KugyePocarinunanuovaedizione - CAI sezione di Gorizia · si plurimi di Kugy.E anche in questo...

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TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIA DEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883 ANNO XLV - N. 3 - LUGLIO-SETTEMBRE 2011 “Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia” In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia L’attualità di un classico Kugy e Pocar in una nuova edizione di SERGIO TAVANO Alpi Giulie. Cima del Vallone da Ovest (giochi di luce e nubi). I n due anni soltanto, tra il 1967 e il 1969, la sezione goriziana del CAI, guidata con fervido slancio da Ma- rio Lonzar, promosse due edizioni delle opere principali di Julius Kugy, ambedue tradotte da Ervino Pocar e da lui offerte alla “sua” sezione goriziana. Uscirono per i tipi Tamari di Bologna: Dalla vita di un alpinista (Aus dem Leben eines Bergsteigers)e La mia vita nel la- voro, per la musica, sui monti (Arbeit – Musik – Berge: ein Leben). Mentre però il volume del 1967, già edito nel 1932 dall’Eroica di Milano, è stato poi ripro- posto in italiano più volte, anche dopo il 1967, risulta quasi del tutto indisponibile l’altro (che ha avuto un’edizione a Trie- ste nel 1993, con la traduzione di Nada Carli: La mia vita. Lavoro – Montagne - Musica, Edizioni Ricerche). Ambedue i volumi, ma forse più il secondo, offrono strumenti validi per conoscere la figura di Kugy e più ancora per comprendere da vicino la civiltà in cui egli visse e che concorse ad animare nei suoi caratteri fondamentali. Ora l’Eurograf di Tarvisio ha ripro- posto questa seconda opera di Kugy nella serie dei “Segnavia”, sulla base di una riproduzione anastatica in cui però sono comprese le trentadue fotografie, che allora erano fuori testo; altre sedici figure sono inserite nell’appendice, cu- rata da Luciano Santin, sicché si rag- giungono 257 pagine. Rispetto all’edizione del 1969, che aveva due pagine di Premessa di Mario Lonzar, ora se ne sono aggiunte molte altre, sia in apertura del volume, dove compaiono l’Introduzione del curatore, Lucino Santin, e la Prefazione di chi scrive questa segnalazione (Cultura tra Adriatico e Alpi: Julius Kugy, pp. 9-15), sia in chiusura dove, oltre alle fotogra- fie nuove, è aggiunta un’Appendice (pp. 239-242) con passi molto belli e inediti, tratti dallo scambio epistolare intrattenuto nel 1929 tra Kugy e Pocar, in vista dell’edizione italiana della prima autobiografia alpinistica kugya- na. E qui piace rilevare il tono con cui Kugy rispose a Pocar che gli aveva fatto conoscere la sua traduzione: «Ho letto le traduzioni. Molto belle! Certe cose mi hanno commosso (…). Credo che il libro italiano sarà più bello del te- na se alla fine viene suscitata vera am- mirazione verso il germanista goriziano anche per questa ricostruzione che fa trasparire il suo intento altamente civi- le ed etico nell’amare la montagna e l’alpinismo, il quale impone un «pro- gramma di educazione. (…) Scuola dove gli uomini imparano che il primo dovere, e il massimo documento di saggezza, è la tolleranza reciproca» (p. 241). Non è qui il caso di cercare di capi- re e di distinguere a quale dei tre inte- ressi che Kugy coltivò in tutta la sua vita (lavoro, musica, montagna) andas- se la sua preferenza, anche se gli fu posto il quesito, al quale egli non volle rispondere con precisione, bilancian- dosi tra musica e montagna come tra due poli ugualmente entusiasmanti. La cura intelligente con cui Pocar riveste la sua traduzione, che ha sapu- desco» (p. 240). Come già nelle due edizioni italiane (e goriziane) del 1967 e del 1969, anche in questa occasione risaltano nel loro grande valore e in una splendida luce la figura e l’opera di Ervino Pocar: egli era impegnato sì nella traduzione ma la sua mediazione doveva essere un’oc- casione in più per entrare nello spirito dell’opera da cui partiva: «Non basta capire la lingua dalla quale si traduce, bisogna rivivere l’opera d’arte, risentir- la sonante nell’anima» (p. 240). Il gran- de germanista goriziano, a cui tutta la cultura italiana deve la conoscenza del mondo tedesco, si propose per tutta la vita di contribuire all’«universale avvici- namento fra i popoli mediante la nostra nobile attività di traduttori, attività che continueremo a fare, di anelli di con- giunzione tra una nazione e l’altra, anche a costo di rinunciare a noi stes- si. E questa massima rinuncia si può farla soltanto per amore» (p. 240). Il volume appena uscito riguarda oggettivamente tre aspetti della figura di Kugy, che nel titolo originale, tradot- to alla lettera, suonerebbe Lavoro – Musica – Montgne: una vita, ma che, con felice intuito, Pocar ha voluto ri- pensare in modo che apparisse subor- dinato a una ripresa quasi nostalgica della biografia, e perciò lo ha trasfor- mato in modo che ciascuno degli inte- ressi di Kugy acquistasse un posto e un significato particolari. I due volumi, quello del 1967 e quello del 1969, sono venuti a compor- re un quadro unitario della vita, della personalità e soprattutto degli interes- si plurimi di Kugy. E anche in questo caso e da questo punto di vista l’inter- vento di Ervino Pocar è risultato deter- minante, per cui non c’è forzatura alcu-

Transcript of KugyePocarinunanuovaedizione - CAI sezione di Gorizia · si plurimi di Kugy.E anche in questo...

  • TRIMESTRALE DELLA SEZIONE DI GORIZIADEL CLUB ALPINO ITALIANO, FONDATA NEL 1883

    ANNO XLV - N. 3 - LUGLIO-SETTEMBRE 2011

    “Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento Postale - 70% - DCB/Gorizia”

    In caso di mancato recapito restituire a CAI Gorizia, Via Rossini 13, 34170 Gorizia

    L’attualità di un classico

    Kugy e Pocar in una nuova edizionedi SERGIO TAVANO

    Alpi Giulie. Cima del Vallone da Ovest (giochi di luce e nubi).

    I n due anni soltanto, tra il 1967 e il1969, la sezione goriziana del CAI,guidata con fervido slancio da Ma-rio Lonzar, promosse due edizionidelle opere principali di Julius Kugy,ambedue tradotte da Ervino Pocar e dalui offerte alla “sua” sezione goriziana.Uscirono per i tipi Tamari di Bologna:Dalla vita di un alpinista (Aus dem Lebeneines Bergsteigers) e La mia vita nel la-voro, per la musica, sui monti (Arbeit –Musik – Berge: ein Leben). Mentre peròil volume del 1967, già edito nel 1932dall’Eroica di Milano, è stato poi ripro-posto in italiano più volte, anche dopo il1967, risulta quasi del tutto indisponibilel’altro (che ha avuto un’edizione a Trie-ste nel 1993, con la traduzione di NadaCarli: La mia vita. Lavoro – Montagne -Musica, Edizioni Ricerche). Ambedue ivolumi, ma forse più il secondo, offronostrumenti validi per conoscere la figuradi Kugy e più ancora per comprendereda vicino la civiltà in cui egli visse e checoncorse ad animare nei suoi caratterifondamentali.

    Ora l’Eurograf di Tarvisio ha ripro-posto questa seconda opera di Kugynella serie dei “Segnavia”, sulla base diuna riproduzione anastatica in cui peròsono comprese le trentadue fotografie,che allora erano fuori testo; altre sedicifigure sono inserite nell’appendice, cu-rata da Luciano Santin, sicché si rag-giungono 257 pagine.

    Rispetto all’edizione del 1969, cheaveva due pagine di Premessa di MarioLonzar, ora se ne sono aggiunte moltealtre, sia in apertura del volume, dovecompaiono l’Introduzione del curatore,Lucino Santin, e la Prefazione di chiscrive questa segnalazione (Cultura traAdriatico e Alpi: Julius Kugy, pp. 9-15),sia in chiusura dove, oltre alle fotogra-fie nuove, è aggiunta un’Appendice(pp. 239-242) con passi molto belli einediti, tratti dallo scambio epistolareintrattenuto nel 1929 tra Kugy e Pocar,in vista dell’edizione italiana dellaprima autobiografia alpinistica kugya-na. E qui piace rilevare il tono con cuiKugy rispose a Pocar che gli avevafatto conoscere la sua traduzione: «Holetto le traduzioni. Molto belle! Certecose mi hanno commosso (…). Credoche il libro italiano sarà più bello del te-

    na se alla fine viene suscitata vera am-mirazione verso il germanista gorizianoanche per questa ricostruzione che fatrasparire il suo intento altamente civi-le ed etico nell’amare la montagna el’alpinismo, il quale impone un «pro-gramma di educazione. (…) Scuoladove gli uomini imparano che il primodovere, e il massimo documento disaggezza, è la tolleranza reciproca» (p.241).

    Non è qui il caso di cercare di capi-re e di distinguere a quale dei tre inte-ressi che Kugy coltivò in tutta la suavita (lavoro, musica, montagna) andas-se la sua preferenza, anche se gli fuposto il quesito, al quale egli non vollerispondere con precisione, bilancian-dosi tra musica e montagna come tradue poli ugualmente entusiasmanti.

    La cura intelligente con cui Pocarriveste la sua traduzione, che ha sapu-

    desco» (p. 240).Come già nelle due edizioni italiane

    (e goriziane) del 1967 e del 1969, anchein questa occasione risaltano nel lorogrande valore e in una splendida lucela figura e l’opera di Ervino Pocar: egliera impegnato sì nella traduzione ma lasua mediazione doveva essere un’oc-casione in più per entrare nello spiritodell’opera da cui partiva: «Non bastacapire la lingua dalla quale si traduce,bisogna rivivere l’opera d’arte, risentir-la sonante nell’anima» (p. 240). Il gran-de germanista goriziano, a cui tutta lacultura italiana deve la conoscenza delmondo tedesco, si propose per tutta lavita di contribuire all’«universale avvici-namento fra i popoli mediante la nostranobile attività di traduttori, attività checontinueremo a fare, di anelli di con-giunzione tra una nazione e l’altra,anche a costo di rinunciare a noi stes-

    si. E questa massima rinuncia si puòfarla soltanto per amore» (p. 240).

    Il volume appena uscito riguardaoggettivamente tre aspetti della figuradi Kugy, che nel titolo originale, tradot-to alla lettera, suonerebbe Lavoro –Musica – Montgne: una vita, ma che,con felice intuito, Pocar ha voluto ri-pensare in modo che apparisse subor-dinato a una ripresa quasi nostalgicadella biografia, e perciò lo ha trasfor-mato in modo che ciascuno degli inte-ressi di Kugy acquistasse un posto eun significato particolari.

    I due volumi, quello del 1967 equello del 1969, sono venuti a compor-re un quadro unitario della vita, dellapersonalità e soprattutto degli interes-si plurimi di Kugy. E anche in questocaso e da questo punto di vista l’inter-vento di Ervino Pocar è risultato deter-minante, per cui non c’è forzatura alcu-

  • 2 Alpinismo goriziano - 3/2011

    Vallbruna, 7 agosto 2011. Il tavolo dei relatori alla presentazione del volume di Julius Kugy La mia vita nel lavoro, per la musica sui monti.Da sinistra l’editore Luigi Leonardi; Luciano Santin, deus ex machina della manifestazione; Sergio Tavano, autore della nuova prefazione altesto e Valerio Pocar, figlio dello storico traduttore delle opere kugyane.

    Valbruna, 7 agosto 2011. Ursula Pitzer accompagnata dal marito davanti alla lapide dedica-ta a Anton Oitzinger, una delle guide più amate da Julius Kugy.

    to sempre farsi diversa e trasparentein ragione dei temi e degli autori, fa sìche il tono e lo stesso vocabolario siadattino di volta in volta ai toni e ai si-gnificati dei ricordi e dei pensieri cheKugy propone. Ed è così che, quandolo scrittore ripensa alla montagna e allesue scensioni, la sua narrazione acqui-sta uno slancio e quasi una tensioneche sono ben diversi da quelli che ven-gono suscitati dai ricordi musicali:questi hanno un che di più morbido edi diversamente sublime, affidandosi algodimento spirituale e non soltantoalla gioia soddisfatta della salita e dellaconquista: l’atmosfera che la musicasuscita attorno a lui non è mai puraevasione, proprio perché egli si mostrarigoroso nei giudizi sull’esecuzione esull’interpretazione ma si rivela insiemeintimamente personale. L’invenzionediligente viene esercitata e godutatanto nelle salite quanto nell’ascoltodella musica.

