Jorge Amado - Jubiabá

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Jorge Amado

Jubiabà

Einaudi

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Titolo originale JubiabàLivraria Martins editora, San Paolo

Copyright 1952 by Giulio Einaudi editore, Torino

Traduzione di Dario Puccini ed Elio Califano

Prima edizione nei «Coralli», 1952Prima edizione nei «Nuovi Coralli», 1976

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Parte prima

Bahia di tutti i santi e del santone Jubiabá

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L’incontro di pugilato.

La folla balzò in piedi come un sol uomo. E rimase in religioso silenzio. L’arbitro scandì:- Sei...Ma prima che fosse pronunciato il «sette», il pugilatore biondo si levò a fatica su un braccio; poi,

raccolte tutte le forze, fu di nuovo in piedi. Allora la folla tornò a sedersi e riprese a gridare. Il negro incalzò l’avversario, e tutti e due, il biondo e il negro, si trovarono in mezzo al quadrato. La folla ruggiva:

- Buttalo giù! Buttalo giù!Quella sera il Largo da Sé, la piazza della Cattedrale, era un mare di gente. Gli uomini si stipavano sui

banchi, sudati, gli occhi fissi al quadrato, dove il negro Antonio Balduino si batteva contro Ergin, il tedesco. La chiesa, vecchia di secoli, gettava la sua ombra sopra la folla. Rare lampade illuminavano il quadrato. Soldati, scaricatori del porto, studenti, operai, uomini, vestiti appena di una camicia e di un paio di pantaloni, seguivano ansiosi le vicende del combattimento. Negri, mulatti, bianchi: tutti sostenevano il negro Antonio Balduino che già aveva messo al tappeto l’avversario ben due volte. A quest’ultima, sembrava che il bianco non dovesse più rialzarsi. Ma prima che l’arbitro contasse «sette», egli si era rimesso in piedi e continuava la lotta. Ci furono, allora, tra gli spettatori parole ed espressioni di ammirazione. Qualcuno mormorò:

- Pure il tedesco ci sa fare...Ma intanto la folla continuava a incitare il negro altissimo, che era il campione dei pesi massimi di

Bahia. Gridavano, ora, senza posa, desiderosi che l’incontro si concludesse - e che si concludesse con Ergin steso a terra.

Un ometto patito, dalla faccia smunta, mordicchiava un mozzicone di sigaretta spenta. Un negro tarchiato e basso accompagnava le urla battendo le palme sulle ginocchia e ritmando:

- But-ta-lo-giù... giù-giù-giù!E tutti si agitavano smaniosi e gridavano: e le urla si udivano fin sulla piazza Castro Alves.Avvenne però che, nel round successivo, il bianco passasse all’attacco e mettesse il baiano alle corde.

La folla non si preoccupò molto di questo scatto del biondo: sperava nella pronta reazione dell’altro. E, infatti, Balduino tirò un diretto sulla faccia insanguinata del tedesco. Ergin lo prevenne e, con un violento colpo al viso, ridusse il sopracciglio destro del negro tutto un grumo di sangue. D’improvviso, il tedesco prese il pieno sopravvento e, come un gigante, dominò il negro, che si limitava a incassare: alla testa, al cuore, allo stomaco. Ancora Balduino fu messo alle corde, vi rimase aggrappato senza poter reagire. Pensava solo a non cadere e si teneva disperatamente, con forza, alle corde. Invece, il tedesco era diventato un diavolo e gli martellava la fronte. Il naso di Balduino faceva sangue, l’occhio destro era chiuso, sotto l’orecchio aveva una ferita. Vedeva confusamente il tedesco, davanti a sé, agitarsi ; sentiva, lontani, molto lontani, i clamori del pubblico; che fischiava, anche. Nel veder cadere il suo eroe, la gente dapprima urlava:

- Dagli, negro, dagli!Ma, a poco a poco, la folla tacque, sconfortata, visto che ormai il negro incassava soltanto. E quando

riprese a gridare fu solo per fischiarlo, per sfotterlo.- Negro femminuccia! Donna coi calzoni! Dài, biondo; dagli tu, biondo!Erano furenti perché il negro si limitava a incassare. Avevano pagato tre milreis per vedere il loro

campione suonarle a quel bianco che si diceva «campione dell’Europa centrale» . E ora che stavano là, vedevano ch’era il negro a prenderle. Erano scontenti, si agitavano inquieti: ora applaudivano il bianco, ora lo fischiavano. E fu un gran sollievo quando il gong segnò la fine del round.

Antonio Balduino si rifugiò in un angolo del ring, reggendosi alle corde. Allora il magro che mordeva

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il mozzicone di sigaretta sputò la cicca e disse forte:- Dov’è finito il negro Antonio Balduino che stendeva i bianchi?Antonio Balduino sentì. Bevve una sorsata di acquavite dalla bottiglia che gli porgeva il Gordo, il

«grassone», e si volse verso il pubblico cercando il padrone di quella voce. La quale ricominciò con tono metallico:

- Dov’è finito il vincitore dei bianchi?Una parte della folla fece eco all’ometto e gridò in coro:- Dov’è? Dov’è finito?Quel grido ferì Balduino come una scudisciata. Era insensibile ai pugni del bianco, ma non al

rimprovero dei suoi tifosi. Disse al Gordo:- All’uscita, darò una lezione a quel tipo. Trovamelo...Al segnale del nuovo round, il negro si gettò addosso a Ergin e mise subito a segno un colpo sulla

bocca e un altro allo stomaco. La folla riconosceva di nuovo in lui il suo campione e gridava:- Dai, Antonio Balduino! Dài, Baldo! Buttalo giù...Il negro tarchiato ricominciò a battere le palme sulle ginocchia. Il magro sorrideva.Il negro continuava a menar colpi su colpi e sentiva dentro di sé una gran rabbia.Poi il tedesco incalzò per colpirlo all’altro occhio. Il negro allora si spostò con un rapido scatto e,

come la molla di una macchina liberata d’improvviso, allungò il braccio in un diretto alla mascella di Ergin, il tedesco. Il campione dell’Europa centrale girò su se stesso e cadde di peso.

Roca, la folla applaudiva e gridava a non finire:- Bal-do... Bal-do... Bal-do...L’arbitro contava:- Sei... sette... otto...Antonio Balduino guardava trionfante il bianco disteso ai suoi piedi.Poi volse gli occhi verso il pubblico che l’applaudiva e cercò l’uomo che gli aveva gridato che lui non

era più quello che atterrava i bianchi. Non lo trovò. Allora sorrise al Gordo. L’arbitro, intanto, diceva:- ... nove... dieci...E andò ad alzare il braccio di Balduino. La folla urlava frenetica, ma il negro udiva solo la voce

metallica dell’uomo dalla cicca:- Ecco negro, ecco come vinci i bianchi...Qualcuno uscì dalla porta grande e arrugginita della staccionata, il grosso della gente fece ressa verso

la zona di luce, dove era il quadrato, per portare in trionfo il negro Antonio Balduino. Uno scaricatore del porto e uno studente gli reggevano una gamba e due mulatti l’altra. Portarono così il negro fino al centro della piazza, all’orinatoio pubblico che, per il momento, funzionava da spogliatoio dei pugili.

Antonio Balduino indossò il vestito blu, tracannò un sorso di acquavite, incassò i cento milreis di premio e disse agli ammiratori:

- Il bianco era già stanco morto... Non c’è bianco che regga contro il negro Antonio Balduino...Sorrise, e, infilato il denaro nella tasca dei calzoni, si avviò verso la «Pensione» di Zara, un bordello

dove si trovava Zefa, meticcia dai denti aguzzi venuta dal Maranhão.

Prima infanzia.

Antonio Balduino si fermò in cima alla collina a guardare giù in basso le luci che erano la città. Accordi di chitarre si levavano su per l’erta mentre compariva appena la luna. Tristi erano le canzoni che lassù si cantavano. La bottega di Lourenço lo spagnolo si riempiva in quel momento di uomini che vi si recavano a fare quattro chiacchiere e a leggere il giornale, che il padrone procurava a chi era fedele al bicchierino d’acquavite della sera.

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Antonio Balduino andava sempre in giro vestito di un camiciotto sporco di terra, per correre su per le vie e i viottoli fangosi della collina, per giocare con gli altri bambini della stessa sua età.

A soli otto anni, Antonio Balduino già capeggiava le bande di monelli che scorrazzavano per il Morro do Capa Negro, per la collina detta del «Castra-negro», e per le alture adiacenti. Ma la sera tardi non c’era svago che potesse distoglierlo dalla contemplazione delle luci che si accendevano nella città così vicina e pur così irraggiungibile. Si sedeva sempre sul medesimo dirupo, all’ora del crepuscolo, e da lì attendeva, ansioso come un amante, che le luci si accendessero. Quella attesa aveva una sua interna voluttà: era simile a quella dell’uomo che aspetta la femmina. Antonio Balduino restava con gli occhi fissi sulla città, e aspettava. Il suo cuore batteva con più forza nel momento in cui l’oscurità invadeva l’abitato, copriva le strade e le prime falde del colle, e si alzava dalla città il rumore strano della gente che si ritira in casa, degli uomini che commentano gli affari compiuti durante la giornata e il delitto che è stato commesso la notte prima.

Antonio Balduino, che era stato in città solo rare volte, e sempre in fretta, trascinato qua e là dalla zia, intuiva, in quell’ora, tutta la vita della città. Sentiva venire da laggiù un brusio intenso. E restava in ascolto di quei suoni confusi, di quell’onda di rumori che giungeva sino a lui lungo i sentieri scoscesi della collina. Risentiva sui suoi nervi la vibrazione di quei rumori, di quelle voci di vita e di lotta. E s’immaginava uomo fatto, a vivere la vita tumultuosa degli uomini, a lottare la lotta di tutti i giorni. I suoi occhietti brillavano - e più d’una volta fu tentato d’imboccare il sentiero e scendere per vedere da vicino lo spettacolo della città in quell’ora grigia. Sapeva bene che avrebbe perduto la cena e al ritorno ne avrebbe prese tante dalla zia: ma non era questo che lo tratteneva dall’andare ad assistere dappresso alla baraonda della città che rincasava dal lavoro. Ciò che non voleva perdere era l’accendersi delle luci - rivelazione per lui sempre nuova e sempre bella.

Ecco che la città sta per essere avvolta ormai quasi completamente dalle tenebre.Antonio Balduino non distingueva ormai più nulla. Veniva un vento freddo insieme all’oscurità. Ma

lui non l’avvertiva. Godeva con voluttà dei rumori e della confusione che sempre più aumentavano. Non perdeva nulla: distingueva le risate, le grida, le voci avvinazzate degli ubriachi, le discussioni di politica, la voce strascicata dei ciechi che chiedevano elemosina per amor di Dio, lo sferragliare dei tram stipati di gente in piedi, sui predellini esterni. Assaporava lentamente la vita della città.

Un giorno provò un’emozione violenta che lo sconvolse tutto. Scattò persino in piedi, tutto tremante di gioia. Aveva distinto nel brusio un pianto, un pianto di donna e alcune voci che la consolavano. E in lui quel suono s’ingrandiva dentro come una folla, lo trasportava in una vertigine di emozione. Un pianto. Qualcuno, una donna, piangeva nella città. Antonio Balduino ascoltò il pianto doloroso finché esso fu sovrastato e spento dal rumore di un tram che passava stridendo sulle rotaie. Antonio Balduino trattenne ancora il respiro sperando di udire qualche altro rumore. Ma dovevano aver fatto allontanare la donna dalla via perché non gli riuscì di afferrare più nulla. Quella sera non volle cenare e più tardi non andò a scorrazzare per le strade con i compagni. La zia aveva detto:

- Questo bambino ha veduto qualcosa... Questo ipocrita la sa più lunga di quello che sembra...Belli anche quei giorni in cui riusciva a sentire la campana del pronto soccorso che suonava laggiù

nella città. Questo voleva dire che qualcuno soffriva tra le case, là in basso, e Antonio Balduino, ragazzino di otto anni, godeva della presenza di quell’elemento di dolore come l’uomo gode della donna.

Ma le luci che si accendevano d’improvviso, purificavano tutto. Antonio Balduino si lasciava andare alla contemplazione delle lunghe file di lampadine, figgeva gli occhi vivi nelle zone di luce e provava un gran desiderio di amore verso gli altri negretti della collina, del Morro do Capa Negro. E, di sicuro, se qualcuno di loro gli si fosse avvicinato in quei momenti, egli l’avrebbe ricevuto con una carezza, non con i soliti pizzicotti o spintoni, non con le solite parolacce troppo presto imparate sulla strada. Certamente avrebbe accarezzato sulla testa lanosa il compagno di giochi e lo avrebbe persino abbracciato. E forse avrebbe anche sorriso. Ma i monelli non se ne andavano sulle colline solitarie e

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non pensavano nemmeno ad Antonio Balduino. Il quale restava a lungo immobile a guardare le luci. Scorgeva anche le figure di quelli che passavano sotto i fanali: uomini e donne che forse passeggiavano. Sotto, più vicino al colle, si sentivano accordi di chitarre e discorsi di negri. La vecchia Luisa gridava:

- Baldo, vieni a mangiare... Ragazzo impossibile...La zia Luisa gli aveva fatto da madre e da padre. Di suo padre, Antonio sapeva solo che si chiamava

Valentim, che da giovane era stato seguace di Antonio Conselheiro1, che conquistava tutte le negre che incontrava, che beveva molto - molto e gagliardamente - e che era morto sotto un tram dopo una giornata di baldorie e di orge. Tutte queste cose Antonio le aveva udite dalla zia quando essa parlava con le vicine del fratello morto. Quei discorsi si concludevano immancabilmente con queste parole:

- Era un negro bello da far svenire una donna. E poi impulsivo e violento come pochi...Antonio Balduino ascoltava in silenzio e il padre ai suoi occhi diventava un vero eroe. Suo padre

doveva aver vissuto certamente la vita della città nell’ora in cui si accendono le luci. Cercava, a volte, di ricostruire l’esistenza del babbo attraverso quei frammenti di avventure che sentiva raccontare dalla vecchia Luisa. La sua fantasia si perdeva allora a creare atti di eroico coraggio. Antonio se ne stava, tutto assorto, a guardare il fuoco e voleva immaginarsi che tipo di uomo fosse stato suo padre. Tutto ciò che sentiva narrare di grande e di rocambolesco, egli subito lo riferiva al babbo, il quale certamente doveva aver fatto altrettanto se non di meglio. Quando andava a giocare ai briganti con gli altri negri della collina, e gli veniva chiesto chi avrebbe voluto fare lui nel gioco, Antonio, che non era mai stato al cinema, non diceva che voleva essere Eddie Polo, o Elmo, o Maciste, ma esclamava:

- Voglio essere mio padre.Gli altri lo stuzzicavano:- E cos’ha fatto tuo padre?- Molte cose...- Tuo padre non ha mica alzato un’automobile con un braccio solo come Maciste.- Anzi, un camion!...- Un camion?- E pure carico, sai...- E chi lo ha visto, Baldo?- Mia zia, l’ha visto... Chiedeteglielo, se vi va.Diverse volte, per il ricordo glorioso di quel padre che non aveva conosciuto, Antonio Balduino

dovette litigare. In realtà, egli litigava e si batteva per il padre come l’aveva creato nella sua fantasia, e come avrebbe voluto che fosse oggi, conosciuto e rinomato.

Di sua madre, Antonio Balduino non sapeva nulla.Se ne andava libero per le colline e ancora non amava né odiava nessuno. Era puro come un animale

e riconosceva, come unica legge, il suo istinto. Scendeva lungo i sentieri del colle a corsa pazza, cavalcava manichi di scopa - era di poche parole, ma il suo sorriso era aperto e franco.

Ben presto cominciò a comandare il gruppo degli altri ragazzi del colle - anche quelli più grandi di lui. Era pieno di fantasia e di coraggio, come nessun altro. La sua mano e la sua mira erano precise nel tirar sassi con la fionda, e i suoi occhi scintillavano durante le baruffe. Giocavano ai briganti. Era sempre il capo. E molte volte si dimenticava che stava giocando e litigava sul serio. Conosceva tutte le parolacce e le ripeteva ogni momento.

Antonio aiutava la vecchia Luisa a fare la schiacciata di polenta e la farinata di mandioca, che la sera la zia andava a vendere in piazza, al Terreiro. Sapeva maneggiare il setaccio, portare gli utensili, ma non era capace di preparare la noce di cocco. Gli altri ragazzi da principio lo prendevano in giro dandogli del cuoco, ma la smisero il giorno in cui Antonio Balduino colpì con una pietra la fronte di Zebedeu.

