L PRINCIPESSA EREDITARIA MODENA - Tricolore Italia · 2007. 1. 8. · La Principessa, in grembiule...

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pagina 1 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLORE T T R R I I C C O O L L O O R R E E Quindicinale d’informazione NUMERO 146 1 Gennaio 2007 Reg. Trib. Bergamo n. 25 del 28/09/04 www.tricolore-italia.com LA PRINCIPESSA EREDITARIA A MODENA S.A.R. Clotilde di Savoia nell’antica capitale ducale per un’inziativa della Opera Principessa di Piemonte onlus GLI INSOPPORTABILI” - II LE STRUMENTALIZZAZIONI DEL DUCA LA PERSONA: CUORE DELLA PACE GIOVANNA DI SAVOIA - nel centenario dalla nascita IL SANTO GUERRIERO: RE FERDINANDO III INSERTO - REFERENDUM DEL 1946 Aldo Mola “ha scoperto l’acqua calda”

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    NUMERO 146 1 Gennaio

    2007

    Reg. Trib. Bergamo n. 25 del 28/09/04

    www.tricolore-italia.com

    LA PRINCIPESSA EREDITARIA A MODENA

    S.A.R. Clotilde di Savoia nell’antica capitale ducale per un’inziativa della Opera Principessa di Piemonte onlus

    GLI “INSOPPORTABILI” - II

    LE STRUMENTALIZZAZIONI DEL DUCA

    LA PERSONA: CUORE DELLA PACE

    GIOVANNA DI SAVOIA - nel centenario dalla nascita

    IL SANTO GUERRIERO: RE FERDINANDO III

    INSERTO - REFERENDUM DEL 1946 Aldo Mola “ha scoperto l’acqua calda”

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    LA PRINCIPESSA EREDITARIA A MODENA

    Non v'è ormai alcun dubbio e chi ne aves-se avuti, nonostante i brillantissimi risul-tati delle visite a Genova, a Napoli e Tor-re del Greco ed a Torino, dopo il successo della visita a Modena della Principessa Ereditaria si è dovuto ricredere: le inizia-tive di S.A.R. Clotilde di Savoia riscuoto-no sempre un tripudio di consensi, sia da parte della gente sia dagli organi di stam-pa. Anche di quelli che, per il loro schie-ramento ideologico, molti si aspettavano avrebbero avversato o ignorato le attività benefiche della Principessa di Piemonte e di Venezia. Segno chiaro ed inequivocabile del fatto che, come affermò Re Umberto II, la Mo-narchia costituzionale è "un punto d’in-contro in una nazione per tutti i cittadini, per tutti gli interessi, per tutte le idee, anche le più diverse: deve essere un punto di riunione per tutti, perciò non può esse-re, rappresentare un partito". Nel numero 12 del supplemento sovraregionale Nord di Tricolore (datato gennaio 2007 ma eccezionalmente, data l’importanza dell’evento, diffuso già il 14 dicembre u.s.) abbiamo proposto ai nostri lettori una cronaca approfondita della visita della Principessa Ereditaria nell'antica capitale ducale, con un ampio servizio fotogafico. Non ci ripetiamo, anche perché nella rubrica "Stampa" di questo numero proponiamo un estratto degli articoli dedicati dai quotidiani all'evento. Ci preme invece sottolineare come non vi sia veicolo migliore, per una diffusione corretta e democratica degli ideali della Monarchia costituzionale, di un'attività bene-fica seria, corretta e trasparente.

    Memore della fulgida tradizione di carità cristiana delle Principesse sabaude, anche Clotilde di Savoia ha voluto intraprende-re lo stesso cammino teso ad aiutare i più deboli, accettando la Presidenza Onoraria dell'Opera Principessa di Piemonte onlus, un sodalizio apartitico ed apolitico che ha sede a Piacenza ed è attualmente presie-duto dal Comm. Avv. Marco Sgroi. Sbaglia chi afferma che queste iniziative non portano nulla alla causa monarchica.

    Alberto Casirati

    DEI DOVERI DI UNA PRINCIPESSA “Grazie per la vostra umanità, per il vostro sorriso e per il vostro cuore. Questo è per me un impegno importante, in favore della solidarietà. Adesso che sono una principessa faccio beneficenza: è mio dovere fare qualcosa per gli altri.”

    Clotilde di Savoia Modena, 13 dicembre 2006

    Primapagina

    Clotilde di Savoia, accompagnata da Marco Sgroi, viene ricevuta all’Abbazia benedettina di S. Pietro da Dom Gregorio

    La Principessa, in grembiule azzurro, serve il pasrto agli ospiti della mensa per i poveri

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    Al contrario, anche se non vengono ovvia-mente realizzate a questo scopo, esse con-sentono di prendere contatto con i problemi più urgenti della nostra nazione, consenten-do così una più completa presa di coscienza da parte di chi, chiamato dalla storia a re-

    sponsabilità certo non comuni, sente il desiderio, come ha apertamente dichiarato la Principessa proprio in oc-casione della sua visita a Modena, di "fare qualcosa per gli altri". La Monarchia costituzionale erige un ponte diretto fra Sovrani e cittadini, che trova nella tutela dei diritti civili fondamentali e nell'aiuto ai più deboli due delle miglio-ri manifestazioni concrete della sua immensa utilità per il bene comune. E la gente, che non è sciocca, avverte subito tutta la positività di questa simbiosi, tanto più evidente nei tem-pi attuali, caratterizzati dal continuo deteriorarsi del ruolo della politica. In occasione del matrimonio dei Principi Ereditari e-

    sprimemmo sinceramente la nostra ammirazione per le qualità umane che la Principessa aveva già avuto modo di manifestare. Possiamo dire, con intima soddisfazione, d’essere stati buoni profeti, anche a dispetto di chi allora la criticò senza alcuna ragione ed in un modo che preferia-mo non qualificare. Ad maiora, Altezza Reale!

    Alberto Casirati

    IN PRIMO PIANO

    TRICOLORE

    In questa pagina. A sinistra: consegna dei generi alimentari per i giorni successivi. Sotto: la Principessa consegna personal-mente ad ogni ospite un dolce natalizio. In basso, da destra: Clotilde di Savoia ac-colta con entusiasmo dai 130 bambini della scuola del Sacro Cuore. L’omaggio a Re Vittorio Emanuele II, presso il monumento al Padre della Patria restaurato recente-mente ad opera e spese dell’Airh

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    “Io ho scoperto mia madre tardi, quando vivevamo insieme a Merlinge, anche se lei aveva sempre da fare, tra concerti e riunioni con gli artisti e gli intellettuali. Qualche volta riuscivo a trascinarla in un viaggio, o viceversa era lei a chiedermi di partire all’improvviso. Un giorno Maria José mi disse: “Andiamo in Belgio insie-me?”. Io risposi subito: “Non c’è proble-ma, faccio il pieno e partiamo”. Andam-mo noi due soli, con la mia Ferrari. Prima

    di Reims ho dato un po’ di gas, andavo sui 250 chilometri all’ora. Mia madre allora commentò: “A che velocità vai? A 250 all’ora? Sai che quella di tuo zio è più veloce?”. Parlava della Ferrari di suo fratello Leopoldo, re del Belgio, che ave-va anche una Bugatti. Poi a Reims ci sia-mo fermati in un’azienda che produce champagne, ci hanno invitati a colazione e per una visita. E’ stato un bel viaggio quella volta con mia madre, ma ne abbia-

    mo fatti altri di divertenti. Il più lungo che facemmo fu da Ginevra a Lisbona, in automobile. Mia madre all’epoca aveva una sei cilindri Fiat guida a destra, car-rozzeria speciale, e io dovevo sedere da-vanti se no vomitavo. Dietro stavano mia madre e madame Casai. Il secondo viag-gio, sempre Ginevra-Lisbona, l’ho fatto con monsieur Casai, ma in Topolino, la piccola Fiat, era come andarci in… bici-cletta!”. (dalle pagg. 195-196)

    IN PRIMO PIANO

    “Ti scrivo questa lettera in modo che tu sappia con esattezza in quale situazione verresti a trovarti se decidessi di sposare la sig.na Claudel. Tale precisazione si richiama alla legge della nostra Casa, vigente da ben 29 generazioni e rispetta-ta dai 43 Capi Famiglia, miei predeces-sori, succedutisi secondo la legge Salica attraverso matrimoni contratti con fami-glie di Sovrani. (…) Il tuo matrimonio con la sig.na Claudel porterebbe come conseguenza la tua de-cadenza da qualsiasi diritto di successio-ne come Capo della Casa di Savoia e di pretensione al trono d’Italia, perdendo i tuoi titoli e il tuo rango e riducendoti alla situazione di privato cittadino. Perciò tutti i diritti passerebbero imme-diatamente a mio nipote Amedeo, Duca d’Aosta. Siffatta irrevocabile decisione, a cui dovrei giungere con dolore, ma con fermezza, sarebbe da me comunicata ai singoli componenti della nostra casa, a tutti i Sovrani e ai Capi delle famiglie Reali, nonché portata a conoscenza degli Italiani”. Questo il passo centrale della lettera indi-rizzata da Re Umberto II a suo figlio, il Principe Vittorio Emanuele, a proposito di un suo eventuale matrimonio non prin-cipesco. Su questo documento, recente-mente riportato alla ribalta da alcuni or-gani d’informazione, si basa principal-mente la tesi dei sostenitori di Amedeo di Savoia-Aosta, Duca d'Aosta, secondo i quali quest’ultimo sarebbe, sin dal matri-monio del Principe (1971), il vero Capo di Casa Savoia. Ma, come direbbe Shakespeare, “tanto rumore per nulla”. Infatti, la tesi è mani-festamente infondata, come vedremo. Cominciando dall’esame della lettera, rileviamo che:

    A) il Re commise un errore: non è vero, infatti, che il principio della "legge Salica attraverso matrimoni contratti con fami-glie di Sovrani" sia sempre stato legge in Casa Savoia. Basti ricordare, ad esempio, Amedeo V, che fu scelto quale quattordi-cesimo Conte di Savoia nel 1285, nono-stante non fosse figlio del predecessore, bensì nipote e, ciò che più conta, secon-dogenito del Conte di Fiandra Tommaso II. Un altro esempio: lo Statuto concesso da Re Carlo Alberto nel 1848 prevedeva, quale unica condizione per la successione dinastica, il semplice criterio della primo-genitura mascolina (art.2), abrogando epressamente tutte le leggi incompatibili con tale principio (art. 81). B) Il Re menziona sì una possibilità ("tutti i diritti passerebbero immediata-mente a mio nipote Amedeo, Duca d’Ao-sta"), ma pone due condizioni necessarie: il fatto, innanzi tutto, che il Sovrano pren-desse effettivamente una "siffatta irrevo-cabile decisione" e la sua formale comu-nicazione "ai singoli componenti della nostra casa, a tutti i Sovrani e ai Capi delle famiglie Reali", oltre al fatto che essa sarebbe stata "portata a conoscenza degli Italiani". Tutte cose mai avvenute.. C) A Beaulieu, nel giugno 1978 (a 7 anni dal matrimonio!), il Re, già gravemente malato, si presentò ad una grande folla di italiani, per la sua ultima uscita pubblica, con al suo fianco il figlio e la nuora. Ma il punto fondamentale è un altro. Al di là di tutte le motivazioni esegetiche, giuridiche e storiche (che pure danno concordemente torto agli “amedeisti”, come hanno già dimostrato autorevoli giuristi e storici), è essenziale ricordare un elemento decisivo, talmente evidente ed oggettivo da “tagliare la testa al toro”. E’ infatti ovvio che se il Sovrano avesse

    preso una decisione così importante come il passaggio di consegne dal punto di vi-sta dinastico, avrebbe dovuto informare in proposito almeno i diretti interessati: suo figlio ed il Duca d’Aosta. In caso contrario, una tal decisione sarebbe stata inutile, perché sarebbe rimasta sconosciu-ta e priva d’effetti pratici. Il Re ne era ben consapevole, come risulta proprio dalla lettera sbandierata dai sostenitori del Duca d’Aosta. Ebbene, nulla di tutto questo è mai avvenuto. Il Re non passò mai il testi-mone al Duca. Di più: non lo nominò neppure nel proprio testamento. E vi è ancora di più: evidentemente con-sapevole di tutto ciò, proprio Amedeo di Savoia-Aosta ha dimostrato, nei fatti e per decenni, di concordare con quanto affermiamo, in almeno due modi: 1) dichiarando apertamente, ancora nel 2002 e per ben due volte, di considerarsi terzo nella linea di successione dinastica (cfr. il suo libro-intervista “Proposta per l’Italia”, ed. Il Minotauro, 2002) 2) evitando di far presente allo Stato ita-liano che, in forza della XIII disposizione finale e transitoria della Costituzione, in esilio avrebbero dovuto esserci lui e suo figlio invece dei Principi Vittorio Ema-nuele ed Emanuele Filiberto di Savoia. Si tratta di fatti oggettivi e dimostrati. Le attuali ed assurde pretese dinastiche del Duca (si veda il suo comunicato stam-pa dello scorso 7 luglio) e dei suoi soste-nitori di oggi non hanno dunque alcuna ragion d'essere, al di là di tutte le stru-mentalizzazioni mediatiche. Preferiamo non avanzare ipotesi sulle ragioni di un tale comportamento e sulla relativa ed ampia eco mediatica, ma cre-diamo bene interrogarci: cui prodest?

    LE STRUMENTALIZZAZIONI DEL DUCA CMI - Centro Studi

    TRICOLORE

    ESTRATTO DAL LIBRO DI S.A.R. IL PRINCIPE VITTORIO EMANUELE “Lampi di Vita - Storia di un Principe in esilio” (Ed. Rizzoli)

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    ORDINI

    SEGNI E SIMBOLI D’APPARTENENZA NEGLI ORDINI (I) Alain Demurger I fratelli degli ordini religioso-militari appartengono a un'isti-tuzione e formano un corpo. Ciò implica senso dell'onore, fierezza, senso del dovere. Qualcosa che si deve vedere: il mantello, l'insegna, la bandiera, il sigillo sono segni d’appartenenza all'Ordine.

    Vestiti e abito “II primo compito del vestito è indicare il posto di un individuo in seno a un gruppo e il posto di tale gruppo in seno alla socie-tà”. Ciò vale naturalmente per gli ordini religiosi. Il vecchio detto, “l'abito non fa il monaco”, è giusto solo in parte, perché l'identità, la singolarità di un ordine si manifesta-no innanzitutto attraverso l'abito. I primi templari, ci dice Guglielmo di Tiro, sopportavano a ma-lincuore di indossare vestiti laici e di essere confusi perciò con i cavalieri del secolo; la loro regola precisa che indosseranno un abito bianco. Trenta o quarantenni più tardi, i fratelli di Calatra-va o di Alcantara, entrati nell'ordine di Cìteaux, indossano la veste bianca di quest'ordine, come papa Alessandro III confer-ma nel 1164: “inoltre, riguardo il vitto e l'abbigliamento, ciò che il vostro abate e i fratelli cistercensi e il capitolo generale di quest'ordine vi hanno ordinato, ve lo confermiamo”. Bisogna distinguere l'abito dagli altri vestiti. L'abito, in un ordi-ne religioso, designa il solo vestito esterno: la cappa, rnantello chiuso con il cappuccio, o il mantello aperto. I vestiti sono il resto: camicie, calzettoni, veste, sopravveste eccetera. Le regole e gli statuti hanno dato una notevole importanza ai vestiti. Si vuole evitare ogni elemento “superfluo”, ogni lusso nel vestire, seguendo in questo la lezione di S. Bernardo, che opponeva la semplicità della tenuta del nuovo cavaliere (il tem-plare) all'abbigliamento stravagante e ridicolo della cavalleria del secolo. La regola di Santiago precisa: “Che abbiano (i cava-lieri) vestiti bianchi, neri, bruni, secondo la necessità, e pelli di agnello e altre simili, di modesto valore. E avranno ciò secondo le decisioni del maestro”. Ai calatravesi Alessandro III consi-glia di badare “che, in nessuno dei vostri vestiti, possiate essere tacciati di superfluo e di eccentrico”; semplicità, però, non si-gnifica assenza di comodità: “Indosserete tuniche che permetta-no di salire a cavallo” aggiunge il pontefice. Infine bisogna tenere conto dell'armatura e delle condizioni climatiche: in Oriente è consentito indossare camicie e sottove-sti di lino, più leggere e più gradevoli da portare rispetto alle rudi stoffe di lana; in seguito, si accordò questo diritto anche ai

    fratelli degli ordini iberici. I vestiti rivelano la duplice identi-tà, religiosa e militare, dei fratelli. In convento indossano la veste monastica: sulla controfacciata della chiesa templare di San Be-vignate di Perugia, un affresco rappresenta quattro templari nel loro convento, che in-dossano una veste bianca con un cappuccio e una cintura alla vita. La veste bianca dei fratelli degli

    ordini militari ci-stercensi iberici (Calatrava, Alcanta-ra, Avis) è quella dei monaci di Cite-aux. Fuori dal con-vento i fratelli de-vono indossare l'a-bito, cappa monasti-ca chiusa o mantel-lo aperto, portato sopra la veste o l'armatura e conse-gnato solennemente a colui che pronun-cia i voti durante la cerimonia di ingres-so in un ordine mi-litare. L'attribuzione di un abito specifico di ogni ordine risale all'ori-gine stessa di ognuno, anche se la questione non è chiara per il Tempio. Guglielmo di Tiro scrive che il mantello bianco fu attribuito ai templari nel concilio di Troyes, mentre dalla rego-la, redatta nello stesso concilio, risulta che lo indossavano già: abusi scoperti nell'indossare l'abito bianco, infatti, hanno spinto i padri del concilio a limitarne ormai l'uso ai soli cavalieri; altri, e soprattutto i familiari dell'ordine (confra-telli, cavalieri che prestavano servizio a termine) potranno indossare solo un man-tello nero o di colore bigello (grigio-rosso). Per il Tempio, come per tutti gli altri ordini militari a venire, l'abito deve essere in tinta unita. Negli ordini spagnoli e nell'Ospedale i fratelli inizialmente han-no indossato il mantello chiuso, adattato semplicemente alle necessità militari (è accorciato). I fratelli d'armi lo indossavano sopra l'armatura. Era poco pratico. Una decisione di Papa Innocenzo IV autorizzò i fratelli dell'Ospedale a sostituire il mantel-lo chiuso con una sopravveste per il combattimento. Più tardi avvenne lo stesso per gli ordini spagnoli.

    TRICOLORE

    MEDIOEVO E PREGIUDIZI Come è riduttivo definire solo «medioevo», "l'immensa folla di coloro che, sotto lo sguardo di Dio, hanno, per oltre un millennio, servito, in Occidente, la causa del bene, del bello e del vero" (Léopold Genicot)

    ONORIFICENZE VIETATE XIV

    Nel 1953 il Ministero degli Affari Esteri pubblicò una lista d’onorificenze la cui concessione ed il cui uso sono vietati e puniti dalla legge in Italia. Continuiamo la pubblicazione della lista tratta dalla rivista spagnola «Hidalguia»: Union de la Chevalerie Chrétienne Internationale, Union Internationale des Ordres, Univer-salis Meriti ou Ordre Universel des Che-valiers de l'Honneur et des Compagnons du Mérite, Vera Cruz (ordre souverain de la), Vert des Rangers des France (ordre), Zizo (orden independante di), Zoulou-lande (ordre de).

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    Voluta da Urbano VIII, l’opera fu iniziata da Carlo Maderno, con il Borromini, e proseguita da Gian Lorenzo Bernini che la completò nel 1633. I progetti di costru-zione partono dall'uso delle fabbriche Sforza che coincidono, nell'ala verso la piazza e nel corpo centrale, con la costru-zione poi realizzata. L'edificio originale, già acquistato da Giacomo Cesi al Cardinale Pio da Carpi nel 1549 e quindi venduto a Giulio della Rovere, era stato ceduto dagli eredi di questo al Cardinale Alessandro Sforza di Santa Fiora nel 1581. Un improvviso rovescio finanziario della famiglia inter-ruppe i lavori di ristrutturazione e portò nel 1625 alla vendita dell'immobile ai Barberini, che si assicurarono tutta l'area tra la via Quattro Fontane e la via Pia (l'attuale via XX Settembre), quale spazio necessario per il grandioso progetto di palazzo-villa. Il primo progetto si deve al Maderno, che ideò prima una costruzione quadrangola-re che inglobava la villa Sforza secondo lo schema classico del palazzo rinasci-mentale, poi elaborò un progetto ad ali aperte che rivoluzionava questo concetto in quello di palazzo-villa unendo le due funzioni di abitazione di rappresentanza della famiglia papale con l'uso della villa suburbana, dotata di vasti giardini e di prospettive aperte, mentre la facciata ver-so la piazza barberini, che si affacciava già allora su una zona abitata della città, assolve la funzione severa e di rappresen-tanza della costruzione. Alla morte del Maderno subentrò alla direzione dei lavori Gian Lorenzo Bernini che mantenne sostanzialmente il progetto originale, sua è l'ideazione del grande salone centrale che occupa in altezza i due piani del palazzo, così come dell'atti-gua sala ovale dalle armoniose proporzio-ni classiche, che riprende il tema, tipica-mente berninano, della pianta ellittica, sua è anche la concezione della loggia vetrata che fa da tramite allo spazio ester-no sulla facciata ad ali, in rapporto al sottostante porticato, come pure lo scalo-

    ne quadrangolare che da' accesso al piano nobile e che si con-trappone alla scala elicoidale all'estremità opposta del porticato, progettata invece dal Borromini, che già aveva lavorato nel cantiere del Palazzo con lo zio, il Mader-no, il cui intervento è stato individuato an-che nel disegno delle finestre del piano nobile nel corpo centra-le ed in alcuni particolari decorativi, oltre alla scala elicoidale sul modello classico di Caprarola. Dopo l'Unità d'Italia l'area di Palazzo Barberini fu coinvolta nelle speculazioni edilizie e nelle trasformazioni di Roma capitale. La piazza si trovò al centro di un importante nodo di vie, la via Veneto che collegava il nuovo quartiere nato dalla distruzione della villa Ludovisi, la via del Tritone, allargata e rinnovata, alle quali si aggiunse infine la nuova via Barberini finita nel 1932 che completa lo sbanca-mento dell'antico ingresso del palazzo, al quale era stato già eliminato il portale monumentale con la costruzione del vec-chio Hotel Bristol.