    Come tre sono i fili del racconto, in-trecciato di fatti svariati e di osserva-zioni di vario genere, che Kugy affida aqueste pagine, si possono dire ugual-mente tre le tracce che stanno dietroall’edizione e che vanno suggerite allettore: spicca anzitutto, com’è ovvio,la personalità di Kugy, sicuro di sé, or-goglioso del proprio operare, pursenza vanterie compiaciute, e attento acoltivare gli interessi migliori.

    Il tutto è come avvolto da una reteelegante di un’altra presenza, che per-mea e rende affascinante e persuasivoil racconto: è il frutto della mediazionedi Ervino Pocar, ottocentesco egli puree guidato similmente da una visionenobile della vita, intesa come missione,e dell’aspirazione alle altezze, anzituttodi quelle spirituali e culturali, conqui-state attraverso la montagna e attra-verso la musica, sempre con una sen-siblità acuta e luminosa.

    È però da ricordare ancora che ilmerito principale di questa larga cono-scenza dell’opera di Kugy va riferito al-l’intraprendenza della sezione gorizia-na del CAI e all’iniziativa di MarioLonzar: la Premessa che egli affidò al-l’edizione del 1969, non riprodotta inquesta nuova, rivela affinità tra gli at-teggiamenti e la visione del mondo col-tivati da Kugy e quelli espressi daPocar in tante altre occasioni: c’è unaconsonanza nel linguaggio, quando,per esempio, Lonzar si dice mosso«dai sentimenti più puri e dai pensieripiù belli» (p. 5), anche con la volontà direagire al «lungo, ingiusto e incom-prensibile oblio nel quale per tantotempo la sua opera è rimasta sepolta»(p. 6).

    Lo stesso Lonzar mostra di avergradito assai le parole di chi gli avevadetto, a proposito dell’edizione italiana(e appunto goriziana) dei due volumi:«Avete fatto un monumento a Kugy».Nel momento in cui da Gorizia si riaffi-dava al mondo dell’alpinismo e dellaletteratura l’opera “rinnovata” di Kugy,lo stesso monumento giungeva a ri-cordare e ad onorare non meno l’ope-ra e la personalità di Ervino Pocar, fi-gura esemplare della civiltà goriziana,che si rammaricò per il deserto cheseguì all’allontanamento dei migliori at-torno al 1923: «Se Nino non fossemorto saremmo rimasti tutti a Gorizia,se non altro per la gioia di collaborarecon lui alla ricostruzione della cittàtanto amata» (pp. 241-242). Volumicome questi di Kugy e l’opera di Pocarpossono concorrere a intravedere, piùche a ricuperare, valori e significatid’un’età felice ma ripudiata.

    N ell'ambito del Festivalbruna -Film 2011 si è svolta domenica7 agosto, una giornata dedicataal grande alpinista scrittore emusicista Julius Kugy con un ampioprogramma di manifestazioni in suoonore, in una cornice unica, in quellasplendida località alpina ai piedi dellegrandi pareti delle Giulie occidentali alui tanto care.

    Molti gli ospiti presenti e tra questianche la pronipote di Kugy, UrsulaPitzer, riconoscibile per i suoi capellibianchissimi e per il suo vistoso co-stume tradizionale.

    Grande animazione, già di primomattino, nel piccolo borgo con tantagente ad affollare la via principale…un'atmosfera festosa spentasi d'im-provviso al pomeriggio con l'arrivo diuna fitta pioggia. Ma ciò nonostante, ilprogramma si è svolto regolarmentecon buona presenza di pubblico, gra-zie ad un'ottima organizzazione che si

    è avvalsa di uno staff tecnico prepara-to ed affiatato e… ad un onnipresentee discreto Luciano Santin.

    Tra le tante interessanti iniziativeche hanno caratterizzato il Kugy's dayda segnalare l'applaudissimo concer-to Kugy Musik che si è tenuto, nellatarda mattinata, nella piccola chiesadella SS. Trinità, con musiche di W.A.Mozart, R. Schumann, F. Schubert,C.D. Caroli e V. Parma, eseguite dallebravissime Veronica Vascotto (sopra-no) e Cristina Santin al pianoforte.

    Nel pomeriggio invece, presso laTensostruttura -Saisera-, è stata pre-sentata al pubblico la nuova edizionedel libro di Kugy La mia vita - nel la-voro, per la musica, sui monti nellaclassica traduzione del grande germa-nista Ervino Pocar. Un'opera impor-tante che riappare in libreria, per ini-ziativa della Euro Graf di Tarvisio e peri tipi delle Arti Grafiche Friulane, dopopiù di quarant'anni dalla prima edizio-

    ne in lingua italiana che risale al 1969e fu realizzata dalla sezione del CAI diGorizia con l'allora presidente MarioLonzar.

    Alla presentazione del volumehanno affiancato il conduttoreLuciano Santin, l'editore LuigiLeonardi, il prof. Valerio Pocar (figliodel traduttore) ed il prof. SergioTavano, autore della prefazione allanuova edizione, che sono intervenuticon brevi e coinvolgenti contributipersonali in relazione alla nuova pub-blicazione.

    È seguita, a cura dell'alpinistaLuca Beltrame, la proiezione di unpiacevole video su una salita allaTorre Nord del Montasio "a 100 annidalla prima" e lungo lo stesso itinera-rio percorso da Kugy e compagni nel1910!

    A conclusione di una intensa gior-nata di appuntamenti culturali, in se-rata ed ancora nel tendone "Saisera",è stato proiettato (una vera "prima" inItalia) il film Kugy, produzione jugosla-va del 1984, che racconta la vita delpersonaggio inserita nel contesto sto-rico e politico del tempo. Un film inte-ressante che ci propone situazioni ( elibere interpretazioni) che fan parteanche di un periodo triste del nostropassato con eventi che hanno condi-zionato la vita delle genti di questeterre.

    Ottimo il lavoro di sottotitolazionein italiano dei dialoghi in lingua slove-na che facilitano la comprensionedella trama. Mentre la proiezione delfilm procedeva nella sua lunghissimadurata (circa 3 ore) fuori del tendone lapioggia ha continuato a cadere con in-sistenza e senza un attimo di tregua…a quel punto non è rimasto che rasse-gnarsi e pensare al detto popolare“Festa bagnad... ...festa fortunada!"anche perché il bilancio complessivodi quella giornata è stato, nonostante ilmaltempo, sicuramente positivo!

    (C.T.)

    Kugy’s day a Valbruna - 7 agosto 2011

  • Alpinismo goriziano - 3/2011 3

    Renzo Stabile

    A lcuni anni fa ho parlato qui di ungrande alpinista giuliano, dimen-ticato anche dal sodalizio cheaveva pubblicato i suoi scritti per-vasi da un grande amore per le Alpi Giu-lie ed i loro abitatori, dei quali aveva ri-velato l'attitudine a percorrere la monta-gna fin nei suoi recessi più selvaggi perun camoscio o una gerla di fieno. Sem-pre su AG ho ricordato un altro straordi-nario personaggio, l'amico Felice Be-nuzzi, scrittore finissimo dalla rara ca-pacità di cogliere quegli aspetti minoridel mondo alpino a cui la maggior partedi noi presta poca attenzione.

    La loro rievocazione ha fatto sì chealtri li riscoprissero come se fosserostati loro a farlo, poi, come sempre av-viene, su Miro e Felice si è steso nuo-vamente un velo d'oblio, facendoli tor-nare in quell'ombra che forse non è aloro del tutto sgradita. Qualcuno avràpensato che l'aver riproposto due alpi-nisti del passato non è servito a nulla,ma confido che nella mente di certepersone sensibili e romantiche qualco-sa sia rimasto e ciò è di per sé un risul-tato positivo che mi stimola a procede-re sulla strada delle rimembranze,lungo la quale ho trovato una figuraancor più negletta, quella del friulanoRenzo Stabile.

    Comici è stato definito "il cavalieredella montagna" per la globalità dellasua dedizione ai monti, portata avantitra molte difficoltà fino a trovarvi lamorte: l'esistenza di Stabile ne ricalcain modo sorprendente le imprese e lasorte tragica. Egli ebbe il vantaggio diuna tranquilla situazione economica -era sua un'oreficeria a Udine -, ma locondizionò una balbuzie che lo fece unpo’ scontroso e poco propenso a co-municare con la gente, preferendo an-dare da solo anche su itinerari difficili.

    Stabile era nato nel capoluogo friu-lano nel 1909 e scorrendo la cronacaalpinistica lo troviamo all'esordio nel1934 con una nuova via nel gruppodella Grauzaria, per gli abitanti della ValAupa solo "la Crete". Non sappiamoquali richiami abbiano fatto appassio-nare Stabile a questo angolo delleCarniche, dove avrebbe aperto unatrentina di vie sulle pareti più repulsiveper la loro friabilità. Qui si arriva primache sulle Giulie, ma sarebbe banalepensare ad una scelta puramente logi-stica. Stabile aveva una Topolino e di-sporre all'epoca di un mezzo autonomodi trasporto era un privilegio di pochi,ma lo stesso le sue uscite fuori dellemontagne friulane non sono statemolte. Un'impresa rilevante, compiutanel 1947 assieme a Cirillo Floreanini, èstata la parete sud del Pic Chiadeniscon difficoltà finali di VI grado e va ri-cordata anche la prima ripetizione dellavia Gilberti sul Œuc dal Bôr, 750 metri diroccia infida e verdi ripidi, un tipo di ter-reno congeniale anche a Miro Dougan.Dal suo curriculum alpinistico è possi-bile notare che Stabile prediligeva lesalite invernali e nel febbraio del 1949salì da solo il Jôf Fuart per la Via de lisCodis, dopo averlo raggiunto anche perla Spragna e la Sella Mosè. Andar suimonti d'inverno costituisce l'espressio-ne più esaltante dell'alpinismo, che ri-chiede una particolare preparazione fi-sica e mentale: farlo da soli è sempremolto rischioso, specialmente allora,quando nessuno ti veniva a soccorrere.

    Stabile non pensava solo ai montied infatti è stato direttore della Scuoladi alpinismo della SAF e membro diquella Nazionale, mostrando una parti-colare disponibilità verso i giovani desi-derosi di avvicinarsi alla montagna.Ancora nel 1935 aveva steso un testa-mento olografo, che venne trovato nel

    l'umano consorzio, presago che la suaesistenza sarebbe finita lì. Non per que-sto si deve concludere col dire che ognisalita era una prova da ordalia, mentrenon vi è dubbio che egli avrebbe prefe-rito trovar sepoltura come nella canzo-ne "Stelutis alpinis" e lì avremmo potu-to portargli un fiore.

    Il Rifugio Grauzaria - eretto con ilsuo lascito - è dedicato a lui e aUmberto Tinivella, che alpinista nondev' essere stato; al suo interno c'è unafoto che ritrae Stabile in arrampicata,certo una delle poche scattate a que-st'uomo schivo.

    Nel 1950 ho pernottato nella miseramalghetta da capre al Foran de laGjaline - monticata dalla famigliaGardel "Gjariòz", detta anche "Ors"- ec'era un alpinista che in tutta la sera

    non disse una parola:si trattava sicuramen-te di Renzo Stabile, ilquale un anno dopoavrebbe chiuso qui ilsuo cammino terreno,trovando quella paceche andava cercandosulle montagne chis-sà da quando. Mirendo conto che il ri-cordo di Stabileavrebbe potuto esse-re migliore, ma ora-mai quelli che l'ave-vano conosciutosono morti anch'essi:bisognava pensarciprima e comunquespettava ad altri farlo.L'auspicio è che la vi-cenda non abbia a ri-petersi con IgnazioPiussi, l'alpinista piùcompleto che sianato nella nostra re-gione, tornato nellavalle natia al terminedi un'esistenza che loaveva tenuto a lungolontano.

    ed estimatori. Egli aveva indicato che,nel caso fosse morto in montagna, de-siderava essere inumato in quel paesee così fu fatto, con grande concorso dialpinisti e valligiani.

    A questo punto bisogna aprire unatriste parentesi per dire che con la rota-zione delle sepolture fatta negli anni '80la tomba venne rimossa e i resti del po-vero Stabile finirono in una fossa comu-ne, non essendo stato trovato nessunodisposto ad accollarsi le spese neces-sarie. All'epoca era ancora vivo qualcu-no che si era legato alla sua corda enon staremo qui a farne i nomi, osser-vando tuttavia che la Società alla quale

    suo scarpone da chi ne raccolse ilcorpo il 18 ottobre 1951 alla base dellaparete NE della Cima dei Gjai. Il docu-mento però non era del tutto chiaro inmerito a quale sodalizio alpinistico do-veva andare la maggior parte del lasci-to di nove milioni, una cifra a queltempo molto rilevante. Al termine di unalunga battaglia legale il giudice decisesalomonicamente a favore della sezio-ne di Moggio, dove Stabile aveva amici

    Stabile molto aveva dato si disinteressòdella sorte delle sue ossa. Per qualimotivi ciò sia avvenuto non è dato sa-pere, ma è significativo che, pur aven-do Stabile tutti i titoli per essere am-messo al CAAI, la proposta non vennemai fatta, segno che a Udine lui non go-deva di molte simpatie, forse perchédurante il fascismo non si era allineatodalla parte giusta, ma la mia è soltantoun'illazione campata in aria.