1 Antonio Conselheiro: Famosa figura di brigante e di ribelle, che, verso il 1896, organizzò un villaggio di fuorilegge all’interno del Brasile e tenne testa per lungo tempo alle forze dell’ordine. Le vicende di questo singolare personaggio sono state narrate da Euclydes da Cunha nell’ormai classica opera O Sertões (1902).

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Ne prese molte quella volta dalla zia, ma non riuscì a capire perché. Dimenticava quasi subito le bastonate della vecchia. È vero, però, che ben pochi colpi andavano a segno, dato che con l’agilità di un pesce egli sfuggiva dalle mani della zia, evitando il bastone. Cosicché quello era divenuto per Baldo un divertimento, un esercizio che spesso egli finiva a risate, vincitore, solo per esser riuscito a schivare diverse botte. Ciò nonostante, la zia Luisa soleva dire:

- Questo è l’uomo di casa...La vecchia era una piacevole chiacchierona. I vicini venivano volentieri a parlare con lei, ad ascoltare

le sue storie: miracolose storie, racconti di fate e ricordi della schiavitù. Talvolta narrava o leggeva storie in versi. Ce n’era una che cominciava così:

Lettori, che caso terribilevi sto per raccontare,il corpo mi fa fremeree i capelli rizzare:mai credevo che nel mondoesistesse essere sì immondoi genitori capace d’ammazzare.

Era una storia della «figlia maledetta», un fatto che i giornali avevano riportato a grandi titoli e che un poeta popolare, autore di ABC e di sambas2, aveva messo in poesia per vendere a pochi soldi quei versi al mercato.

Antonio Balduino amava molto questa storia. Pregava con insistenza la vecchia perché gliela raccontasse un’altra volta e si metteva a protestare e a gridare se quella non acconsentiva. Gli piaceva anche udir raccontare dagli uomini le storie di Antonio Silvino e di Lucas da Feira3. E quelle sere non andava nemmeno a giocare. Una volta gli chiesero:

- Cosa vuoi fare da grande?Antonio rispose subito:- Il bandito.Non conosceva una carriera più bella e più nobile di quella, non sapeva concepire un’esistenza che

richiedesse maggiori capacità: occhio infallibile nel tirare e grande coraggio.- Caro mio, - gli dicevano allora, - tu hai bisogno di andare a scuola.Antonio si domandava la ragione di quelle parole. Non aveva mai sentito dire che un brigante

sapesse leggere. Sapevano leggere i dottori, ma i dottori erano persone deboli e senza importanza. Baldo conosceva il dottor Olimpio, un medico affatto privo di clientela, che talora veniva sulla collina in cerca di malati e di clienti, ma non ne trovava mai. Ebbene, il dottor Olimpio era un tipo magro e sparuto, che non avrebbe retto a uno schiaffone ben assestato.

Sua zia, invece, che sapeva appena leggere, era rispettatissima in tutto il colle e nessuno osava imbrogliarla o sparlare di lei. Quando la vecchia Luisa era assalita dal mal di testa, chi era così stupido da andarla a trovare e disturbare? Questi dolori di testa della vecchia negra riempivano di terrore il piccolo Antonio. Quando, di tanto in tanto, arrivavano quei mal di testa, la zia di Antonio Balduino pareva una pazza, urlava e, se accorrevano i vicini, li cacciava via gridando che non voleva diavoli per casa e che se ne tornassero all’inferno.

Un giorno, mentre la vecchia Luisa era in preda a uno dei soliti attacchi, Antonio Balduino sentì due donne che dicevano:

- Tutte le sere se ne va al Terreiro, in piazza, portando calderotti bollenti . Si capisce che la sua testa s’infoca...

2 ABC e sambas: L'ABC è una sorta di elegia popolaresca, le cui strofe iniziano con le diverse lettere dell’alfabeto. La samba è una canzone e una danza d’origine popolare.

3 Antonio Silvino e Lucas da Feira: Celebri briganti delle campagne brasiliane.

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- Macché, Rosa mia! Zitta, che quello è uno spirito, e di quelli peggiori. Di quelli che errano sperduti, senza sapere che già sono morti. Vanno in giro, cercando di una persona vivente in cui entrare. Dev’essere lo spirito d’un condannato, Gesù mio mi perdoni.

Le altre donne, tutte negre, assentivano. Antonio Balduino era combattuto tra il dubbio e il timore. Aveva paura delle anime dell’altro mondo. Ma non riusciva a capire perché mai andassero ad abitare proprio nella testa della zia.

Era in quelle circostanze che Jubiabá, lo stregone, capitava in casa sua. Antonio Balduino lo andava a chiamare a richiesta di Luisa. Giungeva alla piccola porta della casa bassa dello stregone, e bussava. Da dentro veniva una voce che domandava: - Chi è?

- Zia Luisa chiede di padre Jubiabá, perché ha il solito attacco...E, detto questo, Antonio Balduino si allontanava di corsa. Aveva una paura pazza di Jubiabá. Si

nascondeva dietro la porta e dalla fessura spiava lo stregone che arrivava: la chioma crespa e bianca, il corpo curvo e magro, il passo lento, sorretto da un bastone. Gli uomini si fermavano e lo salutavano:

- Buon giorno, padre Jubiabá.- Il Signore vi ricambia.E il vecchio proseguiva benedicendo. Perfino lo spagnolo, il padrone dell’unica osteria, abbassava il

capo per ricevere la benedizione. I ragazzini scomparivano dalla strada quando si vedeva venire la figura centenaria dello stregone. Dicevano piano:

- Arriva Jubiabá...E, via, fuggivano a tutta corsa per nascondersi dentro casa.Jubiabá andava sempre in giro reggendo un ramo fronzuto che il vento scuoteva leggermente e

biascicava parole misteriose, in nagô4. Quando passava per le strade parlava sempre tra sé, impartiva benedizioni, e trascinava dei frusti pantaloni di lana sopra i quali un camiciotto si gonfiava e si agitava, a capriccio del vento; un camiciotto ricamato che pareva una bandiera spiegata. Quando, poi, Jubiabá entrava in casa a esorcizzare la vecchia Luisa, Antonio Balduino fuggiva fuori. Ma sapeva ormai che il dolore di testa della zia sarebbe scomparso.

Antonio Balduino non sapeva che pensare di Jubiabá. Aveva per lui molto rispetto, ma un rispetto diverso da quello che sentiva verso il prete don Silvino, la zia Luisa, Lourenço l’oste, Zé Camarão, «il gamberetto», e anche verso le figure leggendarie di Virgulino Lampião e di Eddie Polo5. Jubiabá se ne andava per i vicoli del colle tutto assorto nei suoi pensieri, gli uomini lo ascoltavano con venerazione, tutti lo salutavano e, talvolta, dinanzi alla porta della sua casetta si fermavano automobili di gran lusso. Un giorno un ragazzo aveva detto a Balduino che Jubiabá si mutava spesso in lupo mannaro; un altro, che il vecchio teneva il diavolo prigioniero in una bottiglia.

Certe notti, dalla casa di Jubiabá uscivano degli strani suoni di una strana musica. Antonio Balduino si agitava sulla stuoia, inquieto, per quella musica che pareva chiamarlo. Colpi ritmati dei tamburi, suoni di danze, voci diverse e misteriose. Certo Luisa era là, con la sua lunga sottana di canapa rossa e la camicia. In quelle notti, Antonio Balduino non riusciva a prendere sonno. Nella sua infanzia sana e libera, Jubiabá rappresentava il mistero.

Come erano belle e piacevoli le notti alla collina del Capa Negro! Fu allora, durante l’infanzia, che il negretto Antonio Balduino imparò molte cose e soprattutto molte storie. Storie che uomini e donne si raccontavano, riuniti a gruppi davanti alla porta di casa, nelle serate di luna. Ogni domenica sera, quando non si celebravano le funzioni, quando non c’era Macumba in casa di Jubiabá, molte persone avevano preso l’abitudine di ritrovarsi e raccogliersi dinanzi alla soglia di casa della vecchia Luisa, che, per santificare la festa, non andava a vendere le sue schiacciate. Anche presso le altre porte si formavano gruppi di persone che chiacchieravano, suonavano la chitarra, cantavano, bevevano un

4 Nagô: Idioma africano (Costa d’Oro) ancora in voga tra i negri brasiliani. Viene usato soprattutto durante le cerimonie e i riti di stregoneria.5 Virgulino Lampião e Eddie Polo: Lampião: altro celebre brigante, le cui gesta sono divenute quasi leggendarie. Eddie Polo è l’eroe di una serie di antichi

film americani a episodi.

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sorso di acquavite (che non mancava mai per i vicini), ma nessun gruppo era così numeroso come quello che si riuniva intorno a Luisa. Persino Jubiabá, talvolta, faceva la sua apparizione nel crocchio e raccontava pure antichi fatti, accaduti molti anni addietro, con un linguaggio frammisto di parole in gergo nagô, di saggi consigli e di più sagge sentenze. Egli era una sorta di patriarca per quel gruppo di negri e di mulatti che, in casupole fatte di fango e paglia, e coperte d’un tetto di lamiere di zinco, abitavano la collina del Capa Negro. Le sue parole venivano ascoltate attentamente e rispettosamente accolte da tutti con un cenno del capo. Quando c’erano riunioni serali, Antonio Balduino, abbandonati i compagni di giochi e di bricconate, si metteva in un angolo ad ascoltare. Per una di quelle storie, specie se in versi, egli avrebbe dato la vita.

Per questo, il ragazzo aveva tanta simpatia per Zé Camarão, un attaccabrighe che viveva alla giornata senza mai lavorare, e che già era stato schedato dalla polizia tra i malandrini. Agli occhi di Antonio Balduino, Zé Camarão aveva due grandi qualità: era coraggioso, e poi cantava, accompagnandosi con la chitarra, storie di celebri briganti della campagna. Suonava anche arie melanconiche, valzer e canzoni, durante le feste che la povera gente teneva sulla collina e nelle altre parti della città: perché dovunque la sua presenza era indispensabile. Era un mulatto alto, di carnagione giallastra: camminava dondolando il corpo, e s’era conquistato una reputazione dal giorno in cui era riuscito, con pochi colpi da consumato malvivente, a mettere fuori combattimento due marinai. C’era pure chi non lo poteva soffrire, chi lo guardava male; ma Zé Camarão passava ore e ore a insegnare ai monelli della collina le mosse della lotta libera, con infinita pazienza. Si rotolava per terra con quei monelli, faceva vedere come si applica una «coda di pesce» e come si strappa il pugnale dalla mano dell'avversario. Era amato da tutta la ragazzaglia, che lo considerava come un suo dio. Ad Antonio Balduino piaceva molto la compagnia dello sfaccendato e soprattutto godeva a sentirlo raccontare episodi della sua vita. E poiché Antonio si sentiva già il migliore suo allievo nella lotta, voleva imparare anche a suonare la chitarra.

- Allora, me lo insegnerete, Zé Camarão?- Ma certo che t’insegnerò, - rispondeva quello.Il ragazzo portava bigliettini alle innamorate di Zé Camarão e lo difendeva se qualcuno parlava male

di lui.- È mio amico. Perché non glielo dici in faccia? Hai paura, eh...Zé Camarão, nel crocchio di quelli che si fermavano davanti alla porta di Luisa, era sempre presente.

Arrivava col suo passo dinoccolato di malandrino e si accoccolava fumando una sigaretta puzzolente. Ascoltava silenzioso i fatti narrati, le storie, le discussioni e interveniva solo quando uno dei presenti raccontava un episodio che impressionava particolarmente l’uditorio. Allora Zé Camarão, dopo aver riposto la sigaretta dietro l’orecchio, diceva:

- Bah... questo è niente di fronte a un fatto che è capitato a me...E ne usciva il racconto di un’avventura, che, perché nessuno dubitasse della sua veridicità, veniva

rifinito e adornato di mille particolari. Se, poi, negli occhi degli astanti vedeva un lieve segno di dubbio, il mulatto non si perdeva d’animo:

- Se non ci credi, caro mio, domanda a Zé Fortunato che era con me in quel momento.C’era sempre stato qualcuno con lui: sempre vi era un testimone oculare che non gli avrebbe

permesso di mentire.E a ogni tafferuglio, a ogni fatto di rilievo accaduto in città, Zé Camarão, - a sentir lui, - si era

trovato presente. Si parlava di un delitto? Egli interrompeva il discorso:- Io ero là vicino...E riferiva subito la sua versione dell’accaduto, nel quale, naturalmente, egli aveva sempre una parte

di primo piano. Ma quando era necessario, attaccava briga. Ne sapeva qualcosa Lourenço, l’oste, che aveva due cicatrici sulla faccia! (Quello sporco spagnolo non aveva osato, nientemeno!, di scacciarlo dalla sua bottega?) Le ragazze presenti non vedevano che lui, Zé Camarão. Erano incantate dal suo fare canagliesco, dalla sua nomèa di uomo coraggioso, dal modo immaginoso con cui egli sapeva narrare un

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avvenimento: sempre facendo paragoni con le loro persone e con le loro cose, con il loro sorriso, con i loro occhi, con la loro bocca rossa; ma soprattutto si dilettavano a vederlo cantare accompagnandosi con la chitarra.

A metà della riunione, quando, appena alla fine di un racconto, si faceva un momento di silenzio, una ragazza non mancava mai di ricordargli:

- Cantate per noi, Zé Camarão...Quello, modesto, si schermiva:- Lascia stare, ora si chiacchiera...- Non importa, vogliamo una canzone.- Ma ho lasciato la chitarra a casa...- Se è per questo... Baldo, va’ a prenderla.Antonio Balduino già correva diritto alla casupola dove viveva Zé Camarão. Ma il mulatto si faceva

ancora pregare un po’:- Oggi non sono in voce... Perdonatemi...Allora tutti lo imploravano:- Ma cantate, su, Zé Camarão.- Va bene, ma una sola canzone.Invece, ne cantava moltissime: tiranas, côcos6, sambas, canzoni nostalgiche e tristi che riempivano gli

occhi di lacrime, e ABC avventurosi che rallegravano molto Antonio Balduino:

Addio Saco do Limãomia terra natia.Io son prigioniero a Bahiadi te sento nostalgia.

C'era poi l'ABC del brigante Lucas da Feira, uno degli eroi prediletti di Antonio Balduino:

Pieno d’entusiasmo accumulaimolta pompa e molta grandezzapoiché avevo nella fattoriauna cassa piena di tabacco.

Fui arrestato presso Bahia,fecero le cose in grande.Ma io arrivai a cavalloe le guardie tutte a piedi.

Gli astanti commentavano a bassa voce:- Questo Lucas era proprio un diavolo...- Raccontano che non falliva mai il bersaglio...- Si dice che era molto buono...- Buono?- Sì, rubava solo ai ricchi...

Mai un poveraccio derubaiché niente lì avevo da pigliare,però dei ricchi i portafogli

6 Tiranas, cocos: Tirana è una specie di tenzone, di torneo di poesia popolaresca (Nord-est brasiliano). Il coco è, invece, una danza di chiara origine africana.

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nessuno ne lasciai scappare.

- Te lo dicevo?- Un brav’uomo veramente...

Mulatte dalla bella chioma,meticce dal dolce viso,creole solo per provare,bianche non mi mancarono.

A questo punto, Zé Camarão gettava gli occhi sul gruppo delle ragazze e sorrideva col suo migliore sorriso. Quelle lo guardavano con ammirazione come se fosse Lucas da Feira in persona. Gli uomini, invece, si abbandonavano alle risate. La storia poi parlava della lealtà e dell’eroismo spaccone del brigante:

Non dico il nome del compagnoné mi conviene parlaree se oggi mi vedo rovinatonon devo rovinare gli altri.

Nella grande regione rotondaper tutta quella ampiezzami chiamavano capitanoe capitano sono per grandezza.

Ma c’era un momento in cui la voce di Zé Camarão si faceva più piena e i suoi occhi più dolci. Ed era quando cantava la lettera «U»:

U è una lettera vocaleinsieme ad a, e, i, o.Addio Caldeirão da Feirae addio a una persona che so...Guardava la sua preferita e, in quel momento, era Lucas da Feira, il brigante, il delinquente,

l’assassino, che intanto amava «una persona» che sapeva lui solo...Finiva tra gli applausi:

Scherzato ho col giovane e il vecchio,scherzato anche col bambino;è giunta oggi la mia ora,vo a conchiudere il mio destino.

Seguiva una samba nostalgica, cantata da Zé Camarão con l’intonazione di voce più triste:

Me ne vado da questa terraabitata solo da donne scellerate...me ne vado da questa terracon una grande nostalgia...

