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IL CORPO NERO – prima parte LA LEZIONE KIRCHHOFF 1859-1862: LA NASCITA DELLA SPETTROSCOPIA MODERNA E DEL PROBLEMA DEL CORPO NERO Nei laboratori didattici di chimica delle scuole superiori sono abbastanza comuni i saggi alla fiamma di alcuni cristalli di sale, ovvero l’analisi cromatica delle sostanze a contatto della fiamma di un becco Bunsen. A questa esperienza segue l’analisi spettrale della luce emessa dalle sostanze in esame, tramite uno spettrometro a reticolo di diffrazione o uno spettrosopio con prisma. Gli spettri identificano in modo preciso gli elementi chimici e i loro composti. La nascita della spettroscopia moderna si può far risalire al lavoro di due amici e colleghi dell’Università di Heidelberg: il chimico Robert Bunsen e il fisico matematico Gustav Robert Kirchhoff. fig.1 Lo spettro della luce emessa da una sorgente può presentarsi, quando lo si raccolga su uno schermo, come una fascia luminosa continua, variamente colorata (come nel caso A della luce di una lampadina), o come una fascia luminosa discontinua, a righe o a bande (come nel caso del gas eccitato B). Combinando la lampada e il filtro costituito da un gas non eccitato si osservano righe scure di assorbimento sullo spettro continuo (C). Nella seconda metà dell’Ottocento, quando Heidelberg fu rifornita da gas di carbone, Bunsen iniziò a utilizzare il suo innovatore bruciatore (con elevata temperatura di fiamma) per studiare la composizione chimica dei sali vaporizzati. L’analisi cromatica fu affrontata con un suo studente grazie a filtri colorati. Solo dopo i suggerimenti di Kirchhoff di impiegare un prisma la sua ricerca virò verso l’identificazione elementi- spettri. Nel 1859 fu realizzato il primo spettroscopio moderno che fu poi perfezionato tra il 1860 e il 1861.

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IL CORPO NERO – prima parte

LA LEZIONE

KIRCHHOFF 1859-1862: LA NASCITA DELLA SPETTROSCOPIA MODERNA E

DEL PROBLEMA DEL CORPO NERO

Nei laboratori didattici di chimica delle scuole superiori sono abbastanza comuni i

saggi alla fiamma di alcuni cristalli di sale, ovvero l’analisi cromatica delle sostanze a

contatto della fiamma di un becco Bunsen. A questa esperienza segue l’analisi

spettrale della luce emessa dalle sostanze in esame, tramite uno spettrometro a reticolo di diffrazione o uno spettrosopio con prisma. Gli spettri identificano in modo

preciso gli elementi chimici e i loro composti.

La nascita della spettroscopia moderna si può far risalire al lavoro di due amici e

colleghi dell’Università di Heidelberg: il chimico Robert Bunsen e il fisico matematico

Gustav Robert Kirchhoff.

fig.1 Lo spettro della luce emessa da una sorgente può presentarsi, quando lo si raccolga su uno schermo, come una fascia luminosa continua, variamente colorata

(come nel caso A della luce di una lampadina), o come una fascia luminosa

discontinua, a righe o a bande (come nel caso del gas eccitato B). Combinando la

lampada e il filtro costituito da un gas non eccitato si osservano righe scure di

assorbimento sullo spettro continuo (C).

Nella seconda metà dell’Ottocento, quando Heidelberg fu rifornita da gas di carbone, Bunsen iniziò a utilizzare il suo innovatore bruciatore (con elevata temperatura di

fiamma) per studiare la composizione chimica dei sali vaporizzati. L’analisi cromatica

fu affrontata con un suo studente grazie a filtri colorati. Solo dopo i suggerimenti di

Kirchhoff di impiegare un prisma la sua ricerca virò verso l’identificazione elementi-

spettri. Nel 1859 fu realizzato il primo spettroscopio moderno che fu poi perfezionato

tra il 1860 e il 1861.