    Sulla Rivista Mensile del 1952 è ap-parso un necrologio di autore ignotoscritto col cuore in mano ed è in qual-che modo rivelatrice l'affermazione se-condo la quale la vita di Stabile erastata "amara e contrastata" e l'animosuo "misconosciuto". Era quindi suimonti che lui era andato a cercare quel-la serenità che non aveva trovato nel-

    Appuntamento a Bovec

    Figure neglette

    Renzo Stabile, vivere e moriredi montagnadi DARIO MARINI - GISM

    La Medace (Grauzaria). A destra si staglia lo spigolo Sud - R. Stabilein solitaria 25.10.1942. Al centro lo spigolo Ovest - R. Stabile e G.Perotti 01.11.1943. (Disegno di Carlo Tavagnutti)

    Si svolgerà nelle giornate del 28, 29,30 dicembre prossimo la quinta edizio-ne del BOFF - Bovec Outdoor FilmFestival, manifestazione dedicata aglisport outdoor e alla natura. Sono que-

    ste le due sezioni del concorso cinema-tografico internazionale che avrà com-pimento proprio nelle tre giornate difine anno con le proiezioni e le premia-zioni dei film che la giuria del BOFF

    avrà selezionato. Il concorso è apertoalla partecipazione di produzioni pro-fessionali e amatoriali ed è diviso in duesezioni "sport e avventura" e "natura eambiente" a loro volta distinte in lungoe cortometraggi. Il termine per la pre-sentazione dei filmati al concorso èstato fissato al 10 novembre 2011. Lapartecipazione è gratuita.

    Ricco il programma delle manife-stazioni collaterali al concorso cinema-tografico. Si va dal workshop sul freeri-de, a quello stop motion dedicato aibambini, al concorso delle sculture dighiaccio, alle mostre tra le quali spiccaquella del fotografo di montagna e na-tura Branko Bradaskja, ai libri, alla ta-vola rotonda su sicurezza e normativedegli sport outdoor, per finire con lamusica ed i concerti live.

    Per tutte le informazioni sul pro-gramma delle manifestazioni e per leiscrizioni al concorso cinematografico:www.boff.si.

  • 4 Alpinismo goriziano - 3/2011

    D urante quest’estate sarete sicu-ramente stati su un’atollo del-l’Oceano Indiano o sulla bar-riera corallina australiana,vero?! Allora andiamo a vedere, in unangolo della nostra regione, come di-venteranno quei lontani luoghi tra milionid’anni!! Lo facciamo iniziando un viag-gio nel tempo che ci porta indietro di450 milioni di anni, nell’era Paleozoica,periodo Ordoviciano superiore.

    Qual era il paesaggio a quel tempo?In un mare profondo pochi metri mamolto esteso e con un clima temperatofreddo si depositavano lentamente sab-bie e fanghi provenienti da terre emersepoco distanti; quei sedimenti costitui-scono oggi le rocce più antiche affio-ranti nella nostra regione della Forma-zione dell’Uqua con spessori di circa 40m, all’interno delle quali riconosciamole forme di vita di allora come trilobiti ebriozoi. Ma “solo” 10 milioni di annidopo, nel periodo Siluriano, a causa siadell’abbassamento dei fondali dovutoallo stiramento della crosta terrestre siadello scioglimento della calotta glacialeche stazionava sull’attuale Sahara (!), il li-vello marino si alza consentendo la de-posizione, sui fondali meno profondi, difanghi calcarei ricchi di Ortoceratici, spe-cie di ammoniti non avvolti a spirale, edin quelli più profondi, argille nere conmoltissimi resti di graptoliti, organismicoloniali imparentati con le meduse; iprimi formeranno le rocce dei “Calcarinodulari a Ortoceratidi” e le seconde le“Argilliti a Graptoliti”.

    Questi scenari durano circa 40 mi-lioni d’anni, durante i quali il clima è an-dato cambiando, perché il settore friu-lano si è spostato verso i tropici, alcaldo! E con le acque che mantengonouna temperatura costantemente sopra i20°C, la vita esplode: 400 milioni di annifa, periodo Devoniano, il mare è un pro-liferare di organismi, molti dei quali co-loniali, come coralli, alghe (Stromato-poridi), molluschi, spugne ecc., che vi-vono su fondali bassi soggetti a escur-sioni di marea; aree vastissime, questavolta lontane da terre emerse, forse ad-dirittura nel bel mezzo dell’oceano, sog-gette a deposizione di sedimenti calca-rei in ambiente di piattaforma che an-dranno a formare i calcari e i calcari do-lomitici che compongono parte dellenostre montagne. In questo lungo pe-riodo che dura 40 milioni d’anni, gli or-ganismi marini coloniali riescono a co-struire impalcature enormi, sia in lun-ghezza sia in altezza; poiché tali orga-nismi hanno bisogno di acque calde eben ossigenate, possono vivere solo vi-cino alla superficie marina o poco al disotto. Se il tasso di abbassamento delfondale o di risalita del livello marino èlento, gli organismi che muoiono rie-scono ad essere sostituiti da altri man-tenendo il corpo vivente della scoglierasempre all’adeguata profondità; si pos-sono in tal modo formare impalcaturealte più di 1000 m!!! Si formano così an-cora oggi nei mari tropicali dell’OceanoIndiano o sugli atolli dell’Oceano Paci-fico, le scogliere, grandi grattacieli dicarbonato di calcio, la cui parte vivente,organogena, sempre più rilevata rispettoalle aree contermini prende il nome di“bioherma” e che, proprio per la suaposizione rilevata, difende dall’energicaazione del moto ondoso quelle zone piùinterne, di retroscogliera e di laguna,dove le acque più calme consentono ladeposizione in sottili strati di fanghigliecalcaree fini, ricche di organismi, comespugne, crinoidi, alghe, brachiopodiecc. Dall’altra parte, cioè verso il mareaperto, la scogliera si raccorda con ifondali profondi mediante una scarpata

    austriaco E. Pichl parte il sentiero natu-ralistico Naturpfad Wolayersee, che co-stituisce un tratto del Geo Trail delle Kar-nische Alpen; il sentiero che conduceverso la cima del Rauchkofel attraversaassociazioni rocciose che testimonianogli antichi ambienti prescogliera, dai piùantichi, la formazione dell’Uqua con are-niti e peliti grigio nocciola, alle argillitinere della formazione di Bischofalm, te-stimoni di fondali scarsamente ossige-nati, fino ai calcari dolomitici e lastroididella cima, formati dal deposito di resti di

    Foto 1. M. Coglians e Creta delle Chianevate, versante Nord (dal M. Rauchkopfel). (Foto Iadarola)

    Foto 2. Piega-faglia dei Kunzkopfe (parete Nord della Creta delle Chianevate.(Particolare della foto 1). (Foto Iadarola)

    dalla Creta di Collinetta fino alla Creta diTimau ed evidenziata dalla presenza diareniti e brecce composte da blocchi,anche di dimensioni metriche, franatilungo la scarpata ed incastonati in unamatrice calcarea più fine che diventavia via prevalente allontanandosi dal-l’impalcatura biohermale del Coglians.

    Il posto merita una visita. Il sentieron. 144 che dal rifugio Tolazzi raggiungeil Lambertenghi si sviluppa lungo unavallata impostata su una faglia alpina adecorso Nord-Sud la quale ha aperto un

    a debole pendenza, sulla quale si de-positano, per gravità e in strati inclinati,frammenti e blocchi che il moto ondosostrappa alla bioherma, formando i de-positi detti di “avanscogliera” o “talus”,mentre i sedimenti più fini raggiungonoi fondali oceanici.

    Cosa succede se il livello marino di-minuisce o cresce velocemente? Nelprimo caso la bioherma emerge, nel se-condo annega; in entrambe le condi-zioni, l’impalcatura vivente muore e lascogliera finisce la sua crescita. Nel De-voniano medio la piattaforma carbona-tica inizia a smembrarsi a causa del mo-vimento distensivo della crosta terre-stre (rifting) e i fondali si abbassano finoa oltre 2000 m di profondità, e lo fannorapidamente (geologicamente par-lando), seppur in modo differenziato dasettore a settore. Nel Devoniano supe-riore, circa 370 milioni di anni fa, la piat-taforma carbonatica è annegata por-tando con sé le specie viventi che su diessa proliferavano; ciò avviene in corri-spondenza di una delle più grandi estin-zioni di massa avvenute a livello glo-bale, con la scomparsa del 70% dellespecie allora viventi!!

    Cosa ci rimane dell’antica scoglierala cui evoluzione è stata così sintetica-mente raccontata? Nel tempo quei se-dimenti carbonatici sono diventati rocceed hanno subìto due orogenesi, quellaercinica prima e quella alpina poi; cioèsono state sottoposte a sforzi com-pressivi che ne hanno determinato dap-prima il piegamento e il sollevamentocon la formazione di una catena mon-tuosa non molto elevata, la Catena Pa-leocarnica, e poi un successivo solle-vamento fino all’assetto attuale. Ciò cheè importante è che quella catena si siaconservata fino ad oggi permettendocidi ammirare l’antica scogliera che per-corriamo dal Volaia, al Coglians, al Zer-mula, al Cavallo di Pontebba, all’Oster-nig, lungo il confine austriaco, ma checontinua anche in Slovenia nelle Cara-vanche; è la scogliera più grande d’Eu-ropa, con un’estensione di 180 km percirca 15 km di larghezza. Il punto d’os-servazione migliore della bioherma, inquanto splendidamente conservata ericchissima di resti fossili, si trova almonte Coglians, dove evidenzia tutta lasua imponenza, con uno spessore di ol-tre 1200 m!! (FOTO 1). Qui la scoglierapaleozoica aveva un’estensione di circa10 km e una larghezza di 5 km, postasull’orlo dell’oceano Paleotetide col cuifondale si raccordava attraverso unascarpata, anch’essa splendidamenteconservata con i suoi caratteri tipici,

    Un po’ di geologia 3

    La scogliera devoniana del M. Cogliansdi FULVIO IADAROLA

    varco nella continuità della catena deimonti di Volaia-Coglians che ci permetteora di valicarla; e, salendo, già si cogliel’imponenza della scogliera sia in sini-stra, al Capolago, sia in destra, sul ver-sante occidentale del Coglians. Non po-trà sfuggire, alle spalle del Lamberten-ghi, il colore rossastro delle rocce cal-caree, fittamente stratificate ad anda-mento ondulato e ricche di microfossili(Calcari a Tentaculiti del Devoniano me-dio), che accompagnano fino allo spar-tiacque e che si ritrovano anche in sini-stra, al Costone Lambertenghi; rappre-sentano sedimenti di mare aperto eprofondo, lontano da terre emerse.

    Il blu del lago di Volaia contrasta conil rosa alle spalle del rifugio austriaco econ quello che filtra dai prati del Rau-chkofel o del versante sinistro, salendo,della Valle Valentina; tutte rocce dellostesso tipo delle precedenti. Dal rifugio

    gusci e frammenti di molluschi del De-voniano inferiore sui quali inizierà a strut-turarsi la scogliera vera e propria. E pro-prio dalla cima del Rauchkofel è possibilecogliere tutto lo straordinario sviluppodella struttura organogena devonianaesposta sulla parete nord del Coglians edella Creta delle Chianevate; alla basedella parete si osserva la stratificazione,in parte deformata, delle rocce dellostesso tipo di quelle presenti sulla cimadel Rauchkofel e laddove, salendo con losguardo, gli strati non sono più distin-guibili, inizia l’impalcatura dellabioherma, fin quasi alla cima (FOTO 2).

    L’orogenesi ercinica, attiva nel Car-bonifero superiore, dura pochi milionid’anni ma determina, attraverso la col-lisione di zolle crostali in avvicinamentoreciproco con direzione NordOvest-Su-dEst, il piegamento, la frammentazionee l’emersione dal mare, dapprima come

  • Alpinismo goriziano - 3/2011 5

    La capanna di caccia negli anni della Grande Guerra - utilizzata dagli austriaci come sede dicomando di zona. (Si nota la mancanza di vegetazione verso Sud).

    La rinnovata “Capanna di caccia Re di Sassonia” il giorno dell’inaugurazione (27 agosto 2011).

    27 agosto 2011. “Capanna di caccia Re di Sassonia”, un momento dell’inaugurazione.

    Foto 3. Blocco di calcare nodulare adOrtoceratidi (Siluriano). (Foto Iadarola)

    totipi di avanscogliera e di transizione albacino oceanico. Al Passo della Valen-tina (Valentin Törl), si osserva tutto ciòcome affacciati su un balcone geolo-gico; peccato che le informazioni pre-senti sui pregevoli grafici illustrativisiano solo in tedesco.