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Questo piaceva molto alle donne:- È così bello...- Triste, da strappare il cuore...Una donna molto grassa, in stato di avanzata gravidanza, raccontava con semplicità la sua storia a

un’altra:- Finché sono stata bella mi ha voluto bene. Non c’era cosa che non mi regalasse. Una volta mi disse

anche che dovevamo sposarci davanti al prete e al giudice...- Davanti al prete e al giudice?- Sì, figlia mia... L’uomo quando vuole ingannare è peggio del diavolo... Mi promise un monte di

cose... Io, bestiona, gli credetti. Facemmo per un po’ una vita normale. E lui mi regalò questa pancia... Dovetti lavorare e mi sciupai, persi il mio bel colorito; e lui fuggì con una meticcia vagabonda che non viveva altro che per i suoi occhi...

- E perché non hai provato una fattura per riportarlo a te?- Perché? Perché questo ormai è il mio destino... Il destino è Dio che ce lo dà.- Ma senti: io ricorrerei a una fattura, almeno per dannare quella serpe che te l’ha portato via... Oh,

guarda... Una donna si prende il mio uomo e restano insieme. Tutto inutile? - dico. - No, - dico, - il mio amore non deve restare da lei... Ti faccio la fattura: la donna diventa lebbrosa e lui, dritto dritto, torna da me... E tutto con l’aiuto di padre Jubiabá, che fa certe fatture!...

- E a che serve? Il nostro destino è deciso lassù, - e la donna incinta indicava il cielo. - Noi veniamo al mondo ciascuno col suo destino, che si deve compiere... Questo qua, - e mostrava il ventre enorme, - ha già il suo destino bell’e pronto...

La vecchia Luisa era d’accordo:- Hai ragione, figlia mia. È proprio così.La conversazione divenne generale:- Conoscete Gracinda, quella moretta che abita al Guindaste dos Padres?Una donnetta la conosceva:- Non è forse quella senza denti, brutta e schifosa come una vipera?- Proprio lei... Ebbene: anche con quella faccia, è riuscita a prendersi l’uomo di Ricardina che è un

bel pezzo d’uomo... Perché Jubiabá aveva fatto l’incantesimo...- L’incantesimo, - rise un mulatto, - l’avrà fatto lei, nel letto.- Dicono anche che Balbino è morto per una fattura...- Macché... Quello è morto da quel birbante che era. Birbante come un cobra.Un vecchio negro, grasso, che si stava raschiando le piante dei piedi con un temperino, cominciò a

raccontare a voce bassa:- Sapete quello che fece al vecchio Zequiel? Fu una cosa da rizzare i capelli... Il vecchio, voi sapete,

era un uomo di carattere, in gamba. Lo conoscevo bene: lavoravamo insieme da muratori! Un uomo in gamba... Non ce n’era un altro come lui. Ma un giorno ebbe la disgrazia di venire ad abitare vicino a Balbino... Quel mascalzone si mise a far l’amico del vecchio per portargli via la f iglia. Certo, vi ricorderete di Rosa. Io me la ricordo bene: la ragazza più bella che abbiano visto questi occhi che la terra mi dovrà mangiare, prima o poi. Ma Balbino si mise ad amoreggiare con Rosa e parlava solo di sposare...

La donna incinta interruppe:- Tale e quale come faceva Roque con me...- Stabilirono persino il giorno... Ma ecco che una sera, tardi, il vecchio Zequiel dovette andare a

lavorare. Allora lavorava laggiù al molo. C’era da caricare un battello in partenza... Balbino, come fidanzato, entrò in casa e convinse Rosa a mostrargli il corredo che tenevano nella stanza del vecchio. La rovesciò sul letto e lì la prese; Rosa disse poi che aveva gridato, che non voleva. Ma quello la possedette con tale violenza da lasciarla stordita, quasi priva di sensi, e così macchiata di sangue che

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pareva l’avesse ammazzata. E l’uomo riuscì anche ad aprire, con la massima calma, la cassetta del vecchio e a prendere quel poco denaro che c’era: la miseria di cinquanta milreis messi da parte per il giorno delle nozze. Quando il vecchio tornò fu sul punto d’impazzire. Balbino, che non era un uomo, rimase nascosto per timore del vecchio, finché un giorno, con altri due, fece la posta a Zequiel e lo picchiarono. Gliene diedero tante da ammazzarlo... E lui non venne arrestato... Perché dicono che abbia qualcuno che lo protegge, in alto...

- Già, si dice... Una volta una guardia lo trovò e l’arrestò. Sapete come finì? Che Balbino fu messo in libertà, e la guardia andò in prigione...

- Dicono che viveva facendo la spia: diceva alla polizia dove si teneva la Macumba...Nessuno aveva previsto, a questo punto, l’arrivo di Jubiabá. Il capo della Macumba disse:- Ma morì di brutta morte...Gli uomini abbassarono la testa e tacquero: non potevano competere con Jubiabá che era un

santone.- Morì di brutta morte. In lui s’era spento l’occhio della pietà. Era rimasto solo l’occhio della

cattiveria, della crudeltà. Quando morì, l’occhio della pietà si riaperse.E ripetè:- S’era spento l’occhio della pietà. Era rimasto solo l’occhio della crudeltà...Un negro tarchiato si avvicinò e chiese a Jubiabá:- Come sarebbe, padre Jubiabá?- Nessuno deve chiudere l’occhio della pietà. È male chiudere l’occhio della pietà... Non porta bene.E aggiunse poi in nagô - e quando Jubiabá parlava in gergo i negri tremavano:- Ojù ànum fó ti ikà, li ôkù.Improvvisamente il negro si gettò ai piedi di Jubiabá e gridò:- Io, io, gente mia, ho chiuso l’occhio della pietà... Un giorno io ho chiuso l’occhio della pietà...Jubiabá lo guardò con viso indagatore. Gli altri, uomini e donne, si fecero più in là.- Avvenne quando ero lassù, nelle regioni settentrionali. C’era una grande arsura... La siccità faceva

morire il bue, faceva morire l’uomo, faceva morire ogni cosa. Noi ce ne andavamo, fuggivamo; eravamo molti, ma quasi tutti caddero lungo il cammino. Alla fine ci trovammo soltanto io e João Janião. Un giorno egli mi prese sulle spalle, che le mie gambe non mi reggevano più... Lui teneva ben aperto l’occhio della pietà. Ma tutti avevamo la gola secca. Il sole era feroce, gente mia. Cade mai l’acqua in quelle distese infinite? Nessuno lo sapeva... Un giorno ci procurammo, in una fattoria, una zucca d’acqua per poter continuare il viaggio. La portava João Janjão e distribuiva l’acqua a razione. Si moriva di sete. Ed ecco che incontrammo un altro uomo, un bianco che stava proprio morendo di sete. João Janjão voleva dargli dell’acqua e io non glielo permisi. Ma giuro che ce n’era rimasta poca poca, appena bastava a noi due... E lui insisteva nel volerla dare al bianco. Aveva l’occhio della pietà davvero aperto; a me, invece, la pietà s’era asciugata con la sete. M’era rimasto aperto, ben aperto, solo l’occhio della crudeltà... Lui insistette ancora, litigammo e, nella rabbia, l’uccisi. Mi aveva portato una giornata intera sulle sue spalle...

Il negro restò a guardare il buio della sera. Nel cielo brillavano innumerevoli stelle. Jubiabá aveva gli occhi chiusi.

- Mi aveva portato sulle spalle una giornata intera... Teneva aperto l’occhio della pietà... Mi vorrei togliere la sua immagine dalla testa. Ma mi sta sempre davanti, mi guarda, non mi lascia mai...

Si passò la mano sugli occhi come per togliersi qualcosa. Ma non riusciva a dimenticare quell’immagine e continuava a guardare fisso nel buio.

- Mi aveva portato una giornata intera sulle spalle...Jubiabá ripetè monotono:- È male chiudere l’occhio della pietà. Porta disgrazia...Allora l’uomo si alzò e s’allontanò giù per la collina portando via con sé la propria storia.

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Antonio Balduino ascoltava e imparava. Quella era una scuola proficua. L’unica scuola che lui e gli altri ragazzi della collina potessero avere. Così si venivano educando e così sceglievano la propria strada nel mondo. Singolari, strane erano le strade che si aprivano ai figli della collina: mestieri che non richiedevano molto studio: vita di malandrini, di ladri, di avventurieri. C’era anche un’altra strada: la schiavitù delle fabbriche e dei campi - i mestieri proletari.

Antonio Balduino ascoltava e imparava.

Un giorno, arrivò un tale da lontano e si fermò in casa di donna Maria, una mulatta grassa che, tutti dicevano, si stava arricchendo alle spalle dei clienti di Jubiabá. Il forestiero voleva consultare lo stregone della Macumba per un vecchio dolore alla gamba destra che lo faceva soffrire terribilmente. Dinanzi a quel male, tutti i medici si erano arresi da molto tempo: pronunciavano nomi complicati di malattie e prescrivevano medicine costose. Ma la gamba peggiorava sempre e il dolore ormai era tale da impedirgli di lavorare. Aveva, perciò, deciso di fare il viaggio soltanto per consultare il santone Jubiabá che guariva tutti nella sua sacra abitazione, sulla collina del Capa Negro.

L’uomo veniva da Ilhéus, la ricca città del cacao, e ben presto quasi spodestò Zé Camarão dal posto d’onore che questi occupava nella mente di Antonio Balduino.

Il fatto è che il forestiero, curato radicalmente da Jubiabá in due sedute, era entrato nel circolo che si riuniva la domenica sera davanti alla porta della vecchia Luisa. Tutti lo trattavano con grande rispetto, perché sembrava fosse uomo di grandi ricchezze: che avesse fatto fortuna nel Sud e avesse dato un conto 7 a Jubiabá. Indossava un bel vestito di lana e, naturalmente, quando giunse una lettera alla signora Ricardina, gliela portarono a far leggere. Ma il forestiero disse:

- Io non so leggere, signora...Era la lettera di un fratello che stava morendo di fame nelle Amazonas. L’uomo d’Ilhéus le regalò

cento milreis. Per questo, quando fu anch’egli del gruppo di quelli che si riunivano presso la vecchia Luisa, tutti fecero silenzio.

- Si accomodi, signor Jeremias, - e Luisa offriva al nuovo venuto una sedia di paglia traforata.- Grazie, signora.E poiché il silenzio continuava:- Di che cosa stavamo parlando?- A dir la verità, - intervenne Luis Sapateiro, - stavamo parlando dell’abbondanza che c’è dalle sue

parti. Del denaro che là uno può guadagnarsi...L’uomo abbassò la testa e solo allora gli altri si accorsero che aveva i capelli bianchi e grandi rughe

sulla fronte.- Non è proprio così... Si lavora molto e si guadagna poco...- Ma lei stesso, signore, lei ha molto denaro...- No. Ho un piccolo podere e già da trent’anni sono laggiù. Mi hanno sparato addosso già tre volte.

Nessuno laggiù può evitare i tradimenti e le imboscate...- Sono coraggiosi gli uomini del paese? - ma nessuno fece attenzione ad Antonio Balduino.- Eppure, senta, qui ci sono parecchi che vorrebbero venire con lei.- Ma sono coraggiosi gli uomini laggiù? - ribattè Antonio Balduino.Il forestiero accarezzò i capelli del negretto e disse:- È una terra violenta, quella... una terra d’agguati e di morte...Antonio Balduino stava con gli occhi fissi sull’uomo del Sud, aspettando che raccontasse qualche

avventura di quella sua terra.- Là si uccide per scommessa. Scommettono se il viandante cadrà a destra o a sinistra. Ognuno paga

la sua posta; e poi sparano solo per vedere chi ha vinto...

7 Conto: Un conto (1000 milreis) equivale all’incirca a 20.000 lire italiane; il milreis a circa 20 lire italiane.

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Girò gli occhi sugli astanti per scorgere l’effetto di queste parole. Abbassò il capo e continuò:- C’è un negro ch’è un vero diavolo. Si chiama José Estique, ed è coraggioso come non si crede. È il

coraggio in persona. Ma anche feroce come nessuno. Davvero una calamità in carne ed ossa.- Un brigante, un jagunço8?- No. Anzi, è un ricco fazendeiro: Zé Estique possiede un mare di terre e piante di cacao a non finire...

Ma, certo, sono sempre di più i morti che ha sulla coscienza...- E non è mai stato arrestato?L’uomo strizzò i suoi occhietti:- Arrestato? - sorrise. - Ma è un riccone...Nel suo sorriso c’era un commento sarcastico. Gli altri si guardarono stupiti. Ma subito compresero,

e di nuovo tacquero per ascoltare ancora l’uomo di Ilhéus.- Sapete cosa fa? Entra a cavallo a Itabunas e quando incontra un pezzo grosso smonta e gli dice:

«Apri le tue tasche, voglio pisciarci dentro». Non c’è persona che si rifiuti... Anche perché Zé Estique è un formidabile tiratore... Una volta, a Itabunas, incontrò una ragazza bianca, la figlia dell’intendente. Sapete cosa fece? «Ragazza, piglia questo, - dice, - che voglio pisciare...» E voi capite che cosa dovesse prendere...

- E lei lo prese? - domandò Zé Camarão ridendo forte.- E che poteva fare, poverina?...Gli uomini, adesso, ridevano tutti e provavano simpatia per Zé Estique. Le ragazze, invece, tenevano

gli occhi a terra, tutte vergognose.- Ha ammazzato, ha rubato, ha fatto del male a tante ragazze. Un coraggio da matto.- Allora, è morto...- Fu ucciso da uno straniero, un piccolino che si trovava da poco tempo da quelle parti...- E come?- Un giorno arrivò uno straniero che potava le piante di cacao. Nessuno prima di lui l’aveva fatto.

S’arricchì e comperò una piantagione. Dopo di che, partì per il suo paese, ma era solo per sposarsi. Ritornò con una donna così bianca che pareva una bambola di porcellana... La piantagione dello straniero era vicina alla fattoria di José Estique. Un giorno Estique passò e vide la donna che stendeva la biancheria al sole. Si fermò e disse a Nicolau...

- Chi è Nicolau?- Lo straniero... Si fermò, e disse: «Lasciami questa bambola, giovanotto, stasera passerò a

prenderla...» Lo straniero, pieno di spavento, andò a raccontare tutto al suo vicino. Il vicino gli disse che non c’era niente da fare: o gli lasciava la donna o sarebbe morto, perché Zé Estique non era uno che sprecava parole. Se aveva detto che sarebbe venuto a prenderla, voleva dire che sarebbe certamente venuto. Tempo per fuggire non ne aveva più; e poi, fuggire dove? Lo straniero tornò a casa disperato. Non voleva cedere una donna così bella, che s’era andato a prendere al suo paese. Ma allora sarebbe morto, e Zé Estique, per di più, avrebbe avuto lo stesso la donna...

- Che fece, dunque? - Gli ascoltatori non riuscivano più a tacere, a trattenere la loro curiosità. Solo Zé Camarão sorrideva, come se conoscesse un racconto più impressionante di quello dell’uomo d’Ilhéus.

- La sera venne Zé Estique... Scese da cavallo e, invece di trovare la donna, trovò lo straniero che, dietro una palizzata, lo aspettava armato di un’ascia grande così. Spaccò in due il cranio del negro. Una brutta fine...

Una donna disse:- Una morte meritata...Un’altra, invece, si segnò, tutta sbigottita.L’uomo d’Ilhéus continuò tutte le sere a raccontare sempre nuove storie d’avventure e di morti nella

8 Jagunço: Bandito o gangster di campagna, per solito al servizio di qualche latifondista (coronel).

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sua terra eroica. E quando fu guarito e partì, Antonio Balduino sentì la stessa tristezza di chi si separa dall’innamorata. Il ragazzo, infatti, nelle lunghe chiacchierate sotto la luna del Capa Negro, ascoltava e imparava. E prima di finire i dieci anni già Antonio Balduino aveva giurato a se stesso che un giorno avrebbero dovuto cantarlo in un ABC, che le sue avventure sarebbero state raccontate e ascoltate con ammirazione da altri uomini, in tante altre colline.