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fig.2 Spettroscopio e lampada Bunsen; fig.3 Evoluzione dello spettroscopio nelle ricerche di Bunsen e Kirchhoff

fig.4 Spettri ottenuti da

Bunsen e Kirchhoff

Il nuovo strumento, che

sovrapponeva su una scala graduata luci

provenienti da due

fiamme diverse, permise

una registrazione molto

accurata delle singole

righe spettrali. Nel 1860 Bunsen e Kirchhoff videro

per la prima volta due

nuove righe blu

adiacenti. Bunsen chiamò

questo elemento cesio,

da caesius (la parola latina per indicare il colore degli occhi blu-grigi). Non molto

tempo dopo, all’inizio del 1861, identificarono il rubidio a causa di nuove righe di color rosso cupo. Il passo decisivo verso l’analisi spettrale degli elementi era stato compiuto

quando Kirchhoff aveva assunto che le righe dello spettro di emissione erano

sovrapponibili perfettamente a quello dello spettro di assorbimento. Ipotesi presente

in molte ricerche di inizio Ottocento, ma che solo ora diventava un presupposto base

della ricerca.

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fig.5

Corrispondenza tra

righe spettrali negli

spettri emissione e di assorbimento

Kirchhoff arrivò alla

sua importante

conclusione

nell’ottobre del

1859, dopo aver

analizzato lo spettro delle righe

di Fraunhofer (oggi

interpretato come

spettro di

assorbimento degli elementi attraversati dalla luce solare). Nel dicembre dello stesso

anno il fisico affrontò per la prima volta una dimostrazione della legge riguardante il rapporto tra potere emissivo e di assorbimento dei corpi a una temperatura data che

sembrava essere indipendente dal tipo di sostanze utilizzate. Tra il 1859 e il 1862

Kirchhoff utilizzò diversi concetti ideali nelle sue dimostrazioni termodinamiche. In

particolare definì un corpo perfettamente nero o semplicemente “corpo nero” in base

al suo potere di assorbimento che, in termini moderni, doveva essere uguale a 1 per

tutte le lunghezze d’onda. In tal caso la radiazione emessa diventava una funzione della sola lunghezza d’onda e della temperatura assoluta.

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fig.6 Memoria di Kirchhoff sul corpo nero

L’esame fisico e chimico degli spettri della radiazione solare nei primi quindici anni

dell’Ottocento produsse novità importanti. L’astronomo William Herschel nel 1800

“espose tre termometri anneriti, ciascuno per cinque minuti, alle zone di differente

colore dello spettro e registrò sistematicamente le diverse temperature in funzione della posizione. Con sorpresa trovò che il massimo effetto termico si verificava al di

fuori della regione visibile dello spettro, al di là dei limiti della zona rossa. […]

Herschel trascorse i due anni successivi cercando di interpretare questa sua scoperta e

si interrogò se lo spettro ottico continuasse oltre il limite del rosso visibile, oppure se

si trattasse di un nuovo tipo di radiazione con proprietà diverse da quelle della luce.”

K. Hentschel, L’Ottocento: fisica. Lo spettro ottico, 2003

Lo studio nelle zone al di fuori della radiazione visibile oltre che per gli effetti termici venne ampliato grazie a una scoperta chimica. “Nel 1801 il farmacista Johann Wilhelm

Ritter di Jena dimostrò che l’azione chimica dei sali di argento avveniva al di là della

zona violetta dello spettro visibile e ne dedusse l’esistenza di raggi chimici.” Per molti

scienziati ottocenteschi la distinzione tra raggi ottici, termici e chimici continuò per

molti anni, anche nella seconda metà dell’Ottocento. L’analisi quantitativa della

radiazione solare iniziò con l’osservazione di righe spettrali nere discontinue all’interno dello spettro colorato continuo, possibile con l’utilizzo di una fenditura e prismi

perfezionati. Il chimico inglese William H. Wollaston e in seguito l’ottico tedesco

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Joseph von Fraunhofer, inventore tra l’altro del reticolo di diffrazione, esaminarono in

modo sistematico le righe scure. In particolare, il tedesco con un prototipo di

spettroscopio arrivò a contarne 574 e pubblicò nel 1815 un disegno con 350 di esse,

distribuite lungo lo spettro ottico. “Non limitandosi a ciò, sopra questa mappa

spettrale disegnò poi una curva che rappresentava l’intensità stimata della luce in funzione del colore mostrando come per l’occhio umano il massimo di intensità si

collocasse nella regione giallo verde al centro dello spettro e come tale intensità

decrescesse sia verso il rosso sia verso il violetto." K. Hentschel, L’Ottocento: fisica.