    E mentre scendete dal Rauckhofelverso la Valentin Törl, sull’unico pianoroche incontrate, accanto alle vigili mar-motte padrone del luogo, guardate dovemettete i piedi perché calpesterete dicerto rocce rosate ricche di Ortoceratidi,

    Tra le novità più evidenti della rin-novata capanna: uno spazio coperto al-l'esterno sul lato ovest che può dare ri-paro in caso di pioggia e lo sbosca-mento di una vasta area a valle delpiazzale che consente finalmente dispaziare sul paesaggio verso sud oltreil Rio del Lago.

    Hanno contribuito alla nuova realiz-zazione il Corpo Forestale dello Stato(che è il depositario dei "Beni delCulto"), il CAI regionale e, naturalmen-te, il determinante lavoro di numerosioperai e tecnici qualificati.

    La gestione del manufatto sarà affi-data alla sezione del CAI di Tarvisio

    d'oro, caduto a Montefior nel 1916.La vecchia costruzione, lasciata in

    totale abbandono, era ridotta in com-pleta rovina ed inagibile.

    Ora, a seguito di un’encomiabileopera di conservazione e di decisivi in-terventi di adeguamento delle antichestrutture in legno e con la sostituzionedei serramenti e degli arredi interni, il ri-fugio è rinato, e con l'occasione è statoripristinato anche l’antico toponimo chericorda storicamente l'origine in annimolto lontani e lo scopo per il quale fucostruito.

    La denominazione attuale è dunque"Capanna di caccia Re di Sassonia"

    isole e poi come catena montuosa con-tinua, della Catena Paleocarnica, 310milioni di anni fa. La seconda grandeorogenesi, quella alpina, iniziata 40 mi-lioni d’anni fa ed ancora in corso, ha ri-sparmiato questo settore montano con-sentendoci di poter osservare ancoraoggi i segni delle deformazioni ercini-che, ad esempio alla base della pareteNord del Coglians (FOTO 2); la porzionea destra nella foto, la scogliera vera epropria, è sovrascorsa parzialmentesulla porzione di sinistra, costituita da li-

    anche se rimane ancora il riferimento"Rifugio G. Brunner" per mantenereuna continuità di carattere toponoma-stico ma sarebbe opportuno che, sullanuova tabella indicativa, vengano postiil logo del CAI e la quota del luogo.

    (alla quale bisognerà rivolgersi per lechiavi) ma dovranno essere gli escur-sionisti e gli alpinisti che frequenteran-no la zona ad adoperarsi, con senso ci-vico, per la buona conservazione diquesta importante e storica opera alpi-na!

    (C.T.)

    N el Vallone di Riobianco, lungo ilsentiero n° 625, è stato inaugu-rato il 27 agosto scorso il rinno-vato rifugio che negli anni '30 delsecolo scorso la SAG aveva dedicatoalla memoria di Guido Brunner, medaglia

    L’amena località di Sauris ospiteràsabato 22 e domenica 23 ottobre2011 la 47° edizione del Conve-gno Alpi Giulie, che a turno ognianno le tre regioni confinanti ai piedidelle Alpi orientali – Carinzia, Slovenia eFriuli Venezia Giulia – organizzano perproporre nuove occasioni di incontro edi iniziativa comune tra gli alpinisti dellesocietà alpine Österreichischer AlpenVerein, Planinska Zveza Slovenje e ClubAlpino Italiano.

    La Sezione di Forni di Sopra coordi-nerà l’aspetto logistico, che prevede lasistemazione alberghiera dei parteci-panti e lo svolgimento del programmadel convegno.

    Sin dal mattino di sabato 22 ottobregli ospiti saranno interessati alla visitadel tipico villaggio alpino di Sauris, conle sue caratteristiche architettoniche eculturali nonché le peculiarità dell’ac-coglienza turistica, rappresentate dal-l’Albergo Diffuso e dalle altre struttura-zioni realizzate.

    Nel pomeriggio il salone del Kursaalaccoglierà i convegnisti per lo svolgi-mento delle relazioni e per la discussio-ne sul tema CLUB ALPINI E AMMINI-STRAZIONI PUBBLICHE. QUALI SI-NERGIE NEL COMUNE OBIETTIVODELLA TUTELA, SICUREZZA E CRE-SCITA SOCIO-ECONOMICA DELLAMONTAGNA.

    Il tema si prefigge lo scopo di deli-neare i rispettivi spazi di competenza,da una parte delle organizzazioni alpini-stiche, che rivendicano il loro ruolo infunzione delle libera frequentazionedella montagna, in piena sicurezza efunzionalità delle strutture; dall’altraparte il ruolo della Pubblica Ammi-nistrazione, cui compete il sostegnoper la manutenzione e lo sviluppo del-l’area montana, in funzione delle suacontinuità demografica e con il migliora-mento turistico, strutturale e produttivo.

    Il confronto tra le diverse condizio-ni di sensibilità sul tema, esistenti nelletre regioni confinanti, proporrà secon-do le aspettative degli organizzatori unconsolidato apporto di idee e stimoli diestrema utilità reciproca. Al convegnosaranno cordialmente invitati i compe-tenti rappresentanti politici regionalidelle tre parti, che avranno così mododi partecipare ad un momento impor-tante per la vita delle nostre “terre alte”.

    La giornata di domenica sarà dedi-cata poi ancor più puntualmente allamontagna, nel senso gradito agli alpi-nisti dell’escursione sulle bellissimemontagne carniche della conca diSauris. Il commiato presso un Rifugioalpino concluderà l’incontro che sin dal1965 rinnova l’amicizia di austriaci, slo-veni e italiani in questa nostra terra, fi-nalmente senza più barriere.

    47 volte convegnoAlpi Giulie

    Opere alpine

    A nuovo la Capanna di Caccia Redi Sassonia

    testimoni dell’antico mare siluriano, vec-chie di 400 milioni d’anni (FOTO 3); miraccomando…..immortalatele nelle vo-stre fotografie ma lasciatele sul postoperché appartengono a tutti.

    Alla fine di questo breve raccontogeologico che ha narrato nascita escomparsa della scogliera devoniana,forse a qualcuno sorgerà spontanea unadomanda: cosa è accaduto dopo e qualisorprese ci riserva ancora questa nostraregione? Come sempre, la storia conti-nua…

  • Il testo dice “Gli ebrei ed i membri dell’associazione Donauland qui non sono graditi” (ar-chivio dell ÖeAV di Innsbruck). Manifesto antisemita, che, sulla base di quelli carinziani, eraaffisso sui numerosi rifugi austriaci della Società Alpina, 1921-22.

    6 Alpinismo goriziano - 3/2011

    L a conservazione del carattere na-zionale tedesco e la supremaziadella cultura tedesca furono sindall’inizio aspirazione e riferi-mento centrali della Società alpina au-stro-tedesca (Deutscher und Österrei-chischer Alpenverein – DuÖAV). In oc-casione dell’assemblea generale dellasocietà alpina tedesca tenutasi nell’a-gosto del 1872 a Villaco fu dato rilievoalla “missione storico culturale dei tede-schi” e richiamato alla memoria come “loscopo della società alpina non consi-stesse solamente nella conquista dellevette, ma anche nella diffusione dellospirito, della formazione e dei costumitedeschi” (Annuario dell’ÖAV, 1873). Nelcorso del convegno fra alcune societàalpine svoltosi nel 1907 a Jesenice – par-tecipò anche la sezione di Villaco delDuÖAV –, i partecipanti approvarono lapubblicazione di un registro alberghierotedesco, affinché i turisti tedeschi nonconsegnassero il loro denaro all’“insidianazionale” slava. La “Guida turistica na-zionale attraverso gli insediamenti tede-schi nell’Austria meridionale” apparvenel 1914 a Klagenfurt.

    Sotto il manto della scientificità, at-torno al 1900 si diede inizio alla germa-nizzazione dei nomi sloveni delle mon-tagne. Al riguardo lo storico MartinWutte tentò di fornire la prova che ilnome tedesco “Villacher Alpe” avesseun’origine più antica della denomina-zione slovena di Dobraœ.

    Dalla fine del XIX secolo singole se-zioni del DuÖAV cercarono di introdurrenei loro statuti il paragrafo di riferimentoall’arianesimo: il tentativo fallì di frontealla resistenza del comitato direttivo. Inoccasione dell’assemblea generale delDuÖAV che ebbe luogo nell’ottobre del1919 a Norimberga, la sezione di Villacorichiese l’introduzione del paragrafoariano negli statuti degli organi centrali.A causa di un errore formale la propostanon fu messa ai voti, ma nel successivodibattito si giunse alla decisione “chenessun ostacolo debba essere opposto

    a singole sezioni che desiderino inclu-dere nei loro statuti il paragrafo ariano”(Verbale della 20a seduta del comitatodirettivo dell’8 e 10 ottobre 1919 a No-rimberga).

    Nel corso dell’assemblea annualetenutasi l’11 febbraio 1920, con 53 voticontro 6 la sezione di Villaco decise l’in-serimento nei suoi statuti del paragrafoariano, che negava la qualifica di socio ainon ariani.

    Nel 1921 il medesimo paragrafo en-trò in vigore anche nella sezione Austriadi Vienna, evento che determinò l’uscitadei soci ebrei, che fondarono la sezioneDonauland.

    Negli anni successivi l’agitazioneantisemita si indirizzò proprio contro lasezione Donauland; tra gli altri, le se-zioni carinziane della società alpina pro-

    miamo l’attenzione sul fatto che la se-zione di Villaco ha adottato il paragrafosull’arianesimo con l’autorizzazione delcomitato direttivo, e di conseguenzaessa si sente anche autorizzata a con-durre l’amministrazione della sezione eimpostare l’esercizio dei propri rifugi se-condo criteri nazionali tedeschi. A que-sti criteri appartiene, va da sé, anchel’antisemitismo. Facciamo inoltre notarecome l’affissione del manifesto riguar-dante gli ebrei implicasse nelle inten-zioni anche un monito verso tutti queglielementi estranei alla razza, la cui com-parsa nei nostri rifugi potrebbe turbareseriamente l’armonia alpina.”

    Da parte del comitato direttivo siconstatò con rincrescimento come “al-l’infuori della negazione di sovvenzioni odell’espulsione non fosse a disposizione

    testarono compatte contro l’ammis-sione della neocostituita Donaulandnella federazione nazionale: “Noi carin-ziani corriamo il rischio che le nostremontagne diventino il campo d’azione diintrusi dell’Est – già costantementesotto i nostri occhi, dal momento che inostri laghi, in particolar modo il bellago di Wörth, sono meta quasi esclu-siva di ebrei. Per questo motivo salu-tammo con entusiasmo la decisionedelle sezioni viennesi e di altre di intro-durre negli statuti il paragrafo ariano” –così una missiva della sezione di Wolf-sberg indirizzata al comitato direttivodel DuÖAV il 10 maggio 1921.

    Dall’estate del 1921 numerosi rifugiaustriaci della società alpina esposerodei manifesti che ricordavano come imembri della sezione Donauland fos-sero esclusi dalle agevolazioni sullequote per la loro frequentazione. Le se-zioni carinziane, da parte loro, deciserodi applicare ai propri rifugi delle tabellecon il seguente testo: “I soci della se-zione Donauland non sono i benvenuti inquesto rifugio.”

    Richiamata dal comitato direttivo acausa dei manifesti antisemiti, la sezionedi Villaco elaborò una risposta del se-guente tenore: “Per cominciare richia-

    alcun altro mezzo coercitivo nei con-fronti della sezione di Villaco.”

    Nel 1923 riguardo alla “questioneebraica” la sezione di Villaco prese la de-cisione di modificare l’iscrizione fino adallora adottata “Gli ebrei ed i soci dellasezione Donauland non sono graditi inquesto rifugio” in “Agli ebrei è proibitol’ingresso”, a seguito della quale la se-zione fu nuovamente invitata dal comi-tato direttivo a rimuovere dai rifugi le ta-belle che riportavano queste parole.

    Un anno più tardi la sezione di Vil-laco comunicò laconicamente al comi-tato direttivo che in futuro gli affissiavrebbero riportato il testo “Non è gra-dito l’accesso da parte di ebrei.”

    Nel settembre del 1922 l’“Arbeiter-wille” relazionò dettagliatamente sul “Di-vieto agli ebrei” (Judenverbot) emanatodalla sezione di Villaco: “Parecchiotempo fa il gruppo locale di Villaco dellaSocietà alpina austro-tedesca divenneproprietario del rifugio sul Dobratsch.Su questo rifugio da un po’ fanno mostradi sé le parole ‘Agli ebrei è vietato l’in-gresso sotto questo tetto!’. Natural-mente queste parole sono corredate dalsimbolo della croce uncinata. Da quantoci è dato sapere l’iscrizione è stata po-sta sul rifugio in seguito ad una deliberadel gruppo locale di Villaco. Oltre a ciò,il medesimo gruppo locale avrebbe sta-bilito che il contratto di affitto stipulatocon il gestore sarebbe stato da consi-derarsi risolto nel momento in cui questiavesse consentito ad un ebreo l’in-gresso nel rifugio. Tutto ciò indica chia-ramente come un’intera associazione sifaccia imbrogliare da alcuni ignobili in-dividui privi di senno e prenda poi una si-mile decisione. Tutto questo può esseropera solamente di una congregazioneche sia guidata da bambini, da imbecillio da mascalzoni senza coscienza.”