    Le collezioni I Barberini avevano già cominciato ad alienare le loro collezioni nel Settecento con le vendite dell'ultima discendente, Cornelia Costanza, sposata a Giulio Ce-sare Colonna di Sciarra. Le liti ereditarie dei figli che si dovettero dividere le pri-mogeniture Colonna e Barberini, portaro-no ad una divisione delle collezioni fra i due rami della famiglia, con un accordo stipulato a Parigi nel 1811. Solo nel 1934, tre secoli dopo la costru-zione, si arrivò alla definitiva dispersione delle collezioni. Mezzo secolo dopo, nel 1984 si migliorò la definizione dell'ordi-namento riportandolo nella sua sede stori-ca originaria la collezione Corsini, e por-

    tando tutte le opere di provenienza da acquisti o da collezioni prive della loro sede storica nel palazzo Barberini. L'intento era di creare in questa sede, quando fosse stato possibile, una Galleria Nazionale nel vero senso del termine, ordinata cronologicamente ma con la possibilità di inserire nel percorso acqui-sti e integrazioni, differente quindi come concezione dalla struttura definita dalle collezioni storiche del panorama romano, viceversa di impianto molto più vicino ai grandi musei stranieri e dotata come que-sti di tutti i più moderni servizi. Nel complesso la collezione è ricchissima di capolavori, soprattutto dei secoli XVI e XVII. Non è rappresentato in modo com-pleto il secolo XV, dove però spicca il fondamentale dipinto di Filippo Lippi con la Madonna in trono con Bambino, datato 1437, in deposito da Corneto Tarquinia. Più consistenti le collezioni del XVI se-colo, fra le quali spicca per notorietà la Fornarina di Raffaello, oltre a dipinti di Andrea del Sarto, del beccafumi, del So-doma, del Bronzino, ad opere del Lotto, del Tintoretto, di Tiziano ed El Greco, fino ad opere bolognesi, per arrivare alla fine del secolo con la splendida Giuditta che taglia la testa ad Oloferne del Cara-vaggio e al grande Seicento con opere di Reni, Domenichino, Guercino, Lanfran-co, Bernini, Poussin, Pietro da Cortona, Gaulli, Maratta.

    CULTURA

    PALAZZO BARBERINI TORNA ALL’ARTE - (I) Diventa Galleria di Arte Antica lo storico palazzo barocco che ha ospitato per oltre 60 anni il Circolo Uffi-ciali, ora trasferito nella palazzina Savorgnan di Brazzà, liberando il pianoterra per l’esposizione dei capola-vori italiani dal 200 al 700, da Raffaello a Caravaggio. L’evento è importante anche per la superficie liberata di circa 3.000 mq. I 700 mq lasciati provvisoriamente ai militari dovrebbero rapidamente essere restituiti, per permettere al mo-numento di usufruire finalmente dei suoi 13.000 mq, cioè dello spazio del fiorentino Palazzo Pitti.

    TRICOLORE

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    INFORMAZIONI

    INTERVENTI UMANITARI DELL’AIRH IN ITALIA E ALL’ESTERO

    TRICOLORE

    L’Associazione Internazionale Regina Elena continua nella sua attività benefica. Nella seconda. metà del mese di dicem-bre ha fatto consegnare: - in diverse città doni nuovi a famiglie (€. 48.031,00) - a Napoli 50 giocattoli nuovi e 60 kg di dolci a bambini della chiesa di S. Carlo all’Arena (€. 1.350,00) - a Rovereto (TN) alla Cooperativa Ama-lia Guardini per ragazzi handicappati vi-veri ed aiuti umanitari (€.10.392,00) - a Gardone Riviera (BS) ai Servizi socia-li del Comune aiuti alimentari (€. 110,62) - a Genova alla mensa dei Cappuccini di Padre Santo aiuti alimentari di Ancona (€. 362,00) - ad Udine alla Associazione Io, Tu, Noi dolci natalizi (152,00) - a Palmanova (UD) al Comitato locale della CRI dolci natalizi (€.215,00) - a Modena alla mensa della Badia di S. Pietro aiuti alimentari e giocattoli (€. 13.570,80) - a Medea (GO) all'Istituto Villa S. Maria della Pace dolci natalizi (€. 25,00) - a Gorizia alla parrocchia di S. Valeriano dolci natalizi (€. 15,00) - a Modena alla mensa della Badia di S. Pietro 101 panettoni natalizi donati dalla delegazione di Ancona (€. 191,00) - a Gorizia al convento dei Padri Cappuc-cini dolci natalizi (€. 30,00) - a Latisana (UD) al Comitato locale della

    CRI dolci natalizi (€.125,00) - a Gradisca d’Isonzo (GO) al centro resi-denziale CISI dolci natalizi (€. 30,00). - a Capriva del Friuli (GO) alla Scuola Materna di Villa Russiz dolci natalizi (€. 15,00) - a Palmanova (UD) alla Scuola materna “Regina Margherita” dolci natalizi (€. 340,00) - a Trieste alla Scuola di bambini La Ma-dre dolci natalizi (€. 21,42) - a Trieste alla parrocchia di S. Giacomo Apostolo aiuti alimentari e dolci natalizi (€. 122,92) - a Trieste alla parrocchia di S. Giacomo Apostolo aiuti alimentari (€. 24,60) - a Modena doni nuovi a famiglie povere (€. 12.865,00) - a Pompei (NA) alle Carmelitane di S. Teresa del Bambino Gesù dolci natalizi (€. 122,59). - a Modena alla mensa della Badia di S. Pietro aiuti alimentari e dolci natalizi (€. 2.584,70) - in Libano n. 28 colli di medicinali a lunga scadenza (€. 28.306,37) - a Modena all’Istituto del S. Cuore aiuti alimentari ed umanitari (€. 2.526,45) - a Genova ad un reparto dell’IST (Centro anti tumori) 50 panettoni artigianali nata-lizi (€. 150,00) - a Genova a 9 istituti per anziani, malati e bambini dolci natalizi (€. 2.520,00)

    ARCHEOLOGIA A VERUCCHIO

    Al Teatro "E. Pazzini" di Verucchio (Rimini) si è tenuto il 19 novembre la conferenza su Archeologia a Verucchio. Musei, scavi, progetti di Patrizia von Eles, direttrice del Museo Civico Arche-ologico e degli scavi di Verucchio, che ha fornito una relazione preliminare delle campagne di scavo 2005 e 2006 nella necropoli Lippi e ha illustrato il più am-pio progetto che culminerà nella realiz-zazione del Parco Archeologico e che ha già visto l'allestimento della mostra "Il potere e la morte" (in corso fino al 6 gen-naio 2007) e la preparazione della prossi-ma mostra sulle figure femminili, pro-grammata per il mese di maggio 2007. La conferenza è stata anche un'occasione per illustrare la crescita che il Museo ha avuto in questi anni, sia in termini di aumento dei visitatori che di incremento delle attività didattiche che stanno regi-strando un notevole successo, confer-mando la realtà archeologica di Veruc-chio come una delle più importanti del-l'intero territorio nazionale. La giornata è stata dedicata alla memoria del Prof. Gino Vinicio Gentili, Soprin-tendente per i beni archeologici dell'Emi-lia-Romagna negli anni Settanta del se-colo scorso, scomparso nel luglio di que-st'anno.

    LA PATRIA E LA MEMORIA A ROMA Il 23 novembre, a Palazzo Mattei di Giove, alla Biblioteca di storia moderna e con-temporanea, nell'ambito di "Opereprime. Ciclo di incontri con giovani storici", verrà presentato il volume di Simona Troilo, La patria e la memoria. Tutela e patrimonio culturale nell'Italia unita (Electa, 2006). Simona Troilo ha presentato il primo esempio di storia sociale e culturale della tutela del patrimonio storico-artistico italiano. Il volume ricostruisce la nascita e lo sviluppo del sistema della conservazione dei beni d'arte e d'antichità, utilizzando una prospetti-va peculiare: quella del valore identitario assunto dalle testimonianze del passato nel-le comunità e nei luoghi in cui erano conservate. Intrecciando le vicende della tutela con i processi del nation-building, l'autrice individua nel patrimonio un terreno di elaborazione e rappresentazione di progetti, ambizioni, aspirazioni propri di gruppi sociali specifici. Spazio di sapere, pratica sociale, ambito di potere, il patrimonio sto-rico-culturale diviene così lo strumento attraverso cui cogliere le percezioni del pas-sato, le interazioni tra appartenenze, l'incontro e lo scontro tra memorie diverse, in un arco cronologico che va dall'Unità (1861) all'emanazione della prima legge organica di tutela (1909). Il libro si snoda attraverso cinque capitoli che restituiscono il senso dei conflitti sorti attorno al possesso delle testimonianze del passato a partire dall'in-cameramento dei beni artistici della Chiesa. Simona Troilo è dottore di ricerca dell'Istituto Universitario Europeo di Fiesole.

    "FERDINANDO E CAROLINA",

    A CURA DELL'ISA DI SAN LEUCIO

    Si è tenuto mercoledì 20 dicembre a Caserta, presso il Teatro di Corte di Pa-lazzo Reale, lo spettacolo “Ferdinando e Carolina” organizzato dal Laboratorio Teatrale dell’Istituto Statale d’Arte “San Leucio”. Accanto al gruppo di attrici ed attori anche sei ballerini che si esibiranno, su corografie di Maria Tersa Cecchi, in più minuetti mentre le musiche sono state curate e saranno eseguite da Maurizio Cassella. I costumi di scena sono stati realizzati, negli anni, nei laboratori della sezione Moda e Costume dell’Istituto i cui lavo-ri, nello scorso giugno, sono stati esposti nella Sala Bianca della Reggia.

  • pagina 8 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLORE

    Una vera principessa, ieri mattina, è arrivata a Modena e, come nei migliori film di Natale, ha fatto visita alla mensa dei poveri e ha portato giocattoli e dolciumi ai bambini impegnati nelle lezioni. A incarnare il ruolo di protagonista della più classica delle favole è stata la principessa Clotilde di Savoia, consorte del principe Emanuele Filiberto giunta in tarda mattina all'ombra della Ghirlandina, direttamente da Parigi. La principessa, poco dopo mezzogiorno, è entrata nell'abbazia benedettina di San Pietro dove è stata accolta dai circa 70 ospiti che ogni giorno siedono alla mensa comune e dove, per la sua donazione, ha ricevuto il caloroso ringraziamento di don Gregorio. «E' la prima volta che visito la vostra città — ha detto Clotilde di Savoia, arrivata a Modena come presidentessa onoraria dell'Opera Principessa di Piemonte onlus -. I modenesi che ho incontrato sono stati gentilissimi con me. Sono felice di poter lanciare un messaggio di solidarietà e generosità soprattutto in questo periodo natalizio, particolarmente difficile per chi è solo». E' il quarto anno consecutivo che la principessa visita città italiane a benefi-cio dell'attività della sua associazione. Dopo le tappe a Napoli, Torre del Greco e Torino, la scelta è finita su Mo-dena. «Lo ha voluto il destino - ha commentato sorridendo la giovane nobil-donna, i cui avi nei primi dell’800 furono signori della nostra città. Indubbiamente, però, questa volta l'impegno di Clotilde di Savoia assume anche altri valori: dopo i recenti scandali non è certo facile rappresentare la casa reale e il sorriso della consorte di Emanuele Filiberto, madre delle pic-cole Vittoria Chiara e Luisa, rappresenta forse il miglior sponsor possibile. Nel pomeriggio, poco dopo le 15, la principessa di Piemonte e Venezia ha visitato la scuola del Sacro Cuore di via Paisiello, per consegnare regali natalizi e dolciumi ai 130 piccoli alunni e per salutare le suore di Maria Ca-terina. La sua visita è poi continuata in piazza Risorgimento per un omaggio al monumento del fondatore del regno d'Italia Vittorio Emanuele II. Clotilde di Savoia ha infine fatto deporre un mazzo di fiori nella chiesa di San Vincenzo, sulla tomba della principessa Maria Beatrice Vittoria di Sa-voia, figlia del re di Sardegna Vittorio Emanuele I e madre dell'ultimo duca di Modena e Reggio Francesco V.