Lo spettro ottico, 2003)

fig.7 Disegno

realizzato da Fraunhofer con le

righe scure dello

spettro solare;

fig.8 Francobollo

delle Poste

tedesche dedicato alle ricerche di

Fraunhofer

Questa curva è

molto famosa, una

sorta di

rudimentale analisi fotometrica unita

allo spettro solare e

alle righe di

Fraunhofer.

Tra il 1855 e il

1860 quando si

delineò la moderna analisi spettrale e

furono realizzate

nuove tecnologie

(becco Bunsen, spettroscopi perfezionati) gli spettri a righe degli elementi e quelli

scuri dovuti all’assorbimento furono definitivamente collegati. Per molti anni le

intensità delle varie zone dello spettro solare non furono argomento di grande importanza. La loro valutazione era possibile sulla base della larghezza delle righe

spettrali. Solo nel 1881 l’astronomo Samuel Langley costruì uno strumento, il

bolometro, capace di valutare variazione di temperatura dovute alla radiazione

incidente su una parte di un ponte di Wheatstone. Il riscaldamento provocava una

variazione di resistenza e quindi correnti rilevate da un galvanometro.

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fig.9 Sonda del bolometro di Langley

Ora l’intensità della radiazione poteva essere studiata in funzione della lunghezza

d’onda in un intervallo che comprendeva l’infrarosso, il visibile e l’ultravioletto,

portando a curve spettrali di energia.

fig.10 Curve in energia di Langley dello spettro solare e quelle di rame annerito al

variare della temperatura

Dopo il perfezionamento dello strumento (ad opera dapprima di Langley e in seguito

degli ottici dell’Istituto metrologico tedesco) e la costruzione di uno spettrobolometro da parte di Langley stesso (capace di trasformare le curve di energia in normali

rappresentazioni spettrali) si diffusero nella letteratura scientifica dell’epoca studi

sistematici della distribuzione spettrale dell’energia della radiazione, in essi l’area dei

rettangoloidi che delimitavano la curva (definiti dall’intervallo tra la lunghezza d’onda

λ e λ + Δλ, i due segmenti verticali e la curva) rappresentava l’intensità di energia e

doveva essere proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta in accordo

alla legge di Stefan-Boltzmann.

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fig.11 Spettrobalometro di Langley

fig.12 Calcolo dell’energia emessa da un

corpo nero

IL LABORATORIO DI OTTICA DELL’ISTITUTO METROLOGICO DI BERLINO

Nel 1887 fu fondato il primo Istituto metrologico tedesco: il Physikalisch-Technische

Reichsanstalt (PTR). Nel quartiere occidentale di Berlino: Charlottenburg. Il poliedrico

Hermann von Helmholtz fu tra i suoi fondatori e ricoprì la carica di presidente fino alla

sua morte avvenuta nel 1892.

fig.13 Sede dell'Istituto tedesco di metrologia Physikalisch-Technische Reichsanstalt

(PTR); fig.14 Laboratorio di ottica del PTR

I ricercatori dell’Istituto avevano tra i loro principali obiettivi la realizzazione di

standard metrologici: spettroscopici, fotometrici, elettrici e termici. Dal 1892 al 1905

ricoprì la carica di presidente il fisico Friedrich Kohlrausch. In questo periodo il laboratorio di ottica del PTR fu al centro di un’attività che puntava alla realizzazione

pratica di campioni di radiazione, ottenendo importantissimi risultati nella costruzione

di strumenti per la misura della radiazione, nella selezione della radiazione, nella