    È un dato di fatto che la sezione diVillaco della Società alpina collaboravaattivamente in seno al comitato di la-voro nazionale tedesco della città. Sitrattava di una federazione di numeroseassociazioni che precorrevano il nazio-nalsocialismo e che non solo propagan-davano il disegno dell’unione etnica, masi opponevano anche a tutto ciò che era“non ariano” e “degenerato”. A soste-nere di fronte ai propri organi centraliuna linea rigorosamente antisemita fusoprattutto Theodor Janisch, membrodel direttivo della Società alpina di Vil-laco. Coerentemente egli fu socio fon-datore della sezione locale di Villaco delpartito nazionalsocialista (NSDAP), per ilquale fu attivo in seno al consiglio co-munale dal 1920 al 1933. In occasionedella 50ª assemblea generale della So-cietà alpina a Rosenheim nel luglio 1924,la sezione di Klagenfurt, che dal maggio1922 riportava nei propri statuti il para-grafo ariano, propose l’esclusione dellasezione Donauland dal consesso dei de-legati. A seguire, nel corso dell’assem-blea generale straordinaria del DuÖAVtenutasi il 14 dicembre 1924 a Monaco,la sezione Donauland fu espulsa dall’or-ganizzazione centrale con 1.663 voticontro 190.

    Con ciò anche per la sezione di Vil-laco veniva “rimosso dalla società al-pina un corpo estraneo che ha ostaco-lato l’attività fin qui svolta sulle nostremontagne”, così il quotidiano cittadinonel dicembre 1924.

    La connivente chiusura antisemitadel DuÖAV fu in ultima analisi una fune-sta anticipazione dell’incombente Olo-causto.

    Traduzione dal tedescodel pieghevole informativo

    di Bernardo Bressan

    Attualità

    Il dovere di ricordare

    Ebrei indesideratidi WEMER KOROSCHITZ

    IInn qquueell ssaabbaattoo ppiioovvoossoo ddii ggiiuuggnnoo,, qquuaannddoo iinniizziiaammmmoo aa ssaalliirree vveerrssoo iillDDoobbrraattsscchh,, ddoovvee aavvrreemmmmoo ppaarrtteecciippaattoo iinn vveettttaa aallll’’iinnaauugguurraazziioonnee ddeell rriinnnnoovvaattooRRiiffuuggiioo LLuuddwwiigg--WWaalltteerr HHaauuss,, nnoottaammmmoo llaa lluunnggaa sseerriiee ddii ppaallii nnuummeerraattii ee ccoorrrreeddaa--ttii ddaa uunnaa ssoorrttaa ddii ttaabbeellllaa rriieevvooccaattiivvaa,, cchhee aaccccoommppaaggnnaavvaannoo ttuuttttoo ll’’iittiinneerraarriioo ddii ssaa--lliittaa.. AAdd ooggnnii ppaalloo uunn nnuummeerroo pprrooggrreessssiivvoo eedd uunnaa ttaarrggaa ccoonn ffoottoo ee ddaattee,, rriiffeerriittii aassooccii aallppiinniissttii ddeellllaa SSeezziioonnee ddii VViillllaaccoo ddeellll’’ÖÖsstteerrrreeiicchhiisscchheerr AAllppeennVVeerreeiinn..

    UUnnaa ddeellllee ddaattee eerraa qquueellllaa ddeellll’’eessppuullssiioonnee ddaall ssooddaalliizziioo,, iinn qquuaannttoo eebbrreeoo oo ccoo--mmuunnqquuee ssoocciioo ddeellllaa SSeezziioonnee ““DDoonnaauullaanndd””,, eevviiddeenntteemmeennttee nneegglleettttaa.. LL’’aannnnoo iinnddii--ccaattoo eerraa qquueelllloo ddeell 11992200,, bbeenn pprriimmaa qquuiinnddii cchhee ssoorrggeessssee ll’’aallbbaa ttrraaggiiccaa ddii AAddoollffHHiittlleerr oo qquueellllaa ddooppppiiaammeennttee iinnffaammee ppeerr iimmiittaazziioonnee,, ffiissssaattaa nneellllaa ssttoorriiaa ddeell nnoossttrrooppaaeessee ccoonnttrroo ggllii eebbrreeii aadd ooppeerraa ddeell ffaasscciissmmoo nneell 11993388..

    QQuueellllaa ssppeecciiee ddii vviiaa ccrruucciiss,, llaa ““VViiaa ddeeii NNoommii”” ccoossìì cchhiiaammaattaa,, pprroosseegguuiivvaa ffiinnooiinn aallttoo ssuullllaa mmoonnttaaggnnaa,, ccoonn uunnaa ddiiggrreessssiioonnee ssoolloo iinn pprroossssiimmiittàà ddeellllaa ccaappaannnnaa““JJuuddeennhhüüttttee”” ssuull ddeecciimmoo rriilliieevvoo ddii vveettttaa ee ddoovvee ppeerr ll’’ooccccaassiioonnee eerraa aalllleessttiittaa uunnaammoossttrraa rriieevvooccaattiivvaa.. UUnnoo ddeeii rriiccoorrddaattii ccii eerraa bbeenn nnoottoo,, ttrraattttaannddoossii ddii HHeennrriikk TTuummaa,,ssoocciioo eeffffeettttiivvoo ddeell CCAAII aa GGoorriizziiaa ee,, gguuaarrddaa ccaassoo,, ppaarriimmeennttii ““ddiimmiissssiioonnaattoo”” nneell11992244..

    VVaa qquuii rreessoo mmeerriittoo aallll’’iinniizziiaattiivvaa pprreessaa ddaallllaa SSeezziioonnee ddii VViillllaaccoo ddeellll’’OOAAVV,, cchheenneellll’’ooccccaassiioonnee ffeessttoossaa ddeell nnuuoovvoo rriiffuuggiioo,, hhaa vvoolluuttoo ccoossìì rriiccoorrddaarree ii bbrruuttttii mmoommeennttiivviissssuuttii aanncchhee nneell lloorroo aammbbiieennttee aallppiinniissttiiccoo,, ccoommee iinn ttuuttttee llee nneeffaassttee vviicciissssiittuuddiinniieessiisstteennzziiaallii ddeell tteemmppoo..

    (PG)

  • Riccarda de Eccher - Triglav (particolare).Aquerello cm. 76,5x58,5, su carta Arches,Francia.

    Alpinismo goriziano - 3/2011 7

    I profili boscosi che tutt'intorno ca-ratterizzano il paesaggio, s'inter-rompono in una spiovente raduraerbosa che, rivolta verso il latopontebbano, presenta una gradevo-lezza già percepibile al primo sguardo.È l'alpeggio della Pradulina (Piccoloprato) a marcare il panorama, mentrel'omonima casera ben visibile ad occhionudo, rimanda a pascoli purtroppo datempo non adeguatamente apprezzati.

    Ma nel quadro di essenziale, buco-lica semplicità, difficilmente si potràimmaginare che il delineamento prati-vo della sella separi una realtà di fra-namenti rossastri che contraddistin-guono l'opposto versante del Canaled'Incaroio; talmente impervi dall'esse-re delimitati con il filo spinato da im-porre attenzione a chi, bovini compre-si, transiti nelle adiacenze.

    Poi, lo sguardo, superando versoNord le ultime mughete, scorre lungola dorsale di magre zolle erbose ed as-secondando il profilo della regolare pi-ramide, è attirato dal Salincjet che sulversante opposto precipita con ugualeripidezza.

    Verso levante, invece, quindi ap-piattita dalla sfavorevole prospettivaconcessa dalla montagna, una crestadi cui poco si percepisce l'effettivosviluppo, né i risalti che ne tormentanol'andamento.

    E la composizione - specie se go-duta nel controluce del tramonto - sta-gliantesi nera ed inglobante i partico-lari, si avvicina all'aspettativa di unaperfezione estetica normalmente ine-sistente: percepibile solo se sorrettada smisurata passione verso quanto cicirconda ed ospita.

    La snella montagna di 1858 metri,il cui oronimo sembra derivare daSalin=zona sassosa, promette ariosipanorami, anche se la cima più alta,non stimolando per l'eccessiva friabi-lità, fa solitamente preferire la minorequota di un metro della più abbordabi-le vetta meridionale.

    Anche qui, come in quasi tutte lezone alpine della nostra regione, ci simuove ancora soprattutto grazie aisentieri della Prima Guerra Mondiale.Intrecciandosi tra cime e forcelle, ri-mandano alle tristi vicende delle qualinessuno può ritenersi disinteressato.

    Come, documentandosi, è istrutti-vo constatare quanto questi luoghifossero ritenuti importanti già in tempilontani. Da antichi scritti del 1560, in-fatti, si viene a conoscenza che unaabituale via di comunicazione tra laCarnia ed il Canale del Ferro - ValCanale, sfruttasse proprio la sellaPradulina.

    Escludendo per la maggiore lun-ghezza il già frequentato passo diLanza, essa favoriva un collegamentopiù diretto, specialmente a quanti, pernecessità lavorative dovessero prose-guire verso le Nazioni confinanti.

    Nella Descrizione della Cargna diJacopo Valvasone di Maniago(Pontebba e la sua storia di G. D.Piemonte, 1982) a tale proposito si ri-cava: …s'apre anco un'altra stradache dalla detta Pontevia (Pontebba)passa nel Canale d'Inchiaroio et allaterra di Tolmezzo per lo spatio di 20migli (allude alla rotabile, allora trattu-

    Caro direttore,grazie per l'invio di “Alpinismo

    goriziano”, sempre così ricco di ri-chiami interessanti. Per me anche unrinnovato legame di cultura con luo-ghi e monti che ho molto (romantica-mente) amato.

    Complimenti per la tua esaurienterelazione sul Trento Film Festival: lapiù completa e acuta tra quelle cheho letto. Condivido le tue impressionie opinioni salvo una, e su questa mipermetto di spedirti una pulce nell'o-recchio.

    180° South secondo me (l'ho vi-sionato apposta, per il mio coinvolgi-mento decennale nelle vicende pata-goniche) è un'abile strumentalizza-zione, direi un marketing di efficienzaaziendale per un prodotto con parec-chie ombre. Tu hai comunque notatocon perspicacia l'ambivalenza diENEL.

    L’"avventura" è certo molto spor-tiva, estrema, ben filmata, ma già di-stante dalle radici culturali di cui haisottolineato il mutamento nell’"Evo -luzione della specie" (titolo quantomai azzeccato).

    Personalmente nutro molti dubbia riguardo di tutta la questione delledighe nella Patagonia, anche perchémi sono trovata coinvolta nella regio-ne ben oltre l'alpinismo. La mancan-za di trasparenza nelle iniziative, siain quelle contrarie sia in quelle a fa-

    vore, e la loro presentazione con finiteoricamente almeno in parte accet-tabili, ma con strategie populiste si-mili praticate da tutte le parti incausa, mi suscita interrogativi.

    Quale realtà mascherano certeambivalenze e contraddizioni? Solofini imprenditoriali nazionali e tran-snazionali, o contese di poteri? Soloecologia integralista o lunga manogeopolitica USA? Quali intromissionifra gerarchie ecclesiastiche e teolo-gia della liberazione? Sarà fantapoli-tica ipotizzare anche intrecci con ilFMI, i debiti sovrani, la tassa sulCO2?

    Comunque sia, non si può esclu-dere una sapiente manipolazione deiprocessi di persuasione, sia nei ri-guardi degli abitanti (ahimè ancor piùsudditi che cittadini), sia nei riguardidell'opinione pubblica internazionale.Ritengo che, nonostante la nostraimpotenza di fronte ai grandi giochidella finanza e dell'economia, un po’di critica e diffidenza non guastino.Forse possono aiutare anche i pata-gonici stessi a non sentirsi isolati conil loro problematico dilemma.

    Certo sarebbe bello discutere avoce di questa mia presa di posizio-ne, ma incontrarsi non è facile. Peroggi ancora grazie e buona estate!

    Silvia Metzeltin

    M0NTAGNE IN MOSTRA

    Contemporaneamente alla XX edi-zione di MontiFilm - Cinema e monta-gna che si svolgerà nel Palazzo delCinema nel prossimo mese di novem-bre, alla Galleria d'arte "Mario Di Iorio"presso la Biblioteca Statale Isontina diGorizia in via Mameli 12 la pittrice e al-pinista Riccarda de Eccher esporràsuoi acquerelli.