La vita sulla collina del Capa Negro era difficile e dura. Tutti quegli uomini lavoravano molto: chi sul molo a caricare e a scaricare battelli e navi, chi a trasportare i bagagli dei viaggiatori ; chi in fabbriche lontane o in povere botteghe di calzolaio, di sarto o di barbiere. Le donne, le negre, vendevano dolci di riso, mungunzà, sanguinacci e fagioli nelle vie strette e tortuose della città; oppure facevano le lavandaie, o le cuoche, nelle case dei quartieri ricchi. Anche i ragazzi lavoravano: da lustrascarpe, da fattorini, da strilloni di giornali. Taluni stavano in belle case, allevati da famiglie danarose. I più si sperdevano per i viottoli del colle a giocare, correre, litigare. Erano questi i più piccoli. Ma presto imparavano a conoscere il proprio destino: cresciuti, sarebbero andati a lavorare al molo, curvi sotto il peso dei sacchi di cacao, oppure si sarebbero guadagnati da vivere chiusi nelle enormi fabbriche. Non si ribellavano però a questo destino poiché andava così da tanti anni: i ragazzi che abitavano nelle grandi e belle strade alberate diventavano medici, avvocati, ingegneri, commercianti: ricchi signori, insomma. Essi, invece, sarebbero andati a servirli. Per questo, c’era la collina con i suoi abitanti. Antonio Balduino, il negretto, comprese presto la sorte che lo aspettava dall’esempio quotidiano dei negri più grandi di lui. Come nelle case ricche c’era la tradizione dello zio, del padre o del nonno, ingegneri celebri, oratori brillanti, politici sagaci, così nella collina, dove vivevano tanti negri e tanti mulatti, c’era la tradizione a servire il padrone bianco e facoltoso. L’unica tradizione era questa. Infatti, l’altra, la tradizione della libertà delle foreste africane, era ormai dimenticata e pochi se ne ricordavano, e questi pochi erano inesorabilmente perseguitati e sterminati. Sulla collina, solo Jubiabá conosceva e conservava quella tradizione ; ma Antonio Balduino questo ancora non lo sapeva. Pochi, sulla collina, erano gli uomini liberi: solo Jubiabá e Zé Camarão. Ma ambedue subivano continue persecuzioni: il primo come stregone di Macumbas, il secondo come malvivente. Antonio Balduino imparò molto dalle storie eroiche ch’essi raccontavano al popolo della collina e dimenticò la tradizione di schiavitù della sua razza, della sua condizione. Decise, anzi, di porsi tra gli uomini liberi, tra quelli che più tardi sarebbero stati celebrati e cantati in qualche ABC o in qualche canto popolare: esempio agli uomini, negri, bianchi e mulatti, che cadevano in una schiavitù senza scampo. E fu sulla collina del Capa Negro che Antonio Balduino decise di entrare nella lotta. Tutto ciò che, più tardi, riuscì a realizzare, fu la conseguenza e il frutto dei racconti uditi nelle notti di luna, dinanzi alla porta di sua zia. Quei racconti, quelle canzoni erano stati composti per indicare e ricordare agli uomini la vita eroica di quelli che si erano ribellati. Ma non sempre gli uomini capivano il senso di tali storie o da troppo tempo erano oscurati e accecati dalla schiavitù. C’era, però, chi udiva e comprendeva. Antonio Balduino fu di quei pochi.

C’era, sulla collina, una donna che si chiamava Augusta das Rendas, cioè Augusta «dei merletti», che abitava vicino alla casa della vecchia Luisa. Le avevano messo quel soprannome perché passava la giornata a far merletti, che, poi, il sabato, vendeva in città. Quando alla gente sembrava che Augusta fermasse lo sguardo su qualcosa di determinato, i suoi occhi invece vagavano e si sperdevano nel cielo, in cerca di un oggetto invisibile. Era una delle più assidue frequentatrici della casa e dei riti di Jubiabá, e, sebbene non fosse una negra, godeva grande prestigio presso il santone. Augusta regalava spesso qualche soldo ad Antonio Balduino che li spendeva per comprare caramelle, oppure, in società con Zebedeu, un pacchetto di sigarette di cattiva qualità.

Correvano voci di ogni genere su Augusta, perché era arrivata un giorno sulla collina senza dire né da dove veniva né dove fosse diretta. Si era semplicemente fermata. Nessuno sapeva nulla di lei. Ma, quando osservarono il suo sguardo vagante e il suo sorriso triste, subito tutti si immaginarono infelicità

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amorose, storie, episodi e avventure tristi. Se qualcuno le domandava qualcosa sulla sua vita, Augusta diceva soltanto:

- La mia vita è un romanzo... Sarebbe tutta da scrivere...Quando vendeva merletti (e li misurava con un sistema piuttosto rudimentale: portando cioè il

merletto con la mano destra sotto il mento e distendendo il braccio sinistro) spesso si confondeva:- Uno... due... tre... - diventava nervosa e agitata, - venti e... Ma chi è che dice «venti»? Io sto ancora a

tre...Guardava la cliente e le diceva:- È lui che mi fa confondere, signora mia... Io faccio bene il mio conto e quello comincia a contare al

mio orecchio svelto svelto, da far paura. Lui è a «venti» quando io sto solo a «tre»... Non ce la posso proprio con quello là.

E supplicava:- Vattene, che li voglio vendere bene i miei merletti... Vattene...- Ma dite Augusta: con chi parlate?- Chi è?! E chi può essere? È quel malvagio che non mi lascia mai e mi perseguita. Neppure dopo

morto mi farà stare tranquilla.Altre volte lo spirito si voleva divertire: legava le gambe d'Augusta mentre questa si trovava in mezzo

alla strada. E là Augusta, con enorme pazienza, cominciava a togliersi i lacci che le stringevano le gambe.

- Che stai facendo, Augusta? - le chiedevano.- Non vedete? Sciolgo le corde che quel disgraziato mi ha legato intorno alle gambe perché io non

possa andare a vendere i miei merletti. Quello mi vorrebbe morta, morta di fame...E ricominciava a togliersi gli invisibili lacci. Ma se qualcuno le chiedeva chi fosse quello spirito,

Augusta non rispondeva, taceva. Continuava a guardare lontano e sorrideva col suo solito triste sorriso. Le donne dicevano:

- Augusta è un po’ tocca perché ha sofferto molto... Triste vita la sua...- Ma che cosa le è successo?- Chiudi il becco... Ognuno si deve fare gli affari suoi...

Augusta das Rendas fu la prima a incontrare il lupo mannaro, apparso d’improvviso sulla collina. Era una notte senza luna, l’oscurità aveva invaso i viottoli fangosi del colle e solo qualche rara casa era ancora illuminata dai primus. Notte tenebrosa, notte fatta per i ladri e per gli assassini. Augusta stava salendo l’erta quando giunse fino a lei dal bosco uno spaventoso muggito. Guardò e vide gli occhi di fuoco del lupo mannaro. Fino a quel momento non aveva mai creduto alle storie degli orchi e delle streghe. Ma ora, sì, aveva visto con i suoi stessi occhi. Lasciò cadere il cesto dei merletti, e fugg ì, senza mai riprendere fiato, sino alla casa di Luisa. Qui riferì la notizia, narrò l’accaduto con grandi gesti di spavento, con la voce ancora mozzata, gli occhi sbarrati, le gambe tremanti per la corsa.

- Beva un sorso d’acqua, - offrì Luisa. Augusta accettò riconoscente:- Questa va bene per far passare la paura...Antonio Balduino aveva udito il discorso e fu lesto a diffondere subito la notizia. Dopo qualche

minuto, tutta la collina era a conoscenza dell’apparizione del lupo mannaro. La notte seguente ben tre persone dissero d’aver incontrato il mostro: una cuoca che tornava dal lavoro, Ricardo lo zoccolaio e Zé Camarão, il quale lanciò un pugnale contro la bestiaccia che gli rispose con una gran risata e scomparve nella macchia. E ancora, nelle notti che vennero, gli abitanti della collina videro quel fantasma che rideva e subito si dileguava. Così la paura s’impadronì di tutta la collina: a sera, presto, le porte venivano sbarrate e nessuno usciva col buio. Zé Camarão propose che si organizzasse una spedizione per catturare il mostro; ma pochi se la sentirono. Tra questi, naturalmente, ci fu il negretto Antonio Balduino, che si sentì felice della proposta e corse subito a scegliere pietre appuntite per

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armare la sua fionda. Intanto, si moltiplicavano le voci sul lupo mannaro: Luisa ne scorse l’ombra una sera che era dovuta tornare più tardi del solito. Pedro aveva scoperto le orme del mostro. La collina visse giorni di grande inquietudine, e non si parlò d’altro che di quella presenza. Venne persino un giornalista che prese anche alcune fotografie. La sera stessa uscì sui giornali un trafiletto dove si diceva che non vi era nessun lupo mannaro e che tutto era frutto della fantasia degli abitanti della collina del Capa Negro. Lourenço, l’oste, comprò il giornale, ma nessuno credette a quello che vi si diceva, perché il lupo mannaro era stato visto e il lupo mannaro era sempre esistito da che mondo è mondo. I ragazzi commentavano la faccenda tra una corsa e l’altra, tra un gioco e l’altro:

- Mamma mi ha detto che è un bambino cattivo diventato lupo mannaro: un bambino che ha fatto molte birbonate.

- Proprio così. Gli crescono le unghie e poi diventa lupo mannaro in una notte di luna.Antonio Balduino fu preso dall’entusiasmo:- Perché non diventiamo tutti lupi mannari?- Diventa tu lupo mannaro, se vuoi andare diritto all’inferno...- Sei una bestia e un idiota...- Perché, allora, non lo diventi subito?- Certo che lo voglio diventare. Come si fa?Uno sapeva come andava la cosa e spiegò:- Devi lasciarti crescere le unghie e i capelli; non ti devi mai lavare; ogni notte, devi andare a fissare la

luna. Devi fare arrabbiare tua zia. Quando vai a vedere la luna bisogna che ti metti carponi, mani e piedi a terra...

- Quando starai a quattro zampe, chiamami che te lo metto in c...- Tutt’al contrario, bello mio: io ti ci metto pure il braccio... Tua madre è a casa: perché non glielo

metti a lei?...L’altro ragazzo si sentì toccato e si avvicinò minaccioso. Antonio Balduino disse:- Non mi sono piaciute le tue parole...- Allora piglia questo, - e il ragazzo tirò uno schiaffo al negretto.Rotolarono per terra: la ragazzaglia si fece attorno ai due. L’altro era più robusto di Antonio

Balduino, ma questi era il miglior allievo di Zé Camarão e ben presto riuscì ad atterrare l’avversario. La scazzottatura finì solo quando arrivò sul posto Lourenço, l’oste, che, lasciato il bancone, venne a dividerli:

- Si vede proprio che non hanno padre...Il ragazzo si ritirò da una parte, mentre Antonio Balduino, con gli indumenti tutti stracciati,

continuava a chiedere a quello che lo sapeva, come si diventava lupo mannaro:- Ma è proprio necessario camminare a quattro zampe?- Certo, per abituarsi...- E poi?- Dopo, a poco a poco, ti trasformi... ti ricopri di peli, cominci a calciare come un cavallo, a raspare

la terra con le unghie. E viene il giorno che ormai sei lupo mannaro. Allora fuggirai per la collina e farai paura a tutti...

Antonio Balduino si volse verso il ragazzo con cui aveva finito in quel momento di litigare, e lo minacciò:

- Quando sarò diventato lupo mannaro il primo che acchiapperò sarai proprio tu...S’avviò, ma quasi subito si fermò e tornò indietro per chiedere:- Ma per diventare un’altra volta uomo, come si fa?- Ah, questo poi, proprio non lo so...A sera, il ragazzo che aveva litigato con Antonio, gli si avvicinò e gli disse:- Senti Baldo, tu dovresti cominciare da Joaquim che ha detto che tu, al pallone, sei una scarpa.

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- Ha detto questo?- Ti giuro.- Lo giuri su Dio?- Su Dio.- Allora me la pagherà.L’altro, sollevato, diede a Baldo un mozzicone di sigaretta e fecero pace.Antonio Balduino tentò di trasformarsi in lupo mannaro. Fece disperare la vecchia Luisa, che lo

bastonò ben bene un paio di volte; si lasciò crescere le unghie; non si tagliò più i capelli. Nelle notti di luna andava dietro la casa e camminava su e giù, a quattro zampe: ma non succedeva niente. Aveva perduto ogni speranza e già cominciava a seccarsi per gli scherzi degli amici che gli chiedevano ogni giorno come mai non diventava lupo mannaro, quando gli balenò l’idea che evidentemente egli non doveva essere stato abbastanza cattivo da riuscire a tramutarsi in mostro. Decise, quindi, di fare una grande birbonata. La covava da diversi giorni, quando una sera vide Joana, una graziosa negretta, che giocava con le bambole. Aveva molte bambole Joana: gliele portava spesso Eleuterio: bambole di panno, pupazze negre e bianche alle quali dava i nomi delle persone che conosceva. Faceva vestitini alle bambole e passava la giornata a giocare sulla porta di casa. I battesimi e i matrimoni delle sue bambole erano occasione di feste tra i monelli della collina, che ancora ricordavano i festeggiamenti che Joana aveva organizzato per il battesimo di Iracema, una bambola di porcellana, regalatale dal padrino per il suo compleanno.

Antonio Balduino le si avvicinò: aveva già in mente un suo piano. La raggiunse con una voce pacata e dolce:

- Che c’è, Joana?- La mia bambola si è innamorata...- È davvero bella... Chi è l’innamorato?L’innamorato era un pulcinella dalle gambe storte.- Vuoi essere tu il prete?Antonio Balduino voleva mettere le mani sul pulcinella, ma Joana disse di no e cominciò a piangere.- Non toccarlo, se no lo dico a mamma... Vattene via...Antonio Balduino addolcì ancor più la voce, sorrise, abbassò gli occhi.- Lascia, Joana, lascia che lo prenda un momento...- No, tu lo vuoi rompere -. E strinse il burattino al petto.Antonio Balduino rimase smarrito come un ladro preso in flagrante. Come aveva potuto, Joana,

indovinare le sue intenzioni? Ebbe paura e decise di abbandonare il suo progetto.Ma Joana atteggiò ancora la boccuccia al pianto, le lacrime stavano già per uscirle dagli occhi ed egli

non resistette più: come un pazzo, alla cieca, si gettò sulle bambole e quante ne potè prendere ne ruppe. Joana, ferma, impietrita, continuò a piangere senza un grido: sgorgavano le lacrime, le scendevano sul viso, le entravano in bocca. Antonio Balduino, che fin allora aveva avuto pena per lei, vedendola così bella, divenne rabbioso: si avvicinò per godersi meglio il pianto. Avrebbe potuto fuggire e forse, se si fosse nascosto, avrebbe evitato le bastonate, poiché la vecchia Luisa, passato il primo bollore d’ira, lasciava andare, non picchiava più. Invece, rimase là, vicino alla bambina, a godersi, rabbioso, quel pianto sincero. Solo a spinte e botte fu possibile allontanarlo. E così fu trascinato a bastonate dal portone di Joana fino alla cucina di casa. Questa volta a Baldo non venne neppure in mente di sottrarsi alla punizione: aveva ancora davanti agli occhi il viso di Joana, le lacrime che sgorgavano, che le entravano in bocca. Venne legato al piede del tavolo e così, ben presto, finì ogni piacere. Allora, non sapendo che fare, si mise a uccidere formiche. Un vicino commentò:

- Piccolo birbone... Questo diventerà proprio un delinquente...

Non divenne lupo mannaro. E per poter recuperare il suo prestigio tra i monelli della collina,

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seriamente scosso a causa di questo insuccesso, Antonio Balduino dovette lottare con un paio di ragazzi e rompere la testa a un terzo. Intanto l’altro lupo mannaro era scomparso, dopo che Jubiabá, dal sommo della collina, accompagnato da quasi tutti gli abitanti del quartiere, aveva organizzato un grande rito in una notte di luna piena. Lo stregone aveva recitato le sue orazioni impugnando un ramo fronzuto, aveva ordinato al mostro di andarsene, aveva agitato il ramo in direzione del luogo in cui era stato visto e, da quel momento, lo spirito ritornò là di dov’era venuto e non turbò più la pace degli abitanti della collina del Capa Negro. Benché il lupo mannaro non si sia fatto più vedere, ancora oggi si parla di lui nei crocchi serali sulla collina.

Nessuno sapeva quanti anni avesse sulle spalle Jubiabá, che si era stabilito sulla collina molto prima di tutti gli altri: e fu lui che narrò la storia del lupo mannaro:

- È apparso già molte volte e molte volte io l’ho fatto scappare... Ma tornerà, deve tornare, finché non avrà scontato i delitti che ha commesso da queste parti. Deve tornare ancora parecchie volte...

- E chi è, padre Jubiabá?- Già, voi non lo sapete... Il lupo mannaro è un uomo bianco che era padrone di una fazenda. Questo

avvenne nei tempi passati, nei tempi della schiavitù. La sua fattoria stava proprio dove noi oggi abitiamo. Proprio qui. Voi non sapete perché la collina si chiama del Capa Negro, del «Castra-negro»? Già, non lo sapete... È perché su questa collina sorgeva la fattoria di quell'uomo: un uomo veramente cattivo. Voleva che i negri facessero figli con le negre per aumentare il numero dei suoi schiavi. Se un negro non riusciva ad avere figli lo faceva castrare... E ne castrò parecchi... Un bianco davvero cattivo... Per questo la collina è chiamata del Capa Negro, del «Castra-negro», e c’è un lupo mannaro che torna ogni tanto. Il lupo mannaro è l’uomo bianco. Che non è morto. Diventava sempre più cattivo, finché, una notte, si trasformò in lupo mannaro per ritrovare il posto della sua antica casa, qui sulla collina. E ancora vuole castrare negri...