realizzazione di “corpi neri”. Contribuì così alla verifica delle leggi del corpo nero e alla

proposta di formule per la distribuzione spettrale della radiazione. In particolare

cinque fisici dell’Istituto: Ferdinand Kurlbaum, Ernst Pringsheim, Otto Lummer, Wilhelm Wien, Heinrich Rubens, nati tra il 1857 e il 1865, diedero importanti contributi

alla teoria e alle misure del corpo nero che passò dalle discussioni ipotetiche del 1860

a un nuovo potenziale standard. Già nel 1888 alcune imprese tedesche avevano

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chiesto a Hermann von Helmholtz un campione per l’intensità luminosa per il controllo

dello standard del 1883 (lampada ad acilacetato) o della proposta del 1884 legata

all’emissione di una superficie di platino di area un centimetro quadrato alla

temperatura di fusione.

Otto Lummer, un ex studente di Helmholtz, distintosi per la realizzazione di un nuovo fotometro, fu una delle figure chiave per l’organizzazione e il lavoro nel laboratorio di

ottica. Accanto a lui Wilhelm Wien tra il 1890 e il 1892 operò come assistente,

iniziando a sperimentare nuovi campioni luminosi con fogli di platino alle alte

temperature, continuando a collaborare con l’Istituto anche nel periodo in cui

proseguiva la sua carriera accademica nell’Università di Berlino.

Nel 1893 Wien affrontò il problema della radiazione del corpo nero, che già tra il 1860

e il 1890 era stato affrontato da diversi teorici, riscoprendo la relazione oggi nota come legge di spostamento, secondo la quale il prodotto della temperatura assoluta

del corpo nero per la lunghezza d’onda corrispondente al massimo dell’energia di

emissione è costante. Un’espressione già presente in un articolo del 1888 di un

professore di fisica di Zurigo: Heinrich Friedrich Weber, che avrà tra i suoi allievi

Albert Einstein.

fig.15 Legge di spostamento di Wien; fig.16 Una delle prime rappresentazioni del

corpo nero

Tra il 1887 e il 1890 erano state proposte almeno tre diverse espressioni spettrali per la distribuzione spettrale di un corpo nero che erano confrontate con le misure di

emissione di corpi solidi anneriti. Nel 1895 Wien, insieme a Lummer, riprendendo

alcune considerazioni di Kirchhoff, suggeriva il metodo per la realizzazione pratica di

un corpo nero: una cavità mantenuta a temperatura costante dotata di un piccolissima

apertura incapace di modificare in modo significativo l’equilibrio termodinamico della

radiazione e delle pareti interne della cavità. Come annotava la rivista Nature nel dicembre del 1895: “gli autori propongono di usare questo corpo e un bolometro per

testare la legge di Boltzmann che afferma la proporzionalità della radiazione con la

quarta potenza della temperatura assoluta.” (Nature Vol 53, p. 136, 1895)

La motivazione dei due fisici non era comunque finalizzata alla sola prova della legge

di Stefan-Boltzmann (un’altra certezza della teoria del corpo nero). Come riportava il

rapporto annuale dell’Istituto, la cavità ideale radiante avrebbe costituito la nuova sorgente campione.

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fig.17 Il corpo nero elettrico

realizzato a Berlino da

Lummer

La realizzazione pratica dei “corpi neri” in intervalli di

temperatura assai ampi (-

180 °C -700 °C e per

temperature superiori a 1200

°C) impegnò Lummer e Ernst

Pringsheim nel biennio 1897-

1898.