    La mostra, intitolata "Montagne",dopo l'inaugurazione mercoledì 9 no-vembre sarà visibile fino a lunedì 28dello stesso mese.

    Gli orari di apertura sono: da lunedìa venerdì dalle 10.30 alle 18.30; il saba-to dalle 10.30 alle 13.30.

    Salincjêt da est, da località Garnischen (foto Contin).

    I lettori ci scrivono

    La pulce nell’orecchio

    La bifida vetta dello Salincjêtdi BRUNO CONTIN - GISM

    ro, Studena Bassa-Carbonarie). Lastrada è per fino al presente commodaper li carri da Tolmezzo a Povolaro(Paularo) ma da indi alla Pontevia è so-lamente de' pedoni et cavalli per lospatio di 10 miglia.-.

    La salita proposta, pur svolgendo-si in zone considerate minori, offreconseguentemente anche interessantirisvolti storici, tali da indurre compren-sione e rispetto verso chi questi luoghili dovette frequentare con spiritomolto diverso dai nostri ludici momen-ti di svago.

    L'approccio più spontaneo, prove-nendo dal versante pontebbano, èquello che da località Carbonarie (ta-bella, segnavia 438) lungo la rotabileper il passo di Lanza, sale alla raduracosteggiando il rio Pradulina.Raggiunta la casera si prosegue dia-gonalmente con il sentiero 435 toc-cando l'insellatura del Cuel Mat aquota 1639 metri sul crestone orienta-le dello Salincjet, che, con sentierinosegnato, si percorre fino in vetta.

    Sconsigliabile, in salita alla malga,il tratto dell'Alta Via d'Incaroio che perfaticosi prati si riallaccia alla parte fi-nale dell'itinerario precedente.

    Maggiormente remunerativa, inve-ce, la traversata che da 1,5 km primadel passo di Lanza (tabella, segnavia435), passando per il rifugio Pezzeit(1474 m, chiuso), raggiunge il CuelMat.

    Adottando questa seconda solu-zione ed avendo precedentemente la-sciata una vettura in localitàCarbonarie per risalire al luogo di par-tenza, ci si regala un percorso moltovario e sicuramente non…affollato.

  • 8 Alpinismo goriziano - 3/2011

    Gite d’estate

    Di monti, volpi e deidi MARKO MOSETTI

    A vevo cinque anni quando mio pa-dre mi condusse per la primavolta in un'escursione montana.Ero un bambino gracile e mala-ticcio e l'arrivo alla meta di quella gior-nata, il rifugio Flaiban-Pacherini , par-tendo da Forni di Sopra, mi parve unagrande conquista dopo che, per quelletre ore che durò la salita, avevo avutomodo di assaggiare l'esaltazione dellapartenza, la baldanza dei primi passi, epoi la percezione della vacuità del nostroandare e con essa la noia e subito al se-guito la fatica, lo scoramento e infine lagioia del raggiungimento della meta.Confesso che scendendo, quel giorno,nella mia infantile ingenuità guardavodall'alto in basso chi si arrabattava lungoil sentiero in salita .

    Sono passati più di cinquant'anni daquelle memorie e la montagna lungotutto questo lasso di tempo ha assuntovia via sempre più importanza nella miavita arrivando per ampi periodi a costi-tuire un interesse unico, totale. Più cheun'infatuazione è stato un lungo e felicerapporto d'amore fatto, come si con-viene, di giornate esaltanti e di altre menofelici se non proprio negative, di alti e dibassi, di prenderci e lasciarci. Dopo tantelunghe stagioni, negli ultimi anni, saràper l'età (parlare di maturità mi sembrasconveniente e fuori luogo), per il tempotrascorso, per l'arrivo di nuovi interessi,il rapporto con le vette ha assunto una di-mensione meno esclusiva. Accade cheuna domenica con buone previsionivenga trascorsa al mare, in spiaggia osulla barca a vela di amici gentili e com-piacenti, o a inseguire kilometri e salite insella alla bicicletta o, semplicemente acorrere o passeggiare, un passo via l'al-tro, per sentieri, boschi, colline. L'unicacosa che non è mutata è il desiderio dicontatto con la natura, con meno inter-mediazioni possibili. La montagna non èdimenticata né abbandonata, è sempli-cemente diventata una parte, importantema una parte. Allora il bel passaggio suuna via d'arrampicata vale ed emozionaquanto una corsa solitaria, una salita su-perata spingendo sui pedali, una mano-vra di vele fatta senza far infuriare troppolo skipper, una piccola cima raggiunta te-nendo per mano la figlia più piccola.

    Pensavo a tutto questo un giorno diquesta estate balorda indecisa tra pioggee neve e sfiancanti giornate torride. Pen-savo a questo e mi domandavo se me lastavo raccontando giusta o piuttosto sefacevo la parte della famigerata volpe alcospetto dell'irraggiungibile uva. La con-clusione fu che non me ne poteva impor-tar di meno, che le montagne son semprelì e che il mio amore nei loro confronti nonsi era modificato di un amen. È capitatocosì che in questa balorda estate le gitepiù emozionanti, e non solamente di que-sta stagione, siano state le salite a duecime piazzate in mezzo al mare. Nulla dieroico, poco più che delle passeggiatema dense di suggestioni, stimoli, signifi-cati.

    Non era la prima volta che arrivavo aKarpathos, piccola isola ai margini del-l'Egeo, distesa tra Rodi e Creta. Traquelle viste è sicuramente quella che piùmi è rimasta nel cuore per la sua natura

    credibilmente senza vento sebbeneOmero citi l'isola attribuendole l'appella-tivo di anemoessa (ventosa). Il frescodella notte sta lasciando spazio al sole.La luce dai toni freddi va via va aumen-tando di temperatura e con quella dellaluce s'alza quella dell'aria, 32°. Comodetabelle segnaletiche, distanza kilometrica

    con virgola e decimali e relativo tempo dipercorrenza, al minuto! Esagerato, masogno di tanti gitanti della domenica. Piùavanti sul terreno radi segni a vernicespennellati sulle rocce che bucano labassa vegetazione su una terra rossa,carsica. Che sia un ricordo della tradi-zione rivoluzionaria greca la scelta cro-matica del rosso col nero, richiamo dellebandiere anarchiche di Bakunin e Mala-testa? Non ho nemmeno il tempo dipormi la domanda che un frullio sotto ipiedi mi fa sobbalzare di spavento: ho di-sturbato una pernice che s'è alzata involo e plana veloce verso valle. In un at-timo il silenzio ritorna e mi accompagnapoi fino alla larga sella presidiata da unleccio solitario piegato e tormentato dalvento. E più su, lungo la spalla che inbreve giunge in cima. Solo da qua per-cepisco il belare di ovini che comunquenon riesco a vedere. Ho corso lungotutto il sentiero, braccato dalla tempera-tura che procedeva di conserva con lamia ascesa. Da quassù la vista copre idue mari da un lato e dall'altro, l'Egeo eil Mar Libico, si spinge fino alla non lon-

    ancora quasi intatta, per il ritardo con ilquale si concede alla globalizzazione tu-ristica, per l'amabilità semplice dei suoiabitanti. Fin dalla prima volta che l'hovista, qualche anno fa, una salsiccia di-stesa in mezzo al mare senza un metro diterreno pianeggiante, salvo la pista del-l'aeroporto, per arrivare ai 1215 metridella sua cima principale, mi è apparsapiù montagna che spiaggia. Poi però lavetta del Kali Limni era sempre lassù, ir-raggiungibile, per il caldo africano già aiprimi di giugno, per il piacere delle acquelimpidissime, di spiagge deserte, dei pro-fumi stordenti delle piante aromatiche edelle resine. Alla terza volta sull'isola unamattina appena dopo l'alba con piùsforzo di quanto poi effettivamente civoglia ad arrivare in cima sono scivolatofuori dal letto, silenziosamente per nondisturbare le mie donne addormentate.Una rapida colazione e via, nel fresco,verso l'altopiano da dove parte il sentieroper la cima. Rocce, erba verde, vacche alpascolo. Potremmo essere in mezzo alleAlpi se alle spalle, poco più in basso,non luccicasse il mare. Silenzio, aria in-

    del turista (e ci siamo in mezzo tutti, chenessuno si chiami fuori) forse vive ancoranascosto tra queste pietre. Non sullespiagge, neanche su quelle più isolate,nascoste, solitarie si riesce più a sentirel'eco delle parole del Poeta che canta diFidippo e Antifo che conducono le lorotrenta navi ad accompagnare gli eroi piùcelebri all'assedio di Troia. Indugio alungo, disteso sulle pietre della cima, adassorbirne gli umori e i profumi, il ricordodell'umido residuo della notte e il caloredel nuovo giorno, a cercare di penetraree catturare la fuggevolezza del mo-mento. L'inquietudine, però, di essere liper caso non si può zittire a lungo, e unaiuto lo dà anche lo strumento che av-visa che la temperatura ha raggiunto i37° (e la mattina è appena iniziata). Mistacco con fatica da quel pulpito comerare volte mi è capitato da una cima. Legambe ciondolano e indugiano fino allasella invitandomi a scovare e racco-gliere gli ultimi ricordi. Quando sonomolto in basso incrocio quattro ragazze.Scambiamo un paio di chiacchiere. L'af-fanno che le ha già catturate fa guar-dare anche loro alla cima come a unMito che oggi però assomiglia sempre dipiù a una Fata Morgana. A valle, nella ta-verna, la moglie di Tanassis sta riordi-nando i tavoli dalla cena di ieri sera. Misiedo sotto la pergola e mi godo la birra.Marca Mythos, naturalmente.

    Non era nei programmi di quest'e-state di trascorrere una decina di giornid'agosto sull'isola di Stromboli. Si pre-sentò però un'occasione di quelle chenon si possono né si devono rifiutare.Degli amici ci ospitavano nella loro casa.È stata la prima volta che ho messopiede su quell'isola da tempo immagi-nata, sentita raccontare, letta. Con nellamente lo sgranato bianco e nero del '49di Roberto Rossellini guardavo avvici-narsi nel calore del pomeriggio quel conofumante in mezzo al mare attraverso il fi-nestrino incrostato di salsedine dell'ali-scafo. A terra l'impressione è diventataancora più forte. Nere le spiagge, nere lerocce e il terreno, fertilissimo e da troppotempo abbandonato all'inselvatichi-mento. I boati del vulcano perennementein attività, la terra mai quieta. Le case cu-biche bianchissime. Cento anni fa aStromboli vivevano circa 3000 persone,di pesca ed agricoltura, senza una fonted’acqua dolce. Oggi gli abitanti sonoforse 500 che d'estate si moltiplicanograzie al turismo. Così pesca ed agricol-tura sono state abbandonate ché nellarete oggi ci finiscono i turisti.

    Cento anni fa gli stromboliani non cipensavano nemmeno a salire al vulcano.Questi era un qualcosa di vivo, semprepresente e minaccioso, bonario ma ca-pace occasionalmente di violente spa-rate. Era entità dotata di vita propria epersonalità. Non c'era scopo di andarloa visitare. Iddu, è così che lo chiama-vano, stava lassù e gli isolani di sotto,ciascuno a rispettosa distanza. Ah, l'an-tica sacralità dei monti.

    Oggi il rapporto è cambiato. Forse illa è partito dalle scene recitate in vettada Ingrid Bergman. La salita alla cima(918m), diventata un must dopo il film diRossellini, è stata interdetta per qualcheanno, dal 2002, a causa di un picco del-l'attività vulcanica. Dal 2005 l'ascesa ènuovamente consentita ma ad un nu-mero limitato e controllato di escursioni-sti rigorosamente accompagnati daguide vulcanologhe e paganti.

    Le distanze sono crollate, la sacralitàscomparsa, i fianchi di Iddu diventatiparco giochi. E sono fiorite le agenzie diguide. Oggi si sale e si conduce il turistasul vulcano per vivere. È sicuramentefrustrante per chi ha un minimo di praticamontana doversi adattare a regole così

    tana isola di Kassos e, se l'aria non fossegià densa di foschia, mi assicurano chetoccherebbe Creta, percorre la spinadorsale dell'isola da Capo Kastello aimonti di Olympos, una landa così chiarada parer neve. La presenza che cercoquassù oggi è quella del Mito. Scacciatodalle coste e dai villaggi dall'indifferenza

    Karpathos, canalone di oleandri.

  • Alpinismo goriziano - 3/2011 9

    flash di chi assiste allo show dal mare. Ilpensiero corre al navigante di un paio dimillenni fa che la notte, passando di qua,vedeva questo stesso spettacolo. Daquali e quanti terrori e timori veniva pos-seduto? Stromboli isola di Eolo? Comeinquilino mi pare più adatto Efesto che in-vece sembra si sia installato nella vicinaVulcano. D'altra parte sicuramente qual-che migliaio di anni fa nessuno si erapreso il disturbo di salire quassù a go-dersi la scena.