- Dio ce ne guardi...- Che tenti di castrarmi e poi vedrà... - rise Zé Camarão...- I negri che ha castrato erano nostri nonni o bisnonni... Il bianco viene in cerca di noi perché crede

che ancora siamo suoi schiavi.- Ma i negri non sono più schiavi...- Il negro è ancora schiavo e anche il bianco è schiavo, - interruppe un tipo magro che lavorava al

porto, - ogni povero è ancora schiavo. La schiavitù non è ancora scomparsa...I negri, i mulatti, i bianchi chinarono il capo. Solo Antonio Balduino rimase a fronte alta: non si

sentiva schiavo, non voleva esserlo.

Il negretto Antonio Balduino non era molto ben visto sulla collina. Non che fosse peggiore degli altri. Con gli altri ragazzi si divertiva: insieme a loro giocava a pallone con una vescica di bue, si metteva a spiare le negre che andavano a pisciare sull’arenile oltre la Baixa dos Sapateiros, rubava frutta nei giardini, fumava sigarette a poco prezzo, diceva parolacce saporite. Ma non per questo era antipatico e odioso a tutti. Non andava a genio a nessuno, perché era lui che ideava tutte le ribalderie che avvenivano sulla collina, era lui che organizzava tutti gli scherzi feroci, le marachelle più assurde e inconfessabili.

Non era stata forse di Baldo l’idea che tutti i ragazzi della collina dovessero andare in blocco ad assistere alla Festa di Bonfim? Erano usciti tutti di casa alle tre del pomeriggio e alle tre della mattina non erano ancora ritornati. Le madri andavano tutte preoccupate di casa in casa, alcune piangevano; i padri, alla fine, uscirono a cercarli. Per i ragazzi, l’avventura era stata meravigliosa: avevano scorrazzato per la città in lungo e in largo, s’erano goduta la festa sino in fondo, avevano giocato tanto da non poterne più e si erano ricordati di tornare alla collina solo quando cadevano dal sonno. Avevano rubato i panieri ad alcune negre che vendevano dolci, avevano pizzicato le cosce a molte ragazze, e avevano litigato. Quando, alle prime luci del giorno, tornarono a casa, erano tutti spaventati per le botte che

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certamente li attendevano. E ognuno si affannava a dire ai genitori:- È stato Balduino a chiamarmi...La vecchia Luisa, invece, quella volta, non picchiò Antonio Balduino. Accarezzò la testa del nipote

dicendo:- Loro sono venuti solo perché tu hai voluto, non è vero, figlio mio?Anche Jubiabá aveva simpatia per Antonio Balduino. Parlava con lui come con un uomo fatto e il

negretto stringeva sempre più amicizia con lo stregone delle Macumbas. Baldo rispettava il vecchio perché egli sapeva tutto e risolveva tutte le questioni degli abitanti della collina. E anche perché guariva tutti i mali, faceva grandi fatture; ma soprattutto perché era libero: Jubiabá non aveva né padrone né orario di lavoro.

Grida di dolore, di qualcuno che chiedeva aiuto, infransero una volta, nel pieno della notte, il silenzio della collina. Le porte delle case si aprirono, uomini e donne uscirono sulla strada ancora intontiti dal sonno. Qualcosa era successo nella casa di Leopoldo. Di là si erano levate le grida, che si erano subito spente in deboli gemiti. La porta, fatta di grosse tavole di cassa, era aperta, il saliscendi spezzato: dentro, a terra, Leopoldo si dibatteva con due coltellate in petto. Intorno a lui il sangue aveva formato una pozza. Leopoldo si sollevò un po’ e ricadde subito per non muoversi più. Dalla bocca gli uscì un fiotto di sangue; qualcuno gli mise in mano una candela accesa. Tutti parlavano a bassa voce. Una donna cominciò a recitare le preghiere per i moribondi. La casa, a poco a poco, si riempì di gente. Era la prima volta che persone estranee mettevano piede in casa di Leopoldo, il quale non vi aveva mai fatto entrare nessuno. Aveva pochi conoscenti e nessun amico: da quando si era trasferito sulla collina, non aveva mai fatto visite. Salvo a casa di Jubiabá, dove era rimasto, una volta, parecchie ore. Nessuno seppe mai quello che Leopoldo aveva detto allo stregone. Lavorava da carpentiere e beveva molto. Quando andava a bere nell’osteria di Lourenço diventava ancor più accigliato e dava, senza alcun motivo, gran pugni sul bancone. Antonio Balduino lo temeva; e il suo timore aumentò quando lo vide morto, con due coltellate in petto. Non si seppe mai chi fu l’assassino. Ma l’anno appresso, un giorno che Balduino correva per la scesa, incontrò un uomo dalla faccia di malato, che indossava un paio di calzoni stracciati e un cappello bucato. Costui lo fermò e gli chiese:

- Ohi, ragazzo! Abita da queste parti un certo Leopoldo? Un negro alto, sempre serio...- C’è stato... Ma ora non c’è più, signore...- È andato via?- No. È morto...- Morto? E di che?- Una coltellata...- Assassinato?- Sì, signore.Antonio Balduino sbirciò quell’uomo:- Il signore era un parente di Leopoldo?- Mah! Qual’è la strada per andare in città?- Signore, ma non vuole andare lassù a sapere qualcos’altro? Mia zia può dirle... Le faccio vedere la

casa dove abitava Leopoldo, che ora è di Zeca...L’uomo trasse dai calzoni stracciati una monetina e la diede a Balduino.- Senti, ragazzo: se non fosse già morto, Leopoldo sarebbe morto oggi...E s’avviò per la discesa senza aspettare risposta. Antonio Balduino gli corse dietro:- Ma non vuol sapere la via per andare in città?L’uomo non gli prestò attenzione. Antonio Balduino ebbe tanta paura che non raccontò mai a

nessuno di questo incontro. E, in sogno, l’immagine dell’uomo dal cappello bucato gli tornò più volte davanti agli occhi. Quell’uomo aveva l’aspetto di uno che veniva da lontano ed era molto stanco.

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Antonio Balduino pensò che l’uomo dal cappello bucato doveva aver chiuso l’occhio della pietà.

Sulla collina, l’uno dopo l’altro, passarono così tre anni. Gli abitanti erano gli stessi, la vita la stessa. Tutto era uguale. Soltanto i dolori di testa della zia Luisa erano aumentati: erano diventati, ora, quasi giornalieri e si verificavano quando essa tornava dall’aver venduto la schiacciata di polenta e la farinata di mandioca. La negra gridava, faceva accorrere i vicini di casa; veniva pure Jubiabá e ogni volta impiegava più tempo a calmarla. La vecchia diventava bizzarra: usciva per la strada furiosa, urlando, e dando noia a tutti; picchiava Balduino per un nonnulla, e quando la crisi era passata andava dal nipote, se lo stringeva al collo, lo baciava e lo accarezzava, gli chiedeva perdono e piangeva.

Balduino rimaneva istupidito, non capiva più nulla; trovava incomprensibili tanto le furie quanto le dolcezze improvvise della zia. E mentre giocava, a volte, si fermava per pensare alla zia e ai dolori di testa che la stavano pian piano uccidendo. Sentiva che tra poco l’avrebbe perduta, e quest’idea opprimeva il suo piccolo cuore, già così colmo di amore e di odio.

La sera era stata piena d’ombre, carica di nere nuvole. Con la notte, sopravvenne un vento forte, pesante, duro, che stringeva gli uomini alla gola e sibilava tra i vicoli. Finché le luci non si accesero, il vento dominò la città, corse con i monelli lungo le discese del colle, andò a visitare le donne dei vicoli Beco das Flores e Beco de Maria Paz, sollevò nuvole di polvere, invase le case e ruppe le brocche d’acqua. Quando le luci si accesero, cadde una pioggia violenta, un temporale come da tempo non si vedeva. I primus si spegnevano, non si udiva più nessuna voce nelle case. La collina si chiuse nelle baracche. Luisa si preparava a uscire. Antonio Balduino ammazzava formiche in un angolo della casa. La zia chiese:

- Aiutami, Balduino.Il ragazzo aiutò la zia a caricare una piastra sul paniere, che Luisa alzò e posò sulla testa. Passò la

mano sul viso di Antonio e si diresse verso la porta. Prima d’aprire il catenaccio, d’improvviso, gettò il paniere a terra, con un gesto di rabbia, e gridò:

- Non vado, non vado più.Antonio Balduino rimase muto dallo spavento. Luisa sghignazzò:- Ah! ah! non vado più, non vado più. Ah! ah!- Che c’è, zia?La schiacciata di polenta cadde sui mattoni del pavimento. Luisa parve calmarsi; e, invece di

rispondere, cominciò a raccontare una storia molto complessa di una donna che aveva tre figli, uno falegname, un altro muratore e il terzo stivatore. La donna, poi, si faceva monaca e Luisa passava a narrare la storia dei tre figli. Ma il racconto non si reggeva in piedi. Ciò nonostante, Antonio Balduino, una volta, non potè fare a meno di ridere. Fu quando il falegname domandava al diavolo:

- Dove le hai prese le corna?E il diavolo rispondeva:- Le ho prese a tuo padre...Fu allora che Luisa, nel punto migliore del suo racconto imbrogliato, guardò il paniere delle

schiacciate, trasalì e si mise a canticchiare:

Io non esco più...mai più...mai più...

In quel momento, Antonio Balduino provò di nuovo una gran paura e si azzardò a chiedere alla zia se avesse il solito dolore di testa. La zia lo guardò con degli occhi così strani che Antonio Balduino indietreggiò e si rifugiò dietro il tavolo.

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- Chi sei? Vuoi forse rubare la mia schiacciata, ragazzino? Ora t’insegno io!Rincorse Balduino, il quale fuggì sulla strada e non si fermò che alla casa di Jubiabá. La porta era

appena accostata, Baldo la spinse ed entrò. Jubiabá stava leggendo, in quel momento, un vecchio libro:- Che c’è, Baldo?- Padre Jubiabá... Padre Jubiabá...Non riusciva nemmeno a parlare. Poi sospirò e cominciò a lacrimare.- Che c’è, figliolo mio?...- Zia Luisa ha un attacco.Il temporale sibilava, là fuori. La pioggia cadeva a grandi gocce. Ma Balduino non sentiva nulla,

sentiva solo la voce della zia che gli domandava chi era, vedeva solo i suoi occhi strani, quegli occhi che non aveva visto mai a nessuno... Jubiabá e Antonio uscirono e corsero, sotto il temporale, sotto la pioggia, con il vento. Correvano silenziosi.

Quando arrivarono, la casa era già affollata di gente. Una donna diceva ad Augusta das Rendas:- Questo solo perché metteva sulla testa quelle piastre bollenti... Io so di una donna che anche lei è

impazzita per la stessa ragione...Antonio Balduino ricominciò a piangere. Augusta non era del parere di quella donna:- Non è così, comare. Dentro di lei c’è uno spirito maligno, e di quelli grossi. Vedrete come Jubiabá

risolve tutto in un istante.Luisa cantava a voce alta, scoppiava in grandi risate e intratteneva Zé Camarão, il quale assentiva a

tutto quello che diceva la donna. Jubiabá si avvicinò e cominciò a fare scongiuri davanti a Luisa. Portarono Antonio Balduino in casa di Augusta. Ma egli non dormì e, in mezzo al temporale, al fragore del vento e della pioggia, udiva le grida e le risate di sua zia. E singhiozzava forte.

Il giorno seguente arrivò il carrozzone dell’ospizio: due uomini presero la vecchia e la portarono via. Antonio Balduino si afferrò a lei: non voleva che la conducessero all’ospizio. Cercava di spiegare:

- Non è niente, non è niente. È soltanto dolore di testa. La curerà padre Jubiabá... Non portatela via...

Luisa canticchiava, indifferente a tutto. Antonio morse la mano all’infermiere e allentò la stretta solo quando lo trascinarono a forza nella casa di Augusta. In quei giorni, tutti furono molto buoni con lui: Zé Camarão venne a chiacchierare con lui di chitarre e di lotte, Lourenço, l’oste, gli regalò delle caramelle, Augusta gli diceva sempre «poverino, poverino». Venne anche Jubiabá che gli appese al collo un amuleto e gli disse:

- Questo perché tu sia forte e coraggioso... Io ti voglio bene.

Rimase alcuni giorni in casa di Augusta. Una mattina, però, essa lo vesti dei panni migliori e uscì con lui, tenendolo per mano. Antonio le domandò dove fossero diretti.

- Tu andrai adesso ad abitare in una bella casa. Andrai ad abitare dal consigliere Pereira. Sarà lui che si prenderà cura di te...

Antonio Balduino non disse nulla, ma pensò subito alla fuga. Quando furono vicino alla discesa della collina incontrarono Jubiabá: Antonio Balduino baciò la mano dello stregone, che gli disse:

- Quando sarai grande ritorna su da noi. Quando sarai uomo.I ragazzini della collina si erano fermati tutti sulla strada, osservando la scena. Balduino salutò con

tristezza. S’incamminarono.Da laggiù vedeva ancora la figura di Jubiabá seduto su un dirupo del colle: il suo camiciotto agitato

dal vento, le foglie d’erba in mano.

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Via Zumbi dos Palmares.

Una vecchia strada dalle case luride e dalle facciate di un colore indefinito: una via lunga e dritta, senza curve.

I gradini davanti alle case tutti diseguali: alcuni alti, altri bassi, alcuni spinti fino al centro della strada, altri timorosi di allontanarsi dalla porta. Una viuzza pavimentata alla peggio: coperta di pietre non squadrate a dovere, fitta di ciuffi d’erba.

Il silenzio e la tranquillità emanavano da ogni cosa. Venivano dal mare lontano, dai monti là dietro, dalle case buie, dalle stesse luci dei rari fanali, dalle stesse persone; scendevano dall’aria sulla gente, e la via e le creature ne erano avvolte. Sembrava che la notte giungesse prima a quella strada, via Zumbi dos Palmares, che al resto della città.

Neppure il mare, che laggiù lontano si rompeva sugli scogli, turbava il sonno della via, che, come una vecchia zitella, pareva aspettare il fidanzato partito verso remote città e sperdutosi nella folla degli uomini frettolosi e indaffarati. Via triste, strada senza vita. Senza vita per quella calma pesante che sembrava un’agonia. E un’agonia erano tutte le cose là intorno: le case, la collina, le luci. Il silenzio era impenetrabile e duro: faceva soffrire, faceva male. Via Zumbi dos Palmares moriva, agonizzava.

Quant’erano vecchie le case, quant’erano smossi i ciottoli!Vecchia, quella via, come la negra veneranda che abitava la casa più sporca: una negra che regalava,

con una carezza materna, denaro ai ragazzetti perché ci comprassero dolci di cocco e passava la giornata fumando una pipa di terracotta e bisbigliando parole che nessuno capiva.

La strada s’invecchiava, diveniva decrepita: le case, tra breve, sarebbero tutte crollate. Il silenzio era di morte: scendeva dal colle, saliva dalle pietre.

Via Zumbi dos Palmares moriva, agonizzava! Una volta una coppia di fidanzati si era recata laggiù per vedere una casa da abitare, una casa confortevole e tranquilla. Ma la fidanzata aveva subito esclamato:

- No, no. Qui non ci vengo. Pare un cimitero...La strada si apriva con due palazzine l’una di fronte all’altra. Il resto era costituito da casette basse,

scure, e da uno o due altri edifici più grandicelli dalla facciata già stinta, nei quali abitava un esercito di operai, di poveri lavoratori.

Le due prime case d’angolo, benché vecchie decrepite, erano tuttavia graziose e vaste. Quella di destra era occupata da una famiglia, che aveva avuto un fortissimo dispiacere: la perdita di un figlio, morto assassinato. La gente che l’abitava viveva completamente appartata: nessuno compariva mai alle finestre, eternamente chiuse, e tutti portavano il lutto stretto. Se, per caso, si apriva una finestra, si poteva vedere nel salotto l’enorme ritratto di un giovane biondo, in divisa da tenente: aveva un sorriso sfrontato sulle labbra sottili e un fiore nella mano bianca. Nella palazzina c’era una piccola veranda, dove una fanciulla bionda, vestita a lutto, leggeva un libro con la copertina gialla, e da lassù lanciava monete ad Antonio Balduino.