    Giuseppe Leonelli

    (da: Quotidiani Nazionali, 13/12/2006)

    UNA VERA PRINCIPESSA A MODENA

    STAMPA

    TRICOLORE

    CADDERO PER NOI

    Il Tricolore difeso dai soldati italiani Alberto Casirati - Azzano S. Paolo (Bg) L'8 dicembre, domani, ricorre il 63° anniversario della battaglia di Monte Lungo presso Cassino, la prima combattuta per la liberazione dai nazi-fascisti da militari italiani inquadrati nelle forze armate regolari dello Stato. Mi sembra doveroso ricordare che furono moltissimi i nostri soldati, d'ogni ordine e grado, che, fedeli al giuramento prestato al Re e sostenuti dalla popolazione, affrontarono viaggi lunghi e pericolosi per raggiungere i terri-tori controllati dagli alleati ed unirsi alle formazioni regolari dell'esercito. Fra loro anche Carlo Azeglio Ciampi. Questi soldati combatterono contro i tedeschi per salvare l'onore della ban-diera. La stessa bandiera che si vantano di aver difeso i militari della R. S. I. a fianco dei tedeschi. Furono almeno 80.000 i soldati italiani morti a causa della lotta contro i tedeschi. Caddero per assicurare a noi un futuro di libertà e di pace. A loro vadano dunque il nostro ricordo e la nostra gratitudine.

    (da: “Repubblica”, 7 dicembre 2006)

    E' stata una giornata densa di appuntamenti per Clotilde Courau, moglie del principe Emanuele Filiberto di Savoia, che ieri in veste di presidentes-sa onoraria dell'Opera Principessa di Piemonte onlus ha visitato la mensa dell'Abbazia Benedetti-na di San Pietro per una donazione. E' partita nelle prime ore da Parigi per raggiungere Modena alle 12.30 circa, dove ad attenderla c'era-no alcuni vo-lontari e don Gregorio Colosio, vica-rio della comunità Be-nedettina di San Pietro. Un cappottino bianco corto che copriva un sobrio abito nero, i capelli appena raccolti e un sorriso luminoso: così è Clotilde Courau, apparsa come la sintesi ideale tra la regalità di Lady Diana e la clas-se di Audrey Hepburn. Accanto a don Gregorio e a pochi eletti ha visitato lo stabile: prima passando dalla cucina dove con disinvoltura ha indossato un grembiule per aiutare le cuoche ad ultimare i piatti del giorno. E successivamente all’interno della mensa dove ha distribuito i pasti (circa 70 come di consueto), sot-to lo sguardo stupito dei commensali, e alla fine ha consegnato anche i panettoni offerti dall'Opera che lei rap-presenta. Sempre sorridente, ha di-spensato saluti e ringraziamenti a tutti coloro che ogni gior-no si adoperano per far funzionare questo servizio. In un buon italiano con un lieve accento francese, ha lungamente parlato con don Gregorio delle sue figlie, delle organizzazioni scout ma anche di temi di attualità. Sulla guerra: «I conflitti attuali sono il segno preoccupante di un pericolo per la storia dell'umanità». Per assolvere appieno il suo compito regale ha consegnato direttamente nelle mani di don Grego-rio un assegno con la sua donazione di 3500 euro più una grande quantità di viveri, e poi si è conge-data: «Grazie per la vostra umanità, per il vostro sorriso e per il vostro cuore. Questo è per me un impegno incitante, in favore della solidarietà». Modena è solo una delle tappe che l'hanno vista impegnata in attività benefiche: negli ultimi 3 anni è stata a Genova, Bergamo e Santa Margherita Ligure. Abbandonati i panni dell'attrice, la Courau ha spiegato così il suo impegno filantropico: «Adesso che sono una principessa faccio benefi-cenza: è mio dovere fare qualcosa per gli altri». E quando qualcuno le ha ricordato che a Modena Vittoria di Savoia fu penultima duchessa di Mode-na (e omonima di sua figlia Vittoria) ha sorriso compiaciuta. Nel pomeriggio si è recata alla scuole del Sacro Cuore di Santa Caterina, dove ha elargito regali ai cento bambini presenti che l'hanno travolta con il loro entusiasmo. Ultima tappa: un omaggio al monumento di Re Vittorio Emanuele II, in piazza Risorgimento.

    Francesca Testi (da: “Gazzetta di Modena”, 13/12/2006)

  • pagina 9 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLORE

    Altri puntano l’attenzione sul criterio dell’autonomia. Sostengono di conse-guenza che finché il feto non è viabile, cioè in grado di vivere da solo fuori del-l’utero materno, non è un uomo in senso pieno, ma solo un’appendice materna. È un’obiezione assolutamente povera di spessore, che non tiene conto di numerosi fattori: i progressi della medicina per i quali feti sempre più giovani possono sopravvivere alla nascita prematura, il livello di “autonomia” delle reazioni indi-viduali nel feto ancora in utero, la scarsa autonomia dei neonati che ancora dipen-dono in tutto dalle cure di altri, l’interdi-pendenza che caratterizza in fondo tutti gli esseri umani. Per converso, affermano che quando l’autonomia è venuta irrime-diabilmente meno anche la dignità umana è compromessa, e non varrebbe più la pena vivere. Indubbiamente dipendere in toto, o in buona parte, da altri è una con-dizione che può risultare umiliante, ma ciò sarà tanto più vero quanto più si sposa una mentalità che vede nei deboli, nei malati, nei sofferenti degli “insop-portabili” segni della caducità dell’uomo, e che espunge dall’idea di amore la fon-damentale capacità di “soffrire-per”. La teoria più comune è forse quella che assegna la dignità umana a chi è coscien-te. Le manifestazioni della coscienza ap-paiono dopo la nascita, sono intermittente nel corso della vita, possono essere per-dute irreversibilmente, possono non appa-rire mai. Eppure è certamente vero che la coscienza, e in particolare l’auto-coscienza, è un tratto tipico della persona umana, così come in generale l’attività intellettiva, o la libertà, o la capacità di amare. Quello che le manifestazioni di tali capacità dicono alla riflessione antro-pologica, tuttavia, è semplicemente que-sto: l’essere umano ha una “natura” che lo rende in grado di manifestare, se non vi sono impedimenti, le famose funzioni intellettive superiori. La mancanza di tali manifestazioni non equivale in alcun modo all’assenza di tale natura, e non dice nulla della natura stes-sa. Perché? Perché appunto vi possono essere impedimenti. La forza gravitazio-nale fa sì che un corpo libero di muoversi cada verso il basso, tuttavia tale corpo può non essere libero di muoversi. Nel-l’uomo, le manifestazioni superiori deri-

    vano dalla sua natura nel senso che solo per l’uomo la perfezione dello sviluppo le rende attuali. Un animale, per quanto perfetto e in buona salute, non parlerà, perché non è essenzialmente preposto a farlo. In questo senso, anche restando su un piano unicamente fenomenologico, possiamo dire che le funzioni intellettive sono qualcosa che non costruiamo con l’intelligenza, ma che troviamo in noi come dato antropologico profondo e in-scindibile dalla nostra corporeità, al pun-to che un danno fisico e psichico ne ren-dono impossibile la manifestazione ma non l’esistenza. D’altra parte, questa è una realtà di cui dichiariamo la consapevolezza ogniqual-volta ci battiamo per i diritti umani fon-damentali, che al giorno d’oggi vengono largamente confusi e rimaneggiati, ma la cui intoccabile dignità, che tutti percepi-scono e riconoscono, deriva dalla dignità stessa dell’uomo, cioè dalla dimensione costitutivamente personale di ogni essere umano in quanto umano. Nella visione dell’uomo si trova dunque il punto d’incontro irrinunciabile fra etica della fase iniziale ed etica della fase ter-minale della vita. La prospettiva antropo-logica che vede nell’esistenza della vita umana (dato verificabile attraverso l’in-dagine sperimentale e i dati biologici) contemporaneamente e indissolubilmente l’esistenza di una persona, cioè di una vita umana assolutamente degna, difende comportamenti che coerentemente si ri-trovano in entrambi i confini della vita, e che si riassumono emblematicamente nel precetto morale naturale “non uccidere”. Si potrebbe rispondere a questa afferma-zione che la dignità di una vita, il fatto che valga la pena di essere vissuta, sono valutazioni soggettive: un individuo po-trebbe ritenere che in condizioni di non-autosufficienza non valga la pena vivere, oppure che un neonato con spina bifida sia troppo compromesso per nascere, o che un essere umano di poche cellule possa essere sacrificato per il bene della scienza, o che un paziente in stato vegeta-tivo non debba essere alimentato e idrata-to a spese del contribuente. Eppure, a ben vedere, se sottraiamo dal principio del-l’intangibilità la dignità umana e ne fac-ciamo un dato soggettivo, ci troveremo esposti alle peggiori aberrazioni.

    Come potremo sentirci mai sicuri di ve-dere rispettati i nostri diritti fondamentali e quelli di tutti, se introduciamo l’idea che un giudizio importante come quello del valore di una vita umana possa essere deciso da uno, o da molti, o da una cate-goria, insomma sempre da un giudizio particolare e mutevole? L’unico principio che permette di costruire una civiltà de-gna di questo nome è quello che, nella persona propria come in quelle altrui, accetta di rispettare il fondamentale dirit-to alla vita, e il fondamentale dovere di tutelare la vita umana, in ogni momento; almeno per un minimale principio di pre-cauzione. Il relativismo, in questo senso, non equi-vale affatto ad uno spirito di libertà e di tolleranza verso le differenze individuali, ma ad un grande calderone che, per non impegnarsi con concetti come verità, og-gettività, universalità, annega ogni possi-bile certezza, conoscenza, e naturalmente ogni evidenza. Ma così facendo, esclude anche ogni base ragionevole per la difesa dei diritti umani fondamentali, che resta-no in balia di volontà particolari e finite. Chi ne paga le conseguenze sono i più deboli, cioè coloro che non possono far sentire la loro voce e che non possono far valere la loro volontà. E un mondo che schiaccia i deboli non è un mondo di li-bertà, è un totalitarismo. L’approdo ulti-mo del relativismo dunque è una società insospettabilmente violenta, totalitaria, ed eugenista, in cui le discriminazioni fra i forti, i sani, i potenti, i grandi, i capaci e i deboli, i malati, i poveri, i piccoli, gli inetti raggiungono punte drammatiche, tanto più feroci in quanto ammantate di un ingannevole spirito di democrazia. Lo si vede molto bene quando si rifletta sulla fine della vita umana. L’idea di eu-tanasia che sta passando nelle legislazioni è un’idea opportunamente “ristretta”, che serve da un lato a rendere culturalmente innocue alcune forme di soppressione dei malati, dal momento che “non sono” eu-tanasia. Dall’altro serve a far passare un significato di eutanasia che possa essere accettabile agli occhi del mondo, in modo da compiere un primo passo verso l’intro-duzione di ogni forma di morte cosiddetta “pietosa”.

