Kracauer

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S trade a B erli no e al tr ove a cura d i Danie le Pisani Sieg f ried Kr acauer

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Strade a Berlino e altrove

a cura di Daniele Pisani

Siegfr ied Kracauer

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INDICE

STRADE

Ricordo di una strada pariginaAnalisi di un piano urbanoStrada senza ricordoDue superficiGrida per stradaCommiato dal LindenpassageMagia di chioschi nataliziLocomotiva al di sopra della FriedrichstraßePer monti e per valli

LOCALI

Cartolina illustrataIl sottopassaggioDalla finestraDelirio rupestre a PositanoBar del meridioneSugli uffici di collocamentoSale riscaldateFortuna e destinoApparizione spettrale in un locale notturnoCinema nella Münzstraße

COSE

L’illecita occhiataIl pianoforteLa macchinetta da scrivereLe bretelleInautentico tramonto degli ombrelli da pioggiaLa fascia collinare

Siegfried KracauerStrade a Berlino e altrove

a cura di Daniele Pisani

TUTTI I DIRITTI RISERVATI PER L’ITALIA

© 2004, Edizioni PendragonVia Albiroli, 10 – 40126 Bolognawww.pendragon.itÈ vietata la r iproduzione, anche parziale , con qualsiasi mezzo effettuata,c o mpresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

© Suhrkamp Verlag, Frankfurt a.M. 1964.Titolo originale dell’operaStraßen in Berlin und anderswo

in copertina: Unter Den Linden, 1925

progetto grafico: Giorgio Morara (studio Meta s.r.l.)

Con il sostegno del programma Cultura 2000 dell’Unione europea

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GENTE

Popolo di strada pariginoFanciullo e toroTre pierrot a zonzoAkrobat – schöönIl pianistaFigure berlinesiSoluzione pacificaApparizione lungo la Canebière

Notizia editoriale

PostfazioneUn guastafeste al banchetto dei vincitori.Note su Siegfried Kracauer, di Daniele Pisani

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La tessera da giornalista di Siegfried Kracauer (courtesy Edition Epoca, Zurigo)

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Ricordo di una strada parigina

Sono trascorsi quasi tre anni dalla volta in cui mi smarrii inquella strada del quartiere di Grenelle. Fu il caso a condurmici; omeglio, non proprio il caso quanto una particolare forma di ine-briamento – quell’inebriamento di strade che a Parigi mi coglieimmancabilmente. La volta in cui incappai nella strada, ero tuttosolo a trascorrere quattro settimane a Parigi, per i cui quartieri,giorno dopo giorno, me ne andavo a passeggio per ore ed ore. Sitrattava di un’autentica ossessione, cui non mi era consentito diresistere. Il fatto che, nel caso in cui fossi rimasto nella mia ca-mera d’hotel per un tempo superiore a quello destinato al sonno,o avessi sacrificato una serata per recarmi a teatro, avvertissi dicommettere una sorta di tradimento testimonia fino a qual pun-to ne fossi in balia. Persino gli occasionali incontri con il gentilsesso mi sembravano un’inadempienza del mio dovere, uno stol-to distogliersi dalle strade, che su di me esercitavano un’attrazio-ne incomparabilmente più intensa rispetto a quella di qualsiasifanciulla. L’assaporavo ciecamente e me ne lasciavo consumare e,per quanto dalle mie dissolute peregrinazioni rincasassi semprespossato, il giorno successivo, pure, nulla mi tratteneva dal cede-re nuovamente alla mia passione. Anzi, tutto al contrario: conl’infittirsi della nebbia che la crescente stanchezza diffondevatutt’intorno a me le strade finivano per ammiccarmi ancor più se-ducenti.

Di strade ce n’è in tutte le città. Ma mentre altrove consisto-no in marciapiedi, file di case e superfici asfaltate lievemente in-curvate, a Parigi irridono ogni tentativo di venir smontate nei di-versi elementi che le costituiscono. Qualsiasi cosa esse siano – or-ridi angusti che sfociano nel cielo, rami ormai prosciugati di fiu-mi, floride vallate di pietra – le diverse parti di cui sono compo-ste sono connesse le une alle altre come le membra di un essere

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gherate masnade sul punto di disperdersi o, invece, di marciaretutte insieme, unite. E talvolta è come se si udisse un rullo ditamburi percossi in lontananza.