Ogni pomeriggio, un bel giovane passeggiava sotto la casa, percorrendo tutta la via. Fischiettava dolcemente sino a che la ragazza non si accorgeva di lui. Allora, ella si alzava e andava ad appoggiarsi alla ringhiera del balcone, da dove osservava la scena sorridendo. Il giovanotto elegante passava là sotto più volte, salutava, sorrideva, e, prima di andarsene, si toglieva il garofano che portava all’occhiello, e dopo averlo baciato lo gettava sulla veranda. La ragazza lo afferrava con un gesto rapido, un sorriso sulle labbra, il viso nascosto dall’altra mano. Riponeva il garofano rosso nel suo libro di versi e accennava un piccolo gesto di saluto. Il giovane se ne andava, per farsi rivedere il giorno dopo. Essa gettava una moneta di nichel al negretto, che si trovava là sotto e che era l’unico testimone di quell’amore.

L’altra palazzina, di fronte, era abitata dal commendatore Pereira. Diverse oche andavano su e giù

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per il giardino fiorito, e, nel viale di fianco alla casa, crescevano alti manghi.Il commendatore aveva acquistato la palazzina a buon prezzo, nei tempi migliori: «un vero affare»,

come diceva ogni domenica dopo aver fatto un giro nel giardino, prima di andare ad appisolarsi sotto il pergolato. Si era stabilito là da molti anni, da quando aveva cominciato ad arricchirsi e forse gli piaceva quella vecchia casa, così grande, in quella strada senza movimento.

Antonio Balduino era rimasto quasi spaventato dalla grandezza di quell’edificio. Non aveva mai visto niente di simile. Sulla collina del Capa Negro, le case erano tutte piccole, fatte di fango pressato, con porte di legno di cassa, e tetti di lamiera: avevano appena due vani, la stanza dove si mangiava e quella dove si dormiva. Non era così, invece, la grande casa dove abitava il commendatore. Come era spaziosa, quante stanze aveva! Certe stanze restavano persino chiuse: una camera degli ospiti sempre pronta in attesa di visitatori che non arrivavano mai; saloni immensi, una bella cucina, e gabinetti che erano ben più comodi d’una qualsiasi casa della collina.

Quando Augusta das Rendas arrivò con il negretto, - tutti e due stanchi per la lunga camminata, dalla collina fino a via Zumbi dos Palmares, - in casa del commendatore stavano a tavola, facevano colazione. Profumati erano i cibi, conditi alla maniera portoghese. Il commendatore Pereira, in maniche di camicia, presiedeva a quella festa famigliare che era il pranzo. Quando entrò Augusta, tenendo per mano il negretto, Antonio Balduino alzò gli occhi e vide subito Lindinalva.

A capotavola sedeva il commendatore, un portoghese con dei gran baffi e ottimo buongustaio. Al suo lato, stava la moglie, grassa quanto lui. Lindinalva sedeva a destra della madre, magrissima e lentigginosa, i capelli rossi e la bocca piccola; e faceva uno strano, buffo contrasto con le altre due figure. Ma ad Antonio Balduino, abituato alle negrette sudice della collina, Lindinalva parve una figura di quelle cartoline che Lourenço distribuiva ai clienti per Natale.

Lindinalva era solo di poco più alta del negretto, sebbene avesse tre anni più di lui. Antonio Balduino abbassò gli occhi e si fermò a fissare il pavimento variopinto, pieno di disegni complicati.

Donna Maria, la signora, disse subito:- Si accomodi, Augusta.- No, grazie, donna Maria.- Ha già pranzato?- Ancora no...- Allora venga...- No. Dopo vado a mangiare in cucina... - Augusta sapeva qual era il suo posto e si rendeva conto

che l’invito era solo un atto di gentilezza.Appena il commendatore ebbe finito di masticare il cibo che aveva in bocca, posò la forchetta

sull’orlo del piatto vuoto e gridò verso le ultime stanze della casa:- Porta il dolce, Amelia!Mentre aspettava, si volse ad Augusta:- Allora, Augusta?- Ho portato il ragazzo di cui le ho parlato l’altro giorno, signore...Il commendatore, la moglie e la figlia guardarono Antonio Balduino.- Ah! È lui? Vieni qua, ragazzino... - chiamò il commendatore.Antonio Balduino si avvicinò, timoroso, già pensando come poter sfuggire dalle mani grasse di

quell’uomo. Ma il commendatore non voleva fargli del male. Gli chiese:- Come ti chiami?- Antonio Balduino...- Un nome troppo lungo. D’ora innanzi, ti chiameremo Baldo.- Così mi chiamavano anche sulla collina...Augusta disse al commendatore:

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- Il signore è sempre del parere di allevarlo?- Sì.- È una grande carità questa... Il poverino non ha né padre né madre. Aveva soltanto una zia, ma è

diventata pazza, disgraziata.- Come mai?- Credo che le fosse entrato in corpo uno spirito maligno... E anche uno di quelli peggiori. Uno di

quelli che non se ne vanno via subito. Io me ne intendo bene di queste cose...Antonio Balduino stava per scoppiare in pianto. Il commendatore gli accarezzò la testa e gli disse:- Non aver paura, qui nessuno ti vuol mangiare.Donna Maria chiese ad Augusta:- Tanto per parlare di spiriti: come va il suo?- Ah! Donna Maria, non me ne parli. Non mi lascia più tregua... sempre peggio. Ora ha preso

l’abitudine di ubriacarsi e viene a buttarsi sopra le mie spalle. È un peso così forte che non ce la faccio più a sopportarlo. Sono già così stanca.

- Perché non frequenta qualche rito?- Certo che ci vado! Ogni sabato son là. Padre Jubiabá lo caccia via, ma quello ritorna. È stato

sempre così testardo...- Ma qui ci vuole la Macumba! Bisogna frequentare un rito di quelli veri. Alla salita Ladeira de São

Miguel ce n’è una molto buona.- No, donna Maria. Se non lo scaccia padre Jubiabá, chi vuole che lo scacci? E poi non m’importa

molto. Solo che mi dà molto fastidio. E adesso si ubriaca pure. Non vede?Io sto qui ma sono così stanca che lei, signora, non se lo può nemmeno immaginare. S’è piantato qui

sulla mia nuca e mi opprime, mi pesa tanto...Si volse al commendatore:- Dio la ricompensi, signor commendatore, per la carità che fa a questo ragazzo... Dio la ripaghi

dando tanta salute a tutti voi...- Grazie, signora Augusta. Ora porti il bambino di là e dica ad Amelia di dargli da mangiare.E subito il commendatore si gettò sul dolce. Donna Maria aggiunse:- Anche lei, Augusta, prenda qualcosa...

Amelia, in cucina, mise loro davanti due bei piatti ricolmi. Cominciarono a mangiare, mentre Augusta raccontava, commossa, la storia di Antonio Balduino. La cuoca si asciugava le lacrime col grembiule e Baldo, sentendo parlare della pazzia della zia Luisa, smise di mangiare e cominciò a piangere.

Dopo aver venduto i suoi merletti, Augusta si accomiatò da Antonio Balduino:- Ogni tanto verrò a trovarti.Soltanto allora, il negretto capì di aver perduto la collina, di essere stato strappato dal luogo dove era

nato e cresciuto, dove aveva imparato tante cose, e di essere stato costretto ad andare, lui, il più libero dei monelli della collina, nella casa di un signore.

Ma questa volta non pianse. Cominciò, invece, a studiare la casa, meditando la fuga.

Ma appena Lindinalva venne a chiamarlo per giocare, Antonio dimenticò anche il suo proposito di fuga. Costruì una casetta per il gatto d’angora, grande passione di Lindinalva, corse con lei per il cortile, con lei si mise a saltare, e salì sull’albero più alto di goiabeira9 per cogliere i frutti che piacevano a lei. Da quel giorno furono subito amici.

Poi vennero momenti meno piacevoli. Fu picchiato dalla cuoca che l’aveva sorpreso a fumare. Si

9 Goiabeira: Albero delle goiabas, sorta di frutta tropicali.

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ribellò: dalla zia non gli importava di prenderle, ma dalla cuoca non era proprio disposto ad accettare bastonate. Anche quando diceva delle parolacce - e questo avveniva spesso - Amelia gli chiudeva la bocca con un ceffone. Baldo prese in odio quella portoghese dai capelli pettinati in maniera tanto complicata (si faceva due trecce che poi si guardava lungamente allo specchio): quando lei gli voltava le spalle Antonio le faceva sempre le boccacce.

Il commendatore, invece, lo trattava bene. Lo mandò persino alla scuola pubblica a Largo de Nazaré. Era una scuola tenuta da una maestra bisbetica che aveva la bacchetta sempre pronta in mano. Antonio Balduino divenne subito l’organizzatore di tutte le mascalzonate che gli alunni della scuola fecero quell’anno. Presto venne espulso come elemento incorreggibile. Amelia disse un giorno a donna Maria:

- I negri sono una razza che sta bene solo in schiavitù.I negri non sono nati per lo studio, per sapere le cose.Ma Antonio Balduino ne sapeva già abbastanza. Era già in grado di leggere correttamente l'ABC di

un celebre brigante e i delitti che riportava il giornale. E quando erano in buona, Baldo, la sera, leggeva ad Amelia, sui giornali, le cronache dei delitti che erano stati commessi nel mondo.

Trascorreva così la vita Antonio Balduino: tra i giochi con Lindinalva - che ammirava ogni giorno di più - e le liti con Amelia, la quale andava spesso a protestare con donna Maria per le «mascalzonate di quel sudicio negro», e che, di nascosto, gli somministrava bastonate feroci.

Per mezzo di Augusta, che ogni mese veniva a vendere i suoi merletti a donna Maria, Antonio aveva notizie della collina. Sentiva, allora, una grande nostalgia per la vita libera nelle strade del colle e tornava a pensare alla fuga.

Una domenica, Jubiabá si presentò in casa del commendatore. Parlarono a lungo nel salotto e poi ordinarono ad Antonio Balduino d’indossare il vestito della festa.

Antonio uscì con Jubiabá: presero un tram e il negretto potè rivedere la città e respirare a pieni polmoni l’aria delle strade, la libertà momentanea. Non pensava nemmeno di chiedere a Jubiabá dove fossero diretti. Anche Antonio aveva piena fiducia del santone, che quella domenica indossava un vecchio frac e un ridicolo cappello. Scesero dal tram, entrarono in una via larga e spaziosa e imboccarono un grande portone custodito da un portiere in uniforme. Antonio Balduino credette che l’avrebbero fatto diventare soldato e gli venne da ridere. Gli sarebbe piaciuto fare il soldato, indossare la divisa, andare in giro con le mulatte nei giardini pubblici. Ma ben presto si accorse d’essersi sbagliato: non vide soldati nel cortile del grande caseggiato grigio, con tante finestre, chiuse dall’inferriata come una prigione. Scorse uomini e donne, vestiti tutti di una identica casacca, che passeggiavano con aria assente e istupidita, alcuni parlando da soli, altri tracciando grandi gesti nell’aria. Jubiabá lo condusse davanti alla vecchia Luisa, la quale ripeteva sempre con voce stanca:

Io non esco più...mai più...mai più...

Antonio Balduino la riconobbe a stento. Era diventata magra e ossuta, gli occhi le uscivano fuori dal viso grinzoso e sciupato. Baciò la mano della vecchia, che lo guardò con aria indifferente.

- Zia, zia, sono Balduino...- Senti: i ragazzi mi vogliono rubare le mie schiacciate. Non sarai mica venuto anche te per

derubarmi? - E già cominciava a infuriarsi. Ma d’improvviso sorrise e riprese il suo ritornello:

Io non esco più...mai più...

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mai più...

Jubiabá lo riportò via. Balduino si fermò ancora ad osservare quel palazzo lugubre che pareva una prigione. Sul tram, Jubiabá gli chiese se ancora aveva l’amuleto che lui gli aveva regalato. Antonio Balduino si frugò intorno al collo e glielo mostrò.

- Bene, ragazzo mio. Conservalo sempre: ti porterà fortuna...Prima di scendere regalò due monete a Balduino.Antonio ritornò ancora una volta all’ospizio. Ci tornò con Jubiabá per seguire il funerale della

vecchia Luisa. Dietro al feretro, povero e nero, rivide quasi tutta la gente conosciuta sulla collina. Furono ancora una volta tutti affettuosi con lui e molti lo abbracciarono. Alcuni piangevano. Giunsero al cimitero, dove a Balduino fu consegnata una pala perché gettasse la prima palata di terra sul corpo della vecchia Luisa. Là rimase il corpo della vecchia; e soltanto Antonio Balduino conservò con amore il ricordo di lei nel suo piccolo cuore già tanto pieno di odio.

Fu al ritorno dal cimitero che Jubiabá, per distrarlo, raccontò ad Antonio la storia di Zumbi dos Palmares.

- Il nome di quella via è Zumbi dos Palmares, vero?- Sì.- Sai chi era Zumbi?- Io? No -. Balduino era triste, pensava più che mai alla fuga e, in principio, prestò poca attenzione

alla storia, nonostante fosse Jubiabá a raccontargliela:- È avvenuto molto, molto tempo fa... Al tempo della schiavitù. Zumbi dos Palmares era un negro,

uno schiavo.I negri, gli schiavi, venivano frustati. Anche Zumbi prendeva le frustate. Invece laggiù, nella sua

terra, non le pigliava. Perché, laggiù, i negri non erano schiavi, i negri erano liberi; i negri vivevano nella foresta, lavoravano e danzavano.

- E perché erano venuti in questo paese, allora? - Balduino già cominciava a interessarsi.- I bianchi andavano laggiù a prendere i negri. Ingannavano i negri che erano ingenui, che non

avevano mai visto un bianco e non potevano conoscere la loro cattiveria. Il bianco non aveva più l’occhio della pietà. Il bianco voleva solo denaro e prendeva il negro per farlo suo schiavo. Portava via il negro e lo trattava con lo scudiscio. Avvenne così anche a Zumbi dos Palmares. Ma Zumbi era un negro di valore: ne sapeva più d’ogni altro. Un giorno scappò, mise insieme una banda di negri e fu libero nella loro terra. Altri negri e indios si unirono a loro: sorse una città grande, tutta di negri. E i negri cominciarono a vendicarsi dei bianchi. Allora, i bianchi mandarono truppe per uccidere i negri fuggiti. Ma i soldati non ce la facevano con i negri. Per questo, venne aumentato il numero dei soldati. I negri tennero ancora duro.

Antonio Balduino aveva spalancato gli occhi e fremeva di entusiasmo.- Era un’infinità di soldati: un numero mille volte più forte di quello dei negri. Ma i negri non

volevano più essere schiavi; e quando Zumbi vide che sarebbero stati sconfitti, Zumbi, che non voleva più ridiventare proprietà dell’uomo bianco, si gettò da un alto monte. E tutti gli altri negri lo seguirono... Zumbi dos Palmares era un negro buono e valoroso. Se ce ne fossero stati, allora, altri venti come lui, il negro non sarebbe stato più schiavo...

Antonio Balduino, il giorno in cui morì la zia, trovò un amico che poteva sostituire il posto che occupava prima nel suo cuore la vecchia Luisa: si chiamava Zumbi dos Palmares. Questi fu, da quel momento, il suo eroe preferito.

Aveva pure i suoi momenti buoni la vita di Antonio Balduino, il quale era sempre perseguitato dalle prepotenze di Amelia. C’era, in primo luogo, Lindinalva, che giocava con lui. Antonio poteva passare

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ore e ore fermo a contemplare quel viso di santa. C’era, poi, il cinema, che fu per lui una vera rivelazione. Tuttavia, al contrario di tutti gli altri ragazzi, ai f ilm di cow-boys, egli prendeva sempre le parti dell'indio malvagio, contro il giovanotto bianco. Lo spirito di razza, di razza oppressa, Antonio l’aveva acquistato a forza di udire le storie che si raccontavano sulla collina, e ora lo conservava gelosamente. E a tenerglielo desto contribuiva la presenza di Zé Camarão, che veniva a insegnare a suonare la chitarra ad alcuni giovani che abitavano nel vecchio palazzo in fondo alla strada, e dava lezioni gratuite anche a Balduino.

Il lavoro, in casa del commendatore, non era eccessivo: Antonio serviva a tavola, lavava i piatti, andava al mercato, faceva le commissioni. Il commendatore pensava anche di portarlo a lavorare nella sua ditta:

- Voglio fare qualcosa per questo negro, - diceva.- Questo negro è in gamba, è un diavolo...Con le bastonate, Balduino aveva imparato a fingere. Fumava di nascosto, bestemmiava sottovoce,

mentiva sfacciatamente.Fu proprio quell’idea del commendatore, di voler migliorare la sorte di Antonio Balduino, dandogli

un lavoro nella sua ditta con un salario regolare e la possibilità d’imparare un mestiere, che costrinse il negretto alla fuga. Allora, Antonio Balduino aveva quindici anni, e già da tre anni era preso di mira dall’odio di Amelia.