    DOSSIER

    TRICOLORE

    GLI “INSOPPORTABILI” - BIOETICA E VALORI UMANI (II) Intervento della dottoressa Claudia Navarini, docente presso la Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

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    Ma, soprattutto, numerosi studi mostrano come l’autonomia del malato sia profon-damente condizionata da due serie di fattori, una interna ed una esterna al ma-lato stesso. Da una parte, gli aspetti legati a l l a depressione e allo stato emozio-nale derivanti da una perdita di significato e di percezione di dignità personale sono assolu-tamente correlati ad un au-mento della richiesta eutana-sica, tanto che alcuni filoni canadesi e statunitensi di psicooncologia hanno co-niato suggestivi nomi (“digni ty therapy”, “meaning therapy”) per indicare le adeguate linee di intervento, ri-portando risultati im-pressionanti per effi-cacia e qualità; dall’-altra parte, altrettanta evidenza esiste per un impatto sostan-ziale sull’entità della richiesta eutanasica da parte della situazione familiare e dell’-atteggiamento del curante, come se lo sguardo su di sé, in una situazione di e-strema debolezza e fragilità, fosse mutua-to e rispecchiasse in modo forte lo sguar-do con il quale la persona viene guardata da parte di chi se ne prende cura. Questa è la nostra grande responsabilità, come curanti e come società che si deve organizzare per fornire una adeguata assi-stenza: portare alla luce il senso di una vita anche quando sofferente, e non la-sciare soli i malati e le loro famiglie. Tale responsabilità credo si debba esercitare in due modalità: direttamente nella fase di assistenza (in una sorta di “formazione” sul campo) e in tutte le forme della comu-nicazione culturale in senso stretto, scritte e verbali. Nel libro di cui è coautore si sostiene che la vita è degna di essere vissuta anche se esiste la sofferenza, l’handicap, il sacrifi-cio. Può illustrarci questo punto di vista? Maltoni: La nonna di mia moglie è da cinque anni allettata, con una demenza grave. In tutto questo tempo è stata accu-dita dalle due figlie, direttamente e con l’aiuto di altre persone che professional-mente (e, proprio per una piena espressio-ne della loro professionalità, con affezio-

    ne e dedizione), hanno integrato le possi-bilità assistenziali della famiglia. La si-gnora non ha mai sviluppato un decubito, ed entrare nella sua stanza sempre profu-mata è come entrare nel cuore del mistero umano.

    Anche se non tutto di questa situa-zione è razionalistica-

    mente incasellabile, due cose capisco. La

    prima, che questa donna è dentro una

    relazione di cura della quale è sicuramente

    oggetto. Ma, come dice il Dottor Guizzetti in

    base alla sua mirabile esperienza con i pazienti (o disabili, come lui pre-

    ferisce definirli) in Stato Vegetativo Persistente, chi

    è oggetto di cura ne è allo stesso tempo anche soggetto

    attivo, per la ricchezza e l’u-manità che in questa relazio-

    ne e- merge, sia pure in condizioni a volte estremamente faticose. La secon-da, che un “di più” di umanità e dignità giunge per osmosi a chi tocca queste si-tuazioni, rispetto al fatto che, nell’esem-pio portato, cinque anni fa, fosse stata somministrata una pillola del suicidio, o fossero state interrotte la nutrizione, l’i-dratazione e la cura. Senza volere riesu-mare forme, se mai ci siano state, di dolo-rismo e senza volere considerare soffe-renza e sacrificio un obiettivo da ricerca-re, mi pare innegabile che essi possano far crescere la nostra consistenza umana, come è esperienza comune di chi lavora a contatto con malati e famiglie che per mesi o anni accettano non passivamente il mistero della propria condizione. Una osservazione a latere, ma non del tutto marginale, è che, se fosse vero il contrario, cioè se la vita umana fosse degna di essere vissuta solo quando espri-messe le qualità proprie dell’uomo (e che tali ontologicamente rimangono, indipen-dentemente dal loro possibile livello di attuale espressività), chi, se non un im-personale, astratto, e ostile potere potreb-be determinare “quali” condizioni, quale “qualità di vita” sarebbero da ritenersi sufficienti? Quella del paziente terminale, dell’anziano demente, del gravemente disabile, del paziente psichico, del pa-

    ziente gravemente depresso, del paziente in stato vegetativo, del bambino o del neonato con disabilità o malformazioni, della ragazzina anoressica o bulimica? In altri termini, aperta la falla nella diga o iniziata la piccola valanga da una palla di neve, la progressione è purtroppo espo-nenziale, tanto che alle forme fatte passa-re per “nobili” di eutanasia volontaria, nei paesi in cui essa è legalizzata, si stanno sempre più aggiungendo anche quelle meno emotivamente presentabili, come la non-volontaria e la involontaria. Può spiegarci in che modo la medicina palliativa per i malati terminali è una risposta alternativa alle proposte di euta-nasia? Maltoni: Tento di rispondere a questa domanda esprimendo tre punti in succes-sione: A) Certamente le cure palliative e, in particolare, la medicina palliativa, posso-no rappresentare una “risposta” alle pro-poste di eutanasia. Corpo specifico di conoscenze della Medicina Palliativa è rappresentato da affronto e gestione rigo-rosi, documentati, e basati su evidenze scientifiche del dolore fisico, dei sintomi gastrointestinali (nausea/vomito, occlu-sione intestinale, diarrea), dei sintomi respiratori (dispnea, tosse), dei sintomi a carico del Sistema Nervoso Centrale (confusione, delirio, agitazione psico-motoria), dei sintomi di malessere psico-logico (ansia, depressione) e così via. Tali specifiche conoscenze giungono ad individuare anche quei sintomi definiti “refrattari”, cioè non controllabili con una gestione ordinaria, che circa nel 15% dei pazienti in fase terminale rendono necessario un approccio che ha come conseguenza un abbassamento del livello di coscienza, la cosiddetta “sedazione palliativa”, che un condivisibile docu-mento della Società Europea di Cure Pal-liative ha delineato nei suoi caratteri di totale alterità rispetto a interventi eutana-sici sia a livello di intenzione del medico (sollievo della sofferenza e non morte del paziente), che di procedura utilizzata (utilizzo progressivo e monitorato di far-maci per il controllo della sintomatologia e non somministrazione di farmaci letali), che di risultato ottenuto (sollievo dei sin-tomi e non morte del paziente).

    SOCIETÀ

    TRICOLORE

    DISINFORMAZIONE SU EUTANASIA E CURE PALLIATIVE - II Intervista al Direttore del Reparto di medicina palliativa di Forlì

  • pagina 11 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLO-

    SPIRITUALITÀ

    TRICOLORE

    "All'inizio del nuovo anno, vorrei far giungere ai Governanti e ai Responsabili delle Nazioni, come anche a tutti gli uo-mini e le donne di buona volontà, il mio augurio di pace. Perché creato ad imma-gine di Dio, l'individuo umano ha la di-gnità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno, capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone. Anche la pace è insieme un dono e un compito. Se è vero che la pace tra gli in-dividui ed i popoli - la capacità di vivere gli uni accanto agli altri tessendo rapporti di giustizia e di solidarietà - rappresenta un impegno che non conosce sosta, è an-che vero, lo è anzi di più, che la pace è dono di Dio. Il dovere del rispetto per la dignità di ogni essere umano, nella cui natura si rispecchia l'immagine del Crea-tore, comporta come conseguenza che della persona non si possa disporre a pia-cimento. Chi gode di maggiore potere politico, tecnologico, economico, non può avvalersene per violare i diritti degli altri meno fortunati. È infatti sul rispetto dei diritti di tutti che si fonda la pace. Consa-pevole di ciò, la Chiesa si fa paladina dei diritti fondamentali di ogni persona. In particolare, essa rivendica il rispetto della vita e della libertà religiosa di cia-scuno. Il rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa dispo-nibilità. (...) Il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell'uomo. Per quanto concerne il diritto alla vita, è doveroso denunciare lo scempio che di essa si fa nella nostra società: accanto alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza, ci sono le morti silenziose provocate dalla fame, dall'aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall'eutanasia. Come non ve-dere in tutto questo un attentato alla pace? L'aborto e la sperimentazione sugli em-brioni costituiscono la diretta negazione dell'atteggiamento di accoglienza verso l'altro che è indispensabile per instaurare durevoli rapporti di pace. Accanto all'eco-logia della natura c'è (...) un'ecologia che potremmo dire 'umana', la quale a sua volta richiede una 'ecologia sociale'. E ciò comporta che l'umanità, se ha a cuore la

    pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l'ecologia natura-le, ossia il rispetto della natura, e l'ecolo-gia umana. L'esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa". In questi anni nuove Nazioni sono entrate con slancio nella produzione industriale, incrementando i bisogni energetici. Ciò sta provocando una corsa alle risorse disponibili che non ha confronti con situazioni precedenti. Nel frattempo, in alcune regioni del pia-neta si vivono ancora condizioni di gran-de arretratezza, in cui lo sviluppo è prati-camente inceppato anche a motivo del rialzo dei prezzi dell'energia. La distruzione dell'ambiente, un suo uso improprio o egoistico e l'accaparramento violento delle risorse della terra generano lacerazioni, conflitti e guerre, proprio perché sono frutto di un concetto disuma-no di sviluppo. Urge pertanto, pur nel quadro delle attuali difficoltà e tensioni internazionali, impe-gnarsi per dar vita ad un'ecologia umana che favorisca la crescita dell''albero della pace'. Per tentare una simile impresa è necessario lasciarsi guidare da una visio-ne della persona non viziata da pregiudizi ideologici e culturali o da interessi politici ed economici, che incitino all'odio e alla violenza. È comprensibile che le visioni dell'uomo varino nelle diverse culture. Ciò che invece non si può ammettere è che vengano coltivate concezioni antro-pologiche che rechino in se stesse il ger-me della contrapposizione e della violen-za. Ugualmente inaccettabili sono conce-zioni di Dio che stimolino all'insofferenza verso i propri simili e al ricorso alla vio-lenza nei loro confronti. È questo un pun-to da ribadire con chiarezza: una guerra in nome di Dio non è mai accettabile! Una visione 'debole' della persona, che lasci spazio ad ogni anche eccentrica con-cezione, solo apparentemente favorisce la pace. In realtà impedisce il dialogo auten-tico ed apre la strada all'intervento di im-posizioni autoritarie, finendo così per lasciare la persona stessa indifesa e, con-seguentemente, facile preda dell'oppres-sione e della violenza. Alla tutela dei diritti umani fanno costan-te riferimento gli Organismi internaziona-li e, in particolare, l'Organizzazione delle

    Nazioni Unite, che con la Dichiarazione Universale del 1948 si è prefissata, quale compito fondamentale, la promozione dei diritti dell'uomo. A tale Dichiarazione si guarda come ad una sorta di impegno morale assunto dall'umanità intera. Ciò ha una sua profonda verità soprattutto se i diritti descritti nella Dichiarazione sono considerati come aventi fondamento non semplicemente nella decisione dell'as-semblea che li ha approvati, ma nella na-tura stessa dell'uomo e nella sua inaliena-bile dignità di persona creata da Dio. È importante, pertanto, che gli Organismi internazionali non perdano di vista il fon-damento naturale dei diritti dell'uomo. Ciò li sottrarrà al rischio, purtroppo sem-pre latente, di scivolare verso una loro interpretazione solo positivistica. Se ciò accadesse, gli Organismi internazionali risulterebbero carenti dell'autorevolezza necessaria per svolgere il ruolo di difen-sori dei diritti fondamentali della persona e dei popoli, principale giustificazione del loro stesso esistere ed operare. A partire dalla consapevolezza che esisto-no diritti umani inalienabili connessi con la comune natura degli uomini, è stato elaborato un diritto internazionale umani-tario, alla cui osservanza gli Stati sono impegnati anche in caso di guerra. Desidero, infine, rivolgere un pressante appello al Popolo di Dio, perché ogni cristiano si senta impegnato ad essere infaticabile operatore di pace e strenuo difensore della dignità della persona uma-na e dei suoi inalienabili diritti. (...) In Cristo noi possiamo trovare le ragioni supreme per farci fermi paladini della dignità umana e coraggiosi costruttori di pace".