    Me ne accorgo solo dopo un bel po’:il vento soffia furioso portando con sépolvere vulcanica, granelli che picchiet-tano sulla faccia, sulle braccia e sullegambe nude. Però nessuno si muove, faun gesto, distoglie l'attenzione da quel-l'antro infuocato.

    L'avviso di prepararsi a scendere èun sussurro discreto alle nostre spalle,quasi che Antonio avesse pudore di gua-stare il momento che stiamo vivendo. Iltempo è volato senza che ce ne accor-gessimo: è trascorsa quasi un'ora. Confatica ci stacchiamo dalla cima dirigen-doci silenziosi ad una sella in direzioneopposta a quella di salita. Altra sosta.C'è bisogno che qualcuno chiuda la filavista la cottura del cuoco. Lo faccio io.Adesso nel buio della notte sul terrenonero di cenere tutti abbiamo la frontaleaccesa. In cielo la luna è piena a tre-quarti. Il prossimo tratto, 500 metri di di-slivello, è su un accentuato pendio diprofonda polvere. Dopo i primi metrispengo la mia pila e aspetto che ilgruppo si allontani. Quando hanno unbel po’ di vantaggio, alla luce della lunaparto a balzi e in pochi attimi li raggiungo.Vado avanti così per gran parte di questotratto che termina fin troppo presto.Siamo ritornati al limite della vegetazione.Il sentiero ora serpeggia in strette svoltesulla massima pendenza, in mezzo alcanneto su terreno sabbioso. Il calpe-stio lo ha trasformato in una trinceaprofonda quasi l'altezza di una persona.Le canne sopra formano un tunnel vege-tale. Il risultato della mandria galoppanteche ho davanti è un polverone che lavolta vegetale non fa disperdere. Viaggionella nebbia e sono costretto a rimet-termi la mascherina.

    In poco più di un' ora siamo nuova-mente in paese.

    Dopo aver restituito il caschettostringo la mano ad Antonio e mi allontanovelocemente. Nelle poche ore dell'e-scursione i componenti del gruppo sonorimasti tra di loro dei perfetti sconosciuti,non si è creata alcuna familiarità, com-plicità, non c'è stato alcuno scambio. Eanche alla fine è così, ciascuno se ne vaper la sua strada, ignoto al compagno diun attimo prima, tenendosi aggrappatoalle sue emozioni.

    Stromboli non è un'isola mondana.Le viuzze, tutte prive di pubblica illumi-nazione, sono pressoché deserte. Arrivoa casa, mi spoglio dei vestiti impolveratisul terrazzo e faccio la doccia all'aperto,in giardino. Il tiepido della notte d'agostoaddolcisce sulla pelle il fresco dell'ac-qua. L'aria profuma di mare, di fichi, dierba secca e limoni.

    Ogni tanto un botto più forte degli al-tri. Seduto sul bisuolo, l'asciugamano suifianchi, mangio fichi d'india e guardo ilbuio del vulcano, la leggera aureola rossache ogni tanto cresce. Se la salita nonfosse così strettamente regolamentataquanti danni potremmo fare a questoambiente così particolare? Violentando imiei ideali arrivo alla conclusione che,almeno qua, in questo caso, è molto me-glio così.

    No, il Mito non abita più nemmenolassù. È solamente dentro di noi che pos-siamo, se vogliamo e sappiamo guar-dare e ascoltare, trovarlo ancora.

    stringenti, soprattutto in presenza diun'ascesa così semplice e, apparente-mente, tranquilla. Ma tant'è.

    Così mi sono messo in lista anch'io.Già, perché comunque Iddu fa quello chevuole e se ne frega, tanto degli interessidegli isolani quanto delle smanie dei tu-risti. Proprio nei primi giorni d'agosto,forse per festeggiare il presidente Napo-litano, anche lui in vacanza sull'isola, haintensificato l'attività e le salite sono statesospese per qualche giorno.

    Appena il bollettino giornaliero hadato il via libera ho preparato le mie cosee mi sono presentato all'appuntamentodietro alla chiesa di S. Vincenzo. Pun-tuale alle sei. Di sera.

    Si sale con il sole che scende perdue evidenti motivi: il primo perché è piùindicato affrontare i 900 metri del disli-vello con le temperature della sera esenza il dardeggiare del sole; il secondoè che arrivando in cima con il buio lospettacolo dell'attività vulcanica è visibilenel suo aspetto migliore.

    Siamo in venti all'appuntamento con

    la guida, Antonio, il numero massimoconsentito, cinque italiani, due francesi etredici spagnoli. Antonio distribuisce atutti il caschetto, obbligatorio, dà le istru-zioni sommarie e si parte. La compagniaè eterogenea, chi con qualche espe-rienza di camminata su sentiero, chi do-tato esclusivamente di tanta buona vo-lontà e qualcuno di troppa autostima. Al-cuni gruppi ci precedono, altri ci segui-ranno. Dalla ricetrasmittente che Antoniotiene appesa allo zaino, costantementecollegata ad una centrale operativa eagli altri gruppi sulla montagna, sentiròche quella sera siamo quasi in duecentoa fare il solletico al gigante. Dopo laprima mezz'ora di camminata incrociamole prime defezioni dai gruppi che ci pre-cedono, a dimostrazione che in deter-minati affari la buona volontà non è ele-mento sufficiente e l'autostima non sem-pre regge alla prova dei fatti. È a questopunto che Antonio fa una prima sostaper darci le istruzioni necessarie allabuona riuscita della salita, che comunqueci si avvicina alle bocche di un vulcanoattivo, che il pericolo di un'esplosioneviolenta è sempre presente e non pre-ventivabile, che la sicurezza totale non èun dato di fatto, e dispone i componentidel gruppo in una formazione che rispetti

    profumati che danno frutti piccoli, bian-chi, dolcissimi, che usualmente venivanoseccati. E poi ancora ulivi inselvatichiti,piante del cappero.

    Quelli che all'inizio della salita face-vano cagnara parlando, gridando, ri-dendo, si sono ammutoliti e probabil-mente maledicono in silenzio il fiato spre-cato. Chi cercava conforto dalla faticanella musica sparata nelle orecchie dall'I pod ora ha gli auricolari sconsolata-mente penzolanti al ritmo dei piedi tra-scinati. La baldanza ha lasciato il postoad una sorta di avvilimento da sforzo nonpreventivato.

    Antonio, la guida, tiene un ritmo dicamminata molto rilassato, adatto a fararrivare in fondo alla gita anche il menoallenato del gruppo, se questi avesse ilbuon senso e la modestia di seguire lesue istruzioni. Ogni 40 minuti fa una lungasosta. Nonostante ciò vedo molte faccestravolte nel gruppo. Preferisco concen-trarmi sul godimento del paesaggio, delpanorama.

    La vegetazione, sopra i 4-500 metri diquota, scompare quasi totalmente salvoqualche ciuffo d'erbe, lasciando il postoa un paesaggio lunare, brullo, aspro,nudo, inospitale, affascinante. Il sole è ol-tre l'orizzonte che si colora delle sfuma-

    e mangiare, calarci sulla testa l'elmetto,tenere a portata di mano la mascherinaantipolvere.

    Il cuoco si è accasciato a terra, nonriesce nemmeno a lamentarsi. Dallozaino di uno spagnolo esce una pillola.Non voglio sapere che cos'è ma dopo unpo il palermitano è in piedi sebbene zop-picante.

    Andiamo finalmente in cima. Lo spet-tacolo che ci si para davanti è al di là diqualsiasi visionaria fantasia: affascinante,spaventoso, infernale. Mi terrorizza e miattrae nello stesso tempo. Stiamo am-mutoliti, immobili sull'orlo della caldera.250 metri sotto di noi le tre bocche attivein questi giorni sulle sei aperte. Alterna-tamente e in ordine casuale, con un pe-riodo che va dai 5 ai 20 minuti, esplo-dono, sfiatano, eruttano. I boati che sisentono in basso, in paese, quassù nonsi percepiscono, assorbiti forse dal co-stante rumore di fucina, un ininterrottosoffiare di migliaia di mantici in funzionecontemporaneamente. Le officine diMordor del Signore degli Anelli sono so-lamente una pallida imitazione di quelloche stiamo vivendo.

    900 metri più in basso, sul nero delmare, al largo della Sciara del fuoco, bril-lano le luci delle barche, lampeggiano i

    più o meno l'esperienza e la prepara-zione di tutti. Arduo farsi un'idea di ciòcamminando per meno di mezz'ora condegli sconosciuti. Mi metto in fondo allafila. A chiudere c'è un cuoco palermi-tano. Chiacchieriamo un po’ fino a che mirendo conto che, se dovesse sprecareancora fiato con me, non gliene rimar-rebbe per la salita. Tra i suggerimentidelle guide sull'equipaggiamento c'èquello di portarsi nello zaino un suffi-ciente quantitativo d'acqua. Gli spagnoli,almeno in questo, sono stati molto ligianzi, già che c’erano, hanno esagerato.Ognuno di loro si porta appresso l'equi-valente in bottiglie di un'autobotte. Il ri-sultato è che sono ben presto schiantatidal peso e che bevono come cammelli.Non capisco se per sete o per alleggerirsile spalle.

    Intanto guadagniamo quota e l'aria sirinfresca, il paesaggio si apre, si distendealle nostre spalle una bella fetta di isola.Il sentiero è comodo, dal fondo morbido,di polvere vulcanica, scura. Si fa stradafra canneti, cespugli di rovo, bassi fichi

    ture del tramonto con il mare che si in-cendia. Dopo un po’ nel gruppo si ac-cendono le prime pile frontali.

    Il termine della salita adesso apparevicino; il gruppo che ci precede è giàsparito dietro la spalla che abbiamo da-vanti. Passano tra di noi sfilacciate dellenuvole. Non sono nuvole ma fumi delvulcano, irritanti per la respirazione. Ilgruppo è scosso dagli accessi di tosse.Un sussulto dell'aria, o era la terra sottoi nostri piedi che si è mossa? Alzo gliocchi alla cima, distante pochi passi evedo alzarsi dietro di essa una colonna difuoco che illumina il paesaggio. La po-tenza dello spettacolo inchioda ciascunodi noi alla posizione raggiunta. Quando ilbagliore svanisce, la spossatezza è di-menticata e non servono più gli inviti diAntonio a proseguire il cammino. Tuttifremono per arrivare il più velocementepossibile. Scaval chia mo la spalla e ci tro-viamo su una larga cresta. La cima è apochi passi, c'è un gruppo che la oc-cupa. Sostiamo qua in attesa che liberinolo spazio e nel frattempo possiamo bere

    Stromboli.

  • 10 Alpinismo goriziano - 3/2011

    rampicata (bouldering, falesia, multipit-ch, ghiaccio, soccorso alpino) e alla va-lutazione delle difficoltà.

    Testo e illustrazioni quanto maichiari ed efficaci, anche grazie al for-mato che, se rende il volume troppo in-gombrante per essere infilato nellozaino, ne facilita la lettura delle foto.Scritto in maniera semplice, quasi ele-mentare, ma non semplicistica in modoche anche il neofita non può non capi-re.

    Piccoli box arricchiscono e com-pletano i testi avvertendo sulla possibi-lità di errori d'utilizzo, l'eventualità piùrischiosa, ma anche con note curiose,storiche, o di suggerimenti pratici.

    Un manuale da leggere e studiareanche da chi pensa di sapere già tutto,o magari effettivamente tutto sa. Un ri-passo e un aggiornamento tuttaviamale non fanno. Tanto più consigliato achi all'alpinismo e all'arrampicata si av-vicina, a chi il rischio, se può, preferisceevitarlo e in montagna ci va per divertir-si e, possibilmente, ritornarci ancora.

    400 pagine da arrampicaredi MARKO MOSETTI

    D opo la prima edizione del 2005Maurizio Oviglia e Fiorenzo Mi-chelin licenziano ora la versioneriveduta e corretta e con qual-che aggiornamento di Passaggio a NordOvest, guida delle falesie e delle vie nellevalli del Piemonte occidentale.

    Storico terreno di allenamento,sperimentazione, gioco, soprattutto pergli alpinisti prima e gli arrampicatori intempi più recenti, del Torinese. Su quel-le rocce e pareti hanno messo le mani elasciato il segno Giusto Gervasutti eGabriele Boccalatte, Guido Rossa, GianPiero Motti e Gian Carlo Grassi, MarcoBernardi e Andrea Gallo, per arrivare aMarzio Nardi. Nomi importanti chehanno segnato l'evoluzione dell'alpini-smo e dell'arrampicata in Italia. Senzacontare che proprio in Val di Susa, aBardonecchia, sulla Parete dei Militi nel1985 si svolsero le prime gare d'arram-picata dell'Europa occidentale.