Nel 1898 Lummer realizzò

con Ferdinand Kurlbaum un

corpo nero la cui

temperatura era regolata e misurata dall’elettricità, perfezionò inoltre il bolometro,

che raggiunse sensibilità dell’ordine di 10-7 °C, riducendo la capacità termica della

sonda impiegando sottilissime strisce di platino. Tutto era pronto per validare la legge dello spostamento di Wien e quella di Stefan-Boltzmann. Anzi era possibile cercare di

individuare la funzione universale di emissione del corpo nero dipendente solo dalla

lunghezza d’onda e dalla temperatura assoluta che Kirchhoff aveva ipotizzato. In

realtà le prime espressioni proposte tra fit di misure sperimentali dei solidi e ipotesi

teoriche (teoria cinetica) erano state avanzate già nel 1887 dal fisico russo Vladimir

Michelson e nel 1888 da H. F. Weber. Fu ancora Wien prima di allontanarsi da Berlino a porre un punto fermo sulla questione tra il 1895 e il 1896. Per raggiungere una

nuova espressione spettrale del corpo nero si avvalse delle misure e delle opinioni di

un esperto di spettroscopia della radiazione termica, un fisico di Hannover che da anni

conduceva, con mezzi limitati, ricerche simili a quelle condotte nel laboratorio di ottica

del PTR.

FRIEDRICH PASCHEN E WILHELM WIEN 1896

Paschen nel corso del 1894 analizzò la radiazione emessa da metalli riscaldati con un

galvanometro unito a un bolometro. Le difficoltà di costruire la curva f(λ,T) fu ripagata

dalla scoperta delle prime regolarità. Le curve della radiazione dei solidi a diverse

temperature nell’estate del 1894 sembravano indicare la costanza del prodotto λmaxT.

Inoltre ricoprendo le superfici di nerofumo le misure sembravano accordarsi meglio

con tale relazione. La legge fu esplicitata nella forma: “la frequenza delle principali

vibrazioni termiche del corpo è proporzionale alla temperatura assoluta.”

L’esame delle componenti spettrali della radiazione come abbiamo già ricordato aveva bisogno di un prisma o di un reticolo di diffrazione. Nel secondo caso si parlava di uno

spettro normale quando l’osservazione avveniva con il cannocchiale diretto

perpendicolarmente al piano del reticolo (θ=0). Solo allora piccole variazioni di

determinavano deviazioni proporzionali all’angolo θ, con una dispersione minima. Utilizzando il prisma si poneva invece il problema della legge di dispersione (la

dipendenza dell’indice di rifrazione dalla lunghezza d’onda esaminata). Le curve f(λ,T)

erano quelle dello spettro normale, quindi Paschen per lo studio della radiazione dei

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corpi solidi inizialmente aveva pensato di utilizzare un reticolo, ma già nel 1892 aveva

capito che non era possibile a causa delle irregolari proprietà selettive del metallo

contenuto sul reticolo sulla radiazione infrarossa. Il passaggio al prisma implicava la

trasformazione dello spettro prismatico in quello normale attraverso la curva

caratteristica della dispersione, come era stato indicato ad esempio da Langley.

fig.18 La trasformazione

della distribuzione di

energia dovuta a uno

spettro prismatico a quella

chiamata da Langley spettro

normale

Nel 1894-95 in articoli

pubblicati sia nella lingua

madre che in inglese,

Paschen presentava la sua

estrapolazione della legge di

radiazione per gli spettri dei corpi solidi: “la lunghezza

d’onda corrispondente al

massimo dell’energia dello

spettro di un corpo nero è

inversamente proporzionale

alla temperatura assoluta.” L’equazione λmaxT= costante fu poi esplicitata, eguagliando la costante al valore

provvisorio 2700 con la lunghezza d’onda misurata in micrometri (equivalente in metri

a 2,7 10-3), valore molto vicino a quello oggi accettato per la legge di spostamento di

Wien: λmaxT=2,9 10-3 m K.

Lo spettroscopista non sembrava conoscere i lavori di Wien del 1893-94 su una nuova

espressione della radiazione del corpo nero basata sui principi della termodinamica,

citava invece esplicitamente un articolo sulle curve di dispersione di un altro esperto di spettroscopia infrarossa operante nel PTR: Heinrich Rubens.

Paschen attribuiva a Rubens l’espressione alternativa per i massimi delle curve

spettrali: λmaxT1/2= costante, ricordando come essa fosse presente già nella letteratura

scientifica già dal 1887.