    LA PERSONA UMANA, CUORE DELLA PACE Dal Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2007)

  • pagina 12 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLO-

    Il Programma quadro di ricerca approvato dal Parlamento Europeo (PE), che per-mette il finanziamento di progetti di ri-cerca con embrioni umani, crea una situa-zione di disuguaglianza nei diritti fonda-mentali dei Paesi dell’Unione Europea, ha constatato l’Arcivescovo Elio Sgrec-cia, Presidente della Pontificia Accade-mia per la Vita. La plenaria della suddetta istituzione eu-ropea ha adottato in seconda lettura il VII Programma quadro per la ricerca, in cui si stabilisce un budget totale di 54.580 milioni di euro (durante il periodo 2007-13) in settori che vanno dall’economia alle nuove tecnologie, dall’ambiente alla salute. La previsione rappresenta un 40% in più rispetto al progetto precedente. Il Programma, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2007, permetterà il finanziamen-to di progetti con cellule staminali em-

    brionali qualora queste ricerche venissero permesse dalla legislazione del Paese interessato, sintetizza l’ufficio stampa del PE. Non finanzierà invece la ricerca volta alla clonazione umana a scopi riprodutti-vi, per modificare il patrimonio genetico degli esseri umani o per creare embrioni umani a fini di ricerca o per ottenere cel-lule staminali. Potrà invece essere finan-ziata la ricerca sull’uso di cellule stami-nali umane, sia di adulti che di embrioni, in base al contenuto della proposta scien-tifica e al contesto giuridico degli Stati membri corrispondenti. Quanto alla situa-zione attuale dei vari Paesi, l’ottenimento di cellule staminali embrionali a partire da embrioni “in eccesso” - provenienti da fertilizzazioni “in vitro” - è permesso in Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Spagna e Paesi Bassi. Estonia, Ungheria, Lettonia e Slovenia non hanno una rego-lamentazione specifica sulle cellule sta-minali embrionali, ma permettono una certa ricerca con embrioni “in eccesso”. L’Italia e la Germania hanno restrizioni e non possono ottenere nuove cellule sta-minali embrionali anche se possono im-portarle. Austria, Lituania e Polonia proi-biscono la ricerca con cellule staminali embrionali. Belgio, Regno Unito e Svezia autorizzano la clonazione terapeutica, espressamente esclusa dal programma

    comunitario. A “Radio Vaticana”, l’Arcivescovo Elio Sgreccia ha commentato che questa pro-nuncia del Parlamento Europeo “mette in evidenza il relativismo morale, etico che vige ora in Europa. Mi pare che la sostan-za della deliberazione è che sia lecito fare di tutto - eccetto che la clonazione ripro-duttiva - con l’unico limite della legisla-zione nazionale”, il che “indica che in Europa i diritti fondamentali non sono uguali. Dove c’è una legge uno è ricono-sciuto come persona umana fino dal pri-mo concepimento, dove c’è un’altra leg-ge invece non è lo stesso. Allora l’Europa che è nata su una carta di diritti dell’uomo, io non ce la vedo più. Cosa c’è di uguale in Europa per tutti i cittadini che vi circolano? Forse l’imma-gine della moneta e pochi altri diritti indi-viduali ma non i diritti fondamentali". Quanto al fatto che questo possa favorire un “mercato nero” in questo tipo di ricer-ca, Mons. Sgreccia ha sottolineato che tale pronun-cia favorisce la soddisfazione del deside-rio di procreazione, sperimentazione e di affari, “perché poi si sa che non si può per esempio in Italia prelevare cellule da un embrione ma si possono comperare le linee cellulari fatte in Inghilterra”.

    EUROPA

    IL PROGRAMMA QUADRO EUROPEO SULLA RICERCA SCIENTIFICA

    TRICOLORE

    L’AIRH IN FRANCIA Parigi

    Sull'intitolazione del sagrato della Cattedrale a Papa Giovanni Paolo II lo scorso 3 settembre non si placano le reazioni della sinistra radicale, che non accetta il voto congiunto del centro-destra e dei socialisti. La manifestazione di protesta organizzata nello stesso giorno in cui, tradizionalmente, l'Associa-zione Internazionale Regina Elena organizza un "Rosario per la Vita" in tutte le Cattedrali di Francia non ha impedito a numerosi monarchici di partecipa-re a questo doveroso omaggio in preghiera a Papa Woytila che, proprio a Parigi, alla GMG chiese: “Francia, cosa hai fatto del tuo battesimo?”. Premonitori? Il 15 novembre, alla Salle Pleyel, al primo dei cinque concerti diretti da Msti-slav Rostropovich in onore di Chostakovitch, nel centenario della nascita del compositore russo. Il 18 novembre l’AIRH ha organizzato, al Parc de la Villette, una visita alla mostra sulle Memorie armene.

    Nantes Il 19 novembre l’AIRH ha partecipato alla commemorazione delle Noyades de Nantes, con la S. Messa nella chiesa di Notre Dame de Bon-Port, celebrata dal Vicario Episcopale, Padre Patrice Eon. Quindi il corteo ha raggiunto il quai de la Fosse, passando dall'Entrepôt des Cafés dove furono raggruppati 6.000 prigionieri in attesa dell’annegamento o della fucilazione. E’ stata inviata una corona di fiori nella Loira. Dopo la co-lazione, al Museo Dobrée è seguito un interessante convegno.

    TRIESTE Alla Prefettura - U.T.G. di Trieste si è svolta l´VIlI sessione della Commissione Mista Perma-nente italo-slovena per l´attuazione dell´Accordo di Udine sul traffico di frontiera del 15 maggio 1982. Il Sottosegretario di Stato italiano e il Di-rettore per le Relazioni Consolari del Ministero degli Affari Esteri sloveno hanno sottoscritto il Protocollo fra il Governo Sloveno ed il Governo Italiano sul traffico turistico alpino nella zona di frontiera che consentirà ai cittadini di entrambi i Paesi e ai cittadini dell´Unione Europea, dello Spazio Economico Europeo e della Confedera-zione Svizzera, di transitare liberamente, con un documento di identità valido per l´espatrio, attra-verso i sentieri alpini posti lungo il confine di Stato tra l´Italia e la Slovenia, in attesa dell´ingresso della Slovenia nello spazio di Schengen. L´entrata in vigore di tale accordo, in concomi-tanza con l´apertura della stagione sciistica inver-nale, non potrà che aver positivi riflessi sulla zona turistica alpina, con evidenti benefici sia per i turisti che per gli operatori addetti al settore.

  • pagina 13 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLO-

    Domenica 3 dicembre nel corso di una cerimonia a bordo di Nave Etna della Marina Militare il contram-miraglio Emilio Foltzer, Comandante del Gruppo Na-vale Italiano e Comandante della Task Force 152, ha ceduto il comando della Task Force 152 al Rear Admi-ral Allen G. Myers della United States Navy, la marina militare statunitense. Si conclude così, dopo 158 giorni di attività operativa nel Golfo Persico Centro Meridionale, una delle mis-sioni più lunghe a cui abbiano partecipato le unità na-vali italiane. Il 4 settembre scorso l'ammiraglio Foltzer era succedu-to al contrammiraglio Salvatore Ruzittu, che aveva assunto l'incarico di Comandante del Gruppo Navale Italiano e di Comandante della Task Force 152 il 28 giugno scorso. Durante questo periodo di attività nel Golfo Persico le forze della coalizione, a guida italiana, hanno condotto le Maritime Security Operations (MSO) in base alla convenzione marittima internazio-nale per garantire la sicurezza e la salvaguardia dei traffici marittimi mercantili e la libertà di navigazione lungo le rotte internazionali. Le forze della coalizione hanno controllato complessivamente più di 1.000 im-barcazioni e sorvegliando l'area con circa 15.500 ore di moto. La conduzione italiana di una Task Force marittima della coalizione, da sempre condotta dagli americani, ha rappresentato un fattore di grande novità nell'area. A ciò si è aggiunto l'importante compito di rafforzare i rapporti con le Marine dei Paesi che si affacciano sul Golfo; in un periodo di forte cambiamento in questa zona strategica del mondo le esercitazioni svolte con le Marine Militari del Bahrain, degli Emirati Arabi Uniti, dell'Arabia Saudita e del Kuwait hanno infatti rappre-

    sentato un momento importante di coope-razione e di crescente conoscenza reci-proca. Il Gruppo Navale Italiano, costituito dal-l'unità di supporto Etna, sede di comando, e dal pattugliatore d'altura Comandante Foscari, comandate rispettivamente dal Capitano di Vascello Danilo Balzano e dal Capitano di Fregata Giuseppe Rapese, impegna 347 militari che alla partenza il 4 dicembre dalla base del Bahrain faran-no rotta verso il porto di Taranto, dove è previsto l'arrivo nella seconda decade di dicembre.