La strada, la scoprii di primo pomeriggio, convinto di trovar-mi nei pressi del fondo di un vicolo cieco, limitato su di un latoda un alto, informe teatro di periferia. Il teatro era chiuso, e il suoabbandono era tale da lasciare presagire che non vi si sarebberomai più tenute rappresentazioni. Ancor prima di essermi inoltra-to nel vicolo cieco, notai che non si trattava affatto di un vicolocieco – sbucava bensì in un altro vicoletto che conduceva sul re-tro del teatro. Era proprio nel mezzo della parete posteriore delteatro, intonacata di bianco e priva di finestre, che la strada sbat-teva. Era rettilinea, lunga soltanto pochi minuti e ampia in pro-porzione. Come mi rendevo conto solo in quel momento, l’avevoin un certo senso aggredita alle spalle: giacché, all’estremità di-rimpetto al teatro, senza nemmeno accennare a giocare a nascon-dino, essa si apriva su di un’animata arteria stradale.

Volli subito misurare a grandi passi il breve tragitto che mi se-parava dall’arteria stradale. Ma a quel punto avvenne che: nonappena mi staccai dalla parete bianca ed esageratamente alta delteatro, mi risultò tutto ad un tratto difficile proseguire, e avvertiiche invisibili reti mi trattenevano. La strada in cui mi trovavo nonmi lasciava libero. A irrisoria distanza sferragliavano autobus eautocarri: trasparenti, quasi fossero di vetro, affioravano e svani-vano come sull’altra sponda, cui non mi era consentito di appro-dare. Provai a far luce sulla mia situazione. Non erano ancora letre, e soltanto sparuti passanti attraversavano la strada. Alle dueinsignificanti case d’affitto sulla destra e sulla sinistra erano affis-se, con mio stupore, le insegne di un paio di hotel: nere insegneincurvate, alla maniera consueta a Parigi, con la scritta “Hôtel” enient’altro. In un simile contesto, la loro lieve incurvatura risul-tava assolutamente equivoca. Mi avvicinai – seppur paralizzato, enon poco, nella mia libertà di movimento – a questo benedettohotel. La sua porta – una normalissima porta privata – era sbar-rata, le sue finestre, dietro cui mancavano buona parte delle ten-dine, parevano bocche sdentate. Accanto al tirante del campa-nello, era appesa una tavola sulla quale stava scritto a lettere or-

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vivente. Le fiancate degli edifici e il selciato stradale confluisco-no, non di rado, senza soluzione di continuità, così che, quandomeno se lo aspetta, il sognatore viene a trovarsi, come fosse a li-vello del suolo, al di sopra delle pareti verticali dei muri, su finoai tetti e oltre, ancora oltre, nel fitto dei camini. Era proprio lun-go una rotta di questo genere che stavo vagando, e in ogni pas-sante dovevo suscitare l’impressione di un bighellone senza meta.Eppure, a rigor di termini, non ero senza meta: ero convinto diavere una meta, solo che, per mia sventura, avevo scordato la miameta. Mi accadeva come a un uomo che cerchi nella sua memo-ria una parola che ha sulla punta della lingua e che pure non rie-sce a trovare. Smanioso di pervenire al luogo in cui il dimentica-to mi sarebbe finalmente sopravvenuto, non potevo rasentare ilpiù modesto vicolo laterale senza infilarlo e senza svoltare all’an-golo che si apriva alle sue spalle. Avrei sopra ogni altra cosa desi-derato esaminare minuziosamente tutti i cortili ed esplorarne me-ticolosamente una camera dopo l’altra. Nello scrutare, così, daogni parte – dal sole fino all’ombra e di nuovo, indietro, al gior-no – avevo la netta sensazione di non muovermi soltanto nellospazio, ma di varcarne non di rado i limiti e di fare irruzione neltempo. Una segreta pista di contrabbandieri conduceva nel di-stretto delle ore e dei decenni, il cui sistema stradale era altret-tanto labirintico di quello della città medesima.