Il teorico russo Wladimir Michelson, a partire da considerazioni cinetiche e dalle curve

degli spettri normali di Langley, nella memoria “Sulla distribuzione dell’energia negli spettri dei solidi” presentava la prima espressione generale dell’equazione di

distribuzione dell’intensità della radiazione Iλ in accordo alle ipotesi di Kirchhoff.

Imponendo la condizione di massimo la nuova funzione si riduceva alla condizione:

λmaxT1/2= costante. Ancora troppo poche erano le misure sui solidi e soprattutto

queste erano lontane dal poter essere approssimate a quelle dei corpi neri, inoltre le

curve di dispersione non erano perfettamente conosciute e lo studio sistematico della

radiazione infrarossa ancora da intraprendere.

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fig.19 Una delle prime

curve teoriche della

distribuzione spettrale

dovuta al fisico russo W. Michelson

fig.20 Pagina del lavoro di

Paschen pubblicato sugli

Annalen der Physik: Über Gesetzmässigkeiten in den

Spectren fester Körper

Eppure Paschen, sulla base di

ulteriori esperienze, e Wien, a

partire da nuove

considerazioni teoriche, nel 1896 proposero equazioni

generali per l’intensità della

radiazione dello spettro

normale di un corpo nero. Nel

breve periodo intercorso i due

fisici tedeschi si erano scritti

ed entrambi, nel principale lavoro del 1896, citavano

l’equazione proposta dal

collega.

Paschen in un lungo lavoro

sugli spettri dei corpi solidi,

datato maggio 1896, approssimava i suoi dati

sperimentali con la curva a

campana per l’intensità:

J= c1 λ-αe -c2/λT, con c1 e c2 due costanti prossime ai valori 213100 e 10470 e α vicino

a 5,6. Nella conclusione dell’articolo lo sperimentatore ricordava come Wien aveva

ricavato un’equazione equivalente alla sua, ma con esponente uguale a 5. Per il teorico l’intensità della radiazione Φλ, le cui lunghezze d’onda si trovavano tra

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λ e λ + Δλ, doveva soddisfare la condizione: λmax θ= costante, inoltre l’area definita

delimitata dalla funzione f(λ,T)Δλ doveva essere proporzionale alla quarta potenza

della temperatura assoluta (la legge di Stefan).

Già nel 1893 Wien aveva scomposto il problema della determinazione dell’intensità

spettrale in modo che ad alte temperature la funzione tendesse alla quinta potenza della temperatura assoluta nella forma: cost T5F(λ,T) che si riduceva, utilizzando il

legame tra lunghezza d’onda e temperatura ipotizzato, all’espressione: cost λ-5F(λ,T).

Ora Wien giustificava con considerazioni cinetiche la formula spettrale:

Φλ=C λ-5e-c/λθ

con due costanti arbitrarie indicate con i simboli C e c. Nelle righe finali dell’articolo On

the division of energy in the emission of a black body pubblicato sulla rivista

Philosophical Magazine del 1896 scriveva: “ Mentre io dedotto la formula Φλ da considerazioni teoriche, il prof. Paschen ha scoperto invece che la formula

Φλ=C λ-αe-c/λθ

dove α è una costante, è la sola equazione in grado di riprodurre in modo

soddisfacente i risultati delle sue osservazioni, ed egli è stato tanto gentile da

comunicare [le sue conclusioni] e di permettermi di pubblicare la sua formula qui. Il

prof. Paschen intende determinare il valore della costante α con una comparazione con i suoi esperimenti. Se la costante α non è uguale a 5, l’emissione totale non

dovrebbe seguire la legge di Stefan.”

fig.21 La parte

finale dell’articolo di

Wien On the division of energy in

the emission of a

black body apparso

nel 1896 sulla

rivista Philosophical

Magazine, tradotta

da Wiedemann

PASCHEN E PLANCK 1899

L’azione congiunta di Paschen e Wien negli ultimi anni dell’Ottocento diffuse tra la ristretta comunità degli esperti di corpo nero la convinzione che la distribuzione

spettrale J= c1λ-5e -c2/λT fosse in grado descrivere le misure sperimentali sempre più

perfezionate che venivano realizzate a Berlino e Hannover. Essa era compatibile con la

legge dello spostamento di Wien: λmaxT= costante e con quella di Stefan Boltzmann

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secondo la quale la potenza irradiata (su unità di superficie e di tempo) è

proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta del corpo nero.

