano, Bompia-ni, 1946, 45 p.

Diario, dal 9 aprile al 10 giugno 1940, che ci accompa-gna nelle riflessioni del grande scrittore bagnorese e ci facomprendere come lui ha vissuto il dramma della guerraincipiente.

TECCHI, Bonaventura, Un’estate incampagna, Firenze, Sansoni,1971, 123 p. fig.Ancora pagine di un diario diguerra, scandito dalle tappe diun conflitto che lo angosciavaprofondamente e che, tra il luglio e il novembre 1943portò il nostro autore a de-scriverne le varie fasi. Parti-colarmente coinvolgente la tri-ste esperienza dell’arrestocon altri suoi concittadini du-rante una “retata” tedesca.

TEI, Luigi, Tuscania ricorda i suoi figli, Città diTuscania, 1994, 18 p.Breve ma intenso lavoro dedicato ai caduti delle dueguerre e alle medaglie al valore conquistate dagli eroituscanesi, con l’elenco dei numerosi “Cavalieri diVittorio Veneto”.

La bibliografia che accompagna questo “speciale” della Loggetta, pur nella segnalazione dimolte pubblicazioni, deve trascurare altri testi che si riferiscono a Viterbo e alla parte

orientale della provincia, perché si è dovuto necessariamente scegliere quella documentazio-ne più specificamente relativa ai paesi presentati in questo numero.La schematica rassegna non può essere esaustiva, ma consente di conoscere testi di cui siignorava anche l’esistenza, e invoglia a ricercarli e leggerli, perché la memoria degli avveni-menti tragici che il passaggio del fronte ha portato nelle nostre terre serva a non farci dimen-ticare un passato apparentemente lontano e che tutti condanniamo ma che, purtroppo, comecittadini del mondo, continuiamo a rivivere quotidianamente nelle tante guerre che insangui-nano il pianeta e coinvolgono anche nostri soldati.

Speciale Liberazione

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novembre-dicembre 2004

“Cittadini! dopo i recenti lut-tuosi avvenimenti che

hanno funestato Bieda, rivolgoancora un vivissimo appello atutti coloro che detengono armie munizioni di qualsiasi specie,perché ne effettuino subito laconsegna al Municipio. Facciopieno affidamento sul senso diresponsabilità e di civismo diognuno, onde siano evitate alnostro Comune altre sciagure”.E’ questo il laconico ed esplici-to manifesto fatto affiggere il 30ottobre 1943 per le vie di Blera,allora Bieda, dal commissarioprefettizio Giuseppe Massini,subentrato da poco al podestàAngelo Gorziglia. Ma cosa erasuccesso? Fino al giorno prima,la triste realtà della guerraaveva soltanto di riflesso fattosentire i suoi tragici effetti nelnostro paese, dove proprioquel 29 ottobre, per i soliticomplicati meccanismi deldestino, si svolse una feroceazione di guerra delle truppetedesche ai danni della popola-zione civile. Ecco la ricostruzio-ne dei fatti desunta fedelmentedal rapporto ufficiale redattodal nostro solerte e coraggiosocommissario prefettizio.Il giorno 28 ottobre 1943, talSandoletti Antonio, di anni 23,bracciante, di Bieda, veniva sor-preso da soldati tedeschi inAurelia (Civitavecchia) intentoa raccogliere fucili e bombe amano abbandonati da truppeitaliane al momento dell’armi-stizio. Arrestato ed interrogatoegli dichiarò che quelle armierano destinate ad un gruppo dipartigiani operanti nel territorioblerano facente capo a Giovan-ni Marini di Luigi, detto Car-done, nato a Bieda il 24 giugno1899. A seguito di tale dettaglia-ta dichiarazione il giorno se-guente, 29 ottobre, intorno alleore 6,15, quattro autocarri contruppe tedesche provenienti daAurelia e preceduti da un’auto-vettura su cui erano il Coman-dante del reparto ed il San-doletti, giungevano a Bieda. Alsuo arrivo l’ufficiale nazistafece subito convocare il Com-missario Prefettizio e dispose ilblocco delle vie di accesso alpaese; altre pattuglie perquisiro-no numerose abitazioni concen-trando nella piazza principaletutti gli uomini ritenuti validireperiti nelle strade e nellecase. Altre pattuglie, purtroppo,eseguivano azioni di rastrella-mento nelle campagne adiacen-

ti il Paese mentre le fitte raffi-che di mitragliatrice non faceva-no presagire nulla di buono. Nelfrattempo, durante le ricerchedel Marini e di altri presuntipartigiani, Antonio Sandoletti,approfittando di un attimo didistrazione della scorta, pensòbene di togliere il disturbo dile-guandosi sui tetti delle case. Fuquesto uno dei momenti piùdrammatici - sottolinea il com-missario prefettizio - poichél’Ufficiale tedesco alquanto irri-tato dalla fuga del Sandolettidiede ordine di incendiare tuttol’isolato all’interno del quale siera nascosto; a nulla valse ilpianto delle donne spinte fuoridalle case con i loro bambini:alcune caddero svenute, altregridavano istericamente mentrei soldati scaricavano le latte dibenzina dai camion e dallecampagne echeggiavano, anco-ra più sinistre, le raffiche deimitra”.Soltanto il coraggioso impegnopersonale del nostro commis-sario prefettizio, che promisela cattura del Sandoletti entropoche ore e la sua consegnavivo o morto al più vicinocomando tedesco, fece scon-giurare, in extremis, il peggio.Intorno alle 12,30 una partedelle truppe tedesche si ritira-va portando con sé una trenti-na di uomini scelti tra tuttiquelli rastrellati. Prima di par-tire il comandante comunicò,tramite l’interprete, che nellecampagne ci sarebbero statinumerosi morti da recuperaree ordinò che fossero seppellitiin un’unica fossa comunesenza alcuna cerimonia fune-bre.Intorno alle 14 le guardiecomunali riuscirono ad arre-stare Antonio Sandoletti e asottrarlo al linciaggio, mentrel’ultimo automezzo militaretedesco lasciava il paese dopole 16. Soltanto la sera, di que-sto che fu uno dei giorni piùtristi per Blera, si ebbero leprime notizie certe sui luttuosiavvenimenti della giornata, madata l’oscurità furono rintrova-te soltanto tre salme. Il giornosuccessivo furono recuperatiin varie zone delle campagne icadaveri di altre undici perso-ne, alcuni dei quali orrenda-mente mutilati, altri conbombe a mano disinnescate

nascoste sotto di essi. Ecco inomi di questi innocenti civilibarbaramente assassinati:Gabriele Sandoletti, di anni 58,contadino, (padre del giovaneAntonio, fu uno dei primi acadere); Riccardo Piccini, dianni 53, pastore; FrancescoMantovani, di anni 19, contadi-no; Vivenzio Iannicoli, di anni60, contadino; G. Battista Galli,di anni 29, contadino, Giusep-pe Truglia, di anni 31, contadi-no; Angelo Polidori, di anni 16,studente; Angelo Manfredi, dianni 29, contadino; DomenicoAngeli, di anni 33, bifolco;G.Battista Milli, di anni 35,bifolco; Antonio Gnocchi, dianni 19, bracciante; GiovanniVanni, di anni 38, muratore;Andrea Salis, soldato sardosbandato; Pietro della Malva,ex carabiniere della stazione diBieda.Inoltre furono feriti tre civili,mentre nessun morto o feritotra le truppe tedesche, nonessendovi stata reazione disorta da parte della popolazio-ne.

Questo il tragico bilancio diquella sanguinosa giornata. Mail calvario per Blera non eraancora terminato, un altro ter-ribile aspetto della guerra leavrebbe presto mostrato i suoieffetti ancora più devastanti.L’esito del conflitto volgevasempre di più a favore delletruppe alleate, che all’iniziodel 1944 erano già i padroniincontrastati dei cieli e proprioper questo avevano iniziato a

martellare senza sosta, giornoe notte, indiscriminatamente,qualsiasi obiettivo militare ocivile: occorreva fare terrabruciata, distruggere, terroriz-zare, spianare la strada alletruppe di terra, ai “liberatori”.Anche a Bieda, dai primi mesidel 1944, iniziarono ad arrivaresempre più spesso circolaricontenenti norme e direttivesulla difesa antiaerea, sugliordigni esplosivi ed incendiari,sull’oscuramento, gli allarmi, irifugi ecc.; e, come si sa, dopola teoria viene sempre la prati-ca. Appresso alle circolari,infatti, arrivarono puntuali iprimi aerei, e dal mese dimarzo 1944 iniziano anche iprimi rapporti, trasmessi allaprefettura dal nuovo commis-sario prefettizio Camillo Fia-schetti, sugli attacchi aerei alnostro territorio. Il primo è del 24 marzo e vi sisegnala l’abbattimento di unbimotore inglese, precipitatoin località Scogliare a seguitodi combattimento aereo; vieneinoltre segnalato un attacco didue cacciabombardieri alleatialla stazione di Monteromanoed al ponte ferroviario adia-cente; le bombe provocano lamorte di una persona ed il feri-mento di un’altra, ma nessundanno alle strutture. Il 17 apri-le si registra un’altra incursio-ne aerea: dieci aerei che primalanciano bombe e spezzoni inaperta campagna e poi mitra-gliano l’abitato dove fortunata-mente non si ha nessuna vitti-ma e nessun danno di rilievo.Altra incursione si ha il 7 mag-gio: quattro cacciabombardierisorvolano l’abitato mitraglian-dolo e sganciando bombe espezzoni in località prossimead esso. Anche stavolta èandata bene: nessuna vittima esoltanto vetri rotti. Da altreparti le cose andavano peggio,come dimostravano le centi-naia di sfollati provenienti daViterbo ma soprattutto daCivitavecchia, riversatisi nelnostro paese in seguito ai vio-lenti bombardamenti sulle lorocittà.Dai primi di giugno è un viavaiincessante di formazioni aereeanche sul cielo della nostraprovincia. Le truppe alleateraggiunta Roma si stanno avvi-cinando sempre di più. E’ per

SPECIALEpassaggio del fronte

FeliceSantella

Blera Tra rappresagliee bombardamenti

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novembre-dicembre 2004

questo che ibombardier iangloamericani

non perdono tempo, si dannoda fare - forse anche troppo -per “spianare” la strada alletruppe di terra. La mattina del5 giugno, solo per fare qualcheesempio, alcuni aerei si stacca-no dalla loro formazione, chedi solito erano composte dadiciotto bombardieri, e bom-bardano Vejano causandooltre cento morti, tantissimiferiti e mezzo paese distrutto.Lo stesso giorno intorno alleore 18 altri aerei bombardanoCanepina: anche qui nessunobiettivo militare viene colpito(ammesso che ci fosse stato),ma in compenso vengono ucci-si centoquindici innocenti civi-li e altrettanti vengono feriti,molti in modo gravissimo; laparte più antica del paese ècancellata per sempre. Un’oradopo, intorno alle 19, tocca aSoriano nel Cimino: stessosistema, anzi questa volta ipiloti sono ancora più precisi,tanto che le bombe centranoin pieno l’abitato seminandoovunque morte e distruzione.Le perdite umane sono oltreduecento, numerosi i feriti.Il giorno dopo è il 6 giugno del1944. E’ in atto lo sbarco allea-to sulle coste della Normandia,ma anche dalle nostre partiquello sarà un “giorno moltolungo”. Sin dal primo mattinogruppi di bombardieri alleatisorvolano a più riprese ancheil cielo di Bieda, vanno e ven-gono dai loro obiettivi che uffi-cialmente sembra che sianostati Vetralla, Viterbo, Zeppo-nami, Tarquinia, Rieti, Orte,Terni. Questo è quanto si rile-va da un documento contenen-te l’elenco delle missioni effet-tuate quel giorno nella nostrazona dai bombardieri, contanto di orari, numero e tipo diaerei impiegati, reparto diappartenenza, tipo di bombeecc. Naturalmente Bieda nonfigura assolutamente su que-sto elenco, né vi sono nelpaese, che è fuori da importan-ti nodi stradali, obiettivi strate-gici e militari importanti dacolpire.Nonostante ciò, alle undici, dauna formazione di passaggioalcuni aerei sganciano il lorocarico di bombe sul paese.Bastano pochi secondi perridurre cinquanta fabbricatiposti in Via Giorgina, sul ver-sante del Riocanale, in uncumulo di macerie dalle qualiverranno recuperati cinquan-tasette corpi senza vita e unatrentina di feriti. Questa inutile

strage, come tante altre, noncondizionerà minimamente lesorti del conflitto, ed è ancheper questo che tali episodi siconfigurano come veri e pro-pri crimini di guerra, commes-si dai nostri “liberatori” aidanni di una popolazione inno-cente già duramente provatadai disagi e dagli orrori dellaguerra. Sotto le macerie mori-rono giovani e bambini, alcunidei quali sfollati da Civitavec-chia e venuti a Bieda pensandodi essere al sicuro dai bombar-damenti; ma i meccanismi deldestino sono sempre troppocomplicati per comprendernele ragioni. Come dimostra lasorte toccata al caporal mag-giore Giovanni Farisei, 4° reggi-mento carristi, ferito ma sem-pre sopravvissuto ai combatti-menti: era tornato a casa ilgiorno prima; anche lui pensa-va di essere ormai in salvo;stava riposando,quando restòsotto le macerie.Il giorno seguen-te, le esigue trup-pe tedesche cheda oltre due me-si erano nel co-mune, lasciano ilpaese; non vieneoperata nessunadistruzione. Ilgiorno 8 i parti-giani prendonopossesso del co-mune che dalgiorno 5, in se-guito all’uccisio-ne del commis-sario prefettizioFiaschetti, eraretto solo dal se-gretario comuna-le. In serata giun-gono due carriarmati america-ni; avviene unascaramuccia con

una pattuglia di tedeschi asser-ragliati nella stazione ferrovia-ria, vengono fatti due prigionie-ri. Il giorno 9 i partigiani cattu-rano altri 4 soldati tedeschisbandati. Il 10 partigiani contruppe americane procedonoad azioni di rastrellamento delterritorio anche per assicurareil tranquillo svolgimento deilavori agricoli. Il 15 un ufficialeamericano procede alla nomi-na del sindaco di Bieda nellapersona del signor FernandoBarbaranelli di Civitavecchia,sfollato e capo dei partigianilocali; la nomina viene ratifica-ta il 19 giugno dal governatoreinglese. Lentamente la vitariprende il suo corso normale.Per gli episodi descritti, il 9aprile 2003, con decreto delpresidente della Repubblica, ilcomune di Blera viene insigni-to della medaglia di bronzo almerito civile.

AUSPICE L’AMMINISTRAZIONE CIVICA, IL

COMITATO PROMOTORE PER LE ONORAN-ZE AI CADUTI NEL 50° DEL BOMBARDA-MENTO AMERICANO CHE FECE IN BLERA

47 VITTIME - 6 GIUGNO 1944 - APPONE

QUESTA LAPIDE MARMOREA SUL LUOGO

DEL LORO SACRIFICIO SUPREMO, PERCHÉ

LE FUTURE GENERAZIONI SAPPIANO CHE

OGNI GUERRA È SEMPRE UN’INUTILE STRA-GE E CHE LA VERA CONVIVENZA CIVILE SI

REALIZZA NELLA LIBERTÀ DELLA PACE E

NELLA PACE DELLA LIBERTA.QUI IMMORTALI DOVE MORTALI NASCEMMO

ALBERTI GIUSEPPA

ANGELI ANGELO

ASTROLLI LUIGI

BOSCHI FRANCESCA

CARBONETTI ANGELA

CESAREI CLORINDA

CESAREI ROSA

CIANCALEONI MARIANGELA

DE ANGELIS CATERINA

DE SANCTIS ANGELA

DE SANCTIS ANTONIO

DE SANCTIS DOMENICO

DE SANCTIS FELICETTA

FARISEI GIOVANNI

FIORAVANTI BERNARDINA

FIORENTINI ANGELA

FORTUZZI DORELLA

GALLI FRANCESCO

GALLI GIOVANNI BATTISTA

GALLI LUIGI

GALLI ROSA

MANTOVANI ANTONIA

MANTOVANI DOMENICO

MANTOVANI LUCIA

MANTOVANI ROSA

MANTOVANI STEFANO

MENICOCCI MARIANGELA

MONACI GIROLAMA

MONACI NICOLINA

PERLA FRANCESCA

PERLA LORENZO

PERLA ROSA

PERLA VIVENZIO

PEZZUTI MARIA

POLIDORI FRANCESCA

PULITI FERDINANDO

PULITI IOLANDA

SANTELLA CECILIA

SCARDOVI ANTONIO

SCARDOVI GELTRUDE

SPORTIELLO NORMA

SPORTIELLO VINCENZO

TEDESCHI NICOLA

TEDESCHI VIVENZIO

TORELLI NORMA

TRUGLIA MARIO

SPECIALEpa

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novembre-dicembre 2004SPECIALE

passaggio del fronte

nostra casa e eravamogiovani, a noi ragazze(Maria ha tre sorelle:Guglielmina, Francesca eRita, nda) sembrava chefosse arrivata la compa-gnia, e c’erano tante risa-te. Comincavamo a lavareper loro i vestiti e loro cipagavano in natura: cioffrivano pasta, zucchero,sigarette. Mio fratelloappena nato aveva biso-gno del latte in polvere. Avevano le muc-che e maiali con loro e facevano unaminestra. Facevamo gli scambi: il cuocovoleva le rape e in cambio ci dava laminestra. Chiamava mio fratello per por-tare una pentola, quando i loro cuochifacevano la minestra, che mi ricordo eramolto gustosa, perché oltre alle patate, lecarote e la carne, mettevano la paprika.Normalmente buttavano le interiora, maquando glielo abbiamo chiesto, le hannolasciate a noi. Solo il 6 giugno del ‘44, quando gli inglesiarrivarono a Cura sulla Cassia, abbiamoavuto paura e siamo scappati tutti nellegrotte per tre giorni, dove abbiamo man-giato il pane tedesco che era nero e duro.

Io mettevo tanta acqua etanto aceto per poterlomangiare. Altre famiglieavevano passato più disei mesi nelle grotte,tirando una coperta perfare un “box” per ognigruppo familiare. E per il rientro?... Qualiproblemi c’erano? Nonc’era più niente a Vetralla.Tante case erano statebuttate giù... e fino a qual-

che anno fa si vedevano ancora le mace-rie in Piazza del Sole e in via dei Funari. Sapevi di Mazzocchio, il campo per iprigionieri inglesi? Nella casa con noi,nell’appartamento del piano nobile vive-va il capitano comandante del campo,con tutta la sua famiglia: Del Patriarca, sichiamava. Mi ricordo che gli piaceva lamusica. Quando l’artiglieria tedesca face-va cadere qualche aeroplano, come unavolta vicino a Grotta Porcina, andavanovia col camion per recuperare i supersti-ti. Li portavano al castello per l’in-terrogazione, che durava due giorni, epoi li portavano al campo di Mazzocchio.Il campo era gestito dagli italiani. Non socos’è successo l’8 settembre: credo che li

abbiano liberati. Com’erano i contatti con i tede-schi? Vari gruppi partivano perPrima Porta e ritornavano per direcome stavano; era, per loro, comestare in una grande famiglia. Miricordo ancora che un gruppo (arri-vavano in 150-200 alla volta) è ritor-nato sotto la neve per salutarci.Quando hanno visto le lenzuola pian-gevano, e qualche volta cenavamotutti insieme. Uno promise che, finitala guerra, sarebbe ritornato. Era uncerto Karl Veckenbrock che dicevadi avere un’industria di legname emobili, e prometteva a mio fratello diportarlo a lavorare in Germania. Unasera degli ufficiali volevano portarenoi ragazzi a Viterbo a vedere il cine-ma, ma il mio babbo non volle.Allora il capitano disse: “Se babbo èsevero, famiglia è buona”. Altri ricordi... sapori, profumi chefanno ritornare la memoria aquei giorni... Un ufficiale mi hafatto vedere un bel lenzuolo di linochiedendomi di farci una sacca: noiragazze eravamo brave a lavorarecon la macchina da cucire, aggiusta-vamo le loro uniformi, etc. Era un bellenzuolo, loro erano pieni di valigiedi biancheria che avevano razziatonell’Italia del sud. Io l’ho risparmiatofacendo il sacco che serviva a lui conmateriale che avevamo noi in casa.Ecco il lenzuolo... ogni tanto lo mettosul letto. Per me è un bel ricordo,qualcosa che ho risparmiato dalladistruzione.

Fulvio Ferri

Vetralla La guerra dal “castello”intervista a Maria Moracci

Quanti anni avevi nel 1943? Avevo 19anni e mio padre era il fattore-ammini-stratore dei conti Brugiotti Vinci. Come era percepita la guerra dai gio-vani? Paura e miseria. Avevamo tantisogni ma solo sogni. Non era bello vede-re andar via i giovani che partironovolontari della “M” in Grecia nel 1942, epochi rientravano. Si imparava a ballarefra ragazze con i pochi dischi a disposi-zione. Tanti mi hanno chiesto di fare lamadrina di guerra, cioè di corrisponderecon i soldati che partivano. Mi ricordo unsiciliano, Antonio, che era stato mandatoal fronte in Francia. Lui mi faceva le sere-nate. Quando partì mi scrisse una descri-zione della guerra. C’era il razionamento di pane, olio, zuc-chero, l’annona. Le ragazze facevano lecalze, le maglie e le sciarpe nonché guantiper i soldati al fronte. L’ufficio ci dava lalana pecorina con il timbro, noi lo dipinge-vamo di blu e lo mandavamo ai soldati. Il momento in cui vi siete rese contoche la guerra era arrivata a casavostra? Quando sono iniziati i bombar-damenti, che duravano per tre giorni.Abbiamo visto i tedeschi aprire le casevuote e portare via tutto quello chetrovavano. La città si riempiva,occupata dai tedeschi, ed era segna-lato agli alleati. A volte c’erano tre-cento fortezze volanti sulle nostreteste, e il rumore faceva tremare laterra. C’era la “vedova”, un soloapparecchio che passava di notte, ese vedeva una luce, guai. Eravamo albuio, dovevamo oscurare le finestrecon le tende nere. Mi ricordo un gior-no, quando sembrava che le bombefossero finite, Camilla l’ortolana, chevendeva la frutta e verdura dell’anno-na allo chalet in Piazza della Rocca,disse a tutti di tornare in città perprendere l’annona. La gente usciva esi metteva in fila. Sono tornati i bom-bardieri... Li hanno trovati tuttimorti, ancora in fila. Descrivi lo sfollamento, la vita diogni giorno. Eravamo fortunati per-ché eravamo al castello dei contiBrugiotti dove lavorava mio padrecome fattore-ammistratore. Sotto ilcastello le cantine erano piene dibombe e avevamo paura che potessesaltare tutto. Pregavamo sempre itedeschi di portare via le bombe, efinalmente un giorno ci hanno ascol-tato, seppellendole al Fosso Grande. Iprimi tedeschi erano specializzati inaeronautica e si comportavano bene,perché c’era con noi la contessa Mi-letta Vinci che parlava tedesco edera di famiglia diplomatica. Noiragazze davamo nomignoli a tutti isoldati, come Cipollino, Maglia bian-ca , Culo Grosso. Vivevano nella

foto di Piazza della Rocca risalente a subito dopo il bombardamento.Da notare come la fontana, oggi non più esistente, sia ancora perfet-tamente integra. Durante i lavori di sgombero delle macerie, alcuniignoti hanno deliberatamente sottratto il bene alla cittadinanza. Lafoto, riproduzione di originale appartenente ad una famiglia vetralle-se, è archiviata presso la casa editrice Davide Ghaleb.

Mary Jane Cryan

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AnnunziataC i p p o t a n idette alla lu-ce una bam-

bina, Teresa, in una grottaa Fossatello, in una pro-prietà del conte Zelli. Ilpadre andò con la biciclettaa prendere la levatrice, lasignora Neri. Dopo furonosfollati a Poggio di Cilli e lamadre nascose la bambinasotto il tavolo per protegger-la dai bombardamenti. Dina Barbaranelli fu porta-ta a Viterbo in preda alledoglie. Durante il parto,Viterbo fu bombardata e ladonna fu lasciata sola e morìdi parto. Il bambino, Fernan-do, sopravvisse, e oggi abitaa Livorno, ma della madrenon esiste neanche la tom-ba, in quanto le vicissitudini della guerrafurono tali che non fu possibile una degnasepoltura.Isidoro Moretti aveva 15 anni e lavoravaper una ditta di Milano dentro il campodi concentramento nella frazione diMazzocchio, insieme a Silvio Mattiacciche faceva il carpentiere. Dovevano porta-re un distintivo per entrare. C’era un mili-tare inglese alto due metri e dieci cheaveva il corpo coperto da piaghe e fu man-dato a casa dalla Croce Rossa. I civili anda-vano al campo per scambiare un miscugliod’acqua e aceto con pacchi di cioccolato ecoperte. Le baracche erano recintate ec’era una torre con dei riflettori. Nono-stante ciò gli uomini erano abbastanzaliberi perché erano guardati da italiani.Molti alleati invece, per evitare la prigio-nia, furono nascosti dalla popolazione diVetralla. Lo stesso Isidoro lavorava per realizzareuna strada a Monte Calvo dove dovevaessere fatta una pista d’atterraggio; sen-tendo i bombardamenti, lasciò il lavoro esi diresse in bicicletta verso Civitavecchiaper... “vedere i bombardamenti”! Invece quando era sfollato a Valle Caianorischiò la fucilazione con altri ragazzi peraver rubato una pistola ad un tedescofuori della chiesa di San Francesco. Con i suoi compagni, Isidoro smontò icuscinetti a sfera da un aereo caduto einsieme costruirono una “carrozzetta” pertrasportare la legna con più facilità daMonte Panese. Si divertivano a fare le garedi velocità in discesa vicino alla Costa de lepoverette, nel tratto della Cassia fral’Aurelia bis e la strada per Tuscania. I sol-dati americani che passavano in quei gior-ni volevano provare an-che loro. Quandola carrozzetta si fermava in salita dicevano“E’ finita la benzina!”. Ci furono molti morti per i bombarda-menti a Vetralla. Secondo gli elenchi del-l’anagrafe il giorno 11 gennaio morì An-tonio Reale di 16 anni a La Botte; il 20 gen-naio morirono vicino a Porta MarchettaMaria Ghisoni di 79 anni e AdolfinaBruzzichini di 30; il 6 febbraio EldoTomarelli di 14 anni sulla Via Aurelia; il 16marzo Elide Gastaldini di 27 nella frazioneLa Carrozza in seguito a ferite di bombar-damento aereo. Nel bombardamento del 2 maggio 1944 aPiazza della Rocca molte persone persero

la vita e non c’è mai stata una targa per ri-cordarle. Erano Anna Fiorani conosciutacome Annetta, di 45 anni; Fiorina Cecchini,che aveva solo 13 anni; Angelino Vignolini(45), Domenico Ricci (43), Antonio Pezzato(33) e Giuseppe Esposito. Il signorDomenico Ricci si trovava sul luogo per-ché stava andando all’anagrafe a segnare ilfiglio Roberto, nato quatto giorni prima (il29 aprile) a Mazzocchio. GiuseppinaAlecci, che vive ancora a Vetralla, è rima-sta invalida perché sepolta tra le maceriedurante questo bombardamento. Un’altrapersona scampò alla strage perché mentrestava andando al mercato incontrò un mili-tare tedesco che le consigliò di non andarea Vetralla quel giorno, perché ci sarebbestato un bombardamento. Tornò indietroe cosi fu salvo. Nei giorni seguenti morirono altre personeper un bombardamento a Cura, sulla ViaCassia, ed in seguito a ferite multiple cau-sate dai bombardamenti aerei: AnselmoTorannini, Oscar Pacitti, Francesca Baglio-ni e Anselmo Petrillo il 7 maggio, e Madda-lena Berni il 13, in seguito a ferite multiplecausate dal bombardamento. Durante l’estate ci furono altri morti acausa di schegge di bombe aeree e dialtro genere, inesplose o lasciate sul ter-reno dalle truppe tedesche in ritirata. Il 2giugno morì Enzo Fumagalli di 37 anni, ori-ginario di Genova, deceduto a La Botte inseguito ad un bombardamento; il 12 giu-gno morì Luigi Galli di 71 anni, per lo scop-pio di una bomba lasciata vagante sul ter-reno a Mazzocchio; il 29 giugno GiovanniMeschini, un elettricista di 42 anni, che fuinvestito dal ponte di un autocarro delletruppe alleate a Cura. Pietro Torretta di 52anni morì il 16 luglio in seguito a scoppiodi bombe lasciate vaganti sul terreno dalletruppe tedesche in ritirata; il 3 agostoItalia Rossi, 59 anni, che abitava a Giar-dino, morì in seguito a ferite da schegge dibombe aeree. In quel periodo nella località Madonnadel Ponte, sull’Aurelia bis, si potevanotrovare molti marocchini che giravanotra casolari e grotte dando fastidio alledonne, così un gruppo di uomini si armòdi roncole e altre armi da taglio che incute-vano più paura delle armi convenzionali,per difendere le donne che poi furonoradunate tutte in un casale. Augusto di

Peppe, che faceva il fabbrosull’Aurelia bis, può racconta-re delle sparatorie contro imarocchini effettuate dalpadre Peppe d’Agusto. Sempresull’Aurelia bis, dove adessoci sono i pini, c’erano tantemacerie delle case distruttedalle bombe. Fu proprio inquest’occasione che i ragazzidi Vetralla videro la primaruspa all’opera: un macchina-rio dell’esercito americanoche rimuoveva le macerie! Per cercare di proteggere ipropri tesori, i civili li na-scondevano in damigiane chepoi sotterravano, oppure na-scondevano i corredi di matri-monio (dote) murandoli nelleproprie cantine per poi recu-perarli dopo la guerra. Molteerano le persone sbandate

che giravano per rubare ciò che trovava-no: prosciutti, vino, olio... Nino Ciucci con-serva ancora una dichiarazione fatta dalmaresciallo francese della Gendarmerienella quale suo padre Giobbe denuncia ilfurto di 25.000 lire, due orologi da braccio,una fede in oro ed un fucile da caccia, nellanotte dal 13 al 14 giugno 1944 da militarisconosciuti. Peppe Tofetto (al secolo Giuseppe Capo-daglio) rubava ai tedeschi munizioni chetrovava nelle cantine. Una famiglia di pelliciai di Civitavecchiaaveva venduto tutto e era sfollata a Vetral-la. Riuscivano a mangiare solo commer-ciando tutti i giorni. Un gruppo di giovani partigiani del grup-po di Mariano Buratti e dei quali facevaparte Silvio Mattiacci, trovarono nascostenel bosco di Monte Fogliano, vicinoall’Eremo di San Girolamo, due mitragliatri-ci e delle munizioni che portarono a Tolfaad altri partigiani, passando per MontePanese e Blera e nascondendole dentro lefascine delle scope caricate in spalla. Nell’opuscolo “Memorie di guerra diOnofrio Montione” si legge il racconto diun siciliano: “Quando i tedeschi comincia-rono a catturare alcuni dei nostri, non facen-doli ritornare piu indietro, il signor Giobbeci consigliò di allontanarci e ci trovò unposto di lavoro a Norchia, a circa 10 km daVetralla. Lì, io e il mio collega ci trovammobene con il lavoro e lo facemmo per tutto iltempo della nostra permanenza, che duròdal mese di gennaio a giugno del 1944. Iltempo passava e i bombardamenti aumen-tavano, quando un giorno venne colpito uncaccia americano incendiandosi. Soccor-remmo come meglio potevamo il pilota chesi paracadutò verso di noi. La situazioneera critica, perché si era bruciato gli artisuperiori ed il volto, perciò l’amministratoreAlessandro decise di intervenire portandoloa casa di un generale sposato con un’ameri-cana che accettò di curarlo. Dopo la suaguarigione sentii dire che era stato catturatodai tedeschi. Finalmente, l’8 giugno, giornofestivo del Corpus Domini, gli americani ciliberarono arrivando prima a Vetralla poi anoi. La stessa sera io ed il mio collegaAntonino Di Franco corremmo a Vetrallaper festeggiare con le famiglie Ciucci, che sitrovavano a Mazzocchio in campagna, eanche con la presenza di soldati americanidi origine italiana”.

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Altre testimonianzee ricordi

Il campo di concentramento di Mazzocchio come si presenta oggi(foto di M.J.Cryan)

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Avevo quasi nove anniquando, nel primo pome-

riggio del 9 giugno 1944, dallacampagna del Crocefisso, cor-rendo a perdifiato con ungruppo di “sfollati” come me,raggiunsi la strada della Quer-cia (ove ora è il distributoredi benzina), richiamati tuttida un rumore incessante eassordante di motori e metal-lo. Da Orte giungeva un’infini-ta colonna di grossi tank“alleati”, mastodontici, smisu-rati nell’inevitabile paragoneche, sebbene stupefatto, nonriuscivo ad evitare con ladecina di minuscoli cingolatiitaliani armati di mitragliatri-ce che 3-4 anni prima avevovisto baldanzosamente sfilaresotto la mia casa in PiazzaVerdi.In verità, c’erano già statisegnali dell’arrivo degli allea-ti, perché il giorno preceden-te nonna Francesca, che quo-tidianamente andava versol’abitato percorrendo la stra-da dell’Arcionello, era tornataindietro spaventata, avendoincontrato dei soldati di colo-re: notizie vere e propagandafascista avevano illustratoampiamente le “gesta” dei“marocchini”, come venivanogenericamente indicati i mili-

tari che formavano l’avan-guardia dei “liberatori”, equindi tutte le donne del foltogruppo di sfollati vennerochiuse nella casa, ove la nottesi asserragliarono anche gliuomini. Altri reparti in divisakaki giunsero a Viterbo all’al-ba del giorno 9, guastatori esminatori che preparavano lastrada ai contingenti più con-

sistenti, che seguirono quasidilagando, dato che, contra-riamente a quello che si anda-va dicendo con giustificatotimore, i tedeschi si eranorapidamente ritirati, anzichéresistere sull’ipotizzata lineaCivitavecchia-Viterbo-Terni,che avrebbe comportato ulte-riori lutti e distruzioni perl’intero territorio viterbese. Ilgrosso della fanteria, con learmi imbracciate, avanzavaprudentemente dalla Cassiasud, su una duplice fila e i

vero anche alcuni camioncarichi di viveri, che furonodistribuiti alla popolazione,stupita soprattutto della bian-chezza del pane, che contra-stava in modo rilevante conle nostre nerissime (ed intro-vabili) pagnotte, fatte soprat-tutto di crusca.L’insediamento in prefetturadel Governo Militare Alleatoper i Territori Occupati(A.M.G.O.T.) avvenne nel pome-riggio dello stesso giorno,nella persona dell’ispettore

diatamente servizio la poliziae subito dopo i carabinieri,che si erano allontanati perevitare la collaborazione coni tedeschi; uscirono dallaclandestinità i partiti delComitato di Liberazione Na-zionale (C.N.L.), collaborandocon gli angloamericani, chedimostrarono piena disponi-bilità al trasferimento deipoteri ai civili, eliminandodall’intestazione “TerritoriOccupati” e divenendo piùverosimilmente Governo Mili-tare Alleato (A.M.G.).Coloro che non avevanoavuto la casa bombardata osinistrata poterono abbando-nare i rifugi, le grotte, i sotter-ranei, le cantine ove vivevanoquasi come bestie, da setti-mane: dall’inizio dei bombar-damenti più violenti, la vita sisvolgeva sottoterra, tanto cheil vescovo Adelchi Albanesil’8 giugno aveva celebrato ilCorpus Domini effettuando laprocessione all’interno delrifugio dell’Urcionio. I moltis-simi profughi in fuga dallezone di operazione avevanoaggravato la già difficile situa-zione. Finiva (per noi super-stiti, piccoli e grandi) la partepiù orrenda della guerra, ascappare continuamente neirifugi, ossessionati dalle sire-ne d’allarme, dall’odiato raidnotturno della “Vedova Nera”che sganciava un paio dibombe, dai boati dei bombar-damenti e dei cannoneggia-menti, a piangere i nostrimorti, a temere per la distru-zione della casa o della botte-ga, impegnati da mesi in unaangosciosa gara di sopravvi-venza.C’è chi pensa a riorganizzarcila vita. L’11 giugno 1944 ilcapo della provincia Tauberrevoca l’incarico di commis-sario prefettizio per Viterboal viceprefetto Raffaele DiPancrazio, incaricato dal go-verno Badoglio, sostituendolocon l’avv. Luigi Grispigni, poinominato sindaco dal prefet-to Forni con l’approvazionedell’A.C.C., Commissione Allea-ta di Controllo, di cui fu com-missario provinciale dappri-ma il ten. col. A.D. Bonham-Carter e poi W.E.Phillips, per-sona impagabile che si pro-digò per risolvere tanti pro-

SPECIALEpassaggio del fronte

GiorgioFalcioni

Viterbo Tra ricordi d’infanziae memorie storiche

Un drammatico particolare di Piazzadella Rocca dopo i bombardamenti del1944: la foto dei fratelli Sorrini (colle-zione G.Falcioni) inquadra Via Princi-pessa Margherita (ora Via Matteotti) eVia della Cava con gli edifici completa-mente distrutti, mentre pochi danni hariportato il Palazzo Mazzarroni (sulladestra) ove spicca l’insegna dell’Auto-scuola Marchetti. Al centro l’ammassodi rovine dell’irriconoscibile fontana delVignola.

Viale Trento verso Piazzale Umberto I(ora Piazzale Gramsci) in una immagi-ne dei fratelli Sorrini (collezione G.Falcioni).

viterbesi furono dapprimatitubanti nell’accoglienza, poisi radunarono fraternizzando;l’avanzata proseguì versoMontefiascone, con alcuniscontri con le retroguardiedella Wermacht, che causaro-no morti nei contingenti fran-cese e inglese, tumulati neicimiteri di guerra al km. 85 eal km. 105 della Cassia. Appar-

capo di Scotland Yard cap.John Kane, accompagnatodall’italo-americano serg.Antony Lancione; comandan-te della commissione militarealleata era il cap. WendellEdgar Phillips, poi maggiore;gli ufficiali della commissionesi sistemarono a Villa Tede-schi sul Viale Trieste (attualesede del CEFAS). Riprese imme-

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blemi, soprat-tutto per gli in-trovabili medi-cinali, riceven-

do alla sua partenza l’attesta-to della cittadinanza onoraria.Il 12 l’A.M.G. offre al comuneun prestito di 700.000 lire inmoneta di occupazione (lefamose AM-lire) per far frontealla pubblica beneficenza, sti-pendi e lavori igienici; succes-sivamente anticipa 2.430.800lire sotto la voce “Ricostru-zione” e il 21 luglio ulteriori500.000 lire per le spesedell’Ospedale Grande; in ago-sto la somma più consistente,11 milioni di lire.La gestione del comune, siapure sotto la tutela deglialleati, assume forme demo-cratiche e il 9 settembre 1944si insedia una giunta comuna-le presieduta dall’avv. Grispi-gni e composta da FrancescoM.Bonanni, Domenico Frati-celli, avv. Vincenzo Ludovisi(assessore delegato), AndreaMoneti, geom. Carlo Neri,Francesco Valdambrini, GinoSensini, Ettore Molari, desi-gnati dai partiti antifascisti.Deve affrontare l’immanecompito della ricostruzione ela ripresa di una parvenza divita normale. In ottobre siricostituisce anche il comita-

to amministrativo dell’entecomunale di assistenza (ECA),riunito poi in unico organi-smo con l’ufficio assistenzapro sinistrati, presieduto dalsindaco.I problemi più seri, oltre allosgombero delle macerie e allasistemazione dei senzatetto,vengono dalla impossibilità direperire viveri, che non soloalimenta il malcontento dellagente affamata, ma incremen-ta il triste fenomeno della“borsa nera” e quello dellaillegale maggiorazione deiprezzi, tanto che qualchenegozio viene chiuso perintervento della prefettura.Ricordo che spesso le ridottis-sime razioni (250 grammi almese di zucchero, 120 di sale,300 di olio, 300 di fagioli, 100di sapone da bucato, ecc.) fis-sate dal tesseramento cheancora continuava, non pote-vano essere distribuite permancanza di derrate neimagazzini del consorzio: peravere un modestissimo miglio-ramento si dovranno at-tendere molti mesi, fino al 10luglio 1946, quando verràdisposto che la razione dipane passi da 200 a 250 gram-mi giornalieri e nonostante gliaiuti dell’UNNRA (amministra-zione dell’ONU per aiutare le

nazioni devastate dalla guer-ra) la fame ha tormentato alungo i viterbesi. Ma c’eraanche penuria assoluta dimedicinali e indumenti, dilegna e carbone per cucinaree riscaldare, di benzina per leauto, di energia elettrica edegli indispensabili vetri(sostituiti da carta paraffina-ta).Lo sgombero delle macerieche bloccano vie principali esecondarie inizia fin dallametà di giugno 1944 con disca-rica nella zona del Sacrariosovrastante Valle di Faul e il23 viene costituito l’ufficioassistenza ai sinistrati, rimasti

privi di ogni avere e di mezziper fronteggiare le necessitàfamiliari; 28 famiglie sonoalloggiate in baracche abban-donate dai tedeschi allestitepresso il campo sportivo, ovesono occupati perfino gli spo-gliatoi. Il commissario per glialloggi (Francesco Sartori epoi Mario Corigliano) requisi-sce abitazioni e fissa gli affittiper la precaria sistemazionedi sfollati e sinistrati; piùnuclei familiari si raggruppanoin piccole abitazioni, con ine-vitabili problemi di sovraf-follamento e insanabili litigi econtrasti.Nel febbraio 1945 viene in visi-

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eViterbo

Piluccando dal diario di Elena Russo, allora ragazza (da “Il Tempo” del 9 giugno 1994)

9 giugno 1944. Pochi di noi hanno dormito stanotte. Non eravamo abituati a tanto silenzio. Dopo icannoneggiamenti e le altre esplosioni delle 20 di ieri sera, niente ha disturbato la quiete notturna.C’è qualcosa nell’aria, la sento io e la sentono tutti gli altri. E’ l’alba, c’è una sensazione strana,anche gli animali e le piante sono immobili, tutto è fermo in attesa di non si sa bene che. Ad un trat-to un grido che l’eco rimanda e fa salire di tono rimbombando in tutta la valle. “Sono arrivati, sonoarrivati”. La voce è di una donna, non specifica chi è arrivato, ma tutti sappiamo a chi si riferisce.E’ finito il terrore, sono finite le purghe, ritorneremo alle nostre case. Ma tutto ciò sembra troppobello per essere vero. Pensavo che il passaggio sarebbe stato peggiore. E’ stato invece repentino ecalmo. Certo è sin troppo bello per crederci. Pieghiamo le nostre coperte e risaliamo dal fosso perandare al casale. Corriamo su per un sentiero scosceso come se avessimo le ali ai piedi. Trovo miopadre seduto su un sasso, vicino alla casa, e mentre sto per chiedergli la conferma di quanto sentitoecco i miei fratelli, saltano, gridano, ridono. “Li abbiamo visti, ci hanno dato le sigarette”, dicono. Leprime avanguardie sono arrivate alle 6,15 e la gente sfollata va a salutarle. I miei non si muovono eanch’io rimango lì.

14 giugno. Era meglio restare in campagna e tornare dopo che i miei avessero messo un po’ d’ordi-ne. La cucina non si può utilizzare, è aperta e ingombra di sassi. Con mia madre cerchiamo di met-tere un po’ a posto, ma non sappiamo da dove cominciare. All’ora di pranzo usciamo per andareda mio zio. Altre vie da percorrere, altre macerie. Le chiese sono per la maggior parte distrutte. Lasera c’è un gran silenzio, sembra di stare in un cimitero. Sono appena le dieci e andiamo a dormire.Io vado nella camera dei miei, ho sempre tanta paura di questa gente. C’è un fucile carico accantoal letto dei miei due fratelli Umberto e Vittorio che dormono nella camera accanto.

Giovedì 15 giugno. Durante la notte non ho chiuso occhio, sempre con le orecchie tese a percepire irumori nelle strade. Francesi, americani e inglesi la notte si divertono a sfasciare i negozi rimasti inpiedi e a rubare. Ogni tanto si sentono i colpi contro le porte e poi grida di gioia o di delusione.Queste sono le truppe liberatrici.

Sabato 24 giugno. Oggi per la prima volta da quando sono ritornata a casa mi sono cambiata ilvestito”.

Via delle Fortezze nella zona di Porta Roma-na pure pesantemente bombardata. La fotodei fratelli Sorrini (collezione G. Falcioni)mostra le rovine della chiesa di S. Maria delleFortezze sulla sinistra e delle mura civiche.

Lapide in località Poggino nel luogodove era stato allestito un cimiterofrancese che per anni ha ospitato icorpi di 142 soldati caduti, poi riesu-mati. Il cippo è identico a quello fuoridel cimitero di San Lorenzo Nuovo(unico altro nella nostra zona) ed ugua-le è la scritta:

ICIONT REPOSÉ

142 SOLDATS FRANÇAISTOMBÉS GLORIEUSEMENT

1943-1944IN MEMORIAM

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ta il ministro dei LL.PP.Ruini, che rendendosiconto della grave situa-zione fa erogare un con-tributo di due milioni emezzo per l’ufficio d’igie-ne (c’erano epidemie discabbia, tifo, pulci epidocchi e anche un so-spetto vaioloso chiusonel lazzaretto, curato dauna infermiera) e centomilioni per le strade co-munali e provinciali disa-strate dal passaggio deglieserciti.Indumenti sono distribui-ti a cura dell’ENDSI (EnteDistribuzione Soccorsiall’Italia). Nel 1945 l’elen-co dei poveri compren-deva 2446 famiglie, di cui1773 nel capoluogo, 213 aBagnaia, 324 a Grotte S.Stefano, 136 a S. Martino.Tuttavia, la guerra conti-nua al nord e vengonochiamate alle armi, a fian-co degli alleati, le classi1914-1924 (venti-trenten-ni), suscitando protestee renitenza. Si costitui-sce, comunque, la com-missione del soccorsoalle famiglie dei militarialle armi e dei civilideportati in Germania.Pericoli, disgrazie e luttisi registrano anche dopola fine della guerra. Ordi-gni esplodenti, materialibellici abbandonati, bom-be inesplose continuanoa causare morti e feriti:all’aeroporto rimangonouccisi tre braccianti, dueblerani e un tuscaneseche usando un paletto,un martello e una mazzacercano di recuperareper rivenderlo il tritoloda una bomba tedesca.Per la segnalazione dioggetti esplosivi abban-donati, Prato Giardinoresta chiuso per qualchemese. “Il Bulicame”,periodico locale che ini-zia le pubblicazioni il 15novembre 1944, dà noti-zia della morte nel feb-braio 1946 del ventunen-ne Zefferino Ferlicca perle conseguenze della pri-gionia a Dachau e deldecesso per consunzioneo sfinimenti di altri qua-ranta reduci di Viterbo eprovincia.A scuola si tornò in edifi-ci semidiroccati, conqualche banco, rari qua-derni, poco inchiostro eun gran freddo che nondava tregua.

Per il fatto di trovarsi al centro dell’Aurelia bische collega la nazionale Aurelia alla Cassia, e

per la eguale distanza da Civitavecchia e daViterbo, nonché da Tarquinia e Vetralla, MonteRomano ha visto e seguito svariati movimentidella guerra. Fin dal 1938, nei grandi magazzini al centro delpaese vi furono acquartierati dei militari che siavvicendavano per la partenza dal porto diCivitavecchia per destinazioni di guerra. Repartidell’esercito stazionavano accampati nelle cam-pagne, anche loro in attesa di partenza, cosìpure i paracadutisti della scuola di Tarquinia. Ailimiti del paese fu istituito un centro-depositoalimentare per le truppe. Così fino all’otto settembre del ’43, quando ildeposito fu preso d’assalto dagli stessi militariitaliani rimasti senza ordini e in un clima di “tuttia casa”. L’indomani, al mattino prestissimo arri-varono i primi mezzi tedeschi e ne scesero degliufficiali che chiesero del parroco: doveva bene-dire e dare sepoltura a due loro commilitoni,morti la stessa not-te in una scara-muccia con i para-cadutisti in quel diTarquinia. Finita lacerimonia e rien-trati in paese an-che noi dal cimite-ro, verso le undicivedemmo fermarsinella piazza del co-mune due autocar-ri e altre macchine.Scesero dei militarie si misero subitoin posizione diguardia. Un ufficia-le disse alcune pa-role, poi issaronola bandiera tede-sca su un pennon-cino situato su unmezzo cingolato.Praticamente ave-vano occupatoMonte Romano, ein breve requisiro-no una stanza delpalazzo comunalee tutto lo stabile dell’ambulatorio comunale,dove installarono il comando. In alcuni magazzi-ni fecero delle infermerie.Dopo qualche giorno alcuni ragazzi che si aggi-ravano incuriositi intorno ai mezzi dell’esercitoitaliano abbandonati nei campi, visti da una pat-tuglia tedesca in perlustrazione nella zona ven-nero presi a fucilate. Ci fu un morto, un ragazzogiovanissimo. Intanto nell’ufficio comunale e nel-l’ambulatorio il movimento dei militari aumenta-va. Verso la fine di settembre si presentò un uffi-ciale e pretese l’elenco dei nati dalla classe 1927a ritroso fino al 1915. Gli si disse che la maggiorparte di questi erano militari spersi su tutti ifronti, prigionieri, sbandati e fuori paese.“Elenchi”, ripeté secco, e vi aggiunse l’elenco deiproprietari di cavalli, muli, buoi e carriaggi. Capiiche per la mia giovane età era pericoloso restare

in paese. Erano già cominciati i varirastrellamenti. Avvisai diversi giova-ni e con alcuni andammo alla mac-chia. Intanto il comando militareaveva nominato un Commissario al

comune preso tra i fascisti; era uno sfollato diCivitavecchia. Costituirono pure la GuardiaRepubblicana (repubblichini) che s’impossessòdella stazione dei carabinieri, abbandonata esaccheggiata. Nell’inverno iniziarono i primi mitragliamenti suimezzi militari tedeschi in transito nell’Aureliabis. Mitragliamenti avvennero anche dentro ilpaese dai famosissimi aerei alleati denominatitestarossa. Micidialissimi. Ci furono dei morti edei feriti. I repubblicani cercavano i renitenti,erano agguerritissimi specie nel cercare chiascoltava Radio Londra. Spararono pure in unbar e ci fu un fuggi fuggi. Presero dei giovani,qualche genitore, e li trasferirono nel carcere diViterbo.Arrivò la primavera. Gli alleati intensificarono iloro mitragliamenti e bombardarono la stazioneferroviaria alla ricerca del ponte sul fiumeMignone. Un morto. Bombe a grappoli cadderosulle immediate vicinanze del paese. Durante unsorvolo di caccia bombardieri alleati furono

sganciate numerose bombe a scoppio ritardato,e fu una fortuna perché caddero proprio al cen-tro della piazza, altre alla periferia e in campa-gna. Le notizie di Radio Londra e quelle che sirimediavano dai giornali, parlavano della batta-glia di Cassino e che quanto prima gli alleati l’a-vrebbero espugnata. E fu così.In questo periodo tutti i militari tedeschi nellazona di Monte Romano furono spostati versosud, e i loro ufficiali, forti dell’elenco preso incomune dei proprietari di buoi e carri, obbliga-rono costoro ad effettuare il trasporto di mate-riale vario e munizioni dal paese a oltre Furbara.Per strada furono mitragliati e morirono alcunibovini. In paese ci fu un’altra vittima: una ragaz-zina che portava una bomba a mano inesplosa:la toccò e fu la sua fine. Era il residuo di una spa-ratoria avvenuta qualche giorno prima al di là

SPECIALEpassaggio del fronte

Monte Romano Cesare Galletti

“Paesa’, fa tu!”

Fotogramma del film “Ciao nemico”, del regista E.B. Clucher, girato a Monte Romano nel 1981: una com-media gradevole (tra gli interpreti Jonny Dorelli, Camen Russo, Giuliano Gemma...) ambientato durantela guerra dopo lo sbarco alleato in Sicilia. Tra i due eserciti si trova un ponte romano che entrambi vor-rebbero far saltare, ma fortunatamente non ci riescono; anzi, fanno di tutto per non riuscirci!

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della fontana monumentaledel Mascherone.Il cielo era pattugliato con-tinuamente da aerei alleati,

ci fu qualche battaglia aerea con i cacciatedeschi di base alla Cavallaccia e Viterbo,ma la superiorità alleata era enorme.Arrivarono notizie sulla conquista diCassino da parte degli alleati, che dilagan-do verso Roma si congiunsero con gli sbar-cati ad Anzio. Alla notizia della caduta diRoma e alla fuga dei tedeschi verso nord,molti monteromanesi sfollarono per anda-re nelle campagne, nei boschi, nei casolarie nelle grotte. La mia famiglia, con altre,andò in un casolare al di là del Mignone.Dopo la liberazione di Civitavecchia, occu-pata dagli americani l’8 giugno, ci fu lacruenta battaglia delle Piane del Mignone,dove morirono numerosissimi soldatialleati che avanzavano sulla direttricedell’Aurelia e dell’Aurelia bis verso Viterbo.Monte Romano fu liberato il 9. La mattinaapparvero le prime jeep, poi motociclisti,autocarri e carri armati Sherman e truppedi tutti i colori sui camion e sulle camio-nette. La gente seguiva questo interminabi-le passaggio, mentre i soldati lanciavanopacchetti di sigarette, cioccolata, gomme etanto bendiddìo. Tutti a raccogliere.Sembrava uno sposalizio quando si lancia-no i confetti e tutti i ragazzini erano lì araccoglierli. Il parroco sciolse le campanee lo scampanio festoso durò qualche ora.Da una finestra della via principale, vicinoalla chiesa vecchia, spuntò una grandebandiera a stelle e strisce, fatta con fogli dicarta velina incollati. Guardandola, i milita-ri alleati sorridevano. Era impolveratitanto che non si poteva distinguere seerano bianchi o di colore. Erano tutti ugua-li. Americani, canadesi, brasiliani, senega-lesi, marocchini e pure italiani che faceva-no parte dei reparti affiancati agli alleati.A tarda sera salì sul marciapiede una jeepcon soldati di colore: erano contenti, sorri-devano mettendo in bella mostra quellaloro dentatura bianca. Ci avvicinammo,eravamo una decina; un mio amico glichiese se potevamo fare un giro con laloro scatoletta: sorrise ancora e disse:

“Paesa’, fatu!”. Gio-vanni simise allaguida e inun lampotutti sal-tammo suquella sca-tola, ungrappolo.Facemmoil giro delpaese, sa-limmo escendem-mo scalesotto los g u a r d oc u r i o s odei paesani. Fino a tarda notte fu festa neilocali, nella piazza, in ogni luogo. Era finitoun incubo che durava da otto mesi. Il giorno dopo tutti al lavoro. I mezzi coraz-zati passavano sull’Aurelia e andavano adoccupare Viterbo. Era un viavai di macchi-ne, carri e moto. Gli alleati con le loropoderose ruspe fecero subito un piccoloaeroporto nella zona del Nasso. I ragazzicuriosi andavano a vedere le cicogne, aereileggeri da ricognizione. Bastava una cipol-la e un fiasco di vino e ti facevano fare ungiretto sopra il paese. Alcuni ufficiali ven-nero in comune e in perfetto italiano cichiesero quanti bambini erano a scuola,all’asilo. Gli rispondemmo che erano due-cento. “Va bene - dissero - dov’è l’asilo?”, equalche giorno dopo arrivarono con uncamion carico di latte in polvere, uova inpolvere, cioccolate, biscotti e scatolamevario di “vegetable”. Occorrevano anche aloro gli uomini da portare al porto diCivitavecchia dove scaricavano ogni cosa,dalla benzina al cacao, zucchero e farina.Subito si organizzarono delle squadre cheandavano al porto a lavorare, benintesoprofumatamente pagati e omaggiati deigeneri che gli permettevano di portarecasa.Nei pressi del piccolo aeroporto costitui-rono un comando ed un centro di approv-

vigionamento con cucina e bar, tanto cheportavano a Monte Romano anche sorbet-tiere di gelato, scatolame e ci fu un rivesti-mento generale per tutti di indumentialleati. Quando qualche camion si fermavanella piazza, nugoli di ragazzini, giovani evecchi si facevano subito tutti intorno, eloro, sempre mostrando i bellissimi dentibianchi, sorridevano e dispensavano atutti quello che avevano. Gli anziani pote-rono così riaccendere la loro pipa coltabacco distribuitogli: durante l’occupazio-ne tedesca i tabacchi erano razionati, sifumavano le foglie di platano e di viteessiccate.Il fronte era passato, ma una mattina si udìuna forte esplosione: nella strada di PaoloRomano una grande jeep prese un minadisseminata dai tedeschi in fuga; ci fu unmorto e diversi feriti. Così ricordo il periodo della guerra nel suopassaggio a Monte Romano. Dalla stanzadove lavoravo al comune vedevo l’Aureliabis, che attraversa il paese, come un formi-caio di mezzi. Osservando i militari alleatimi venne spontaneo raffrontarli con i tede-schi. Questi alleati nelle loro divise piùdisparate, in pantaloncini corti, in manichedi camicia e addirittura in canottiera o intuta. I tedeschi sempre chiusi nelle lorodivise, con attaccati alla cinta mascheraantigas, paletta, borraccia e altre diavole-rie comprese bombe a mano con manico.E raffrontando, si capiva che era arrivataassieme alle truppe anche la democrazia;si vedevano ufficiali assieme a soldaticome alunni della stessa classe. Anchequesta, tra tante cose, era l’America.Il comando alleato aveva nominato sinda-co provvisorio l’ex capitano di fanteriaFernando Galletti.I morti alleati nella battaglia di Civitavec-chia e Mignone furono sepolti creando uncimitero di guerra al bivio di Tarquinia-Aurelia bis. Ai morti seppelliti a MonteRomano, prima di ritirarsi, portarono ledue croci con su scritto i loro nomi.Passano gli anni, i morti alleati vengonoesumati e portati via. Per quelli del cimite-ro di Monte Romano venne un furgonemercedes civile. Con documenti alla manoli esumarono portandoseli via. Pure questaappendice fa parte dei ricordi del passag-gio dalla dittatura alla democrazia.Un particolare: nel 1965 una mercedesalquanto moderna si fermò a MonteRomano. Sembravano turisti. Invece chierano? Erano stati qui durante l’ultimo

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Sognava la sua bimba bionda...

La guerra è scoppiata! Voglia Iddio che duri poco tempo, faccia poche vittime e che soprattut-to sia l’ultima. Questa è la speranza di una persona che ha vissuto sulla propria pelle gli orro-ri e il dolore della guerra. Sono nata quando mio padre stava per partire per il fronte greco-albanese. Sono stata battezzata di sera, per permettergli di assistere al sacramento, poi èpartito senza più fare ritorno. Non ho ricordi di mio padre, sono cresciuta senza la sua pre-senza, importante per un figlio. La mia infanzia si è nutrita del dolore di mia madre e dell’an-goscia di non avere una tomba dove portare un fiore, accendere un lume; è rimasto laggiù interra straniera, solo, insieme a tanti altri soli come lui. Questa è la guerra, questo è ciò che laguerra ti dona: dolore, distruzione e lacrime. Tante lacrime per coloro, padri, mariti, figli, chenon sono più tornati.Ogni tanto mi ritorna in mente un episodio di quel periodo: sotto la mia casa si erano rifugiatidei tedeschi, erano sporchi e affamati, mia madre mi annodava attorno alla vita un fazzolet-tone (avevo tre anni), lo riempiva di pane e mi mandava a portarglielo. Uno di questi soldatiappena mi vedeva si metteva a piangere, ero una bambina bionda tutti riccioli, diceva che gliricordavo la sua Lilì che aveva dovuto lasciare per venire a combattere. Piangeva perchèaveva paura che non l’avrebbe più rivista, mi accarezzava i capelli e mi abbracciava. Spessola mia mente ritorna a quel tempo e ricordo con tenerezza quel padre che voleva riabbrac-ciare la sua bimba bionda, mi auguro che la guerra lo abbia risparmiato e fatto ritornare acasa dalla sua Lilì. Anche mio padre sognava la sua bimba bionda, che aveva appena vistonascere per poi partire lontano, ma la guerra cattiva ha spezzato ogni suo sogno e lo halasciato, insieme a tanti altri come lui, morire in una terra straniera.

CaterinaFabriani

La piazza principale di Monte Romano in una foto dell’ottobre 1940.

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periodo di occupazione. Sull’Aurelia c’eraun muro: lo sfecero in un punto e ne tiraro-no fuori una cassetta. Che c’era? Non si èmai saputo. Sparirono così come eranovenuti. Sicuramente erano valori razziatidurante la loro fuga.