    INTERNAZIONALE

    LA MARINA MILITARE CEDE IL COMANDO DELLA TASK FORCE 152

    TRICOLORE

    In basso: i ringraziamenti inviati all’Airh a seguito della missione di maggio, in favore delle Suore della Carità di Bet-lemme, con la consegna di medicinali a lunga scadenza (€. 9.335,79)

  • pagina 14 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLO-

    STORIA SABAUDA

    TRICOLORE

    VITTORIO EMANUELE III, III RE D’ITALIA - X Carlo Bindolini La tragica uccisione dell’Arciduca Fran-cesco Ferdinando e della consorte Sofia Choteck per mano dello studente serbo Gavrilo Princip a Sarajevo, il 28 giugno 1914, portò l’Europa intera nella catastro-fe della Prima Guerra Mondiale. L’Au-stria, inviando il suo ultimatum alla Ser-bia il 23 luglio successivo senza avvisare preventivamente l’alleato italiano, dette all’Italia ed al Re Vittorio Emanuele III il pretesto di non sentirsi obbligato all’inter-vento e di poter temporeggiare. Dichia-rando poi guerra alla Serbia, il 28 lu-glio successivo, violò una precisa clau-sola del patto della Triplice Alleanza che ancora ci legava a Vienna ed a Berlino, cioè quello che vietava di mu-tare la situazione nei Balcani. La viola-zione della Triplice da parte austriaca liberò l’Italia nelle sue scelte di campo e portò alla dichiarazione della neutra-lità. Molto abilmente Re Vittorio Ema-nuele III preferì ufficialmente restare dietro le quinte nella situazione che si era creata, ma in realtà seguiva da vici-no ogni mossa del Governo ed era in stretto contatto con la Consulta, allora sede del Ministero degli Esteri. Persino l’allora Ministro degli esteri, Marchese di San Giuliano, pur convinto triplici-sta ed anti-francese, non esitò a mutare le proprie opinioni dopo lo “schiaffo” austriaco del luglio 1914. La sua mor-te, il 16 ottobre successivo, costituì un ulteriore elemento di svolta nella poli-tica estera italiana. Alla possibilità di mantenere la neutralità si andava sosti-tuendo l’idea di un nostro intervento a fianco delle Potenze dell’Intesa, anche perché nei negoziati riaperti con Vienna, sulla base dell’articolo 7 del Trattato della Triplice, cioè quello relativo ai compensi, di fronte alle richieste italiane del Trenti-no, di Trieste ed della Dalmazia, il nuovo ministro degli Esteri austriaco Burian si rifiutava ostinatamente di assumere impe-gni precisi. Re Vittorio Emanuele III fu il vero regista dell’Intervento, a cominciare dai negozia-ti segreti che portarono il 26 aprile 1915 alla firma del “Patto di Londra” insieme alle Potenze dell’Intesa: Inghilterra, Fran-cia e Russia. Le clausole segrete di questo accordo, che promettevano all’Italia le province austriache fino al Brennero, l’I-stria, Gorizia, Gradisca, Trieste, la Dal-mazia settentrionale, Valona e parte del territorio albanese, oltre alla sovranità del

    Dodecanneso, furono il motivo che spin-sero il Sovrano ad abbandonare definiti-vamente i vecchi alleati, che avevano nutrito sempre sentimenti di ostilità nei confronti dell’Italia e gli diedero la possi-bilità di realizzare il sogno di completare l’epopea risorgimentale, portando a ter-mine il processo di unificazione nazionale che il suo avo Re Carlo Alberto aveva iniziato varcando il Ticino nel marzo del 1848. Solo Re Vittorio Emanuele III, il Presi-

    dente del Consiglio Salandra ed il nuovo Ministro degli esteri, il Barone Sidney Sonnino, erano a conoscenza del Patto di Londra, di cui erano anche gli artefici. Le “radiose giornate” che portarono all’-entrata in guerra dell’Italia a fianco del-l’Intesa furono convulse e ricche di colpi di scena. Mai come in quei frangenti Re Vittorio Emanuele III fu il “deus ex machina” della situazione. Il 3 maggio l’Italia comunicava a Vienna la rottura del Trattato della Triplice Alleanza, il 13 maggio Antonio Salandra rassegnava al Re le sue dimissioni in seguito alla crisi extraparlamentare provocata da oltre tre-cento deputati e cento senatori, che dimo-strarono la loro solidarietà con il neutrali-sta Giolitti inviando alla sua abitazione romana una montagna di biglietti da visita e lettere di adesione. Di fronte alle dimis-sioni del Governo interventista di Salan-

    dra, Vittorio Emanuele III, sempre con-vinto della necessità di entrare in guerra, seppe condurre il gioco con grande abili-tà. Dopo brevissime consultazioni, convo-cò il dimissionario Antonio Salandra il 15 maggio e lo incaricò di presentarsi di fronte alle Camere, Salandra era il simbo-lo della decisione del Governo di entrare in guerra. Il 16 maggio il Governo Salan-dra ottenne la fiducia parlamentare con ben 407 voti contro solo 74. Il Re, come farà anche in seguito nei momenti più

    drammatici della vita della Nazione, si comportò da Sovrano Costituzionale, ma la sua scelta, in quel particolare momento storico, era qualcosa di più di un semplice adempimento di una corretta prassi statutaria, poiché Sa-landra recandosi a Villa Savoia dal sovrano aveva detto: “Il nostro ritorno è la guerra”. Quella del Sovrano fu una decisione sofferta, respingendo le dimissioni di Salandra il Re spianò la strada all’intervento dell’Italia in guerra a fianco delle Potenze dell’In-tesa. Del resto, il Re aveva già operato la propria scelta di campo quando aveva sottoscritto il Patto di Londra. Vittorio Emanuele III, fedele al prin-cipio secondo il quale “quando un governo è debole, la Corona deve sempre sapersi imporre” guidò la Na-zione in un particolare momento stori-co in perfetta sintonia con il suo ruolo di Monarca rispettoso delle prerogati-ve Statutarie. In quel “maggio radio-so” Vittorio Emanuele III portava a

    termine un progetto che aveva in mente a partire dal 1900, allorché era salito al trono: il progressivo sganciamento dell’I-talia dalla Triplice Alleanza a fianco degli Imperi Centrali, e in particolare di quel-l’Impero Austro-Ungarico che occupava le nostre terre irredente di Trento e Trie-ste, ed il nostro allineamento a fianco delle Potenze dell’Intesa. In quel periodo tumultuoso, il 26 dicem-bre 1914, era nata la Principessa Maria Francesca Anna Romana. In segno al giu-bilo per la sua nascita, il Re concesse ad Antonio Salandra, che aveva rogato l’atto di nascita quale notaio della Corona, il Collare dell’Annunziata, accompagnando quel gesto, che compì il 30 dicembre a Villa Savoia, con parole affettuose per il capo del Governo, e concesse il seggio di senatore a Guglielmo Marconi e a Luigi Albertini.

  • pagina 15 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLO-

    LA STORIA DEI REALI

    TRICOLORE

    IL RE GUERRIERO: FERDINANDO III

    Nato nel 1198 dal Re di León e dalla Regina di Castiglia, unì nella sua persona i due regni, facendo tirare un respiro di sollie-

    vo ai Papi, che vedevano finalmente cessare ogni attrito tra due dei regni più potenti della Spagna. Non solo, ma adesso si poteva pensare seriamente a riconqui-stare il paese dalle mani dei Mori, che da secoli ne occupavano più di due terzi. Ferdinando sposò prima Beatrice di Svevia, tedesca, poi la francese Maria de Ponthieu. Dai due matrimoni ebbe tredici figli e più stretti legami con l'Impero e il regno di Francia. La parte più consistente della sua vita la consacrò alla "Recon-quista". Nel 1219 fu armato cava-liere e cominciò una serie impressionante di campagne vittorio-se che lo portarono a riprendere all'Islam l'intero al-Andalus con Cordova e Siviglia, in pratica la parte più importante del dominio musulmano in Spagna. Costrinse alla resa la Murcia e alla tregua la potente Granada, ma fu tollerante con i nuovi sud-diti, giudei o musulmani che fossero. Non fu solo un grande guerriero, perché come capo di Stato non fu da meno. Formò attorno a sé un consiglio di dodici persone che consultava per gli affari più gravi (poi divenuto il Consiglio della Corona); iniziò un codice di leggi che rimase a lungo, nel paese, insuperato per equità e giustizia (il famoso codice "de las Siete Partidas"); avviò importanti università come Salamanca, Valencia e Valladolid, ben presto assurte a grande rinomanza nella cultura europea; eresse le splendide cattedrali di León, Burgos e Toledo; accolse i nuovi Ordini francescano e domeni-cano, di recentissima creazione; riportò al Santuario di Compo-stella le sacre campane che il Sultano Al-Mansur aveva a suo tempo depredato con grande umiliazione per la cristianità spa-gnola, che considerava Compostella come il suo cuore. In punto di morte, nel 1252, malgrado fosse già in agonia, volle ricevere la Comunione in ginocchio, vicino alla statuetta della Madonna che in battaglia portava appesa alla sella. Poi santa-mente si spense. Quando nel 1629 cominciarono il suo processo di beatificazio-ne, trovarono il suo corpo ancora intatto.

    Rino Cammilleri (da: “I Santi Militari”)

    IL SANTUARIO REALE DELLA MADONNA DELLE GRAZIE DI RACCONIGI Alla fine del secolo 1400 i frati Carmelitani Calzati fecèro costruire una chiesa con un convento sul luogo in cui nel 1493 la Ver-gine era apparsa ad un giovane racconigese sordomuto, Antonio Chiavassa, lungo la riva del Torrente Maira. Nel 1802 la chiesa fu distrutta, il convento bruciato e i Carmelitani vennero allontanati dalla città. Nel 1835 scoppiò il colera asiatico e come già era avvenuto nel 1742, quando dilagava la peste, il popolo di Racconigi si votò alla Vergine. Il colera cessò e Carlo Alberto incaricò l'architetto Ernest Melano (Pinerolo 1784-1867) di costruire l'attuale Santuario neoclassico. Il tempio venne terminato nel 1838; Carlo Alberto aveva stanziato 100.000 f per la sua costruzione e chiese ed ottenne dalle autorità ecclesiastiche il diritto di patronato sulla chiesa. Nel Santuario sono custodite le Tombe Reali dei Savoia. L'edificio è in stile neoclassico sul mo-

    dello del Pantheon romano, la pianta è a croce greca. La fac-ciata è occupata da un grosso atrio e da sei colonne che sor-reggono un tempio massiccio. L'interno è dominato da una cupola semisferica. L'altare è in marmo bianco cesellato ed è opera dello scultore Gaggini. Sul pavimento al centro è ripro-dotto lo stemma sabaudo, realizzato nel 1927 in ringrazia-mento della guarigione delle principesse Mafalda a Giovanna di Savoia. La parte più importante è costituita dal quadro dipinto su legno di noce, il più antico di Racconigi (1493).