La strada di cui voglio narrare si t rova in un quartiere pro-letario. Per inciso, devo qui aggiungere che, sebbene nelle miecamminate pr ocedessi prop rio senza alcuna pr evia forma discelta, finivo col prediligere, davvero arb itrariamente, i set toripiù poveri della cit tà. Non è che isolat i in cui splendore, ric-chezza e piacere siano di casa manchino ai miei occhi del fasci-no auspicato. Anch’essi sono intricati come vecchi oggetti d’u-so ormai divenuti incompr ensibili, ficcati l’uno dentr o l’altro e,simili a orme estranee, a malapena decifrabili. Ma è soltantodove abitano gli statali di grado inferior e, i mestieranti e i tantianziani che le case si ammassano p iù prive di piano, più bruttee più fit te, e che odori ed esalazioni – i cui contorni corporaliinterfer iscono con le forme visibili – osano far capolino. Tu t t equeste strade se ne stanno a un passo dall’insurrezione: sgan-

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gia. Nulla esiste per lui, se ne sta seduto completamente solo sul-la sua seggiolina nel vuoto. Ha paura, è la paura a paralizzarlo…

Come mi sia riuscito di sbucare sull’arteria stradale – non loso più. Quel che conta è che mi ci trovai, tra banchi di macellai,indumenti esposti e suppellettili domestiche a buon mercato col-locate davanti a piccole lastre specchianti. Sulla destra si aprivauna strada che, da lì, fuggiva come una saetta e si piegava comel’insegna di un hotel. Non la conoscevo ancora in tutti i suoiaspetti. Mentre m’immergevo nel suo così familiar e tumulto,m’accompagnava ininterrottamente l’immagine del giovane nellacamera d’albergo. In seguito, presi a ritenere verosimile che ilgiovane fosse un delinquente che in quell’angusta camera avessetentato di far perdere le tracce ai suoi inseguitori. L’hotel è uncovo, mi dissi. Ma allora: com’era possibile che la finestra se nestesse aperta? Il pneumatico di un’automobile esplose proprioaccanto a me, avvertivo come in me lo scompiglio stesse crescen-do a vista d’occhio. Nel mezzo del frastuono mi frullò per la te-sta che, forse, era l’intera strada a servire da nascondiglio; la qualcosa veniva contraddetta soltanto dal suo carattere pubblico. Onon era forse che, alla fine dei conti, essa non esisteva affatto, e igiovani e le donne assiepati lassù, insieme con le interiora del-l’hotel, altro non erano che apparizioni, che si spiegavano in baseallo stato in cui mi trovavo? La strada, nel suo sfrecciare, mi ri-succhiò, e descrissi l’ansa che compieva. Fu un andarsene a drit-ta e a manca, i veicoli da trasporto cigolavano, facciate e portonimi passavano le une agli altri. Tutto ad un tratto – poteva essertrascorsa un’ora, forse più – mi ritrovai all’imbocco della strada.

La vidi da dietro. A formarne il fondale era la parete del tea-tro, bianca e senza finestre, una solida massa muraria che non vo-leva saperne di ritrarsi. La stradina se ne stava adagiata, assorta,come in attesa del crepuscolo. Avrei forse dovuto percorrerla an-cora una volta? Per quanto a lungo fossi rimasto ad indugiare,non dubitai per un istante che avrei dovuto calcarla di nuovo, cheavevo girovagato esclusivamente allo scopo di ritrovarla. L’incan-tesimo in cui la mia irresolutezza mi tratteneva venne fugato dalsopraggiungere di un assembramento di bambini, fuoruscenti dauna casa di mattoni rossi che si affacciava sull’arteria stradale. Era

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mai cancellate che l’accesso all’hotel non si trovava lì, bensì svol-tato l’angolo dell’arteria stradale. Evidentemente, era da un pez-zo che nessuno più prestava attenzione all’indicazione, giacchél’intero caseggiato destava l’impressione di essere disabitato, ad-dirittura fatiscente. Mentre i miei sguardi scorrevano dalla suafacciata alle altre facciate, mi resi tutto ad un tratto conto di es-sere stato tenuto sotto osservazione. Dalle finestre dei piani su-periori di numerose case, giovani in maniche di camicia e donnesciattamente vestite volgevano lo sguardo giù su di me. Non pro-ferivano parola, seguitavano soltanto a guardarmi. Dalla lorosemplice presenza proveniva una tremenda violenza, ed ebbiquasi la certezza che fossero stati loro ad irretirmi. Nel loro re-starsene muti, senza proferir motto, mi sembravano esser stati co-vati dalle case stesse. A ogni istante avrebbero potuto protende-re su di me i loro tentacoli e trascinarmi nelle loro camerate.