Non posso chiudere senza ricordare l’in-contro accidentale che ebbi con un solda-to tedesco in fuga. Era la mattina del 9 giu-gno, la sera prima gli ultimi spari davano lafine alla battaglia del Mignone e giàl’Aurelia bis era libera da ogni macchinatedesca. Allo scopo di osservare cosa erasuccesso nelle nostre case mi mandaronoa vedere. A cavallo arrivai a MonteRomano verso le 4 del mattino, feci il giro,tutto era in ordine. Tutto deserto. Tutte lefinestre chiuse. Ebbi quasi paura. Presiuna fiasca di vino, rimontai a cavallo e viaverso il Casalaccio dove mi aspettavano imiei ed altri parenti. Sul crinale di PoggioBarone, a ridosso di un muro di sassi e confolti cespugli di ginestra, vidi dei movimen-ti. Mi gelai. Infatti uscì da lì un soldato,malconcio, con le mani a mezza via. Mifece cenno di fermarmi. Addio, pensai,questo mi leva la cavalla, bella e bardatacon una grossa bardella maremmana. Ilsoldato si avvicinò e disse con uno stenta-to italiano: “Al paese tedeschi? America-ni?”. “Nessuno - risposi - è deserto”. Ebbeun sorriso di sollievo; girò intorno allacavalla accarezzandola, era incinta e luidisse: “Mamma”. “Si”, risposi. “La stradaper Tuscania?”. Gli risposi che attraversatala nazionale c’erano diverse possibilità diavvicinarsi. Fece qualche passo a ritroso esollevò da terra una bicicletta: era unaVolsic civile, chissà dove l’aveva rimediata.Nel porta pacchi un fagotto. Lo sciolse edalla tasca della giacca tirò fuori una sca-tola di tabacco e cartine. Fece un sigarettae disse: “Vuoi?”. “No - risposi - non fumo”.Notai i suoi vestiti, solo le scarpe ferratetedesche, i pantaloni di tela grigia, unacamicia a righe aperta e notai che vicino alpiastrino di riconoscimento aveva un cro-cifisso. A questo punto prese una scatoladi cerini tipo Minerva e notai che c’eraimpresso un orologio, ma al posto delledodici, una “X” e le lancette segnavanomeno dieci minuti. Nella propaganda nazi-sta voleva dire “non è detta l’ultimaparola”. Aspirò qualche boccata e rimise aposto nel fagotto la scatola tabacchiera.Nel fare questo, dal fagotto uscì una mani-ca di giacca, molto logora; nel bordo, su unnastro chiaro c’era scritto in gotico:“Panzer Gran...”. Lì finiva la frase, perché lamanica era stracciata. Notò la mia osserva-zione e disse “Cassino”, rimettendola aposto. Era legata con un pezzo di filotelefonico, così pure i pantaloni. Pensai:“Dove avrà buttato la cinta di cuoio con lafibbia di ferro con su scritto “Iddio è connoi”? Forse non credeva più a nulla. Mi fecicoraggio e domandai: “Di dove sei?”.Insomma, glielo feci capire. “Di Colonia -rispose - ... classe 1915”. E così mi guardò,vidi i suoi occhi azzurrini che si rattristaro-no e si inumidirono. Mi fece pena, tantapena che dimenticai tutte le angherie cheavevano fatto, e porgendogliela gli diedi lafiasca di vino. Mi guardò ancora. Stentò aprenderla e poi, presala, mi disse grazie ealzò la mano in cenno di saluto, e spingen-do la bicicletta con quel fagotto e con un

gran carico di speranza si avviò emettendol’ultima boccata di fumo. Gettò il mozzico-ne e con quelle scarpe ferrate lo schiacciòsulla polverosa strada di Poggio Barone.Ripresi la via del ritorno quando i primiraggi di sole facevano capolino dal di là daiMonti Cimini. Vidi illuminare la ginestra enotai che c’erano già i primi fiori gialli sullecime. Veniva l’estate... Arrivato al Casa-laccio, mio padre mi chiese del ritardo edel vino. Gli raccontai tutto. “Hai fattobene”, mi disse; e continuò: “Dopo Capo-retto la nostra fuga verso il Piave era comequella dei tedeschi di oggi. Non puoi imma-ginare quanto dolore e avvilimento quandoindietreggi. A noi ci fermò il Piave. Ci fu poila controffensiva per la conquista delVeneto. Io fui lì ferito e non potei assapora-re la vittoria. Di quei giorni oltre a tanti

ricordi mi è rimasto questobinocolo”. Per quanto loavessi adoperato migliaiadi volte, non avevo notatole scritte. Le lessi: “Zaiss-Destra. 20.3.1917”.Quel binocolo è ancora sul mio tavolo,come pure una squadra di plexiglas data-mi da un americano, una penna stilograficaParcher che un ufficiale superiore mi donòvedendomi in ufficio che scrivevo con ilpennino Perri 5 e la bottiglietta di inchio-stro. Che fine avrà fatto Colonia 1915? Main guerra si muore. Ripensando alla mani-ca della giacca mi viene in mente l’ultimafrase del generale Armando Diaz nel bollet-tino della vittoria del 4 novembre 1918: “…Risalgono in disordine le valli che avevanodisceso con tanta orgogliosa sicurezza”. Lastoria, si dice, si ripete.

SPECIALEpassaggio del fronte

Ero incinta, ma non smisi mai di lavorare...

Nell’agosto del ’39, quando già avevo un figlio e mio marito Arduino venne mandato inLibia, nessuno di noi sapeva cosa accadesse nel mondo, ma l’inquietudine era tanta. In paesesolo due persone avevano la radio e la sera tutti si riunivano nella piazzetta di fronte all’oste-ria di Pilone (Francesco Turchetti), per ascoltare il bollettino dalla radio che lui appendevasopra la porta del locale. Fu così che venimmo a conoscenza dell’entrata in guerra dell’Italiae lo sgomento fu tanto. Nel ’41 diedi alla luce il secondo figlio, Pietro, ma mio marito era dinuovo al fronte, a Udine, e non lo vide nascere. Alle donne con almeno due figli che avevanoil capofamiglia al fronte veniva dato un sussidio di 15 lire ogni quindici giorni, ma la legge,in quegli anni, prevedeva anche la licenza agricola, per quegli uomini che erano proprietaridi almeno quattro ettari di terra e qualche capo di bestiame. Così Arduino poté tornare alpaese, alla sua famiglia. Sapevamo di essere in guerra, ma non potevamo permetterci distare nascosti ad aspettare che passasse, perciò le nostre schiene si piegavano comunque suicampi, nelle mille faccende domestiche, tentando di arrangiarci per arrivare a fine giornatacon qualcosa per sfamare i figli. Poi cominciò il periodo dei bombardamenti. Vigeva “l’oscu-rità”, ossia l’obbligo di tenere la luce spenta e gli scuri alle finestre chiusi, per evitare di esserevisti dagli aerei carichi di bombe. Ma anche durante il giorno passavano gli aerei con lemitragliatrici, e spesso i bambini incoscienti del pericolo cominciavano a corrergli incontrosalutando. Fu così che molti vennero uccisi. Mio fratello si salvò da uno di questi attacchinascondendosi sotto il carro per il fieno, ma fu anche fortunato perché i buoi che lo trainava-no non scapparono, altrimenti lo avrebbero schiacciato. Un’altra volta, invece, riuscii a salva-re me ed i miei figli perché facemmo in tempo a nasconderci in una trincea coperta di legnascavata da mio marito.La messa veniva celebrata di pomeriggio e nel ’44, all’uscita dalla chiesa nel giorno di SantaCorona (patrona del nostro pese) trovammo tanta gente spaventata scappata daCivitavecchia che era stata bombardata. Poi toccò a Tarquinia ed infine anche al nostro pic-colo paese. Due bombe caddero al centro della piazza ma non esplosero subito (sarebbestata una strage), così gli uomini chiamarono gli artificieri e questi dissero che si trattava dibombe a tempo e che sarebbero esplose di lì a poco. Io e la mia famiglia costruimmo un rifu-gio con le balle di fieno ed aspettammo lì che le bombe scoppiassero. Il rifugio venne comple-tamente sommerso dalle tegole dei tetti crollati e dai detriti scaraventati dalle bombe, ma noieravamo salvi. Tutta la popolazione a quel punto decise di sfollare e abbandonò il paesespostandosi nelle campagne. Un centinaio di persone trovarono riparo in grotte naturali pres-so le quali i Luchetti, famiglia di bravi muratori, avevano già costruito un forno per il pane invista di tempi più duri. Io preparai con la farina rimasta a casa dieci filoni di pane, mi misisulla testa una cesta con l’unica gallina e i pulcini che possedevo, caricai sull’asinello i mieidue figli, il resto delle provviste e con mio marito ci incamminammo verso le grotte. Ero incin-ta, ma non smisi mai di lavorare e mai mi lamentai del mio stato. Aspettammo lì la fine deibombardamenti, anche se non eravamo comunque al riparo da ogni pericolo. Con lo sbarcodegli americani i tedeschi cominciarono a ritirarsi e nella concitazione spesso sparavano sunoi civili, e molti morirono.La loro ritirata passò veloce sulla nostra terra, in meno di una settimana erano già lontani. Il9 giugno 1944 gli americani arrivarono a Tarquinia e poi a Monte Romano, ed il giornoseguente eravamo di nuovo tutti nelle nostre case. Con gli alleati si instaurò un bel rapporto.Ricordo in particolare un tenente che venne a vivere per un po’ in un appartamento vicino anoi. Gli piaceva prendere in braccio mio figlio Pietro perché il bambino si spaventava amorte credendolo un tedesco che lo avrebbe ucciso, ma il tenente dopo aver detto qualcosain una lingua che non capivamo, puntualmente gli regalava della cioccolata.Tanti erano i bambini che correvano all’accampamento degli americani per ricevere in donogallette, carne in scatola, passata di pomodoro… ed era una festa, sia per loro che per noigenitori. Non potrò mai dimenticare il Natale del 1944. La luce elettrica era tornata nelle case e tutti sipreparavano ad andare in chiesa per vedere il Bambinello che nasceva a mezzanotte. Eroormai al termine della gravidanza e quella notte diedi alla luce il terzo figlio, Natalino.

AnnunziataCarlucci

Monte Romano

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Nell’affrontare il tema delpassaggio del fronte a

Tarquinia nel 1944 si potevasupporre che l’archivio stori-co comunale e la SocietàTarquiniense di Storia e Arte(STAS) avrebbero fornito noti-zie con dovizia; non è statocosì. Sul periodo in argomen-to la documentazione risultascarna e burocratica e ad essanessuno ha attinto per pro-durre una ricerca storica. Nonrestava che affrontare l’argo-mento dal vivo con quantiavevano ancora memoriadegli eventi vissuti da giovanio giovanissimi, in quella fasetransitoria tra la guerra e lapace. Non è stato difficileincontrare alcune personevolenterose, diverse per età e

cultura, pronte a dare rispostea diverse domande. Sono inmolti, in particolare gli uomini,che vorrebbero strutturare ipropri ricordi in pagine scritte,in modo da colmare i vuotidella storia locale. Il termineresistenza non ricorre spessonei dialoghi, anche se, a benriflettere, chi oggi è disposto aricordare e a raccontare, ineffetti ha fatto parte della resi-stenza, forse in modo ingenuoper la giovane età. I protagoni-sti parlano con disinvoltura diepisodi in cui si sono trovaticoinvolti, talora casualmente;non sempre hanno chiara lasuccessione cronologica.Affiorano così le sensazioniprovate sessanta anni fa: l’in-quietudine generata dalla pre-senza dei tedeschi, la disten-sione determinata dall’arrivorassicurante degli americani.Tra gli altri, Spartaco Compa-gnucci, un personaggio moltonoto a Tarquinia perché daautodidatta si è dedicato sem-pre alla poesia e alla scrittura(nel Bollettino del 2003 della

Società Tarquinien-se di Arte e Storiaha scritto un arti-colo dove ha fissa-to alcuni ricordi diepisodi relativi agliultimi mesi del

1943, a partire dai rastrella-menti tedeschi), ha fissato diquel periodo il comportamen-to dei tedeschi e quello degliamericani. Spartaco ha messo

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Bombe anche sull’arteA chi arriva nel centro storico di Tarquinia dalla barriera di San Giusto appare, sulla sinistra, nellasua maestosa imponenza il palazzo Vitelleschi, la prestigiosa sede del Museo nazionale tarquinienseche, a una analisi attenta, rivela nel paramento murario i segni di significativi interventi di restauro. Ilpalazzo, infatti, verso la fine della seconda guerra mondiale - il 17 gennaio 1944 durante una incur-sione aerea - venne bombardato e di conseguenza subì ingenti danni a tutta la struttura: dalla loggiaa trifore e quadrifore, alla sala grande, al cornicione, alla tromba delle scale, alla vera ottagonale delpozzo, a tutti i muri perimetrali. A questi crolli se ne aggiunsero altri, quando l’ 8 e il 9 giugno l’av-vento delle truppe alleate di liberazione fu preceduto da un cannoneggiamento che distrusse comple-tamente la bifora di facciata del secondo piano, in parte il coronamento soprastante di archetti pensili,procurò il cedimento del pavimento di uno dei saloni e la rottura del grande arco ribassato ad essosottostante.I danni al patrimonio archeologico furono contenuti, poiché la Soprintendenza aveva tempestivamenteprovveduto a nascondere i pezzi più preziosi delle collezioni presso i Musei Vaticani a Roma; granparte del restante materiale - vasi e alcune sculture - trovarono riparo nel muro della torre del palaz-zo, mentre alcuni sarcofagi vennero ricoverati nei sotterranei. Tra le opere d’arte moderna alloggiatenel museo non si ebbero perdite di rilievo, poiché, tra l’altro, uno dei dipinti più noti, quello dellaMadonna e Santi di Antonio da Viterbo, detto il Pastura, venne protetto con sacchi di sabbia.Nello stesso anno i tedeschi in ritirata, pur non arrecando danni significativi al molo, per motivi strate-gici rasero al suolo il caricatore del porto Clementino. E’ opportuno ancora ricordare che a Tarquinia,oltre a diverse abitazioni, vennero colpite anche alcune torri e la chiesa romanica dedicata alSalvatore.

Tarquinia

GiovannaMencarelli

L’ultima cannonata,il fronte sul Mignone e...

in rilievo che laguerra ha scosso lacittà non tanto conepisodi cruenti, maper il timore deipossibili e impre-vedibili rastrella-menti; ha vivo ilricordo dello sfol-lamento dalle abi-tazioni per rifugiar-si nelle grotte dicui la città e il terri-torio sono pieni;ha ricordato la pre-senza dei tedeschi,inflessibili nei loropiani, disposti aretribuire i cittadi-ni a cui si rivolge-vano per ottenereservizi. Ha ricorda-to l’ultima canno-nata degli america-ni, il 10 giugno1944, contro i tede-schi che si trovava-no a palazzo Aielli;ha ricordato l’arri-vo della V armata

proveniente da Civitavecchia,il fronte segnato dal fiumeMignone; l’entusiasmo provo-cato dall’arrivo degli america-ni, tra l’altro ampliato dallegenerose elargizioni di viveri ebeni di consumo.Anche Beniamino Pastore, cheal suo attivo ha una lungaesperienza come tecnico discavo al fianco di moltiarcheologi, è una fonte inesau-

ribile di notizie su eventi chelo hanno segnato nella sua gio-vanissima età. Nei suoi discor-si ritorna viva la memoria deirastrellamenti, delle grotteche avevano accolto gli sfolla-ti dopo il bombardamento del17 gennaio del 1944; dellabanda di ragazzini, di cui face-va parte, sempre alla ricercadi beni di prima necessità, chesi imbattevano casualmente indepositi di munizioni, si ap-propriavano e distribuivanoarmi, giocavano con le bombea mano; a un certo punto hacitato anche la presenza, tra iragazzi del suo gruppo, di ungiovane gobbo, che più tardisaprà essere diventato il fami-gerato gobbo del Quarticciolodi Roma; ha ricordato anche lapresenza carismatica del dot-tor Emanuelli, il sindaco de-mocratico, che si servì dellasua professione di medicoospedaliero per aiutare diver-se persone. Ha ricordatoanche il bombardamento delmuseo, che non era il veroobiettivo dell’operazione e lamina tedesca che ha fatto sal-tare il caricatore di portoClementino.

Il primo passo, nel tentativo difermare la memoria degli eventidel 1944 è stato fatto; è certo chealtre persone vogliono esternare iloro ricordi, per dare un contribu-to alla storia della città.

Palazzo Vitelleschi dopo il bombardamen-to e (a fianco) sacchi di sabbia proteggonola Madonna e Santi del Pastura durantel’ultimo conflitto bellico

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Dopo il primo bombardamento aereo,effettuato da una formazione di qua-

drimotori americani il 20 ottobre 1943per distruggere il ponte ferroviario sulFiora, col passare dei giorni e dei mesiMontalto conobbe un crescendo paurosodell’azione aerea nemica. Mensilmente, ilcommissario prefettizio di Montaltoinviava i dati relativi ai bombardamentiaerei alla prefettura di Viterbo e aicomandi militari germanicidi San Martino del Cimino edi Viterbo. Il ponte non fucolpito il 20 ottobre, maingenti furono i danni causa-ti alla linea dell’alta “tenzio-ne” (sic!) elettrica, come stascritto nella relazione che ilcommissario prefettizio in-viò alla prefettura il 2 dicem-bre. Nella detta relazione silegge ancora che: “I bombar-dieri americani sganciaronocirca duecento bombe di gros-so calibro. Morirono otto agri-coltori che lavoravano laterra in prossimità della ferro-via, sei rimasero feriti, mori-rono pure sedici bovini dalavoro, cento ovini, quattoequini e vennero distruttidiversi attrezzi agricoli”. La quotidianità dei montalte-si divenne drammatica: moltisfollarono nei paesi dell’en-troterra, altri si trasferironogiorno e notte nei rifugi. InMontalto non esistevanorifugi veri e propri in cemen-to armato e la gente si rifu-giava nelle grotte e nelle can-tine, che quasi sempre ave-vano una sola uscita. Il 24marzo 1944 (quasi quattroanni dopo l’entrata in guer-ra) il solito commissario pre-fettizio scriveva al capo dellaprovincia: “In Montalto esisto-no cinque ricoveri di cui trenel centro storico e due incampagna. Dal più al meno tutti offronoper quanto riguarda la consistenza e lasolidità delle garanzie di sicurezza, madue di essi sono senza la seconda uscita”.Il commissario era dotato di una incredi-bile faccia tosta: sapeva non solo che duerifugi erano senza seconda uscita, mache tutti i ricoveri non erano né consi-stenti né solidi. I cittadini di Montalto,con una lettera dello stesso commissariovengono addirittura invitati a costruirericoveri antiaerei, a prestare un’opera dicarità cristiana. E’ il 18 maggio 1944;venti giorni dopo Montalto sarà liberata.La mancanza di rifugi efficienti è unadelle infinite prove dell’avventurismo bel-lico di Mussolini. La popolazione era terrorizzata dall’in-

tensificarsi progressivo dei bombarda-menti, dei mitragliamenti, degli spezzona-menti, e fortemente preoccupata dallacarenza o dalla mancanza dei generi ali-mentari di prima necessità. In un rappor-to inviato alla prefettura il 17 novembre1943, il commissario scrive: “La incessan-te minaccia dei bombardamenti e deimitragliamenti tiene la popolazione, siaquella rimasta nel centro abitato che quel-

la sfollata nelle campagne, in continuoprofondo orgasmo che paralizzava ogniattività. Per conseguenza, anche gli ufficirisentono di questo stato anormale di se(sic!); il lavoro viene spesso interrottoverso le ore dieci, il personale nel tema diattacchi aerei, perde la calma e poco onulla più conclude... Da quanto precedeemerge l’opportunità di adottare delleprovvidenze a favore della popolazione...I principali provvedimenti che si impongo-no, a mio avviso, consisterebbero in unapiù frequente distribuzione di carne bovi-na ed ovina (almeno una volta la settima-na), di pecorino; ripristinare la sommini-strazione del riso e della pasta, assicurarel’assegnazione mensile dello zucchero odegli altri generi razionati”.

Bombardato per la prima volta, e noncolpito, il 20 ottobre 1943, il ponte ferro-viario sul Fiora, in seguito a un’infinità dibombardamenti crollò il 9 marzo 1944,come precisa la nota del commissarioprefettizio del giorno dopo. Il 26 gennaio1944, nella prima parte della notte, unabanda di partigiani operanti sull’Amiatatentò di far saltare, con forte carica di tri-tolo, il ponte stradale sul Fiora. Il ponte

non crollò, ma i tedeschiimposero il coprifuoco dalleore venti alle ore sei del mat-tino. La situazione dei mon-taltesi si fece ancora più dif-ficile.Fu nei giorni che precedette-ro il terrificante bombarda-mento notturno del 2 marzo1944 che feci una esperienzaintensamente umana, parti-colare, che non ho ancoradimenticato. Conobbi Karl,un soldato tedesco di sedicianni, biondo, riccio, bellissi-mo. Un gruppo di soldatigermanici che portavanocon sé sei enormi cavalli datiro, requisì la nostra stalla eil fienile. Karl si curava deicavalli, li strigliava, li abbe-verava, metteva il fieno nellemangiatoie. Indossava ladivisa militare, ma in realtàera un ragazzo dall’animodolcissimo. Divenne mioamico e anche degli altri treo quattro compagni d’infan-zia che frequentavano il mioorto. Era golosissimo dimaccheroni, di ogni tipo difrittata, delle patate cotte alforno col rosmarino. Ricam-biava dandomi dei piccolipezzi di burro. Parlava benel’italiano (era studente) e ciraccontava della sua città,Dresda. Un giorno, eravamosoli nell’orto, aprì il portafo-glio e mi mostrò la foto di

una fanciulla della sua stessa età. Arros-sì, mi disse che era il suo amore lontano.La sera mentre già ero a letto, lo sentivocantare, sommessamente, insieme con glialtri: distinguevo la sua voce, pura,argentina: cantavano Lilì Marlen con unatristezza struggente. Un pomeriggio sen-tii bussare al portone: era Karl, mi fececenno di scendere. Mi disse che la matti-na dopo sarebbe partito per il fronte,verso Cassino. Mi consegnò un bigliettodove c’era scritto il suo indirizzo. Scrissiil mio su un pezzo di carta per avvolgerela pasta. Ci abbracciammo. La mattinadopo, verso le sette, sentii ordini secchi,gridati con voce rauca. Scesi, Karl era inprima fila, teneva tra le mani le guide didue cavalli. Non mi guardò, rimase impa-

SPECIALEpassaggio del fronte

Montaltodi Castro

AldoMorelli

Bombe, paura, fame...... e un tedesco per amico

Esultanzapopolareall’arrivo

delle truppealleate

contenevano una bevanda scura, frizzan-te e gradevole: era la mitica Coca Cola, anoi italiani completamente sconosciuta.Poi quando il fronte avanzò verso il norde il campo di aviazione fu smantellato, ilcapitano lasciò Montalto e Anna rimasesola. Per sopravvivere incominciò a pro-stituirsi, rimase incinta e dovette aborti-re. Si ammalò e finì in uno degli ospedalidi Roma. Della fiorente ragazza dal senoesplosivo che aveva turbato la mia adole-scenza, nulla era rimasto. Ricordo altre cose poco piacevoli di queltempo: le vie del paese deserte o quasi,perché si erano fermati decine di camioncarichi di truppe marocchine che torna-vano dal fronte. Controllati dagli ufficialifrancesi che portavano in mano lunghiscudisci, non potevano scendere daicamion per bere: erano assetati, ricopertidi polvere. Il getto delle fontana era soloun pisciolo e i marocchini ci gettavano iloro elmetti, pregandoci di riempirli conl’acqua della vasca della fontana dovec’era di tutto: cicche, bottiglie e lattinevuote, pezzi di pane o di frutta, preserva-tivi. Vidi il nascere della democrazia e nerimasi affascinato. I partiti antifascistiaprirono le loro sezioni con simbolidiversi. La sera, nelle sezioni si affollava-no anche centinaia di persone, che discu-tevano di tutto, con una passione e unentusiasmo impensabili negli anni chestiamo vivendo. Ero solo un adolescente,ma sentivo che era nata o stava nascen-do un’Italia diversa da quella fascista. Sono passati da allora sessant’anni, ilfiume dei ricordi continua ancora a scor-rere. Alcuni fatti e alcune persone, comeKarl, non riuscirò mai a dimenticarli. Népotrò dimenticare il vecchio lavoratoreche, in una affollatissima assemblea delpartito comunista italiano, parlava delleingiustizie del passato e indicava la stra-da da percorrere nel futuro per costruireun mondo dove anche i poveri potesseromangiare, essere rispettati e vivere comeuomini e non come bestie.

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lato, mentre l’ufficiale con-tinuava a gridare i suoiordini. Si diressero versola località Fontana Tonda,

appena fuori del paese; salirono con icavalli su enormi camion. Karl mi fece ungesto di saluto.Come racconterò in seguito, sfollai con lamia famiglia a Cellere. Persi l’indirizzo diKarl e le mille difficoltà quotidiane quasimi fecero dimenticare l’angelo biondoche avevo conosciuto nella mia stalla. Il10 giugno 1944 ritornai a Montalto libera-ta. Andai a cercare i miei più cari amici eil primo che trovai fu Umberto Proietti,poi morto a trent’anni in un incidentestradale. Corremmo l’uno verso l’altro, ciabbracciammo e Umberto mi disse subi-to: “Aldo, con le truppe tedesche in ritira-ta, è passato Karl: dimagrito, affamato,sporco. Mi ha chiesto di te, ti saluta, tiabbraccia, spera di poterti vedere ancora”.Karl, nell’inferno del fronte di Cassino,non mi aveva dimenticato: ero stato edero per lui un amico. Restai per un po’senza parole. Poi mi immersi nella felicitàcollettiva dei montaltesi in festa per laliberazione. Crescendo, qualche volta miaccadeva di tornare con il pensiero aKarl. Era un ricordo dolce e caro, che sot-tolineava implacabilmente la barbariedella guerra. Zlata Filipovic, una bambina di Sarajevodi undici anni, scrisse alcuni anni fa undiario stupendo. In una pagina si legge:“Perché sono privata dei miei giochi, deimiei amici, della mia scuola? Perchéhanno rubato la mia infanzia, i miei sogni,le mie speranze”. Il 2 marzo 1944Montalto subì un pauroso bombardamen-to notturno. Sotto la luce di centinaia dibengala, il paese era illuminato a giorno. Imattoni del castello sembravano incan-descenti. Cadde una sola bomba edistrusse una casa di campagna a solicento metri da casa mia. Il mattino dopo,il mio animo subì una lacerazione deva-stante: i miei genitori, durante la notte,avevano deciso di sfollare a Cellere. Erauna mattina nebbiosa, fredda. Sullemacerie della casa distrutta c’era un voloimpazzito di piccioni, in cerca del nidodistrutto. Sul calesse, tirato da un caval-

lo, ero con i miei genitori. Quando ilcavallo cominciò a camminare lentamen-te sulla salita di Terravecchia non riusciia parlare, né a piangere come faceva miamadre. Muto, guardavo la via dove eronato e dove avevo vissuto un’infanziasolare: forse non l’avrei rivista più. Laguerra, come a Zlata, mi toglieva i luoghicari, gli amici, i sogni, le speranze: nau-fragavo nel dolore del mondo con paurae disperazione.I bombardamenti durarono a Montaltofino al 6 giugno 1944: il 9 giugno avvennela liberazione, anche se la notizia dell’oc-cupazione del paese da parte delle trup-pe della V armata americana fu data daqualche giornale nelle cronache dal fron-te del giorno 12. Io ero a Cellere, ma lavissi attraverso gli infiniti racconti che mifecero gli amici: molti si portarono suipalazzi più alti per avvistare le truppealleate che si avvicinavano. Mi disseroche una damigiana di vino fu messaall’entrata del paese per offrirlo ai libera-tori. Non ci furono atti di vendetta, non siebbero morti, nessun atto di ritorsione: imontaltesi vissero con gioia e in pace l’al-ba nuova della libertà e della democrazia.A Montalto avvenne ciò che era avvenutoin tanti paesi e città liberati. L’arrivodelle truppe alleate fu salutato con gran-de entusiasmo perché, oltre a segnare lafine dell’occupazione tedesca, significavascoprire beni che da anni erano ormaiscomparsi o che erano una inimmagina-bile novità: il mitico corned-beef (carne inscatola), coperte da cui si ricavavanocappotti e vestiti, cioccolato, sigarettedai nomi esotici, pane... Si faceva tutto edi tutto per riuscire a impadronirsi diquesti beni, e spesso le ragazze si prosti-tuivano con il consenso delle famiglie.Ricordo la tragedia di Anna, una giovanis-sima napoletana, che era divenuta l’a-mante di un capitano pilota. Le truppealleate avevano costruito un campo diaviazione nella zona dove ora sorge lacentrale. Il capitano aveva preso in affittoper Anna un piccolo appartamento difronte a casa mia. Ogni sera, quando tor-nava dal campo, il capitano portava allasua donna scatole di cioccolata, di carne,sigarette, birra e bottiglie o lattine che

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I l 16 maggio 1944 i lcommissario prefettizio

comunicava al prefetto di Viterbo: “Ieri cacciabombardieri nemici effettuarono una violentaazione terroristica nella periferia e nelle immedia-te adiacenze del paese con bombardamento emitragliamento. Alle 18,10 ci furono un bombar-damento e un mitragliamento nella periferia eall’ingresso del centro abitato: la chiesetta dellaMadonna della Cava è andata distrutta”. Talechiesetta, con un bellissimo portale romanico, sor-geva sul lato sinistro dell’Aurelia, per chi va versoRoma. Una bomba o uno spezzone la prese inpieno e la distrusse quasi completamente. Unadonna fu estratta dalle macerie miracolosamenteillesa. La donna che fece gridare la miracolo fu lasignora Francesca Ottoviani, detta la sòraChecchina. Per lei la chiesa e la preghiera eranoun appuntamento quotidiano. Si salvò rifugiandosisotto un banco. Le macerie le caddero addosso,ma rimase completamente illesa. Molti videro nel-l’incredibile incolumità della sòra Checchina ilsegno di un miracoloso intervento divino.

Il “miracolo” di Madonna della Cava

Montalto di Castro

Effetti dei bombardamentialleati sulla chiesa

parrocchiale diS. Maria Assunta

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... L’8 giugno, dopo variema non impegnative

scaramucce, gli inseguitorigiunsero nelle vicinanze diTuscania, dove furono costret-ti ad arrestarsi perché l’unicavia d’accesso alla città erasotto il tiro nemico. Inoltre, ilponte sul fiume Marta erastato accuratamente minatodai tedeschi: a ridosso delleotto campate erano state allo-cate sedici casse di tritolo, dueper ogni campata, collegate traloro da una miccia.Nonostante la superioritànumerica di uomini e mezzi, gliangloamericani non conosce-vano la reale consistenza dellapresenza dei tedeschi inTuscania, ma erano certi chequesti ultimi ave-vano formato ungruppo compat-to così da realiz-zare una sacca diresistenza. Chefare? Una even-tualità ipotizzatafu quella di com-piere massiccibombardamentiaerei, anche inconsiderazionedel fatto che aTuscania, in loca-lità S.Giusto, esi-steva un aero-porto. In realtà ilgrosso delle for-ze germaniche siera ritirato daTuscania il 7 giu-gno, portandosial seguito alcuniresidenti in gra-do di svolgerelavori di falegna-meria e di mec-canica. L’unicapresenza tedescaa Tuscania consi-steva in talunepostazioni, conpochi uomini vo-tati all’estremosacrificio della vita, predispo-ste per contrastare, ostacolaree rallentare l’efficace avanzataalleata. In particolare le posta-zioni erano quattro. La prima,la più importante, era colloca-ta sul colle di san Pietro e con-trollava tutta la parte sinistra edestra della vallata del fiumeMarta, comprese le strade Vi-terbo-Tuscania e Vetralla-Tuscania convergenti sulponte minato; la seconda, vici-no alla strada di santa Maria,in grado di controllare tutta la

zona della Piastrella e del RioFecciaro; la terza era ubicataall’interno di una torre dellacinta muraria, vicino all’exconvento di san Francesco, econtrollava tutta la valle delMaschiolo e la zona di Pian diMola; la quarta era collocatatra il pianoro del Podere dellaGuerra e la zona del Peschiera,ed era dotata, oltre che di unamitragliatrice, anche di unpezzo d’artiglieria.I dirigenti del partito fascistatuscanese, con a capo Fortu-nato Della Torre, temendo fortiripercussioni da parte dellapopolazione avevano lasciato

la città seguendo i tedeschi.Prima di lasciare Tuscania, tut-tavia, diedero fuoco, nel mezzodella piazza Plebiscito, a tuttoil carteggio del comune relati-vo all’anno 1944; in questocontesto anche il presidiodella guardia nazionale repub-blicana tuscanese veniva smo-bilitato.Durante lo stesso 8 giugno,festività del Corpus Domini, lanostra città veniva colpita, pertre volte, da bombardamentiaerei delle fortezze volanti.

Verso le nove, in piazza PozzoBianco persero la vita MorenaParroncini di un anno, Costan-zo Piergiovanni di 55 anni,Giuliana Berretta di 17, Flavia-no Nicolai di 49, Maria Regni di75, Felice Andreucci di 77,Maria Rossi di 74, GiovanniSerra di 7, Francesca Solinas di38, nonché Bianca e MariaBassanelli. Verso le dieci duebombe furono lasciate caderetra via Canino e via Piansano,giacché gli angloamericani ave-vano avvistato una colonna disoldati tedeschi che si dirigevaverso Piansano; il bombarda-mento non causò alcuna vitti-

ma e non fece danni, in quantoquella zona si trovava in aper-ta campagna ed era priva diabitazioni. Infine altre bombecaddero verso le tredici in viadella Salute, ove perse la vitaSante Marcoaldi di 68 anni. Inpiazza Umberto I (oggi PiazzaMatteotti) persero invece lavita il carabiniere FerindoFerranti di 21 anni, NazarenoSerpieri di 60 e NazarenoPietrini di 74.Il mattino del 9 giugno la popola-zione di Tuscania, temendo

nuove incursioni daparte degli angloame-ricani, aveva lasciato

le proprie abitazioni e si era rifu-giata nei canaloni ed anfrattidella vallata compresa tra ilMaschiolo e Pian di Mola, piano-ro del Peschiera e Podere dellaGuerra. La città era semideserta,erano rimaste solo le postazionidei tedeschi e tutto intorno siregistrava una calma surreale; lapopolazione viveva in un’attesaspasmodica quando nel cieloapparve una cicogna americanache volteggiava in avanscoper-ta, scrutando dall’alto il trattocompreso tra la Piantata e lavalle del Marta. Tutto questostava ad indicare che le truppeamericane erano vicine.

I componenti della banda par-tigiana Matteotti si eranonascosti in una grotta di Piandi Mola. A questi si era unito ilgiovane Franco Basile, un sol-dato sbandato nativo di Taran-to il quale, essendo il più gio-vane, fu incaricato dagli altri direcarsi ad attingere dell’acquapresso la fonte di S.Angelo.Tuttavia, mentre scendeva avalle con il fucile a tracolla, lapostazione tedesca che era sulcolle di S.Pietro lo notò e gliscaricò contro una raffica di

SPECIALEpassaggio del fronte

Tuscania LuigiTei Quel pomeriggio

del 9 giugno 1944

Tuscania in tre immagini dell’epoca: Porta S. Marco, piazzale Trieste,veduta panoramica

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mitragliatrice,uccidendolo.Poi si seppeche anche due

operai cornetani - GiovanniCanali e Domenico Santucci -

dipendenti dell’azienda Bru-schi Falgari alla Carcarella,avevano perso la vita nel ten-tativo di recuperare del bestia-me requisito, uccisi dai tede-schi in ritirata.

In località Pali di Ferro una pat-tuglia americana in avansco-perta fermò i concittadini UgoCapati e Luigi Fiorani, i qualifurono condotti alla presenzadei comandanti alleati che sta-

zionavano in località S. Po-tente. Un soldato americano,certo Stromb, riconobbe ilcarabiniere Capati per averloincontrato a Bolzano, ove lostesso prestava servizio prima

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Dopo l’8 settembre del 1943, quandol’Italia chiese l’armistizio, a Tuscania arrivaro-no i tedeschi. Si stabilirono nei sotterranei del-l’edificio scolastico di viale Trieste e in qualchealtra abitazione nel centro storico. Fu requisitolo stabilimento Moretti, oggi supermercatoCoop, dove fu allestita una grande officina perla riparazione delle auto. Un’altra officina fuorganizzata all’aperto in località Sughereto evi furono portati a lavorare tutti i meccanici diTuscania, me compreso. Fui sorpreso dallagrande organizzazione che ancora regnavain quell’esercito, nonostante le sorti della guer-ra volgessero al peggio, tanto che noi operaivenivamo retribuiti con una modesta paga e,la sera, con lo stesso rancio dei tedeschi (panenero e salsicciotti) e sigarette. Come presenza bellica, i tedeschi allestironodue campi di aviazione, uno nella tenuta diSan Giuliano, l’altro in località San Giusto. Vierano circa trenta apparecchi Messerschmitt,gioielli dell’aviazione tedesca, che operavanosul fronte di Cassino. Di ritorno dalle missioni ipiloti venivano mandati a riposare in caserequisite all’interno del centro storico. Una diqueste fu la casa dei Litardi in via Roma(sopra Oromania) le cui finestre comunicava-no con la mia abitazione.Così avevo modo di parlarecon i due attendenti prigio-nieri russi che parlavano unpo’ l’italiano. Un giorno uno di loro midisse che al ritorno da unamissione su Cassino un pilo-ta aveva disertato l’attacco(anche i piloti, come gliapparecchi, erano ormailogorati da lunghi anni diguerra). Di ritorno dalla mis-sione, quindi, il capo squa-driglia gli era andato incon-tro e lo aveva freddato condue revolverate: tragediedella guerra! La presenza tedesca aTuscania non fu cattiva. Incambio del nostro buon vinoricevemmo medicinali equalche tanica di benzina.Con lo sbarco degli ameri-cani ad Anzio i tedeschilasciarono il nostro paeseper andare a combattere al nord. Per finirequella guerra che la maggioranza degli italia-ni non aveva voluto perché assurda. Si diceche la storia sia maestra di vita, ma quei capidi governo di allora non tennero conto di que-sto: come si poteva immaginare un’Europasotto due dittature? Sarebbe divenuta un teatrodi continue insurrezioni, perché ogni popolovuol vivere nella sua libertà e nella sua auto-nomia. E poi l’Italia non aveva bisogno diquella guerra. Il fascismo, emulo dei principidell’antica Roma, aveva “migliorato” tutte lecolonie portandovi strade, ospedali, scuole,piantagioni. In Libia era stata addiritturastrappata la terra al deserto dando dei poderiai contadini. Desio aveva addirittura scoperto

il petrolio, che tuttavia nonpoté essere estratto non aven-do a disposizione sonde perarrivare a settemila metri

(furono poi costruite dalla Pignone di Firenzenegli anni ‘50). E così, se anche, col tempo, lecolonie avessero riavuto la loro autonomia,noi per qualche decennio avremmo goduto diquei frutti, di quei vigneti che con tanto sacrifi-cio avevamo piantato. E l’Italia, che il fascismosognava come il giardino e il museo galleg-giante d’Europa, si sarebbe avvantaggiata diqueste ricchezze. Sogni sciocchi che, si dice, muoiono all’alba.Per gli italiani quei sogni morirono all’albadell’entrata in guerra, quella guerra nellaquale anch’io, con riluttanza, persi tre annidella mia giovinezza. ...Nel mese di giugno 1944, quando gli ameri-cani avevano già liberato Roma e si sapevaimminente anche la liberazione di Tuscania, ituscanesi iniziarono a sfollare nelle campagneper non trovarsi in mezzo al teatro di guerra.Tanta gente trovò rifugio nelle grotte dellaPeschiera, tanti in quelle di Pian di Mola doveavevo un terreno con una enorme grotta (condue ingressi, uno dei quali dà sull’attuale mat-tatoio comunale ndr) dove trovarono rifugioper qualche giorno più di 500 persone. Siapprontarono letti, cucine, insomma ci si

arrangiò alla meglio mentre il clima estivofavoriva la permanenza. Era già iniziata la ritirata tedesca quando unamattina gli aerei americani lanciarono alcunebombe sul nostro paese: una cadde proprionei pressi dell’attuale piazza GiacomoMatteotti facendo alcuni morti. FrancescoMusi, un mio parente, rimase sotto le macerie.Essendo ancora vivo, si accorse subito perliberarlo. Tra i soccorritori ricordo un giovaneragazzo, alto, che con la forza delle bracciasollevò alcune travi di legno. Quel ragazzo sichiamava Franco Basile, era sfollato dallacaserma dei granatieri di Viterbo ed era unpartigiano. Il giorno successivo, mentre beveva

alla fonte di S. Angelo, nei pressi del torrenteMaschiolo, fu riconosciuto per il fazzoletto alcollo da un tedesco che, indicandolo a dito, glistrillò: “Tu partizan” e gli sparò un colpo difucile a bruciapelo uccidendolo. La salma fupoi riportata al paese natio dai genitori.Tuscania gli ha dedicato una piazza con tantodi lapide nei pressi del comune. Il giorno che precedette la liberazione i tede-schi fecero saltare il ponte sul fiume Marta, eper tutto il giorno, sulla strada che passandoper l’attuale mattatoio arriva alla cartiera,transitò un’intera armata in ritirata. Eranocirca le 6 del pomeriggio e mi trovavo nellagrande grotta di Pian di Mola che fora il colleda parte a parte affacciandosi sulla strada,quando arrivarono da noi, salutati festosa-mente, una decina di partigiani armati di fuci-le. Quando si diressero verso l’altra uscitadella grotta cercammo di fermarli: diecimoschetti contro un’armata non avrebberorisolto nulla e la rappresaglia tedesca sarebbestata tremenda. Così prevalse il buon sensoanche se a un partigiano partì un colpo difucile. Subito i tedeschi girarono un cannone88 verso di noi e spararono un colpo cheandò a colpire, fortunatamente, poco al disopra della grotta, incendiando alcune sterpa-glie e una pianta di ulivo di cui sono tuttoravisibili i quattro rami rinati dalle sue radici.Completata la ritirata i tedeschi fecero saltare

anche il ponte della cartiera.Verso le 11 della mattinadel 9 giugno vedemmo arri-vare dalla strada perVetralla, nei pressi di SassoPinzuto, i carri armati ame-ricani che si fermarono inattesa di trovare un guadosul fiume Marta. Furono aiutati da duecoraggiosi tuscanesi, UgoCapati e Luigi Fiorani, che,nonostante gli spari di unamitraglia tedesca provenien-ti dal colle di San Pietro,salirono sui carri armatialleati e li guidarono alguado di Campo della Fiera(dove arrivava la Clodia,nei pressi del depuratorendr) in modo che potesseroraggiungere il paese accoltida applausi e lanci di fiori. La vita interrotta da quei tri-sti avvenimenti riprese frene-ticamente: si avviò la mieti-

tura (con la benzina super per le trebbiatriciportata dagli americani), si rivide il panebianco. Piano piano arrivarono i soldati daivari fronti di guerra e dai campi di prigionia,molti non tornarono più. I lunghi anni di guer-ra avevano messo a terra la nostra economia:mancava tutto. E così fabbricammo i bicchiericon le bottiglie di birra degli americani, furonocostruiti tanti utensili da cucina, come conche eramaioli, coi serbatoi di alluminio degli aereiabbattuti, con i bossoli dei cannoni facemmo ivasi per il cimitero. Insomma, si riciclò un po’di tutto. Nel giro di qualche anno si ritornòalla normalità, grazie agli aiuti degli america-ni.

AlfredoStendardi

L’enorme grotta di Pian di Mola dove, nei giorni del passaggio delfronte, trovarono rifugio più di 500 persone

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Alfredo racconta...

Tuscania

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dell’8 settembre 1943. Quindilo Stromb, che parlava italia-no, chiese notizie circa la pre-senza dei soldati tedeschi aTuscania. Capati fece presenteche la città era deserta e lapresenza dei tedeschi consi-steva soltanto nelle quattropostazioni. Dopodiché condus-se gli americani in localitàGuado Cinto, ove segnalò illuogo ove il fiume Marta pote-va agevolmente essere guada-to per entrare a Tuscania. Inquesto frangente si udì il ru-more di una moto condotta daun soldato tedesco che prove-niva dalla strada sterrata diVetralla. Diretta verso Tusca-nia, la moto attraversò il ponteminato e il milite dopo esseresceso dal mezzo accese la mic-cia collegata al tritolo postoalla base delle campate delponte per farlo saltare. Il di-spositivo si innescò anche senon dette il frutto sperato,giacché crollarono solo alcunecampate poste sulla destra,impedendo, comunque, l’ac-

cesso dei mezzi.Nel frattempo l’ar-

mata americanaraggiungeva lalocalità SassoPizzuto perscendere ver-so il fiumeMarta, e per

agevolare lacostruzione di

un ponte “sag-giò” il terrenosparando conl’artiglieria e i

cannoni leggeri contro even-tuali postazioni tedesche chepotevano annidarsi lungo ilcostone della Piastrella, dellacontrada del Leone, il poligonodi tiro ubicato in localitàMadonna dell’Olivo, la torrecivica del Bargello ed infineverso la località la Moletta. Inquest’ultima località un carrar-mato leggero americano colpìla postazione tedesca annidatanella cinta muraria vicinoall’ex convento di S. Francescouccidendo i due tedeschi. Conl’impatto, il proiettile formònumerose schegge ed una diqueste colpì alla testa la sor-rentina Elena Pontecorvo, cheaveva appena ventun anni emorì all’istante.Costruito il ponte, gli angloa-mericani si mossero verso ilcentro abitato seguendo duedirezioni: la prima attraversan-do il centro abitato da portaS.Leonardo, piazza del Plebi-scito, via del Rivellino, piazzaRegina Margherita, via Cavoure via Marconi passando sottola porta di Montascide; e l’altrada Guado Cinto verso Campo

della Fiera, la strada dellaPiastrella, Rio Fecciaro giun-gendo così nell’attuale vialeTrieste. Alle quindici del 9 giu-gno gli angloamericani entra-rono a Tuscania.L’entrata delle truppe trovò lacittà semideserta, ma alla noti-zia che la città era sta occupa-ta dagli angloamericani i tusca-nesi uscirono dai nascondigli erimasero affascinati dallenovità che apparvero ai loroocchi, ed in particolare dallanotevole quantità di mezzi(motociclette, jeep, camion,mezzi blindati e cingolati). Abordo dei mezzi bellici e gri-dando paisa’, i soldati gettava-no agli astanti gomme damasticare, cioccolatini, biscot-ti, caramelle e sigarette. Unvero spettacolo di forza e ditimore! I tuscanesi conobbero

per la prima volta il pane bian-co, la carne in scatola, legomme da masticare e le cara-melle confezionate in piccolicilindri. I tuscanesi, a lorovolta, offrirono ai soldati vino,rosolio, maraschino, le tipicheciambelle al vino, le crostate esvariati altri tipi di dolci.A bordo del suo calesse, ilpodestà di Tuscania Chiampansi dirigeva da Montebello, ovesi trovava la sua abitazione,alla casa comunale. Nei pressidel viale Trieste fu accoltodalla popolazione con insulti,tanto da dover essere preso incustodia dagli americani ericondotto a Montebello sottoscorta. Al suo posto vennenominato sindaco il dottorBeno Gessi, veterinario roma-gnolo arrivato qui nel ‘27, ap-passionata figura di antifasci-

sta che aveva sofferto il confi-no in Sardegna e più volterischiato di persona per soc-correre i pi-loti ameri-cani abbat-tuti. Il gene-rale Clarckcostituì ilp r o p r i oq u a r t i e rgenerale avilla Pieri enel villinoM o r e t t i ,dove si feceil punto del-la situazione e le forze alleatefurono riorganizzate per il pro-sieguo dell’avanzata.

Estratto dal lavoro in allestimentodello stesso autore

“La seconda guerra mondialevissuta a Tuscania”

SPECIALEpassaggio del fronte

Il carabiniereUgo Capati

Le fasi del-la lunga

guerra, pri-ma, e ledrammat i -che opera-zioni per laliberazionedel territo-rio, succes-sivamente,c h i e s e r oalla popola-zione di Ca-nino, giàgravata damali antichi,un ulterioreprezzo, as-sai pesante,soprattuttoa partiredalla fine del 1943 e fino alla prima metà del1944. Dopo l’8 settembre si avvertirono leprime avvisaglie del caos in cui stava perpiombare il paese: il 25 ottobre la locale stazio-ne dell’arma dei carabinieri si era sciolta e imilitari avevano abbandonato la caserma. Ilpodestà, Pompeo Archibusacci, per far frontealla imprevista grave situazione provvedevaalla costituzione, per la sola durata dell’ecce-zionale momento, di un corpo di agenti di poli-zia ausiliari denominato Guardia civica, a cuiveniva affidata la tutela dell’ordine pubblico.Ne erano componenti Domenico Catanesi,Paolo Boninsegna, Ugo Mazzetti, NataleSaltoni, Maruzzo e Aurelio Ambrosini. I nuoviimprovvisati tutori dell’ordine pubblico pren-devano alloggio nel locale già ad uso dellacaserma dell’arma in via Tuscania. Agli agentiveniva richiesta la conoscenza delle leggi e deiregolamenti di polizia. Il comandante era auto-rizzato a portare una rivoltella; le guardie,

munite di moschetto o di fucile da caccia, ave-vano come distintivo un bracciale bianco conla dizione in nero POLIZIA.Anche nella tenuta di Musignano, di proprietàdel principe Carlo Torlonia, vi era una stazionefissa di carabinieri che provvedeva al manteni-mento dell’ordine pubblico e alla protezionedell’ingente patrimonio di questa vasta tenuta,ove vivevano numerose famiglie ed operai.Anche qui, all’abbandono da parte dei carabi-nieri, fu creata una guardia civica. Il principe sifece carico degli oneri relativi. Il corpo di guar-dia era composta da Vincenzo Motolena, ItaloSetaccioli, Carmelo Pirella e Aristide Salucci. L’altro fatto nuovo era la presenza dei tede-schi, più massiccia e più severa nella fase fina-le della guerra. Il comando militare tedesco siera insediato nel territorio occupando alcunepostazioni in via Garibaldi, in piazza DeAndreis, in Via Cavour e in località Carnecotta;nei pressi di Riminino, in una zona pianeggian-

Canino RobertoSelleri “Ohì, venite su,

so’ arrivate l’americane!”

Beno Gessiprimo sindaco

di Tuscania liberata

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te, avevano ricavato unaeroporto. Per i collega-menti con gli altri repartiavevano montato un pon-

te radio in località Mausoleo. A Mu-signano e Riminino c’erano i depositi dimunizioni. Nella centrale piazza Valentiniavevano piazzato un posto di guardia conla garitta. I caninesi, prima che le coseprecipitassero drammaticamente, sierano abituati alla presenza dei tedeschie con essi avevano stabilito un rapportodi convivenza abbastanza cordiale: i sol-dati erano generosi con i bambini eintrattenevano rapporti, nel complesso,rispettosi anche con gli adulti. Ma nellaprimavera del ‘44 le cose cominciarono acambiare. I bombardamenti su Viterbo,Civitavecchia, Montalto e le voci di possi-bili attacchi anche contro il paese comin-ciarono a seminare paura e allarme pres-so la popolazione, che cominciò a trasfe-rirsi in luoghi più sicuri, nelle cantine enelle numerose grotte sparse nei dintornidel paese. Tutti erano convinti che il peg-gio stava per arrivare. Il paese, ormaisemideserto, alimentava un senso dismarrimento e di paura. La presenza delcomando tedesco, i depositi di armi face-vano temere prossimi bombardamenti edesplosioni.Tra gli sfollati si affermarono nuove esi-genze e conseguenti “virtù”: alle tessereannonarie e alla carenza di generi alimen-tari si ovviava con spedizioni notturneper procurarsi un po’ di formaggio, favet-te, frutta e ogni cosa commestibile; uncerto Trifone forniva in nero tabacco;Nunzio era particolarmente esperto nelricavare grotte-rifugi nel masso tufaceosu cui poggia Canino. Ogni genere ali-mentare era a rischio e andava protetto

con somma cura e con ogni mezzo.Bisognava difenderlo dalle insidie dinumerosi predatori, compresi i volatili. Ifortunati padroni di un campo di granoarruolavano ragazzini per scanasciare gliuccelli con un campano. Fortunato erachi disponeva del maiale, un animale par-ticolarmente generoso, di cui si scartava-no soltanto l’ugne.Anche la situazione igienico-sanitaria siera aggravata. Tra il ‘43 e il ‘44 si era regi-strato un alto numero di casi di tifo e dimalaria riconducibili per buona parteall’impossibilità di provvedere a un rigo-roso isolamento dei colpiti, alle precariecondizioni igieniche, alla mancanza dibonifica delle acque stagnanti a valle del-

l’abitato e ad una inadeguata profilassidurante il periodo di guerra. E arriviamo al 1° maggio del ‘44. Alcuniuomini stavano organizzando, per quelgiorno, un tempo festa dei lavoratori, unafesticciola tra gli sfollati, mentre le donnestavano componendo con i fiori un WMARIA per farne omaggio alla Madonna.Quel giorno di festa e di devozione fufunestato dal primo bombardamento chesi abbatté sull’abitato di Canino. Il fabbri-cato di Frigola fu raso al suolo. Altre abi-tazioni subirono lesioni più leggere.Persero la vita Benedetta Mancini, MariaFrigola, Maria Scarponi, il piccolo MarioPiermattei, Franco Marcoaldi di 3 anni,Augusta Ghezzi, Maria Tortolini eAntonia Boninsegna. Ecco come ricordaquel giorno il maestro e poeta LinoVenanzi:

Tepida sera di Maggio;di rondini lieto garrir;... Improvviso su nel cielorombo s’ode di motori;alziam gli occhi e un geloor astringe tutti i cuori.Un sibilo laceranteammutolisce ogni astante.

All’Arena di macerieun gran cumulo e nerapolve; infinita congeriedi mobil, stoviglie: feravision. Sparsi ovunque stracciframmisti ai calcinacci.

Urla, grida, invocazione;è deserto ora il Paese,nesun ha esitazioni.Cessan gli odi e le contese.Nel periglio affratellatici siam tutti ritrovati.

Nelle grotte di Caninoattendiamo il destino.

Per andare incontro alle famiglie deicaduti che hanno subito gravissimidanni, il podestà eroga un contributo per

le spese ospedaliere delle persone feritee per la copertura delle spese di funeraleper i morti, in tempi normali previsti sol-tanto per coloro che sono iscritti nell’e-lenco dei poveri.Il 7 giugno terminava la gestione diPompeo Archibusacci e iniziava quelladel commissario Lorenzo Bresciani, cherimarrà alla testa del comune fino al 15luglio, quando gli subentrò il sindacoTommaso Alessandri, componente delComitato di liberazione Canino. Dopo l’occupazione di Roma le truppebritanniche, americane ed alleate prose-guirono l’avanzata verso nord. Con sor-prendente rapidità occuparono primaCivitavecchia e il 9 giugno Viterbo. Il 10 itedeschi si erano allontanati da Canino.Alle 7 e mezza circa di quel giorno daPiazza Rocca una voce urlò in direzionedegli sfollati sistemati in basso, lungo lavalle di S. Moro: “Ohì, venute su, so’ arri-vate l’americane!”. Anche questa giornatainiziò all’insegna della festa. Le campanesuonarono a distesa. La popolazione siriversò per le strade. Gli americani eranonella piazza centrale circondati da gentesul cui volto si leggeva un’incontenibilegioia. Lasciamo la parola al solito testi-

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Tesseradelprigioniero Girolamo Peretti,fratellodi Benedetto(vedi)

ElioMancinieBenedettoPeretti,vittimedelcannoneg-giamentodel10giugno1944

Tessera annonaria con i bollini per l’acquisto razionato di generi alimentari (in questo caso, pane)

Canino

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mone, il maestro e poeta LinoVenanzi, che così descrivel’arrivo degli angloamericani:

Sferragliar di cingolatialla Piana; carosellodi jeep, rombo di motori,secchi comandi or dati.Liete grida: è un macellod’acclamazioni. Nei cuori

torna la festa a Caninoché gli Alleati dal Tufo,dalle Mosse, da San Vito,incluso il Cerro vicinoson arrivati; or il gufocessa il grido nel suo sito.

S’ode sol lo scampanìolieto della Collegiata.Paisa’, fanciulle pazzedi gioia nel tramestìo,ragazzi nell’infioratadi gomme in vie e piazze.

Ma rintocca il campanone:è mezzodì. Alla parcamensa ognun ora ritorna.Oggi si fa libagioneperò, lieti, quando si varcala soglia: tutto s’adorna.

Ma la guerra non era ancorafinita. Un ufficiale delle trup-pe americane, preoccupatoper la presenza di tanta gen-te, fece chiamare il parrocodon Giovanni Severi pregan-dolo di far allontanare tuttaquella gente. Il reparto ameri-cano era in prima linea e sitemevano reazioni da partedei tedeschi. Reazioni chenon si fecero attendere. Ungiovane seminarista, ElioMancini, di 17 anni, era venu-to a festeggiare il giorno dellaliberazione. Poi si recò dalparroco. E mentre suonava ilcampanello della canonica fucolpito in pieno da una grana-ta lanciata dai tedeschi atte-stati nei pressi di Cellere. Itestimoni di quel tragicoevento non si sono ancoraliberati dalle immagini di quelcorpo smembrato né potran-no dimenticare il grido didolore della madre Speranza,accorsa a ricomporre il corpodel suo unico, adorato figlio. Itedeschi, poi, cannoneggiaro-no contro il campanile dellacollegiata provocando lamorte di Benedetto Peretti,Gorizia Imperiali e AntonioCalamita. Il bombardamentoprovocò anche danni al tea-tro comunale e alla vicinascuola elementare.La guerra era finita. Era finitol’incubo per la nostra popola-zione; iniziava una stagione diimpegno e di speranza. Quel-l’aria mite e tiepida di tardaprimavera di quel giorno siarricchì di un enorme sospirodi sollievo.