  • pagina 16 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLO-

    REGINA GIOVANNA

    TRICOLORE

    Giovanna di Savoia, quartogenita di Re Vittorio Emanuele III e della Regina Ele-na, nacque a Roma al Palazzo del Quiri-nale il 13 novembre del 1907. Alla nuova Principessa di Casa Savoia vennero dati i nomi di Giovanna Elisabet-ta Antonia Romana Maria. Il nome di Giovanna non ricorre molto frequente-mente tra le figure femminili della dina-stia sabauda. La prima Principessa a por-tare quel nome fu la figlia di Oddone, duca d’Aosta e del Chiablese, che aveva sposato Andronico III Paleologo, Impera-tore d’Oriente, ma siamo nella prima metà del Trecento. Al suo battesimo, che ebbe luogo l’11 marzo del 1908 la Principessa Giovanna ebbe per madrina la bisnonna, Principessa Elisabetta di Sassonia, Duchessa di Geno-va e madre della Regina Margherita. La sua infanzia trascorse nel palazzo atti-guo alla reggia, una costruzione circonda-ta da un giardino. Come ricorda lei stessa nel suo libro di memorie, ebbe per gover-nante Miss Carolina Broughton, origina-ria di New York, ma alla sua educazione, come a quella delle sorelle sovrintendeva la Regina Elena. “..eravamo nell’orbita dell’attività di mia Madre che si occupava di tutto, guardava tutto e conosceva tutto della nostra casa nei minimi dettagli...”. Era una giovane che amava lo studio, anche se con orari pesantissimi, dalle otto di mattino fino alle sette e mezzo di sera, con solo una pausa per la colazione. Ebbe, come era d’abitudine in Casa Sa-voia, un’educazione di prim’ordine che comprendeva diverse materie, dalle lin-gue straniere, alla storia, alla matematica, che amava particolarmente, perché dotata di una facoltà di ragionamento che si a-dattava allo studio dell’algebra e del cal-

    colo. Amava anche la musica, imparò a suona-re il violoncello, strumento che portò con sè anche in Bulgaria, e prese lezioni di violino e di armonium. Allo scoppio della Prima Guerra Mondia-le la Principessa Giovanna aveva solo otto anni, ma fu ammessa con gli altri esponenti della Famiglia Reale al balcone del Quirinale il famoso 24 maggio 1915 a salutare la grande folla che si era radunata sulla piazza e che applaudiva l’entrata in guerra dell’Italia. Re Vittorio Emanuele III lasciò la fami-glia ed il Quirinale e partì per il fronte dove rimase quasi ininterrottamente per la durata del conflitto, con rapide visite a Roma. Anche la vita della Famiglia Reale al Quirinale era cambiata profondamente, perché la Regina Elena aveva trasformato la reggia nell’Ospedale da campo n. 1 che accoglieva soldati mutilati, ed anche le Principesse partecipavano all’attività del-la Regina Elena nell’opera di assistenza ai combattenti. Terminati gli anni della guerra, anche la vita in Casa Savoia riprese il ritmo nor-male. Nei ricordi di Giovanna vi erano le visite dei Sovrani delle altre nazioni al Quirinale, i pranzi ufficiali dati in loro onore, da Re Giorgio V di Gran Bretagna a Re Alberto I del Belgio, dal Re dell’Af-ghanistan ai Sovrani di Danimarca e di Svezia. Le conversazioni in famiglia Sa-voia non affrontavano mai questioni poli-tiche, ma principalmente la cronaca quoti-diana e soprattutto la cultura ed i libri. La giovinezza della Principessa Giovanna coincise con l’epoca nella quale la pubbli-cazione di una nuova ode di Giosuè Car-ducci o la rappresentazione di una nuova tragedia di Gabriele D’Annunzio costitui-

    vano un avveni-mento nazionale. I regali che Gio-vanna ricevette in gioventù erano soprattutto dei libri e lei continuò ad essere un’at-tenta ed assidua lettrice anche quando si sposò ed andò in Bulga-ria. La passione per la lettura, che costituiva per

    Giovanna un vero piacere, le era stata trasmessa dal padre, Re Vittorio Emanue-le III, che fu sempre un grande lettore di libri, manoscritti e documenti in genere. La fanciullezza della Principessa Giovan-na fu caratterizzata dalle vacanze trascor-se con la famiglia in estate a San Rossore, poi a Sant’Anna di Valdieri ed a Racconi-gi. A San Rossore uno dei passatempi preferiti della Famiglia Reale era andare a pesca di lucci, anguille e tinche sul Fiume Morto, tra l’Arno ed il Serchio. La pesca veniva praticata anche durante le vacanze a Pollenzo, quando in estate si gettavano grandissime reti in uno dei cin-que laghetti del parco. A Sant’Anna di Valdieri poi il Re e la Regina pescavano all’amo nel torrente Gesso. La Regina Elena, amante della pesca, fece riprodurre su placche in alluminio il profilo e le di-mensioni delle trote più grandi pescate dal Re o dagli ospiti. Queste placche co-stellavano le pareti della sala da pranzo della casa. Tra le sue più care amiche di gioventù la Principessa Giovanna ricorda le figlie del famoso clinico Valagussa, mentre tra gli amici ci fu l’asso dell’aviazione, il Mar-chese Francesco de Pinedo, il trasvolatore oceanico, che morì tragicamente nel 1933 a New York.

    PRIMI ANNI Beatrice Paccani

    Il castello di Racconigi

  • pagina 17 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLO-

    Il 27 novembre è giunta a Kabul l’ultima aliquota di uomini della Task Force (T.F.) “Pantera” a completamento del rischieramento nel teatro Afgano di una unità di elicotteri della Marina Militare che opererà nell’ambito dell’operazione I.S.A.F. IX (International Security and Assistance Force) per un periodo conti-nuativo di sei mesi. L’insediamento della “Task Force Marina” si è sviluppato in più fasi con l’arrivo cadenzato di perso-nale, materiale ed elicotteri, questi ultimi giunti il 16 novembre. Già a partire dal successivo 19 novembre sono iniziati i primi voli nell’ “Area Operativa di Ka-bul” al fine di raggiungere la piena capa-cità operativa (“Full Operational Capabi-lity”) degli equipaggi di volo. Il 1 dicembre presso l’aeroporto interna-zionale di Kabul ha avuto luogo la ceri-monia di avvicendamento tra la Task Force Air “Seagull” dell’Aeronautica Militare, comandata dal Colonnello Gior-gio Seravalle, e la Task Force Pantera della Marina Militare comandata dal Ca-pitano di Corvetta Nicola Milillo. La Ma-rina Militare, con il dispiegamento della stessa Task Force “Pantera”, aveva già operato in Afghanistan dal luglio 2005 sino al maggio 2006, periodo di nove mesi durante il quale l’Italia era stata al comando della missione I.S.A.F. VIII. Nello scorso mandato la Task Force “Pantera” della Marina Militare aveva evidenziato risultati significativi quali: 698 missioni eseguite per un totale di 715 ore di volo, di cui il 25% notturne svolte con l’ausilio dei visori notturni (N.V.G. - Night Vision Goggles), in supporto alle attività di evacuazione medica, di rico-gnizione, di trasporto tattico, in aggiunta alle attività prettamente umanitarie a fa-vore della popolazione locale nell’ambito della cooperazione civile-militare (CIMIC - Civilian Military Cooperation). La Task Force Marina è costituita da 3 elicotteri AB212 opportunamente confi-gurati con sistemi di autoprotezione e capacità NVG, da un gruppo di 56 milita-ri comprensivo di 3 equipaggi qualificati e abilitati al volo notturno con i visori, di una squadra tecnica di specialisti abilitata alla manutenzione delle macchine, di un piccolo nucleo di personale con compiti nel settore del supporto operativo e am-ministrativo/logistico e da un team di 10 fucilieri del Reggimento San Marco con

    compiti di protezione e sicurezza del per-sonale, dei mezzi e dei materiali. La mag-gior parte del personale che compone la TF Pantera proviene dal 4° Gruppo Eli-cotteri, basato nella Stazione Aeromobili Marina Militare di Grottaglie, frequente-mente impiegato in operazioni fuori area e recentemente rischierato - con alcune delle sue sezioni - a bordo delle Unità Navali della Squadra Navale partecipanti

    all’Operazione “Leonte”in Libano. Nel contesto della Missione I.S.A.F., orienta-ta all’assistenza e alla ricostruzione del paese, gli elicotteri della Marina Militare svolgeranno compiti di sorveglianza, pat-tugliamento, supporto alla movimentazio-ne di convogli e personale sensibile, de-terrenza, evacuazione medica (casevac - casualty evacuation).

    ISTITUZIONI

    LA MARINA MILITARE TORNA IN AFGHANISTAN

    TRICOLORE

    VII CENTENARIO DELLA CERTOSA DI S. LORENZO Il 25 novembre sono state organizze diverse iniziative in occasione del VII centena-rio della fondazione della Certosa di San Lorenzo, dal 1998 inserito dall'UNESCO nella lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Restituito al suo antico splendore, il monastero ospita una collezione di opere d'arte contemporanea. Un'occasione importante per riflettere sul ruolo di richiamo cultura-le, di sviluppo economico e di incremento turistico che il complesso monumentale assume nei confronti del territorio circostante. Sarà proprio questo il tema alla base degli incontri della giornata. Sarà presentata una breve guida plurilingue che offrirà un ulteriore strumento di promozione e di comunicazioe internazionale. Seguirà l'i-naugurazione della mostra fotografica sui cori della Certosa incentrata sulle indagini diagnostiche condotte sui pannelli intarsiati. Saranno realizzati rilievi dei cori e gra-fici che illustreranno i contenuti iconografici dei cicli intarsiati. In più una serie di pannelli didattici metteranno il visitatore a contatto con le tematiche care ai certosini: il sacrificio dei martiri, le storie eremitiche, la Vita Christi. Vi sarà, inoltre, una nar-razione musicale della vita monastica grazie ad una serie di concerti eseguiti da Hol-den Art, un gruppo musicale proveniente dalla Scuola Holden di Torino. Attraverso un variegato repertorio musicale, che va dal Gregoriano al Romanticismo italiano fino al Barocco e al Settecento, a metà tra musica colta e profana, sarà raccontata la storia della Certosa, dalla sua fondazione nel 1306 alla sua chiusura nel 1866. La mostra su L’arte nelle Certose dell’Italia Meridionale. "La Certosa di S.Lorenzo a Padula" si potrà visitare fino al 30 settembre 2007 tutti i giorni dalle 9 alle 20. Bi-glietto 4 euro, gratuito fino ai 18 ed oltre i 25 anni; ridotto del 50% tra i 18 e 25 anni.

  • pagina 18 - numero 146, 1 gennaio 2007 www.tricolore-italia.com TRICOLO-

    I bergamaschi orobici si sono ritrovati, com’è ormai tradizione da decenni, la terza Domeni-ca d’avvento, per una Santa Messa in suffra-gio delle anime dei defunti di Casa Savoia e per il pranzo degli auguri. Una giornata che, sotto il patrocinio dell’As-sociazione Internazionale Regina Elena, si è svolta all’insegna dell’unità. Commovente la celebrazione liturgica nel gremito Santuario di S. Spirito, organizzata da Tricolore con il supporto dell’Ingortp bergamasco e del Cir-colo Culturale “Duca Emanuele Filiberto di Savoia”. Vivace il pranzo, preceduto da un aperitivo-conferenza nel corso del quale il decano dei monarchici di Bergamo e provincia, l’Avv. Franco Malnati, membro dell’autentica Consulta dei Senatori del Regno, ha sinte-tizzato abilmente la situazione attuale, spronando tutti alla difesa dell’ideale monarchico e del Capo di Casa Savoia, S.A.R.

    Vittorio Emanuele. Il Dr. Alberto Casirati ha ricordato la figura della terza Regina d’Italia, alla quale, nell’anno centenario della nascita, è stata dedi-

    cata in particolare questa giornata, ed ha portato i saluti del Segre-tario Internazionale dell’Airh. Dopo gli auguri, tutti si sono dati appunta-mento per domenica 11 febbraio, per la tradizionale colazione di festeggiamento per il genetliaco dei Prin-cipi di Napoli.

    (tutte le foto: Tricolore)

    ATTIVITÀ UNITARIE

    TRICOLORE

    BERGAMO FEDELE

    “LE RAGIONI DELLA MONARCHIA” IN BIBLIOTECA

    E’ inserito nel sistema informatico cen-tralizzato delle biblioteche italiane il vo-lumetto “Le Ragioni della Monarchia”, scritto da Alberto Casirati e disponibile, in versione pdf aggiornata, anche sul nostro sito internet. Redatto allo scopo di proporre al lettore una sintesi documentata di alcuni impor-tanti fatti storici, il libretto condensa, in