Con uno sforzo disperato, come di un nuotatore contro cor-rente, mi diressi verso l’imbocco della strada. Le donne sarannoprostitute – mi consolai – e mi convinsi che una di esse mi aves-se ammiccato. Un poco tranquillizzato, mi venne voglia di prose-guire a grandi falcate – quando mi fu imposto l’alto là: non diret-tamente dai giovani, e tanto meno a parole, bensì da un quadrovivente. Quasi a punire la mia sconsideratezza, si frappose lungoil mio tragitto. Vidi: un giovane se ne sta seduto su di una sediaposta nel mezzo della camera. La camera è una camera d’hotel, lecui finestre sono aperte. Contiene un letto sfatto, un lavabo e unarmadio. Gli oggetti se ne stanno come in attesa, quasi avesseromesso le radici, e mi fissano con un’insistenza tale che parrebbe-ro dipinti a tratti iperrealistici. L’acqua sporca del bucato è unostagno, senza deflusso, l’armadio mette spudoratamente in mo-stra i suoi graffi e le sue crepe. Ai piedi del giovane se ne sta ran-nicchiata, aperta, una valigia mezza imballata, in cui deve esserstato ficcato in tutta fretta il bucato. Circondato dal mobilio, ilgiovane seduto ha preso a sorreggersi il capo con la mano. Il pa-vimento della camera non può trovarsi più in alto del selciatostradale. Mi arresto davanti alla finestra – che si è volatilizzata or-mai da un pezzo – ma il giovane dalla capigliatura arruffata nonmi prende in considerazione più di quanto faccia con la sua vali-

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dipende dal fatto che, per converso, a Parigi il presente ha il ba-gliore del passato. Persino mentre si vaga per strade piene di vita,esse risultano già distanti come ricordi in cui la realtà si mescolaai propri pluristratificati sogni e in cui rifiuti e costellazioni tro-vano un punto d’incontro.

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finita la scuola. A sgorgare dal tremendo fronte in mattoni eranovivaci bambini. Una parte di essi schizzò via dinnanzi a me. Cian-ciavano e strillavano e, con mia meraviglia, irrompevano spensie-ratamente nella strada. Sollevato, mi accodai a loro. Dove spira-va la loro innocenza non poteva capitare alcuna disgrazia, e infattine seguii i passi traendone un grande senso di sicurezza, come sefossi avvolto in una nube. Nella nube di bambini schiamazzanti,la strada mi parve una strada come tutte le altre. Alcune finestreerano illuminate, la porta di una casa era accostata. Mi credevoormai felice e beato allorché la nube dileguò e davanti ai miei oc-chi si ripresentò il quadro. Il giovane nella camera d’albergo – iltempo non aveva intaccato il quadro iperrealistico. Il giovane sene sta ancora seduto su di una sedia posta nel bel mezzo della ca-mera. La valigia è mezza imballata, come poc’anzi, l’acqua spor-ca del bucato non è ancora stata versata. E il giovane è ancora se-duto e sorregge il suo capo con la mano. Si tratta forse di un al-tro giovane? Mi accorgo di non averne mai visto il volto. Controla mia stessa volontà, tasto le mura dell’hotel: sono solide e di pie-tra. Come faccio per guardare verso l’alto, la parete del teatro misi para pian piano dinnanzi. Era proprio priva di finestre, e ora èpiena di autentiche finestre da casa d’affitto, dall’alto delle qualimi sta di nuovo osservando la muta congrega. La parete del tea-tro s’accresce a dismisura e, con la sua bianca merlatura, strisciaquatta quatta nel buio. Si è fatto buio, e scopro che i bambinisono stati spazzati via. Me ne giungono solo le risate, ormai tal-mente flebili che parrebbero provenire dal teatro. Le rincorro –mi aggrappo alle risate come ad un estremo appiglio. Alle miespalle si chiude la strada.

Mai, nessuna delle volte in cui ho da allora fatto ritorno a Pa-rigi, mi sono più arrischiato ad aggirarmi nei dintorni di quellastrada. Del resto, di strade cui sono legato da ricordi particolarice ne sono parecchie, un po’ in tutti i quartieri della città. Cia-scuna possiede il proprio profumo e la propria storia. E questastoria non è trascorsa: è ancora in vita, come se fosse attuale. Lachiesa di St. Julien le Pauvre, ad esempio, si desta il mattino e vaa letto la sera come un grande magazzino qualsiasi. Questo forse

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