Otto settem-bre milleno-

vecentoquaran-tatré: in tutto il paese risuonano i rintocchi dellecampane della chiesa di San Felice, le ragazzeescono in strada e ballano ridendo e abbraccian-dosi tra loro. La radio dell’ufficio postale haannunciato l’armistizio. “La guerra è finita!”, gri-dano le giovani; ma un anziano che passa per lapiazza le guarda e scrollando la testa sconsolato,le ammonisce: “Mattarelle! Che ridete, mo’ comin-cia la guerra”. Non aveva tutti i torti, la storia celo avrebbe ampiamente dimostrato, purtroppo:ma Tessennano, per sua fortuna, fino ad alloranon aveva subito danni significativi e gli effettidella guerra erano giunti sempre in maniera piut-tosto attutita; forse anche per questo era facileinneggiare alla fine del conflitto in quel momento. Certo, molti uomini erano partiti per il fronte e ilpensiero, le preoccupazioni andava-no spesso a questi padri, mariti, figlidei quali per lungo tempo non si rice-vevano notizie; ma a parte questo lavita nel paese non aveva subito altrisconvolgimenti così rilevanti. Leragioni politiche, le motivazioni ideo-logiche erano qualcosa di molto lon-tano che avveniva altrove, che colpi-va profondamente forse solo quantierano direttamente coinvolti loromalgrado, magari proprio per la par-tenza di un congiunto. Per molti altrila guerra aveva portato anche, mi siperdoni il paradosso, dei “diversivi”.Nella zona di San Giuliano i tedeschiavevano creato un campo d’aviazionedove anche molti tessennanesi aveva-no trovato lavoro: il locale che inpaese è conosciuto ancora oggi come“il garage di Massimo dell’Anacleta”serviva da ufficio di collocamento, lochiamavano Arbeit (in tedesco lavo-ro) e lì venivano riunite e scelte lepersone che dovevano andare a lavo-rare nel campo d’aviazione insieme aisoldati tedeschi. La sera in piazza non era difficilevedere alcuni di questi giovani, ancheloro in tanti casi strappati alle propriecase per andare a combattere una guerra lonta-na, che cercavano di solidarizzare con le ragazzedel posto aiutandosi con un italiano stentato: “Tusomigliare mia madre, mia sorella...”. Non c’eramalizia in questo; io credo ci fosse la nostalgia dicasa, dei propri cari, di cui tentavano di ritrovarei volti tra queste persone semplici e non ostili, inquesto ambiente piccolo e che proprio per que-sto ti dava subito una sensazione di famiglia.Neppure la fame, altra triste protagonista di ogniguerra, si fece sentire in maniera così forte comealtrove; ma questa fu una caratteristica di tutti ipiccoli centri rurali che in quel periodo si rin-chiusero, come dice Indro Montanelli nella suaStoria d’Italia (vol. IX, Milano 2004), “in una pove-ra autarchia alimentare”. In qualche modo ognifamiglia riusciva a trovare il proprio sostenta-mento avendo a disposizione un orto o qualcheanimale, mentre i grandi centri urbani ricorreva-no a primitivi mezzi di commercio sobbarcando-si lunghi tragitti alla ricerca di generi alimentari.Anche a Tessennano arrivava gente da Roma allaricerca di farina, carne, uova da smerciare almercato nero, portando in cambio zucchero,coperte militari, stoffe.Il sentore più forte della guerra a Tessennano fu

la paura: sottile, impalpabile, ti accompagnavadiscreta durante il giorno per poi attanagliartialle prime ombre della sera e restarti compagnaper tutta la notte. A volte il cielo s’illuminavadella luce dei bengala cui seguiva il fragore dellebombe lanciate in lontananza: la paura dei bom-bardamenti notturni spingeva la gente a passarela notte nelle cantine o nelle grotte del Palliccio,perché nessuno poteva dire se prima o poi unadi quelle bombe avrebbe colpito ancheTessennano. Nel 1944 due cacciabombardieriamericani, gli stessi forse che sono conosciuti daaltre testimonianze e che sembra si dirigesseroverso il Grossetano, transitando sopra il campod’aviazione di San Giuliano furono colpiti daterra e ingaggiarono così uno scontro a fuoco

con i tedeschi. La gente che lavoravanelle campagne intorno aTessennano, Canino, Arlena, siritrovò terrorizzata in mezzo al crepi-tare dei colpi e cercò riparo comepoté. Chi si gettò a terra, chi nei fossi,chi fuggì in ogni direzione. Alla finedello scontro fu quasi un miracolo ilpoter constatare che l’unico cadutoera stato il somaro di TommasoGnola. Neppure durante la ritirata avvenne-ro episodi drammatici: il paese videsfilare prima gruppi di tedeschi sfinitiche almeno in una occasione siaccamparono per qualche giorno inuna delle case più grandi diTessennano per poi ripartire cercan-do di portar via, a volte acquistando,quello che potevano: maiali, pecore,biciclette... Si vide passare anche ungruppo di americani che, arrivandoprobabilmente dalla linea lungo lacosta, si andava a ricongiungere conle truppe che transitavano lungo laCassia. Le manifestazioni di giubiloquel giorno non furono molte comealtrove, perché gli americani eranostati preceduti dalla fama delle trup-

pe marocchine e le donne, per paura,rimasero tutte in casa a spiare da dietro le per-siane quello che succedeva, mentre in stradarestarono spettatori solo gli uomini. Per sua fortuna Tessennano restò fuori anche daquei tragici regolamenti di conti che insanguina-rono l’Italia nell’ultimo periodo in modo spessoferoce e spietato; in definitiva l’isolamento diquesto paese, la sua posizione al di fuori dallestrade di principale transito ne hanno probabil-mente decretato la salvezza e hanno fatto sì che,come era iniziata, la guerra finisse senza troppiscossoni o irreversibili rivolgimenti. Gli uominitornarono alle loro case a volte con molta diffi-coltà, chi prima chi dopo: ne mancarono seiall’appello, ma la vita pian piano riprese il suocorso normale e presto tutto divenne solo ricor-do, un ricordo che ognuno di noi ha il dovere diconservare e di trasmettere alle generazioni futu-re nella speranza che l’uomo di domani, memoredel passato, sia un uomo capace di costruire,creare, dialogare, di rispettare il suo simile senzamai più ricorrere a logiche folli di morte e distru-zione.

Ringrazio con affetto per le loro testimonianze Marietta Balsi, Giovanni Crocetti, Mario Manetti

SPECIALEpassaggio del fronte

Tessennano SaraCostantini “Che ridete!,

mo’ comincia la guerra!”

Tipi di marocchini

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Ciò che rimane della guerra,oltre il rigoroso racconto

della stria, sono i ricordi spes-so dai contorni alquanto incer-ti, custoditi nella memoriadelle sole persone anziane chetalvolta connotano i fatti piùche sulla base di personaliesperienze, sul filo di una sto-ria raccontata da spettatoriormai scomparsi. Tuttavia laricostruzione della esperienzabellica vissuta dalla popolazio-ne cellerese nel corso dell’an-no 1944 è stata alquanto age-vole, attingendo tanto ai ricor-di esaurienti e rigorosamentecerti di alcuni anziani, quantoalle personali esperienze del-l’allora parroco di Cellere donAntino Pianeselli, conservatein una sua vecchia pubblica-zione che raccoglie un insiemedi racconti, poesie, storie ecuriosità di quel tempo.Il primo tragico avvenimentoche coinvolse il paese risale al31 ottobre 1943 quando, nellatarda mattinata di una domeni-ca di sole, un camion carico di

tedeschi provenienti da Civi-tavecchia raggiunse l’ingressodell’abitato appena dopo ilcimitero. Ne scesero alcunedecine di soldati in assetto diguerra che si divisero in tresingoli gruppi: il primo si dires-se verso il pianoro dell’Antea,il secondo occupò il crinaledella zona delle vigne delFornetto distribuendosi nel ter-ritorio verso sud fino a com-pletare, congiuntamente alprimo gruppo, l’accerchiamen-to del paese nella zona pressola chiesa della Madonna delleGrazie. Il terzo gruppo di sol-dati, invece, si mosse nel con-tempo all’ingresso dell’abitatoproseguendo per la stradaprincipale. Inizia così il rastrel-lamento casa per casa nelquale gli uomini vengono pre-levati, raggruppati e guardati avista dai tedeschi in diversearee del paese: a piazza Fanti,a piazza Umberto I e a piazzaCastelfidardo presso il centrostorico. Il timore era quelloche i tedeschi intendessero

reperire mano d’opera daavviare a necessari lavori dimanutenzione di strade, pontie ferrovie bombardate o,ancor peggio, da deportare inGermania. In realtà, l’operazio-ne militare era finalizzata allaricerca di ex soldati già prigio-nieri dei tedeschi che gliangloamericani avevano libe-rato dopo l’ 8 settembre e chesi erano rifugiati nelle areerurali del territorio celleresecontrollate dall’esercito ger-manico. Ovviamente la presen-za di ex combattenti italianisbandati dopo l’armistizio e dimilitari alleati nascosti dietrole linee nemiche, produsse lareazione di alcuni fascisti (lecosiddette autorità locali), iquali non gradirono che lapopolazione desse aiuto agliex prigionieri e chiesero l’in-tervento delle truppe tede-sche.Iniziò quindi una meticolosaperquisizione casa per casaprocurando in tal modo enor-mi preoccupazioni a coloroche effettivamente, per motiviesclusivamente umanitari, ave-vano aiutato o addiritturaospitato militari alleati o exsoldati italiani sbandati. Tra gliaccadimenti di maggiore inte-resse avvenuti in tale contestovi è quello descritto dal parro-co don Antino che rappresentaesaurientemente le preoccupa-zioni, la paura ed i rischi pro-pri del conflitto bellico e che, aconferma di come la guerratrascenda i confini del drammaumano, viene riportato inte-gralmente:Benché il pranzo fosse prontoed io fossi digiuno dalla seraprecedente, preoccupato chequalche cosa di serio si stavasvolgendo, non toccai cibo. Vidimia sorella preoccupata; e midisse: “ I tedeschi vanno a per-quisire le case e noi con queiprigionieri che si fa?”. “Nascon-diamoli in un posto più sicuro”,le risposi. “ In soffitta! - mi disse- che è il posto più sicuro: ilsolaio è a cassettoni e non cisono le scale per andarci come

le case dei ricchi nei secoli pas-sati”. Mia madre, assai preoccu-pata, mi disse: “Questo che faiè un grande rischio: se i tede-schi trovano i prigionieri ci am-mazzano a tutti e brucerannoanche le casa”. “Dio ci aiute-rà...”, le risposi. Maria procuròuna scaletta, io feci venire i dueprigionieri e poi, poggiata lascaletta sopra il tavolo ancoraun po’ umidoccio della cucina,tolta la botola di chiusura dellasoffitta, prima entrò il più snel-lo, giovanissimo inglese, e poil’altro, un sudafricano un po’tarchiato e grassotto che a sten-to poté entrare con una certadifficoltà; volle unirsi ai dueanche lo sfollato RaffaeleValente di Civitavecchia, inlicenza dal servizio militare, enon più ripartito dopo l’8 set-tembre: motivò la sua richiestadi nascondersi in soffitta dicen-do: “Sono giovane, io i tedeschili conosco bene: chissà che nonmi prendano per portarmi inGermania?”. Vedendo che itedeschi perquisivano casa percasa, stemmo in trepida attesa.Intanto mio padre insieme alpadre di Raffaele se ne stavanotranquillamente seduti sullasoglia del portone esterno d’in-gresso, fumando serenamentecon la loro pipetta. Vennerodue tedeschi per l’ispezionearmati di tutto punto: divisamilitare al completo con elmet-to e sottogola, mitra, pugnale,pistola, una bandoliera perbombe a mano ed un’altra cari-ca di proiettili per il mitra: nonavevo mai veduto un soldatocosì armato: ne ebbi un istintivosenso di ripugnanza e nellostesso tempo anche quasi dipaura. Uno dei due si fermò diguardia sulla soglia della portad’ingresso della casa al terminedella gradinata, l’altro entrò incasa. Io mi qualificai comePastore della parrocchia mo-strando anche i documenti; lofeci entrare nello studio e poinel salottino contiguo dove glipresentai don Antonio Fantiche, da poco terminato di pran-zare, stava pregando col brevia-

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Cellere PaoloDe Rocchi

Lutti, sofferenze,paure e vendette

La notizia dell’armistizio, firmato il 3 settembre 1943 ed annunciato il giorno 8 successivo

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rio: il tedesco di ispezioneguardò nel salottino, nello stu-dio e nella camera attigua, aprìl’armadio, alzò le coperte delletto e poi tornò nel corridoio:gli aprii il bagno dove purebene guardò; io poi, parlando avoce alta perché mi sentisserobene i tre nascosti in soffittacon i quali ero già d’intesa che,quando avessero sentito la miavoce, era segno della perquisi-zione dei tedeschi e stesseroperciò ben quieti, lo accompa-gnai negli altri quattro vani.Salottino cucina e le due came-re attigue. Ebbe così fine l’ispe-zione e, come a Dio piacque,tutto andò bene. Tra gli uomini

rastrellati non trovarono i pri-gionieri che cercavano; e lilasciarono perciò tutti liberi.Dalla finestra della cucina io lividi molto bene ed attesi che sene andassero. Lasciata cheebbero la zona, feci scenderedalla soffitta Raffaele con glialtri due prigionieri; con i pri-gionieri mangiai qualcosa an-ch’io. Dopo che ci fummo rifo-cillati alquanto, e quando ebbila sicurezza che i tedeschi ave-vano lasciato il paese, invitai iprigionieri ad andarsene facen-do loro indicare la via per ilritorno verso Pianiano.L’operazione di rastrellamen-to, che si concluse nella stessagiornata del 31 ottobre, ebbe,purtroppo, un bilancio tragico:due giovani uccisi dal mitra-gliamento effettuato dal ploto-ne tedesco che operava lungoil Vallone del versante dell’An-tea, il quale fece fuoco su grup-pi di uomini che se la davano agambe verso la campagna perevitare di essere catturati daimilitari tedeschi. Il primo a

cadere fu Vincenzo Menicucci,figlio di Luciano il sellaio, gio-vane militare in licenza; ilsecondo ucciso fu Ezio Dezzi,sfollato da Montalto di Castro.Mentre il Menicucci morì persfuggire alla cattura, il Dezzivenne raggiunto da una rafficadi mitra penetrata attraversola finestra mentre era in casa esi accingeva al pranzo.Solo nel gennaio 1944 un presi-dio tedesco stabilisce un pro-prio comando in Cellere, man-tenendo così una presenzacostante fino alla liberazione.Viene quindi requisita la zonaall’inizio del paese dove si allo-ca presso Villa Rosa il capita-

no comandante, mentre latruppa, composta da circaduecento unità, oltre ad uffi-ciali e sottufficiali, viene distri-buita nelle abitazioni circo-stanti. Il rapporto con la popo-lazione si mantenne sempresulla reciproca diffidenza esulla profonda incomunicabi-lità. La gente aveva paura,subiva l’occupazione perchécostretta, nell’attesa della finedel conflitto che già delineavaanche la fine del regime fasci-sta. Ricordo, nella mia primainfanzia, che a casa mio padre,assieme ad amici fidati, ascol-tava radio Londra, che notizia-va dell’avanzata delle truppealleate. Notevoli erano quindi itimori e le preoccupazionidella popolazione, in partico-lar modo dopo lo sfondamentodel fronte di Cassino e dellosbarco alleato ad Anzio del 23gennaio 1944, per le possibilirappresaglie anche contro lapopolazione civile da partedell’esercito tedesco che, inaltre realtà territoriali, aveva

attuato con ferocia inaudita.Tra gli episodi maggiormenteinfausti avvenuti a Cellere nelperiodo dell’occupazione tede-sca deve essere ricordato ilbombardamento aereo effet-tuato dagli alleati il 1° maggiodel 1944. Erano le 17 del pome-riggio quando una squadrigliadi aerei a bassa quota inizia unprimo passaggio sulla verticaledel comando tedesco. Subitodopo, al secondo passaggiodegli aerei nella stessa zona,inizia lo sganciamento di bom-be insieme ad un consistentemitragliamento diretto preva-lentemente verso i mezzi mili-tari tedeschi nascosti sotto gliolivi. Il bombardamento, il cuiobiettivo era certamente quel-lo del comando tedesco,mancò il bersaglio finendo pre-valentemente nella zona difronte a Villa Rosa, negli orti enel terreno allora di proprietàdi Chiavarelli dove ora sono lecase popolari. I danni alle cosefurono marginali: grossebuche sulla strada provincialee sui terreni circostanti, qual-che muro crollato, qualchepianta d’olivo danneggiata;mentre alle persone furonorilevanti: una donna uccisa equattro feriti di cui due seria-mente: Felice Napoli e Co-stantino Socciarelli. La trage-dia comunque si consumò conla morte di Felicetta Danti, cheal momento dell’attacco aereosi trovava presso il vecchiolavatoio sito vicino alla grandecurva che la strada provincialecompie alla fine della discesadetta della Leona. Era Felicettala moglie di Angelo Mariotti,madre di quattro piccole bam-bine, dedita ai bisogni dellafamiglia e della casa chedurante l’incursione aerearimase colpita da un proiettiledi mitraglia al collo che le tolsela vita.L’occupazione tedesca, oltreche a Cellere, sia pure margi-nalmente arrivò anche a Pia-

niano, dove sulfinire del 1943trovarono rifu-gio molte fami-glie che avevano lasciato Ca-nino, e tra queste anche lanostra, ritenendo più sicuratale sistemazione, ancorchéprecaria. Ne ho dei ricordivivissimi. Nelle diciannovecase del minuscolo borgo,dove anche la canonica, alcunimagazzini a qualche casale dicampagna vennero occupati,dando così dimora ad almenocinquanta sfollati, le famigliedormivano tutte assieme.Raramente, e solo a seguito diimpellenti necessità, arrivava ilmedico da Cellere (solitamen-te il dottor Berardis e talvoltaanche Blasi). Per il taglio dicapelli veniva a piedi, munitodi pettine e forbice, FaustoPatacchini, che allora era soloun ragazzo; l’acqua non c’era ebisognava approvvigionarla adorso di somaro alla sorgentepresso la Valle del Timone; laluce poi, non vi era ancora maiarrivata. I bambini, ma credoanche gli adulti, ospitavanoregolarmente nutrite coloniedi pidocchi; ragion per cui miamadre provvedeva per me eper mio fratello ad inzupparci icapelli col petrolio, e dopoaverci avvolto la testa in unagrossa salvietta, ci mandava alletto. La mattina seguente siprocedeva al lavaggio consapone fatto a casa.Nel mese di giugno del 1944una colonna di mezzi corazzatitedeschi si fermò fuori dell’abi-tato di Pianiano lungo la stra-da che da Montalto va adIschia, all’altezza del bivio perCellere. La prima operazionedei soldati fu quella di mettereal riparo i mezzi corazzati dallavista degli aerei, sotto gli albe-ri degli olivi o coprendoli congrossi rami prelevati daiboschi circostanti. La presen-za tedesca procurò profondaapprensione solo alla vista dei

SPECIALEpassaggio del fronte

Esemplari di AM lire, le banconote emesse dal governo militare alleatoe diffuse in Italia nel periodo della liberazione

Granatiere tedesco con panzerfaust

Cellere

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mezzi cingolati;per il borgo sidiffuse il terro-re. Ricordo che

ero insieme a mio padre quan-do si avvicinò al comandantetedesco per capire quali possi-bili conseguenze avrebberopotuto coinvolgere i civili ospi-tati nell’abitato. La risposta fuinequivocabile: il comandotedesco aveva ordinato il posi-zionamento delle proprie lineesu tale direttrice per contra-stare la possibilità agli alleatidi stabilire un collegamentofra la via Aurelia e la Cassia. Intutta evidenza la postazionetedesca di Pianiano avrebbepreso parte attiva alla batta-glia e conseguentemente gliabitanti e gli sfollati del borgosi diressero verso rifugi di for-tuna quali grotte, casali ecapanne, abbandonando par-zialmente l’abitato in attesadel peggio. Dopo circa duegiorni il gruppo corazzato,sulla base di un nuovo ordinericevuto dal comando, mosseinsieme agli altri soldati tede-schi della zona verso nordovest, liberando definitivamen-te il territorio.Appena qualche giorno piùtardi lasciarono Pianiano duegiovani militari sbandati chedopo l’8 settembre avevanotrovato rifugio e protezionenelle campagne adiacenti ilborgo. Alcuni contadini linascosero perché consideratidisertori e come tali correvanoil pericolo di essere denunciatialle autorità fasciste o aglistessi tedeschi che li avrebbe-ro sicuramente deportati. Nonricordo i loro nomi ma eranooriginari del napoletano. Hoancora ben presente che vive-vano con poco, contraccam-biando con il lavoro chi liaveva aiutati. Fra le cose di cuisi occupavano, a tempo perso,vi era quella della riparazionedi piatti rotti in non più di dueo tre parti. La tecnica, che mirimase impressa nella memo-ria, consisteva nella foraturacon un piccolo trapanino eli-coidale dei pezzi della cerami-ca opportunamente ricomba-ciati per poi collegare rigida-mente le stesse parti con grap-pette fatte di sottile filo diferro. Ovviamente i piatti cosìriparati erano inservibili allamaggior parte dei loro impie-ghi, tuttavia “per bellezza” erad’uso ricomporli.Lasciarono Pianiano in unamattina di sole, con due vec-chie biciclette dove eranostate sistemate due cassette dilegno sui portabagagli postisulle ruote posteriori, che gliabitanti del Borgo volleroriempire di pane, formaggio,

uova, vino e quant’altro neces-sitasse al lungo viaggio. Siallontanarono nella commozio-ne generale, attraverso unastrada sterrata e polverosache era quasi un sentiero perraggiungere Montalto e poi,attraverso l’Aurelia liberata daitedeschi, Roma ed infineNapoli. Ricordo queste duefigure che lentamente si allon-tanavano fino a scomparirenella curva in fondo alla disce-sa, lasciandosi alle spalle lamalinconica emozione dell’in-tera comunità nella certezzache non li avrebbe più rivisti. La mattina dell’11 giugno 1944un plotone di soldati tedeschidel presidio di Villa Rosa inCellere, armati di tutto punto,attraversò il paese per rag-giungere piazza Castelfidardo.Si diresse poi verso la Ripa da

dove si apre allo sguardo tuttala valle del Timone rimanendoin attenta osservazione dellazona con l’ausilio di potentibinocoli. Lo stupore e le preoc-cupazione degli abitanti delcentro storico per l’inusualepresenza dei soldati tedeschiin quella parte dell’abitato fececrescere il timore di un immi-nente scontro a fuoco. In real-tà i tedeschi stavano osservan-do se le truppe alleate avesse-ro iniziato a risalire la valle,perché ormai nei pressi dell’a-bitato di Canino. Mentre i cel-leresi riuniti in gruppo pressola chiesa parrocchiale cercava-no di capire cosa stesse acca-dendo, arrivò da Pianiano taleNazzareno Mariotti detto Ne-nella, che comunicò ai com-paesani l’arrivo a Canino degliinglesi e che pertanto intende-va intimare al comandantetedesco e al suo plotone laconsegna delle armi e quindi laresa dell’intera guarnigione. Lagente terrorizzata dalle possi-bili rappresaglie che l’iniziativadel Mariotti avrebbe potutoscatenare, lo circondò, e fra

uomini e donne con minacce egrida rabbiose, gli impedironodi attuare il suo pericolosoproposito. Alla fine della matti-nata il plotone tedesco rientròpresso il comando di VillaRosa; nel pomeriggio iniziòuna meticolosa perlustrazionedi tutta la campagna dallaGabella fino a Valentano attra-verso il monte di Cellere eMonte Marano, ma non vennetrovata traccia dell’avanzataangloamericana. Nella nottefra l’11 e il 12 giugno i tedeschilasciarono il paese. Il 13 giugnogli alleati arrivano a Cellere. La prima iniziativa delle trup-pe di liberazione fu quella diriunire una rappresentanza deicittadini presso la sede delcomune. Un ufficiale, parlandoin inglese e coadiuvato da unmilitare che traduceva in italia-

no comunicò: “Ordine del co-mando alleato: nessuno si per-metta di farsi giustizia da solo;se c’è chi ha qualche cosa dadire o lamentele da fare, sirivolga all’autorità militare, cheassumerà i provvedimenti delcaso”. Nella medesima circo-stanza vennero introdotti nellasala del consiglio comunalequindici soldati russi di origineasiatica già prigionieri deitedeschi che, riusciti a fuggirealla prigionia, erano stati na-scosti in grotte presso la vec-chia strada di Pianiano. Insie-me ai russi vennero introdotticinque giovanissimi soldatitedeschi che alcuni giovanicelleresi avevano convinto adisertare ed avevano poi na-scosto nelle campagne. Uncamion militare provvide altrasferimento degli ex prigio-nieri germanici liberati e deigiovani disertori ai quali siaggiunsero quei militari inglesifiniti oltre le linee nemicheche, protetti dalla popolazio-ne, potevano finalmente esse-re liberati.Così terminò la lunga pausa

bellica nel territorio cellerese.Fu la fine di un incubo dalquale la gente si sentì sgrava-ta, anche perché coincise conla fine del fascismo il quale,soprattutto a causa della guer-ra, delle sue sofferenze e deisuoi lutti, rappresentava uningombrante fardello del qualeil popolo non vedeva l’ora didisfarsi. Venne a crearsi unclima di odio verso la lungaoppressione politica del regi-me fascista che si materializza-va poi sulle persone. Il perico-lo era quello di abbandonarsialla vendetta degenerandocosì dalle regole della civileconvivenza. Per capire meglioil clima di tensione sociale nelquale si viveva, racconterò unbreve, ancorché drammaticoepisodio cellerese del primodopoguerra. Durante il perio-do bellico il mantenimento del-l’ordine pubblico del paese erastato affidato alla milizia fasci-sta e veniva garantito attraver-so la presenza in servizio diuna guardia repubblichina dinome Ernesto. L’operato diquesto rappresentante dell’or-dine pubblico era inviso allamaggior parte del paese, siaperché agli ordini dei tedeschiper ogni odiosa operazionerepressiva, sia perché al servi-zio delle autorità fasciste costi-tuite. Non appena il paesevenne liberato, il comitato diliberazione locale condotto daNazzareno Mariotti si mise allaricerca della guardia anzidettache nel frattempo si era nasco-sto in un’abitazione della zonadel Poggio. Lo stratagemmadurò comunque poco, perchéfu scoperto e prelevato conforza, condotto alla testa di unconsistente gruppo di personeinferocite che iniziarono aprenderlo a schiaffi, calci epugni. Intanto che il malconcioprocedeva in direzione delcentro storico la folla aumen-tava e con essa gli insulti e leviolenze, fino a quando inprossimità del vecchio bar diCiuchini il gruppo incontròArcangelo Danti detto Ciam-pino, il quale, trovandosi nellemani una grossa brocca di coc-cio, la ruppe nella testa delrepubblichino provocandogliuna profonda ferita. La reazio-ne di Ciampino aveva unaragione: il repubblichino nonaveva consentito la disposizio-ne alla famiglia della salmadella sorella Felicetta, mortanel bombardamento alleatodel 1° maggio. Fortunatamentel’intervento di due carabinierida poco rientrati a Cellere, An-tonio Patrizi e Pietro Olimpieri,salvò l’odiato Ernesto dal fero-ce linciaggio.

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Truppe di colore in marcia a nord di Roma

Cellere

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“La pioggia, che cominciò a cadere nellanotte, ci sembrò volesse cancellare le

tracce...”. Così scrive don Eraclio Stendardiin “Ischia di Castro - Memorie storiche”, diquel lungo, luttuoso 9 giugno del 1944, chesegnò per Ischia di Castro l’epilogo di queltragico evento che fu la seconda guerramondiale, destinata a lasciare, come ogniguerra, per molti decenni i segni delledistruzioni, delle devastazioni, delle muti-lazioni, del dolore inconsolabile per lepesanti perdite di vite umane.Pur non essendo stato il nostro territorio,fortunatamente, teatro di scontri diretti tragli eserciti contrapposti, ha vissuto, però,giorni particolarmente drammatici e pau-rosamente pericolosi proprio in occasionedell’avanzata e del passaggio del frontealleato. Il racconto delle persone, ormaianziane, che hanno vissuto quei fatti, è divivo interesse e di utile memoria, cheammonisce per l’avvenire.Da vari mesi, dopo l’armistizio dell’8 set-tembre 1943, erano acquartierati ad Ischiadi Castro, presso la Rocca Farnesiana ed inabitazioni requisite a privati, ufficiali e sol-dati dell’esercito tedesco, che facevanoparte di un contingente di aviatori e genie-ri con compiti, oltre che di controllo delterritorio, principalmente di servizio e sup-porto al vicino aeroporto militare appron-tato nella piana di Vulci, ai Quaranta Rubbi.Un gruppo di essi svolgeva mansioni diassistenza tecnica e riparazione alle mac-chine da guerra: grossi camions da tra-sporto, carri armati, diversi mezzi blinda-ti... Ogni mattina, con puntualità e discipli-na teutonica, il reparto di questi genieri,marciando al passo di una canzone allorain voga, Lilì Marlene, partiva da piazza

Regina Margherita,c o m p l e t a m e n t eoccupata da mezziblindati, e attraversola via Farnese rag-giungeva la periferiadel paese, dove neipressi del cimiteroeffettuava le ripara-zioni dei mezzi mec-canici, nascosti nel-l’autoparco allestitotra gli alti lecci delparco della rimem-branza.La loro presenza nelpaese incuteva sog-gezione e continuotimore: frequenti e-rano i controlli perla requisizione dellearmi, con improvvi-se incursioni nellecase e rastrellamen-ti. La gente vivevanella provvisorietàla vita quotidiana,con famiglie turbatedal pensiero dei cariin guerra o prigionie-ri o dispersi, deiquali non si avevano più notizie. Nel conte-sto della vita sociale i soldati tedeschientrarono quel tanto che il tempo di guer-ra consentiva: qualche incontro occasiona-le con le persone nelle piazze e vie delpaese, nei bar, nelle osterie e nelle cantine.Sulla piazza scherzavano con i ragazzini,che si avvicinavano curiosi, e regalavanoloro qualche caramella o bossoli di cartuc-

ce... Raccontano cheuna sera in un barun gruppo di soldatifu visto cantare eballare attorno adun tavolo, sul qualeavevano messo unragazzino biondo, acui avevano regalatodelle arance (mercerara, allora...), allegrie felici per un mo-mento con quel bim-bo dai capelli delloro colore. Quantanostalgia e desideriodella loro terra e deiloro cari...Più severo e diffi-dente il rapportocon la gente divennea causa del formarsidei gruppi partigianinei vicini paesi to-scani di Manciano ePitigliano, con rap-presentanze locali.Lo sbarco degli an-

glo-americani ad Anzio diede inizio ad unperiodo di scontri diretti anche sul nostroterritorio. Vi furono frequenti combatti-menti aerei: la ricerca dei piloti nemicidispersi provocava rastrellamenti e per-quisizioni nelle case e nelle campagne. “Il10 febbraio 1944 - si legge in “Ischia diCastro. Il vecchio e il nuovo”, di CarloNanni - fu fatto un rastrellamento casa percasa contro detentori d’armi o prigionierinascosti. Le donne temevano che si volesseportar via gli uomini in Germania nei campidi lavori forzati, ma forse si trattò piuttostodi un estremo tentativo dei tedeschi e deiloro collaborazionisti fascisti per tenere inmano la situazione contro i partigiani e pereliminare gente sospetta e indesiderata”.Il 9 maggio ci fu il primo bombardamentosu Ischia di Castro ad opera degli alleati,con bombe che caddero in località Cerreta,sulla strada per Farnese, e nella macchiet-ta di San Vincenzo, presso la Madonnella:tre bombe che provocarono il crollo diqualche edificio, ma, fortunatamente, nes-suna vittima. La paura, però, fu tanta, e lagente lasciò il paese e si rifugiò nelle cam-pagne, sistemandosi alla meglio in grotte ein casolari. Fu il fenomeno dello sfollamen-to. Da Civitavecchia, città presa di miradalle frequenti incursioni aeree, per la pre-senza strategica del porto, molti sfollatitrovarono rifugio nelle nostre campagne.Si racconta che per avere un po’ di farina ealtri poveri alimenti non esitavano a paga-re con oro e gioielli di famiglia: la gente diIschia fu, però, molto generosa e le amici-zie durarono poi a lungo nel tempo.

SPECIALEpassaggio del fronte

Ischiadi Castro

AngeloAlessandrini Cadde la pioggia...

e venne “il giorno dopo”

Il bombardiere pesante inglese Avro “Lancaster”, armato di 8 mitragliatrici,poteva portare 8 tonnellate di bombe

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L’avanzata delle truppefranco-inglesi-americanecostrinse i tedeschi in riti-rata ad allontanarsi da

Ischia. Si racconta di alcuni atti vandaliciche i tedeschi avrebbero compiuto in que-sto delicato momento ai danni di cose epersone. Ma fu propriamente il 9 giugno,per Ischia, “il giorno dell’ira”. Lo storicodon Eraclio Stendardi così racconta, cometestimone oculare, nelle sopracitateMemorie Storiche:“La mattina del 9 giugno segnava perIschia il principio di una triste giornata. Itedeschi, ormai in ritirata, si sarebberocerto allontanati senza rappresaglie, se unfattaccio non si fosse inconsciamente com-piuto in Piazza Regina Margherita. Due uffi-ciali, che ignoravano la via di uscita perFarnese, si addentrarono nella partemedievale di Ischia. Accortisi dell’errore,ritornarono nella predetta piazza, ovegiunti, furono fermati da partigiani cheloro intimarono di scendere dalla piccolaauto. E senza dare loro il tempo necessarioper ottemperare all’intimazione, spararo-no contro di essi trasportandone i corpisemivivi fuori del paese e gettandoli in unburrone. In breve i pochissimi rimasti inpaese fuggirono alla campagna ed i tede-schi, venuti tosto a conoscenza dell’ucci-sione dei due ufficiali, non tardarono a farsentire gli effetti della loro vendetta. Concarri armati presero a percorrere, mitra-gliando, tutto il paese, cercando gli autoridell’uccisione. Trovata chiusa la chiesaparrocchiale piazzarono di prospettoall’ingresso un carro armato e con mitra-glia e cannoncino fracassarono la portaprincipale, danneggiarono panche, presbi-terio, altare, colpendo il busto stesso delpatrono Sant’Ermete che era esposto incornu Evangelii, davanti all’immagine dellaMadonna del Giglio. Fu la giornata del ter-rore per la continua sparatoria che intimo-riva i rifugiati in campagna e rendeva per-plessi i nascosti nei più secreti recessi delpaese.Furono sfasciate porte, spezzati mobili inpiù di una abitazione; fu violato il conven-to delle monache e queste minacciateseveramente perché rivelassero dove sierano rifugiati gli uccisori ed ove avevanonascosti i cadaveri degli uccisi. Chi scrivefu testimone di quanto accadde in paese,perché visse ad una ad una quelle ore diterrore.Nella mattinata molti furono i tedeschi chesi riversarono in Ischia; ma erano per for-tuna soldati in ritirata protetti da un ridot-to nucleo, che sparando a destra e a sini-stra, non faceva altro che percorrere conun carro armato il paese e le sue adiacen-ze. Un energumeno, preso dalla stalla deiMetelli un cavallo, gridando e incitando lapovera bestia, andava sparando controporte e finestre ed in direzione della cam-pagna, ove credeva di far bersaglio dinascosti e nascondigli. Nelle ore pomeri-diane avemmo anche noi le nostre vittime:Bozzini Stefano e Boninsegna Vincenzocadevano mitragliati, l’uno in contradaCalabretta e l’altro in contrada Il Poggio.Per sincope decedette anche AlessandriniAbner, (detto Benerre), mentre tentava disfuggire al bombardamento in contrada

Pantano. A tarda sera velivoli alleati, avvi-stati dei carrarmati presso la chiesa dellaMadonna delle Rose sganciarono bombe,che cadendo fuori bersaglio facevano altredue vittime: Mariani Venanzio ed ErcolaniAgostino, rispettivamente nonno e nipote.Se i tedeschi avessero avuto solo altrepoche ore a disposizione, Ischia, probabil-mente, avrebbe scontata con la distruzio-ne la uccisione dei due ufficiali. Ma pernostra fortuna, gli alleati ormai incalzantipremevano alle spalle dei tedeschi diIschia, i quali, abbandonati i loro posti didifesa ci lasciarono liberi mitragliando rab-biosamente”. Così don Eraclio. Le ultime trincee di difesa i tedeschi tenta-rono di farle in località La Selva, per bloc-care le truppe alleate provenienti daCanino sulla strada provinciale Castrense;ma non ne ebbero il tempo.Altro testimone, per averlo vissuto inprima persona, del clima di terrore di quelgiorno è il signor Stefano Alessandrini,allora quindicenne che così racconta. “Erail giorno 9 giugno 1944. La mattina, io emio padre Antonio andammo in un campoa circa due chilometri dal paese per scac-chiare la vigna. In paese alla mattina siverificò un fatto sanguinoso. Due partigia-ni, ai quali l’avanguardia dei tedeschi chesi ritirava dal fronte ed andava verso laToscana domandava la strada per il nord,gli spararono a bruciapelo e dalla piazza liportarono in località Corve, fuori delpaese. Noi eravamo alla vigna e non sape-vamo del fatto. Senonché, essendo noisfollati dall’altra parte del paese in localitàPantano, di ritorno dal lavoro verso mez-zogiorno, passammo per Ischia nellanostra abitazione per prendere della robada portare dove eravamo sfollati. Miopadre, piuttosto anziano e stanco, midisse: “Mentre che io mi riposo un po’, tuva’ a cavare il vino in cantina”. Io avevouna cantina situata lungo il corso di viaRoma. Nel frattempo erano arrivate molteforze meccanizzate tedesche: autoblinde,macchine da guerra, camionette, ecc.Ingenuamente io, che avevo quindici anni,con una brocca mi recai in cantina, come

mio padre mi aveva ordinato. Un tedescomi chiamò e mi intimò di andare alla piaz-za principale dove poi io seppi che aveva-no rastrellato gli uomini del paese: nontutti erano sfollati. Io però, immaginandola cosa, gli dissi che andavo a prenderel’acqua, perché avevo paura che mi venis-sero dietro in cantina: avevo sentito direche si divertivano a bere e dopo bevutosparavano alle botti. Lungo la via, sul latosinistro, c’era e c’è un arco, detto delleMonache. Io imbocco quell’arco di corsaper fuggire. Il soldato ed altri tedeschi spa-rarono col mitra. Per fortuna mia fui soloferito parzialmente di striscio, senza graviconseguenze. Sempre di corsa raggiunsi lastalla, dove, nascosto nel fieno, mi rifugiai,in attesa che questi se ne andassero.Verso le ore 17 circa io, non sentendo piùrumori di carri blindati, uscii e incontraidella gente che mi rassicurava. Avevo iltimore che fosse capitato qualcosa a miopadre, il quale, non vedendomi arrivare acasa, nel frattempo aveva preso la via diPantano dove eravamo sfollati. Mio padremi raccontò che lo fermarono i tedeschi,ma lui gli disse: “Non lo vedete che ho icapelli bianchi?”. E lo mandarono via”.Così il colorito, drammatico quadretto.Cadde, benefica, la pioggia nella notte diquel tragico giorno. Nella tarda mattinatadel giorno 10 giugno 1944, rumori di mezziblindati provenienti da Poggio Briccoannunciavano l’arrivo delle forze alleate:americani, inglesi e soprattutto francesicon reparti di colore, festosamente accolti.L’incubo era finito.Tornava la libertà e la fiducia nel domani,con una “gran voglia di sfogarsi” nellagente, dopo anni di sofferenze e privazioni.Le truppe alleate passarono in brevetempo dirette al nord. Ad Ischia di Castrosi insediò la prima amministrazione comu-nale del dopoguerra e di essa fu a capoEliseo Alessandrini, proprietario di unapiccola bottega di generi alimentari, pro-posto dal Comitato di LiberazioneNazionale.

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La “Piazza di sotto”, ai piedi della rocca Farnese,teatro della sanguinosa aggressione che causò la rappresaglia tedesca.

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Ci sono momenti in cui lastoria sembra accelerare e

bruciare in pochi giorni la len-tezza accumulata nel succe-dersi degli avvenimenti, quasia pareggiare i conti di decennidi vita monotona fino alla noia.A Farnese, ma non solo, la sto-ria accelerò improvvisamenteai primi di giugno di un indi-menticabile 1944. La guerra era ormai alle portedi casa, anche se la vita quoti-diana si svolgeva con relativanormalità. Passava ancorasopra le teste dei farnesaninelle squadriglie di bombardie-ri che attraversavano il cieloper andare a colpire la città diTerni, centro strategico dell’in-dustria pesante per la produ-zione del ferro e dell’acciaio. Inoccasione di una di questemissioni, dal paese fu possibileassistere all’ardita incursionedi un aereo da caccia tedescoche, volando radente al suolo,si portava non visto sotto aduna formazione di aerei ameri-cani ed improvvisamente im-pennava mitragliando dalbasso le quasi invincibili fortez-ze volanti, colpendone una efacendola precipitare in mezzoalla Selva del Lamone. La guerra aerea incombevaormai anche sulle zone circo-stanti per agevolare l’avanzatadel fronte alleato, e pressantierano le raccomandazioni del-

le autorità circa l’oscuramentonotturno per non evidenziare ibersagli. Al riguardo il com-missario prefettizio, ubbiden-do alle disposizioni del coman-do tedesco di stanza a Farne-se, disponeva il coprifuoco el’oscuramento dalle 22 alle 5 eminacciava i trasgressori. Alladata della sua ordinanza, 3 giu-gno 1944, aggiungeva un ormaipatetico “XXII E.F.”. La notte frail 4 ed il 5 giugno toccò anchea Farnese ricevere la sua razio-ne di bombe. Verso le 22,30 sicominciò ad udire sempre piùdistintamente il rumore di unaereo che prima volteggiò ri-petutamente intorno al paesee quindi lasciò cadere unagrossa bomba su un gruppo dicase contigue alla chiesa par-rocchiale. Solo un miracoloevitò che ci fossero vittime.Sotto le macerie restarono feri-te ma vive numerose persone.Il giorno dopo e quelli imme-diatamente successivi fu chia-ro a tutti che il rischio eradiventato altissimo e le fami-glie lasciarono il paese perrifugiarsi nelle grotte e neicasali sparsi nelle campagne.Il 6 giugno, quasi al tramonto,alle porte del paese in localitàSan Severo un altro caccia, discorta ad una squadriglia dibombardieri, sorvolando lazona rilevò l’attività di militaritedeschi e scese rapidamente

per mitragliare esganciare una bom-ba. Una madre e lesue figlie, che già lanotte prima avevanoavuto la casa di-strutta, furono sor-prese allo scopertoin un precario rifu-gio vicino ad unasiepe e restaronoferite. Le truppe tedesche,nel frattempo, la-sciavano la zonaseguendo la direttri-ce verso Latera.Nelle retrovie la riti-rata era coperta daun carro armato Ti-gre che ogni tantofaceva sentire lavoce del cannone. Aquesto mezzo sem-bra fosse stato affi-dato il compito dicannoneggiare ilpaese quale ritorsio-ne per avere datoospitalità a militarialleati, che fuggitidai campi di prigio-nia tedeschi eranonascosti in zona. Atale proposito unatestimone di queigiorni racconta co-me, molti anni dopogli accadimenti, alcuni parentiresidenti a Viterbo rivelaronola confidenza fatta loro da unufficiale tedesco. Da Viterbo,questa famiglia era sfollata neipressi di Montefiascone, mal’avvicinarsi del conflitto liindusse a considerare la possi-bilità di trasferirsi presso iparenti di Farnese, ritenendo ilnostro centro più sicuro. Diquesta intenzione parlaronocon l’ufficiale tedesco, con ilquale avevano stretto rapportidi cordialità anche grazie allapresenza in famiglia di unabimbetta che, diceva il milita-re, gli ricordava la figlia coeta-nea lasciata a casa in Ger-mania. Fu la presenza di que-sta creatura innocente a farebreccia nella coscienza dell’uf-ficiale il quale, dopo aver rac-comandato la discrezioneassoluta, suggerì alla famigliadi rinunciare al progettato tra-sferimento in quanto Farnese,nei progetti delle truppe in riti-rata, sarebbe dovuto essereraso al suolo.Nel paese effettivamente sinascondevano alcuni militari

alleati che erano entrati in rap-porti di fiducia con alcunefamiglie e che si muovevanocon una certa disinvoltura. Fuforse l’eccessiva sicurezza asegnare il loro destino, macerto ancor più l’insensata eottusa violenza figlia di ogniguerra, che spinse i tedeschiormai in rotta a catturare duedi loro e a fucilarli appenafuori del paese, nel cortile delPodere, quella grande dimorache si incontra entrando aFarnese, proprio di fronte alcimitero. Era il 6 giugno. Sichiamavano Robert Carter eAlfred Crinall. Entrambi prove-nivano dal Sud Africa, il primoaveva 26 anni, il secondo 22. Fu in uno di quei giorni che uncarro armato prese posizionenella piazza di fronte al comu-ne aspettando, forse, di riceve-re istruzioni dal comandotedesco. Una motocicletta,forse il portaordini atteso,aveva quasi raggiunto la piaz-za quando una scarica dimoschetto la colpì. Il carrolasciò precipitosamente ilpaese lungo il Borgo, ma quan-

SPECIALEpassaggio del fronte

Farnese AntonioBiagini La storia bruciò le tappe

Case attigue alla chiesa parrocchialecolpite dal bombardamento del 4 giugno 1944

Gruppo di militari alleati evasi dai campi di prigionia tedeschi e nascosti a Farnese. Dasinistra: .?., Robert Carter, Jean Bakuer, Alfred Crinall. Carter (26 anni, da CrownMines, Sud Africa) e Crinal (22 anni, anche lui sudafricano) furono catturati dai tedeschie fucilati appena fuori del paese il 6 giugno 1944, solo qualche giorno prima dell’arrivodegli alleati.

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do fu appenafuori il centroabitato fu rag-giunto da un

aereo da caccia alleato che lomitragliò colpendo il militaredi vedetta sul mezzo. Il suocorpo fu abbandonato oltre ilcancello del vicino cimiteroove trovò temporanea sepoltu-ra.Erano ormai sempre più rari imilitari tedeschi di passaggio,ed i partigiani locali, che inverità fino ad allora si eranotenuti piuttosto alla larga dalloscenario bellico, cominciaronoa contrastare la loro ritirata.Alcuni di loro (e con loro alcu-ni giovanissimi, quasi parteci-passero ad un gioco più gran-de di loro) aspettavano il pas-saggio degli ultimi tedeschirimanendo appostati all’ingres-so del paese. Alcune sentinelleposte in avanscoperta aveva-no ricevuto disposizione disegnalare con un colpo l’arrivodi una colonna vera e propria,e quindi difficile da attaccare,mentre una raffica avrebbesignificato che il confrontosarebbe stato sostenibile. Lamattina dell’11 invece unagrande scarica di colpi d’armasalutò l’ingresso dalla parte diIschia di Castro della colonnaalleata. In paese non eranomolte le persone presenti. Soloalcuni uomini armati sparava-no in aria mentre la colonnasfilava lungo la strada provin-ciale per Pitigliano ripetendo ilsolito rito del lancio di dolci ecioccolata. Il passaggio dei mezzi militaridovette essere imponente e siprotrasse a lungo in quel gior-no di inizio estate. Nel pomerig-gio dello stesso giorno treragazzi, due fratelli ed unamico, che avevano assistitoall’arrivo delle truppe alleate,andarono a tuffarsi a Salabrone,nelle acque del fiume Olpetache costeggia a tratti la stradaper la Toscana, ed uno di loro,il quindicenne Vittorio B., rin-venne nelle sue acque unabomba a mano senza sicura edinesplosa che qualche sciagura-to si era procurato e che avevautilizzato per catturare deipesci. L’ordigno era inveceaffondato senza esplodere, equando il ragazzino lo recuperòe lo porto con sé sulla riva, que-sto gli esplose tra le mani feren-dolo a morte e sfigurandolo involto. I suoi due compagni furo-no colpiti dalle schegge e resta-rono feriti e coperti di sangue.Uno di loro si sfilò la camicia econ quella coprì l’amico sfortu-nato. Terrorizzati ed insangui-

nati raggiunsero la vicina pro-vinciale dove transitavano imezzi alleati che viaggiavanoverso Pitigliano. Un camionmilitare li raccolse per portarlifino alla casa cantoniera inlocalità Catalana, quasi al confi-ne con la Toscana. Lì gli alleati

stavano alle-stendo unospedale e lìfurono medi-cati e tratte-nuti per duegiorni, finchéun carretto dip a s s a g g i ocaricò i con-v a l e s c e n t iper portarli

verso Farnese. Lungo la stradail carro incrociò un camioncarico di uomini che erano par-titi alla ricerca dei due fratelli,di cui non si aveva più notiziada due giorni. Sul camion eraanche il padre Vincenzo, cheritrovò così i due figli già pianti.

Nei registri dello stato civiledel comune di Farnese, quelladel povero Vittorio B. dovevaessere l’ultima morte registra-ta dal podestà. Quella succes-siva del giorno 18 appartenevagià al dopoguerra: era di com-petenza del sindaco. Ancoraun morto; sparato in un’oste-ria nella piazza del paese. Sidisse un regolamento di contifra partigiani. Era quella laprima vittima di un dopoguer-ra che sarebbe stato incerto eviolento ancora per qualchetempo, ma che la nascenterepubblica avrebbe saputocondurre verso la democraziae la modernità.

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Un frammento d’ala della fortezza volante precipitata nella Selvadel Lamone

Il “passaggio”La drammatica tempesta delpassaggio del fronte alleatotransitò a Montefiascone,come negli altri centri delviterbese, tra il maggio e ilgiugno del 1944. Dopo i primiminacciosi brontolii - mitra-gliamenti e spezzonamentiche da giorni andavano acqui-stando consistenza nelle cam-pagne e lungo le strade diaccesso alla città - un primofronte di “perturbazioni”, pro-veniente da sud, investìMontefiascone verso le ore 16del 2 maggio. Uno stormo dicaccia bombardieri britannicia doppia fusoliera iniziò abersagliare Montefiascone tentando di distrug-gere le strutture logistiche tedesche. L’opera-zione non fu indolore e alle insostituibili perditeumane si aggiunsero gli ingenti danni arrecatiagli edifici. Il mulino di Gisleno Carelli, in ViaOreste Borghesi, venne distrutto; il CaffèLeonardi, in piazzale Roma, gravemente danneg-giato; molte case di via del Fosso e di via DanteAlighieri, lesionate; una parte del palazzo vesco-vile, colpita violentemente.Questo primo attacco, naturalmente, non fu suf-ficiente a far ripiegare le truppe tedesche, e nelleprime ore del 26 maggio gli inglesi tornarono acolpire con un intenso bombardamento, canno-neggiamento e mitragliamento che causò ulterio-ri danni. Questa volta fu maggiormente colpita lazona sud-ovest di Montefiascone, e quindi lecase di via Trento, di via Verentana, della Porti-cella e la chiesa della Madonna del Riposo.Fortunatamente il sacrificio di vite umane risultòinferiore a quello dell’attacco precedente grazieallo sfollamento che molti montefiasconesi ave-vano previdentemente effettuato, trasferendosiin campagna presso ospitali famiglie di contadi-ni o, quando necessario, in grotte.L’epilogo della “liberazione” si definì con il pas-

saggio effettivo delle truppe alleate che giunseroa Montefiascone all’alba del 10 giugno. Questotemuto e desiderato evento risultò drammaticocome un bombardamento. Alla violenza degliultimi guastatori tedeschi, scatenata essenzial-mente sulle cose, si sostituì quella dei nuovivenuti sulle persone. I primi avevano minato efatto crollare diversi edifici e ponti per cercaredi ostacolare l’avanzata del nemico; gli altri siabbandonarono, dopo ulteriori cannoneggia-menti, ad una serie di stupri, angherie, e soprusiche gettarono dolore e sgomento in molti smar-riti montefiasconesi.Un sintetico e chiaro quadro degli avvenimentiemerge dalla relazione, datata 24 agosto 1944,del commissario prefettizio di MontefiasconeDonati indirizzata alla regia prefettura di Viter-bo: “...le truppe tedesche prima della loro parten-za fecero brillare numerose mine; causando gra-vissimi danni alle strade e demolizione di varifabbricati. Essi inoltre spogliarono e saccheggiaro-no le caciare, il deposito dei grassi, numerosinegozi, cantine e case di abitazione. L’abitato diMontefiascone, già prima della loro partenza,aveva subito, a causa di bombardamenti interal-leati, notevolissimi danni. Dopo l’occupazione da

Montefiascone GiancarloBreccola

Una drammatica tempesta

Via Oreste Borghesi

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parte delle Forze Alleate, le truppe della Divisione Francese(Marocchini, Corsi ecc.) hanno continuato ed allargato in forma piùgrave il saccheggio, specie alle cantine ed agli arredamenti dellecase di abitazione. Hanno anche usato violenza su donne...” .In questo squallido clima rientra l’episodio della distruzione dellabiblioteca comunale. Altre sicure perdite del patrimonio storico eartistico del paese sarebbero state inevitabili se il vescovo Rosinon avesse previdentemente preso delle tempestive precauzioni.Emilio Lavagnino, allora soprintendente alle gallerie e opere d’artedel Lazio, nel suo Diario di un salvataggio artistico così scrive: “...il13 [febbraio 1944] di buon’ora siamo partiti per Montefiascone. Quiil Vescovo, che è vecchissimo ma sembra persona molto a posto eintelligente, mi ha assicurato di aver già provveduto a far occultaretutto quanto c’è di prezioso nelle chiese della sua diocesi...”.

I marocchiniL’apprensione maggiore per i beni artistici e culturali scaturivadalla presenza di quei goumiers marocchini che, al seguito delcorpo di spedizione francese, avevano lasciato a Montecassino unincancellabile segno della loro ferocia e barbarie. Alla preoccupa-zione per la raffinata cupidigia tedesca si sostituiva, quindi, lapaura per il feroce vandalismo delle truppe africane. I goumiersmarocchini, provenienti dalle montagne del Riff, facevano partedel corpo di spedizione francese comandato dal maresciallo Juin.

Divisi in bande più o meno regolari, chiamate tabor, combattevanouna guerra feroce e senza regole. Utilizzati come travolgenti trup-pe d’assalto per infrangere le difese di Montecassino, divennerofonte di preoccupazione per gli stessi alleati quando, abbattuti icapisaldi nazisti, scatenarono la loro furia sugli indifesi paesisituati sul loro percorso. A Roma fu risparmiato l’oltraggio delloro transito soltanto grazie all’ambizione del generale Clark, ilquale, con uno stratagemma ai limiti della correttezza, riuscì adirottarli verso l’interno al fine di entrare trionfalmente con le suetruppe, da principale vincitore, nella capitale.Comunque, mentre si decideva un loro frettoloso rimpatrio, nellanotte tra il 9 e il 10 giugno 1944, una banda di goumiers al seguitodelle truppe francesi giunse a Montefiascone ove per più di unasettimana perpetrò vandalismi e violenze. Tra i tanti episodi chehanno segnato quei giorni drammatici si ricorda quello di unuomo - padre di alcune ragazze che stavano per essere stuprateda un marrocchino - che era riuscito ad accoltellare il brutale mili-tare, ma che a sua volta venne assassinato dai commilitoni dellavittima. O quello in cui alcuni soldati di colore, incaricati di cattu-rare uno che portava gli occhiali, fermarono la prima personaocchialuta che incontrarono e la malmenarono violentemente. Edancora quello dei sette marocchini che, introdottisi in una casa divia Bertina ove si erano radunate diverse persone sbandate esenza tetto, violentarono a turno, davanti agli occhi di tutti, unadonna che si era offerta (Honni soit qui mal y pense) per evitarealle mogli dei presenti il turpe oltraggio. E così, ogni tanto, per levie del paese echeggiava un grido d’allarme: “Hanno rubato unmaiale!”, “Hanno violentato una donna!”, “Hanno sfondato le canti-ne!”. Un vecchio novantenne andava ripetendo in giro che quandoi soldati francesi erano venuti l’altra volta erano più belli; l’altravolta, per lui, era quella relativa agli episodi antecedenti al 1870 e i

soldati francesi erano quelli che difendevano loStato Pontificio.L’accampamento base marocchino era stato piaz-zato sulle rive del lago, mentre gli altri militari sierano sistemati alla meglio in paese subentrando, nuovi e indesi-derati ospiti, nelle abitazioni precedentemente occupate dai mili-tari tedeschi. Per sfamare le truppe che bivaccavano accampate inpiazza Vittorio Emanuele venne impiantata una cucina da camponei locali del Caffè Centrale.

La logistica tedescaLe truppe della Wehrmacht che, ritirandosi da Montefiascone,avevano abbandonato gli alloggi, facevano parte di una delle venti-cinque divisioni ammassate in Italia, dopo la destituzione ufficialedi Mussolini avvenuta il 25 luglio 1943, con lo scopo di contrastarel’avanzata alleata e di porre il Paese sotto una stretta e vendicati-va morsa. I reparti nazisti dislocati in questa parte dell’alta Tusciaavevano occupato Viterbo, Montefiascone, Bolsena, Orvieto,Acquapendente ed i paesi limitrofi, acquartierandosi preferibil-mente nelle piccole ville e nei casali esistenti nei dintorni dei cen-tri abitati. Il comando periferico tedesco di Montefiascone, cheaveva sostituito il piccolo comando di polizia esistente alla portadi Borgo, si era insediato nella palazzina di villa Salotti, mentrealtri militari avevano requisito le palazzine di Jacopini (la vecchiastazione di Posta oggi proprietà Scoppola), Carelli (di fronte allabasilica di San Flaviano), Leonardi (in via del Pino), Tassoni (in viaBertina) ed altre.L’abitazione di Moncelsi (vicino al Santuario della Madonna delleGrazie) era stata destinata ad autorimessa-garage; l’edificio scola-stico elementare adattato ad ospedale militare tedesco; i locali dipiazzale Mauri attrezzati per farvi funzionare un’efficiente labora-torio di riparazioni meccaniche. Questa officina faceva parte del-l’organizzazione TODT, realizzata da Albert Speer, alla quale eraaffidata la realizzazione di infrastrutture militari e fortificazioni.Negli automezzi riparati veniva apposta con una sagoma ritagliatae la vernice spray - oggetto di meraviglia per i montefiasconesi deltempo - la dicitura SPEER. L’albergo Casti (che era situato nelleadiacenze delpalazzo comu-nale) vennetrasformato incasa di tolle-ranza per imilitari tede-schi di transi-to. Nell’inver-no 1943-44,presso il co-mando di villaSalotti, si fer-mò in incogni-to per quattrogiorni il mare-sciallo Kessel-ring, coman-dante genera-le delle forzearmate tede-sche in Italia.In quell’occa-sione conferìcon ufficiali esottufficiali inuna riunionenei locali del cinema Eliseo. Il ripiegamento delle forze tedesche fucomunque caratterizzato da sporadici focolai di resistenza. AMontefiascone un ultimo appostamento dotato di mitragliatrice,collocato su un campanile di S. Bartolomeo, fu fatto saltare a can-nonate al termine di una lunga scaramuccia. La particolare atmo-sfera che caratterizzava l’attimo del passaggio si trova magistral-mente descritta nel volume Viterbo e la Tuscia di Bruno Barbini eAttilio Carosi: “Dopo le ultime retroguardie in ritirata, nel sopravve-nuto silenzio, si aveva la netta sensazione di trovarsi nella ‘terra dinessuno’, tra le linee di due eserciti impegnati in una lotta morta-le...”.

SPECIALEpassaggio del fronte

Il mulino di Gisleno Carelli

Scorcio della Porta di Borgo

Montefiascone

Gli sfollati e i senza tettoPer completare il triste quadrodella situazione è necessarioanche considerare le piccole azio-

ni di danneggiamento per incuria e di furto occa-sionale commesse da alcuni senza tetto, ospiti“temporanei”, nei primi anni del dopoguerra,degli edifici liberi o delle varie abitazioni prece-dentemente utilizzate dai tedeschi. I primi senzatetto, portatori di tristi presagi per gli avvenimen-ti che di lì a poco avrebbero coinvolto anche ilnostro territorio, provenivano da Civitavecchia,ove uno spietato martellamento degli aereiangloamericani alle installazioni portuali avevaprovocato lo sfollamento in massa della popola-zione civile e aveva costretto molte famiglie arifugiarsi nell’entroterra viterbese, e a raggiunge-re anche Montefiascone. Non appena possibilequesti profughi, bisognosi di tutto, venivanocomunque inviati con mezzi di fortuna al nord.Generalmente dormivano sulla paglia, in cattivecondizioni igieniche e, pertanto, oltre all’insorge-re di malattie polmonari, si manifestarono fre-quenti casi di scabbia; addirittura si paventòun’epidemia di tifo che fortunatamente non sipropagò. Tutto il Viterbese, prima di essere essostesso coinvolto da questo drammatico fenome-no, rappresentò un rifugio per gli sfollati prove-nienti dalle altre località, comprese quelle delfronte di Cassino e quelle prossime alla testa diponte di Anzio.Poi, lentamente, il problema dei profughi prove-nienti dal sud si trasformò in quello più pressantedegli sfollati montefiasconesi. La punta massimadell’abbandono del paese, che fatalmente favorìepisodi di saccheggio e sciacallaggio, si verificòin occasione del passaggio del fronte, quandomolte famiglie preferirono spostarsi nelle campa-gne vicine ove i rischi di violenze personali eranodecisamente minori e il pericolo dei bombarda-menti praticamente inesistenti. I contadini, infatti,distribuiti nelle tante frazioni che punteggiano epunteggiavano la campagna di Montefiascone,vivevano questi avvenimenti protetti da quellaabituale autonomia materiale e da quella distan-za, culturale e geografica, che li rendeva spettato-ri attoniti, oltre che vittime, delle tristi vicendeche premevano ai confini del territorio: “Venne latessera e con la tessera la fame che noi contadininon soffrimmo mai, perché qualche quintale digrano si nascondeva, senza consegnarlo all’am-masso. Si ammazzava di nascosto il maiale e qual-che agnelletto e così si tirava avanti”. Meno famesoffrirono quindi i foresi rispetto ai terrazzanimontefiasconesi, che pure potevano considerarsifortunati nei confronti degli abitanti delle grandicittà. Naturalmente, anche nelle zone rurali, nonmancarono gli incidenti e le tragiche farse che,quando a lieto fine, divennero argomento dibaloccate per il contado.

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Dopo lo scoppio della guerra, nelpaese erano transitate o avevano

sostato temporaneamente truppetedesche, alloggiate alla meglio inlocali pubblici (scuole o locali comu-nali). Ma tra la fine del 1941 e l’iniziodel 1942 arrivò un distaccamentodella Wermacht che vi si installò sta-bilmente. Il comando fu collocato nelpalazzo del podestà Donati, dove al

piano terreno furono sistemati gli uffi-ci. Nei piani superiori trovarono allog-gio alcuni ufficiali mentre altri ufficialie sottufficiali furono ospitati nellacaserma dei carabinieri; nello stabilecomunale dove erano le scuole (doveattualmente sono collocati gli ufficitecnico, di anagrafe e la polizia munici-pale); nella villa ex-Perla (oggi Sciacca)vicino alla chiesa della Madonna delCastagno; in case private che, per laloro ampiezza, furono ritenute idoneeallo scopo (casa Pomponi, Governa-tori, Fratini...). Le truppe furono siste-mate sul lungolago in alloggi militari(tende e baracche), e sempre sul lun-golago furono collocati tutti i mezzimilitari e fu installata un’infermeria. Lacucina si trovava in un locale dellafamiglia Gasperini che metteva incomunicazione il lungolago e la viaLaertina e lì si distribuiva il rancio aimilitari. Le truppe collaborazioniste

( f r a n c e s i ,slavi, italiani)erano allog-giate a partein altri locali.