L’occasione si presentò così. Quando il commendatore annunciò una domenica che dal prossimo mese Antonio Balduino avrebbe cominciato a lavorare nel magazzino, Amelia fu presa da un accesso di rabbia. La donna andava soggetta a vere e proprie crisi di gelosia: non riusciva cioè a comprendere perché i padroni volessero proteggere quel negro e farne un uomo come gli altri.

- I negri sono una razza cattiva, - si affannava a ripetere. - I negri non sono esseri umani...Cominciò a studiare un sistema che finisse per esasperare e rovinare il ragazzo. Un giorno vide che

Antonio Balduino, seduto sulla scala della cucina, osservava con occhi religiosi Lindinalva. La ragazza - aveva già diciotto anni - cuciva sulla veranda. Amelia diede ad Antonio un colpo sulla spalla:

- Ecco qui, negro svergognato! Fermo a guardarsi le gambe della signorina Lindinalva...In realtà, Balduino non guardava, non vedeva niente: ricordava solo i bei tempi in cui tutti e due, lui

e Lindinalva, erano più piccoli ed egli poteva giocare con lei nel cortile di casa. Ma si spaventò alle parole di Amelia, come se davvero stesse guardando le gambe della ragazza.

La cosa arrivò all’orecchio del commendatore. Tutti vi credettero. Persino Lindinalva, che non guardò più Antonio Balduino senza timore e un certo ribrezzo.

- Dunque, negro sfacciato che non sei altro, io ti allevo come un figlio, ti aiuto, e tu fai queste cose in casa mia...

Amelia aggiungeva:- Questo negro è corrotto, è vizioso da far paura a un cristiano. Quando la signorina Lindinalva

faceva il bagno, lui andava sempre a spiare dal buco della serratura...Lindinalva quasi ne pianse. Balduino avrebbe voluto dire che Amelia mentiva, ma poiché tutti

credevano a lei, non disse niente. Fu bastonato duramente: rimase steso a terra con il corpo tutto indolenzito. Ma non era solo il corpo che gli faceva male: gli doleva il cuore perché non avevano creduto alle sue parole. E siccome quelli erano gli unici bianchi che prima stimava, prese a odiare anche loro, e con loro tutti quelli della razza bianca.

Intanto, la notte, sognò Lindinalva. La vide nuda e si svegliò di soprassalto. Si ricordò degli atti viziosi dei ragazzi della collina e si sentì solo. Ma no, non fu solo. Dormì con Lindinalva, che gli sorrideva con quel suo viso da cartolina illustrata: per lui apriva le cosce bianche e a lui offriva i seni di fanciulla. Da allora, con quante donne andò poi a letto, Antonio Balduino gli parve sempre di stare con Lindinalva.

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All’alba, Antonio Balduino fuggì da via Zumbi dos Palmares.

Mendicante.

Antonio Balduino adesso era libero nella religiosa città di Bahia: «Bahia de Todos os Santos», Bahia di tutti i santi e del santone Jubiabá. Ora poteva vivere la grande avventura della libertà. Sua dimora era l’intera città; sua unica occupazione percorrere le sue strade, in lungo e in largo. Il figlio della collina dei poveri è diventato, oggi, il padrone della città.

Città religiosa, città coloniale, città negra: ecco Bahia. Chiese sontuose decorate in oro, case ornate di maioliche azzurre, vecchi casamenti dove abita la miseria, vie e vicoli lastricati di pietre, antiche fortezze, monumenti storici e il molo, specialmente il molo - tutto appartiene al negro Antonio Balduino. Lui solo è padrone della città, perché lui solo la conosce interamente: sa tutti i suoi segreti, ha scorrazzato per tutte le sue strade, si è trovato presente a tutte le baruffe, a tutti gli incidenti d’auto accaduti nella città. Antonio controlla la vita della città, della sua città: questo è il suo lavoro. Osserva ogni movimento, conosce ogni personaggio importante di Bahia, va alle feste dove si canta, riceve e imbarca i viaggiatori di tutte le navi. Sa il nome di tutti i pescatori ed è amico di tutti i marinai che approdano al Porto da Lenha. Mangia i cibi dei ristoranti più costosi, va sulle automobili più lussuose, abita nei più moderni grattacieli. E può cambiare casa e ristorante in qualsiasi momento. E, poiché è padrone della città, non paga né pranzo, né automobile, né alloggio.

Libero nella città vecchia dagli enormi palazzi, Antonio l’ha ormai dominata e ne è divenuto padrone. Gli uomini che passano questo certamente non lo sanno; non osservano nemmeno il negretto sporco e cencioso che fuma una cattiva sigaretta e porta il cappello calato sugli occhi. Le donne eleganti che gli dànno una moneta, si tengono a distanza per non insudiciarsi.

In realtà, il negro Antonio Balduino è l’imperatore della città negra di Bahia. Un imperatore di quindici anni, allegro e vagabondo. E forse lui stesso, Antonio Balduino, non sa di esserlo.

Porta il cappello sugli occhi e fuma sigarette di pessima qualità. Un paio di calzoni di lana nera, strappati e pieni di patacche, e un giaccone enorme, avuto in dono da qualcuno più alto di lui, che d’inverno gli fa da soprabito: questo è l’abbigliamento dell’imperatore della città. E quei negri che lo attorniano sono i suoi sudditi preferiti, la sua guardia d’onore. Una guardia senza una divisa propria, una guardia che veste di stracci, calza ciabatte trovate tra la spazzatura, ma sa lottare come nessun’altra guardia del corpo.

L’imperatore porta un grande amuleto legato intorno al collo. E tanto lui quanto i suoi negretti, tengono, nascosti nella cintola dei calzoni, coltelli, pugnali e lame a serramanico.

Antonio Balduino si avvicina:- La carità, signore... Per amor di Dio...L’uomo, un tipo grosso e pesante, squadra il negro dall’alto in basso, con gli occhi avari del

commerciante, si abbottona il cappotto, scuote il capo ironico:- Un ragazzone come te che chiede l’elemosina! Va’ a lavorare, vagabondo... Non ti vergogni? Va’ a

lavorare!Antonio Balduino prima si guarda attorno con occhi circospetti. La via è molto movimentata. Allora

dice:- Sono venuto da fuori, signore. Sono andato in giro per questa campagna benedetta che è tutta

arida, senza una goccia di pioggia. Sono qui, senza lavoro. Ma lo sto cercando. Vorrei qualche soldo per prendere un caffè... Il signore è un uomo per bene...

E osserva l’effetto del suo discorsetto. Ma l’uomo continua a camminare:

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- Sono abituato a queste bugie. Vattene a lavorare.- Lo giuro sul sole che ci dà luce che non sono bugie. Vengo da una canicola che spacca le pietre. Se

il signore avesse da darmi un lavoro io lo prenderei subito. Non ho paura di lavorare... Ma è da ieri che non mangio. Casco dalla fame. Il signore è un uomo per bene...

L’uomo ha un gesto di noia, mette la mano in tasca e gli lancia una moneta.- Non mi seccare più. Vattene!Ma il negretto non si stacca ancora da quell’individuo. Ha visto che il sigaro che ha in bocca è ormai

quasi a metà, e, si sa, Antonio Balduino va pazzo per una cicca di sigaro. L’uomo ripensa alle parole del negro: che sia vero ciò che tutti questi poveracci vanno dicendo per la città? L’uomo si vede davanti le facce irose di tutti quei mendicanti. D’improvviso viene assalito dalla paura, getta il sigaro lontano, si riabbottona il cappotto ed entra in un bar per bere qualcosa e per farsi coraggio. Antonio Balduino raccoglie la cicca e apre la mano per vedere quanto gli ha dato quel signore. Un pezzo d’argento da due milreis. Il negro lo lancia in aria, lo riprende al volo e se ne va per raggiungere gli altri, che stanno parlando di calcio.

- Indovinate quanto ho fatto, gente negra..- Cinquecento reis...Antonio Balduino ride a piena gola:- Un pezzo d’argento...- Due milreis?- C’è caduto come un fesso, - fa Antonio Balduino, con un gesto di disprezzo. - Il fatto è che io la so

cantare...Ridono tutti, ora, con risate limpide e sciolte. Gli uomini che passano vedono soltanto una banda di

ragazzi negri, bianchi e mulatti, che chiedono l’elemosina. Là, invece, c’è l’imperatore della città e la sua guardia d’onore.

Quando passava un gruppo di eleganti signore, vestite di seta, con il viso imbellettato, che lanciavano sorrisi da tutte le parti, Antonio Balduino fischiava in una certa maniera e la banda si riuniva al completo. I ragazzi si disponevano in fila. Il Gordo, detto così perché era proprio un grassone, andava, in questi casi, in testa a tutti: egli sapeva fare una voce triste da affamato e una faccia da perfetto idiota. Il Gordo si metteva una mano sul cuore, e, con aria compunta, si avvicinava al gruppo delle donne. Si fermava dinanzi a loro, sbarrando il passo a tutte; gli altri le circondavano e il Gordo canticchiava:

Fate la caritàa sette piccoli ciechi...Io sono il più grande,poi viene questo, il secondo,e gli altri stanno a casa.Papà è storpio,mamma malata,fate la caritàa sette orfanelli,tutti poveri ciechi...

Il Gordo, alla fine, quasi piangeva, commosso, gli occhi tristi come quelli di un piccolo cieco, con sei fratelli tutti ciechi, la madre malata, il padre storpio, poveri e senza cibo nella misera casa. Ma non smetteva la cantilena:

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Fate la caritàa sette piccoli ciechi...Io sono il più grande...

Indicava col dito il più vicino:

poi viene questo, il secondo...

Per concludere, stendeva le mani grasse, con un gesto che abbracciava l’intero gruppo, e belava piagnucoloso:

sette orfanelli,tutti poveri ciechi...

Il Gordo si avvicinava pesante e goffo e stendeva la mano sporca per ricevere l’elemosina che era quasi sempre abbondante. Le donne, infatti, davano sempre qualcosa: alcune per pietà verso quei figli della strada, che facevano pensare ai propri figli, felici nel calduccio di casa; alcune per liberarsi dall’assedio dei negretti sudici e laceri, che ai loro occhi erano quasi un’accusa. Solo le più coraggiose azzardavano, con aria scherzosa:

- Ma come mai... Sono sette e qui siete già più di dieci. Sono orfani e hanno un padre e una madre malata. Sono ciechi e vedono tutto. Come mai?

I negretti non rispondevano; stringevano ancora l’assedio e il Gordo riprendeva il monotono ritornello:

Fate la caritàa sette piccoli ciechi...

Nessuno riusciva a resistere. I ragazzi si accostavano sempre più: sicché i visetti sudici e scomposti dei monelli venivano a trovarsi vicini vicini ai visi delicati e dipinti delle eleganti signore. Ed era uno spavento quando tutti insieme aprivano la bocca, nel coro finale. Il Gordo era un vero maestro: insisteva nella cantilena. Le borsette si aprivano e l’elemosina cadeva nella mano che il Gordo staccava dal petto. I ragazzi aprivano il cerchio e il Gordo ringraziava:

- Signora, lei troverà un marito bellissimo; verrà da lontano, dal mare...Molte sorridevano, altre restavano tristi. Ma, intanto, nelle strade e nei vicoli angusti scoppiava la

risata libera e felice dei monelli. Poi, essi andavano a comprare le sigarette e a bere qualche bicchierino di acquavite.

Uno dei ragazzi, il più piccolo, era biondo. Forse non aveva ancora dieci anni. Un visetto rotondo da santo in processione, i capelli ricciuti, le mani magre, gli occhi azzurri. Si chiamava Filippo e fu soprannominato Filippo il Bello. Di lui si sapeva solo questo: che la madre faceva la vita nei bordelli della Rua de Baixo; era una francese anziana e si era innamorata, un giorno, di uno studente. Appena laureato, costui se n’era partito per l’Amazonia. Il figlio si era dato alla strada e la madre all’alcool.

Il giorno che Filippo entrò nella banda ci fu una gran rissa. Avvenne che, mentre dormivano stretti nel portone di un grattacielo, coricati su fogli di giornale, lo Sdentato volle calare i pantaloni a Filippo il Bello. Lo Sdentato era un mulatto forte, di diciassette anni. Sputava tra i denti rotti, con un rumore particolare, e lanciava la saliva dove voleva: questa era la sua grande specialità. Ebbene, lo Sdentato, da quella gran canaglia che era, afferrò tra le braccia Filippo e prese a strappargli i pantaloni. Filippo si divincolò e gridò. Gli altri si svegliarono. Antonio Balduino si fregò gli occhi e chiese:

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- Che casino state facendo?- Lui mi crede un pederasta. Ma io non lo sono, no, - Filippo stava per piangere.- Perché non lasci in pace il ragazzo?- Questo non è affare tuo. Io faccio quello che mi pare e piace. Mi sembra una bamboletta.- Bada, Sdentato, chi tocca il ragazzo deve fare i conti con me...- Tu vorresti beccartelo tutto te. Questo non è giusto.Antonio Balduino si volse agli altri che stavano lì, incerti:- Voi sapete che io non ho mai toccato nessuno. A me piacciono le donne. Se il ragazzo fosse un

pederasta, se lo meritava; ma, in questo caso, non sarebbe rimasto insieme a noi, ché tra noi non vogliamo gente di quel tipo... Il ragazzo è un uomo, nessuno lo toccherà.

- E se io, invece, volessi farci quello che mi pare e piace?Antonio Balduino sentì che i ragazzi erano tutti dalla sua parte:- Allora le prenderai.Balzò in piedi. Lo Sdentato fece lo stesso. Capì che seAntonio Balduino avesse vinto avrebbe capeggiato i ragazzi. Per un po’ si misurarono, si studiarono.- Dagli! - disse lo Sdentato.Antonio Balduino lo colpì duro. Lo Sdentato vacillò, ma non cadde. Si strinsero in un corpo a

corpo; gli altri si disposero a cerchio, attenti. Lo Sdentato stava sotto, ma riuscì a rialzarsi. Un pugno di Antonio Balduino lo gettò nuovamente a terra. Quando lo Sdentato fu nuovamente in piedi, avanzò con un coltello a serramanico aperto, che brillava nell’oscurità:

- Vigliacco! Non ti sai battere come un uomo...Lo Sdentato veniva avanti col suo coltello, ma Antonio Balduino aveva imparato le mosse di lotta

libera da Zé Camarão, là sulla collina del Capa Negro. Fece uno sgambetto: lo Sdentato finì a terra, il coltello volò lontano.

Antonio Balduino l’avvertì:- Provati un’altra volta a toccare il ragazzo. Userò anch’io il coltello...Lo Sdentato dormì, solo, in un portone. Filippo il Bello rimase definitivamente nella banda.La specialità di Filippo erano le vecchie. Quando ne vedeva arrivare una di lontano, si aggiustava il

nodo della cravatta logora che portava sempre, sputava la cicca, ficcava le mani nelle tasche rotte dei calzoni, nascondeva il coltello e si avvicinava con aria molto triste. Parlava a bassa voce:

- Buon giorno, signora. Sono un bambino abbandonato, senza padre né madre. Nessuno pensa a me... Ho fame. Ho tanta fame.

Cominciava a piangere. Aveva il dono speciale di saper piagnucolare in qualsiasi momento. Le lacrime cadevano copiose, singhiozzava forte:

- Ho fame... Mamma... La signora ha figli: abbia pietà... Mamma...Era anche più grazioso quando piangeva: il visetto tondo e bianco rigato di lacrime, le labbra

tremanti. Non c’era vecchia che non s’impietosisse:- Poverino. Così piccolo e già senza mamma.Gli facevano grosse elemosine. Tre volte lo portarono a vivere in case lussuose, presso ricche

signore. Ma Filippo amava la libertà delle strade e rimaneva fedele ai compagni, dai quali era tenuto in grande considerazione, perché rendeva moltissimo. Perfino lo Sdentato trattava con rispetto Filippo da quando egli aveva avvicinato qualche vecchia signora.

- C’è caduta come una pera cotta...La risata dei ragazzi scoppiava per le strade di Bahia, per le strette salite e per i vicoli della città di

«Bahia de Todos os Santos» e del santone Jubiabá.Il più strano di tutti quei ragazzi era Viriato, il Nano. Quel soprannome glielo avevano dato per la

sua statura: Viriato era più basso persino di Filippo, benché avesse tre anni più di lui. Tracagnotto com’era, aveva una forza prodigiosa per la sua età. Anche dopo aver fatto il bagno, dava un’impressione

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di sporcizia e di miseria. Quando la banda si formò, Viriato già da tempo mendicava per le vie della città. La sua testa piatta e schiacciata incuteva timore; e per aumentare quest’effetto Viriato camminava curvo, così che sembrava anche più basso e contorto. Era difficile strappargli una parola: quando gli altri ridevano a crepapelle, Viriato sorrideva appena.