Paschen tra il 1896 e il 1900 passò dallo studio della radiazione emessa dai solidi alla

distribuzione di energia dello spettro normale dei corpi neri realizzati per la prima

volta nel PTR, accettando per l’esponente di λ il valore -5. In questo modo la sua formula spettrale coincideva con quella di Wien. Il passaggio successivo fu quello di

valutare le due costanti c1 e c2 sulla base dei valori sperimentali. Nel 1899 Paschen in

collaborazione con H. Wanner pubblicava “Un metodo fotometrico per la

determinazione della costante esponenziale della funzione di emissione”. La validità

della legge di Wien era il presupposto della derivazione. Così argomentavano i due

autori:

“La legge che esprime l’intensità J della radiazione in funzione della temperatura assoluta e della lunghezza d’onda di un corpo assolutamente nero è, in accordo alla

teoria di Wien, J= c1λ-5e -c2/λT. La validità di questa legge è stata giustificata dalle

misure delle energie spettrali [dell’emissione da diverse superfici di solidi realizzate da

uno degli scriventi]. Stringenti conferme della legge sono state date da più recenti

esperimenti con una sorgente di radiazione che si avvicina all’ideale corpo nero. […]

Ipotizziamo che la formula precedente esprima la legge corretta, è importante allora determinare accuratamente le due costanti c1 e c2. Noi qui descriveremo un metodo

fotometrico che sembra ben adattarsi all’accurata determinazione di c2.” F. Paschen,

H. Wanner, A photometric method for the determination of the exponential

constant of the emission function, 1899, p. 300

fig.22 Grafici delle misure di Paschen necessari per ottenere il valore della costante

che compariva all’esponente della funzione di distribuzione dell’energia spettrale di

Wien; fig.23 Curve delle misure di distribuzione spettrale dell’energia di un corpo

nero a diverse temperature

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In un piano (1/T, log J) erano rappresentati i valori delle curve di emissione a una

data lunghezza d’onda. I punti erano allineati secondo rette isocromatiche (che si

differenziavano al variare della lunghezza d’onda). I coefficienti angolari permettevano

a Paschen e Wanner di ricavare la costante c2 uguale a 14450 10-6 m K e da questa

ricavare la costante presente nella legge dello spostamento che veniva scritta nella forma: λmaxT= 2890 (con le unità espresse in milionesimi di metro e kelvin),

vicinissima al valore oggi accettato approssimato alla quarta cifra significativa (2,898

10-3 m K).

Pochi mesi dopo Paschen correggeva leggermente i valori, proponendo, sulla base di

nuove curve della distribuzione di energia spettrale del corpo nero, rispettivamente i

valori di 2891 e 14455. La costante c2 (pari secondo Paschen a 5 volte la costante

della legge dello spostamento) era infine paragonata con le misure di Lummer e Pringsheim che davano un possibile intervallo per c2 compreso tra 14395 e 14955. Se

la costante presente nell’esponente della funzione di Wien-Paschen era pressoché in

linea con i valori sperimentali odierni, non così era per la seconda costante c1 che

doveva essere valutata con un procedimento molto più complesso. La funzione di

distribuzione era integrata su tutte le lunghezze d’onda ed eguagliata all’energia

dipendente dalla costante di Stefan-Boltzmann che Ferdinand Kurlbaum nel 1899 valutava pari a 5,32 10-12 W/cm2 K4. L’attuale valore: 5,67 10-8 W/m2 K4, si differenzia

per un errore relativo del 6%.