Le officine meccaniche per la ripara-zione dei mezzi e i depositi di carbu-rante trovarono collocazione nellatenuta Fondaccio, sulla strada perMontefiascone, di proprietà della fami-glia Bacchi.I rapporti tra la popolazione martana ei militari della Wermacht erano buoni.Alcuni testimoni ricordano che i tede-schi erano disponibili per piccoli lavo-

ri di saldatura che potevano essererichiesti dai martani, distribuivanomedicinali ed effettuavano medicazio-ni presso l’infermeria, distribuivano ilsale (che non sempre era reperibile) el’olio di ricino. In occasione di alcunefestività significative per i tedeschi, sullungolago si tenevano cerimonie allequali intervenivano le loro autoritàmilitari e la banda militare. In tali occa-sioni si allestivano tribune per daremaggiore “solennità” alla cerimonia. Da testimoni oculari vengono ricordatialcuni dei tedeschi di stanza all’epoca:Willy: era giovane, faceva il pittore esuonava benissimo la fisarmonica cheaveva con sé. Aveva imparato a suona-re Rosamunda, una canzone in vogaall’epoca, e spesso gli veniva richiestodi eseguirla. Allietava i commilitonicon musiche varie, popolari e militari;un altro Willy, soprannominato Arci-baldo per distinguerlo dal pittore, era

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Marta Maria IreneFedeli

Danni materialie ferite del cuore

Accampamento di goumiers marocchini

Pratica del Genio Civile di Viterbo relativa ai senzatetto

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anche lui amante della musica.Aveva una voce forte emaschia e amava il canto gre-goriano. Frequentava la messacantata della domenica e univala sua voce a quella degli altrifedeli durante la liturgia; Arnö:faceva l’infermiere e lavoravanell’infermeria con altri duecolleghi e il capitano medico.Era disponibile nel curareanche i martani che ne aveva-no necessità ed era l’unico chesi recava anche presso le abi-tazioni dei malati, che nonpotevano raggiungere l’infer-meria, per prestare la suaopera. Aveva un carattere gio-viale, ma la sua giovialitàlasciò il posto ad una profondadepressione quando ricevettela notizia che aveva perdutomoglie e figli durante un bom-bardamento su Berlino; Spitze:lo chiamavano così ma non erail suo vero nome. Era ufficiale,giovane, di costituzione esile.Aveva un atteggiamento signo-rile che faceva intuire la suaprovenienza da una famiglia diceto alto. A tavola utilizzavaun servizio di posate persona-lizzato con le proprie cifre;Armando: era maresciallo elavorava negli uffici del coman-do dove trascorreva quasitutto il suo tempo; Karl: si erafidanzato con una ragazza mar-tana ed era in amicizia convarie famiglie di Marta; Elì:così lo chiamavano, avevaanche lui legami amichevolicon alcune famiglie; Tonino: lasua figura appare più sfumatanei ricordi di chi lo conobbe.E’ ancora viva, invece, l’im-pressione che destò la notiziadella sua morte. Si era ucciso,impiccandosi, all’interno del

mulino oleario di proprietà diInnocenti. Nessuno seppe maiil perché; Joseph, Giuseppe peri martani. Suscitò curiosità inmolti quando, vedendo il cor-teo che sfilava il giorno dellafesta della Madonna delMonte, dichiarò che quellafesta lui la conosceva. A ripro-va della sua affermazione,quando tornò dalla Germaniadopo una licenza, portò ungran pacco di fotografie da luiscattate durante le solennicelebrazioni del 450° anniver-sario della consacrazione delsantuario che avevano avutoluogo nel 1935. Molti martanile osservarono e non stentaro-no a riconoscere luoghi, mo-menti, persone. Joseph, dibuona famiglia, era una perso-na colta e aveva viaggiatomolto in Italia prima dell’iniziodella guerra. Quando si avvi-cinò la ritirata, come moltimartani avevano fatto prima dipartire per il fronte, anche luisalì al santuario del Monte elasciò la sua foto ai piedi del-l’altare della Madonna, invo-cando la sua protezione per ilritorno in patria. Disse, a chi loconosceva, che avrebbe scrit-to per dare sue notizie e chefinita la guerra sarebbe torna-to a Marta. Di lui nessuno ebbepiù notizie e nessuno lo videpiù. La sua foto è ancora espo-sta, in mezzo a quella dei mili-tari martani, nel santuariodella Madonna del Monte.

Nel periodo 1940-1943 non siebbero azioni belliche dinotevole rilievo. Dal 1940 erain vigore l’oscuramento e cir-colari e avvisi si erano succe-duti per raccomandare l’osser-

vanza delle norme, l’attenzionecostante e vigile a che nessunaluce trapelasse. Un telegram-ma del prefetto Rapisardafatto pervenire al comune il 1°novembre 1940 raccomandavache per la ricorrenza dei de-funti non si lasciassero lumiaccesi al cimitero nelle ore del-l’oscuramento. La cittadinanzaera stata edotta su come pro-teggere i raccolti agricoli,soprattutto il grano, dagliincendi provocati dalle lastri-ne incendiarie al fosforo e daisacchetti di lino al fosforo lan-ciati dall’aviazione nemica. Laprefettura aveva emanatodisposizioni al riguardo per-ché gli agricoltori intervenisse-ro sollecitamente e in modoadeguato per evitare o limitarei danni. Circolari e note diavvertimento erano pervenutenumerose al comune. Altredisposizioni si aggiunsero perprevenire e limitare i danni incaso di incursioni aeree nemi-che con lancio di materialeesplosivo, o per la tutela del-l’incolumità della popolazione.Così, ad esempio, il 22 novem-bre 1942 il comitato provincia-le di protezione antiaerea tor-nava a raccomandare di am-massare sabbia nelle terrazze,nei sottotetti, nei pianerottoliper prevenire gli effetti dellebombe incendiarie, e richiama-va l’ordinanza del 12 giugno1940 che imponeva lo sgombe-ro di tutto il materiale infiam-mabile dai sottotetti delle abi-tazioni, dagli uffici, ecc. Lostesso comitato il 17 agosto1940 aveva emanato un’ordi-nanza sul comportamento datenere nel caso in cui si fosse-ro ritrovate bombe inesplosesul territorio comunale esegnalava l’uso, da parte nemi-ca, di bombe a “lunga ritarda-zione”; il 27 settembre succes-sivo aveva segnalato l’oppor-tunità di togliere dai davanzali

delle finestre edai balconi ivasi con piantee fiori per evi-tarne la caduta in caso di spo-stamento d’aria dovuto alloscoppio di bombe, così da noncostituire ulteriore pericoloper i passanti o per le squadreaddette alle operazioni di soc-corso. Il 22 gennaio 1940 sisegnalava l’opportunità di ini-ziare l’addestramento dellepersone all’uso della mascheraantigas, iniziando da quelleche ne erano già in possesso. Il14 giugno 1942 si chiedeva aicomuni, in caso di attaccoaereo, di dare relazione preci-sa e accurata dell’attacco: oraesatta, numero di aerei e loroformazione, modalità dell’at-tacco, materiale lanciato, loca-lità, numero e dimensioni dellebombe, danni e feriti, ecc. Il 23aprile1943 si richiamava l’at-tenzione della gente su ordigniesplosivi pericolosi a forma dimatite o di penne stilografichelanciate da aerei nemici eaventi tempo di esplosionediversificato da 30 minuti(quelli con fascetta rossa) a 30ore (quelli con fascetta blu).Tre giorni dopo, a causa del-l’intensificarsi delle incursioniaeree sul territorio italiano, siinviava al comune il decalogodella protezione antiaerea, cheera stato stampato su volanti-ni, per distribuirlo alla popola-zione.

L’8 settembre 1943, nellanotte stessa dell’armistizio,data l’incertezza della situazio-ne, le truppe tedesche lascia-rono precipitosamente Marta,abbandonando ogni cosa inloco. La fuga dei tedeschi duròpoco, perché a distanza di nonmolte ore i reparti che si eranoallontanati ritornarono e altrise ne aggiunsero. I nuovi arri-vati furono ospitati nella scuo-

SPECIALEpassaggio del fronte

Marta

Avviso bilingue del comando francese che vieta la somministrazione di alcolici alle truppe nordafricane

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la, dove fu am-massata dellapaglia per i gia-cigli. Un’auto-

colonna si accampò nella pro-prietà della famiglia Bren-ciaglia, nelle vicinanze dellago. Il 13 settembre quattroragazzi undicenni rinvenivanosulla riva del lago una bomba amano inesplosa di marca italia-na. Presi dalla curiosità comin-ciarono a manipolarla e l’e-splosione che ne seguì li colsetutti e quattro provocandogravi ferite. Dopo le primecure in loco, i ragazzi furonotrasportati all’ospedale diViterbo. Il 12 gennaio 1944, ilcommissario prefettizio comu-nica alla prefettura che alle14,30, in contrada Le Pietre, unaereo nemico (ritenuto dinazionalità americana) avevamitragliato un carro che tra-sportava legna dal bosco delcommendator Carletti. Duemuli da traino erano stati ucci-si e un terzo era rimasto ferito.Le persone alla guida del carroerano rimaste miracolosamen-te illese. Poco lontano da quelluogo il mitragliamento si eraripetuto ai danni di un autocar-ro tedesco e aveva provocatola morte di due civili e due sol-dati tedeschi, e il ferimento diquattro civili e di un ufficialetedesco. Il 2 febbraio, alle 19circa, all’uscita dalla chiesa, invia Amalasunta, una ragazza furaggiunta e ferita dal proiettiledi una pistola lasciato partireda un militare tedesco in statodi manifesta ubriachezza. Laragazza fu trasportata imme-diatamente all’ospedale diViterbo a cura dello stessocomando tedesco di Marta.

Nel mese di marzo 1944 unatto di sabotaggio perpetratoai danni di alcuni fili telefoni-ci appartenenti alle forzearmate tedesche impose allapopolazione un grave onere.Poiché i colpevoli non furonorintracciati, furono costretti gliuomini presenti in paese a pre-stare servizio di guardia ai cavitelefonici sulla linea Marta-Montefiascone. Lo stesso com-missario prefettizio esortava lapopolazione a sottoporsi disci-plinatamente e con puntualitàai turni di servizio, proprio perevitare gravi sanzioni cheavrebbero potuto essere adot-tate anche a carico di chi nonaveva alcuna colpa. Il giornodopo venivano emanate leseguenti disposizioni: i turni diservizio sono diurni e notturnied hanno la durata di quattro

ore; tutta la popolazionemaschile valida è tenuta a pre-stare il servizio; ogni pattugliadeve sorvegliare il propriotratto di strada sulla quale èsteso il cavo telefonico, peruna lunghezza di 200 metri;ciascuna pattuglia è responsa-bile dei danni che venisseroapportati nel tratto affidatoalla propria sorveglianza; ilcambio di pattuglia deve avve-nire sul posto e con assolutapuntualità; le pattuglie cheprestano servizio di nottesaranno munite, a cura delcomune, di uno speciale per-

messo per poter circolaredurante il coprifuoco. Dettopermesso deve essere restitui-to all’ufficio che lo ha rilascia-to al termine delle otto ore diservizio; i cittadini in serviziodi vigilanza ai cavi telefonicidevono considerarsi militari atutti gli effetti, soggetti a disci-plina militare e quindi passibilidelle pene previste dalle leggidi guerra.Furono mobilitati tutti gli uo-mini delle classi dal 1890 al1920 presenti in paese, anchequelli in condizioni di salutetutt’altro che buone, ma la gra-vosità del compito, il dover

prestare servizio di notte sen-za avere alcuna arma né didifesa né di offesa, aggiunti alfatto che ciascuno doveva poiattendere ai lavori agricoli,provocò un malcontento taleche il commissario prefettizio,dopo alcuni giorni, risolse dirivolgersi ad un funzionarioper sollecitarlo ad interporre isuoi buoni uffici al fine di otte-nere dal comando tedesco l’e-sonero da tale gravame. Nellostesso periodo il commissariosollecita il capitano del coman-do germanico ad intervenireaffinché non sia requisita la

casa delle maestre pie Filip-pini, attigua all’asilo infantile, eciò non per favoritismi perso-nali, ma solamente perché lepredette religiose sono incari-cate di custodire durante ilgiorno i bambini di quellemadri che, avendo ancora imariti alle armi o in Germania,devono accudire ai lavori dicampagna. Requisendo l’abita-zione delle maestre pie, essesaranno costrette ad abbando-nare il paese e quindi ad ab-bandonare i numerosi bambiniche da loro ricevono assisten-za e sono custoditi. Ne derive-rebbe un grave danno che si

ripercuoterebbe sull’economiadel paese a tutto svantaggiodel prossimo raccolto. Inoltreil paese accoglierebbe condispiacere sensibile l’allonta-namento delle predette perchéappunto sono le uniche checon l’assistenza ai piccinidanno aiuto alle famiglie deimilitari a superare l’attuale dif-ficile momento.Il 24 aprile il comando tedescofa pervenire alla prefettura unalettera con la quale lamentache sulle isole Martana eBisentina erano stati accesifuochi e fatti segnali luminosimentre aerei nemici le sorvola-vano. Poiché si sospetta un’at-tività di cospirazione messa inatto dai ribelli o dai partigiani,il comando chiede di impartirel’ordine di evacuazione delledue isole da parte degli abitan-ti. Sollecitamente la prefetturaimpartisce l’ordine il giornoseguente fissando la data limi-te del 30 aprile per lo sgombe-ro degli abitanti. Nel frattempola situazione si era fatta pres-sante per i tedeschi che avver-tivano la minaccia incombentedegli alleati. Il 29 aprile, alle10,30, aerei nemici sgancianonove spezzoni incendiari inaperta campagna senza causa-re alcun danno. L’8 maggio, trale 6 e le 7, gli aerei alleati, scesia bassa quota, effettuavano unmitragliamento sulla stradaprovinciale Marta-Tuscania inprossimità della cartiera. Uncontadino che si recava incampagna col proprio carrettoriportò ferite non gravi. Se-condo il rapporto steso dalcomandante della stazionedella Guardia Nazionale Re-pubblicana di Marta, nellazona mitragliata non vi eranoobiettivi militari e lungo lastrada, in quel momento, nontransitavano automezzi tede-schi. Lo stesso rapporto ciinforma che un mitragliamentointenso si era avuto, quasi con-temporaneamente, in localitàFondaccio (dove si dividono lestrade per Montefiascone eper Viterbo), dove erano postele officine per la riparazione diautomezzi tedeschi e i depositidi carburante. A causa del mi-tragliamento vari mezzi furonodanneggiati e si ebbero 4-5 feri-ti tra il personale militare emilitarizzato in servizio. Il 15maggio le incursioni aeree siripetono: alle 6,30 in localitàCastell’Araldo, lungo la stradaprovinciale Tuscania-Marta,due squadriglie di caccia ame-ricani, a bassa quota, mitra-gliano un autotreno tedesco

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Comunicato del prefetto di Viterbo contro i sabotaggi alle linee telefoniche tedesche

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carico di fusti di carburante. Ilmezzo si incendia, i tedeschi simettono in salvo. Poco lonta-no stava transitando un carroa trazione animale e nell’azio-ne rimangono uccisi i duecavalli mentre il conducenteriesce a salvarsi. Subito dopole incursioni si ripetono nelbosco denominato La Mac-chietta, lungo la strada Veren-tana e in località la Rama delVescovo, al 13° chilometrodella strada Tuscania-Marta,fortunatamente senza dannialle persone. Nuove incursionisi hanno il 27 maggio, tra ledodici e mezzo e l’una di notte,con azione di spezzonamentoe mitragliamento in localitàGiardino, a 2 chilometri dalcentro abitato. Gli spezzoni,lanciati in prossimità di uncomando tedesco, non causa-no danni alle persone, mentredanneggiano fortemente pian-te di olivo e alberi di vite. Inquesto periodo il rifornimentodei viveri per i tedeschi divie-ne difficoltoso. Non ricevendopiù quanto occorre per il man-tenimento del presidio, comin-ciano a chiedere nelle case:pane, vino, carne di maiale(pancetta; prosciutto o, comelo chiamavano, speck; lardo...),formaggio. Se non ottengonoquanto chiedono diventanocattivi. Ma non sempre la gen-te aveva quantitativi sufficientidi viveri: il grano di cui le fami-glie disponevano era del tuttoinsufficiente e la farina venivaimpastata con aggiunta dipatate per sopperire al fabbi-sogno familiare, mentre buonaparte del maiale veniva requi-sito alle famiglieall’atto dellamacellazione.

La situazionestava precipitan-do. La popolazio-ne era in allerta,c’era gran movi-mento tra i solda-ti tedeschi, movi-mento di truppee mezzi. Le noti-zie si accavallava-no generandoc o n f u s i o n e .Sembrava che itedeschi vo-lessero tentare diritardare l’avan-zata di una colon-na alleata prove-niente da Civita-vecchia. C’eranopezzi di artiglie-ria, carri armati,mezzi militari...

Ma poi molti di essi si allonta-narono dal paese. L’8 giugno,giorno del Corpus Domini, itedeschi iniziarono a minare ilponte sul Marta, alle porte delpaese. Quella mattina, duedonne e una giovane si eranorecate al fiume per la consuetaprovvista di acqua, dato che lefontane pubbliche, a causa didanni all’acquedotto, non ero-gavano più acqua. Mentreattendevano a tale incomben-za, un rombo noto riempì l’ariae nello stesso momento dueaerei alleati (“becchi rossi”come li chiamavano a causadel colore della parte anterioredella fusoliera) furono sopra diloro. I tedeschi cominciarono aurlare per metterle in guardia,ma esse non capirono ciò chestavano dicendo. Fu così chealcuni di quelli che stavanosistemando gli esplosivi lesospinsero al riparo sotto l’ar-cata del ponte. In quello stessoistante il crepitare dei proiettilidella mitragliatrice sopra eintorno al ponte si mescolòalle grida di dolore e alleimprecazioni lanciate da quelliche si trovavano sul ponte asistemare le cariche e che nonavevano fatto in tempo a rifu-giarsi al di sotto di esso. Gliaerei tornarono subito indietroe lanciarono “spezzoni” sulponte e sullo stabilimento perl’estrazione dell’olio di sansadella società Gaslini, situatonelle vicinanze dello stesso, e idepositi e gli impianti dellostabilimento furono oggetto diintensi mitragliamenti. Lagente che stava ascoltando lamessa nella chiesa parrocchia-

le intuì l’accaduto e temendoazioni più dure, o addiritturabombardamenti, scappò dallachiesa. L’azione di spezzona-mento si ripeté, dopo pochiistanti, in una vigna vicina alcentro abitato, dove altri tede-schi si erano accampati conmateriali e mezzi vari. Lo scop-pio degli spezzoni generò unfrastuono tale che un cavallotedesco che era attaccato a unpezzo di artiglieria sulla PiazzaS. Pietro si imbizzarrì e si lan-ciò impazzito lungo la discesadi via Bixio con tutto il pezzoattaccato appresso. La velo-cità acquistata dal traino spin-se la bestia con tale forza che,raggiunta la curva in fondo allastrada, il cavallo non riuscì acompiere la svolta e morì,schiacciato dal pezzo di arti-glieria, contro il muro dellacasa di fronte. Quella sera,dopo aver fatto allontanare lapopolazione dal paese, i tede-schi fecero saltare il ponte.Ma, o per l’insufficienza dellecariche, o per il lavoro pocoaccurato compiuto nella conci-tazione degli eventi, l’esplosio-ne delle cariche non raggiunselo scopo. Il ponte fu danneggia-to ma non in modo tale daessere inservibile.

Il 10 giugno, mentre gruppiisolati di tedeschi erano anco-ra nel territorio del comune,da Tuscania giunse la colon-na degli alleati. Il loro arrivoera stato preannunciato dauna serie di cannonate cheavevano colpito la grande casacolonica della tenuta Giardino,nei cui pressi vi erano posta-

zioni tedesche.Le truppe allea-te erano costi-tuite da france-si, algerini e tunisini e precede-vano altri reparti di truppe dicolore. Alcune camionettealleate, percorrendo la stradatuscanese in avanguardia,avvertivano i contadini diritorno dalla tenuta di S.Savino dove era in pieno svol-gimento la mietitura, di na-scondere le donne e le ragazzeper evitare violenze da partedelle truppe marocchine. Unafila di carri, all’altezza di Ca-stell’Araldo, si diresse verso ilpaese lasciando la “tuscanese”e proseguendo per la Strada deiCarri che appariva più sicura.Nel frattempo un acquazzoneaveva cominciato a flagellareuomini, bestie e cose. Tutti cer-carono di affrettarsi, strettidalla paura e dallo scrosciareininterrotto della pioggia. Inprossimità del paese, vicini allastrada Verentana, furono avver-titi che una colonna di maroc-chini e francesi, proveniente daMontefiascone, stava raggiun-gendo Marta percorrendo lastrada Verentana. La paura sitrasformò in panico. Tutte ledonne furono fatte scenderedai carri e trovarono rifugio inun magazzino rurale dove furo-no nascoste sotto cumuli dipaglia e teli di canapa per laraccolta delle olive (i cosiddettibannelloni). Alcuni uomini rima-sero intorno pronti alla difesa.Le truppe arrivarono baldanzo-se ed esaltate. I marocchini, incalzoncini corti, indossavanostrane collane fatte di orecchie

umane infilate. Ledonne sentironogli schiamazzi,acquattate e tre-manti per il terro-re, inzuppate finoalle ossa. Vicinoal fiume unaragazza fu avvi-stata e fu soltantola prontezza dispirito del padreche, corso in suadifesa, minaccio-so, con un coltelloin mano, la salvòdalla probabileviolenza. La pre-senza di tali trup-pe in paese ebberisvolti penosi.Una ragazza cheviveva con la ma-dre malata e lamoglie di uno deimaestri di scuolafurono oggetto di

SPECIALEpassaggio del fronte

Sfollati

Marta

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violenza. Unasera, alcuni ma-rocchini ubria-chi tentarono di

sfondare la porta di una giova-ne coppia. Spenta la luce, ilrobusto e aitante marito dellagiovane tolse il chiavistello,accolse i marocchini a suon disberle e li mise fuori combatti-mento, quindi si recò al coman-do alleato e avvertì i superioridi “venirseli a riprendere”.

I tedeschi che si trovavanoancora a Marta il 10 giugnofurono intrappolati tra le duecolonne alleate senza alcunapossibilità di fuga. Sulla stra-da per Tuscania, vicino alponte del torrente Acquarellauna vettura tedesca fu colpitada una cannonata. Un tedescomorì. Nei giorni successivi,quelli che si recavano a miete-re ne videro il cadavere sulbordo della strada. Qualcuno,di nascosto, gli tolse gli stivalie mise sul suo petto, tra lemani, la foto della moglie e deidue figli che aveva rinvenuto,probabilmente, nel portafoglio.Quel corpo insepolto fu ogget-to di pietà e spinse qualcuno arecitare una preghiera. Unaltro tedesco che si era nasco-sto con una camionetta fuucciso in circostanze pocochiare in località Cantinella.Alcuni tedeschi, rimasti isolati,tentarono la fuga via lago,nella speranza di raggiungere aBolsena la loro colonna in riti-rata lungo la via Cassia. Le bar-che in fuga furono avvistate e,prese di mira a colpi di canno-ne dagli alleati, colarono apicco. Altri tedeschi fuggironoo si nascosero o caddero pri-gionieri.Il giorno successivo, 11 giugno,all’arrivo di un maggiore ingle-se dell’AMGOT, un numerosogruppo di cittadini indicò, perla nomina a sindaco, il signorAgostino Sassara, che per aversvolto attività antifascistaaveva subito cinque anni diconfino. Il signor LorenzoCherubini fu proposto per lacarica di vice sindaco. Il 13 giu-gno, per ordine del comandoalleato si intimava alla popola-zione di consegnare armi,munizioni, bombe a mano emateriale vario di appartenen-za alle forze armate tedescheche poteva essere stato ritro-vato nel territorio comunale. Il20 giugno il sindaco invia unalettera al colonnello VanHecke, comandante della 7a

R.C.A., lamentando che “soldatitunisini, algerini ecc. si recano

nelle campagne e anche neicortili dell’interno del paeseasportando polli e suini. Poichéla popolazione ha accolto conviva simpatia le truppe di libe-razione... (omissis) Vi saròvivamente grato se vorrete ordi-nare alle truppe da Voi dipen-denti, di astenersi dal commet-tere abusi e, nel caso in cuihanno bisogno di qualche cosa,di pagare regolarmente ciò cheprendono”.Il 17 luglio, rispondendo allacircolare diramata in propositodalla prefettura di Viterbo, ilsindaco così comunica: “il cen-tro abitato non ha subito bom-bardamenti... i danni riguarda-no: la rottura dei due ponti sulfiume Marta, uno per l’accesso aViterbo e l’altro per l’accesso aTuscania, provocata dalla esplo-sione di mine ivi collocate; dan-neggiamenti delle vie Laertina,Verentana, Guglielmo Marconi ePiazza Umberto I; delle fognatu-re ivi esistenti e delle fontanelle,provocati dal continuo transitodi autocarri, carri armati ecc;danni rilevanti sono stati subitianche dai proprietari di terrenisituati alla periferia del paese,dalla sosta di truppe, piazza-mento di batterie e mitragliere,con conseguente perdita di rac-colto, in maggior parte patate,uva e olive. Si sono verificatianche furti di bestiame bovino,ovino, suino, e pollame, nonchéscasso di cantine con rilevantequantità di vino andate perdu-te...”.

Tra la fine di agosto e i primidi settembre arrivano a Martamolti sfollati, soprattutto dallazona di Civitavecchia, e vengo-no requisiti diversi alloggi perospitarli. Seguono note e circo-lari per l’accoglienza e il soc-corso alle famiglie dei profughie per il risarcimento dei dannisubiti. I residuati bellici rimastisul territorio, per uso impro-prio o per mal riposta curio-sità seminano lutti e sanguetra la popolazione. Diversiadulti muoiono o vengono feri-ti seriamente nel tentativo direcuperare degli esplosivi dautilizzare per la pesca o peraltri scopi. L’episodio chescosse maggiormente la popo-lazione fu la morte di cinquebambini, tre femminucce e duemaschietti che restarono vitti-me di una bomba. Quindi, len-tamente, iniziò la ricostruzio-ne, non solo per riparare aidanni materiali, ma soprattut-to per dimenticare gli anni buio riparare alle ferite del cuore.

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“Èremo regazzétte... giuvinottèlle... lavoràvemo mellì alPalazzaccio quando, d’un tratto, sentimmo il rombo d’un

aereo che volava basso e, poco dopo, proprio alla Pontonata, unaforte esplosione...”.“Se chiamava Peppe, adèra ‘l fijo de la pòra Mechina, e ‘gni tantorubava ai tedeschi roba da mangiare, riso, burro, pane... la fame eratanta! La roba la tenevano in quel magazzino lì dove adesso ci sonogli attrezzi del comune. Una volta, pòro Peppe!, lo presero sul fatto,lo legarono e lo portarono al comando. Peppe era un bravo ragazzoe dalla paura si pisciò sotto; i tedeschi si misero a ridere, a ridere...”.“Adèra ‘na bella fija, la Teresina, e adèra giovane... S’innamoròd’un tedesco che se chiamava Helmut, me pare, ma lei lo chiamavaVèrmute...”.“Prima ch’arrivassero l’americani le purce, li pidocchi ce scassellà-veno tutte, ma noe ‘n ce facìvomo caso... Poi dettero il DDT in tutte lecase: su ogni casa scrivevano, con la vernice bianca, ‘DDT’ e la datadel passaggio...”.

Quattro storielline delle tante e tante che la cazzòla di mezz’estatefa riemergere dall’archivio del tempo: Maria, Tilde, Egidia, Anna,non parlano degli antichi ricordi ma li narrano, proprio come si facon le fiabe. Il lungo tempo trascorso e l’aria domestica che vi sirespira dà alle storie quel tanto di magico e d’indefinito che attenuale fosche tinte dell’antica tragedia e, in specie, del passaggio delfronte, che se a Capodimonte non fu proprio tragico, lasciò comun-que i suoi tristi segni. Avevo all’epoca otto anni, ospite, con i mieifratelli, del mitico nonno, il sòr Oreste Lupi, e se i miei ricordi, comesi vedrà, sono alquanto nebulosi, non lo sono quelli di Oreste, il fra-tello più grande omonimo del nonno, e men che meno quelli diFilippo e di Lido, due capodimontani doc. Li ospitiamo, allora, nellanostra cazzòla virtuale per rubare loro qualche antico ricordo.

Fine 1943, primi mesi 1944. “Su al Baratto, in un podere di fami-glia - sono Filippo e Lido che parlano - nostro nonno ospitò, dopol’armistizio dell’otto settembre, alcuni sbandati italiani e tre, forsequattro piloti inglesi, il cui aereo era stato abbattuto dalle parti delmare, forse a Montalto. Aveva dato loro di che coprirsi e, ognitanto, portava loro anche di che sfamarsi. Talvolta - prosegueFilippo - partecipavo anch’io a queste missioni che non preoccu-pavano più di tanto dato che con i tedeschi - ma il discorso valeper tutti gli stranieri in genere - il paese aveva ed ha sempre avutoun rapporto buono. Un giorno, arrivati al casale, lo trovammo cir-condato dai tedeschi perché tre paesani avevano fatto la spia...Fatti prigionieri gli inglesi, sistemati gli altri, mio nonno fu riman-dato a casa dopo un lungo interrogatorio e minacce varie.Venimmo poi a sapere che i tre delatori furono ringraziati daitedeschi a suon di legnate... ma queste sono solo voci”.

Capodimonte

Un lampo sul lago...

Fine giugno 1944: genieri francesi sminano uno sbarramento stradale tedesco sulla Cassia(da: C. Biscarini, op. cit.)

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Primi mesi 1944. Il feldmaresciallo Albert Kesselring, comandantedel Gruppo Armate C in Italia, aveva in animo di trasferire il suocomando in Capodimonte, a Villa Pianòra, dopo che il quartiergenerale di Frascati era stato distrutto, ma il nostro paese eratroppo lontano da Roma - presso cui il generale doveva recarsispesso - e così fu giocoforza cercare altrove: la scelta cadde suirifugi del Monte Soratte ma, per un certo tempo, Kesselring fucomunque ospite di Capodimonte. E’ mio fratello Oreste che pre-cisa questi particolari - appresi ovviamente in prosieguo di tempo- ma siamo lui ed io insieme che, recatici in quei giorni presso laspiaggetta del Cantinone - proprio sotto Villa Pianòra - per metterein acqua un piccolo natante autocostruito, avemmo modo di par-lare nientemeno che... beh... proprio con Kesselring ed il suo uffi-ciale d’ordinanza: vollero veder funzionare il giocattolo, osservan-done poi compiaciuti le evoluzioni. Chi fossero i due lo appren-demmo solo a sera, da nostro nonno, cui lo stesso ufficiale riferì:“Oggi i suoi nipoti hanno parlato con il generale Kesselring”! Capimmo molto tempo dopo l’importanza del personaggio e neseguimmo le sorti, al processo di Norimberga, dove fu condanna-to ad una pena non troppo pesante. Fummo contenti per lui per-ché quel giorno s’interessò della nostra barchetta.Fine gennaio 1944. Un bombardiere North American B 25 Mitchellprecipita in acqua nei pressi dell’isola Martana. Era dello stessotipo di quelli che, pochi giorni prima (il 17), in formazione di 24esemplari, operarono il famigerato bombardamento di Viterbodurante il quale venne distrutto, tra l’altro, il Garage Garbini. “Erosolo - è sempre Oreste che parla - sul molo di Brenciaglia, sottoVilla Pianòra, ed ebbi modo di assistere al tentativo di recuperooperato dai tedeschi: dopo aver sostato sul luogo che ritengofosse quello dell’impatto, alcuni di essi rientrarono a bordo d’uncanotto provenendo appunto dalla direzione dell’isola, portando ariva un battellino pneumatico mezzo sgonfio di colore giallo vivo,nonché alcuni reperti di cui non ricordo la natura. Uno di talireperti cadde in acqua, per fortuna bassa, ed io fui costretto daitedeschi a mettermi a mollo per recuperarlo. Il relitto dell’aereodev’essere ancora lì, sott’acqua, se corrisponde al vero quantoriportato dalla rivista VOLARE (Ed. Domus, anno XVII n° 184/1999)che, alla pagina 63 riporta, tra le altre, la seguente notizia: “LAGO DIBOLSENA - Un bombardiere americano della seconda guerra mon-diale dovrebbe trovarsi in fondo al lago, a notevole profondità.All’inizio degli anni ‘60, i pionieri dell’immersione Ennio Falco eAlberto Novelli effettuarono una prima prospezione subacquea

per individuare il relitto”. Se fosse ancora lì, nondovrebbe essere difficile, con i moderni mezzi,recuperarlo: restaurato, esso potrebbe essereaccolto in una qualche struttura museale dell’areaper testimoniare, in maniera drammaticamente attuale, uno deitanti fatti di quella lontana guerra.

8 giugno 1944, vigilia del passaggio del fron-te. Incombendo l’arrivo degli angloamericani,tutti gli abitanti del paese, compreso ovvia-mente chi scrive, furono invitati a raggiungerele cantine che, sotto la rupe di Pianòra, i tede-schi avevano trasformato in rifugi. I vecchi“alleati” se n’erano appena andati e s’aspetta-vano i nuovi fra incertezze e paure. Scesa lasera, seduti fuori dei ricoveri, si passava iltempo chiacchierando o pregando. Verso leore 23.30 tutta la parte di lago e le colline versoMontefiascone furono illuminate da un chiaro-re abbagliante che fermò, come un lampo foto-grafico, il gesto di quanti, abbrancata la seggio-la, si precipitavano verso i rifugi. Al lamposeguì un boato assordante. Sono passati ses-sant’anni da allora ma quell’immagine e quelsuono, credetemi, mi sono rimasti impressiindelebilmente; solo al mattino apprendemmoche l’esplosione era stata opera dei genieritedeschi che avevano fatto saltare il ponte sulMarta. Si annunciò così il passaggio del fronte che perme è storia perché l’ho vissuta in prima perso-na anche se, per ritrovare l’esatta data ed altriparticolari che ignoravo, ho dovuto far ricorsoall’aiuto del cortese signor Trento Volpi di

Marta, che con l’occasione ringrazio. E’ stato sempre Volpi a dirmiche, quella sera, i tedeschi non si limitarono a distruggere il pontema anche il passaggio della Cannara che evidentemente potevapermettere un facile superamento del fiume.Poi... poi sorse l’alba del giorno nove, alba tragica, come vedremo.Una giornata limpida, di bel tempo, una di quelle giornate in cui èpossibile vedere distintamente i particolari della sponda opposta,quella di Bolsena, con la sua corona di colline verdeggianti. Scenaserena, resa ancor più rassicurante per l’apparire, all’altezza dell’i-sola Bisentina, della familiare sagoma d’una barca di pescatori:evidentemente i timori del momento sono in gran parte infondatise c’è chi ha l’ardire d’attendere tranquillamente al proprio lavo-ro... Ma mentre la barca avanza in direzione di Bolsena, incomin-ciano ad apparire sulla superficie dell’acqua degli strani zampilli econtemporaneamente, dalla parte di Marta, si sente distintamenteun crepitare incessante di armi automatiche. Ad ogni raffica corri-sponde uno zampillare d’acqua sempre più vicino alla barca equalche colpo va a segno, perché si vedono i poveri occupantisgottare via l’acqua. Il bersaglio, pur immobile, è difficile da colpi-re perché lontano e basso sull’acqua, e tutti coloro che assistonoalla tragica scena sperano che gli occupanti possano in qualchemodo sfuggire all’ignobile tiro a segno: speranza vana, perchédopo una decina di minuti di fuoco incessante, alla caccia si uni-

SPECIALEpassaggio del fronte

Piero Carosi

poi un boato“... il gesto di quanti, abbrancata la seggiola,si precipitavano verso i rifugi...”

Capodimonte

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scono le armi pesanti dei carriarmati che con due, tre colpimandano il bersaglio in millepezzi. Passa poco tempo e la

notizia arriva portata di bocca in bocca: nonerano pescatori quelli fatti segno al fuoco ma igenieri tedeschi che, minato ponte e Cannara,raggiungevano via lago il loro reparto a Bolsena,ancora sotto controllo tedesco. Pochi anni fa,ricordando il fatto, chiesi ad amici capodimonta-ni il nome dell’uomo che vinse la sua guerracomunicando agli angloamericani il segretodella barca in fuga: elusero la domanda quasi avoler rimuovere un pensiero troppo molesto.Evidentemente l’eco di quelle raffiche non s’èancora spento del tutto.

Ed ora una testimonianza letteraria segnalata daSergio Simiele e tratta, in riassunto, dal libro diErsilia Pannucci, “PRESENTI”: 11 giugno 1944. Sidice comunemente: era destino, infatti la vicen-da di Leone Baccelli ne conferma l’esattezza.Dopo aver operato sul fronte greco-albanese,Baccelli rientra in patria il 25 febbraio 1942 eviene collocato in congedo illimitato, avendo trefratelli alle armi. L’arrivo degli alleati sembrariportare la famiglia alla serenità del focolare. Glialleati stabiliscono il comando nel suo casale,come in precedenza avevano fatto i tedeschi, etutto dà l’impressione di essere tornati alla nor-malità. Ma improvvisamente la tragedia: il gior-no 11 giugno tre ufficiali delle truppe alleate,appartenenti al 3° reggimento Sphais da ricogni-zione, chiedono a Leone di far loro da guida,nelle vicinanze di San Magno, per indicare loro lestrade. Conoscendo molto bene quei luoghi,Leone accetta di dare il suo aiuto in quella mis-sione esplorativa e sale sulla camionetta.Durante il percorso lo scoppio di una mina,posta come tante altre dalle truppe tedesche inritirata, fece esplodere l’automezzo provocandola morte di tutti i passeggeri. Lasciava la mogliee due bambine di sei e tre anni.

Estate 2002. Vado a trovare un pescatore mioamico e lo trovo intento a districare qualcosadalla rete. “Adè ‘na bomba a mano tedesca...”.Durante il servizio militare ho fatto, tra l’altro,anche l’istruttore di armi e immediatamentem’accorgo che si tratta proprio d’una bomba amano, più precisamente d’una micidiale hand-granate. Alla mia aria molto preoccupata obietta,con incosciente semplicità, che dopo tanti anninon c’è più nulla da temere e che, dopo averlaripulita, la metterà sul caminetto (!) a ricordo deitempi in cui i tedeschi usavano quelle stessebombe per andare a pesca... Lo faccio subitoallontanare e chiamo i carabinieri, i quali isolanosubito la zona e chiamano, a loro volta, gli artifi-cieri da Civitavecchia. “E’ uno dei residuati belli-ci più pericolosi” precisano, prima di farla brilla-re. Lo scoppio non fa ovviamente alcun dannoperché i nostri bravi tecnici sanno far bene illoro lavoro, ma il suo eco, uguale a quelli chesentimmo tanti anni fa, mi riporta alle paure edai terrori che nessun trascorrere di tempo puòcancellare.

Come tutti gli “amarcord”, anche questo può contenereerrori, dimenticanze, riferimenti impropri. Sarebbe allorainteressante cogliere l’occasione di questa rievocazioneper spingere quanti, in possesso di ulteriori o più precisenotizie, le facessero pervenire alla redazione che nonmancherebbe di utilizzarle per dare, al “passaggio delfronte” a Capodimonte, una connotazione di più alto valo-re storico. Tutti i fatti narrati sono reali e documentabili;sono di fantasia, per ovvie ragioni di privatezza, soltantoi nomi italiani citati nelle “storielline” iniziali.

In questo speciale della Loggetta hovoluto riportare i racconti di alcuni

arlenesi che durante l’adolescenzahanno vissuto sulla propria pelle gliorrori della seconda guerra mondiale, adifferenza di noi ragazzi di oggi, che,rispetto a loro, pur essendo circondatida ogni bene, spesso non ci accorgiamodi quanto siamo fortunati. Ed è proprioper questo che secondo me i loro ricor-di devono diventare una preziosa fontedi riflessione. Avvalendomi di tali testi-monianze, ho cercato di ricostruire ifatti che si verificarono e che precedet-tero l’ingresso delle truppe alleate adArlena. Qui, nei primi anni quaranta, giunserodue reparti di soldati tedeschi: dodici diessi erano dei radiotelegrafisti mentregli altri erano piloti di cacciabombardie-ri. Mentre i primi vivevano all’interno diuna specie di pullman pieno di grosseantenne, adibito a stazione radio esituato al centro del paese, gli altri sierano stabiliti nell’ex edificio delle scuo-le elementari e avevano occupato lecase più grandi, come ad esempio ilpalazzo sulla destra dell’attuale Piazzadella Repubblica, obbligando i proprie-tari a ospitarli. I rapporti con la gentedel luogo erano abbastanza tranquilli,se si eccettua, negli ultimi tempi, qual-che bravata serale di militari ubriachiche, dopo il coprifuoco delle 19, davanocalci a porte e finestre per cercare qual-che ragazza…Ma in realtà non irruppe-

ro mai nelle case, anche perché tuttisbarravano le proprie entrate conmobili pesanti o con spranghe. Al finedi mantenere calmo il fronte interno, inaccordo col podestà si decise anzi diistituire un ispettorato del lavoro attra-verso il quale, pagandoli 70 lire al gior-no, vennero assunti alcuni arlenesi perprovvedere alla ricostruzione del paesedopo i precedenti danni bellici. Coloroche si opponevano a tale chiamata vivenivano condotti obbligatoriamente,come quando dovettero per forzacostruire delle piazzole alla Polledraraper nascondervi gli aerei. Stesso tratta-mento in quegli anni era riservato a chinon aveva troppe simpatie né per ilregime fascista né per gli stessi tede-schi. Spesso accadeva allora che, perspaventarli e mantenerli in soggezione,venivano presi con forza, interrogati alcomando tedesco di Tuscania e, nellamaggioranza dei casi, ricondotti a casadopo qualche pauraccia. I rapporti con la parrocchia erano abba-stanza contrastati. L’allora sacerdotedon Giulio Martella, infatti, aiutandoalcuni tra i cittadini più bisognosi e anti-tedeschi, spesso si oppose alle loro rigi-de e severe regole. Si racconta di comeuna volta, desideroso di aiutare gli im-minenti alleati nella cattura dei soldatitedeschi, ne rinchiuse uno per alcunigiorni sotto la cantina della casa parroc-chiale per poi consegnarlo agli america-ni quando fossero arrivati. Il caso volle

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Arlena di Castro Anna CarlaMelaragni

Finalmente la liberazione! (... anche dai pidocchi!)

Piloti di spitfire inglesisi affrettano al decollo

da un improvvisato campo di volo

Assistenza da terra

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però che quest’ultimo venisseliberato prima dai suoi compa-trioti e che, furioso per l’af-fronto subìto, incominciasse acercare il nostro coraggiososacerdote urlando per strada:“Dove essere il pastore?”. Alche un contadino, ignaro del-l’accaduto e convinto che cer-cassero uno dei tanti allevatoridel posto, rispose: “Il pastore ègiù pe’ la Polletrara a bada’ lepecore”. Sicché don Giulio nonfu trovato e uscì allo scopertosoltanto quando le acque sifurono calmate. Per quanto riguarda l’apparatobellico, i punti nevralgici deitedeschi erano situati fuori dalpaese, in campagna, presso lelocalità Polledrara e Marru-cheto, dove sorgevano dellevere e proprie basi per i cac-cia. Da qui questi ultimi parti-vano per contrastare l’avanza-ta nemica, e si racconta chel’anno precedente all’arrivodegli alleati, il 1943, fu abba-stanza disastroso a causa deicontinui bombardamenti diquesti ultimi per distruggere labase della Polledrara. Moltefurono le case danneggiate odistrutte, nonostante sullacarta fosse vietato bombarda-re i centri abitati. Nel marzodel 1944 ci fu una vera e pro-pria battaglia aerea sopra ilcielo di Arlena. I testimoni ocu-lari parlano di un centinaio diaerei che, dopo essersi sparatia vicenda seminando caos eterrore tra la popolazione, sidiressero a sud verso Monte-bello. Quella mattina i due fra-telli Nazareno (detto Nénozi-no) e Guglielmo Rosi, di Arle-na, stavano lavorando nei pro-pri poderi situati rispettiva-mente presso la zona Zuccheti(verso Tuscania), e presso laPiantata (verso Piansano). Tro-vandosi nel bel mezzo dellabattaglia, mentre due aerei siinseguivano attraversando danord a sud il paese, venneroentrambi colpiti: Guglielmomorì subito, e Nazareno fu feri-to ma per fortuna riuscì a sal-varsi. Molti si ricordano con orrore epena di un povero postinotedesco che, trovandosi colsuo elicottero nel bel mezzo diuno dei tanti attacchi aerei, fuaccerchiato da quattro o cin-que aerei inglesi - chiamati spif-fer dai miei interlocutori - chelo colpirono provocandone loschianto contro una grotta inlocalità Banditaccia. Chi vi sirecò, attirato dalla curiosità, siricorda della campagna lìattorno tutta piena di lettere,purtroppo mai consegnate, edi quel paracadute la cui stoffavenne divisa tra la gente percucirci delle belle camicie! E’invece dell’ottobre del ‘43quello che tra gli arlenesi è

noto come “il furto della mac-chinetta fotografica”. Accaddeche quattro giovani soldatitedeschi di passaggio adArlena, attratti dall’odore dellavendemmia, si vollero fermarein una cantina presso Castel-vecchio per bere il vino novel-lo. Avendo lasciato incustoditala loro jeep, nel cui sedile face-va bella mostra una macchi-netta fotografica, successe chequest’ultima venne rubata.Potete immaginarvi la confu-sione che si creò quando iquattro soldati, già belli ubria-chi, uscendo dalla cantina sene accorsero. Incominciaronoa seminare il terrore per le vie

del paese sparando all’impaz-zata contro muri e porte percercare il colpevole. DonGiulio, allora, di fronte alla lorominaccia di far saltare in ariaArlena, si affrettò ad avvertirela popolazione, quella pocache era rimasta, dato che lamaggior parte era fuggita suitetti o per i campi. Nelle sueprediche supplicò chiunquefosse stato di riconsegnarel’oggetto rubato. Fu così che,di nascosto, la macchinetta furiconsegnata e Arlena vennesalvata. Dopo la liberazione di Romadel 4 giugno e l’avanzata allea-ta verso nord, i tedeschi ab-bandonarono via via le loroposizioni lasciando delle retro-guardie a rallentare l’avanzatanemica, mentre in qualchecaso alcuni di loro si allontana-rono dall’esercito e si disper-sero cercando di ritornare inpatria clandestinamente. Sa-pendo della presenza alleata aTuscania, nel mio paese i tede-schi tentarono di bloccar lorola strada. Obbligarono moltiarlenesi a costruire quellemine che nella notte del 10 giu-gno, alle due circa, scoppian-

do, provocarono la distruzionedel ponte detto del Linare, diquello detto del Muraglione edella casa dei Torlonia (attualeedificio comunale) con la stra-da in curva sottostante. Manonostante tutte le vie d’ac-cesso fossero bloccate ed essistessi opponessero una stre-nua resistenza sparando con-tro gli alleati accampati alCerro, i tedeschi erano consa-pevoli che l’unica via di scam-po fosse la fuga e presero lastrada che portava a Piansano. La mattina dell’11 giugno,verso le dieci, passando per lascorciatoia del Fosso secco(dato che la strada Arlena-

Tuscania era bloccata), duefrancesi a bordo di una camio-netta entrarono ad Arlena afucile spianato e, resisi contodella fuga dei nemici, ne pro-clamarono la liberazione. Lagente, che già da alcuni giornisi era rifugiata nelle grottesituate nella zona delle attualiVia dei Molini, Via del Pogget-to e Strada del Piano, non sen-tendo più gli spari uscì alloscoperto gridando: “E’ arrivatala liberazione! Evviva!”. Moltisi diressero verso Tuscaniaper cercare cibo e coperte tra iresti dell’accampamento ame-ricano, abbandonato per l’a-vanzata verso Piansano. Alcu-ne ragazze trovarono in unascatola delle boccettine tuttecolorate che non contenevanoprofumo, bensì il famosoMomme, detto anche Ddt, chevenne subito utilizzato controi pidocchi con ottimi risultati!Quello stesso giorno, verso lenove, e dunque poco primadell’arrivo della camionettafrancese, era giunta ad Arlenada Canino una jeep militarecon a bordo due americani chedovevano trasportare all’ospe-dale da campo di Tuscania due

gravi feriti. Tro-vandosi di fron-te la strada in-terrotta, chie-sero ad alcuni paesani di indi-car loro una strada alternativa.Fu così che quattro arlenesidecisero di accompagnarli perla strada di Piansano. Ma men-tre tre di loro scesero quandoritennero ormai facile prose-guire, il quarto, nonostante gliammonimenti degli amici,volle accompagnarli a destina-zione, e guarda caso si imbat-terono in una retroguardiatedesca che subito catturò ilpiccolo convoglio. Gli america-ni con i due feriti vennero fatti

prigionieri, mentre il nostropovero amico fu gonfiato dibotte e rinchiuso in una grot-ta, dalla quale riuscì a fuggiregrazie all’aiuto di un medicoaustriaco che ebbe pietà dilui. Tutto questo avvenne in quel-la lunghissima giornata che ful’11 giugno del ’44, alla qualeseguirono giorni di festa neiquali spesso Via Vittorio Ema-nuele si affollò di donne, uo-mini e bambini che accorreva-no per accogliere gli america-ni (anche se tra loro c’eranoanche francesi, marocchini…)che, passando per la stradaTuscania-Piansano, giunseroad Arlena il 12 giugno con iloro carri armati e con lecamionette dalle quali getta-vano sigarette, gallette, cioc-colata e caramelle che aveva-no il sapore della ritrovatalibertà. Vennero nominati deisindaci provvisori dallo stes-so comando militare alleato esi cercò di ricominciare avivere, nel mio come in moltialtri paesi, stringendo i dentidi fronte ai disastri di una del-le peggiori guerre di tutta lastoria.

SPECIALEpassaggio del fronte

L’avanzata delle truppe alleate fu continuamente ostacolata dall’azione di disturbo dei guastatori tedeschi

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Quella notte d’inferno, inuna grotta sotto ai casta-

gni di là dal fosso de le Grot-tinacce nacque una bambina.Che non ebbe la visita deipastori o l’omaggio di sfarzosire orientali, ma lo sconquassodelle cannonate americane e, agiorno fatto, lo sferragliare deiloro mezzi cingolati checosteggiarono il paese e poi loattraversarono nell’ultimo trat-to in direzione di Valentano.Quella bambina si sarebbechiamata Anna Bottone, secon-dogenita di un marittimo paler-mitano finito qui da Civitavec-chia insieme con una piccolatribù di parenti, tutti sfollati:cugini e cognati con figli, chein paese avevano trovato unasistemazione uno o due anniprima in un magazzino pienodi brande. Ce n’erano diversi,di sfollati, pigiati nelle casupo-le del basso paese; soprattuttodi Civitavecchia e di Roma,oltre a compaesani trasferitisia suo tempo in città e “rimpa-triati” coi familiari per sfuggirealle bombe e alla fame. Capita-va in quegli anni di sentir no-minare dei Mascari, dei Garo-foli, dei Generali o dei Benni,dei Pecorelli, dei Biferali...ossia gente non di qui e chepoi sarebbe tornata alle pro-

prie case una volta passata labufera.Ma non erano solo loro a trepi-dare, in quella notte di fuoco,nei rifugi improvvisati dellecampagne. Tutto il paese si erariversato nelle cantine e nellegrotte delle coste laterali. Daigrottini dei maiali si usciva let-teralmente pieni di pulci, fittis-sime pulci rosse che ti entra-vano dappertutto, ma forse lìsi poteva essere più protetti, esolo chi uscì incautamente alloscoperto per vedere i lampi diguerra rimase colpito da alcu-ne schegge: così Galardino, oAdriano Bronzetti; così ilCoggiàme, ferito alle costole;così Venicio Melaragni, chesarebbe morto con un fulminecinque anni più tardi ma chequella notte si vide asportareda una scheggia un pezzo dellaspalla sinistra, medicata incasa sua alla meno peggio daPietro de Tòsto.Era la notte tra il sabato e ladomenica, 10 e 11 giugno 1944,e fin dalla mattina del sabatotutto il paese era corso a na-scondersi. La povera ErsiliaFalesiedi, che non aveva potu-to abbandonare una figlietta infin di vita, era morta nella suacasa del vicoletto de le scòle.Stava lavando le lenzuola

attorniata dai suoi sei bambiniquando una granata esplosesull’abitazione del Deputato,nel sottostante Vicolo Vec-chio; attraverso la finestra unascheggia la colpì alla testaperforandola e schizzandosulla parete di fronte con alcu-ni frammenti; la donna caddein mezzo ai bambini senza unlamento, tra rivoli di sangue, espirò dopo dodici ore di coma.Nel pomeriggio di quello stes-so giorno un bambino vennealla luce in una casa dellaRocca, ma anche altri bambini,nati in quei giorni in cantine epresepi di fortuna, furono infa-gottati e portati via, nei ricove-ri delle campagne. Ci si ricor-dò di loro qualche giornodopo, passata la tempesta, edè curioso notare come i loroatti di nascita siano stati redat-ti in municipio tutti insiemedal giorno 14 in poi. Sono sot-toscritti dal nuovo sindacoVittorio Falesiedi, designatodal comando militare alleato il13 giugno in sostituzione delpodestà Lauro De Parri, e peralcuni di essi rimane il dubbioche neppure le date di nascitasiano del tutto affidabili, essen-dosi appunto accavallate erimandate in quei giorni dipaura.

Era l’epilogo di quattro annidi guerra. Quattro anni dipaure e di pena, di figli partitisoldati e morti in fronti lonta-ni, di mancanza di notizie perquelli prigionieri. Anni di rab-bia, anche, per mariti e padrifatti partire “volontari” con lapromessa di un posto di lavo-ro; e per gli stenti e le fatiche atirare avanti, per chi era rima-sto a casa senza il loro aiuto.Ai bambini a scuola venivanofatti raccogliere i ciuffi di lanarimasti impigliati nelle fratte alpassaggio delle greggi, perfarne maglie per i soldati alfronte, ai quali anche scriveva-no letterine per Natale... Allafine, in paese se ne sarebberocontati venticinque, di soldatimorti al fronte o in prigionia,cui si aggiunsero nove civili ealtri tre reduci trascinatisi conle infermità per il resto dei lorogiorni. Neppure s’era accorta,la gente, del transito in paesedi alcune “nemiche” straniere,nel novero delle internate poli-tiche smistate nei centri dellaprovincia. Nell’estate del ‘42 vierano passate un’inglese e duefrancesi, quest’ultime madre efiglia; la prima dirottata subitoa Canino e le altre a Bagnore-gio: “per deficienza di alloggi”,dice la relazione della questu-ra, “e motivi di salute”, aggiun-ge nel caso delle francesi.Ma soprattutto quell’anno, il‘44, era stato cruciale, a di-spetto della gioia convulsa cheall’indomani dell’8 settembredel ‘43 aveva portato alcuni adarrampicarsi sulla torre dell’o-rologio e a martellarne forsen-natamente le campane, fino aromperle. Con i tedeschi ina-spriti dal “tradimento” e pres-sati sempre più da vicino daglialleati poteva succedere ditutto. In giro c’era un’aria dipaura e di sospetto terribile, ela guerra era piombata in casacon tutto il suo carico di trage-die e terrore.Lazzaro de la Lizzèra fu presodi punta (!?) e mitragliato daun aereo mentre si trovava perla semina con le vacche nellecampagne sotto Tuscania.Stava andando a prendere ilpane per gli altri operai dellalavorazione quando vide l’ae-reo lasciare la formazione etornare indietro dritto su dilui. Fu colpito alla noce delpiede e cadde riverso sulcampo. Pensavano che fossemorto; nessuno aveva corag-gio ad accostarsi. Quando for-tuitamente fu soccorso e por-tato a Tuscania per essereoperato in extremis era mezzodissanguato: a tratti vaneggia-va, e chi lo assisteva dispera-va che si potesse salvare.

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Piansano AntonioMattei

C’era il grano da mietere

Carri armati francesi transitano tra l’indifferenza dei contadini intenti alla mietitura (da C. Biscarini, op. cit.).

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Il 3 marzo una formazione dibombardieri americani, proba-bilmente decollati da Foggiaper colpire i nodi ferroviari diOrbetello e Grosseto, sul cielodella Banditaccia, nella traiet-toria Tuscania-Piansano, fuassalita da caccia tedeschi cheingaggiarono battaglia con icaccia americani di scorta.Nell’inferno dello scontro dueaerei tedeschi furono abbattutie si schiantarono al suolo, maprobabilmente anche una dellefortezze volanti fu colpita, eper riuscire a mantenersi inrotta fu costretta a sganciare ilsuo pesante carico. Per tutto iltratto dal fosso del Cantinaccioall’infidèe vecchie la terra fusconvolta, mietendo vittimetra animali e uomini al lavoroper quelle campagne. Furonocolpiti non solo i figli di Vit-torio Bordo, con strage delgregge e delle bestie, maanche l’arlenese Guglielmo Ro-si, marito della nostra concit-tadina Lucia Calisti e morto aPiansano lo stesso giorno perle ferite dal mitragliamento;Romolo Sensoni, morto il 29aprile all’ospedale di Monte-fiascone anche lui per le feritedi quel giorno; la Bròda, ossiala tessennanese Marianna Ren-zini, che era vedova del nostroconcittadino Bernardino Go-vernatori e quel giorno era aspalare nell’infidèo del pòroCarluccio per la strada diArlena: morì a Piansano l’11maggio, e per poco non ci ri-masero anche i fratelli Pietro eChécco de Pelèllo, che stavanoa fare un po’ di legna alle Costede Tortura e si ripararonosdraiandosi in un anfratto.Maddalena de la pasticceria,che si trovò bambina su alPianetto con l’amichetta Ama-lia e fu salvata da una dellafamiglia che la trascinò in uncarraccio, fino a vent’anni, perdire, continuò a rifugiarsi nelletto di sua madre ad ognituono di temporale, e ancoraoggi, se chiude gli occhi, lepare di vedere grappoli diquelle bombe che scoppianonell’impatto a terra. Fu propriouna decina di giorni dopo queldisastro che la popolazioneterrorizzata si ritrovò al com-pleto nella chiesa parrocchialea far voto: preghiere e opereper la chiesa fino a quando laguerra non fosse finita, se isuoi pericoli fossero rimastilontani. (Il voto fu sciolto nel‘45, quanto la chiesa fu com-pletamente affrescata e l’im-magine della Madonna delRosario, tra la commozioneindicibile della popolazione, fuportata a spalla in processionedai prigionieri reduci).