    Val Pellice, Val Chisone, RoccaSbarua, Tre Denti di Cumiana, ValSangone, Val di Susa, questo è il terri-torio descritto nella guida. Luoghi, pa-reti, sassi carichi di storia alpinistica

    che tuttavia, nota Oviglia, mantengonocaratteristiche molto diverse tra di loroe che per questo, almeno fino all'uscitadella prima edizione della guida, veni-vano considerate separatamente, favo-rendo così isolamento e chiusura.

    Gli autori nel 2005 decisero di an-dare controcorrente, di cercare di crea-re una comunicazione all'interno del ri-stretto villaggio arrampicatori delPiemonte occidentale. Non si è trattatodi un lavoro facile ma alla fine ha dato isuoi buoni frutti visto che a sei anni didistanza vede la luce la seconda edi-zione della guida.

    Oltre 430 pagine dense di indicazio-ni e informazioni. La vastità del territo-rio e il gran numero di falesie e vie cen-site e descritte ha generato un volumecorposo e con poche concessioni alpuro piacere estetico. Ridimensionatodi molto il numero delle fotografie, sep-pur belle e spettacolari, rispetto adaltre guide della stessa collana per la-sciare spazio all'essenzialità delle ne-cessarie e utili parole e agli schizzi.

    Un volume con pochi fronzoli etanta sostanza, tutto dedicato al "lavo-ro" dell'arrampicare.

    La storia, il curriculum, l'attività al-pinistica e di divulgazione dei due auto-ri è la garanzia della bontà dell'opera.eccato solamente che il territorio de-scritto si trovi al nostro estremo oppo-sto delle Alpi.

    Omaggio alle guidedi PAOLO GEOTTI

    T ra gli eventi letterari che hannoimprontato l’estate, due in parti-colare riteniamo di commentare,essendovi in qualche modo ri-chiamata la nostra Sezione.

    Del primo già si parla su questogiornale, trattandosi poi della prima ri-stampa nella mirabile traduzione diErvino Pocar de La Mia Vita di JuliusKugy. Per la cronaca c’era stata ancheun’edizione dello stesso libro per leEdizioni Ricerche di Trieste nel 1993,con la traduzione di Nada Carli, senzaulteriore seguito per altre opere diKugy.

    Del secondo libro Rifugi MontagneGuide Alpine di Sesto parliamo nonsolo per unirci all’unanime plauso nel ri-cordo di Michl Innerkofler e delle Guidedi Sesto Pusteria, ma anche per rileva-re come tra le vicende alpinistiche chehanno caratterizzato il secolo trascorsosu quelle celeberrime crode, figuraanche un personaggio a noi caro, CelsoMacor. La sua presenza nelle casedegli Happacher di Sesto è ancora tan-

    gibile, intrecciandosi con le imprese delsuo amico e guida Franz e di MuchHappacher, anima dello sviluppo turi-stico locale. Anzi, per quest’ultimo si èconcluso a 81 anni il ciclo terreno pro-prio il 25 agosto, la data fissata per lapresentazione del libro e l’intera valle loha accompagnato al cimitero lo stessosabato 26 con una pioggia triste di fineestate.

    Il libro si avvale della passione sto-rica e letteraria di Bepi Pellegrinon, ol-treché competenza di Camillo Berti eRudolf Holzer ed è fornito di un riccocorredo iconografico trovando il soste-gno della Comunità di Sesto Pusteria.

    Mille metri di emozionidi MARKO MOSETTI

    È significativo osservare come, daun certo momento in avanti, ilpercorso d'avvicinamento all'ar-rampicata d'alto livello in am-biente passi, come primo gradino, quasisempre dal sintetico delle competizioni.La spinta al confronto con l'avversariodiventa, crescendo (?), la ricerca del belgesto e della difficoltà pura e naturale,fino ad approdare alla grande avventura,all'esplorazione.

    È quello che è accaduto aStéphanie Bodet. Certamente il destinodi nascere nei pressi di una delle piùbelle e celebri falesie d'Europa, Céusenel dipartimento francese delle HautesAlpes ha indirizzato le passioni della ra-gazza che a 23 anni, nel 1999, è cam-pionessa mondiale di boulder. Dallegare d'arrampicata sportiva il passag-gio all'arrampicata sulle grandi parerti eai viaggi esplorativi e avventurosi èstato graduale ma deciso. Nel 2007sale da capocordata e in libera FreeRider sul Capitan in Yosemite.

    Le ragioni del cuore non sonoestranee alle scelte di Stéphanie vistoche fa coppia con Arnaud Petit, arram-picatore di vaglia e guida d'alta monta-gna.

    Nel 2006 la coppia e altri quattroamici arrampicatori partono con l'obiet-tivo di salire la parete dalla quale preci-pita il Salto Angel, la cascata più altadel pianeta. Sono quasi 1000 metri diroccia che si alzano verticali nel belmezzo della selva amazzonica vene-zuelana. Nel 1975, alpinisticamenteun'era geologica fa, Walter Bonatti arri-vato alla base della parete ne fu cosìcolpito da non riuscire a concepirne lasalita.

    Stéphanie Bodet ha messo su cartail diario della spedizione al Salto Angel,la genesi, la preparazione e le quasi

    Come un abecedariodi MARKO MOSETTI

    P uò sembrare ai più, specie a co-loro che si ritengono più esperti,un libro inutile, tuttalpiù pleona-stico in molte sue parti. Invece, senon altro per il fatto che si parli di sicu-rezza in montagna, di riduzione del ri-schio, rivela l'utilità, e non solo per i neo-fiti e per chi di alpinismo e arrampicatanon ha ancora sentito parlare. Da un latoil progresso tecnologico, sempre più ac-celerato ha fornito all'alpinista di oggimateriali e attrezzi che permettono pre-stazioni sempre migliori, veloci, sicure.Inimmaginabili fino a non molti anni fa,non eliminando tuttavia il pericolo chenell'attività alpinistica è insito e non eli-minabile. Dall'altro lato ci è permessoattraverso un'informazione sempre piùstringente di essere costantemente ag-giornati sulle novità che appaiono sulmercato. Quale è allora l'utilità di un ma-nuale come Sicurezza in montagna: ma-teriali, manovre e tecniche per affron-tare al meglio l'alpinismo e l'arrampi-cata?

    Proprio il fatto che gli autori PaoloTombini e Luca Maccheto, come pure ilfotografo Carlo Gabasio, sono tuttiGuide alpine, illustrano ogni singoloelemento dell'attrezzatura, dallo zainoai guanti e ai berretti, passando percorde, chiodi, friend ecc., come in uncatalogo commerciale, ma con in più iconsigli per un loro uso corretto ed ef-ficace ma anche con le controindica-zioni. E proprio dalla conoscenza e dalcorretto utilizzo di ciò che il mercato cimette oggi a disposizione dipende granparte della nostra sicurezza quando citroviamo in condizioni di difficoltà nelcorso della nostra attività in montagna.Al capitolo iniziale di illustrazione e de-scrizione dei materiali fa seguito infattiquello sui nodi, illustrati con dovizianella loro corretta esecuzione. Si passaquindi all'assicurazione e a manovre dicorda. Dove in apertura viene dedicataun'attenzione particolare all'illustrazio-ne delle forze che agiscono mentre siscala legati ad una corda e in caso dicaduta. Conoscenza fondamentale perpoter utilizzare in maniera efficace ecorretta la catena della sicurezza.

    Le tecniche di progressione sonomateria di un altro capitolo dove ven-gono esaminati e illustrati i vari terrenid'azione, dalle falesie alle vie multipit-ch, alle ferrate, al ghiaccio, alla pro-gressione in conserva.

    A chiudere i due ultimi capitoli dedi-cati rispettivamente alla sicurezza in ar-

    In libreria

    Utili indicazioni, guide e arrampicatori

  • Alpinismo goriziano - 3/2011 11

    Paolo Tombini, Luca Macchetto - SSIICCUU--RREEZZZZAA IINN MMOONNTTAAGGNNAA - ed. Versante sud- pag. 157 - € 25,00

    Maurizio Oviglia, Fiorenzo Michelin - PPAASS--SSAAGGGGIIOO AA NNOORRDD OOVVEESSTT -- FFaalleessiiee ee vviieenneellllee vvaallllii ddeell PPiieemmoonnttee oocccciiddeennttaallee - ed.Versante sud - pag. 432 - € 29,50

    Julius Kugy - LLAA MMIIAA VVIITTAA NNEELL LLAAVVOORROO,,PPEERR LLAA MMUUSSIICCAA,, SSUUII MMOONNTTII - traduzionedi Ervino Pocar - I Segnavia EurografTarvisio 2011 - € 23.00

    MMIICCHHLL,, ““MMiicchhll IInnnneerrkkoofflleerr uunndd SSeexxtteennBBeerrggffuuhhrreerr –– RRiiffuuggii MMoonnttaaggnnee ee GGuuiiddeeAAllppiinnee ddii SSeessttoo”” - Nuovi Sentieri EditoreBelluno – s.i.p.

    Stéphanie Bodet - SSAALLTTOO AANNGGEELL - ed.Versante sud - pag.109 - € 15,00

    Ron Fawcett - MMII CCHHIIAAMMAAVVAANNOO BBAANNAANNAAFFIINNGGEERRSS - ed. Versante sud - pag. 277 - €19,00

    tempo, anzi la totalità del tempo a di-sposizione. Quindi il sacrificio di tuttoquello che non riguarda la roccia, le dif-ficoltà, l'allenamento. Salire una nuovalinea impossibile diventa il lavoro, equesto come tutti i lavori deve retribuir-ti in qualche maniera, deve darti damangiare. Magari poco, sacrificato, maqualcosa deve dare. Allora bisogna cheattorno a chi si dedica a quest'attività cisiano riviste e giornalisti, fotografi, ci-nematografari, qualcuno comunqueche sappia comunicare all'esterno diquel ristrettissimo mondo ciò che vienerealizzato e il suo valore.

    Di questa rivoluzione Fawcett è te-stimone da un punto di vista privilegia-to avendola vissuta in prima persona,avendo raggiunto i vertici della specia-lità, avendo percorso il periodo dallagenesi fino alle prime competizioni uffi-ciali e oltre. E queste sue esperienze ememorie ce le offre in Mi chiamavanoBanana Fingers, l'autobiografia chepercorre la sua vita dalla nascita in unamodesta famiglia operaia delloYorkshire passando per le prime espe-rienze d'arrampicata per arrivare abba-stanza presto ai vertici britannici e poimondiali. È un mondo che ci apparelontanissimo e invece era solo ieri. Iprimi tentativi di fare di una passioneuna professione, di poter vivere delproprio talento ci sembrano naia. Mabasta riandare ad alcune delle vie aper-te in quel periodo da Ron Fawcett, cheancora oggi hanno mantenuto il lorocarattere, la fama, la difficoltà, per farcileggere guardare, rivivere quelle paginecon altri occhi: forse naia ma anchegrande insegnamento e anticipazionedei tempi.

    Da tutto questo bailamme di coper-tine di riviste, film, programmi televisivi,impegni con gli sponsor ad un bel mo-mento Fawcett si dimise, ritirandosi,uscendo dal cono di luce dei riflettori,scomparendo.

    Il suo grande amore per la natura ela vita all'aria aperta che lo aveva por-tato ai vertici dell'arrampicata mondialeadesso lo sostiene nella nuova scelta divita, accanto alle figlie, nel PeakDistrict. Si dedica alla corsa e gareggia,nella sua categoria d'età, in competi-zioni su lunghe distanze fuoristrada.

    Passaggi che possono appariretraumatici e forse anche lo furono mache nel racconto di Fawcett diventanologici, conseguenza dell'istinto di so-pravvivenza alle pressioni, a volte as-surde, di un mondo che diventa troppopesante, esigente, affamato d'anime.

    Una bella testimonianza che ag-giunge diversi punti alle quotazioni diun personaggio che, comunque, viag-giava già qualche spanna sopra moltis-simi altri.

    due settimane in parete che ha richie-sto la salita. Ne è risultato un raccontoleggero, per nulla drammatico, nemme-no quando le situazioni in parete avreb-bero ben potuto giustificare una lorodrammatizzazione. Leggendolo mi èparso di vedere un film (e della spedi-zione in effetti un film è stato realizzato,Amazzonia Vertigo) di quelli per i qualiho una vera passione, dove l'impresa èun contorno, uno sfondo, il palcosceni-co per raccontare con gusto, eleganza,leggerezza, umorismo, di se stessi, dirapporti umani messi alla prova da dif-ficoltà, dubbi, scelte, di amicizia e ine-vitabili tensioni.

    Forse, alla fine, qualche lettorepotrà rimanere deluso proprio da que-sto tono poco "eroico" che bada piùalle emozioni che all'enfatizzare rischi epericoli, che cerca di descrivere più laluce che l