Dunque nel 1899 delle due costanti indipendenti della teoria del corpo nero solo una si

conosceva con sufficiente precisione. Alla ristretta comunità di cultori della radiazione

termica si unì negli ultimi anni dell’Ottocento: Max Planck, uno dei maggiori esperti di

termodinamica, successore di Kirchhoff alla cattedra di fisica teorica dell’Università di Berlino. Max Planck aveva cercato di approfondire il concetto di irreversibilità

affrontando il problema dell’equilibrio della radiazione in una cavità con oscillatori

hertziani costituenti la parete del corpo nero. Per arrivare alla legge di distribuzione di

Wien, Planck nel 1899, nell’articolo “Sui processi irreversibili di radiazione”, ipotizzava

che l’entropia di un singolo oscillatore fosse una funzione del solo rapporto

energia/frequenza, introducendo, coi simboli a e b, altre due costanti fondamentali.

Grazie alle misure del corpo nero di Paschen e a quelle di Kurlbaum il loro valore numerico risultava: a= 0,4818 10-10 s °C, b= 6,885 10-27 erg s. L’ultima equivalenza,

senza grandi forzature, può essere considerata la prima determinazione di quella che

sarà chiamata la costante di Planck.

L’interpretazione della legge di distribuzione data dal teorico era la seguente: la

trattazione generale termodinamica del problema del corpo nero implicava due

costanti assolute, indipendenti dal tipo di sostanza costituente il corpo nero. Si trattava solo di stabilire quali fossero le più convenienti per un’impostazione fisica

generale. Le due costanti di natura avevano lo stesso carattere generale delle due

leggi della teoria del calore. Agli inizi del 1900 quando ancora i dubbi sulla validità

della legge di Wien non erano ancora fortissimi, Paschen presentava l’articolo “Sulla

distribuzione di energia nello spettro di un corpo nero alle alte temperature”. L’incipit

della memoria non lasciava dubbi: “In precedenti comunicazioni ho mostrato che la

legge di radiazione di Wien è completamente confermata dalle osservazioni, entro l’intervallo tra 100 °C e 450 °C […] Questa legge ha anche ricevuto un importante

sostegno dalle ricerche teoriche di M. Planck. Egli derivò la legge dalla sua teoria

elettromagnetica della radiazione, e introdusse solo un’ipotesi addizionale, una

definizione di entropia che, sebbene non sia stabilita con certezza, e probabilmente

più realistica delle assunzioni che portarono Wien agli stessi risultati con

considerazioni basate sulla teoria cinetica dei gas. In accordo alla presentazione di

Page 15: KIRCHHOFF 1859-1862: LA NASCITA DELLA … · saggi alla fiamma di alcuni cristalli di sale, ovvero l’analisi cromatica delle sostanze a contatto della fiamma di un becco Bunsen.

Planck quindi, la legge sembra essere una rigorosa legge di natura e i suoi contenuti

possiedono un significato generale. Il problema rimane l’investigazione sperimentale

[…] per trovare i limiti di questa legge, e quindi delle assunzioni di Planck, e in

secondo luogo quello di determinare le costanti della legge nel modo più accurato

possibile.” F. Paschen, On the distribution of the energy in the spectrum of the black body at high temperatures, 1900, p. 288.

Paschen fu buon profeta, le misure nell’infrarosso estremo del laboratorio di ottica del

PTR e quelle di Paschen stesso, già nella seconda metà del 1900, mostrarono crepe

sempre più evidenti e portarono alla “vera” legge di distribuzione, definita e

dimostrata da Planck tra l’ottobre e il dicembre 1900. In essa una nuova definizione di

entropia e ancora due nuove costanti spazzarono le precedenti considerazioni come

sarà discusso in una prossima lezione.

Negli ultimi quaranta anni dell’Ottocento i fisici avevano definito il problema del corpo

nero, fissato alcune leggi di radiazione (spostamento, Stefan-Boltzmann), realizzato

campioni di corpi neri, costruito strumenti precisi (fotometri, bolometri), selezionato

radiazioni di lunghezza d’onda sempre più grande, trovato una legge di distribuzione

capace di descrivere almeno parzialmente molti dei risultati sperimentali. Il 1900

segnò la rivoluzione con due nuove costanti microscopiche misurate per la prima volta con precisione che aprirono strade teoriche nuovissime e inesplorate.