La processione del Cristo Mor-to - il 7 aprile successivo, unaltro venerdì - fu interrottadallo sferragliare agghiaccian-te di una colonna di carriarmati tedeschi che attraversola salita delle Caciare si ritira-vano a nord. I momenti di esi-tazione avuti dal capocolonnaalla vista della manifestazionereligiosa, con i secchi comandiincomprensibili, i fari puntaticontro e il cigolio delle torrettedi puntamento, non li ha piùdimenticati nessuno, menoche meno i bambini. Felicióne aveva nove anniquando sentì un trambustofuori casa (abitava in Via Ro-ma, nella casa di Volpòtto).Uscì e si trovò in mezzo ad unapiccola folla agitata. Un solda-to tedesco dietro ad un mitramontato su un treppiedi pun-tava un prigioniero, forse unsoldato sbandato pescato per ifossi qui intorno, addossato almuro e perquisito da un altrotedesco. Per vedere meglio,Felice fa capolino tra le gambedella gente. Forse per scherzo,ma sicuramente senza troppadelicatezza, Pèppe Ruzzi solle-va il bambino per il collettodella camicia e lo tiene sospe-so a lungo davanti alla boccadel mitra. Alla fine lo depone aterra ai richiami allarmati dellamadre, ma l’immagine di quelsoldato con l’elmetto, seriodietro al mitra puntato, è diquelle che ti marchiano afuoco. Felice fuggì subito acasa a nascondersi, ma gliscoppiò una febbre che lo in-chiodò al letto per diversi gior-ni.Dal bombardamento alleatodel 14 aprile all’aeroporto diViterbo rimasero uccisi anchei piansanesi Venanzio Baffa-relli, Mariano Brizi e GuidoGuidolotti. Tre ragazzi, due didiciotto e uno di vent’anni,rastrellati in paese dai tede-schi e costretti a lavorare aquel campo di volo; vittime,ironia della sorte, di uno deibombardamenti più leggeri,rispetto a quelli che ridusseroViterbo ad un cumulo di mace-rie, ed appena citato nelle cro-nache cittadine. Tre nuove tra-gedie passate quasi inosserva-te e come travolte dallo scon-volgimento immane della guer-ra.Dal bombardamento del 29aprile nella zona delle Macchierimasero vittima la tessenna-nese Teresa Costantini, mogliedi Pietro Adagio, ferita allagamba sinistra, e il suo futurogenero Vincenzo Falesiedi,allora quindicenne, che si tro-vava coi suoi nell’infidèo dal-l’altra parte della strada e

ancora oggi porta i segni diuna scheggia al braccio sini-stro.Non è un caso che proprioquell’anno sia stato creato damusicisti e poeti del luogo unnuovo inno al santo patrono,Bernardino da Siena: “Tu chepuoi dona al mondo la pace - sicantò in processione per laprima volta quel 20 di maggio -Tu proteggi le nostre dimore...”;e ancora: “Tu che in vita porta-sti la pace / guarda al mondodiviso da guerra / e l’amoreridona alla terra...”.Giovani delle classi ‘24-’25chiamati alle armi con quellasituazione, ovviamente face-vano di tutto per non partire.E lo stesso dicasi per i militaritrovatisi in licenza o allo sban-do per il collasso delle nostreforze armate. E poi c’erano icivili, uomini e ragazzi in etàda lavoro, che, nel precipitaredegli eventi, per paura delle“retate” di tedeschi e fascistiingrossavano la “renitenza”. Alreclutamento volontario, apagamento, di lavoratori civiliper la Germania, i tedeschiavevano fatto ricorso da tem-po, ma dopo l’8 settembre lapratica era degenerata ed erainiziato il periodo buio dei ra-strellamenti. In città venivanofatte retate nei cinema o addi-rittura durante la passeggiataal corso. Da noi era sufficienteun’incursione lungo la via prin-cipale. Fascisti dei paesi vicini,su un camionaccio che salivaper le Caciare e faceva il giro

del paese, ac-c i u f f a v a n oqualsiasi ma-schio giudicatoin grado di lavorare e lo obbli-gavano a salire sul camion;quindi ripartivano indisturbati.Queste scorrerie capitavano difrequente, all’improvviso, e c’èchi ricorda quel gruppo di gio-vani rinchiusi provvisoriamen-te dai tedeschi nel palazzocomunale, che riuscirono ascappare saltando nello sco-perto di Quintinèllo e dileguan-dosi attraverso il portonaccio.Volendo, dicono oggi, il ca-mion lo si sarebbe potutoappostare prima dell’arrivo inpaese e fatto saltare con qual-che colpo ben assestato. Ma sitemevano rappresaglie tra lapopolazione. Ad Arlena, dovefurono uccisi due soldati tede-schi nel sonno, se non fossestato per l’arrivo tempestivodegli americani nessuno avreb-be potuto salvare la popolazio-ne dalla vendetta, e una venti-na di anni dopo un nostro emi-grante in Germania si trovò alavorare con un caposquadratedesco che ancora ricordavala scampata rappresaglia perquel tragico episodio. APiansano non ci furono inci-denti perché la gente nonmolestò i tedeschi in alcunmodo, ma si sentiva dire diritorsioni inesorabili in qual-che centro dei dintorni.D’altra parte, proprio per lavicinanza e l’abitudine a fre-quentare le campagne, da noi

SPECIALEpassaggio del fronte

Targhe toponomastiche di Via Giuseppe Stendardi (1971) e di Via Luigi Santella (1981).Stendardi era appuntato di finanza a Pola quando “scoppiò” l’armistizio dell’8 settem-bre 1943. In assenza di qualsiasi disposizione, quei militari erano comunque rimasti alloro reparto quando, il 15 luglio 1944, arrivarono in caserma le SS tedesche e li rin-chiusero tutti nelle carceri di Pola “per misure precauzionali, in attesa di giudizio”. Il 2ottobre Stendardi fu prelevato insieme ad altre ventuno persone dalle stesse SS e impic-cato a un albero a Stignano per rappresaglia.(Per Santella, vedi oltre nel testo).

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era facile darsialla macchia, ei giovani rima-sero nascosti

per mesi nelle grotte e nellecapanne sparse nel territorio. Iricoveri degli infidèi, al Giraldo,al Po’ de Metino, a la Fonte...erano piene di uomini e ragaz-zi. Ne uscivano di notte perdarsi un’occhiata intorno,incontrarsi con altre “squadre”e razziare qualche frutto nellevicinanze (Libbaràto delpor’Ottavio se la prendeva col“baco” che gli faceva manbassa della cipolletta nuovaappena messa!), o per azzarda-re qualche furtivo rientro acasa; ma con molta paura e cir-cospezione, e sempre con unafune pronta ai piedi del lettoper calarsi dalla finestra nelcaso che fascisti o tedeschifossero venuti a bussare. Dairifugi assistettero a quellaguerra spaventosa sempre piùsopra le loro teste, euna notte che bombar-darono Viterbo e sem-brava che il cielo, scos-so dai bagliori, dovessesprofondare per i boa-ti, si dispersero corren-do tutta la notte trafossi e campagne im-pazziti di terrore. Con-finato per mesi in unacapanna al Pozzarèlloinsieme ad altri, Ivrioricorda uno scontroaereo tra caccia tede-schi e inglesi propriosulle loro teste. I ragaz-zi uscirono sconsidera-tamente a curiosare esi trovarono con glistuka tedeschi a bassis-sima quota sopra gliulivi, mitragliati incoda dai più veloci spit-fire. Il rumore e il crepi-tio furono impressio-nanti, e quei giovani amomenti si ammazza-vano per scaraventarsi nelleforme od incollarsi spiaccicatiai tronchi degli alberi.Zigliante di Nanne stette na-scosto per mesi nel “centoca-mere” al Po’ de Metino. Gli por-tava da mangiare di nascosto ilfratello dodicenne Nèno, machi si azzardava a farlo sapereanche gli amici?, e quandoc’era qualche viavai sospettodi mezzi militari tedeschi, ilpadre accompagnava il ragaz-zo almeno fino alla Contadinanascondendosi poi ad aspet-tarlo. Una volta arrivato, Nènos’affacciava alla buca chiaman-do il fratello. Questi risponde-va e usciva a prendere il fagot-to, baciava il fratello racco-mandandogli di stare attento eridiscendeva nel labirinto. Di

giorno il ragazzo faceva unsacco di giri, prima di saliresulla collina, proprio per nondestare sospetti. Con Zigliantesi era rintanato tra gli altri alPo’ de Metino anche il poveroAugusto Rocchi, che era giàmilitare e che poi si sarebbesuicidato nel pozzo nòvo...Con l’avvicinarsi del fronte - itedeschi si ritiravano precipi-tosamente e restarono pochepattuglie, condannate a mortesicura, a far di tutto pur di ral-lentare l’avanzata alleata -furono le famiglie intere alasciare le case per ripararsinelle grotte. Nel giorno deltransito delle fanterie, cheavanzavano a ventaglio batten-do a tappeto la campagna esparando a raffica su qualun-que cosa si muovesse, tutto ilpaese era sparpagliato per gliinfidèi in preda al terrore, spe-cie alla vista dei soldati dicolore. A spaventare erano

soprattutto i famigerati maroc-chini inquadrati nel corpo d’in-seguimento francese: le marro-chine, diceva la gente, che liidentificava in qualsiasi solda-to di colore. Corse voce di qualche vagorischio di violenza fortunata-mente senza effetto, ma lapaura era tale che alcunedonne non riuscirono ad acco-starsi nemmeno ai negri ameri-cani che offrivano cibarie. Inrealtà da noi fecero un passag-gio fugace dei reparti someg-giati di fanteria algerina, checosteggiarono il paese risalen-do le Caciare e non ebbero iltempo di provocare danni.Furono visti avanzare guardin-ghi e insieme minacciosi con learmi ammiccanti verso le fine-

stre dell’abitato, coi loro copri-capi a turbante e gli orecchini,incolonnati coi muli e guardatia vista da ufficiali francesi acavallo, severi coi loro scudi-sci di comando. Prima transita-rono loro, e più tardi gli ameri-cani sui carri. Nei rifugi di campagna i soldatine facevano uscire gli occu-panti con le mani alzate, rovi-stavano dappertutto alla ricer-ca di armi o soldati nascosti, epoi proseguivano lasciandovimagari provvisoriamente qual-cuno di loro a guardia. Fortu-natamente non ci furono mortio violenze, a parte la paura equalche disavventura. IreneoMoscatelli ha raccontato diquella occorsa alla sua fami-glia, stipata insieme con altrein una grotta della Fonte chenormalmente serviva da rico-vero per le bestie vaccine. Tresoldati vi prelevarono suopadre per averne informazioni

sulla zona da cui provenivanodegli spari della retroguardiatedesca. Còlti in quel mentreda una scarica di mitra, queisoldati si buttarono a terrastrisciando fino ad una grottavicina, mentre Gigi Moscatellitornò indietro dai suoi, tantoda far nascere il sospetto neisoldati che avesse voluto tra-dirli. Fu un brutto momentoper tutti i presenti, che fortu-natamente si chiarì e si risol-vette l’indomani con cioccola-te e scatolette di carne portatein dono da un loro ufficiale.A parte le soldataglie nordafri-cane, con gli altri militari unminimo ci si poteva intendere.Un ufficiale americano, addirit-tura, seppe dei trascorsi delvecchio Campagnòlo - antico

emigrante d’America, ferito aVerdun nelle file dell’esercitostatunitense! - e si fece indica-re dove abitava per andare atrovarlo. Coprì di cioccolate isuoi bambini chiedendo soloche gli venisse indicato un ter-reno sul quale far accampare isuoi soldati. Pagando, s’inten-de! Il vecchio gli mise a dispo-sizione il suo infidèo de lacoperativa su a Marinello e lacosa finì lì. Del resto la loropresenza fu una meteora. Più degna di nota, da questopunto di vista, era stata laprolungata convivenza con itedeschi, che in ogni casomantennero con la popolazio-ne rapporti abbastanza cor-retti. Il loro comando era ospi-tato in casa del podestà, il sòrLauro De Parri, ma c’era unreparto della Luftwaffe al pianosuperiore del palazzo comuna-le (che pare ne sia uscito unpo’ malridotto) ed un altro in

quel portone sopraalla doppia scalinatelladel n° 5 di Vicolo delRitello. Il campo divolo era a San Giu-liano, verso Tuscania,ma una parte dei pilotialloggiavano a Pian-sano. “Erano tutti uffi-ciali, almeno sottote-nenti, e di modi piutto-sto civili”, dicono itestimoni, che li ricor-dano giocare a carte lasera nel bar de ‘Ntogno‘l sarto, in Via UmbertoI. “Quando cadde suverso il Pianetto unparacadutista america-no - dicono ancora - equei soldati partironodal paese con una mac-china per andare a cat-turarlo, noi tutti pensa-vamo che chissà qualefinaccia gli avrebberofatto fare. E invece loscortarono in paese

con tutti i riguardi militari, e sic-come era un tenente colonnello,fecero venire a prelevarlo unsuo pari grado tedesco...”. Lacucina-dispensa l’avevano inun locale a pianterreno delpalazzo dei Foderini, poi delCalònico, tra la fine di ViaRoma e l’inizio del viale SantaLucia e utilizzata poi anchedagli americani. (E’ rimastoproverbiale l’episodio delgrosso cuoco tedesco che,sentendo grugnire un maiale inun grottino delle vicinanze,andò con un’accetta e fece lafesta al suino per cucinarlo.Immaginatevi le proteste delproprietario, che guarda casoera proprio ‘l sòr Mechétto.“Che problema c’è? - gli dissein sostanza il tedescone - Vai

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Giugno 1944: carri Sherman americani in appoggio ai francesi (da C.Biscarini, op. cit.)

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in comune con questo bigliettoche ti rilasciamo e loro dipagheranno”. Mechétto andò echiese di essere risarcito. “Mail maiale chi l’ha mangiato?”,gli fecero in comune. “I tede-schi”. “Allora va a farti pagaredai tedeschi”, lo liquidaronoun po’ per divertirsi e un po’per levarselo di torno, tra glistrepiti del sòr Mechétto cheuna volta tanto rimase “frega-to”).Ci furono anche casi diumana solidarietà, verso lasparuta retroguardia tedescaabbandonata alla fine al suodestino. Un soldato ferito fucurato per esempio in casadella Liggia e della pòra Ce-cilia, che pure avevano maritie figli in guerra o prigionieri inGermania. Rimesso un po’ insesto e ripartito con uno degliultimi camion in transito, quelsoldato fece scaricare davantial portone della loro casa unastufa e un sacco di zuccheroper sdebitarsi in qualchemodo. Due militari tedeschi sipresentarono con un compa-gno gravemente ferito a Meca-rèllo, allora mezzadro dei DeSimoni nel podere su a San-t’Anna, alle falde del monte diCellere. Quell’uomo fu medica-to in casa alla meno peggio e itre ripresero la loro fuga dispe-rata verso nord (il che nonimpedì a Pèppe Tagliaferri, ilgiorno dopo, di scendere festo-samente nel cortile del casalecon una borraccia di vino perbrindare alla vittoria con i sol-dati alleati sopraggiunti).Un motociclista fu invitato incasa da Liberato Lucattini,allora diciannovenne, che puresi era dovuto nascondere inuna grotta per circa un annoper non andare in guerra dopol’8 settembre. Il giovane avevalasciato i suoi nella grotta pervenire in paese a controllareche la casa fosse ancora più omeno al suo posto, e avevatrovato questi soldati su uncamion fermo sotto alla voltadella chiesa. Due chiacchiere -con qualche parola e molticenni - e l’invito, accolto daltedesco di buon grado, a darsiuna ripulita in casa. Il soldatochiese anzi gentilmente diessere aiutato nel suo compi-to, e Liberato lo seguì tutto ilgiorno sulla motocicletta perandare a sistemare dei segnalistradali per le colonne in ritira-ta. Alla sera quell’uomo lo sivide godere al solo togliersi glistivali, lavarsi i piedi e mangia-re un boccone seduto a untavolo. Poi tirò fuori le foto deisuoi familiari e prese a piange-re pensando che non li avreb-be più rivisti. Liberato gli offrì

degli abiti civili, suoi e di suopadre: “Butta questa divisa... -gli fece capire - ... mescolati tradi noi... passerai inosservato”.Per un attimo l’uomo sembròrifletterci, ma gli scesero dinuovo le lacrime e disse di no.Uscendo entrambi di casa,Liberato lo invitò ancora a pas-sare la notte da lui. “Quandorientri, bussa, - gli disse - ché ioti sento e apro”. Invece quellasera Liberato, rientrato prestoper la stanchezza, si addor-mentò subito come un sasso enon sentì il tedesco. La matti-na lo trovò addormentatosullo scalino fuori della porta,ché non s’era sentito di insiste-re a bussare. Naturalmente quell’uomomorì, come quegli altri pochicompagni d’arme rimasti, fattisaltare in aria appena preseroa sparare con i mitragliatorisulle colonne corazzate allea-te in arrivo da sud: qualcunoin una grotticella della Valledel Guercione; qualche altrosul Poggio della Fonte. L’ultimodisperato tentativo di guada-gnare tempo per ricostituireuna linea difensiva più a nord,infatti, qui da noi fu compiutoda un carrarmato piazzato suun’altura del Ponte Nòvo, e daun manipolo di venti/trentauomini armati di mitragliatorisul poggio del Bottagóne, en-trambi in posizione di con-trollo sulla strada da Tuscania.Nella notte tragica del 10-11giugno, le due postazioni fece-ro fuoco in direzione delletruppe avanzanti da sud, mafurono ben presto messe atacere dalla reazione alleata.L’indomani mattina il carrar-mato tedesco era un rottame,e degli uomini sull’altura -salvo quei pochi superstiti chesi erano potutidileguare primadell’alba - eranorimasti sul ter-reno corpi or-r e n d a m e n t emutilati dallec a n n o n a t e .Pochi erano icadaveri interi.Braccia, gambe,e ovunque partidi corpi insan-guinati, giace-vano scompo-stamente inq u e l l ’ u l t i m atrincea, mentreun corpo fu tra-scinato in quel-la grotticella avalle. Si dicevache fosse unsoldato giusti-ziato da un uffi-ciale americano

con un colpo di pistola allatesta, dopo che il tedescoaveva falciato diversi uominisparando disperatamente sulleavanguardie che spuntavanodalla curva del Ponte Nòvo.Finite le munizioni ed accer-chiato, quel soldato avrebbepagato con quell’uccisione afreddo l’aver mantenuto laconsegna fino all’ultimo. Perun po’ il cadavere rimase lì, apiedi nudi, perché qualchepaesano gli prese le scarpe dicui il morto non aveva piùbisogno, ma anche agli altricorpi furono tolti scarpe, oro-logi, anelli... Ancora di recentein quei poggetti sopra alBottagone sono saltati fuoriframmenti di alcuni loro docu-menti personali e bossoli inabbondanza. I cingolati alleati fecero prestoa riempire di terra e macerie ifossi cui erano stati fatti salta-re i ponti - all’ingresso sud delpaese, per la salita delle Ca-ciare e al Vitozzo, con inevita-bili lesioni alle case lungo tuttoil fronte della strada romana - ein mattinata transitarono inpaese gli americani del 755°battaglione carri medi e delgruppo d’artiglieria Godfrey,ossia l’artiglieria pesante disupporto al cosiddetto “corpod’inseguimento” francese, rap-presentato in questo casodalla 3a divisione di fanteriaalgerina, che giusto il giornoprima aveva rilevato a Tusca-nia l’85a divisione di fanteriaamericana. All’altezza del cam-posanto le colonne in marciatrovarono la strada ingombra-ta da un’autoblinda tedescaabbandonata. Il mezzo, colpitoqualche giorno prima da duecaccia inglesi (le cape rosse,come dicevano in paese, ossia

gli spitfire dallacaratteristicafusoliera rossa,che erano sbu-cati da verso il monte di Valen-tano mitragliando il mezzo emettendo in fuga gli occupan-ti), non era andato completa-mente incendiato, tant’è veroche i calzolai andavano a ta-gliare con il trincetto i pattinidi gomma per fare le sopras-suola alle scarpe, e con lochassis i fratelli Brachetti co-struirono più tardi la primatrebbia montata su camion, lafamosa “volante”. Ma bastòuna potente gru per sollevarloe buttarlo nella vigna di Gnoc-chetto lì a fianco. A mezzogiorno, americani efranco-algerini, comparsi inpaese verso le otto, erano giàaddosso a Valentano e in pro-cinto di attaccare la statale 312in direzione di Latera, chedoveva portarli sul primoobiettivo dell’avanzata, la stra-da 74, sulla linea Orvieto-Orbetello. Fu fortuna per noiesserci trovati in una direttricedi marcia strategicamentesecondaria e in una sacca diresistenza tedesca superatad’impeto, secondo tempi epiani tattici che non prevede-vano soste per le truppe. AMontefiascone e lungo la costanord-orientale del lago, percor-sa dalla Cassia e più munita didifese tedesche, la prima divi-sione di fanteria marocchinaincontrò maggiore resistenza estazionò più a lungo, con tuttele conseguenze terrificanti delcaso. E mentre da noi i “libera-tori” buttavano cioccolate aibambini e scatolette di carne edi fagioli, i brandelli dei soldatitedeschi, al Bottagone, veniva-no interrati alla meglio dentro

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Giugno 1944: unità someggiate marocchine in marcia nella valle dell’Ombrone,poco più a nord della nostra zona di operazioni

(da C. Biscarini, op. cit.).

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la loro stessatrincea. Furonoriesumati aguerra finita:

per umana pietà, ma anche per“bonificare” quei terreni.Umana solidarietà, in ognicaso, la gente dimostrò versotutti i militari in difficoltà,qualsiasi fosse la loro divisa.Tutti in paese avevano qual-che familiare in guerra, e qual-siasi soldato impaurito e soffe-rente era l’immagine penosa diun figlio, di un fratello, di cuimagari non si avevano notiziee sperso in chissà quale partedel mondo. E poi la guerra eraestranea alla gente. C’era ilgrano alto, da mietere, e quellaferocia ottusa, quelle macchi-ne di morte erano incompren-sibili; così come non si capivaperché fossero state portatevia altre braccia da lavoro.Una società per molti aspettiancora primitiva, dai bisogniprimari, semplicemente nonpoteva concepire la distruzio-ne, la logica di una sopraffazio-ne estrema a causa di ideolo-gie o sete di dominio. Nellagente c’era terrore e insiemeestraneità, tra fatalismo e ras-segnazione cristiana, come peri cataclismi e le siccità e leinondazioni; come in tutte legenti contadine che nei secoliavevano visto passare le guer-re e rovinare i raccolti. Quil’“antifascismo” era umanesi-mo antico, millenaria civiltàdella terra impregnata di cri-stianesimo. Non opposizionein armi - e come avrebberopotuto? - ma resistenza interio-re, profonda, di natura; che senel tempo poteva essere sem-brata acquiescenza ed oraappariva soccombente, primao poi sarebbe di nuovo preval-sa - non avrebbe non potuto,pena la sopravvivenza delgenere umano - sulla perditadissennata della ragione. Equesto c’è di notevole nellapiù profonda anima contadina,con tutte le sue miserie edebolezze: non l’“eroismo” perimbracciare le armi, ma ildisincanto per le “invenzioni”dell’uomo, una coscienza piùalta, una filosofia più antica,una superiore certezza eticadisarmata e invincibile, comeuna forza della natura, immotain quel turbinare di morte.Alla Picarilla un paracadutistaamericano fu rivestito conpelli e cosciali e tenuto per me-si dietro alle pecore senzapoterci neppure barattare dueparole. Di qualch’altro si dice-va a mezza voce che era passa-to a rifocillarsi fugacemente inuna grotta o capanna di pasto-ri, accolto con semplicità e

naturalezza, senza bisogno didomande, e una storia bellissi-ma fu quella vissuta dai fratelliMoscatelli, che senza volerestrinsero un’amicizia con quat-tro militari inglesi destinata adurare per la vita. Erano dueavieri e due piloti abbattutidagli aerei della Luftwaffe,ridotti uno straccio e raminghiper la macchia di Marta. IMoscatelli, che vi si trovavanocon le pecore, li ospitaronoper mesi nella loro capannaprovvedendoli di tutto, fino aquando i quattro poteronoricongiunsersi ai loro reparti alpassaggio delle truppe alleate.La loro gratitudine fu grandis-sima. Dapprima segnalarono ilgesto al comando alleato, cheringraziò ufficialmente i tre fra-telli con un attestato di ricono-scimento; poi, terminata laguerra, soprattutto due di essi,Arthur e George, tornaronopiù volte a Piansano per poterriabbracciare i loro benefatto-ri.Casi del genere furono innume-revoli nelle nostre campagne,e nessuno si sognò di vantareper questo crediti resistenziali.Di alcuni, anzi, si è venuti a

conoscenza per caso, a distan-za di anni, e quasi forzandouna certa ritrosia negli stessiprotagonisti.Ma la guerra non finì con ilterremoto degli eserciti intransito. Altri lutti avrebbeportato nelle famiglie con lenotizie di morte di soldati eprigionieri. Altre vittime avreb-be mietuto con gli ordigniseminati al suo passaggio, cheancora oggi, a distanza di ses-

sant’anni, capita di rinvenire intutta la loro pericolosità. Laprima vittima era stata Chec-chino Mattei, che quel sabatomattina del 2 ottobre 1943 erauno “scugnizzo” all’arrembag-gio per il paese. Con i compa-gni trovò “una cosa” checominciarono a passarsi pergioco e che poi, fruga fruga,presero a percuotere con lepinze per smontarla. L’esplo-sione maciullò la mano destradi Checchino e lo ferì in moltealtre parti del corpo. Tra glistrilli di dolore e di spavento, ibambini insanguinati furonoportati subito al vecchio ospe-dale davanti alla chiesa par-rocchiale; da lì fino a casa deldottor Palazzeschi e quindiall’ospedale Grande, dove aChecchino quella mano fuamputata.Sull’autoblinda abbandonatadavanti al camposanto, i bam-bini andavano a giocare con lepistole trovate agganciate alfusto del cannone, mentre die-tro al cimitero Marino Lesen eMarafèo trovarono una casset-ta piena di bombe. Per un po’ci giocarono tirandosele!, poile buttarono e Marino portò a

casa la pesante cassetta con laquale si costruì la carrozza.All’imbocco della discesa dellaFonte del Moretto erano statiabbandonati bombe e proietti-li di ogni dimensione. Con lemine anticarro i ragazzi ci gio-cavano abitualmente. Le svuo-tavano per dar fuoco alla pol-vere da sparo. A volte ne riem-pivano i barattoli vuoti di ali-mentari lasciati dagli america-ni: appoggiavano per terra

questi barattoli lasciandoneuscire da sotto un po’ di polve-re, e poi vi davano fuoco comea una miccia per vedere ibarattoli saltare in aria congran fragore. Oppure gli toglie-vano una specie di treppiedi aquattro gambe e le facevanoruzzolare verso il fosso, per-ché erano di forma circolarecon un buco in mezzo. Nonsempre le mine esplodevano.A volte le lanciavano da unostrapiombo ma non scoppiava-no. Per questo non ne avevanopaura più di tanto.Un giorno di quell’estate nerimase vittima un gruppetto diquattro o cinque bambini.All’ennesimo lancio a terra, la“pizza” scoppiò ai loro piediinvestendoli di schegge. Insan-guinati e terrorizzati, furonotutti portati giù al vecchioospedale, e c’è chi ancora hanegli occhi l’immagine di que-sti bambini scalzi, stracciati epiangenti, guidati giù per ilpaese dai loro padri con lamano sulla loro testa.Il 7 luglio il paese fu sconvoltodall’assassinio di Luigi San-tella, un ex carabiniere che ilpretore di Valentano aveva“richiamato in servizio” insie-me ad altri per vigilare notte-tempo le campagne, teatro diruberie selvagge e furti dibestiame con sospetti compli-ci del luogo. Ignoti malviventigli spararono due colpi a bru-ciapelo al ponte di Sant’Anto-nio, appena fuori dell’abitato, el’uomo fu portato in fin di vitafino a casa del dottor Palaz-zeschi, dove morì. Lasciava lamoglie e tre figli piccoli.Il 31 dello stesso mese morìall’ospedale di Tarquinia Zi-gliante De Santis, scampatoalle retate tedesche di quellaprimavera e devastato invecea Montebello, mentre si trova-va a trebbiare con i Foderini,dall’esplosione accidentale diun pallone frenato tedesco didifesa antiarea; la stessa esplo-sione che ferì più lievementePèppe Ruzzi, mentre a PippoFoderini lo scaraventò in ariaprocurandogli ustioni gravissi-me e a momenti facendolo re-stare cieco per sempre.Il 5 agosto il primo ragazzomorto: Sestilio Fagotto, cheaveva 16 anni e stava in affittocon le pecore per la strada diValentano, al casale del ponte,a sinistra andando su. Non erala prima volta che Sestilio tro-vava dei bossoli di cannone: lìavevano fatto tappa gli ameri-cani per cannoneggiare Bolse-na e tutt’intorno era pieno di“tubi” appuntiti, lunghi un’ot-tantina di centimetri e di unadozzina di diametro. Di solito il

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Cèncio Moscatelli e George C.Mumford a Piansano nel 1982.

Sul retro del documento c’è an-che la traduzione in italiano (siapure non perfetto sintatticamen-te):“Questo certificato è rilasciato aMOSCATELLI LUIGI quale attestato digratitudine e riconoscimento perl’aiuto dato ai membri delle Forze Armate degli Alleati che li ha messi in grado di eva-dere od evitare di essere catturati dal nemico. Il Maresciallo Britannico Comandante Su-premo delle Forze Alleate del Mediterraneo H.R. Alexander, 1939-1945”.

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Dopodiché siregistrò soloun altro feri-mento, quello di Virgilio Meni-cucci, che domenica 13 aprile1947 si trovava con le pecoreproprio davanti al cimitero diMontalto. Stroncava col marrac-cio alcune frasche secche tral’erba alta vicino alla strada,quando percosse una piccolabomba a mano che esplosedisintegrandosi in mille picco-lissime schegge. Col sangueche gli colava per strada l’uo-mo arrivò a piedi fino all’ambu-latorio di Montalto, dove unasuora gli iniettò dell’anesteticoe gli segò le falangette sbriciola-te di pollice e indice. L’indo-mani il ferito fu portato all’o-spedale di Tarquinia, dove ilvecchio medico Emanuelli glidisse che avrebbe ammazzatola suora di Montalto per l’inuti-le amputazione: si sarebbepotuto ricucire e ricostruiretutto.Virgilio mostra i moncherini ele cicatrici in faccia. Oggi lui hapiù di ottant’anni e sembra sor-riderne pacatamente. Ma a noiquei moncherini richiamanoaltre immagini crude di bambi-ni dilaniati dalle guerre d’oggi.Ricordano che la storia non èsinonimo di “passato”, e finchésarà mossa dalle passioni del-l’uomo, inesorabilmente si ripe-terà in più moderne barbarie.

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ragazzo li portava a casa, lì alFabbricone, e li svuotava dellapolvere. Al casale ne avevaammucchiata chissà quanta,proprio vicino al focolare! Quelgiorno invece prese a percuo-tere il bossolo lì sul posto. Loscoppio gli portò via il cervel-lo.Il 2 ottobre era il lunedì dellaFesta. Calisto, ‘l fjo de Bigon-zòtto, portò a casa dall’infidèouna bomba che era nel campoinesplosa già da qualche tem-po. Dicono che fosse una diquelle a pestasale, ma dovevatrattarsi piuttosto di una bom-ba d’aereo. Méco, suo padre,non l’aveva voluta toccare edaveva avvertito anche il figliodi non farlo, ma quel giornoCalisto non resistette. La misenel capagno e la portò a casanascondendola sotto al comò.Dopopranzo, rimasto in casacon la madre che stirava, ilragazzo tirò fuori la bombafurtivamente e vi si mise a fru-gare con le tenaglie girato dispalle. Lo scoppio lo disinte-grò. L’Angelina rimase deltutto illesa, ma brandelli dicarne e sangue erano per tuttele pareti e sul soffitto. La pove-ra donna da allora non feceche piangere quell’unico figlio.Méco continuò a lungo a stra-maledire gli americani, e persopravvivere dovettero riven-dere un infidèo de la Coperati-

va su a Marinello. Il 3 marzo del ‘45 era un altrotragico anniversario, quello

delle bombe americanesulla Banditaccia. Eraverso l’una, e quattro ocinque bambini di 9-10anni trovarono al Cicardail coperchio di unabomba a mano, o meglio,una scatoletta con cuigiocare. Uno di loro fa:“Sa’ quante ce n’ho deque’, su all’orto!”. Suopadre ne aveva raccoltediverse e riposte un po’in disparte dentro a unastagnata. Sono come deicilindretti chiusi, e iragazzi ne prendono tre oquattro a testa riempien-dosene le tasche di giac-

chettine e cappotti. Li attirasoprattutto la gabbietta metal-lica che sta sotto, che si puòstaccare tirando la linguettainfilata in una fessura al centrodel cilindro: la sicura! Manco adirlo: uno scoppio, e una vam-pata rossa li acceca e li atterra.Sono storditi dal fragore e nep-pure riescono a strillare. Uno,colpito al ginocchio, corre finoal fosso e lì cade. Altri sembra-no spiritati ma illesi. Un quintoè una maschera di sangue.Portati a braccia fino a casa diPalazzeschi, all’ultimo pianodella sua casa di Viale SantaLucia, vengono ripuliti allameglio e spediti all’ospedale,dove se la caveranno con cica-trici per la vita.

SPECIALEpassaggio del fronte

Foligno e i “marocchini”“... Un giorno, durante l’ultima guerra, in groppa al suo asinello, sacchette a tracolla e pompa dell’ac-qua ramata in spalla, Foligno saliva la strada del Piano per raggiungere un piccolo appezzamento diterreno in località le Sòde. Durante il percorso si imbatté in un drappello di soldati alleati di colore:marocchini, diceva la gente, ma vai a capire di che razza erano. Foligno raccontava con la sua vocet-ta fessa: “Ao’, quanno ho ‘ncontro quele soldatacce, me se so’ mésse ‘ntorno, m’hanno fermo ‘l soma-ro, hanno ‘ncominciato a bacaja’ fra de lòro, ma chi le capiva?! Uno me voliva pja’ la pompa, ma ‘nje l’ho data. Me so’ ‘mpaurito e je dicìvo: “So’ n pòro vecchio, vo a dda’ ll’acqua, hae capito?, a-dda’-ll’a-cqua!”. Ma quelle nun me capìveno, e con quele fucile me staveno sempre ‘ntorno, èrenosempre più arrabbiate...”.Foligno accompagnava gesticolando e mimando le fasi del racconto come se ancora le stesse vivendo,ed era questo che divertiva gli ascoltatori spronandolo ad andare avanti. Isoldati non conoscevano la pompa dell’acqua ramata, e la scambiaronoper un’arma, probabilmente un lanciafiamme, e quando Foligno capì cheera la pompa ad insospettirli, tentò di azionarla spiegando il suo funzio-namento. Mise mano allo stantuffo che carica la pompa e voltò il rubinettoverso di loro. Foligno proseguiva così: “Appena ch’ho mòsso le mane, unode quele facce brutte m’ha chiappo pel collo e m’ha butto giù dal somaro.Quel’altre m’hanno puntato le fucile ‘ndel petto, parlaveno ecchèbbeseeccòbbese, ‘n se capiva gnente... Io morivo de paura e je dicìvo: “... ‘Npòro vecchio... vo a da’ l’acqua ramata...”. Qualche ascoltatore gli dice-va; “Allora hae avuto paura, Foli’?!”. E lui: “Io ‘na paura così nn’ho avutamae da quanno so’ nato, a véda quele facciacce brutte nere che ‘n s’èrenoviste mae, che me volìveno spara’... Uno m’ha dato ‘na spénteca, m’hafatto pure casca’... ero bianco come un morto, e da la paura me so’ caca-to adòsso...”. Poi quei soldati capirono che la pompa era innocua eFoligno fu lasciato mezzo morto di paura. Quando i soldati si allontanaro-no in direzione di Valentano, Foligno gli scagliò contro la sua maledizionedicendo: “Vóe nun potéssera riva’ a Terra Rossa che v’ammazzassero lesoldate nemiche!”. Poi ci ripensò e rincarò: “... Ma che dico a TerraRossa?!... Ma manco al Guado de Cachìno, avarebbero da riva’, ‘stemorammazzate!”.

Manifestodi avvertimento(ma anchedi propagandaantiamericana)per un tristeepisodiodi guerra:bombed’aereosotto formadi penneper scrivere(gentilmentefornitadalla sezionedi Viterbodell’AssociazionenazionaleVittime civilidi guerra)

UmbertoMezzetti

Il popolare Foligno (DomenicoMecorio, 1879-1962) in unafoto “seriosa” dei primi delsecolo (forse l’unica sua foto-grafia), al tempo della suaemigrazione in America.

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Il 10 giugno 1940 il roboanteVincere di Piazza Venezia si

diffuse in tutte le piazze d’Italiae del mondo per smorzarsi poiin quella stessa piazza il 4 giu-gno 1944 con l’ingresso in Ro-ma delle truppe angloamerica-ne. L’entrata in guerra del-l’Italia, in quel 1940, era moti-vata dalla vittoriosa guerralampo della Germania sullaFrancia; fu una valutazionepolitica e strategica non privadi miopia e cinismo. Come nelle altre scuole italia-ne anche a Valentano tutte lemattine si cantavano le canzo-ni del regime: Giovinezza, Vin-cere, Faccetta nera. La conqui-sta dell’Etiopia e l’impero(1935-36) furono salutati colsuono festoso della banda edelle campane della collegiatadi San Giovanni, suono cheritornerà anche l’11 giugno1944 per salutare la liberazio-ne della città. Aldilà dei canti edei proclami del duce, i dubbidei valentanesi sulla vittoriafinale dell’Asse sono contenutinel registro della cronaca par-rocchiale (1935-1947) redattodall’arciprete don BernardinoMorotti al termine della guer-ra. Per la solennità della Ma-donna del Monte del 1943(seconda domenica di mag-gio), il sacerdote annotava chein quell’anno “di trepidazioneper una guerra così disastrosa”,la festa acquistò maggioreimportanza tanto che: “per de-siderio espresso del popolo nonfu ricondotta la venerata Imma-gine della SS.ma Vergine a ter-mine della festa nella suaChiesa ma fu tenuta espostatutto il mese mariano. Nel po-meriggio del 31 maggio si svol-se una commovente processio-ne, alla quale parteciparonotutte le autorità con un appara-to di solennità nell’addobbodelle vie che non si vide l’egua-le. Giunta la Processione alpiazzale di Santa Croce il Par-roco, interprete del desideriodel popolo invotò la Città allaSS.ma Vergine promettendoalla fine della guerra il restaurodella Chiesa a Lei dedicata. Eper avere segno tangibile dellaMadonna SS.ma la sua immagi-ne non fu riportata al Monte,ma rimase nella chiesa Colle-giata durante tutta la guerra”. Il

quadro della Madonna delMonte (Pietà), ritornò nellasua sede originale solo nel1946 dopo il restauro del tem-pio.Due mesi dopo la festa, incur-sioni aeree di velivoli nemicinel territorio dei comuni diViterbo, Capranica, Vetralla,Oriolo Romano, Ronciglione,Montefiascone, Marta, Bolse-na, Tuscania, Cellere, Canino eValentano, lanciarono parec-chie centinaia di manifestini dipropaganda. Il 6 luglio il co-mandante del gruppo carabi-nieri di Viterbo, maggiore LuigiStabile, trasmetteva al prefettodella città una comunicazione,

qualificata con il codice “Se-greto”, nella quale lo informavadel fatto e vi allegava alcuni diquei volantini. I manifestinicontenevano dichiarazioni diamicizia tra il popolo angloa-mericano e quello italiano eduno terminava con un appelloagli italiani affinché chiedesse-ro la pace agli Alleati e con unsuggerimento: “Voi non avetenulla da perdere ed avete tuttoda guadagnare”. Nei giorni precedenti la desti-tuzione di Mussolini, un altrolancio fu ripetuto (19 luglio) suvari centri della nostra provin-cia (Oriolo Romano, Faleria,Civita Castellana, Nepi, Capra-rola, Sutri, Castel S.Elia). Alcu-ni di quei manifestini lanciati

su Valentano sono stati con-servati da alcune famiglieinsieme ad altri oggetti di usoquotidiano (contenitori divario uso, bottoni, abiti, unci-netti, coperchi per pentole,borse), ricavati o adattati daimateriali di uso bellico (bosso-li dei cannoni, vetri e lamieredegli aerei, paracaduti, cavitelefonici, cassette delle muni-zioni) e che in parte sono statiesposti in una mostra delGruppo Archeologico Verentumnell’estate del 2000. Nei mesi dall’armistizio dell’8settembre 1943 al passaggiodel fronte nel 1944, le difficoltàper le nostre popolazioni au-

mentarono ulteriormente (ali-menti, ricoveri) e, in assoluto,furono i più drammatici ditutto il conflitto. La guerratotale giunta tra le nostregenti, non ha distinto tra civilie militari, anziani e minori,donne e uomini; una guerrache per l’Italia era iniziata alfianco della Germania è poicontinuata in altre (di libera-zione, civile) aumentandone ilutti e le violenze. In questicapovolgimenti epocali perl’Italia, la scelta di appartenen-za di ciascuna persona ebbespesso sostegno in motivazio-ni di più alta matura convinzio-ne etica, politica, ma ancheoccasionali. Se le azioni di sabotaggio della

renitenza di giovani valentane-si alla leva militare; dell’assaltoal carcere con la liberazionedei detenuti e del successivofallito attacco alla casermadella Guardia Nazionale Repub-blicana del 25 marzo 1944; delfurto di fili metallici e dellegomme di un autoblindo tede-sco, muovevano da azioni iso-late e prive di una coerentestrategia politica, e meritereb-bero quindi una ricostruzionepiù approfondita per valutare,per ciascun fatto, i fini motiva-zionali, differenti appaionoaltri episodi di sabotaggio resi-stenziale. Esemplari sono dueazioni di non collaborazionecon i nazifascisti: la protezionedi ebrei-italiani e di soldatialleati. Il rifugio offerto ad unafamiglia di ebrei pitiglianesipresso i casali e la Grotta delSeccante a Mezzano (nel 2003 aFortunato Sonno è stato confe-rito il titolo di Giusto fra lenazioni) è un episodio già notoai lettori della Loggetta (n. 43):in sintesi si ricorda che dalnovembre 1943 fino al passag-gio del fronte tutti i colonidella fattoria di Mezzano edaltri valentanesi, col loro silen-zio e sostegno materiale, pro-tessero l’incolumità della fami-glia Servi mettendo a rischioquella della propria. Nella vicenda della protezioneal soldato americano, il fatto sicolloca nei primi giorni delgennaio ‘44 in località Monte diCellere, quando in un duelloaereo tra caccia americani etedeschi quello americano fuabbattuto. Dopo essersi lancia-to col paracadute, il pilotaricevette degli abiti civili daglioperai che lavoravano nellaproprietà di Nicola Luciani diCellere. La pattuglia tedesca inperlustrazione catturò dappri-ma il pilota quindi, raggiunto ilgruppo di lavoratori, chiesespiegazioni circa gli abiti civiliindossati dal militare. Fu rispo-sto che il soldato americano,di propria iniziativa, si eraabusivamente introdotto nelcasale prelevandone gli abitiper la fuga. Poche ore dopo, laspiegazione non fu più ritenutavalida dal comando tedesco,tanto che tutte le 14 personefurono fermate, interrogate eincarcerate, dapprima a Valen-tano, quindi a Montefiascone,San Martino nel Cimino e, infi-ne, a Santa Maria in Gradi aViterbo. Da questo carcerequesti detenuti riuscirono afuggire nell’aprile 1944 appro-fittando di uno dei tanti bom-bardamenti subiti dalla città.Degli arrestati facevano parte i

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Valentano BonafedeMancini

RomualdoLuzi

Liberazione e dintorni

Manifestini di propaganda (recto e verso) lanciati sul nostro territorio da velivolialleati nel luglio del 1943

da Pietro Nenni, leader del par-tito socialista, lo informavadella morte di Giordano Star-nini, anch’egli di Valentano,avvenuta durante uno scontrocon i falangisti. Giovanni (n.1880), detto Giovannino, du-rante un’azione fascista (1929)fu in modo pretestuoso pic-chiato dagli squadristi conl’accusa di aver divelto unatarga intitolata a GiordanoBruno e che, in verità, erastata rotta dagli stessi a colpidi pistola e quindi rimossa inquanto, dopo il Concordato, lamemoria di Giordano Brunonon era gradita alla chiesa diRoma. Perseguitato, fu con-dannato al confine politico aSan Severino Lucano per bencinque anni, dal 1937 al 1942.Non meno dichiarato era l’anti-fascismo di Giuseppe Grossidetto Palaminelli o anche ilSacrestano, la cui formazionepolitica era quella del partitopopolare del quale era statoper Valentano anche l’ultimosegretario. Di fede liberale eantifascista fu anche SimoneSimoni, primo notaio colonialein Libia, paese dal quale fuespulso dai fascisti di Tripoliper la sua esplicita avversioneal regime. Più operativa inloco, proprio durante gli ultimimesi di guerra, l’azione delcomunista Gino Galeani, unosfollato di Civitavecchia ripara-to a Valentano do-po i bombardamen-ti del porto. Questitenne contatti conil comandante San-te Arancio dell’o-monima banda del-la resistenza chia-mata “Montauto” e,al momento della li-berazione di Va-lentano, costituì unsindaco e una giun-ta provvisoria diarea socialcomuni-sta della quale face-vano parte Boscio-ni Giuseppe (la ban-diera comunistache nascondeva acasa non fu mai tro-vata dai repubbli-chini), Giovanni Do-nati ed Ernesto Paz-zaglia, e che “gli A-mericani cacciaronovia dopo pochi gior-ni” dal loro arrivo,come si legge inCronaca e storia diValentano tra le dueguerre mondiali diF. Petrucci. Dopo-diché il comandoalleato invitò nel pa-

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valentanesi Domenico Franci,Domenico, Giovanni e AlfredoSanti, e furono tutti condanna-ti a diversi mesi di reclusione;durante gli interrogatori furo-no minacciati di fucilazione.Con diploma della presidenzadel consiglio dei ministri (15giugno 1949), a Giovanni Santiè stata conferita la qualifica di“patriota isolato”.Se l’attendismo è stato l’atteg-giamento dominante tra lapopolazione valentanese, è al-tresì certo che vi furono con-tatti, di singoli e di gruppo,con i partigiani di Montautodel comandante Arancio e conquelli della sua banda che ope-rarono a Valentano nella zonadi Mezzano. Nel libro diNazzareno Mariotti su “Patriotie Partigiani nel Lazio. Cellere eCanino Liberati” (1994) si facenno ad un “Gruppo di Pa-trioti e Partigiani di Valentano”la cui composizione va quantomeno verificata. Il 4 gennaio1945, il comitato di liberazionenazionale di Pitigliano, su se-gnalazione del sottotenenteUmberto Calò, inviò a Fortuna-to Sonno, amministratore dellatenuta di Mezzano, una lode

di benemerenza “per l’aiutomorale e materiale dato ai per-seguitati politici (ebrei, prigio-nieri, soldati italiani, ecc)” ripa-rati a Mezzano.Meno fortunati i tentativi dialtri partigiani che in quellesettimane avevano agito nellazona: a San Quirico di Sorano(Gr) il 12 giugno fu fucilato ilpartigiano Rolando Mochi diOnano (il suo cadavere fuoltraggiato dai tedeschi). Il 20maggio era toccato a Felice Do-menichi di Bolsena “per averepiù volte commesso atti di sabo-taggio al cavo militare”. Stessacondanna, il precedente 14marzo, a Manciano, fu inflittaai “banditi”: Gavini, Vasconi,Sorrentino, Parocchi, e GrilliFelice di Acquapendente “per-ché facenti parte di una bandache ha assassinati due soldatitedeschi”.L’antifascismo, controllatodalle autorità, aveva avuto inValentano radici antiche, equello di Oreste e GiovanniDonati era noto a tutti, fascisticompresi. Oreste, unitamentealla moglie Matilde combatténella Resistenza francese. Unalettera inviatagli dalla Spagna

lazzo comunaledi Valentano lepersone piùqualificate delpaese (segretario comunale,farmacista, medico, arciprete)e alcuni esponenti dei partitipolitici (Galeani). Don Ber-nardino Morotti (DemocraziaCristiana) fu l’arbitro indiscus-so di quella riunione dallaquale, dopo un’accorta e viva-ce mediazione politica, uscì lanomina di Francesco Ranucciquale primo sindaco di Valen-tano libera. Ma questa “libera-zione”, come vedremo, fu pa-gata assai cara. Vediamone letappe.Fin dall’indomani dell’armisti-zio dell’8 settembre 1943 Va-lentano, come praticamentetutto il territorio della nostraprovincia, era nelle mani del-l’esercito tedesco. Il comandotedesco si insediò nel palazzoSimoni, sulla piazza, mentreanche altri immobili furonooccupati, come la villa della“Sora Pierina” (Corradi-LaPenna) per la strada di Latera.All’indomani della liberazionedi Roma, con le truppe alleateall’inseguimento di quelletedesche, il Corpo di spedizio-ne francese s’era mosso il 10giugno per occupare Valen-tano che si sapeva ben difesadalle truppe tedesche. Così ilgenerale Audolenko racconta

SPECIALEpassaggio del fronte

Ordinanza del generale Kesselring del 2 novembre 1943 per la “protezione delleForze Armate Germaniche”

Anziana donna bacia un soldato americanodelle truppe di liberazione

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la liberazionedi Valentano inuna cronaca

apparsa in Francia sul periodi-co Miroir de l’Histoire (n. 247,settembre 1970): “Il 10 giugno,il maggiore Letia, Bouhoure eio, raggiungiamo il 3° spahi(soldati algerini da ricognizio-ne) a Capodimonte sul lago diBolsena. E’ un tempo splendido.Decidiamo di continuare versoValentano. Sorpassiamo losquadrone di testa. Da lontanoscorgiamo già il campanile delvillaggio. E, all’improvviso, l’in-canto rotto. Un soffio caldo sfio-ra le nostre teste, una granata...e a un centinaio di metri davan-ti a noi, un gruppo di tedeschi sialza e apre il fuoco. Reagiamoistintivamente e in un modotanto intempestivo quanto pocoragionevole. Balziamo dallajeep e corriamo sui tedeschi. Lenostre ingiurie risuonanti sonoaccentuate dalle raffiche delmitra dei miei amici e dei colpidel mio revolver. Non è final-mente l'occasione di affrontareil nemico con l’“elmo rialzato”?Le pallottole fischiano e miago-lano e i rami che tagliano cicoprono. Ed ecco che un altrogruppo nemico appare sullanostra sinistra. L’affare diventaserio. Lo scherzo è durato abba-stanza. Mentre Letia ferma inuovi arrivati, Bouhore ed io cistacchiamo a scaglioni. L’au-tista ha avuto la presenza dispirito di far fare dietrofrontealla jeep. Così è che, a pienogas, lasciamo il luogo. Bisognain seguito combattere due giorniper prendere Valentano”.In verità sappiamo che i fran-cesi impiegarono soltanto ilgiorno seguente a compiere laloro missione seppure rallenta-ti, nella risalita della strada delLagaccione fino a Terrarossa, aqualche centinaio di metri dalcentro di Valentano, da varialberi abbattuti dai tedeschiper rallentare 1’arrivo delletruppe alleate. L’ingresso aValentano del Corpo d’insegui-mento avvenne nel primopomeriggio di domenica 11giugno tra il tripudio e la curio-sità della gente che affollava lestrade del centro storico eattorniava le truppe liberatrici,malgrado il tempo incerto.Dalla sommità dell’alto campa-nile della chiesa parrocchiale,frattanto, un ufficiale franceseseguiva la ritirata dei tedeschiverso la Montagnola di Lateralungo l’attuale SS.312 Castrense.Dal campanile, per radio, sicomandò al carro armato fran-cese, portatosi fuori porta SanMartino, di far fuoco sulle

truppe in ritirata. Ai primicolpi i tedeschi non tardaronoa rispondere con colpi di can-none. Alcuni proiettili finironotra i castagneti posti sotto SanMartino. Fu alzato il tiro e unproiettile, superata la porta eattraversato Corso VittorioEmanuele (oggi Giacomo Mat-teotti) finì contro la sommitàdel portale di palazzo Vitozzi,cadendo sulla strada dellaSelciata ove esplose seminan-do sangue e morte. Erano le 18e 30 della sera.Il “Portonaccio” - mai nome fupiù azzeccato - fu la primacamera ardente di tanti civilicaduti i cui resti furono ri-composti sui teli del panestrappati dalle finestre oveerano appesi ad asciugare.Questa la scarna cronacalasciataci dal parroco deltempo, il ricordato don Ber-nardino Morotti: “La guerra

raggiunse la Città ilgiorno 11 Giugno ele truppe marocchi-ne vi entrarono nelleprime ore del po-meriggio. Tutta la po-polazione salutò l’ar-rivo dei vincitori. ITedeschi si eranoritirati nelle collinedi Latera e dellaCantoniera. Avendoun carro armatofrancese preso a spa-rare dal piazzale diSan Martino controle posizioni tedeschefu individuato dalle

batterie tedesche che spararonovari colpi sulla Città. Una grana-ta attraversò la via Corso Vit-torio Emanuele e andò a caderesul portale in pietra [di palazzoVitozzi]. Poiché rifugiata sotto ilportone d’ingresso vi era moltagente le schegge della granatafecero otto vittime tra la popola-zione civile e due morti militariper essere stata colpita unacamionetta su cui vi erano unufficiale francese ed un soldato.Il giorno 12 Giugno altre due vit-time in una cascina della VillaRosati per schegge di granata. Inomi delle vittime sono: Crucia-ni Bernardina di anni 18,Cruciani Margherita di anni 14e Cruciani Mario di anni 11,tutti e tre figli di Cruciani Gia-como [e Brozzini Giulia]; Silve-stri Giuseppa di anni 13 e Silve-stri Maria di anni 8, figlie di For-tunato Silvestri [e VenanziFlora]; Barlani Carlo di anni 7,

figlio di Vincenzo [e di MercuriPurifica], innocente fanciulloappartenente al piccolo clero;Natali Domenico di anni 76 delfu Giov. Battista e BarbaraBianchini [nonna dei Silvestri],di circa 75 anni, cui la scheggiatroncò una gamba e morìall’Ospedale di Tuscania”.Da ricordare che già il prece-dente 3 maggio, in localitàPoggio Ruberto era morto permitragliamento Pio Barbieri, di44 anni, mentre altri caduticivili nel nostro territorio sidovevano contare nei giorniseguenti: il 12 giugno Dome-nico Capocecera di 16 anni,figlio di Luigi e Santa Stella, elo stesso Luigi Capocecera, dianni 46; il 14: Francesco Rossidi 12 anni e Goffredo Tra-montana, di anni 47, questiultimi residenti in Latera.Anche la tenuta di Mezzano,vicina e appartata al tempostesso, era stata percorsa dallaguerra, “che, vai a capire per-ché - scrive Antonio Mattei in‘Butteri a Mezzano’ - nell’ultimocolpo di coda si allargò dalledirettrici di marcia più battuteper passare proprio di qui; anzi,per infierirvi, con le granate chesfioravano la casa del fattore ele fanterie nordafricane falciatenella piana dalla retroguardiatedesca, appostata sulle alturein direzione di Latera. E mentrein una stanza a pianterrenodella villa padronale era statoallestito una specie di ospedalemilitare di fortuna per le truppedi colore, la chiesetta della

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La “croce di Terrarossa”, fatta erigere dai reduci valenta-nesi della seconda guerra mondiale

Il “Portonaccio” (palazzo Vitozzi) colpito da una cannonata tedesca nel pomeriggio dell’11 giugno 1944che provocò la morte di dieci persone. A destra, commemorazione dell’evento nel sessantesimo anniversario (2004)

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tenuta divenne quello dei solda-ti americani. In tutto ne moriro-no una quarantina, di queglialleati ricoverati per le ferite, ein quei giorni fece impressionevederli spogliare dai loro stessicommilitoni per recuperarne glioggetti personali da consegnareai familiari, ammassarne icorpi ricoperti con teli mimetici,e trasportarli a Valentano peruna momentanea sepoltura inun cimitero militare approntatoproprio dove ora è il “Sosty” (iresti furono riesumati annidopo e condotti in patria). [...]Nella parete interna della chie-setta, dove era stata già affissada tempo una piccola lapide inmemoria di Domenico Sonno(un fratello del guardianoGiuseppe disperso nella grandeguerra), avevano trovato postoaltre due lapidi per dei contadi-ni della tenuta morti da soldatisui fronti lontani di quel conflit-to, e con l’incrudelirsi dellasituazione capitò di dovernascondere nelle grotte dellatenuta delle famiglie di ebreiperseguitate per le leggi razzia-li...”.I giorni che seguirono la “libe-razione” furono ugualmentetristi per alcuni casi di “crudeleviolenza”, come ricorda lostesso don Bernardino checonclude: “Avendo le truppemarocchine dopo 4 giorni la-sciato il paese e trovandosi lacittà fuori dal tiro dell’artiglierianemica, fu indetta una solenneprocessione Eucaristica di rin-graziamento cui partecipò tuttoil popolo”. Quell’11 giugno,quello che doveva essere il“giorno più lungo”, per Valen-tano si trasformò nel giorno“più doloroso”.Purtroppo la guerra non eraancora finita. Il 20 ottobre 1944moriva a Montalto di Castro,per bombardamento in localitàArgentella, Nicola Pelosi di 17anni. Per lo scoppio di residua-ti bellici morirono ancora altrinostri concittadini: DomenicoGiannarini, di 16 anni, e An-drea Massieri, di l2 anni, il 26 eil 30 luglio 1944; AgostinoCastiglioni, di 11 anni, il 19marzo 1945; Benedetto Fala-schi, di anni 43, il 27 giugno1945 e Domenico Portici, dianni 9, il 1° aprile 1952.Quest’anno, nella ricorrenzadel 60° della liberazione, ilcomune di Valentano ha ricor-dato le vittime civili, caduti perfatti e cause di guerra, collo-cando una lapide marmoreacon i loro nomi presso il triste“Portonaccio” di palazzo Vi-tozzi.

Primavera del 1944. A Castiglione in Teverinasi consumano i veleni per la fucilazione dei

martiri di Camorena, sette persone condannatea morte dai tedeschi a causa della delazione diqualche facinoroso. Si acuisce l’odio della popo-lazione verso i tedeschi e soprattutto verso ifascisti che hanno trascinato l’Italia nel baratro;si moltiplicano gli episodi di ostilità, con lineetelefoniche abbattute e con vetri e chiodi a trepunte continuamente disseminati nelle stradeper rendere difficile la circolazione. Varie perso-ne sono in carcere per aver dato rifugio a pilotiamericani abbattuti dalla contraerea.

La guerra miete vittime anche tra la popolazionecivile. Il 5 aprile, alla stazione di Orvieto, mentrealcuni operai stanno sgomberando le macerie diun treno bombardato l’11 marzo, un’esplosioneprovoca cinque morti e 30 feriti tra la popolazio-ne civile. Il 10 aprile, in un nuovo bombardamen-to, viene distrutto completamente quel poco cheresta della borgata e la sottostazione della ferro-via brucia per 48 ore. La notte dell’11 maggioaerei alleati lanciano alcuni spezzoni sulla città,colpendo abitazioni civili; in una di questemuore una castiglionese, Maria Corradini, colpi-ta nel proprio letto da una scheggia, mentredorme insime al marito ed al figliolo che restanoillesi.La notizia dello sfondamento del fronte diCassino sembra imminente, questione di giorni,a farlo credere sono anche i bombardamenti delponte sul Tevere della ferrovia Roma-Firenze,che vanno facendosi sempre più frequenti. Dopo

quelli dell’autunno 1943, nei primi mesi del ‘44 sierano fatti più rari: tre a gennaio, quattro a feb-braio, nove a marzo. Ma ad aprile gli aerei com-paiono sul cielo di Castiglione per ben 53 volte,chiaro sintomo della ripresa dell’offensiva allea-ta. A maggio arrivano due, talvolta tre ed anchequattro volte nello stesso giorno ed anche dinotte, spesso a distanza di pochi minuti. Tuttiaspettano entro pochi giorni grosse novità. Sidimette il podestà, vari fascisti spariscono dallacircolazione. La ferrovia è interrotta, i tedeschinemmeno tentano più di ripararla e sono in fer-mento, smontano la medicamenteria, raccolgo-

no le loro cose e se ne vanno. I fascisti che nonsono fuggiti sono agitati, dai loro occhi trasparepreoccupazione e paura. Dagli inizi di giugno sparuti drappelli di soldatitedeschi provenienti dal sud attraversano ilpaese senza fermarsi; hanno l’aria di gente chefugge. Da Viterbo arrivano notizie che conferma-no l’impressione: colonne interminabili di solda-ti stanno percorrendo la Cassia procedendo infila indiana ai lati della strada, si dice che il fron-te di Cassino è stato sfondato, che gli americanistiano per occupare Roma. La notizia dilaga e simoltiplicano le azioni per affrontare il passaggiodel fronte, un evento tanto atteso, allo stessotempo tanto temuto e pericoloso. Il 7 giugnobombe alleate cadono ancora dentro Orvieto eviene distrutto un palazzo nei pressi del teatroMancinelli, mentre i fabbricati adiacenti, tra iquali lo stesso teatro, vengono gravemente dan-neggiati. Il bombardamento provoca quattro vit-

SPECIALEpassaggio del fronte

Castiglione in Teverina CesareCorradini

Ferocia e distruzione

Truppe britanniche entrano a Orvieto (da “Sferracavallo”). Durante la guerra Orvieto è stato strettamente legato a Castiglione inTeverina, come si può capire dal libro “Tempo di Guerra”, dello stesso autore dell’articolo

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time: un bambino di quattroanni sfollato da Napoli, unsoldato tedesco e due giova-ni orvietani di 22 e 24 anni

che stavano rientrando alle loro abitazioni,dopo aver accompagnato in uno dei rifugidella città alcune persone per sottrarle alladeportazione.Il 9 giugno si ha notizia che le truppe alleatesono entrate a Viterbo ed incalzano da vici-no quelle tedesche in ritirata. Da Vaiano arri-vano notizie drammatiche: la gente diBagnoregio è fuggita nella valle di Civita. Inpaese, i tedeschi stanno facendo razzia; spa-rano in ogni direzione, sulla gente in strada esulle finestre; sfondano le porte con bombea mano, poi entrano e rubano quanto posso-no, incendiano le case, tentano di violentarele donne. A Castiglione si sentono colpi dicannone che provengono da molto vicino,forse da Celleno, forse da Graffignano; dallaRipa della Piazza si scorgono nuvole di pol-vere e fumo che si innalzano dalle collinedietro Civitella d’Agliano. Colonne di soldatitedeschi avanzano in fila indiana nelle cam-pagne ed anche dentro il paese; sono stre-mati, alcuni si fermano per riposare qualche ora. Ora non hannopiù quell’atteggiamento tracotante di quache tempo addietro, mafanno ancor più paura, sono gente disperata; vengono saggiamen-te assecondati dai castiglionesi in ogni loro richiesta, gli vieneofferto vino e cibo nella speranza di rabbonirli ed evitare colpi ditesta, vendette e rappresaglie.La sera dell’11 giugno la processione di truppe è terminata, maspecialmente nelle campagne molti soldati sono appostati edattendono gli alleati per affrontarli e rallentarne l’avanzata. Alcunisono fermi in una grotta nei pressi del paese ed armeggiano attor-no ad un cannone, altri hanno piazzato pezzi di artiglieria in posi-zioni strategiche. Alcune pattuglie armate di mitragliatrici occupa-no posizioni dominanti e trincee scavate nelle strade, dalle qualipossono inchiodare l’avanzata alleata.A Civettara, un casale nei pressi di Vaiano, opera da una decina digiorni un ospedale da campo. Per la famiglia che vi abita è unagrossa preoccupazione, soprattutto per le poche riserve alimenta-ri nascoste in cantina, il cui ingresso è stato nascosto con delletavole sulle quali è poggiata una grossa tina. Il tesoro nascostotiene in apprensione perché, se scoperto, oltre ad andare inevita-bilmente perduto provocherebbe l’ira dei tedeschi che si sentireb-bero raggirati. La situazione si aggrava l’11 giugno, quando giungo-no anche le SS che installano un comando temporaneo; la posizio-ne è ottima e consente di dominare una vasta zona sulla valle del

Tevere. Regna la paura, per le donne, per il cibo, soprattutto peralcuni giovani della famiglia che si sono nascosti. E’ il 12 giugno 1944. A Santa Maria, podere tra Castiglione eCivitella d’Agliano, i tedeschi hanno installato un comando facen-do sfollare gli abitanti, permettendo di restare soltanto ad alcuniuomini per accudire le bestie nella stalla. Sestilia Frigi, una delledonne sfollate, si è rifugiata con i bambini nei pressi di Spoletino.Ha passato la notte in apprensione per le esplosioni ed i baglioriprovenienti dalla direzione della propria casa; non potendo resi-stere al pensiero che il marito possa essere rimasto vittima di unabomba, alle prime luci dell’alba fa ritorno a Santa Maria per accer-tarsi dell’accaduto. Trova la casa ancora in piedi ed il marito sanoe salvo, ma a sua volta preoccupato per il pericolo che la moglieha corso e che dovrà nuovamente correre per tornare al rifugio,perché non le viene permesso di restare. Per proteggerla decidedi accompagnarla ed insieme si avviano nuovamente perSpoletino. Giunti nei pressi di Pian della Breccia, una mitragliatriceposta dentro una trincea gli sbarra la strada, non possono prose-guire. Si avvicinano per chiedere di passare, l’uomo si abbassa neltentativo di dare una spiegazione, ma proprio in quel momentouna raffica di mitra gli passa sopra la testa colpendo in pieno lamoglie, che era rimasta in piedi sorreggendo sulla testa una cestadove aveva raccolto poche cose.In un altro podere nei pressi di Spoletino i contadini si sono allon-

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Gli inglesi entrano a Orvieto da Porta Romana

A sinistra: la stazione di Orvieto pavesata a festa e con reparti militarischierati per il passaggio di Hitler nel 1939.

A seguire, tre immagini impressionanti, in sequenza,della stazione di Orvieto bombardata nella primavera del 1944.

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tanati nel tentativo di salvare alcuni buoi, lasciando i bambini incustodia ai vicini. Alle 14 e 30, mentre una colonna di soldati inritirata sta scendendo da Torricella, un carro armato ed alcuniblindati attirano la curiosità dei bambini che escono sull’uscio.Vedendoli, una macchina si ferma ed uno degli occupanti fa parti-re una scarica di mitra in loro direzione. Quinta Sberna, bambinadi cinque anni, viene colpita e muore sul colpo; un altro bambinodi dodici anni viene ferito ad un polso ed alla pancia; una ragazzaresta gravemente ferita ad una gamba ed un proiettile gli tranciaun dito della mano. Sono delitti che possono trovare una ragionesoltanto nella malvagità degli uomini.A Civitella d’Agliano, pressati anche dalla popolazione che neivicoli del centro storico li fa segno di alcuni colpi di fucile, gli ulti-mi tedeschi abbandonano il paese. Mentre transitano sotto larupe vengono fatti bersaglio di sassi ed altri oggetti; contempora-neamente una forte esplosione provoca morti e feriti.Sembrerebbe che si tratti di un incidente causato dalla loro stessaconcitata reazione, ma potrebbe trattarsi anche di una bomba lan-ciata dalle case. Poco oltre, nei pressi di Agliano, si sono nascostinelle grotte gli abitanti della piccola frazione, dove i tedeschi ven-gono raggiunti da altri colpi di fucile. In mezzo alla confusionedella ritirata, i rifugiati sentono secchi richiami ed escono all’aper-to, alcuni soldati gli si rivolgono con modi bruschi: “Portare viauomini, fare kaput”. Seguono frasi concitate ed urla di terrore,mentre le donne tentano invano di trattenerli aggrappandosi alledivise, piangendo e supplicando di non arrestare Anatolio eAmelio Del Medico, padre e figlio, che vengono trascinati via.A Civettara giunge una macchina alzando una nuvola di polvere,trasporta due soldati tedeschi feriti che vengono portati a bracciain una camera. Il clima della casa diventa funereo, le facce diventa-no truci. Poco dopo giunge un’altra macchina, ancor prima che siaferma altri soldati saltano a terra. I Del Medico, con le mani legate,vengono letteralmente scaricati dal mezzo; poi, maltrattati e strat-tonati, vengono fatti entrare nella stalla. Con gli occhi iniettati disangue un ufficiale scaccia i contadini che abitano il casale: “Raus,via, andare via, questo essere risultato per avere trattato bene, anda-re via, raus”, mentre dalla stalla si sentono lamenti e tonfi sordi,forse bastonate. I tedeschi sono eccitati, hanno atteggiamentiaggressivi e sollecitano i contadini ad andarsene. Questi sono titu-banti, vorrebbero restare, sono preoccupati per le bestie, per lapropria casa, soprattutto per la sorte dei Del Medico; vorrebberofare qualcosa per loro, ma devono allontanarsi per le continueminacce che gli vengono rivolte, la loro vita comincia ad essere inpericolo.Tra 18 e le 23, alcune cannonate arrivano nei pressi di Castiglione.Durante la notte, le ultime pattuglie tedesche si fermano in paeseper dormire qualche ora; con le bombe a mano aprono le portedelle case e delle cantine: vogliono da mangiare, letti per dormire.Pur affamati, spesso non terminano neanche il cibo che hanno nelpiatto, si siedono in terra e si addormentano stremati, con il mitratra le gambe e la sigaretta che gli cade dalla bocca. Non è ancoral’alba quando un frenetico bussare alle porte li sveglia di sopras-salto; fuori, alcuni soldati ansanti parlano ad alta voce gesticolan-do; tutti escono veloci e partono dirigendosi verso Orvieto. E’ il 13 giugno 1944. Nelle prime ore del mattino le truppe alleate

avanzano verso Castiglione. Con il cannone nasco-sto nella grotta sotto il paese, le retrovie tedeschesparano alcuni colpi in direzione di Civitella, poi siritirano. Intorno alle 10, un intenso bombardamen-to di artiglieria colpisce l’abitato di Castiglione, la gente si rintananelle grotte e nelle cantine vivendo momenti drammatici. Lebombe colpiscono molte case che restano gravemente danneggia-te; numerosi colpi vengono indirizzati alla grotta dove probabil-mente è stato individuato il cannone tedesco; le bombe che cado-no in basso tra le rocce non producono danni, ma alcune colpisco-no le case superiori ed alcune restano quasi distrutte.A Topano, nei pressi di Vaiano, alcune persone sono nascoste inuna grotta per ripararsi dalla bombe; nelle vicinanze hanno tenta-to di riparare i buoi. Intorno alle 11, quando ormai da un’ora sisusseguono le esplosioni, Tommaso Tortolini, 61 anni, in ansia perla sorte degli animali si fa sull’uscio per controllare la situazione;viene colpito da una scheggia alla testa e muore. Intorno alle 13, aCase Nuove Egisto Mancini, un ragazzo di 18 anni, sta tentando diraggiungere un rifugio; una cannonata lo colpisce in pieno a pochimetri di distanza dall’abitato. Intorno alle 14 cala il silenzio. Lagente esce pian piano dai rifugi e si riversa nelle strade deserte,una densa cortina di fumo e polvere avvolge il paese ed un acreodore di polvere da sparo rende l’aria irrespirabile. Il fondo dellestrade è coperto di tegole rotte e calcinacci, la piazza è intralciatadai pali che sono crollati a terra trascinando i fili della correnteelettrica; in misura più o meno grave, quasi tutte le abitazionisono rimaste danneggiate. Seguono minuti drammatici per lapaura del ripetersi del cannoneggiamento, si vivono momentisenza spazio e senza tempo, Castiglione è terra di nessuno, non cisono più i tedeschi, non sono ancora arrivati gli alleati. Dalla ripadel Pantano viene notata una colonna che da Spoletino avanzaverso Castiglione, nei pressi del Ponte della Casa si arresta pren-dendo posizione. Sono gli alleati che forse credono che in paese cisiano ancora i tedeschi; forse si apprestano nuovamente a bom-bardare, ma stavolta più da vicino, di dove potrebbero radere azero l’intero abitato. Domina la paura; alcune lenzuola vengonosventolate dalle finestre, ma le truppe, che certamente vedono ilsegnale, non si muovono. La paura diventa terrore ed il panicoassale la gente. Un aereo sorvola il Piano con larghi giri avvicinan-dosi sempre di più al paese. Due ragazzi appena quindicenni pren-dono il coraggio a due mani e, con l’incoscienza della loro età,scendono verso il ponte facendo un largo giro. Si avvicinano aduna postazione e si nascondono nel grano maturo; gli alleati stan-no consultando delle carte. I ragazzi restano a guardare alcuniminuti, poi uno di loro si alza e si dirige verso i soldati che, appe-na lo vedono, gli puntano addosso i fucili. Quando si rendonoconto di chi si tratta lo chiamano: “Bambino, come here, avvicina-re”. Il ragazzo, abituato a parlare con i tedeschi coniugando iverbi all’infinito, tenta di spiegare: “Venire villaggio, tedeschi esserefuggiti, venire villaggio, non bombardare”; si avvicina anche l’altroragazzo, ma gli alleati non si fidano, forse temono che siano statimandati dai tedeschi per attirarli in una trappola. Sopraggiungonoaltri giovani, mentre l’aereo che sorvola la zona si avvicina sempredi più all’abitato. Infine gli alleati sembrano convincersi ad avanza-re senza bombardare ulteriormente ed una piccola colonna si

SPECIALEpassaggio del fronte

Castiglione in Teverina

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avvia. Alcuni soldati con i fucili spianati seguono iragazzi; risalgono la strada del Pinzale, poi per leSerre di San Rocco raggiungono le prime case delpaese dove allontanano con la minaccia delle armi

le donne che li accolgono festosamente. Risalgono quindi il Borgoe proseguono in assetto di guerra fino alla piazza, dove li accogliealtra gente festante. Finalmente si convincono che non ci sono piùtedeschi e danno l’OK via radio. Le truppe nel Piano cominciano amuoversi ed entrano in paese. Ancora autoblindo ed altri auto-mezzi attraversano Castiglione dopo quelli dei tedeschi in fuga.Due carri armati vengono messi di guardia, uno sulla ripa degliAlberetti, vicino alla Rocca, l’altro su quella del Pantano. Nell’angolo di piazza del Poggetto, i possidenti fanno mettere untavolo con formaggio e vino pser le truppe che transitano.Esplode la gioia dei castiglionesi per quell’improvvisa ed inaspet-tata manna, arricchita dal cioccolato, dalle caramelle e dalle siga-rette che gli alleati lanciano sulla folla che li applaude e li festeg-gia; i ragazzi si arrampicano sui camions e seguono di corsa imezzi che si dirigono verso Orvieto.Passato il fronte, i contadini tornano a Civettara. Molte cannonatesono cadute nei pressi provocando il caos e facendo fuggire lepecore. I tedeschi hanno macellato e mangiato molte gallinelasciando resti sparsi dappertutto, in un angolo c’è la testa dellascrofa, il sangue degli animali emana un odore nauseabondo; unacannonata ha raggiunto la stalla ed una vacca ha una ferita chesanguina abbondantemente. La scena è sconfortante, ma bisognadarsi pace e rimboccare le maniche per riordinare, per ripulire lacasa dalle macerie e dalla paglia, per recuperare gli animali; perricominciare a vivere. Una ragazza si avvicina alla porcilaia doveha visto la chioccia, ma torna subito indietro stravolta e si acca-scia a terra dicendo: “Quei poveracci, li hanno uccisi, sono vicinoalla stalla”. Tutti accorrono; il muro è crivellato di colpi ed i calci-nacci caduti quasi ricoprono il terreno; vicino, sepolti alla megliocon pochi centimetri di terra e con le gambe fuori, ci sono i DelMedico barbaramente uccisi, forse per rappresaglia, forse soltan-to per uno sfogo d’ira. Anatolio è stato torturato e mutilato agliocchi, gli sono state strappate le unghie. I tedeschi non si sonoaccontentati di uccidere, hanno dato sfogo all’odio ed alla vendet-ta con una cattiveria che è difficile immaginare in un essereumano.Le truppe alleate che avanzano verso Orvieto trovano ancoraostacoli intorno a Tordimonte, dove una mitragliatrice le bloccafino al sopraggiungere di un carro armato. La strada tra il cimiteroe la chiesa è minata, devono aprirsi un altro percorso sulla sini-stra, verso il borgo di Botto. Il 14 giugno entrano in Orvieto senzaincontrare alcuna resistenza, ma i tedeschi non hanno abbandona-to la città impunemente. Protetti dalla confusione della ritirata sisono abbandonati a saccheggi e furti, compiendo azioni orripilantie lasciandosi dietro una scia di sangue. A Botto hanno uccisoGirolamo Menichetti, perché si era opposto mentre gli rubavano ilmaiale. Il giorno 11, a Canale hanno ucciso per rappresaglia PietroAdami ed a Piazza dei Cinquecento Luigi Berardi, uomo di faticadei Servi di Maria. Il giorno 14, in località Fontana San Zero, sotto ilpozzo di San Patrizio, hanno ucciso per rappresaglia SalvatorePalazzetti, agricoltore di 72 anni, e Cosimo Ercolani, bracciante di40 anni; non sazi della vendetta perpetrata, hanno inveito suicorpi dei due uomini facendone scempio e provocando la reazio-ne di Elido, figlio quindicenne di Cosimo Ercolani che si è scagliatocontro di loro in difesa del padre: lo hanno fermato con tre colpialla schiena; la madre, che impotente ha visto uccidere uno dopol’altro i propri cari, è stata costretta ad un gesto inumano: per evi-tare che gli venisse ucciso anche un secondo figlio ha dovutonegare di conoscere quello già morto. In località Patarina, un tede-sco in fuga ha ucciso Romolo Bacci, colono di Benano di 33 anni,che era uscito allo scoperto credendo di trovarsi ormai al sicuro,dopo aver visto la bandiera inglese sventolare in lontananza sullaTorre del Moro. Ad Ancaiano, una località nei pressi di Morrano,hanno ucciso a raffiche di mitra Vincenzo Casaccia ed Edoardo eLuigi Spaccini, colpevoli di aver opposto resistenza alla consegnadi un cavallo; sono rimaste ferite e si sono salvate per miracoloaltre tre persone.Il 15 giugno, due soldati di colore accampati in località Porcine, neipressi di Sferracavallo, nel tentativo di emulare le gesta perpetratedai goumiers ad Esperia ed Ausonia, si presentano in una casacolonica; vedendo gli occupanti che tentano di chiudere la porta,

lanciano una bomba. Resta ucciso sul colpo Mario Capoccia, di 48anni da Ficulle, vedovo con cinque figli minorenni, mentre il fratel-lo Enrico di 56 anni, ammogliato con tre figli, morirà all'ospedale il30 giugno per le gravi ferite riportate.Durante il passaggio del fronte si sono avuti a Castiglione soltantodue feriti seri, ma non in pericolo di vita, i quali saranno i soli chedovranno essere ricoverati in ospedale. Restando chiusi nelle can-tine e nei rifugi a causa del bombardamento, i castiglionesi sonostati risparmiati dalle violenze delle truppe tedesche in ritirata enon hanno subito uccisioni e saccheggi, come è accaduto aCivitella d’Agliano, Bagnoregio ed Orvieto. Nei giorni seguenti il cannone tuona ancora, ad Allerona, a TorreAlfina ed Acquapendente; poi sempre più lontano. Per i castiglio-nesi, la guerra è finalmente finita.

SPECIALEpa

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Lubriano

Maria AssuntaScarino

Quanno che

Sono seduta sul prato delcimitero di guerra, per noi

“camposanto degli inglesi”,che si trova lungo la consolareCassia, tra Montefiascone eBolsena. Il cielo e il lago avvol-gono questo luogo come in unimpalpabile velo azzurro e l’er-ba tra le croci sembra di unverde “impossibile”. I nomi e ledate ho rinunciato da tempo arileggerle, tanto sono crudeli;qualche volta ci sono piccolidoni, coroncine o fiori mandatitramite turisti di passaggio.Questi giovani sono stati attesiinvano dalle loro famiglie esat-tamente come tutti i giovani diogni nazione e di ogni guerra.Già, la guerra! Che stupida fol-lia senza limiti che non ha per-messo a questi ragazzi disognare, progettare, vivere. Ripenso ai racconti della se-conda guerra mondiale, quan-do le mamme vestivano “ilmezzo lutto” per solidarietà,quasi a stringersi le une allealtre per poter sopportare un

peso troppo grande e le don-ne, insieme ai vecchi e ai bam-bini, dovevano anche affron-tare le oggettive difficoltà quo-tidiane. I racconti di guerrasono stati le favole della miainfanzia: si susseguivano quellidella prima e della secondaguerra mondiale; alla primaaveva partecipato il nonno,alla seconda mio padre edalcuni zii. Era un rincorrersi diluoghi, di nomi, di privazioni, equando il babbo raccontavadella sua prigionia si creava ungenerale, religioso silenzio; epoi... poi venivano narrate lesofferenze delle madri, dellespose, dei figli piccoli che nonconoscevano il padre e che,forse, non lo avrebbero maiconosciuto, oppure lo avreb-bero visto la prima volta giàgrandicelli.“Quanno che passette ‘l fronte,‘l giorno benedetto de Sant’An-tonio da Padoa, pe’ tutte noefinì la passione; adesso cerimanìa c’arivenìssono a casale prigioniere e poe d’aricomin-cia’ dacapo a laora’, senzascordacce mae de le lubrianese

Carri britannici dell’VIII armata nella valle del Tevere

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che so’ morte pe’ la Patria”.Il fronte. Quante volte da bam-bina ho sentito questa parola;ne intuivo il significato “buo-no” dall’espressione dei visi,dalla positività dei racconti.Cosa avesse significato vera-mente me lo spiegò il nonnoche disegnò con un bastone suun’improvvisata e provviden-ziale “lavagna” di terra, l’Italiatagliata trasversalmente datante linee di avanzamento:davanti i “cattivi” rincorsi dai“buoni”.Altrettante volte ho sentitol’attesa e amata data: il tredicigiugno 1944, giorno di S. An-tonio da Padova, festività cheda allora si arricchirà di nuovisignificati. A testimoniare lagratitudine al santo e la gioiadell’evento basti pensare chel’offerta in grano, fatta ai festa-roli di S. Antonio il giorno dellatrebbiatura, sarà per sempreraddoppiata. Lubriano, paesino prettamenteagricolo, nel 1941 contava1.364 abitanti su tutto il territo-rio comunale. Il paese è inca-stonato nella deliziosa “valledei calanchi”, e non avendo viedi comunicazione di importan-za strategica non ha subìtodistruzioni materiali e neancheimmani tribolazioni di caratte-re alimentare. Ovviamente laguerra ha chiamato i giovani;tutte le classi che storicamen-te vi hanno partecipato aveva-no i loro rappresentanti e daqueste file sono venute le piùdure sofferenze: sette morti,

molti prigionieriche torneranno acasa a guerra fini-ta, non prima delgiugno-luglio 1945.Il fronte transitarapidamente a Lu-briano, le truppetedesche che lasera del dodici giu-gno si trovano neipressi del paese ovi giungono stre-mate, scappanodurante la notte;lasciano le loro se-di arbitrariamenteoccupate anche icomandanti, così ilubrianesi, cometutti gli abitantidella campagna, e-scono dagli im-provvisati rifugi etornano alle lorocase; qualcuno

prenderà atto conimmensa tristezzache alle rovine dellaguerra si sono ag-

giunte ruberie e sciacallaggio:purtroppo le vicende umanespesso affogano nel mare dellamiseria.Gli “inglesi” arrivano portandosigarette, scatolette, cioccola-ta e... una sferzata di vitalità.Subito si accende la speranzache tutto sia passato; purtrop-po non è così: la guerra dureràancora dieci mesi e la stra-grande maggioranza dellefamiglie dei prigionieri li tra-scorreranno senza riceverenotizie dei propri cari. L’arrivo degli alleati viene salu-tato dal suono delle campane;finalmente la popolazione siriversa nelle strade senzatimore e dimostra la propriagioia in vari modi: molti sirecano in chiesa per una pre-ghiera di ringraziamento,soprattutto alla Vergine SS. delPoggio. Non mancano, da par-te di un manipolo di ragazzi,

certamente pi-lotati, atti div a n d a l i s m overso le fami-glie ritenute compromesse conil regime e minacce verso tutticoloro che, schierati col fasci-smo, avevano esercitato ilpotere con arroganza e prepo-tenza. Non mancano, a spesedelle cantine di quest’ultimi,grandi bevute che placheran-no odi e rancori repressi alungo. Questo clima di anar-chia dura un solo giorno: l’in-domani si assaporerà con mag-gior consapevolezza la libertàe la voglia di ricominciare avivere. La storia e il presente tragicoci dicono che i potenti tengonoben poco conto delle sofferen-ze atroci, delle privazioni e deidolori che la guerra ha da sem-pre inflitto all’umanità.I miei pensieri hanno volatolontano, il sole arrossa l’oriz-zonte verso Gradoli, il custodemi fa cenno di andare: ciaoragazzi!

SPECIALEpassaggio del fronte pe’ noe funì la guerra

Il barattolo dello zuccheroFacendo cadere delle goccioline d’acqua nello zucchero e aspettando cheasciughino otteniamo delle caramelline; questo facevo da piccola infilandola manina nella brocca dell’acqua.Il barattolo dello zucchero era un bel vaso cilindrico di ceramica chiara,con il coperchio dipinto a cerchi concentrici che trovava la sua naturalecollocazione nella credenza della cucina e che aveva una storia moltospeciale.Il tredici giugno 1944 il fronte di guerra libera la casa della mia famiglia;in questa abitazione i tedeschi avevano installato la loro radio e per esi-genze diciamo “di servizio” avevano saccheggiato le stanze della casa,usato o distrutto molte suppellettili e mangiato tutto ciò che di commestibileavevano trovato (comprese le galline); soltanto la stalla era stata rispar-miata, forse perché destreggiarsi con un pollo era molto più semplice chefarlo con una mucca.Subito la nonna tornò dal rifugio insieme al figlio diciassettenne e al nonno, l’unico che sempre aveva potu-to accudire il bestiame entrando esclusivamente nella stalla. Mentre si avvicinavano alla loro casa, pur feli-cissimi per la ritrovata libertà, si chiedevano trepidanti cosa avrebbero trovato. In realtà avrebbero trovatoben poco: all’esterno stoviglie rotte, pezzi di mobili, mucchi di penne di gallina e improvvisati barbecue.All’interno la situazione era anche peggiore: paglia, ovunque paglia, solo paglia e... desolazione. Lanonna, con un filo di voce tentò un cauto, speranzoso richiamo alle sue galline e chi ti apparve? Spaurito eincredulo arrivò il gallo. Il povero “re” si avvicinò alla padrona come per scusarsi di non aver saputo difen-dere il proprio “reame” e per raccontarle come era stato difficile scamparla. Oltre al cane (lasciato apposi-tamente nel rifugio affinché non potesse involontariamente guidare i nemici nel nascondiglio dei padroni), ilgallo era l’unico animale libero ad essere rimasto vivo, ma per poco. Alcuni ufficiali alleati, infatti, dovetterofermarsi per qualche giorno nei pressi della casa e pur avendo cibo a disposizione chiesero il gallo per unpasto caldo; in cambio diedero scatolette, cioccolata, sigarette e un bel barattolo Richard Ginori. Il gallo fusacrificato non solo per il conveniente cambio, reso ulteriormente vantaggioso dalla sua attuale inutilità, maanche perché, come sempre racconterà la nonna, “anche queste che c’evono la divisa del colore de quellebone erono armate” e quindi era meglio non contraddirli.E il barattolo, direte voi, era pieno? Sì, pienissimo. Ma di cosa si intuirà dieci/quindici anni dopo. Per giornie giorni discussero sul contenuto. Il militare inglese nel consegnarlo aveva dato tante spiegazioni, a lorosembrava persino di aver afferrato che apparteneva alla mensa ufficiali, ma chi capiva la sua lingua?“Mica se saranno magnate ‘l gallo e cianno dato ‘na fregatura!?”. In tempi tanto duri gettare alcunché eraimpensabile, ma anche mangiare qualcosa di unto, insapore e misterioso, era molto difficile; fu così che,fatta una buca in terra, vi fu rovesciato il contenuto del bel barattolo che inaugurò, con largo anticipo, ilnuovo arredo della cucina facendo bella mostra di sé sul camino (non vi era altro posto dove poggiarlo).Spesso guardandolo si chiedevano se non sarebbe stato meglio mangiarsi il gallo; poi, dopo vari anni,quando lo zucchero si poteva acquistare, fu battezzato “barattolo dello zucchero” e nell’orto dove era statobuttato lo sconosciuto burro crebbero tante piantine di “creste di gallo”.Dopo vari incidenti e vistose ferite... di guerra, il bel barattolo è tornato sul camino, questa volta quello dicasa mia.

“4a Pasqua lontanoda casa. Mi trovo sulfronte russo sotto icolpi di cannone.Lì 9 Aprile 1944”.

Così si legge sulretro del “santino”conservato nel taschino del soldato Sante Scarino.

Lubriano

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Nel territorio tormentato diBagnoregio - la suggestiva

cittadina cara alle meditazioniascetiche di S. Bonaventura -nella tarda primavera del 1944i tedeschi in ritirata trovaronoun appiglio strategico e decise-ro di attestarvisi per ritardarel’avanzata degli alleati. In queigiorni i tedeschi passavano incolonne interminabili su cuironzavano gli aerei nemici avolo radente. Proprio a causadella presenza del notevolecontingente di forze germani-che, la notte tra l’8 e il 9 giugnosi ebbe sul paese il primo bom-bardamento aereo alleato.L’incursione distrusse la zonacompresa nel triangolo duo-mo-villa Venturini-cimitero. Lapopolazione, presa dal panico,fuggì nelle campagne. Intanto i guastatori tedeschi,prima di lasciare la zona, siabbandonarono ad ogni sortadi ruberie, sottraendo dallecase e dalle cascine viveri,bestiame e denaro. Purtroppo,al saccheggio parteciparonoanche alcuni spregiudicati“sciacalli” locali. I bagnoresi siribellarono a tali soprusi ealcuni uomini esasperati, scesiin piazza armati e gridando“Bisogna farla finita con questitedeschi!”, ne uccisero due abruciapelo. La rappresaglia fuimmediata. La legge marzialedel Terzo Reich parlava chia-

ro: per ogni tedesco uccisodovevano morire dieci italiani.Quindi occorrevano venti vitti-me. Nel paese semideserto, itedeschi cominciarono a spa-rare per le strade all’impazza-ta. Uccisero così il sagrestano,tale Giuseppe De Lungo, eLorenzo Billonio, che rimasero

a lungo sul selciato in attesa disepoltura. Una ragazza, chestava per essere violentata dadue soldati tedeschi ubriachi,fu salvata a tempo dal corag-gioso intervento del vescovomons. Rosa, il quale interven-ne anche presso il comandogermanico per porre fine allo

scempio, mentre isoldati, il 10 giu-gno, incendiavanocase, fracassava-no mobili e li sca-raventavano dallefinestre. Il vesco-vo riuscì a convin-cere il comandoche quei due tede-schi erano statiuccisi per disgra-zia e così, ancheper l’incalzare del-l’avanzata alleata,le venti vittimefurono risparmia-te. I tedeschi peròsi abbandonaronoin quei giorni auna specie di or-gia frenetica, forseper dimenticaregli orrori dellaguerra e l’amarez-za della sconfitta.La mattina dell’11giugno, però, a

Bagnoregio tornò la guerra,perché i tedeschi avevano pen-sato di fermarvi, sia pure tem-poraneamente, la linea delfuoco. I soldati erano in pienoassetto di guerra e nel pome-riggio di quel giorno si aprì ilfuoco delle artiglierie alleate,cui rispondevano cannoni dipiccolo calibro e mitragliatricitedesche. Il paese di S.Bonaventura era diventatoprima linea. Il farmacista dot-tor Bigiotti si prodigò a curarei feriti tedeschi, con alto spiri-to di umanità cristiana. I nazi-sti riuscirono a fermare glialleati e, intanto, a Civita e aMercatello affluivano i rinforzi. Il giorno dopo, il 12 giugno,con maggiore accanimentoriprese la battaglia. La lineatedesca si sviluppava daBagnoregio a Latera. “Una cele-re avanzata degli alleati sulfiume Paglia o sul Tevere - silegge infatti ne “La battaglia diBagnoregio” di Terenzio Bi-giotti, il farmacista poi desi-gnato sindaco dagli alleati -avrebbe tagliato in due l’eserci-to tedesco. Bagnoregio e Laterarappresentavano quindi le dueali opposte (e Bagnoregio lapiù importante) dato che il cen-tro era neutralizzato dal lago diBolsena”. Ora si scontravano

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Bagnoregio

G. BattistaCrocoli

Il paese di San Bonaventuraera diventato prima linea

Civita di Bagnoregio. Si noti il ponte fatto saltare dai tedeschi in ritirata,con la provvisoria passerella in legno a destra del tratto interrotto

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nell’altipiano di Monterado imostri d’acciaio: centinaia dicarri armati cozzavano senzarisparmio, in mezzo a un dilu-vio di piombo e di fuoco. Labattaglia continuò anche nellanotte, accesa di vividi bagliorie fra tremende scosse, quasi laterra fosse percossa da un ter-ribile sisma. Tre tedeschi, vo-tati alla morte, verso l’albafecero saltare il ponte di Civitaprecludendosi ogni possibilitàdi scampo. Nell’abitato si eb-bero tre morti e numerosi feri-ti. Il grosso delle truppe, intan-to, si ritirava precipitosamenteverso Porta Albana, da dove -mentre i sudafricani, alle 14,45del giorno 13, entravano inpaese - i tedeschi continuaro-no a sparare facendo infine sal-tare un deposito di munizioni. Settantanove militari tedeschi,rimasti sul terreno, furono ingran parte sepolti nel cimitero,mentre gli alleati avevano regi-strato, nella battaglia di Bagno-regio, la perdita di duecentouomini. Inoltre, durante ilbombardamento alleato dell’8giugno, si erano registrate nuo-ve perdite ed ancora distruzio-ni nell’abitato. Ai 79 corpi tede-schi recuperati, “tra cui un ita-liano che combatteva nelle lorofile - leggiamo ancora ne “Labattaglia di Bagnoregio” - sonoda aggiungere un discreto nu-mero che furono cremati perordine degli alleati perché, es-sendo già in avanzato stato diputrefazione, non fu possibilesotterrarli, data la zona pietrosadove erano caduti. Molti mortinel pronto soccorso tedesco,installato nel palazzo Monar-chi, furono trasportati dai tede-schi oltre Bagnoregio. (...) Nonè esagerato affermare che imorti tedeschi abbiano supera-to i 120. Non si possono calcola-re i morti degli alleati perchéquesti li trasportarono via tutti,ma si suppone siano superioriai morti tedeschi. I morti civilifurono i seguenti: Maria Medori,Alfonso Artemi, Alberto Biello[tutti e tre di Civita. Le loro sal-me, dato che il ponte era statofatto saltare, le si dovette “tra-ghettare” nel tratto interrottocon delle funi], Lorenzo Billo-nio, Bernardino Bracchino, Giu-seppe Castelluccia, SerafinoCatteruccia, Pietro Ceccariglia,Giuseppe De Lungo, AgostinoMacchioni, Pietro Olimpieri,Maria Pompei, Antonia Sensini,Maria Sensini, Giuseppe Senza-quatrini.Né bisogna dimenticare cheBagnoregio aveva già soffertola violenza teutonica per la pre-senza dei partigiani e di prigio-

nieri alleati nella zona. Memo-rabile l’irruzione effettuatadalle SS la mattina del 26 otto-bre 1943, alla ricerca di parti-giani; esse seminarono il terro-re tra la popolazione civileattuando una vasta retata dicivili. In tale frangente furonoarrestati, sospettati di aver aiu-tato e nascosto prigionieriinglesi, mons. don Oscar Righi,il farmacista dottor Bigiotti e loscrittore Bonaventura Tecchi, iquali - non molto tempo dopo -furono trasferiti ad Orvietodinanzi al tribunale di guerra e,dopo due giorni, furono rila-sciati e rinviati a casa dopo oree ore d’interrogatorio. Nellazona di Bagnoregio l’attivitàdei patrioti, dopo l’8 settembre1943, fu sempre molto attiva, epertanto ostacolata e avversa-

ta aspramente dalla polizianazifascista.A proposito di fascisti, neiprimi di giugno 1944, pocoprima della liberazione diRoma, furono ricoverati nell’o-spedale di Bagnoregio tre per-sonaggi d’eccezione: il questo-re Caruso, detto il Robespierredi Roma, il federale Franzetti eil famigerato Pietro Koch, iquali, appena fiutato il ventoinfido, erano fuggiti dalla capi-tale e bordo di una potenteauto. Ma giunti a Vetralla, perl’eccessiva velocità la macchinaera sbandata andando a cozza-re contro un albero e procuran-do gravi ferite ai tre occupanti.I quali furono ricoverati primaall’ospedale di Viterbo, e di qui,prima di essere riconosciuti,avviati a Bagnoregio in stato di

arresto. No-nostante la sor-v e g l i a n z a ,approfittandodei cannoneggiamenti, nellanotte tra l’11 e il 12 giugnoPietro Koch riuscì a fuggire, e inseguito, fornito di documentifalsi, tentò con un’autoambu-lanza di far evadere i suoi com-pagni. Ma i due erano nellesalde mani dei carabinieri,comandati dal vicebrigadiereVittorio Crocoli, e, come noto,dopo qualche tempo il questo-re Caruso, bieco servitore delleSS, fu trasferito a Forte Boccea equindi fucilato, mentre stringe-va tra le dita una coroncina peril rosario donatagli da donSaverio Ponziani durante labreve detenzione. Estremo attodi resipiscenza.

SPECIALEpassaggio del fronte

Bagnoregio

La “tremenda tristezza” di Tecchi

“Firenze, 10 giugno 1940

Mentre ero in treno, oggi alle 16,30 è statadichiarata la guerra dell’Italia alla Francia eall’Inghilterra. Vedevo già nei sobborghi,mentre il treno rallentava, capannelli digente in ascolto, udivo il noto vociare allaradio. Quando sono disceso alla stazione diS. Maria Novella, mi ha sorpreso il silenzio:un silenzio grave, quasi lugubre.Benché Firenze abbia fama d’essere unadelle città più fasciste, non ho visto entusia-smo nelle vie, né soddisfazione sui voltidella gente. Ritornavano tutti dal “raduno”col viso serio o, per lo meno, volutamentedistratto. Ho ripensato a quel che era la gio-ventù italiana nel 1915.

Sono stato in giro di notte per Firenze, con Pancrazi e con Palazzeschi. Firenze oscurata, credo per laprima volta.La prima notte di guerra in Italia: via Laura, via deiServi, piazza del Duomo. Il filobus spettrale e fanto-

matico, come un car-rozzone della Mise-ricordia, che ci è ve-nuto incontro all’im-provviso, all’angolo dipiazza del Duomo...Non dimenticheròmai più questa notte,e la tremenda tristez-za ch c’invase tutti etre.A un certo punto Pa-lazzeschi ricordò cheil 10 giugno era ladata dell’assassinio diMatteotti”.

(da Vigilia di guerra1940, cit.)

La dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940

Il 26 luglio del 1943 appariva sui giornali la notizia delle dimissionidi Mussolini. Il 9 settembre appariva il testo del messaggio con cui

Badoglio comunicava l’avvenuto armistizio(da B. Tecchi, Un’estate in campagna cit., p. 55)

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Nei precedenti decennali del passaggiodella guerra, a Bolsena nessuno parve

interessarsene più di tanto. Invece que-st’anno, che è il sessantesimo, è particola-re; qualcosa ci ha avvicinato a queglieventi, e particolarmente opportuna cadel’iniziativa della Loggetta di offrire un con-tributo “corale” alla ricostruzione di unapagina così tragica della storia dei nostripaesi. Ascoltiamo, perciò, protagonisti etestimoni.Durante l’occupazione nazista il comandotedesco era stato allestito nel palazzo DelDrago, il circolo ufficiali era nel palazzoBattaglini in piazza Matteotti, due lunghefile di camion erano parcheggiate sotto iplatani del viale Cadorna; circa a metàdello stesso c’era sulla destra l’armeria esulla sinistra la sede della polizia militare;nella chiesa di S.Francesco veniva stipatoil materiale requisito (tantissime biciclet-te), mentre nell’edificio dei Carissimi, dallato della strada orvietana, vi era il depo-sito di alimentari. Era stato requisito unforno circa a metà del corso Repubblica,dove lavoravano tre prigionieri russisotto la sorveglianza di un maresciallo diVienna. La guarnigione aveva soprattuttoruolo di controllo della Cassia e riforni-mento della contraerea di stanza aCastiglione in Teverina, molto potente edefficiente, composta da un centinaio opoco più di militari alloggiati nei varicomandi (la truppa), mentre gli ufficialistavano presso le famiglie con stanzedisponibili. (Successivamente, invece, gliamericani, in numero ridotto, si piazzaro-no in una grande villa lungo il vialeCadorna, mentre a S. Antonio avevano uncampo con il comando territoriale e vi eratruppa brasiliana, australiana e statuni-tense).Già tra maggio e giugno del ’43 era accam-pata intorno al lago la 3a divisione granatie-ri corazzata. Dopo l’8 settembre, ai primi diottobre, con il passaggio di fatto sotto ilcontrollo tedesco, il comando territoriale(MK 1043-Militar Kommandatur) fu insedia-to dai tedeschi a Viterbo e intorno al lagofurono dislocate ad est la 26a Panzer-divi-sion e ad ovest il 90° Panzer granadier. Lalinea tedesca era assestata sull’asseBagnoregio-Latera e Bolsena si trovava inun punto nevralgico sulla Via Cassia.Incursioni aeree, fuoco delle artiglieriealleate a cui rispondevano carri armati ecannoni tedeschi, nel mese di giugno ’44trasformarono questo territorio in una verae propria area di guerra. Dai primi di mag-gio si andavano avvicendando il II Corpod’armata (85a e 80a divisione) e il Corpo dispedizione francese (C.E.F.) ed il passaggiodei due eserciti avvenne con aspri combat-timenti anche nella zona di Bolsena-Bagnoregio e nella piana tra Latera eValentano. Dai pressi di Bolsena le artiglie-rie alleate fecero fuoco contro una batteriadi carri armati tedeschi localizzati tra

Grotte di Castro e San Lorenzo Nuovo.Negli stessi giorni gli aerei leggeri america-ni controllavano il territorio, ogni movi-mento delle truppe e le loro postazioni. Masentiamo, più in dettaglio, cosa scriveAdelio Marziantonio sui bombardamenti ele incursioni aeree nella zona nord del lago:“Nel primo semestre del 1944 le incursioniaeree anglo-americane, diurne e notturne,si intensificarono. Gli obiettivi ripetuta-mente colpiti furono Orvieto, AlleronaScalo, Viterbo. Le formazioni erano costi-tuite da centinaia di bombardieri: fortezzevolanti (Boeing B17) e liberators (Consoli-dated B21), quadrimotori capaci di svilup-pare una elevata potenza di fuoco di sbar-ramento contro gli attacchi della cacciatedesca. Gli aerei volavano in formazionicompatte ed erano sempre protetti dallacaccia anglo-americana composta daSpitfire, Hurricane e Lightining. Decollavanodalle basi dell’Africa settentrionale e dallaCorsica, e raggiunti gli obiettivi militari eferroviari scaricavano enormi quantità dibombe. Ai massicci interventi dei bombar-dieri si aggiungeva l’azione continua, capil-lare, chirurgica dei cacciabombardieri, chetenevano sotto controllo l’intero territorioattaccando con la mitraglia, il cannoncinoe gli spezzoni qualunque persona osassemuoversi lungo le strade con un automez-zo, un carretto ed anche con il somaro o labicicletta.

Le forze aeree tedesche tentarono invano,e saltuariamente, di contrastare l’attivitàanglo-americana. I duelli aerei sulla zonadel lago furono numerosi, ed il lago diven-ne cimitero di aerei tedeschi ed america-ni. Due aerei tedeschi Junkers 88, bimoto-ri, furono abbattuti e si inabissarono nellago, uno vicino all’isola Martana, l’altroin una zona antistante la spiaggia di S.Lorenzo Nuovo. Il 27 gennaio 1944 una for-tezza volante scomparve nelle acque dellago a nord di Bolsena, a circa un chilo-metro di distanza dalla spiaggia dell’hotelLido. Un caccia Stuka tedesco (Junkers87) cadde ed esplose sulla spiaggia diBolsena... Nel dopoguerra lo Stato ameri-cano organizzò il recupero di materiali edocumenti contenuti nella fortezza volan-te. Esperti subacquei italiani, i signoriNovelli, Falco ed Oliai, si calarono a 90metri di profondità, ma l’operazione rima-se coperta dal segreto militare. Alcunipresenti all’abbattimento dell’aereo ricor-dano ancora che si era staccato dalla for-mazione perché in difficoltà e fu abbattu-to da due caccia tedeschi. L’equipaggiosegnalò la posizione e chiese aiuto, tantoche dopo pochi minuti comparve sul lagouna consistente formazione di cacciaSpitfire che, effettuata una ricognizionenella zona, dopo alcuni giri dovette rien-trare senza aver potuto individuare ilpunto di caduta...”.

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“Bolsena...

FlavioBatini

... Non fu esente dallo scempio”

Blindati francesi a Bolsena

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“... Quando cadde l’aereo alla Sirenetta eradi domenica - racconta un testimone bol-senese - Io mi trovavo sulla piazza delpaese e all’improvviso più motori aerei sisentirono provenire da dietro: rombi e raf-fiche; si stavano sparando a vicenda traaerei tedeschi ed inglesi. Durante le pic-chiate udivamo le pallottole fischiare finsui tetti delle case e la gente presa dalpanico correva in tutte le direzioni. Unaereo venne colpito. Fumando e fiammeg-giando andò a conficcarsi vicino al lago neipressi della Sirenetta, dove allora eranotutti canneti. Corremmo a vedere. Più omeno dove è il camping Il Lago incontram-mo alcuni tedeschi che scherzavano tra diloro e non si curarono di noi, fin quandouna piccola esplosione proveniente dal-l’aereo caduto richiamò la loro attenzione.Ora che il fumo si era parzialmente dirada-to distinsero chiaramente i simboli tede-schi sulla coda rimasta dritta tra le canne,e più in là il corpo straziato e trafitto delpilota. Capirono trattarsi di un loro compa-triota. A quella vista ci allontanarono dalposto sparando raffiche in alto ma nellanostra direzione. Nel parapiglia che seguì,Roberto cadde rovinandosi il viso sullabreccia tagliente, co-sì dovemmo aiutarloa rincasare. Quella volta checadde il bombardie-re nel lago, invece,eravamo a pescacon la barca: io, Ro-berto e Giustino, traSpacca e la Traversa,più o meno davantialla Pineta; più in làun altro pescatore. Ilbombardiere giunseplanando da dietro,quasi volesse allaga-re. Era evidentemen-te in difficoltà, lo sicapiva dal fumo chelasciava. All’ultimomomento, circa unduecento metri piùavanti, picchiò en-trando in acqua qua-si verticalmente e siinabissò velocemen-te. Quanto più allasvelta possibile arri-vammo sul posto, in tempo per vedere unforte ribollimento d’acqua torbida e mel-mosa, capace di portare a galla ancheoggetti metallici. Recuperammo alcunecose tra cui la più curiosa era un guantoda cui fuoriuscivano come delle prese dicorrente; tutto intorno erano sparsi gior-naletti di propaganda antitedesca. Mentrescioccati dalla visione guardavamo, unaraffica di mitra a pelo d’acqua ci riportòalla realtà. Dalla riva alcuni tedeschi ciinvitarono a rientrare e ci requisironotutto quanto, minacciandoci e portandocial posto di polizia. Per fortuna mi riconob-be un sottufficiale che era stato per qual-che tempo ospite a casa mia e ci rilasciaro-no”. “ ... Al momento della ritirata, per chiuderele strade i tedeschi minarono l’arco di

piazza Matteotti, dove allora era un bellis-simo e grande orologio, la macelleriaCasasole e l’edificio dei Carissimi checosteggia la strada orvietana. L’ultimoordigno non detonò per l’intervento di unodei preti che strappò i fili del collegamen-to, ma gli altri procurarono gravi danni agliedifici. Al passaggio del fronte, le scara-mucce tra carri armati ci costrinsero adabbandonare il paese e a vivere nelle grot-te tutto intorno. L’avanzata era in unmomento di stallo. Gli americani, prudentifino all’inverosimile, erano bloccati da unnido di mitragliatrice in posizione strategi-ca sulla Cassia. Finalmente un giorno unapattuglia americana in ricognizione incon-trò Alessandro, che era tornato dallaRussia dov’era stato anche prigioniero. Imilitari gli chiesero dove fossero i tedeschie lui, attraverso un viottolo, li condussealle spalle della postazione. Dopo pocheore gli americani giunsero a bordo di trejeep e misero fuori combattimento lamitragliatrice pesante. Così finalmenteapparve la prima Harley Davidson in piazzae le camionette americane che passavano.Su alcune vi erano militari con compiti dipolizia che muniti di nomi, indirizzi e foto

di gerarchi cercavano di individuare que-sto o quel personaggio”. Alle prime pattuglie appiedate della Varmata seguirono quelle corazzate. I milita-ri appartenevano al Corpo di spedizionefrancese 3a D.I.A. (Divisione d’InfanterieAlgerine) e così giunsero i soldati algerini emarocchini che lasciarono il pesantesegno del loro passaggio. “... Quando det-tero addosso alla Cerica stavo sulla piazzaa parlare con un militare americano, brasi-liano per la precisione, quando dalCapretto giunsero delle grida: “Dannoaddosso alla Cerica!... Danno addosso allaCerica!”. Il brasiliano mi chiese che fosseed io spiegai che dei militari stavanodando fastidio a qualche donna. Correm-mo sul posto ed il brasiliano alto e grosso,con al braccio una fascia con scritto MP,

corse dentro casa uscendo-ne con due militari algerinie tutti e tre stavano batti-beccando tra di loro. A uncerto punto il brasiliano dette una talemanganellata in testa ad uno di essi dalasciarlo tramortito per terra. La gente pre-sente lo aiutò a rialzarsi e se ne andarono”. “... Su di un numero della Domenica delCorriere campeggiava l’immagine delledonne americane che per fornire gommeai mezzi militari si toglievano reggiseno egiarrettiere. Il che era verosimile, dato cheil tassista Andrea aveva i suoi problemiper riparare, quando serviva la sua Ardita.Bene, conoscendo il francese, io davo unamano presso il comando alleato in Bol-sena. La guarnigione era costituita da fran-cesi detti Gollisti e algerini, comandati daun colonnello originario di Nizza, e conquesta attività ebbi l’opportunità di acce-dere al campo del generale comandante ladivisione. Rimasi sbalordito da ciò chevidi: l’area di S.Antonio, estesa per ettari eche ospitava il campo, era completamentecircondata da un muro di pneumaticinuovi per camion; la tenda del generaleera costituita da due locali grandi come

saloni con vettova-glie di ogni tipo,compreso mobilebar e divani; nellaparte dove dormi-va vi era una doc-cia, cosa mai vistané allora concepibi-le, ed i militari sicambiavano quin-dicinalmente di ve-stiario gettandoquello in uso in unluogo del campo.Nello spaccio poisi trovava di tutto:tantissimo burro emarmellate, ed ave-vano una farinabianchissima; ilmiele non lo cono-scevano, ma, dopoassaggiato, lo cer-cavano in giro. Al-tro che giarrettie-re!”.“... Nella mia grottavivevamo in 32,

con letti e comodini per quel poco che ciserviva. In altre grotte, tra i parenti sfollatida Roma ne avevo uno che era stato cam-pione europeo dei leggeri: certo Saladini,un tipetto a cui i grossi marines non dava-no molto credito e con cui accettavano lesfide a pugni mettendo in palio (ovviamen-te solo loro) viveri e vestiario, che eglinaturalmente vinceva e con cui rendevameno dura la vita dei propri familiari sfol-lati”.

... Bolsena non fu esente dallo scempio del-l’immane conflitto. Alcuni dei suoi figlimorirono in azione e riportarono ferite chenel tempo risultarono mortali; altri conob-bero, anche per anni, la prigionia: inGermania, in Russia, negli Stati Uniti, inGran Bretagna, in Africa, in India... ripor-

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tandone segni indelebili.Nell’aprile del 1941 i bolse-nesi invocando la protezio-ne della Madonna del Gi-

glio sui suoi soldati, portavano in proces-sione oltre trecento fotografie di militarisparsi sui vari fronti.Ma il nostro paese subì anche dei bombar-damenti che nell’autunno del ’43 e soprat-tutto nel giugno del ’44 arrecarono gravidanni alle cose e alle persone.In queste drammatiche occasioni fu pesan-temente lesionata la chiesa di S. Cristina:ancora oggi possiamo notare i segni delleschegge sulla facciata della cappella di S.Leonardo; e le pietre nuove che spiccanosu uno spigolo del campanile nella parteprospiciente la via dei Gelsi testimoniano ildanno subito; gravi lesioni subì la tela diAndrea Casali Martirio di S. Cristina. Anchela chiesa di SS. Salvatore riporta sulla fac-ciata i segni delle schegge.Numerose furono le abitazioni rase alsuolo, sia nel Borgo che in Castello, delle

Una cornice, semplice e con il vetro rotto diagonalmente, per un collage di foto sbiadite daltempo e dal sole. Una cornice che racchiude quattro momenti di vita di una famiglia. Tre imma-gini di coppie sorridenti ed una di due bambini dallo sguardo furbo. Sta lì, appoggiata ad unaessenziale lapide di marmo bianco situata nel cimitero di guerra di Bolsena, illuminando contenui bagliori vitali un triste luogo di morte. Quella del fuciliere F.G. Hope del reparto sud africa-no è soltanto una delle seicento sepolture di giovani soldati dell’ottava armata delCommonwealth che riposano in questo cimitero. Un sacrario costruito, a metà strada traMontefiascone e Bolsena, alla fine del 1944 sul sito dove il generale Alexander posizionò il suoprimo avamposto di comando a nord di Roma. Sorge sulle pendici di una collina della calderadel lago che volge verso il tramonto. Un lembo di terreno di struggente bellezza che, all’imbruni-re, si illumina col riverbero delle acque sottostanti; un luogo dove ti aspetteresti di incontrare duefidanzatini con gli sguardi persi nel bel panorama e dove, invece, trovi lunghe file di lapidi ordi-n a t a -m e n t eallineateda suda nord.Fu quiche l’VIIIarmatabritanni-

ca si scontrò per prima con i reparti tedeschi che prepa-ravano la linea Albert. Fu una battaglia durissima tradue agguerrite divisioni di carri armati contrapposti. Dauna parte i panzer nazisti della Hermann GoeringDivision che si arrocarono tra la fitta vegetazione dellecolline vicino a Bagnoregio; dall’altra la Sesta SouthAfrican Armoured Division. Per molte ore i tedeschimantennero le loro posizioni cannoneggiando ripetuta-mente i tentativi di avanzata dei tank e dei fanti delcommonwealth. Alla fine, però, ripiegarono ulteriormenteverso il Trasimeno ed abbandonarono il campo di battaglia. In quella terribile giornata di fuoco persero lavita la maggior parte dei militari sepolti nel cimitero di guerra di Bolsena. Oggi, di quei momenti terribili,delle urla, dei botti roboanti, dell’odore acre di polvere da sparo non resta più niente se non una distesa dilapidi bianche conficcate in un soffice pratino verde. Ciò che disorienta, passeggiando in questo sacrario, è il continuo ribollire di emozioni che genera; è comese si avvertisse l’urlo silenzioso dei tanti ragazzi che correvano incontro alla vita ed invece sono inciampatinello sgambetto della morte. Il soldato P.J. Clarke aveva appena compiuto 18 anni; il tenente ChristopherVilliers aveva 22 anni e si stava laureando ad Oxford; il fuciliere F.G. Hope non ha mai potuto conoscere isuoi nipotini se non da morto ed in una fotografia sbiadita. Ognuno di loro avrebbe potuto vivere la pro-pria storia, magari semplice ma pur sempre unica. Ognuno di loro, invece, è rinchiuso dentro una strettabuca da sessant’anni. No, non si possono trovare risposte a tanto male e non è facile giudicare se quellevite immolate nel nome di un futuro migliore siano state indispensabili. Di certo, però, è nostro dovere rac-cogliere il loro sacrificio per fare in modo che ciò non accada mai più.

Clementucci di 23 nel bombardamento del12 giugno 1944, ore 17; Mafalda Alberti di 9 anni, Tito Mezzetti di62 e Assunta Rossi di 26 nel bombarda-mento del 13 giugno 1944, ore 10,30;Gioacchino Mangiabene di 68 anni,Assunta Mancini di 19, Augusto Rossi di 60e Giovanni Puri di 40, nel bombardamentodel 14 giugno, ore 4.Morti, ma tutti presenti!

Durò pochi giorni, ma fu devastante, e ifatti di quei “pochi” giorni sono rimastiimpressi nella memoria dei bolsenesi cheli vissero e, attraverso il loro racconto, inquella dei loro discendenti. Qui non s’èinteso ripercorrere in dettaglio le fasi ditali avvenimenti, ma soltanto ricordare ilutti e la grave distruzione arrecati alla cit-tadina dalla follia inumana della guerra.

parzialmente estrapolato ed elaborato da: Quando passò il fronte...” (i danni di guerra e laliberazione dal fascismo, Bolsena 1943-45) cit.

quali molti di noi ricordano le macerie acielo aperto in Via Donzellini fino ai primianni ’60. Sotto le bombe crollò l’arco dellaporta di S. Giovanni, “saltò” il ponte sulfosso della Serena o della Cavallaccia, ma,soprattutto, persero la vita numerose per-sone. Forse soltanto la festa di S. Antonioda Padova sorresse gli animi. Di questepersone conosciamo i nomi: Impero Ferlicca di 6 anni e Pompeo Puri di8 nel bombardamento del 9 settembre1943; Assunta Bataloni di 65 anni, Rosa Gambinidi 24, Marianna Domenici di 27 e ItaloFerlicca di 13 nel bombardamento del 21ottobre 1943;Celeste Sbarra di 46 anni, MichelinaGallioni di 84, Margherita Dini di 47,Giuseppe Biritognolo di 54, AgneseBiritognolo di 18, Rosa Sabatini di 53, non-ché Esterina Verzelli e Carlo Tavolieri, nelbombardamento dell’8 giugno 1944, ore19; Cristina Checchera di 74 anni e Raniero

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StefanoBordoCroce di marmo al valor militare

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Dall’archivio dell’associazione Card. Girolamo Farnese riportia-mo alcune notizie storiche su come il piccolo borgo di Latera

stava vivendo gli anni immediatamente precedenti al passaggiodel fronte.A causa della guerra, il podestà Antonio Adamini aveva fatto paga-re dall’esattore un’indennità di trasferta ad undici lateresi padri difamiglia richiamati alle armi, quando l’Italia non era ancora entratain guerra. Quando poi ciòavvenne, fu imposto l’oscura-mento notturno e venneroesonerati da ogni tassa lefamiglie più numerose. Fuquindi iniziato il razionamen-to di generi alimentari, chevenne gradatamente inaspritoal punto da creare grave disa-gio, specialmente ai più pove-ri. Il 13 agosto del 1943 il co-mune fu invitato a provvederedi alloggio i soldati tedeschi.Scomparsi i carabinieri (dopol’armistizio dell’8 settembre),per non sottostare agli ordinidi quelli, la caserma fu occu-pata dalle guardie civiche,che tutelavano l’ordine pub-blico. Ma costoro dovetteropresto sloggiare per cederequei locali appunto ai soldatitedeschi. Fu in questo periodoche la famiglia ebrea del signor Spizzichino di Latera fu salvatadalla deportazione, e quindi dallo sterminio, grazie all’umanità erettitudine del podestà Adamini, ex maresciallo dei carabinieri:d’accordo con le guardie civiche e con tutta la cittadinanza, eglifece in modo che quella famiglia non fosse rintracciata dai tede-schi venuti per sequestrarla. Poi anche a Latera giunse l’ordine del generale Graziani di mobili-tazione operaia, per fronteggiare l’inattività produttiva che stavasopravvenendo. Poiché il podestà il 22 gennaio 1944 rilasciò adalcuni lateresi un permesso scritto di recarsi a Roma per motivimolto seri, veniamo indirettamente a sapere che era vietato il libe-ro accesso alla capitale. Verso la fine dello stesso mese ignotisabotatori tagliarono alla Cantoniera i fili telefonici a danno deitedeschi di stanza a Latera. Il 10 febbraio il prefetto di Viterboordinò di abolire le insegne regie e sostituirle con quelle dellaRepubblica di Salò. Fece anche requisire i beni degli ebrei lateresi.Fu inoltre affisso un bando per avvertire che i renitenti alla leva,per ordine della Repubblica, sarebbero stati fucilati. Ma finalmen-te il 13 giugno 1944, dopo che le opposte artiglierie avevano alungo tuonato da un monte all’altro attorno a Latera e precisamen-te nella zona di Montione, i tedeschi sloggiarono ed i lateresi vide-ro risalire l’abitato dall’armata alleata diretta verso nord.Abbiamo cercato le testimonianze, e chi ci ha raccontato questiepisodi ha gli occhi ancora lucidi e la voce un poco tremolante,perché ha visto cadere e morire amici, parenti, essere lui stessoferito, vittima delle barbarie belliche che racconta così: “Le truppe tedesche in ritirata si piazzarono nel tratto tra laMontagnola e la Cantoniera, mentre gli americani avanzavano daValentano verso il Piano. Si circolava solo dopo il tramonto, per-ché durante il giorno passavano gli aerei ricognitori per controlla-re la ritirata, e i mezzi militari, jeep, camion, cavalleria e cannonierano nascosti tra gli alberi, nei boschi, in modo che fosse impos-sibile scorgerli dall’alto. Per tre giorni la situazione non cambiò,poi... Una mattina un insolito quanto sospettoso silenzio faceva presagi-re il peggio: verso le undici o le undici e mezzo i carri armati ame-ricani si mossero attraversando il piano di Valentano; venne subi-

to dopo un segnale luminoso che dette inizio alla battaglia. DallaCantoniera i tedeschi sparavano agli americani che tuttavia avan-zavano rispondendo al fuoco. Il fronte si allargò da San Martinoall’Onteo, da Monte dell’Eschio alle Piagge, aggirando la cima diMontone. Dopo un primo violentissimo scontro, il fronte si divise:dalla Madonna delle Lupare, verso la Fornacella, si spostò alPodere Rosso in prossimità della statale Maremmana. Al massiccio

fuoco tedesco con cannoni ecolpi di mortaio rispondeva-no gli americani con l’arti-glieria pesante. Purtroppo cifurono vittime anche tra icivili: al campo di Bandieramorì un uomo, mentre neipressi delle grotte di Magna-tope fu una bambina adessere colpita mortalmente.Dopo la battaglia, per tregiorni il fronte tacque: itedeschi si ritirarono e gli a-mericani avanzarono fino adAcquapendente. Restaronosul luogo della battagliaquattro o cinque tedeschiche, durante la fase di ra-strellamento alle Piagge,vennero uccisi dopo unoscontro frontale all’arma

bianca! Soltanto il giorno 14resoconti giornalistici dal

fronte delle operazioni riportarono la notizia: “Forze della V arma-ta hanno occupato la cittadina di Latera sulla riva occidentale dellago di Bolsena continuando poi ad avanzare in direzione diGradoli. Ad oriente del lago altri reparti americani si avvicinano allacittà di Bolsena...”. Dopo gli americani arrivarono i marocchini acavallo, che saccheggiavano dovunque passassero: rubaronofieno, vitelli, asini, pecore, basti, carri, vino... praticamente tuttoquello che trovarono sulla strada. La merce rubata e i capi dibestiame venivano poi venduti o scambiati, mentre i cibi e il fienovenivano consumati dai soldati e dai loro cavalli”.Dopo tutto questo disordine è però arrivata la tanto attesa pace, eci è stato raccontato ancora che il capomastro Araldo Adaminimanifestò per tutti la gioia lungamente attesa di un ritorno allaserenità dando la scalata, a mezzo di funi e di acrobazie e consprezzo del pericolo, al pinnacolo del campanile della chiesa diSan Clemente. Raggiunta la massima altezza, inalberò lassù il trico-lore tra gli applausi del popolo accorso su quella piazza e al suonofestante delle campane. Una giunta comunale provvisoria, nomina-ta dagli americani, fu presieduta dall’ebreo laterese SamueleSpizzichino ed ebbe così inizio la ripresa della vita civile nellalibertà.Sembrò a tutti un prodigio che, con tutto quell’infuriare della bat-taglia in prossimità dell’abitato, l’unica cosa seriamente danneg-giata e quasi distrutta fosse stata la chiesa della Madonna dellaCava. Ogni fedele fu indotto a credere che Maria avesse volutorisparmiare Latera dalla distruzione attirando soltanto sulla suachiesa i danni terribili della guerra. Sicché non passò molto tempoche, in riconoscenza per lo scampato pericolo, il comune offrì uncontributo ed ogni laterese idoneo prestò giornate di lavoro gra-tuito per riparare i danni di quella chiesa tanto cara alla popola-zione. Alla fine dei lavori vi fu un pellegrinaggio di popolo cheancora si ricorda per la totale entusiastica partecipazione. Daquella data, ancora oggi ogni anno il 13 giugno il popolo tutto diLatera, civile e religioso, ripete quel pellegrinaggio recandosi pro-cessionalmente al santuario mariano per affidare alla sua celesteprotettrice le ansie e le attese di un popolo che sempre l’ha rico-nosciuta come sua grande patrona.

SPECIALEpassaggio del fronte

Latera EmanueleGermani Per tutti pagò

la Madonna della Cavacon il contributo di Dario Tramontana

Folla esultante per la liberazione

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Sotto i tedeschiTra la primavera del 1943 egiugno del ‘44 furono di stanzaa Gradoli militari tedeschidislocati in tre diversi puntistrategicamente importanti. Ilpiù numeroso si era attendatoin località San Magno, sul fron-te di colline che dominano illago. La posizione consentivasia il controllo dell’anello cir-cumlacuale, sia di tutte le stra-de campestri che da esso risal-gono verso il centro abitatosituato a mezza collina. Unsecondo gruppo aveva pianta-to le tende a sud del paese, incima al Poggio del Duca, unapiccola altura ai cui piedi pren-de avvio la Strada di Mezzo.Questa attraversa la campa-gna fino a raggiungere il confi-ne con Valentano, e in essaconvergono le stradine cherisalgono dal lago. Altri militarierano stanziati al Priorato, unospazio non più grande di quat-tro are adiacente alla piazzacentrale, nel quale erano statiparcheggiati i panzer, le auto-blindo e le motociclette considecar, poiché gli alberi, chevi erano stati piantati nei pri-missimi anni dell’Impero, nerendevano più agevole lamimetizzazione. La posizionepermetteva di controllare adun tempo il paese, poi le duestrade che scendono da Ferrodi Cavallo, carrozzabile laprima, carrabile l’altra che sisnoda lungo i fianchi dellaPaolotta e, per finire, uno stret-to passaggio tra i boschi, ilFosso della Pisella, il quale rap-presentava, ancora negli annicinquanta, una notevole scor-ciatoia per raggiungere Grottedi Castro.Il cimitero e il Grottone, unacavità naturale situata nelleimmediate adiacenze, posti aest dell’abitato sulla stradache si raccorda alla Cassia,furono adibiti a depositi dimunizioni e carburante, vigilatigiorno e notte da un consisten-te corpo di guardia dislocatonello spiazzo alberato dellaPratina, in posizione oppostaed equidistante da ambedue.Casa Ferrata, dove abitò bam-bino il cardinale Domenico chediventerà poi segretario diStato di papa Benedetto XI, furequisita per alloggiare ilcomando, ospitare gli uffici el’infermeria. La scelta fu moti-vata sicuramente dalla gran-dezza delle stanze, ma anchedalla posizione un po’ apparta-ta e dall’altezza che consenteun’ampia visuale. Il Palazzo

Farnese, issato sul poggio cen-trale del paese, imponente,visibilissimo anche da distanzaragguardevole, inoltre difficileda raggiungere con gli auto-mezzi, venne utilizzato soltan-to in parte: i locali sotterraneifurono adibiti a prigione. Essaservì esclusivamente per i sol-dati puniti.Fin dall’inizio della permanen-za dei tedeschi, nel paese siinstaurarono, tra soldati epopolazione, rapporti di reci-proco rispetto; si verificaronoepisodi di familiarità e di aiutoreciproco; ci furono anchealcuni innamoramenti. I milita-ri maggiormente coinvolti neifatti furono quelli di stanza alPriorato perché il luogo sitrova proprio al centro delpaese. Durante la loro permanenza itedeschi fecero eseguire lavoriobbligando artigiani e manova-li del paese ma li pagarono re-golarmente: la tinteggiaturadella facciata sud del PalazzoFarnese, probabilmente permimetizzarne un po’ l’impo-nente struttura; l’ampliamentodelle strade della Paolotta edelle Cannelle, per disporre adun tempo di comodi passagginelle operazioni di sorveglian-za del territorio e poter rag-giungere velocemente le prin-cipali vie di fuga: a nordovestla strada Maremmana, a est laCassia. Non si immagini peròuna situazione idilliaca: i mili-tari fecero il loro mestiere finoin fondo.

Fatti di vita vissutaSi racconta che fu una anzianadonna a stabilire il primo con-tatto tra gradolesi e soldatitedeschi a pochi giorni dalloro arrivo. “Ahé, che le cono-scete ‘l mi Sante, ‘l fijo de la miMaria? Adè ‘l fratello de la miLucia... Adesso sta ‘n Todesche-ria”. L’ingenuità di quellanonna rivela quanto straziantedoveva essere il dramma dellefamiglie che avevano un figlioprigioniero, tanto più se neifamigerati lager.Ed è un’altra mamma ad illumi-narci sulla distanza abissaledalla guerra e dal suo arma-mentario. Fuggendo precipito-samente da Gradoli, i tedeschiabbandonarono in una grottauna mappa con gli spostamen-ti dei loro reparti nel compren-sorio del lago nell’ultimo anno.

Un gradolese la trova e la con-serva per anni. Quando va acercarla, non trovandola piùne chiede notizie alla madre.“Ciò fatto ‘l modello pel collode la giacchetta”, risponde ladonna. Capitava, di quando in quan-do, che un pubblico bandocomunicasse alla popolazionedi recarsi presso il negozio dialimentari di Vinciarelli perritirare un pacco di riso, oppu-re di pasta, o di zucchero. Sitrattava di ben poca roba, ve-ramente, e spesso non bastavaneppure per tutti: coloro cheabitavano più distanti dal ne-gozio o che per qualche altromotivo non potevano accorre-re subito, è chiaro, restavanosenza niente. Nei giorni se-guenti le distribuzioni si verifi-cavano spesso dei furti, com-piuti per lo più ai danni dellefamiglie benestanti o di coloroche, in quelle occasioni, riusci-vano a essere sempre tra iprimi della fila. Le denunce deifurti non ebbero mai alcunesito. Corre voce che le razziele compissero proprio i soldatitedeschi, approfittando delcoprifuoco, per ridistribuirepoi quanto preso tra coloroche ne avevano maggiore biso-gno. E’ opinione diffusa tra lepersone anziane che tra solda-ti tedeschi e “benestanti” delpaese non corresse tanto buonsangue.Una mattina i maschi dellefamiglie benestanti furono con-vocati nella piazza principale.Quando il gruppetto fu com-pleto - erano soltanto quattroo cinque - fu condotto al Prio-rato scortato dai militari. Eraseguito da persone curiose ilcui numero aumentò in modoconsistente nel pur breve tra-gitto. I giovanotti furono fattientrare nel recinto adibito aparcheggio automezzi da com-battimento e trasporto; fattiallineare e... costretti a imbrac-ciare pale e picconi. “Arbeith!”,fu loro ordinato. I giovanidovettero scavare buche lun-go il lato che costeggia la stra-da nella quale i curiosi stavanoa osservare. Sul finire dellamattinata un contrordine fecesmettere lo scavo e... iniziare ilriempimento delle buche conlo sterro accumulato. Solo aoperazione conclusa, mezzo-giorno suonato, i giovanottipoterono tornare a casa. Sui

volti degli spettatori, sorrisiaperti.Nel periodo estivo funzionò lacolonia per bambini. Ogni mat-tina, inquadrati per classi evigilati dalle insegnanti, i pic-coli venivano condotti al casta-gneto della Paolotta. Mentretransitavano nella strada checosteggia il Priorato cantavanocanzoni e i soldati li osservava-no sorridenti. Canta e ricanta itedeschi impararono i motivi e

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Gradoli PaoloCardini Una civiltà travolta da una ordinaria barbarie

Nellacaser-

ma del 131° artiglieria di stanzain Pola, Croazia, il soldatoMarsilio Bucassi, aggregatonella divisione Centauro, II grup-po, IV batteria, ascoltò la notiziadella firma dell’armistizio. Ildiciannovenne soldato, con unavita da vivere ancora tuttadavanti, alla fine del brevecomunicato aveva già pianifica-to la sua fuga. Camminerà per due mesi masoltanto di notte: in mezzo aicampi, guardando bene ditenersi lontano dalle strade car-rozzabili e dai centri abitati;durante il giorno si riposerà nellegrotte o starà nascosto nel foltodei boschi; dovrà arrangiarsi amangiare ciò che troverà neicampi. Alla fine di ottobre giun-se finalmente a casa. Appena fuvisto in paese, gli fu consegnatal’ingiunzione di recarsi dal pre-tore di Valentano. Il giovanedovette subire la prima fase delprocesso istruito a suo carico conl’accusa di diserzione. La difesadell’avvocato Magnasciutti glicostò seimila lire. La secondafase del processo, conclusosi conla sentenza definitiva di assolu-zione, ebbe luogo a Roma in viadelle Milizie. Dopo questa avventura Marsiliosi dispose a godere alcuni giornidi libertà aspettando la raccoltadelle olive. Un giorno gli furecapitata una cartolina... dirichiamo sotto le armi. La convo-cazione era presso il distrettomilitare di Viterbo. Nella stessamattina una decina di altri gio-vani partirono da Gradoli per lamedesima destinazione. AViterbo i richiamati furono divisiin numerose squadre. Quellaalla quale fu aggregato Marsiliodoveva costruire postazioni permitragliatrici e cannoncini lungoil litorale tra Montalto eCivitavecchia. La squadra era

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qualcuno di loro si unì al coro.Una mattina alcuni soldati sipresentarono alle insegnantifacendo intendere di voler can-tare con i bambini. Dopo quel-la “prima” seguirono altre...repliche all’ombra dei casta-gni. La canzone preferita daisoldati era O sole mio; quellapreferita dalle insegnanti e daibambini Lilì Marlene.Sul muro di una delle ultimecase di via Piave fu trovatascritta una parola offensivaper la popolazione. Alcunepersone andarono a protesta-re dal comandante che vollerecarsi sul posto immediata-mente. Resosi conto dellaragionevolezza della protestaassicurò che avrebbe fatto fare

indagini per scoprire il colpe-vole e che, una volta trovato,lo avrebbe fatto punire in mo-do esemplare. Impartì poidisposizioni per la cancellazio-ne della ignobile scritta e chie-se scusa ai presenti a nome ditutti i soldati di stanza nel pae-se.I gradolesi che durante la guer-ra possedevano una radio era-no veramente pochi. E’ legitti-mo pensare che non tutti colo-ro che lo avevano lo tenesseroacceso nel momento in cui fudato l’annuncio della firma del-l’armistizio, tuttavia la notiziasi sparse in un baleno e benpresto la piazza fu gremita dipersone festanti. In mezzo atanta festa fu notata l’assenza

dei tedeschi, contrariamente aquanto avveniva di solito, spe-cialmente quando si formava-no capannelli di numerose per-sone. “Dove sono i tedeschi?”.“Com’è che non si vede in gironessun soldato?”. “Andiamo alPriorato a vedere cosa fanno itedeschi”. Al Priorato si osservòche era raddoppiato il numerodelle sentinelle e che questeerano in completo assetto diguerra. Non si vide alcun sol-dato in giro. Qualche paesanotentò un approccio ma il gestodi tenersi lontano fatto con lacanna del mitra fu quanto maieloquente. Quelli che si eranorecati all’accampamento conl’intenzione di condividere lagioia per la fine della guerrarimasero disorientati. I rappor-ti tra popolazione e tedeschi siinterruppero per settimane.Ripresero in seguito quando isoldati furono sicuri, comequalcuno di loro confidò incantina di amici gradolesi, chela gente non aveva nessunaintenzione ostile nei loro con-fronti.Maria aveva un maiale da sfa-mare: gli portava ogni giorno ilpappone fatto con la sciacqua-tura delle stoviglie nella qualeaveva fatto bollire un paio digommelle di semmola (cruscapresa con le due mani unite),qualche patata non del tuttosana, torsoli di mela, i pochirimasugli dei piatti suo, deidue figli, del suocero e dei suoigenitori. Un giorno però chenel callaretto - il barattolo dellaconserva di tre chili riservatoa questo uso - aveva potutomettere soltanto sciacquaturadi piatti e semola, ossia unbevarone, piuttosto che ilnecessario pappone, decise dichiedere bucce di patate aisoldati tedeschi accampati alPriorato, gli attuali giardinipubblici. Detto fatto: era noto,del resto, che più comari face-vano altrettanto. Maria presedunque il fazzolettone, il largopanno usato per fare il fagottel-lo che il suo uomo, prima diessere chiamato al fronte, por-tava in campagna con dentrocolazione e merenda, e si av-viò verso l’accampamentotedesco. Non aveva preso ilcallaretto perché voleva che ingiro non si sapesse del suoporchetto. Giunta all’ingresso sirivolse alla sentinella che inter-ruppe Maria già alle primeparole con un secco “Nich,nich, nich capire”, girandosipoi a dar voce a un invisibilecommilitone il quale, uscitodalla vicina tenda, ascoltòMaria e provvide a soddisfarela sua richiesta. Maria potében saziare il suo maiale un

paio di giorni otre, dopodiché,prima che lebucce fosserodel tutto finite, decise di torna-re all’accampamento per farse-ne dare ancora. Sul limitareritrovò lo stesso soldato. “Me-no male - pensò - capirà senzache debba spiegarmi”. Così fu,infatti: la sentinella riconobbeMaria, il fazzolettone a scacchiblu stinto e grigio perla contor-nati di ocra; abbozzò un sorri-so. Maria incoraggiata dall’ac-coglienza benevola gli si rivol-se con fare familiare ma pursempre rispettoso: “Ahé, Nìc-chese, cell’éte le scròzzele?”.Durante gli aspri combattimen-ti nella zona di Bolsena e nelpiano di Latera-Valentano,quando alcune pattuglie delC.E.F. si erano infiltrate fino aBisenzio, due giovani studentigrottani, i fratelli gemelli Carloe Alberto Magnasciutti, furonouccisi da una pattuglia tedescain località la Montagna, nel ter-ritorio di Gradoli (dove sierano trasferiti con l’abitazio-ne, essendo di madre gradole-se). “I soldati - ha scritto inproposito Adelio Marziantonio- provenivano dal vicino pode-re di Montesernano ove eraaccantonata una compagniadella Werhmacht agli ordini diun capitano. Era un repartodella 90a divisione granatiericorazzata nella quale eranoinquadrati i reggimenti 200° e361° gren. (mot.) e il PanzerAblt 190. Era la tarda seratadel 10 giugno e i due fratelli,non ancora ventenni, da pocodiplomati nel prestigioso colle-gio navale F. Morosini di Vene-zia, furono sorpresi mentreosservavano i movimenti delletruppe con un binocolo. Pro-babilmente furono scambiatiper ribelli, anche perché in-dossavano capi di foggia mili-tare, e pertanto vennero uccisisul posto”. I loro corpi lasciatiimpietosamente insepolti,nonostante le minuziose ricer-che furono trovati soltantogiorni dopo, per caso, da unagricoltore.Nell’accampamento del Prio-rato tra i soldati tedeschi c’erapure un italiano sottopostoalla disciplina militare. Egliindossava la divisa nera, manon era certamente dei loro.Era stato arruolato forzata-mente perché ritenuto bravomeccanico, capace di riparareogni guasto di qualsiasi moto-re, in particolare dei sidecar.Tali mezzi dovevano esseremantenuti assolutamente effi-cienti sia perché insostituibiliper la sorveglianza capillaredel territorio, sia per tenere

SPECIALEpassaggio del fronte

Gradoli

sottoposta a ufficiali e sottufficiali tedeschi. In occasione del Natale fuconcesso al gruppo di trascorrere la notte della vigilia al coperto in uncaserma di Montalto. Il giorno dopo tutti erano nuovamente al lavoroche continuò senza interruzioni sia per san Silvestro che per Capo-danno fino all’Epifania. Nei giorni successivi dovettero caricare armi,munizioni e carburanti su camion diretti a Montecassino. Marsilio siaccorse che gli ufficiali e i sottufficiali tedeschi nel periodo tra la fine dimaggio e i primi di giugno avevano un fare che tradiva nervosismo. Ilnervosismo andò aumentando quando si sentirono sempre più distintigli echi di forti esplosioni. I sorveglianti facevano brevi ma frequentiassenze. All’inizio della seconda settimana di giugno Marsilio, parlan-do con tre compaesani, diceva che, secondo lui, i colpi dell’artiglieriavenivano esplosi a Viterbo o comunque nei paraggi e che bisognavastare in campana per cogliere al volo la prima occasione di fuga.Questa si presentò qualche giorno dopo durante un’assenza dei sorve-glianti più lunga del solito.La distanza tra Tarquinia e Gradoli non è molta, ma la zona da attra-versare era piena di pericoli che imponevano grande prudenza. I tempidi marcia si allungarono, è vero, ma nello stesso tempo favorirono ilverificarsi di coincidenze che permisero ai quattro di arrivare sani esalvi alle grotte della Macchia del Prete. Poterono infatti costeggiare illago prima ancora che a Capodimonte prendesse posizione l’artiglieriadegli alleati e trovare la macchia e le vigne di Sammano, San Magno,sgombre dalle truppe tedesche che vi erano accampate. Parecchie per-sone dissero a Marsilio: “Al paese è meglio non andare. E’ tutto mina-to... In questi giorni sarà sicuramente colpito anche dalle cannonatedegli alleati. E’ rimasto deserto!... Pietro Feliziani, che ha tardato ascappare, è stato colpito da una scheggia che lo ha decapitato. Lo hadetto Domenico, il figlio che era con lui quando è successo”. Marsiliotornò a casa con la maggior parte degli sfollati dopo l’arrivo delle trup-pe alleate.Novembre 1944. Marsilio si presentò alla porta del molino delle oliveper iniziare il turno di notte. Durante il giorno era andato a cogliere leolive, anzi a buscarle, rimediarle. C’era poco da cogliere, infatti, poi-ché gli ulivi, come del resto tutta la campagna, quell’anno non eranostati custoditi. Sulla porta del molino stavano due carabinieri. Nelvederli Marsilio ebbe il presentimento che stessero aspettando propriolui. Ormai però non poteva più cambiare strada né tornare indietroperché lo avevano visto. I carabinieri gli fecero cenno di avvicinarsi esubito dopo gli comunicarono che l’indomani mattina doveva presen-tarsi in piazza pronto a partire arruolato dagli inglesi. No, non sareb-be stato solo: erano stati convocati molti altri. La mattina seguente lapiazza era piena di persone. Come Marsilio, altri quaranta ragazziaspettavano tenendo tra le mani un fagottello. Nel suo la mammaaveva messo qualche indumento, un orletto di pane e un pezzetto dicacio. Dopo aver salutato i parenti, i giovani risposero all’appello poisalirono su due camion con i motori accesi. Finite le operazioni diimbarco i camion si mossero e... cammina, cammina, cammina, arri-varono fino a Pescara, sulla linea Gotica, per prestare mano d’opera disussidio alle truppe alleate. Marsilio restò in Altitalia, operando in varie zone secondo come richie-deva la situazione, fino al dicembre del 1944, quando finalmente potétornare a casa, non fuggitivo stavolta, e neanche a piedi. Aveva il con-gedo ed era seduto in un vagone del treno. ...Fino ad Orvieto!

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alto il buon no-me della tecno-logia tedesca.Per ottenere

tutt’e due le cose i tedeschidovettero affidarsi a Carlo Gar-gantini, ventenne lombardodella provincia di Como! Ilcomando gli “aveva messo su”l’officina all’inizio della Per-gola, il quartiere consideratoda tutti e da sempre il cuore diGradoli. E Carlo, da quel puntonevralgico, entrò nel cuore ditutti: pergolesi e sanrocchini,del Poggetto e dell’Ara, diMaddalena Renzi in particola-re. La donna lo aveva preso abenvolere e lo trattava comeun figlio anche perché il suoChecco, lui pure appena ven-tenne, dal fronte in Tunisia leaveva scritto che era statofatto prigioniero, portato in uncampo nelle vicinanze diCartagine, trasferito ad Oranoin Algeria... (da lì sarà traspor-tato in Scozia dove rimarràsino al 9 maggio del 1946). Unamattina di giugno... (nessunoricorda la data esatta: “Il calen-dario?... E con l’andirivieni trapaese e grotte, le mille preoccu-pazioni... chi vuoi che guardas-se il calendario!”) Carlo dun-que andò in cerca di Madda-lena: era agitatissimo e lapregò di nasconderlo perchénon voleva seguire i tedeschiche si ritiravano. Diceva cheinsieme a loro avrebbe fattouna brutta fine, avevano ormaile truppe alleate alle calcagna.Maddalena non volle saperealtro e con l’aiuto di un’amicalo nascose. I tedeschi passaro-no e ripassarono a cercarlo maavevano anche una gran frettadi partire e presto desistette-ro. Quando lo scoppiettio delmotore dell’ultimo sidecar siperse nella lontananza Carlofinalmente uscì dal nascondi-glio, si vestì con abiti borghesie niente poteva più distinguer-lo dagli altri se non la giovaneetà. Restò a Gradoli un paio dianni perché contrasse il tifo.Poté tornare alla sua Cernuscosolo dopo la convalescenza.

Colpo di codaDopo l’evacuazione degliaccampamenti tedeschi stan-ziati al Priorato e al Poggio delDuca giunse in paese una squa-dra di guastatori abbastanzanumerosa. I nuovi arrivati nonmontarono tende: misero subi-to gli occhi sul palazzo diAlberto Manni che sta quasidirimpetto al Priorato e lo“elessero” a loro dimora. Ilportone era ovviamente chiu-so, come del resto tutte lealtre porte, anche quelle dellecasette lasciate vuote dai gra-

dolesi scappati in seguito allecomplicazioni e alla pericolo-sità della situazione. Per i gua-statori il portone chiuso nonpoteva certamente costituireun grosso problema: lo apriro-no subito, infatti; anzi, lo tolse-ro proprio di mezzo facendoloa pezzi, entrarono, si sistema-rono e uscirono nuovamenteper mettersi all’opera.Divisi in gruppi iniziarono unfrenetico andirivieni dalPriorato: rifornivano altri com-militoni di cariche esplosive edetonatori che venivano piaz-zati in luoghi strategici e colle-gati a congegni per farli esplo-dere a distanza. Due gruppioperavano nella strada princi-pale che attraversa il paese, unterzo alla Cantoniera; altri

gruppi ancora nelle campagneche fiancheggiano la stradadelle Cannelle, resa carrozzabi-le dai soldati stanziati in paesefino a qualche giorno prima eda manodopera locale. Le ope-razioni di minatura furono por-tate a termine mentre le Marro-chine, i soldati di colore delletruppe alleate, provenienti daCapodimonte si avvicinavanoa Gradoli e Latera percorrendola strada Maremmana. Avendosentito una forte esplosione,questi chiesero ai primi grado-lesi intercettati sulla strada diSan Vittore cosa fosse succes-so. Sul momento nessuno diloro seppe rispondere, maqualche decina di minuti piùtardi fu tutto chiaro: le mace-rie delle case adiacenti allapiazza, proprio nel mezzo delpaese, ostruivano la strada.Mario Mariotti invece, sfollatoalla Calcaja, altura dalla qualepoteva vedere bene i dintorni,in quel momento osservava lacolonna di fumo e polvere chesi levava dal centro del paese

e intuì cosa fosse successo.Interrogato dai soldati di colo-re spiegò loro l’accaduto eriferì anche che i tedeschi sierano allontanati pochi minutiprima in direzione delleGrotte, Grotte di Castro. Lecase di Ulderico Galeotti e deiMartellini erano state comple-tamente rase al suolo; quelladi Carlo Manni era crollataalmeno per metà. Invece nonesplosero le cariche sistematenelle altre case di via Indipen-denza, compresa quella cheera servita di alloggio ai gua-statori, e le mine piazzate allabase degli alberi di noci lungo ibordi delle strade di accessoal paese. Fatalità, imperizia,fretta di scappare?Nei giorni seguenti alcuni

volontari paesani rimossero lemine inesplose. L’operazionedi sminatura, lunga e molto dif-ficile per la mancanza di mezzie di esperienza dei volontari,non fu circoscritta al centroabitato e alle strade di ingres-so al paese: nei mesi seguentisi allargò progressivamenteper bonificare anche il territo-rio rurale. Ciò nonostante ac-caddero successivamente inci-denti dolorosi che produssero,in molti casi, gravi mutilazioni.Colpiti furono soprattuttobambini e adolescenti, i qualiper gioco cercavano residuatibellici che per curiosità tenta-vano poi di aprire percuoten-doli con ciottoli. Cipriano inve-ce era un tranquillo bovaro. Ungiorno mentre era intento adarare il campo vide le sue duebestie saltare per aria dilaniatee poi... più nulla fino alla suamorte sopraggiunta in etàottuagenaria.La disgrazia che al momentosuscitò il maggior dolore insie-me alla partecipazione più

appassionata dei gradolesi, eche ancora oggi suscita traloro forti emozioni, fu la mortedi Pietro Agostini: bambino diappena nove anni. Un pomerig-gio giocava a sagro, nascondi-no, con alcuni coetanei in piaz-za Cairoli, un piccolo rettango-lo pieno di macerie delle casecrollate, cantine e magazzinirimasti senza porte perchédivelte o spezzate dallo scop-pio delle mine. Pietro uscì dalsuo nascondiglio per primo ecorse a fare sagro, gridando laparola liberatoria per sé e tuttii compagni ancora nascosti.Sentito il grido, essi uscironofuori e lo videro issato sulmucchio di sassi in atteggia-mento di chi sta per aprire unascatolina. Poi un lampo acce-cante e un’esplosione assor-dante inchiodò tutti dov’era-no. Quando i bambini riapriro-no gli occhi Pietro giaceva dila-niato tra le macerie.

SfollatiLe testimonianze di GiuliaGiorgi, di Anna Bucossi eMario Mariotti hanno permes-so la ricostruzione dei quadridi vita descritti nella narrazio-ne seguente. Nessuna famigliadurante l’ultimo periodo dellaguerra era rimasta a vivere sta-bilmente in paese: ciascunaaveva cercato un grotta e l’a-veva adattata alle proprie esi-genze. Mario racconta che nonstava nella grotta assieme aisuoi familiari: per paura diessere preso dai tedeschi sirifugiava dove capitava, maicomunque nella stessa grottaper più di tre notti consecuti-ve. “Coloro che non avevanoun rifugio, come nel caso mio -dice Anna - avevano chiestoospitalità agli amici. Essi ave-vano un boschetto situato nelpendio del poggio di SanMartino dove, sotto un dirupoche guarda il lago, esistevauna grotta abbastanza grandeper ospitarci tutti: eravamo indieci, cinque i nostri ospiti ecinque noi. La convivenzaoffriva il vantaggio di potercredere che insieme si avevapiù coraggio per affrontare ledifficoltà quotidiane e risolve-re problemi di ogni genere”. “La prima cosa che fece ‘l miba’ - racconta Giulia - fu larapazzòla, una piattaforma ditavole rimediate e lunghe per-tiche per dormirci sopra, fissa-ta con fildiferro sopra pali toltidai filari delle viti; su di essaera sistemato il pajaccio, saccoriempito con foglie di grantur-co. La collocazione dell’ “ango-lo cottura” richiese qualchegiorno di prove: bisognavainfatti che stesse vicino alla

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Avvisi del comando militare alleato perla consegna alle autorità di materialibellici “abbandonati dal nemico o diorigine nemica”.

Gradoli

no insisteva an-cora tanto cheil babbo dovet-te prometterleche sarebbe andato ad accer-tarsene. Io volli accompagnar-lo. Misi le scarpe al posto dellepianelle, due tavolette sagoma-te a forma di piede con unaraspa e tenute ferme con duestriscette ricavate da scarpeinservibili. Speranza però nonsi accontentò, infatti preteseuna prova che la casa nonfosse sbracata: chiese che leportassimo la sua macchinaper cucire. “Ohé, toccò facce,eh!”. La macchina per fortunanon era pesante perché diquelle che funzionavano con lamanovella.Quando si seppe che eranoarrivate le truppe alleate,molte famiglie tornarono alpaese: si era sparsa la voceche gli americani regalavanocioccolate, sigarette e scatolet-te di latte condensato. Il no-stro babbo avvertì me, Nena eSperanza di non dare confiden-za a nessuno e soprattutto ditenerci lontane da le marrochi-ne, i soldati di colore, perché“cianno libberato, è vero, manon so’ bbòne pe’ gnente”. Inseguito sapemmo che tre diloro avevano tenuta sequestra-ta una ragazzetta e avevanoabusato di lei per cinque gior-ni. La poveretta non si riebbepiù dalla drammatica avventu-ra. “Que’ dilinguente però furo-no fucilate”, poi sepolti nellabuca che avevano dovuto sca-vare loro stessi.

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passaggio del fronte

“bocca” della grotta per favori-re l’uscita del fumo ed evitare,al contempo, che la fiammafosse visibile in modo direttodall’esterno. La porta dellagrotta, costituita da un intrec-cio di ginestra e maggio, du-rante il giorno bisognava te-nerla ben nascosta: eventualipassanti dovevano avere l’im-pressione che la grotta fossedisabitata. La sera la portaveniva appoggiata all’aperturacon due forcine. Nonostante ilsuo aspetto fragile e il modoposticcio in cui veniva tenutasu, dava sensazioni di sicurez-za, protezione, intimità. Per poter fare il pane il miobabbo aveva dovuto tornare acasa a prendere la spianatora,la tavola usata per la lasagna.La mamma preparò l’impastosopra la rapazzola: composesoltanto due coppiarelle, panidi formato medio piccoloimpastati contemporaneamen-te uno con la mano destra el’altro con la sinistra, inoltre ilsolito chifene fatto con la pastaraschiata dalla tavola. Quellavolta e tutto il tempo cherestammo sfollati, non potémischiarci, come sempre face-va, neppure un granello dianice per renderlo appetibile.Portò a cuocere il pane nelforno di Peppe e Marina, i con-tadini che stavano nel poderedelle Cannelle”. Qualsiasi rumore del qualenon si conosceva la fonte equi-valeva a un perentorio ordinedi rientrare e mettersi sotto la

rapazzola zitt-e-ferme!. La notteavevamo tanta paura, special-mente quando sentivamo avvi-cinarsi il rombo degli aeropla-ni o il fischio dei proiettili cheattraversavano il cielo sopra lenostre teste lasciando una scialuminosa. La sua altezza e ladirezione facevano capire cheil proiettile sarebbe esplosolontano, chissà dove. Nono-stante ciò la paura aumentava

ad ogni colpo.Un giorno - racconta ancoraGiulia - io e mia sorella Nenaandammo a prendere acqua auna vena che sgorga nel fondodella valletta. Mentre eravamointente a riempire il secchiosentimmo strilli di richiamo ecapimmo che erano rivolti anoi: era Titta, infatti, che ciurlava dalla cima del poggiosovrastante di scappare subitoperché l’artiglieria di Capodi-monte aveva scortato ‘l tiro,accorciato il tiro. Prima ancorache potessimo comprenderel’avvertimento sentimmo unfischio assordante, ci vedem-mo avvolte da un turbinio difoglie trascinate da una folatadi forte vento. Schizzi di fangovolarono dappertutto. Nelguardarci intorno per capirecosa fosse successo scorgem-mo una scheggia larga quantouna pala conficcata a un pal-mo dai ginocchi di Nena laquale non aveva fatto in tempoad alzarsi. Lasciassimo lì tutto efuggissimo subbito. Tremassimotutto ‘l giorno”.Le bombe scagliate dall’arti-glieria di Capodimonte colpiro-no il Palazzo Farnese, il cimite-ro e varie case di Gradoli. Lenotizie le portava qualche te-merario che tornava in paeseper necessità sfidando lasorte. Il giorno che si sentiro-no esplodere i colpi più in lon-tananza, Speranza, la sorellapiù grande, cominciò la matti-na presto a dire che volevasapere se la nostra casa erarimasta in piedi. A mezzogior-

I genitori di Vincenzo Antuzi nell’agosto del 1943 ricevettero dallaYugoslavia una lettera del figlio nella quale egli parlava di sé e raccontava

qualcosa della sua vita di soldato: notizie scarne perché nulla doveva trapelare delle operazioni militari. Lafirma dell’armistizio lasciò credere a tutti, in un primo tempo almeno, che la guerra sarebbe presto finita:nella famiglia Antuzi, come del resto in tutte le famiglie dove un figlio era soldato, si aspettava perciò lacomunicazione di un imminente ritorno. La notizia tanto attesa però tardava ad arrivare.In novembre capitò a Gradoli un giovane agricoltore di San Giovanni delle Contee. Egli raccontò di averconosciuto in Yugoslavia un soldato di Gradoli, un giovane alto e smilzo: “... un certo Antuzi Vincenzo, seben ricordo. E’ possibile?”. Disse anche di averlo veduto morto, falciato da una scarica di mitraglia! Lamancanza di comunicazioni da parte di Vincenzo aveva già fatto nascere tra i familiari il sospetto che glifosse accaduto qualcosa di brutto e ora quella testimonianza dava corpo al loro sospetto. I paesani tutti siriunirono intorno alla famiglia Antuzi e ne condivisero cristianamente il dolore partecipando in massa allacerimonia funebre. Uno giorno di mezzo maggio del 1945 il telegrafo dell’ufficio postale di Gradoli iniziò il ticchettio cheannunciava un messaggio in arrivo. L’impiegata si recò all’apparecchio e fece scorrere il nastro che siandava riempiendo di punti e linee, le lettere Morse, e decifrò la provenienza: Buchenwald; il destinatario:famiglia Antuzi; il testo: “Arriverò a Gradoli tra qualche settimana”... Non aspettò più altro, scarabocchiò ilmodulo del telegramma e corse allo spaccio: rivendita n° 1 di sali, tabacchi e valori bollati, generi alimenta-ri e altro ancora, dove avrebbe trovato qualcuno, la mamma sicuramente. Sulla porta Giacinta, l’impiegata,si fermò appena un attimo per abituare gli occhi alla penombra del locale. Assunta vide subito il foglio gial-lo del telegramma e colse anche il sorriso sul bel viso. Rimasero così qualche istante a fissarsi quasi chepotessero in questo modo comunicarsi parole che le gole strozzate non facevano uscire. Giacinta fu laprima a riscuotersi e disse: “C’è un telegramma di Cèncio...”. Si interruppe per l’ansare di Assunta, poicontinuò tutto d’un fiato: “Dice che arriverà a casa tra qualche settimana”. Seguì ancora qualche istante disilenzio, poi Assunta volle che Giacinta leggesse proprio il telegramma. Giacinta acconsentì e scandì paroleche in realtà recitava a memoria, senza leggerle: “Sarò a casa tra qualche settimana. Cèncio”. “Non è ‘l miCèncio - ruppe in singhiozzi la madre - Lui non si sarebbe firmato così!”. Giacinta uscì dalla bottega comeun fulmine e vi ritornò in un lampo: aveva tra le mani il nastro del telegrafo; si avvicinò ad Assunta e com-pitò, indicando con il dito l’ultima serie di linee e punti: “Maz-za-rel-la”.

Mazzarella

Goumiers marocchini

Gradoli

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Quello dal giugno 1943 al giugno 1944 èstato un anno di sofferenze, di violen-

ze e morti. E’ stato un momento di vita dif-ficile per tutti. Ormai i protagonisti lohanno nascosto nell’angolo buio dei cattiviricordi e tutti preferiscono rammentare legioie e cancellare dalla memoria i momentipiù tristi della vita. Riaffiorano, quasi forza-tamente, gli episodi di un periodo doloro-so perché le nuove generazioni devonosapere, conoscere, sperare ed impegnarsiaffinché mai più questa nostra meraviglio-sa e generosa terra abbia a conoscere gliorrori della guerra.Nel giugno del 1943 la 3a Divisione grana-tieri corazzata della Werhmacht eraaccampata nei dintorni del lago di Bolse-na. Numerosi mezzi blindo-corazzati,opportunamente mascherati, sostavano alriparo dell’osservazione aerea sotto ilpioppeto della spiaggia grottana. I tede-schi utilizzarono un lungo tratto dellaspiaggia, quello situato oltre la casetta inmuratura dei pescatori, e ad alcuni metridalla riva costruirono un trampolino inlegno per i tuffi. Di solito prendevano ilsole ed i bagni completamente nudi, percui quell’estate la zona non fu frequentatadai grottani e divenne la prima spiaggiaper nudisti del lago di Bolsena.L’8 settembre, con la proclamazione del-l’armistizio, come avvenne quasi ovunque,i militari italiani abbandonarono le caser-me ed i nostri reparti si sciolsero comeneve al sole. Per alcuni giorni il paese fuattraversato da numerosi gruppi di soldatia piedi che provenivano dalla zona di

Grosseto e cercavano di raggiungere lastazione ferroviaria di Orvieto per far rien-tro ai luoghi di origine. In quel momento cifu un intenso scambio di scatolette dicarne con il pane e il vino tra militari epaesani. Qualcuno si illuse che la guerrafosse finalmente terminata, esternandomanifestazioni di gioia che presto sarebbe-ro state smorzate dagli avvenimenti suc-cessivi. Nella seconda metà del mese di novembresi costituì a Viterbo un reparto dellaGuardia Nazionale Repubblicana, con com-piti di ordine pubblico ed antiguerrigliaagli ordini del console Ennio Cavina, e aGrotte, nei mesi di maggio e giugno 1944,operò un distaccamento di tale formazionein sostituzione del comando stazione cara-binieri, che era stato sciolto. I giovani grot-tani, soprattutto quelli che dopo l’8 set-tembre avevano abbandonato il serviziomilitare ed erano rientrati in paese, teme-vano di essere arrestati e deportati neicampi di concentramento in Germania, eper evitare questo probabile rischio unadecina circa si arruolarono nel repartodella Repubblica Sociale ed un’altra nume-rosa schiera passò al servizio dell’organiz-zazione Todt (organizzazione competenteper il lavoro forzato, dal nome del generaleFritz Todt), che provvedeva al ripristinodella viabilità stradale, ferroviaria e dellepiste dell’aeroporto di Castelgiorgio reseinefficienti dai bombardamenti degli anglo-americani. Gli operai della Todt eranoaccentrati presso il suddetto aeroporto ealloggiavano a Castelviscardo e nei dintor-

ni. Ogni operaio percepiva una paga gior-naliera di 55 lire, più che sufficiente persoddisfare le modeste esigenze di vita diallora. Un giovane grottano perse la vitasotto un bombardamento alla stazione fer-roviaria di Orvieto, mentre era addetto allariparazione della linea. Rari i giovani cheper sottrarsi al servizio militare e civiledecisero di darsi alla macchia rifugiandosinel “casaletti” o nelle numerose grotte delnostro territorio. Nel mese di dicembre, in seguito ad unaimprovvisa azione della guardia repubbli-cana di Orvieto, in località Maccarino, terri-torio di San Lorenzo Nuovo, furono arre-stati un giovane grottano, un nordafricanoe due piloti americani; questi ultimi eranoevasi dal campo di concentramento n. 10di Acquapendente dopo l’8 settembre.L’operazione ebbe successo e sorprese ifuggiaschi poiché un delatore, un notospione grottano, denunciò i militari stra-nieri per riscattare il premio in denaro cheera notevole. Il giovane arrestato, trasferi-to nel carcere di Orvieto, ne uscì dopo po-chi giorni, miracolosamente graziato, edarruolato nella Guardia nazionale repubbli-cana.Due ex prigionieri di guerra si erano rifu-giati in una grotta a Campolungo protetti emantenuti da giovani grottani. I due milita-ri frequentavano regolarmente il paese,nonostante la presenza tedesca; eranocosì sicuri che si fecero fotografare insie-me agli amici.Un giorno i ragazzi della Todt, rientrandocon un autocarro da Castelgiorgio, ebberola brillante idea di cantare Bandiera rossamentre attraversavano l’abitato di SanLorenzo. Il comando tedesco di zona fusubito allertato da una comunicazione chesegnalava il passaggio di un automezzocarico di partigiani diretto a Grotte, e inbreve tempo i militari della Werhmachtintervennero con un plotone. Giunti inpiazza, e poste due mitragliatrici sul mar-ciapiedi di fronte all’oreficeria Menichelli,aprirono il fuoco in tutte le direzioni con laimmediata fuga di tutti coloro che in quelmomento si trovavano nella zona. Conquesta prima azione intimidatoria, più checon gli ordini emanati con i manifesti, ilcomando tedesco imponeva il suo domi-nio in modo violento, determinato e prati-co, non ammettendo boicottaggi e propa-ganda sovversiva.Il 28 gennaio del ‘44 un massiccio bombar-damento aereo fu effettuato nella zona diAllerona con obiettivo principale il ponteferroviario Giulio sul torrente Paglia. Inquel momento stava attraversando ilponte una tradotta militare composta da38 vagoni, carica di mille prigionieri diguerra che dal campo di concentramentodi Poggio Mirteto venivano trasferiti neilager di Germania. Il bilancio delle vittimefu pesante: circa trecento i morti, quattro-cento i feriti, numerosi i fuggiaschi cheapprofittando della confuzione riuscironoad eclissarsi. Si dispersero nelle campagnecircostanti e molti trovarono rifugio ecopertura nelle case dei contadini. Alcuniarrivarono a Grotte, dove furono accolti,curati e nascosti nella località dellePalombare situata vicino al paese, in modo

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Grotte di Castro AdelioMarziantonio

Un anno di sofferenze

Pontelungo (Grotte), ottobre 1943. Clemente Ceccarelli (in bicicletta), Mario Banda, Salvatore Barbi, con due prigio-nieri di guerra fuggiti dopo l’8 settembre dal campo di concentramento n. 10 di Acquapendente, rifugiati in unagrotta nella località di Campolungo e protetti dai giovani grottani con i quali sono stati ritratti. I due prigionierisono Roberto Mendoza (secondo da destra), di origine messicana, e Francesco (secondo da sinistra) di origine nor-dafricana.

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da permettere un facile rifornimento gior-naliero dei viveri. Un prigioniero grave-mente ferito fu prelevato e trasportato aGrotte in seguito all’intervento di Dome-

nico Gioacchini, allora studente universita-rio in medicina, il quale lo alloggiò in casae lo curò a lungo fino a completa guarigio-ne. Due prigionieri di origine indiana si

nascosero in una grottanella zona di Pian dell’Aia;durante la notte dormivanoin un casaletto di proprietà

SPECIALEpassaggio del fronte

Quasi tutti gli anni della guerra erano trascorsi per noi ragazzi così come sono stati magistralmente interpretati nel famoso film di Benigni: nella piùincosciente ignoranza della tragedia che si stava consumando nel mondo. Vivevamo quei giorni all’impronta della nostra naturale fantasia e tuttipresi nei soliti giochi infantili. Sentivamo i grandi parlare spesso di guerra e di fatti luttuosi occorsi a molte delle famiglie che avevano i loro cari indivisa, ma noi non ne capivamo l’entità. Negli ultimi mesi di guerra osservavamo con curiosità gli sciami di argentei aerei che con rombo possentesi dirigevano da qualche parte: a bombardare, ci dicevano i grandi, ma per noi erano splendidi uccelli che scrivevano nel cielo scie nebulose, men-tre assistevamo spesso ai loro duelli sullo sfondo del lago di Bolsena e ne seguivamo le sorti. Molte volte i grandi ci chiamavano per farci assisteread uno spettacolo, meraviglioso per noi, orribile per loro, nel vedere di sera l’orizzonte infuocarsi verso sud, a Viterbo. Sentivamo le loro preghiereperché Dio assistesse quei poveretti, ma per noi la guerra era ancora un fatto estraneo ai nostri interessi. Che cos’erano mai quei terribili tedeschi?Uomini vestiti diveramente dagli altri, con lucenti elmi e strane armi indosso, e che parlavano una lingua aspra e gutturale che tanto ci incuriosiva

senza intimorirci. I nostri fratelli più grandi, al contrario, li temevano e li evita-vano; e ora che so, a buon ragione. Tuttavia, come dicevo, la vita per noi trascorreva come al solito, e nei paesiagricoli non si soffrì mai la fame vera e propria. I grandi usavano dei buonialimentari chiamati tessere e acquistavano il necessario, anche se certamentemolti generi cosiddetti di lusso mancavano; ma, o se ne faceva a meno, o siricorreva a fantasiose sostituzioni. Certo non c’era molta varietà nei cibi, ericordo ad esempio che un giorno, avendo chiesto a mia madre: “O ma’, mache se magna oggi?”, lei rispose: “Le faciòle, fijo!”. Ed io: “Sempre ‘ste faciòlee basta!”. Al che lei: “Noo! Ogge ce so’ pure le bucajone! C’è pure la ciccia!”.Insomma, a parte tutto, nei paesi non ce la passavamo tanto male, al contrariodi quelli che da sfollati venivano dalle grandi città, ove con i bombardamentiavevano perso tutto.Si arrivò così agli ultimi giorni di guerra e si sentiva ormai il rombo dei canno-ni sempre più vicino, mentre notavamo che quei tedeschi che fino ad alloraavevano dimostrato sicurezza ed arroganza, ora avevano i volti stravolti e sileggeva nei loro occhi la disperazione per la fine che sapevano ormai immi-nente. I grandi dicevano che, come negli altri paesi del Lazio, si sarebbero riti-rati ordinatamente e che la “liberazione” sarebbe avvenuta semplicemente diseguito, senza prevedere che per motivi strategici intorno al lago di Bolsena itedeschi avrebbero opposto una resistenza ad oltranza per ritardare al massi-mo l’avanzata degli alleati. I quali li incalzavano facendosi precedere daireparti di colore, marocchini e algerini, da tutti assai temuti per le loro violenzenei confronti dei civili. Viterbo era ormai stata liberata da qualche giorno e sidiceva che così fosse anche di Civitavecchia, Tarquinia e Tuscania. Si giunsecosì al 13 di giugno, in trepida attesa di poter ritornare in paese, poiché dadiverso tempo per precauzione si viveva nelle campagne. Chi possedeva uncasale era già fortunato; chi non l’aveva, utilizzava le tombe degli avi etruschio altri rifugi di fortuna: giugno si era presentato anticipando l’estate ed eraanche piacevole vivere all’aperto; per noi ragazzi era aggiungere altra novitàalla nostra spensieratezza.Noi si stava in un piccolo casale a due piani che guardava a nord il paese e asud il lago con ampio panorama. I colpi dei cannoni alleati che prendevano dimira le retroguardie tedesche passavano come treni urlanti proprio pocosopra il tetto facendolo vibrare terribilmente, e di notte si vedevano pure le scieinfuocate, mentre i traccianti sembravano per noi ragazzi meravigliosi fuochi

d’artificio. Ma quella giornata così tanto piena di strane e terribili novità non doveva trascorrere come al solito: vidi improvvisamente i miei farsi serinel viso, molto più del solito, e capii che qualcosa di brutto stava per avvenire. Venni a sapere che qualcuno li aveva avvertiti che la nostra casa inpaese, posta com’era sulla via principale ed in prossimità di una curva, era una di quelle che eranostate minate dai guastatori tedeschi per rallentare, almeno nelle loro intenzioni, l’avanzata degli allea-ti. Erano quattro, le case minate, e in serata sarebbero saltate in aria. I miei fratelli che volevanocoraggiosamente ritornare in paese per tentare qualcosa; mio padre che li tratteneva a forza per evi-tare disgrazie maggiori, e mia madre che piangeva dirottamente, sono immagini impresse per semprenella mia memoria. Mia madre, in particolare, non si dava pace, lei che aveva fatto di tutto per evitarel’occupazione della nostra casa dai nazisti, cercando di ingannarli ingenuamente con il recarvi gior-nalmente un mazzo di fiori di campo per renderla viva e far presente che era occupata da tutti noi. Quella sera ci trovammo tutti raccolti nell’aia con gli occhi rivolti al paese e con il cuore pieno di spe-ranza che qualche miracolo avvenisse. Ma quando, circa alle 22 di quel fatidico 13 giugno 1944,quattro vampate arancioni illuminarono l’orizzonte e il paese tutto, comprendemmo che ogni speran-za si era rivelata vana, e il boato che di seguito ne pervenne non riuscì a coprire le grida disperate dimia madre, che con il viso irrorato di lacrime si stringeva a tutti noi per cercare quel conforto che ilmomento esigeva. A tanta disperazione, vissuta per la prima volta di persona, non potei rimanereestraneo, e in un momento, di fronte a tanto dolore, divenni adulto anzitempo. Addio sogni fantasiosidi fanciullo, ai sogni con i coetanei ed al mondo fatato estraneo alla realtà. Non avevamo più unacasa, ci aggiravamo tra i sassi polverosi tra i quali emergevano frantumi degli oggetti che erano dellanostra vita passata. Odiai da allora e per sempre l’odore acre dei calcinacci, e seppure da quellemacerie, e da tutte le altre che avevano accomunato l’Italia nella tragedia, doveva poi sorgere lo spiri-to incredibile della ricostruzione morale e materiale degli italiani, non trovavo allora alcuna giustifica-zione a tanta cattiveria, neppure quando tutto sembrava essere passato. Ospiti per anni in abitazionidi compiacenti paesani che ci donarono la loro vera amicizia nel momento del bisogno, persi persempre la mia fanciullezza (avevo allora sette anni) e non ho mai più trovato alcuna giustificazioneper la guerra; per qualsiasi guerra.

AlbertoPorretti

Effetti delle mine tedesche a Grotte di Castro: distruzione del palazzo sitoin Piazza Cavour angolo Via Veneto

Persi per sempre la mia fanciullezza

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di Augusto Porretti.Anche la presenza degli exprigionieri sul nostro terri-torio fu segnalata al coman-

do della G.N.R. di Viterbo con il conseguen-te ed immediato intervento di un repartoagli ordini del console Cavina, che, giuntoimprovvisamente a Grotte il 18 febbraio,arrestò cinque persone accusate di averdato assistenza ad appartenenti a forzearmate nemiche, reato punibile con lapena di morte o reclusione. Per lo stessomotivo, i repubblichini per rappresagliagettarono e bruciarono in mezzo alla stra-da mobili e suppellettili a due famiglie abi-tanti in Via Veneto. Fu questo l’unico epi-sodio durante il quale intervennero i giova-nissimi della G.N.R.: tutti ragazzi non ancoraventenni!Nel mese di marzo, e precisamente il gior-no dopo la festa di S. Giuseppe, i tedeschiinstallarono a Grotte un ospedale militare.Il reparto di sanità giunse in paese traspor-tato in gran parte sucarri trainati da robu-sti cavalli normanni.Automezzi e carri fu-rono parcheggiati eprotetti dentro pro-fonde buche scavatesotto gli olmi dellaPiazza Nuova, e l’o-spedale fu organizza-to nel palazzo dellescuole elementari dipiazza G.Marconi, sultetto del quale furonodipinte due grandicroci rosse. Al centrodella piazza fu monta-ta una baracca usataper la disinfezionedegli indumenti e perl’attività di addestra-mento con la ma-schera antigas. Lacamera mortuaria fuallestita in un magaz-zino della piazza ed isoldati deceduti furo-no sepolti in una zonaesterna al cimitero.Nel dopoguerra lesalme furono recuperate e trasferite aipaesi di origine. Il laboratorio dentistico fuaperto in un locale situato nel palazzoLucidi, sopra la farmacia gestita dal dott.Marzolini. La mensa ed un ufficio comandofurono aperti nelle sale a piano terra delpalazzo comunale. La chiesa di S. Marco fuadibita a laboratorio di falegnameria ed acamerata per i prigionieri russi, circaventi, che erano inseriti nel reparto tede-sco come collaboratori. La sartoria e selle-ria si trovava in piazza Umberto I (doveoggi è il negozio del tabaccaio) e nella stes-sa piazza vi era la farmacia (nell’attualelocale della pasticceria), mentre la puliziae la disinfezione del vestiario e degli effettiletterecci venivano effettuate nei magazzi-ni di Via Roma di proprietà del signorRomeo Cordelli, davanti alla fontana gran-de.Ufficiali, sottufficiali e truppa, opportuna-mente suddivisi, presero alloggio presso

numerose famiglie del paese, mentre icavalli trovarono sistemazione in locali alivello stradale in Via Roma, Via Veneto eVia Cordelli Scossa. Quei militari erano inmaggioranza di origine austriaca, di etàpiuttosto avanzata, per la maggior partereduci dalle campagne di Russia e del-l’Africa settentrionale; molti portavano isegni delle ferite ed apparivano chiara-mente in non perfette condizioni fisiche.I prigionieri russi vestivano la divisa manon portavano l’armamento; svolgevanosoprattutto mansioni di manovalanza ederano addetti al governo dei cavalli. Leoperazioni di pulizia degli animali, bruscae striglia, si svolgevano nella piazza dellaFontana Grande, dove gli animali sostava-no, durante il giorno, legati a campanellefissate al muro. Alcuni prigionieri russi almomento del passaggio del fronte riusciro-no a fuggire nascondendosi nel territorioin attesa dell’arrivo delle truppe anglo-americane.

I rapporti fra le truppe occupanti ed i grot-tani furono ottimi: in parte per il continuocontatto dovuto alla convivenza negli stes-si alloggi, ma soprattutto perché i militaritennero sempre un comportamento disci-plinato, rispettoso, generoso, e non feceromai pesare la loro posizione di forza arma-ta occupante. Fu quindi normale chenumerosi militari entrarono in rapportoamichevole con le famiglie grottane. I tede-schi accettavano volentieri gli inviti a cenaper consumare un piatto di minestra ebere in compagnia un ottimo bicchiere divino. Del resto l’atteggiamento dei grottanirientrava nella tradizionale consuetudinedi ospitalità e generosità nei riguardi deiforestieri. Madri e consorti che avevanofigli e mariti combattenti o prigionieri peril mondo, sentirono il bisogno, in particola-ri ricorrenze, di fare visita in ospedale aiferiti e porgere loro una parola di conforto,addolcita con qualche torta casalinga. Ad

aprile, in occasione della prima comunio-ne, le maestre pie condussero le bambine,vestite in abito bianco, in visita agli amma-lati: a questi furono offerti i dolci che lemadri delle comunicande avevano prepa-rato per festeggiare un giorno così impor-tante dal punto di vista religioso. I soldatisi commossero e mostrarono le foto deiloro figli e familiari. Il comando tedescoprese atto dei buoni rapporti intercorsicon i paesani e mise loro a disposizionel’ospedale per qualsiasi esigenza medica.Il merito di questa disponibilità è da attri-buire al direttore, capitano medico chirur-go Rabenhalt, di Stoccarda, alloggiato nellavilla del signor Romeo Cordelli al Poggetto.Gli interventi del dentista, dell’oculista e dichirurgia a favore della popolazione furo-no numerosi. Voglio citare soltanto ilsignor Pietro Fiorelli, che allora era un gio-vane ragazzo. Recatosi in ospedale per l’a-sportazione di un’unghia al piede, impossi-bilitato a camminare, fu riaccompagnato a

casa in barella da duesoldati. In particolarel’ufficiale veterinariocurò i muli e i somaridei contadini; inoltreuna squadra sanitariaattuò una profonda edaccurata opera dibonifica e di disinfe-stazione nel paese enelle stalle viciniori.Di sera vigeva il copri-fuoco con inizio alle21. L’oscuramentonotturno era tassativoe controllato dal per-sonale di ronda, chesi sentiva passare peril caratteristico e riso-nante rumore sul sel-ciato dei salvatacchiin ferro delle scarpe. Ilcinema Palombini furequisito per la proie-zione di film riservatialla truppa, mentre ladomenica nella salacinematografica ilcappellano officiava lamessa con rito orto-

dosso; durante le proiezioni ed i riti reli-giosi una pattuglia armata sostava fuoridel cinema.Un mattino il maresciallo Hans, che abita-va nella casa di Antonio Annulli ed eraresponsabile del nucleo cavalli, eseguì unapunizione corporale nei riguardi di un pri-gioniero russo che, a causa del viziaccio dialzare un po’ troppo il gomito, rendevapoco nel lavoro: il giovane fu costretto apercorrere a piedi il giro della Baldinianacon in spalla uno zaino carico di mattoni,mentre il sottufficale seguiva a cavallo suRoland, il più bel puledro baio del reparto.Nel mese di maggio gli studenti organizza-rono un incontro di calcio con i militaritedeschi. Non avrebbero dovuto essercidifficoltà, in quanto l’esuberanza e le ener-gie giovanili avrebbero sicuramente equili-brato l’esperienza di soldati anziani in nonperfette condizioni fisiche. Ma non si tenneconto della numerosa presenza tedesca

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14 giugno 1944. Soldati della terza divisione di fanteria algerina su una jeep americana. I militari indossanoindumenti ed equipaggiamento di massima americani; calzoni e camicia color caki; stivaletti con ghette france-si. Il militare a sinistra è armato con un fucile inglese Lee Enfield 303; l’altra arma è una carabina Winchester.

Grotte di Castro

ai soldati di qualsiasi eser-cito ma evitare che questiusassero le botti comeoggetti di tiro a segno...Erano ormai gli ultimi giorni di occupazio-ne, i granatieri tedeschi apparivano stan-chi, affamati, logorati dai continui scontri afuoco. Giacevano addormentati sotto aimezzi corazzati ed il soldato di guardia eranervoso, irritato, incuteva timore e facevapena, poiché dal suo sguardo traspariva ladisperazione di chi era cosciente che nonavrebbe mai più fatto ritorno alla propriacasa. L’8 giugno alcuni mezzi blindatierano posti a sbarramento delle vie dellaFratta, della Ruga e del Piano. Vai a capireperché, il pilota di un mezzo corazzatostrappò l’orologio di tasca al signor Cen-ciarini, che in quel momento stava uscen-do di chiesa dalla porta laterale, ed incambio gli offrì un contachilometri (!?) dicui nessuno avrebbe saputo che farsene.Una colonna blindo-corazzata era al riparodell’alberata del Ponte lungo. Al momentodella partenza un carro risultò inefficientee fu spinto nella scarpata a lato della stra-da, per cui precipitò di sotto nella vigna diRemigio Barbi. Un “ricordo” tedesco rima-stovi abbastanza a lungo, finché la pazien-te e continua opera di smontaggio dei mec-canici trasferì tutte le parti utilizzabili nelleofficine e nei magazzini. Ma non fu questo l’unico ricordo. I tede-schi pensarono bene di lasciarci qualcosadi più tangibile e duraturo, e la sera del 13giugno il paese fu scosso dai boati che nefecero saltare alcune case minate, comemeglio è narrato da mio cugino AlbertoPorretti, che in quell’occasione rimasesenzatetto con la propria famiglia. Insieme

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passaggio del fronte

nei dintorni del lago. Attingendo in tutti ireparti, il comando tedesco poté inserirenella formazione alcuni giocatori profes-sionisti, tra i quali anche un nazionale.Risultato: i ragazzi di Grotte persero per 9a 0, anche se in serata le due squadre siincontrarono sportivamente in cantina aduna cena a base di porchetta e vino carce-rato.Il movimento delle truppe tedesche in tra-sferimento verso il fronte di Anzio eNettuno era abbastanza sostenuto. In ungiorno festivo, quando come al solito lapiazza era piena di gente, passò in paeseuna motocarrozzetta, di quelle con il side-car ed il mitragliatore in posizione difuoco. Un anziano contadino, forse perscherno o per scherzo, fece un gesto signi-ficativo con il bastone, che imbracciòcome un fucile in direzione dei due soldati.Questi scesero a terra e in pochi secondiaprirono il fuoco facendo il vuoto nellapiazza. Dopo qualche minuto, qualcunopiù coraggioso si avvicinò con discrezioneai militari e tentò una giustificazione, por-tando l’anziano contadino davanti ai moto-ciclisti per chiedere scusa.Con l’avvicinarsi del fronte, ai primi di giu-gno l’ospedale si trasferì. In località PonteBianco la colonna, sorpresa dai cacciaangloamericani, fu in gran parte distrutta.Trascorsa la guerra, uno dei militari reduciscrisse una lettera ad una famiglia grotta-na, con la quale aveva avuto rapporti diamicizia, confermando l’episodio dell’at-tacco aereo e comunicando che lui stessovi aveva perduto una gamba e che i super-stiti furono pochi.Il paese fu abbandonato dai cittadini che sitrasferirono nelle vigne e nei campi di pro-prietà, sistemandosi nelle tombe etruschee nelle grotte. I rifugi erano già stati prepa-rati da tempo per avere a disposizione ilminimo necessario. Il fronte si stava avvici-nando lentamente, in quanto l’abile azionedifensiva dei tedeschi riuscì a ritardarenotevolmente l’avanzata alleata. L’azionedella 14a armata si basava su numerosigruppi di combattimento comandati daintraprendenti ufficiali, i quali si servironodei superstiti delle divisioni tedeschesconfitte dopo la caduta di Roma.In questo momento di transizione, difficilee pericoloso, due eserciti potenti edaggressivi si scambiarono le consegne delterritorio, non certo in modo pacifico conun semplice atto notarile, ma con le violen-ze e le tragedie che le leggi terribili dellaguerra hanno sempre causato in ogniparte del mondo. Negli ultimi giorni prece-denti la liberazione il territorio era control-lato dagli aerei leggeri americani chesegnalavano ogni movimento delle truppee le loro postazioni. Uno di questi aerei nelsorvolare la zona della Cipollina individuòuna contraerea tedesca dislocata in uncampo appena dietro il cimitero. In brevis-simo tempo le artiglierie schierate nellapiana di Bolsena intervennero con unfuoco tempestivo e massiccio nella zonasegnalata. I primi colpi corti colpirono ilcimitero danneggiando alcune tombe, poiil tiro fu allungato e l’obiettivo centrato. Labatteria tedesca aveva avuto comunque iltempo di spostarsi e prendere posizione in

un’altra zona. Un’altra batteria, dislocatain zona Capodimonte, prese sotto tiro ilpodere di S. Donato poiché le donne, inmodo incauto e irresponsabile, avevanoacceso il forno per cuocere il pane ed ilfumo del camino aveva attirato l’attenzio-ne degli osservatori. Anche in localitàVallecchie, in corrispondenza della stradaper Onano fu effettuato un violento inter-vento di artiglieria contro un battaglionetedesco che, posto a difesa a cavalieredella strada, avrebbe dovuto ritardare l’a-vanzata alleata; il comando del reparto siera stabilito nel podere di Belano dettol’Aquilano.Pochi giorni prima del passaggio del fron-te, a causa di un trasferimento di mezziblindo-corazzati in località Poggio del Cio,due caccia bombardieri angloamericanimitragliarono la zona della Piazza Nuova elanciarono alcune bombe, due delle qualicaddero nel fosso fondo arrecando lievidanni ad alcune case di Via della Fratta;una scheggia colpì una donna procurando-le una grave ferita alla testa. Un cacciaamericano fu invece abbattuto nella zonadella Torretta ed una fortezza volante nellalocalità l’Olmo: ambedue gli equipaggi silanciarono con il paracadute e furono fattiprigionieri. L’11 di giugno la F.L.A.K., arti-glieria contraerea tedesca, abbatté unoSpitfire nella zona della Montagnola-Cantoniera di Latera. Gli aerei cadutiall’Olmo ed alla Torretta furono motivo diattrazione, curiosità ed interesse da partedei giovani grottani. Molti si trasformaro-no in meccanici ed in breve tempo i dueaerei furono smontati e tutte le partiasportate. Con l’alluminio fuso delle elichesi costruirono accendini per sigarette edelle piastrine tonde, forate, che montatenella macchinetta tritacarne permettevanodi realizzare un tipo di pasta simile ai riga-toni. La spessa gomma che rivestiva i ser-batoi della benzina fu utilizzata per risuola-re le scarpe; con il vetro dei lunotti, tipoplexiglas, si costruirono anelli-ricordo;tutte le altre parti furono riciclate in modoutile e conveniente.Il paese si presentava abbandonato evuoto. Soltanto qualche raro e coraggiosoanziano, rimasto a badare alle proprie cose,si mostrava con molta accortezza e timoro-sa discrezione. Facevano eccezione alcunepersone che erano sempre presenti inpaese e, cosa strana, si professavano nemi-ci giurati dei tedeschi, ma stavano sempre astretto contatto con loro, invece di armarsied attuare la resistenza nascondendosinelle campagne.Gli usci di numerose case, appartenentialle famiglie più facoltose, apparivanoaperti e tradivano la visita dei soliti ignoti,che poi ignoti non erano, i quali avevanoperquisito gli appartamenti alla ricercadegli oggetti di valore che erano statooccultati. In realtà molte famiglie nascose-ro gli oggetti più cari ed i corredi nelle stal-le, nelle grotte, nei sottoscala, i cui accessifurono opportunamente mascherati contavole, balle di paglia e di fieno.Anche le gole di alcune cantine, per pro-teggere le botti piene di vino, furono chiu-se e tenute sotto controllo da persone difiducia. La regola era di distribuire il vino

Angelo Fantucci (in divisa da fante del 36° reggimen-to, al tempo del servizio militare svolto a Modena nel1929), ucciso dai marocchini nel podere di Montarso il25 giugno 1944 mentre tentava disperatamente didifendere i propri familiari.

Grotte di Castro

alle case doveva saltare inaria anche l’alberata delponte lungo: le cariche nonesplosero perché un anzia-

no, Angelo Bartoli, molto coraggiosamentee rischiando la vita, tagliò i fili di collega-mento. Invece una donna intraprendente ecoraggiosa era rimasta fino all’ultimo gior-no di occupazione a guardia del suomagazzino, ed osò affrontare i genieri men-tre disponevano le bombe davanti al suolocale, ottenendo lo spostamento delmateriale esplosivo lugo via Veneto, versoBorgo Cavour! Nel piano di distruzione eritardo dei tedeschi furono inseriti anchedue ponticelli sulla strada onanese, primae dopo il bivio per S. Maria delle Colonne,comprese anche le scarpate laterali in cor-rispondenza del tratto in cui la stradaattraversa la collina. Probabilmente per undifetto dell’innesco un ponticello non saltòin aria e la strada rimase interrotta in duepunti, che del resto gli americani coi loromezzi meccanici riattivarono in brevissi-mo tempo.Nella mattina del 14 giugno arrivarono leprime pattuglie appiedate lungo la stradadelle Fontane e di S. Giacomo, quelle coraz-zate lungo la strada maremmana prove-niente dalla Cantoniera di Latera. Un cor-teo di persone con bandiere tricolori atte-se le truppe alleate lungo la passeggiatadel Pontelungo. Purtroppo invece dei tanto

attesi e sospirati americani i reparti libera-tori appartenevano al Corpo di SpedizioneFrancese, 3a D.I.A. (Divisione d’InfanterieAlgerienne). Il nostro paese fu invaso daitanto temuti ed indesiderati algerini emarocchini; la cattiva fama li aveva prece-duti ed erano note le loro violenze neiriguardi della popolazione; in tutti i luoghidove avevano sostato avevano lasciato ilsegno nefasto del loro passaggio. Il coman-do francese insediatosi in comune impartìimmediatamente l’ordine alle famiglie grot-tane di far rientrare in paese e di nonlasciare isolate le donne. Il banditorecomunale cercò di avvertire il maggiornumero possibile di cittadini. I grottaniallarmati e preoccupati per la presenza ditruppe pericolose, alle quali, si diceva, erastata concessa carta bianca per 24 ore,rientrarono immediatamente in paese do-ve il rischio sarebbe stato inferiore a quel-

lo di permanere isolati in campagna. I sol-dati di colore, trovato il paese vuoto, sisparsero a gruppi nelle campagne, noncerto per il desiderio di fare piacevoleconoscenza con i contadini, ma con l’evi-dente scopo di approfittare, in una situa-zione precaria e difficile, della posizione diforza di truppa occupante per commetteresoprusi e violenze soprattutto nei riguardidelle donne e dei giovani.In zona Mortaro una giovanissima contadi-na venne aggredita, picchiata, minacciatacon le armi perché si opponeva al soldatodi colore con grida e richiamando l’atten-zione di quanti, lavorando nei campi vicini,avrebbero potuto accorrere in suo aiuto.Come per altri episodi simili, l’interventotempestivo dei contadini, armati di falcet-to, pennato o roncola, costrinse l’aggres-sore a fuggire. Un identico episodio siripeté nei riguardi di una donna in localitàS. Giacomo. Una coppia di contadini,moglie e marito, che con la somara si tra-sferivano in paese da S.Maria delleColonne, furono aggrediti dai soliti merce-nari che volevano portarsi via la donna ela miccia; non fu facile al povero marito,con l’aiuto di altri lavoratori in zona, riu-scire a salvare entrambe.A proposito di somara, nell’accampamen-to militare situato sotto gli elci del Poggettoera parcheggiata un’asina. Il povero anima-le, legato ad un albero, aveva le zampe

bloccate a terra da paletti e, guarda caso,dietro vi erano state poste delle casse dimunizioni per salirvi su... : ogni lettore puòtrarne le sue considerazioni! In località La Pia una donna piuttostoanziana fece ritorno alla grotta dove alcu-ne famiglie erano sfollate. Si presentò conun aspetto sofferente, era molto agitata edil vestito lacero e strappato; disse soltantoche aveva fatto un brutto incontro: lo stu-pro perpetrato nei suoi confronti, per ver-gogna, rimase chiuso per sempre nel suoanimo come un dolore silenzioso che l’a-vrebbe accompagnata per tutta la vita. Ungiovane grottano trascinato in un campo sisalvò dalla sodomizzazione lanciandosi,per fuggire, da un dirupo alto parecchimetri. Ma l’aggressione più raccapriccian-te, che in paese fece molto scalpore, fucondotta nei riguardi delle suore, le mae-stre pie Filippini, in località Regazzano: il

triste episodio si concluse sempre con l’ar-rivo dei nostri, che però non si è mai sapu-to se fu immediato o tardivo.Alla brutalità degli aggressori si dovetterispondere con la forza. In zona ValleSessanta un tentativo di stupro fu bloccatocon l’intervento di tutti gli uomini presenti,per cui due algerini furono costretti allafuga ed un terzo, afferrato e picchiato asangue, fu gettato in fondo ad un fossoprofondo. In seguito a questo episodio,per il timore di ritorsioni durante la nottegli abitanti nelle grotte della zona dovette-ro scappare e trasferirsi sotto Caracalla,dove si era nascosto don Mario Sfoggiacon i ragazzi dell’istituto Don Orione. Unalgerino fu gettato nella buca di S. Anna al“fosso fondo”; sembrava che fosse condan-nato a morte sicura, invece risalì verso lecantine e sembra che fu giustiziato sulposto: questo episodio era legato allamorte di un grottano ucciso in una cantinacon un colpo di pistola. In un clima cosìteso e pericoloso si ritenne opportunocostringere le donne a rimanere chiuse incasa. Gli uomini uscivano sempre armati dironchetto appeso alla cinghia dei pantalo-ni. Rimasero indifesi e a rischio tutti colo-ro che abitavano nei poderi isolati. Il 25giugno il contadino Angelo Fantucci fuucciso nel podere di Montarso mentre ten-tava disperatamente di difendere i proprifamiliari.Sui numerosi episodi di offese e soprusiavvenuti a Grotte e nei paesi vicini non fumai aperta una inchiesta; evidentementerientravano nel normale comportamentodi quel tipo di truppa e facevano partedella scontata barbarie della guerra. I grot-tani non riuscirono mai a comprendere egiustificare l’atteggiamento cattivo ed osti-le dei soldati nordafricani nei confrontidella popolazione. Bisogna dar atto agliufficiali francesi addetti all’inquadramentodi una soldataglia così difficile per il loroimpegno nel limitare gli incidenti. Quandoun soldato veniva ucciso e giustiziato per-ché colto in flagranza di stupro, e quindinon rientrava la sera al reparto, il suonominativo veniva cancellato senza speci-ficarne il motivo ed intraprendere indagini.Anche i nuovi arrivati parcheggiarono gliautomezzi ed allestirono il deposito muni-zioni alla Piazza Nuova senza esigenze dimascheramento e coperture, poiché lacaccia tedesca era scomparsa del tutto. Ilcomando prese sede nel palazzo comunalee dentro il podere della Morticella, mentrenella piazza del comune fu issato il penno-ne con la bandiera tricolore francese. Latruppa fu sistemata attendata sotto gli elcidel Poggetto, nella zona della Sura e dellaPieve, mentre una parte trovò accantona-mento nella chiesa di S.Marco e nei magaz-zini intorno alla Piazza Nuova. I reparti cheproseguirono l’inseguimento della retro-guardia tedesca si avvalsero, per il tra-sporto dei materiali, anche dei somari chefurono strappati ai contadini. Togliere ilsomaro al villano era come tagliargli lemani, per cui i poveri proprietari insegui-rono per chilometri i soldati nella speran-za di ottenere la restituzione degli animali.Numerose cantine, soprattutto nella zonadi Via Roma, furono aperte con la forza

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adducendo come motivo l’appartenenza apersone fasciste. Il vino scorse liberamen-te dalle botti che furono presto sforacchia-te dai colpi di arma da fuoco e svuotate. Leconseguenti ubriacature resero ancora piùpericolosa la truppa che, non soddisfattadell’abbondante razione viveri a disposi-zione, rubò pecore, capretti ed animali dacortile in genere per arrostirli ogni sera ingrosse buche scavate nella piazza.Fortunatamente le ruspe di un repartologistico americano liberarono in brevetempo la strada dalle macerie delle casedistrutte rendendola percorribile agli auto-mezzi. Così la permanenza dei nordafricanisi protrasse soltanto per una settimana. Lospostamento del fronte in direzione nordfu seguito dal movimento del C.E.F. verso laprima linea. Il 3 di luglio fu liberata Siena eil giorno successivo la 3a divisione di fante-ria algerina sfilò in parata nella Piazza delCampo davanti agli alti comandi alleati. Il22 luglio il corpo di spedizione franceselasciò definitivamente il fronte italiano.Un reparto americano si accampò nellapiana delle Matee: finalmente erano arriva-ti gli “jankee”. Il traffico di automezzi, gip-poni, camionette e mezzi corazzati in dire-zione Siena diventò intenso. Spesso i sol-dati sostavano nella Piazza Nuova per con-sumare il rancio e per le operazioni di con-trollo e manutenzione dei mezzi. Per laprima volta si poté constatate l’efficienza ela ricchezza di un esercito fornitissimo intutto. Noi ragazzi ci stringevamo intorno aigiovanotti USA e con gli occhi sgranati dallameraviglia, timidi e in silenzio, lasciavamoche parlassero i nostri sguardi che espri-mevano desideri repressi in tanti anni diguerra. Così scoprimmo la chewing-gum, lecaramelle con il buco, ritrovammo il sapo-re della cioccolata ed a piene mani por-tammo a casa alle nostre mamme tantepreziose scatole dalle quali in modo mira-coloso uscivano sigarette, biscotti, bustine

di aranciata e limonata in polvere, caffè,cacao, e tutti gli altri generi utili contenutinel pacco di una razione viveri da combat-timento. Appena i soldati ebbero l’occasio-ne di assaggiare i nostri vini, si verificò unafflusso continuo alle cantine con le tani-che da riempire e si passò presto anchealle autobotti. Allora c’era un aleaticoeccellente ed i militari che bevvero quel“liquore” sicuramente avranno ricordatoper sempre l’Italia e in particolar modo lazona del lago di Bolsena.Si rifiutava volentieri il denaro d’occupa-zione, le cosiddette “AM lire”, e si preferi-va barattare il vino con il burro, il lardo, gliscatoloni di salsiccia canadese, la marmel-lata d’arance, la benzina, le scarpe e lecoperte di lana caki. Queste ultime, oppor-tunamente tinteggiate in blu o in nero conil colorante superiride, furono utilizzate perconfezionare degli ottimi cappotti. Infinescoprimmo un pane così bianco, soffice eleggero che si diceva fatto anche con lafarina di riso, ed era tutto l’opposto diquello usato dai tedeschi, pesante, scurocon la “coppola” nera e brillante come sefosse stata lucidata con la “vernicetta” dascarpe. Tanto era stato difficile comunica-re con i tedeschi per la mancanza dell’in-terprete, quanto fu facile parlare con gliamericani, poiché tra di loro era presentedi norma un soldato oriundo italiano, figlioo nipote di siciliani o napoletani, il qualecon le sue istintive espressioni dialettalientrava in rapporto fraterno ed amichevo-le con tutti. Le truppe alleate ci permiserocon i loro primi aiuti di accantonare edimenticare la carta annonaria, e con ilritorno del commercio libero si attenuònotevolmente la “borsa nera”. Le lunghefile d’attesa dietro gli autocarri tedeschiper scambiare un “pedicino” di patate conuno o due chili di sale scuro, pur apparte-nendo ad un recente passato, furono pre-sto dimenticate.

Nel mese di luglio,anche i repartidella V armata,con il nostro inte-ressato rammarico, si spostaronoa nord verso la linea gotica. Rima-sero lungo le strade le carcassedei carri armati e degli automezzidistrutti e bruciati, le numerosecataste di munizioni abbandona-te; i mucchi di proiettili di artiglie-ria, le bombe da mortaio, i razzi ele cartucce della carabina winche-ster e delle mitragliatrici browningda 0,30 e 0,50 pollici; una varietàdi materiale esplosivo pericolo-sissimo incustodito, alla portatadi tutti. I ragazzi, per primi, nellaloro incoscienza giovanile, sidivertirono a svitare le spolette,smontare i cartocci proietto perestrarre la polvere. Questorischioso divertimento o passa-tempo causò anche nel nostropaese l’infermità ad un giovane ela morte di un pastore in localitàCampomoro. I cacciatori utilizza-rono la balistite contenuta neibossoli dei proietti per confezio-nare le cartucce. Questo tipo di

propellente era più potente della normalepolvere da sparo, e quando i dosaggi dellecartucce furono sbagliati, provocò lo scop-pio delle canne dei fucili e parecchie per-sone riportarono bruciature e ferite allemani e al volto.

Al termine di questa ricerca debbo eviden-ziare che non esistono foto o documentisulla presenza tedesca, francese ed ameri-cana nel nostro paese. Le testimonianzeesclusivamente verbali dei protagonistihanno colmato, almeno in parte, il vuotodocumentale. L’unica eccezione è costitui-ta da una relazione informativa, classificatasegreta, riguardante la situazione politicagrottana in data 16 giugno 1944. Tale docu-mento fu redatto dal lieutenant Cot, chef duservice della 3a D.I.A. Questa unica e raratestimonianza è stata reperita per caso dauna studentessa originaria grottana in unarchivio americano durante una ricercauniversitaria. Sebbene oggi la relazionerisulti declassificata, ritengo opportuno,per motivi di correttezza e di rispetto neiriguardi dei parenti delle persone segnala-te, rinunciare alla sua pubblicazione.L’attività di combattimento del C.E.F., cheentrò in azione schierato al fianco destrodella V armata dopo l’occupazione diRoma, fu coraggiosa e determinante per laliberazione dell’Altolazio e della provinciadi Siena. Il sacrificio dei suoi soldati è ricor-dato da un monumento eretto in onore deicaduti davanti al cimitero di S. LorenzoNuovo. Sulla lapide è riportata la seguentescritta: ICI ONT REPOSÉ 140 SOLDATS FRANÇAISTOMBÉS GLORIEUSEMENT 1943-1944 IN MEMORIAM.Al centro è scolpita la doppia croce diLorena con in rilievo il galletto simbolo delC.E.F. (ce n’è uno simile a Viterbo, in localitàPoggino, dove per parecchi anni primadella esumazione sono rimasti sepolti altri142 soldati caduti).

SPECIALEpassaggio del fronte

Esempi di manifesti che fino agli anni ‘60 venivano affissi nelle aule scolastiche per mettere in guardia i bambini dal giocarecon i residuati bellici, ancora rinvenibili e pericolosi

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Nella seconda quindicina delmese di maggio 1944, S. Lo-

renzo Nuovo si trovò improv-visamente al centro di una atti-vità militare che lasciava pre-sagire il temuto e terribileevento del “passaggio del fron-te”, come venne ricordato inseguito. Convogli di camion,autovetture, mezzi cingolati,carri armati e tanti soldati cheandavano e venivano per lastrada statale Cassia e per lastrada, attuale Maremmana 74,che unisce la bassa toscanacon Orvieto e quindi col suoimportantissimo scalo ferro-viario. La gente si preparavacon un misto sentimento dipaura della guerra e di vagasperanza che finisse una buo-na volta questo anormale si-stema di vita e ritornasse final-mente la pace e la tranquillità.Nessuno però aveva idea diche cosa si doveva fare in con-creto. Le famiglie erano ancoratutte al proprio posto e aspet-tavano.Il 23 maggio, provenienti dalladirezione di Orvieto, un grossogruppo di carri armati tede-schi e di autocarri pieni di ri-fornimenti entrarono nel pae-se. Gli autocarri con le scortedi carburante si attestarono inPiazza Pollarola mentre i carriarmati proseguirono in direzio-ne di Bolsena per fermarsi acirca un chilometro da S. Lo-renzo, nascondendosi nellamacchie intorno al podere diPeppinaccio. Lì si accamparo-no con la evidente intenzionedi ostacolare l’avanzata delletruppe alleate provenientidalla direzione di Viterbo. Ungruppo di tedeschi si acquar-tierò in paese, nel Dopolavoro,cioè nell’edificio ubicato nell’a-rea dove oggi è la sede dellaProtezione Civile. Allora que-sto edificio era molto impor-tante per la vita quotidianadegli abitanti: qui c’era infattil’osteria, luogo di ritrovo perfare due chiacchiere e bere iltradizionale “quartino”; in unlocale attiguo c’era l’ufficio po-stale e al primo piano la scuolaelementare. Era quindi moltofrequentato.Verso le cinque del pomeriggiodel giorno dopo, una squadri-glia di aerei americani si affac-ciò improvvisamente nel cielodel paese e, con repentina pic-

chiata, sganciò grappoli dibombe proprio sul Dopola-voro, sull’antistante fabbricatodall’altra parte della stradaCassia, su di un palazzo pocodistante in Via Marconi.Quando gli aerei se ne andaro-no e si dileguarono le nubi dipolvere dei fabbricati crollati,

alla gente terrorizzata che ac-corse sui luoghi bombardati sipresentò la scena apocalitticadelle macerie, dei corpi dila-niati, delle urla dei feriti, deipianti dei parenti. Cinque mili-tari tedeschi e quattordici pae-sani rimasero uccisi. L’edificiodel Dopolavoro fu completa-mente distrutto insieme allealtre abitazioni. Dopo il primomomento di terrore, furonoestratti i corpi dalle macerie efurono composti pietosamentenell’oratorio parrocchiale.Questi i loro nomi: GiocondoPaladini di 55 anni, colono,coniugato con Giulia Fabbretti;il cinquantatreenne BenedettoSpigaglia, falegname, sposatocon Annunziata Di Marco;Enrico Peruginelli di anni 42,colono, coniugato con ErsiliaStarna; Giuseppe Zanoni - Pep-palice - di 31 anni, colono,marito di Enrica Puri; il dicias-settenne Guido Tomassini,celibe; Antonio Strappafelci di13 anni; Clementina Cuccagnadi anni 65, casalinga, vedova diDomenico Bruschi; ValeriaStarna di 39 anni, casalinga,coniugata con Americo Bab-bucci; Cristina Starna di anni23, nubile; Felicetta Bellocchidi anni 12; Rosa Paladini diappena 7 anni. L’intero paese

si prese cura dei funerali neidue giorni successivi, mentre itedeschi portarono via i lorocaduti.Nella settimana successiva siassistette al quasi completosfollamento del paese, sciocca-to e atterrito dal micidialebombardamento. Chi aveva la

possibilità di essere ospitatonei poderi circostanti, vi sitrasferì con la famiglia e conle masserizie necessarie;molti occuparono le antichegrotte e cavità del paese vec-chio, abbandonato da quasiduecento anni, ed ivi si ap-prestarono a vivere fino allafine ormai imminente dellaguerra e dei bombardamen-ti.Non passò molto tempo, in-fatti, che altri aerei - alle18,30 del 9 giugno - tornaro-no e sganciarono diversebombe sul paese. Fu distrut-ta la vecchia caserma dei ca-rabinieri sita in Piazza Pi-gnattara, tre abitazioni vici-ne in Via Campo della Fiera,

e danneggiate due abitazioniattigue alla chiesa parrocchia-le. I morti furono tre: LorenzoFiloni di 79 anni, vedovo diOttavia Grassini; il settanta-duenne Giovanni Carpegna,marito di Fauta Pacetti, e An-gelo Bisti di 57 anni, sposatocon Assunta Menzigna.

Da questo giorno in poi, mitra-gliamenti aerei e colpi di arti-glieria si avvicinarono sempredi più fino a che non si avvista-rono le prime avan-guardie di truppefrancesi con le loroscatenate truppe dicolore - i famigeratimarocchini -, gli ingle-si e, per ultimi, gli a-mericani. Non ci fu latemuta battaglia: letruppe tedesche si ri-tirarono verso la vici-na Toscana, gli alleatioccuparono il territo-rio dietro di loro.Numerosi furono icasi di ruberia daparte delle truppe dicolore; due o tre don-ne subirono violenza;una donna di 73 annirimase uccisa da uncolpo di arma da fuo-co al Poggio della

Madonna. Nel complesso, co-munque, il paese non subì altridanni ed altri lutti oltre a quelligià sopportati.Gli abitanti rientrarono nelleloro case e ripresero le lorooccupazioni nei campi, compi-to assai urgente, dato il persi-stere della difficoltà di approv-vigionarsi altrove di generi diprima necessità.Per qualche mese ancora l’ef-fetto della guerra produssealtri morti: Salvatore Cucca-gna, di 59 anni, rimase uccisoper lo scoppio di una minamentre in contrada S.Giovannistava vangando insieme al pro-prio figlio; Maria Pacina Neri,di soli 10 anni, morì per loscoppio di una bomba a manoche aveva raccolto sulla stradadi Torano vicino al Fosso diBuffa.L’arrivo delle truppe alleateprovocò l’immediato dissolvi-mento dell’apparato fascistalocale: via il podestà (già dal17 giugno gli atti venivano fir-mati dal segretario comunaleFrancesco Flavio Rizzo), via lamilizia con il famigerato ap-puntato Brancadoro, origina-rio di Farnese, il quale era sem-pre alla ricerca dei giovanirenitenti alla leva.In agosto il nuovo sindacoGiulio Vallati svolgeva le fun-zioni della sua carica. La popo-lazione di S.Lorenzo, con glianimi oppressi dai sacrificiimmani cui era stata sottopo-sta, con la memoria ancoraviva dei recenti orrori aggiunti-si allo strazio per i propri caricaduti nei vari teatri delle bat-taglie, si avviava così versouna nuova vita di democraziae di pace che, per fortuna,dura ancora.

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San Lorenzo Nuovo SilvioVerrucci

Più morti in paese che al fronte

Cippo, nei pressi del cimitero di San Lorenzo,che ricorda 140 caduti francesi.

È simile a quello nei pressi di Viterbo (vedi)

Macerie del fabbricato di proprietà Petrella

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... Era ormai il crepuscolo, quando il frastuono delle esplo-sioni lontane si era minacciosamente avvicinato, con

colpi diretti nelle immediate vicinanze di Onano. Probabilmentegli alleati stavano preparando l’avanzata ed era loro intenzionesgomberare il più possibile il terreno, al fine di garantire ai proprisoldati una maggiore sicurezza. Poi, quasi all’improvviso, mentrenel cielo si affacciavano le prime stelle, i rombi del cannone tac-quero e nei rifugi improvvisati, ricavati nelle nicchie di tufo aridosso del paese, scese una insolita quiete. Ma alle prime luci del-l’alba iniziò quasi subito uno spaventoso cannoneggiamento, il cui

ricordo, purtroppo, rimarrà sempre nella memoria collettiva deglionanesi. Era il 13 giugno 1944, il giorno più lungo, parafrasando iltitolo di un celebre film che racconta lo sbarco in Normandia; ilgiorno che avrebbe segnato il passaggio del fronte nel territorio diOnano.Quella data fu caratterizzata da una sequela impressionante diesplosioni, tra un incessante dirompere di granate le cui scheggeimpazzite fendevano l’aria per conficcarsi ovunque, non rispar-miando uomini e cose. Nei brevi intervalli che passavano tra leesplosioni, si udiva il richiamo concitato di coloro che fuggivanoda un rifugio all’altro in cerca di un riparo piùsicuro. Tra il vociare generale, di tanto intanto si udiva anche il pianto dei bambini spa-ventati, attori inconsapevoli di un film spa-ventoso e atroce. Tra gli adulti prevalse allorala volontà di pregare. Qualcuno si ricordò cheproprio in quel giorno ricorreva la festa diSant’Antonio da Padova, santo che comparein molti dipinti custoditi negli edifici sacri diOnano. Le invocazioni continue e disperateprodussero evidentemente i loro effetti, per-ché l’intera giornata trascorse senza che nes-sun lutto si fosse consumato. Tuttavia il tributo che Onano avrebbe dovutopagare alla cieca ferocia bellica non era anco-ra stato saldato, e la sorte aveva purtroppo inserbo un doloroso destino, che avrebbe colpi-to i luoghi sacri e quel poco di arte che il pas-sato aveva tramandato. Infatti, in uno di queicaldi pomeriggi una bomba d’aereo avevacentrato in pieno la chiesa di S.Croce riducen-dola ad un ammasso di macerie. Coloro cheassistettero al quel disastro videro un pode-roso plurielica solcare il cielo ad una quotainsolitamente molto bassa per quel tipo di velivolo, progettato edutilizzato esclusivamente per il bombardamento ad alta quota.Proveniva dal lago di Bolsena ed era diretto verso la Toscana, manon è dato sapere con esattezza quale tipo di aereo fosse, perchéla ricostruzione dei fatti è basata su poche e frammentarie infor-mazioni. Giunto approssimativamente sopra la campagna diBerogne, il pilota, attratto da chissà che cosa, virò repentinamenteper poi puntare decisamente su Onano, mitragliando l’abitato conla sua artiglieria da oltre 12 mm e sganciando sull’edificio sacro ilsuo micidiale peso, verosimilmente una bomba al tritolo da 500libbre (226 chilogrammi) con detonatore a impatto. Seguì un fra-

stuono assordante, poi una grande nuvola avvolse l’edificio.Quando la polvere si dileguò, della chiesa non rimanevano che lemura perimetrali. All’interno, sotto i calcinacci, le spoglie di donBartolomeo Ferri, pievano di Onano, e il dipinto tanto caro a donEugenio Pacelli che raffigurava la Madonna del Buon Consiglio, ilcui volto vene miracolosamente ritrovato intatto sotto le macerie.Solo più tardi si seppe che l’oggetto che aveva attirato l’attenzionedel pilota era stato probabilmente un veicolo nemico parcheggia-to a ridosso del sacro edificio. Al tributo della chiesa il paeseuniva anche il sacrificio di una piccola bimba che, raggiunta da

una scheggia impazzita, spirava poco dopo.La notizia della distruzione della secentesca chiesa diS.Croce giunse inevitabilmente anche all’orecchio attento diPio XII, Eugenio Pacelli, il papa di origine onanese, il qualene rimase profondamente toccato anche per via del dipintodella Madonna del Buon Consiglio, che tante volte, durantei suoi frequenti soggiorni estivi, lo aveva accompagnatonelle sue meditazioni e alla quale era particolarmente devo-to. Non a caso, passato il primo momento difficile del dopo-guerra, le autorità italiane si prodigarono per appagare ildesiderio del pontefice, il quale si interessò personalmenteal progetto di costruzione del nuovo tempio e volle benedi-re la prima pietra. Ciò che avvenne in una storica e memo-rabile udienza concessa alle autorità onanesi il 5 ottobre1953: una delegazione guidata dall’allora sindaco Antonio

Scalabrella, dall’arciprete don Giulio Martella e da monsignorPietro Cherubini. E gli onanesi riconoscenti vollero intitolare a PioXII la piazza antistante la chiesa. Quando il 9 ottobre 1958 si spar-se la notizia che il papa si era spento nella sua residenza estiva diCastelgandolfo, per il paese fu lutto cittadino, e una delegazionevenne inviata per partecipare alle solenni esequie. Il successivo 20ottobre l’Osservatore Romano riportava in una sua nota la seguen-te notizia: “... Tra le autorità erano presenti... il sindaco, la giuntamunicipale e l’arciprete dela cittadina di Onano, legata alla casaPacelli da antici vincoli e al defunto pontefice da viva gratitudine”.

Lo stesso triste destino toccò in sorte, qualche giorno dopo,anche al convento dei frati, che fu minato insieme ad altre civiliabitazioni e fatto saltare in aria dai soldati tedeschi nel tentativodi ritardare il più possibile l’avanzata inesorabile degli alleati. Ilfatto avvenne in piena notte, quando un lungo e tremendo boatoscosse la terra e svegliò tutti gli abitanti. Al mattino, i cumuli dicalcinacci, le monche mura perimetrali dei vari edifici dilaniatidalle bombe, e le rovine sparse ovunque, offrivano agli occhi stan-chi degli onanesi uno spettacolo desolante. Ancora più triste, peralcuni di loro, fu constatare che la propria abitazione non esistevapiù, e questo solo perché era ubicata a ridosso della strada princi-

SPECIALEpassaggio del fronte

Onano GiulianoGiuliani I giorni più lunghi

Pio XII riceve in udienza le autorità di Onano (1953). In ginocchio il sindaco Antonio Scalabrellacon la prima pietra dell’erigenda chiesa di S. Croce già benedetta dal pontefice

Panorama. Al centro, la chiesa di S. Croce bombardata

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pale, e quindi in un punto strategicamente “utile”per ritardare il più possibile l’avanzata alleata. Unodi questi, il signor Francesco Fabbrini, decedutoda alcuni anni, era solito ricordare ai propri nipoti

quella terribile esperienza che aveva vissuto in prima personainsieme alla sua famiglia. Quando tornò in paese dal rifugioimprovvisato del Carosello, trovò la sua casa ridotta ad un ammas-so di macerie, e mentre tutti festeggiavano l’ingresso in paesedelle prime truppe alleate, lui era impegnato ad estrarre dai calci-nacci quei pochi oggetti necessari alla vita di tutti i giorni cheancora potevano essere utilizzati. A differenza degli altri, non siera goduto neppure il primo giorno di liberazione.Infine, nell’ultima ora di guerra sul nostro territorio, un terzo edinnocuo edificio sacro dovette soccombere, preso di mira dallafuria bellica: la chiesa dedicata alla Madonna del Piano, spietata-mente e orrendamente dilaniata da un colpo di cannone. Tuttavia,ancora una volta la mano distruttrice non era riuscita ad infieriresul volto del dipinto, e come la Madonna del Buon Consiglio nellachiesa di S. Croce, così la Madonna del Piano, pregevole opera delPastura, noto allievo del Pinturicchio, uscì malconcia ma sostan-zialmente indenne dal disastro. Per molto tempo il dipinto restòalle intemperie, perché naturalmente si pensò prima a riparare idanni più gravi e più utili per la vita quotidiana; soltanto successi-vamente gli onanesi si accorsero che era rimasto ancora qualcosada salvare. Era però ormai troppo tardi: la pioggia, il sole e le altre

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Dopo la raccolta dei balzi di grano in campagna e la rapida doccia a casa, in quella mattina diinizio estate 1972 mi recai all’inaugurazione della via al tenente Trifone Marricchi (1916-1943).Il picchetto d’onore militare, le autorità politiche (l’on. Iozzelli) e religiose, così come anche i lorodiscorsi rendevano solenne, importante e bella la cerimonia. Alla mia mente di adolescente sfug-giva però qualcosa della motivazione. L’età più matura mi ha rivelato che la vicenda dellaDivisione Acqui a Cefalonia ha segnato una delle pagine più eroiche e drammatiche della storiad’Italia. Il tenente Marricchi Trifone era uno degli ufficiali del 17° reggimento fanteria della divisio-ne Aqui (plotone comando, 5a compagnia) e cadde a Kardakata il 21settembre 1943 facendoguadagnare al proprio reggimento una medaglia d’oro al valor militare. Dopo aver combattutosul fronte greco-albanese dall’agosto 1941 al dicembre 1942, quel reggimento presidiò l’isola diCorfù. In una foto l’ufficiale onanese (portava il nome del santo patrono) è insieme alla moglie,signora Cappon Lea, proprio nel capoluogo. Dal gennaio 1943 la divisione operò a Cefalonia; aseguito poi dell’armistizio (8 settembre 1943), dal 15 al 22 settembre la Acqui combatté contro itedeschi. Nei combattimenti morirono 65 ufficiali e 1.250 soldati italiani: il generale Gandin fufucilato due giorni dopo insieme ad altri 360 ufficiali e 600 soldati. I caduti saranno in tutto9.640, fra questi anche altri viterbesi: Moretti Giuseppe (Grotte di Castro), Paioletti Santo (Acqua-pendente), Piergiovanni Vittorio (Montefiascone), Tosi Aldo (Tuscania), Salvati Terenzio(Capranica).

Sul fronte greco, in quell’8 settembre, si trovava anche un mio vicino di casa: Domenico Corsini detto anche Meco del cappellone (nato adOnano nel 1921), del 7° Cavalleggeri di Milano e medaglia di bronzo al valor militare (DPR del 9 ottobre 1967). In uno dei suoi lunghi pomerig-gi solitari mi raccontava della guerra combattuta sul fronte greco e poi iugoslavo. Mi ricordava che dopo essere stato fatto prigioniero insiemead altri soldati italiani dai tedeschi (Atene), fu condotto in Iugoslavia dove però riuscì a scappare dalla prigionia per unirsi poi ai partigiani dellaGaribaldi/Belgrado. Il diploma del ministro della Difesa (15 gennaio 1968) completa il suo partecipato racconto orale, motivando i contenutidell’azione fatta dal giovane soldato nella fredda nota dell’onorifico: “Prendeva parte alla lotta partigiana in territorio straniero distinguendosiper coraggio ed entusiasmo. Porta arma tiratore, nel corso di un aspro combattimento contro preponderanti forze nemiche, allo scopo di facilita-re l’avanzata del suo reparto si portava, di sua iniziativa, in posizione scoperta più idonea a colpire l’avversario. Inceppatasi l’arma e nell’im-possibilità di ripararla, trascinava valorosamente i commilitoni in un assalto all’arma bianca fino al raggiungimento dell’obiettivo. Spanske-Njive(Iugoslavia), 17 gennaio 1945”. Al preciso documento ministeriale, ancora oggi preferisco la voce narrante del protagonista.

A Rolando Mochi (1914-1944) è intitolato lo slargo all’ingresso di Piazza Pio XII ad Onano. Non senza qualche iniziale disappunto, una mode-sta targa in cartone a ricordo del partigiano venne posta già nei giorni seguenti il passaggio del fronte, ma quella fu poi sostituita nei mesi suc-cessivi da una targa in marmo. Facente parte della banda del sottotenente Enzo Marziantonio, Rolando Mochi fu ucciso in combattimento datedeschi in località Orticaria a San Quirico di Sorano (GR) il 12 giugno 1944. Il giorno precedente aveva disarmato un soldato tedesco lascian-dolo libero affinché, congiungendosi al suo reparto, involontariamente, permettesse al gruppo partigiano di conoscere l’entità e i movimenti dellaforza tedesca. Nel contrattacco del 40° reggimento Jager della Luftwaffe che seguì, il partigiano onanese rimase ucciso. Prima di essere sepoltonel cimitero di San Quirico (13 giugno; nella medesima fossa fu tumulato anche il partigiano Ugolino Lombardi), il cadavere oltraggiato rimaseesposto in San Quirico. Poco dopo il passaggio del fronte, il suo corpo fu riesumato e condotto ad Onano dal suocero per essere collocato nellocale cimitero. Dopo l’8 settembre ‘43, il Mochi, insieme a un folto numero di giovani renitenti alla leva assalì la caserma dei carabinieri di Onano prelevando-ne le armi e intimando loro di distribuire alla popolazione l’ammasso del grano. Gli assalitori si portarono quindi verso Pitigliano e presero con-tatti con la Banda di Montauto e di Montebuono. Del gruppo di Rolando Mochi faceva parte anche la moglie Lida Mancini. Al termine del conflit-to, Onano contò le vittime militari e civili nonché i danni: 85 famiglie senza tetto, la distruzione dell’antica pieve, della caserma, dell’ufficio posta-le e della farmacia. Tra tanta distruzione anche in questa parte d’Italia era però riaffermata la democrazia.

Da ricordare BonafedeMancini

Il tenente Marricchi Trifone

intemperie, per troppi anni avevano offeso l’immagine dellaVergine e fatto sparire quasi del tutto gli altri affreschi cinquecen-teschi presenti sulle monche pareti pericolanti. Un successivointervento permise di salvare almeno la parte essenziale dell’ico-nografia della Madonna del Piano, che ancora oggi costituisceun’importante testimonianza d’arte pittorica locale.

Effetti dei bombardamenti a Onano

Onano

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Nel 1944, come in precedenti occasioni,Acquapendente ha avuto una certa

importanza strategica e non poteva esserealtrimenti per un paese che deve la suanascita e il suo sviluppo alla strada che loattraversa. I reparti del maresciallo Kessel-ring scelsero la città come appoggio alletruppe tedesche in ritirata e caposaldo perostacolare l’avanzata delle truppe alleate,nel tentativo di fermare il fronte di guerrache da Roma stava risalendo verso il nordItalia. Ma l’esercito tedesco ben prestodovette ancora arretrare: in quei giorni esubito dopo, con il passaggio del fronte, gliaquesiani vissero il periodo più tragicodell’ultimo secolo, ancora molto vivo neiricordi della gente sebbene, a volte, taliricordi siano imprecisi ed esagerati daparte di quei nonni che allora erano bam-bini.Molti ricordano che i tedeschi, prima delpassaggio del fronte, erano acquartierati indiverse zone del comune: il quartier gene-rale era nella villa La Sbarra e presso ilconvento dei cappuccini; due ospedali diguerra si trovavano presso la scuola ele-mentare e l’albergo Roma: erano chiamaticomunemente “lazzaretti” e sui loro tettiera dipinta una grande croce rossa; ungiorno alla settimana i medici facevanoambulatorio anche per gli aquesiani.Inoltre i tedeschi avevano un presidioanche presso il castello di Torre Alfina e lagente non ricorda come oppressiva la loropresenza. Molte persone erano chiamateper la costruzione o la riparazione degliedifici da essi utilizzati; altri, come il bar-

biere, a fare servizio ai soldati presentinegli ospedali. Tutti i morti tedeschi venivano sepolti nelcimitero sotto una semplice croce con illoro nome, ma per ognuno veniva fatto ilpicchetto d’onore; dopo la guerra le salmesono state riesumate e trasportate alpaese d’origine. Ci fu anche un sabotaggio alla linea telefo-nica che congiungeva Acquapendente conla villa esterna al paese, sede del comandotedesco; allora molti aquesiani furonoobbligati a sorvegliare tale linea dopo il ri-pristino. Nei primi mesi del 1944, seppur con i pro-pri soldati al fronte o prigionieri, Acqua-pendente non era ancora completamentepartecipe della guerra. Certo si avvertivala fame, la carenza delle materie prime, e ilpassaggio dei camion tedeschi che porta-vano i soldati, spesso poco più che ragaz-zi, a Cassino dove era in corso una dellepiù tragiche battaglie del conflitto in Italia.Il vero volto della guerra apparve con lacaduta di Cassino e la stretta degli alleatiintorno a Roma, quando cominciarono ibombardamenti di un’ampia area per fre-nare i rifornimenti tedeschi verso la capita-le: le ferrovie, i ponti, le strade e i principa-li centri presidiati furono tra i primi obiet-tivi colpiti.Così molti aquesiani, dopo i primi bombar-damenti, fuggirono dalle loro case per rifu-giarsi nelle cantine che divennero improv-visati rifugi antiaerei, o evacuarono dalpaese verso i poderi più sperduti del terri-torio circostante, per essere ospitati da

parenti e amici. Sono di questi giorni gliepisodi umanamente più toccanti e le sto-rie di ordinaria paura e crudeltà, comuni atutte le guerre.Molti abitanti del paese dormivano nelleprofonde cantine sotto i poggi; i letti di for-tuna erano sistemati sulle botti e ognunoportava con sé e custodiva gelosamente ipochi oggetti di valore e soprattutto il ciboancora rimasto. Pur di non veder morire difame i propri figli, una madre di famigliapartì da Roma a piedi e tra sfollati, sbanda-ti e truppe di varie nazioni, arrivò fino adAcquapendente, dove alcuni parenti le det-tero quei pochi chili di farina e fagioli cheriuscirono a racimolare e tornò a casaquasi miracolosamente. Una famiglia di contadini, durante il canno-neggiamento del castello di Torre Alfina, sirifugiò, come tante altre, in una grotta nelbosco, ma il buio, la paura dei soldatisbandati, il rumore dei bombardieri feceroperdere loro l’orientamento al punto che imalcapitati non trovano l’uscita e cadderonella più nera disperazione credendo, perinterminabili ore, che l’ingresso della grot-ta fosse crollato per le bombe e di essereormai sepolti vivi.Nei boschi dell’attuale Riserva di MonteRufeno e tutto intorno ad Acquapendentefu un brulicare sospettoso di gente acco-munata dalla paura: contadini che nascon-devano se stessi e le loro povere cose daitedeschi in ritirata o da altri più affamati diloro; soldati dell’esercito italiano che,dopo l’otto settembre, stavano tornando acasa e che si erano fermati presso famigliedi contadini che a loro volta, rischiando lavita con incredibile generosità, li sfamava-no e li nascondevano dai repubblichini;soldati lanciatisi con il paracadute da aereiabbattuti dai tedeschi; gente sfollata daAcquapendente e dai paesi vicini. Si na-scondevano nei boschi i fuggitivi delcampo di concentramento che si trovavanei pressi di Ser Modesto ed ospitava circa150 prigionieri: anch’essi erano nascosti eprotetti dai contadini. Due prigionieri ame-ricani e un russo, dopo la precipitosa riti-rata dei tedeschi da Torre Alfina, rispar-miarono nuovi lutti alla popolazione,andando incontro alle truppe alleate conun lenzuolo bianco in segno di resa.Nel registro dei morti del comune si trovaun ragazzo, Roberto Marzocchini di anni13, morto per bombardamento aereo il 9marzo a Torre Alfina in località Fornovec-chino, dove c’era un hangar per la ripara-zione di aerei tedeschi. La prima vittima inAcquapendente fu invece del 29 aprilequando, alle 11 di mattina, il paese fu col-pito dal bombardamento che causò anchealcuni feriti. Il 6 maggio fu bombardata alle11,30 la zona del Paglia con distruzione delponte sul fiume e la morte di Guglielmo ePasquino Rappuoli.Il 26 maggio ci fu ancora un bombarda-

SPECIALEpassaggio del fronte

Acquapendente

MarcelloRossi

Non solo le case,furono da ricostruire

La “cattedrale nel deserto”: il duomo di Acquapendente dopo il bombardamento dell’8 giugno 1944

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mento notturno con distru-zione di vari edifici (caseMangini e Gatti a Via delRivo) e all’1,30 è registrata

la morte per causa del bombardamento diMario Mangini di anni 18 e di EmulioRomanini di anni 47.L’8 giugno, festa del Corpus Domini, ci fuun grosso bombardamento pomeridianoche causò molti morti e feriti all’internodell’abitato nella zona dell’Oriolo e delCorniolo. Ci fu anche l’esplosione di alcunicamion tedeschi con munizioni e carbu-rante riparati sotto gli alberi del piazzaledel duomo. In quell’occasione morironomolti soldati tedeschi che furono sepolti inuna fossa comune nel cimitero.

Il duomo subì gravissimi danni: la facciatafu crivellata di colpi e l’interno dell’edificiocrollò parzialmente; furono distrutti gliaffreschi settecenteschi di ApollonioNasini sulla volta e sull’abside della chiesa;si salvò invece miracolosamente il bustomarmoreo di Innocenzo X, eseguito daAlessandro Algardi alla metà del 1600 ecollocato sulla facciata del duomo, sopra ilportale.Il 9 giugno, un bombardamento notturnodistrusse la chiesa di Santo Stefano e recògravi danni al quartiere di Santa Vittoriacon altri morti e feriti.Il 12-13 giugno gli alleati cannoneggiaronol’abitato giorno e notte, dalla valle di Bol-sena, con danneggiamento grave di nume-rosi edifici e moltissimi tetti e solai.Il 14 giugno i tedeschi cercarono di sbarra-re le strade con brillamento di caricheesplosive che distrussero la grande torre,detta del Papirio, facente parte dell’anticacinta muraria: essa rovinò e ostruì la stra-da Cassia. Furono fatti saltare anche ilPalazzo Bigerna e la casa di fronte chechiusero Via di Porta Fiorentina, oggi ViaMarconi, la chiesa di S. Maria delle Colon-ne e la cappella della Madonna del Fiore,poi tutti i vecchi olmi sui lati della Cassiaoltre porta Fiorentina. Era questa la strategia operata soprattuttoda corpi di “guastatori” che avevano ilcompito di distruggere ponti, alberi, case,e di posare le mine per ritardare l’avanzata

alleata e favorire l’insediamento di truppetedesche su posizioni più forti. Infatti laritirata dei tedeschi non fu rapida: gli aque-siani ricordano di un semovente piazzatonei pressi della fornace che fermò il frontedi guerra per un giorno.Alcune cariche di dinamite posizionate daitedeschi però non esplosero: qualcunoricorda di aver visto tutti gli alberi dellaVia Onanese con candelotti inesplosi legatiai tronchi. Fortunatamente non esploseneppure una grossa bomba posta sotto uncampanile del duomo per ostruire con lemacerie la via Cassia e non crollò neancheil vicino ponte sul torrente Quintaluna.Nonostante l’avanzata degli alleati, il 14giugno i tedeschi erano ancora ad Acqua-

pendente. Alleore 15 ucciseroinfatti due anzia-ni nei pressi diCappuccini, ilsessantenne Fi-lippo Agostini ela moglie SantaTrisciani, che sirecavano in cam-pagna e, noncomprendendole intimazioni deisoldati, furono ri-tenuti spie e fuci-lati. Il 15 giugno infi-ne le truppe al-leate entraronoin Acquapenden-te. Così fontifrancesi ricorda-no gli episodiavvenuti nella

zona: “Il battaglione (5° reggimento tiratorialgerini) spingeva su Acquapendente doveattaccava i sobborghi verso sera, subendoviolenti tiri di artiglieria e incontrandomolte mine”.I primi ad entrare furono i francesi con letruppe di colore: i marrocchini, come liidentificava la gente. Questi, per due giorniprima dell’arrivo degli americani, saccheg-giarono le case e fecero gravi violenzesulle donne. Per paura di rastrellamenti eritorsioni è passata sotto silenzio l’uccisio-ne, da parte di alcuni aquesiani, di un mar-rocchino armato che era entrato in un rifu-gio e voleva prendere delle ragazze, e quel-la di un tedesco, presso il podere Boccio-na, sorpreso a rubare un prosciutto: letante violenze perpetrate dai soldati forni-scono tutt’oggi giustificazione a questaomertà.Il grosso delle truppe passò successiva-mente e, trovando le principali vie ostrui-te, transitò per Via Roma, Via Cesare Bat-tisti, risalì Via Malintoppa e riprese il cam-mino verso la valle del Paglia: il passaggiodei soldati e dei mezzi blindati per le stret-te vie del paese fece tremare le vecchiecase come fosse il terremoto.Le strade principali furono liberate dallegrandi ruspe americane che l’esercito siportava al seguito e che gli aquesiani vede-vano per la prima volta. Dopo l’inizialesconcerto, questi chiesero se, oltre che asgombrare le strade dalle macerie, le ru-

spe potessero spianare un pò il camposportivo: evidentemente la paura stavapassando!Per favorire il transito sul fiume Paglia, dalmomento che il ponte era stato prima dan-neggiato dai bombardamenti e poi comple-tamente distrutto dai guastatori tedeschi,gli alleati costruirono un ponte di barche.Gli americani al loro passaggio davano allagente sigarette, cioccolate e scatolette;rimasero un po’ di tempo ad Acquapen-dente istallando un grande tendone inlocalità Madonnina come punto di ristoroper le truppe e la sede della Militar Policeall’albergo Milano. Il 18 giugno, un ufficiale della 5a armataamericana di evidenti origini italiane,Santo A.Giampapa, nominò due sindaciper l’amministrazione del comune: LivioRonca ed Enrico Cordeschi.Dai primi di giugno fino a questa dataanche gli uffici pubblici erano stati abban-donati. Infatti tutti i morti dei bombarda-menti avvenuti dopo il 5 giugno furonoregistrati solo a partire dal 24 giugno,quando gli atti di morte vengono firmatidal sindaco Ronca in veste di ufficiale distato civile.In risposta ad una nota del prefetto diViterbo del 10 luglio 1944, con la quale sichiedono informazioni relative alla parten-za dei tedeschi e ai bombardamenti, indata 25 luglio 1944 il sindaco Cordeschirisponde: “... dopo la partenza dei tedeschi,questa popolazione si è sempre mantenutacalma e disciplinata, pertanto, fatti degni dinota e dipendenti da questi cittadini, nonesistono. Si sono verificati invece, fatti incre-sciosi, per colpa delle truppe sia francesiche di colore. Si lamentano una ventina dicasi di violazione di donne ed il sistematicosaccheggio sia delle abitazioni che dei nego-zi, uffici, cantine e magazzini. Oltre il 90%di detti locali, sono stati forzati e completa-mente svaligiati.Circa i danni arrecati dai bombardamenti edal cannoneggiamento, si ritiene che il 50%dei fabbricati siano stati più o meno danneg-giati, tanto nel capoluogo che nella frazionedi Torre Alfina: danni molto più lievi nellafrazione di Trevinano. Tra i fabricati mag-giormente danneggiati vanno compresi: ilduomo, completamente rovinato, la chiesadi S. Stefano distrutta ed i locali dell’ospeda-le civile, orfanotrofio, palazzo comunale,scuole elementari e palazzo Viscontini,monumento nazionale...”.Alla fine di tutte le operazioni belliche adAcquapendente si contarono 38 militarimorti al fronte e 41 civili morti per “bom-bardamento” o a “seguito azione bellica”:la guerra si era combattuta ovunque.

A sessant’anni da questi episodi ci è parsodoveroso, oltre a consultare i documenti,raccogliere le testimonianze di chi ha vis-suto questi giorni drammatici: a tutti loroun grande ringraziamento per aver dato uncontributo alla ricostruzione di questoimportante seppur doloroso periodo stori-co. Un ringraziamento particolare aGiovanni Riccini, per la preziosa collabora-zione quale ufficiale d’anagrafe e stato civi-le (a r.) del comune di Acquapendente.

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Acquapendente 1944: edifici bombardati

Acquapendente

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Il secondo conflitto mondialetoccò Proceno in maniera

piuttosto marginale. Soltantodurante l’occupazione tedescail paese toccò con mano ladura realtà della guerra. I ripe-tuti bombardamenti che l’avia-zione alleata compiva sullavalle del Paglia, dove la Cassiaera l’obiettivo principale, ter-rorizzavano la popolazioneche dall’alto della collina vede-va esplodere le bombe semprepiù vicine alle proprie case; inuno di questi bombardamentifu colpito il ponte Gregorianosul fiume Paglia, distrutto inbuona parte. Altri bombarda-menti furono compiuti nellacampagna circostante, dove imucchi di fieno accatastati daicontadini furono scambiati dairicognitori per accampamentinemici e quindi obiettivo dellebombe dell’aviazione; durante

queste incursioni si contaronoalcuni feriti nella popolazione.I tedeschi avevano requisito inpaese due palazzine che funge-vano da comando e inoltresistemarono un piccolo canno-

ne sul punto più alto delpaese. Il loro comporta-mento verso la popola-zione fu abbastanza cor-retto e soltanto verso lafine dell’occupazione, acausa degli scarsi ap-provvigionamenti di ci-bo, furono compiute raz-zie di generi alimentari.La popolazione intantoaveva abbandonato ilpaese riversandosi nellecampagne circostanti,andando ad abitare i co-siddetti “rifugi”, che era-no spesso degli anfrattiesistenti nelle boscaglievicino all’abitato. Gli uni-ci coraggiosi che rimase-ro nelle loro case furonoil prete, i vecchi e i mala-ti, che non potevanolasciare la propria casa.Il 14 giugno i tedeschi la-sciarono il paese e nella lororitirata minarono, allo scopo dirallentare l’avanzata alleata, ilponte sul torrente Stridolone.Tre giorni dopo, esattamente il17 giugno, arrivarono i maroc-chini comandati da ufficialifrancesi che non incontrarononessuna resistenza, se si esclu-de una piccola scaramucciacon tre soldati tedeschi cheprobabilmente si erano attar-dati, la quale si risolvette conla cattura di uno e l’uccisionedegli altri due poco lontanodal paese. Quando il giorno se-guente giunsero gli americani,i procenesi sparsi nella campa-gna furono richiamati in paesedal suono festante delle cam-pane che annunciavano la finedel pericolo. Così le truppeamericane vennero salutatecome liberatori da una follaesultante alla quale i soldatielargirono le fino allora scono-sciute gomme da masticare,cioccolata e sigarette, oltre aviveri consistenti soprattutto

in fagioli in scatola che parefossero buonissime. CosìProceno il 18 giugno 1944passò sotto il Governo MilitareAlleato lasciandosi alle spalle

la guerra e i suoi tragici risvol-ti. Si ritornò pian piano allanormalità cercando di dimenti-care quel brutto periodo dellapropria storia.

SPECIALEpassaggio del fronte

Proceno GabrieleMannaioli Tre giorni di nessuno

EditoreAssociazione Culturale “la Loggetta” onlus

Direttore responsabileAntonio Mattei

VicedirettoreBeniamino Mechelli

RedazioneStefano Bordo, Antonella Cesàri, Anna Ciofo,

Rosa Contadini, Giuseppe Imperiali

Elaborazione immagini e impaginazioneMario Mattei

FotografiaLuigi Mecorio

WebmasterCarlo Bronzetti

Cd-romVincenzo Melaragni

Traduzione in inglese on-lineAnna Mattei

StampaTip. Ceccarelli - Grotte di Castro

Aut. Tribunale di Viterbon° 431 dell’8 maggio 1996

Direzione, redazione, amministrazionePiazza dell’Indipendenza 15-16

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NUMERO SPECIALE REALIZZATO CON IL PATROCINIODELL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI PIANSANO

LETTERA DI UN BAMBINO A GESÙNatale 2004

A te, cara “Loggetta” di Piansanoquest’oggi dedicare voglio versiche riguardano il popolo italiano,che riguardano i popoli diversi.E sia un bambino perché è puro, sanoa suggerirmi quelli più detersiper rafforzare il grido che non tacein segno dell’amore e della Pace.

E già una voce, pare che mi arrivida un’eco, sento in cuore dirmi: scrivi:

Amore, grida forte: Pace!Ma la guerra è sorda,il terrore è sordo.E tra Oriente e Occidentele voragini si aprono,le città fumano;e la Pace precipitacon il cielo in rovina.

E dentro gli occhisi annida la paura,bianchi come lenzuolagonfi come bulbifondi come pozziin cui la morte bevegli ultimi sospiri.

E noi bambini geliamo,siamo fiori ricoperti di brinain questo braccio di ferro che ci stringe,che ci stritola i sogni.

Altro era il nostro destino.

Accendilo tu, altri non sanno,che in questo giorno nasci,o bambino Gesù,un sole nuovo che illumini le menti.

Un sole che i suoi raggi sventaglitra le rondini garrule;ed al vento li intreccied ai nostri capellie alle mani, alle risa,alle gioie che vogliono volareincontro alle sue vampe.Di farfalle trapunte.

... Un sole nuovoche sulla Pace risplenda.

Ennio De Santis

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SPECIALE passaggio del frontenovembre-dicembre 2004