Non seccava nessuno, né protestava mai quando la banda rendeva poco; si contentava del poco che aveva da mangiare e gli bastava fumare ogni tanto qualche cicca. Incontrava la simpatia di Antonio Balduino, che spesso chiedeva il suo parere e gli dava molta importanza.

Di giorno, Viriato il Nano stava raramente con la banda. Restava seduto in Rua Chi le, tutto rattrappito, curvo, la testa piatta nascosta nelle spalle. Senza dire una parola, tendeva il cappello ai passanti. Sembrava fosse tutt’uno con la porta dove s’accoccolava, come una statua orribile e tragica, un mostro della chiesa. Il guadagno della sua giornata era sempre abbondante. Verso sera raggiungeva la banda e consegnava ad Antonio Balduino quanto aveva raccolto durante il giorno. Dopo aver fatto i conti e aver ricevuto la propria parte, Viriato si metteva in un cantuccio e mangiava, fumava, dormiva. Stava con gli altri nelle loro scorrerie per le vie della città, nella caccia alle ragazzine sulla spiaggia, nelle feste, ma senza mai grande entusiasmo. Andava tanto per andare. Era l’unico, tra quei giovani mendicanti, che prendesse sul serio quel tipo di lavoro.

A sera, alla fine della giornata, Antonio Balduino si sedeva per terra, riuniva attorno a sé i ragazzi e raccoglieva il denaro guadagnato durante il giorno. Ognuno vuotava le tasche dei vecchi calzoni, tirava fuori le monetine di nichel e talora anche d’argento, e depositava tutto nelle mani del «capo».

- E tu, Gordo, quanto?Il Gordo contava il denaro:- Cinque milreis e ottocento...- E il Bello?Filippo porgeva con aria di superiorità il suo peculio:- Sedici milreis...Non era necessario richiamare all’appello Viriato:- Dodici milreis e cento...Gli altri arrivavano uno per uno. Il cappello di Balduino si riempiva di argento e di nichel. Per

ultimo, Balduino si frugava le tasche e aggiungeva il frutto del suo lavoro.- Ho fatto poco: sette milreis.Venivano infine i conti, e generalmente Balduino si serviva delle dita. Con l’aiuto di Viriato divideva:- Siamo in nove... Sei milreis e seicento a testa. - E chiedeva:- È giusto, ragazzi?Era giusto. Passavano, uno dopo l’altro, davanti a Balduino, il quale dava a ciascuno la sua parte.Poi andavano a mangiare, e dopo si spargevano per la città a caccia di avventure: chi in cerca di

mulatte da portare là sulla spiaggia, vicino al porto; chi entrando di straforo nelle feste dei poveri sulle colline della periferia; chi a bere acquavite nelle osterie della città bassa.

Un giorno, però, accadde qualcosa che era fuori dell’ordinario. Quando, a sera, Zé Casquinha, «l’allampanato», si avvicinò per versare il denaro raccolto nella giornata, aveva sulle labbra un sorriso strano, enigmatico. Antonio Balduino disse:

- Tre milreis...Il ragazzo sorrise:- Più questo...Gettò nel cappello di Antonio un anello con una gioia che brillava alla luce del lampione. Si trattava

di una grossa pietra, circondata da una dozzina di altre piccole pietre preziose. Antonio Balduino alzò gli occhi e disse:

- Tu, questo, l’hai rubato, di sicuro!

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- Ti giuro che non l’ho rubato... Una ragazza mi ha fatto l’elemosina e se n’è andata. Poi, d’improvviso, mi sono accorto che avevo in mano questo anello. Le sono corso appresso, ma non mi è più riuscito di scovarla...

- Tu ci racconti delle frottole, amico...I ragazzi osservavano, stupiti, la pietra, che si passavano da una mano all’altra. Nessuno badava alla

discussione sorta tra Balduino e Zé Casquinha.- Su, racconta com’è andata.- Non ho detto frottole, Baldo. È stato proprio come ti ho detto...- Le sei corso appresso, davvero?- Ecco, questo non è vero... Ma il resto è tutto vero, lo giuro...- Va bene. Ma, adesso, che ce ne facciamo?Filippo rise:- Dammelo: io so portarli, i gioielli...Tutti scoppiarono a ridere. Ma Antonio Balduino chiese ancora:- Che cosa ne vogliamo fare?Viriato, il Nano, mormorò:- Portiamolo al Monte. Danno parecchio.Filippo scherzò ancora:- Io mi faccio un vestito nuovo.- Basta che cerchi nella spazzatura...- Ma non si può portare al Monte, Viriato. Il gringo10 non crederà che l’anello sia roba nostra.

Chiamerà la polizia e finiremo tutti in prigione...- Proprio così.- Dammelo, che me lo metto io, - chiede ancora Filippo.- Piantala!- Credo che sia meglio, per ora, non pensarci. Poi, quando la padrona se ne sarà scordata, vedremo

che cosa potremo farne.Antonio Balduino legò l’anello all’amuleto che portava al collo.

Antonio Balduino si fece incontro all’uomo col soprabito da mezza stagione. Gli altri spiavano da dietro il primo cantone.

- Fate la carità, per amor di Dio...- Va’ a lavorare, canaglia...Ma questa volta la via era deserta; in quel vicolo non passava mai nessuno. L’uomo aveva fretta.

Portava un fiore rosso all’occhiello. Antonio Balduino si fece più vicino. Anche il gruppo venne avanti:- Mi dia qualcosa...- Una pedata ti do, brigante!Il gruppo gli sbarrò il passo:- Il signore è ricco. Ci può dare anche un pezzo d’argento.L’uomo dal soprabito tacque: il gruppo l’aveva preso in mezzo.La faccia di Antonio Balduino era molto vicina a quella del signore in soprabito. E il negretto aveva

una mano in tasca. Improvvisamente, apparve un coltello:- Su, fuori un biglietto!- Ladri, eh? - l’uomo ebbe il coraggio di pronunciare. - Si comincia così, da ragazzi, e si finisce

lontano...Antonio Balduino rise, minacciò con il coltello. Gli altri circondavano sempre di più il malcapitato.- Prendete, ladri!...

10 Gringo: Così vengono chiamati gli stranieri (specie gli italiani e gli spagnoli).

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- Bada che possiamo rincontrarti un giorno o l’altro...- Domani andrò ad avvertire la polizia...Ma i ragazzi erano abituati a quella minaccia e non s’impressionarono. Antonio Balduino intascò i

dieci milreis, ripose il coltello e il gruppo si disperse rapidamente nelle strade vicine. Si davano a rapine di questo genere quando era vicino il Carnevale, la Festa di Bonfim e le feste del Rio Vermelho.

Un giorno Rozendo si ammalò. Aveva la febbre alta, la notte delirava, non toccava cibo. La prima notte rideva:

- Non è niente, - diceva. - Non è niente. Passerà.Gli altri lo guardavano e ridevano con lui. Ma quando fu la seconda notte, Rozendo cominciò a

spaventarsi. Quando non delirava, si lamentava a bassa voce. E supplicava gli amici:- Io muoio. Chiamatemi la mamma... la mamma...Gli altri lo guardavano indecisi, inquieti, con un velo di tristezza negli occhi sempre allegri. Balduino

chiedeva:- Dove abita tua madre?- Mah... Quando sono fuggito, stava al Porto da Lenha.Ma poi deve aver cambiato casa... Cercala, Baldo. Cercala.- Te la vado subito a cercare, Rozendo.Viriato si occupava dell’ammalato. Gli faceva prendere strane medicine che lui solo conosceva.

Trovò, chissà dove, una coperta per coprire Rozendo lì nel portone dove egli giaceva. Raccontava al malato storielle allegre e divertenti, tanto più divertenti perché narrate da Viriato il Nano, che parlava raramente e non rideva mai.

Viriato gli chiese:- Ma come si chiama tua madre?- Ricardina. Vive con un carrettiere... È una negra grassa, ancora giovane, che si conserva bene.Il malato si agitava, parlando della madre:- Voglio la mamma, la voglio. Io muoio.- Lascia andare, che domani io e Baldo te la porteremo qui.Filippo piangeva e questa volta le sue lacrime erano sincere. Il Gordo pregava, mescolando insieme

diverse orazioni. Antonio Balduino toccava l’amuleto che aveva al collo.

La mattina dopo, Balduino rimase con Rozendo nell’angolo più buio del sottoscala. Pensava di chiamare Jubiabá appena sarebbe venuta la sera. Ma, a metà del pomeriggio, giunse Viriato il Nano con una negra grassa. Rozendo delirava e non la riconobbe. La donna lo strinse e lo sollevò tra le braccia. Insieme salirono in un’automobile. Balduino le chiese:

- Ha denaro, signora?- Poco, ma con l’aiuto di Dio...A questo punto, Antonio Balduino si ricordò dell’anello che portava al collo:- Noi diamo questo per Rozendo. Per il medico.Gli altri sgranavano gli occhi, ansiosi. La negra domandò:- L’avete rubato? Allora, siete dei ladri. Mio figlio stava in mezzo ai ladri...- L’abbiamo trovato per la strada.La negra prese l’anello. Antonio Balduino propose ancora:- Se vuole, le porto Jubiabá a casa sua, per curare Rozendo.- Puoi portare Jubiabá?- Certo che lo porterò: è mio amico...- Oh, sì, mio caro, portalo!Rozendo, nell’auto, gridava ancora che voleva la madre, che si sentiva morire.

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Antonio Balduino s’informò da Viriato:- Come hai fatto a trovarla?- È stato difficile: perché non vive più con il carrettiere. Ora sta con un falegname.Si fermò a guardare la via che si andava animando. D’improvviso disse a Balduino:- E se mi ammalo io? Io non ho né madre né padre, non ho nessuno...Antonio Balduino passò un braccio sulla spalla di Viriato, il Nano. Il Gordo tremava.

Jubiabá andò a curare Rozendo. Una mattina di sole, la banda di ragazzi si recò a far visita al compagno malato. Rozendo era seduto su una seggiola che gli aveva costruito il falegname, amico della madre. Risero molto insieme raccontandosi le avventure comuni. Rozendo disse che non voleva più andare a mendicare; ora stava per diventare un vero uomo e avrebbe lavorato da carpentiere nella bottega del futuro patrigno. Antonio Balduino sorrise. Viriato il Nano rimase tutto serio e pensieroso.

L’imperatore della città mangia nei migliori ristoranti, viaggia sulle automobili più lussuose, abita nei più moderni grattacieli. E sempre senza pagare un soldo. Poco dopo mezzogiorno va con il suo gruppo in un ristorante e dice qualcosa a un cameriere. Costui sa benissimo che non conviene litigare con quei ragazzi. E ad essi consegna, avvolti in un giornale, gli avanzi del pranzo. A volte, il cibo è abbondante anche per loro, tanto che spesso essi finiscono col gettare i resti nella spazzatura. Vecchi mendicanti mangiano gli avanzi degli avanzi.

Antonio Balduino si ferma ad aspettare che passi l’automobile che più gli garba. Infatti l’imperatore della città non viaggia su auto comuni. Quando vede una macchina proprio bella, salta sul portabagagli e percorre, così, interi quartieri. Se ne passa una migliore, Antonio Balduino lascia la prima e salta sulla seconda, continuando a passeggiare liberamente per la città che egli ha conquistato, ha fatto sua.

Antonio e la sua guardia d’onore dormono solo negli androni dei più moderni grattacieli: i portieri sanno che tutti quei monelli hanno nella tasca dei calzoni coltelli, pugnali e lame a serramanico.

Vanno là, quando non vogliono dormire sulla sabbia del porto, da dove si possono ammirare le enormi navi, le stelle del cielo e il verde misterioso del mare.

Ragazzo negro.

Il mare è la sua passione più antica. Già dall’alto della collina del Capa Negro lo guardava come un innamorato, e studiava le variazioni della sua superficie, che ora era azzurra, ora verde chiara, e poi subito verde scura: attirato dalla sua vastità e dal senso di mistero che gli ispiravano le grandi navi ferme a riposare nel porto, e i minuscoli pescherecci sballottati dalle onde. Dal mare il suo animo riceve sempre una impressione di pace, quale non gli sa offrire nemmeno la città. Eppure, Antonio Balduino si sente padrone della città; mentre nessuno è padrone del mare.

Di notte va a guardarlo da vicino. Quasi sempre, da solo. Si stende sulla sabbia bianca del piccolo porto dei pescherecci. Là sogna, là dorme i suoi sonni migliori di vagabondo. A volte, porta con sé tutta la banda: in questi casi, la loro mèta è il grande porto dove attraccano i transatlantici. I monelli vanno a vedere gli uomini che s’imbarcano di notte, con aria misteriosa, portando sotto il braccio panni e bagagli. Vanno a vedere gli uomini che lavorano a scaricare le navi: sono negri e paiono formiche sotto enormi fardelli; procedono curvi e affranti come se, al posto dei pesanti sacchi di cacao, portassero sulle spalle il proprio disgraziato destino. E le gru, simili a mostri giganteschi che sembrano prendersi gioco degli uomini, sollevano carichi incredibili che oscillano nel vuoto. Stridono, cigolano e gemono, spostandosi sulle rotaie: le comandano uomini in tuta, issati e appollaiati nei cervelli di quei giganti di ferro.

Anche altre volte Antonio Balduino al porto non si reca da solo, ma non in compagnia della banda

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dei ragazzi.Questo avviene quando porta con sé presso la riva del mare qualche negretta della sua età, o poco

più grande di lui, per dormire insieme, senza sognare, sulla spiaggia. Allora, non va ad ammirare né la pace dei pescherecci né il mistero dei transatlantici e delle gru. Cerca posticini, noti solo a lui o a pochi altri negri, da cui si può scorgere solo l’immensità verde del mare. Antonio Balduino è contento che il mare assista ai suoi amori, e sappia che lui, nonostante i suoi quindici anni, è già un uomo, è capace di possedere una ragazza lì sulla rena morbida come un letto.

Ma, solo o in compagnia, Antonio guarda sempre al mare come a una strada familiare, come alla «sua strada».

Dal mare è certo che giungerà a lui, un giorno, qualcosa che ignora, che però aspetta.Ma che cosa manca al negretto Antonio Balduino, il quale, a soli quindici anni, è già imperatore della

città negra di Bahia? Che cosa gli manca non lo sa lui e non lo sa nessuno. Certo, egli sente che qualcosa gli ci vuole, qualcosa per cui dovrà percorrere il mare, o che dovrà aspettare dal mare: dal ventre di un transatlantico, dalla stiva di una nave, o dal corpo di un naufrago.

Una sera, nel porto, gli uomini smisero di lavorare e corsero in riva al mare. La luna era così chiara e le stelle così scintillanti che a malapena si riusciva a vedere la luce della lanterna appesa fuori della bettola, che si chiamava appunto «lanterna degli affogati», Lanterna dos Afogados. Gli uomini trovarono sulla riva un cappotto vecchio e un cappello bucherellato. Alcuni negri si gettarono nell’acqua: ne uscirono trascinando un corpo inerte. Un vecchio negro, uno dei rari negri dai capelli tutti bianchi, si era gettato in mare. Antonio Balduino pensò che quel vecchio aveva imboccato la «sua strada», che anche lui andava al molo tutte le notti per questo. Uno scaricatore spiegò:

- È il vecchio Salustiano, disgraziato... Era senza lavoro da quando era andato via da qui, dai magazzini del porto.

Si guardò intorno, sputò con rabbia:- Avevano detto che non ce la faceva più a lavorare, che non aveva più forza... Adesso faceva la

fame, andava a radici. Disgraziato...Un altro aggiunse:- È sempre così: ci fanno crepare di fatica e poi ci sbattono via. Così uno non può fare altro che

buttarsi in mare...Era un mulatto magro che parlava. Un negro tarchiato disse:- Divorano la nostra povera carne e poi non vogliono nemmeno rosicchiarsi le ossa. Al tempo della

schiavitù, almeno, rosicchiavano anche le ossa...S’intese il richiamo di un fischietto e tutti gli uomini tornarono agli imbarchi della merce e alle gru.Ma prima di andarsene, qualcuno coprì col vecchio cappotto il volto del vecchio.Più tardi, vennero le donne e piansero a lungo.

I negri del porto smisero di lavorare anche in un’altra occasione. Questa volta, la notte era senza stelle e senza luna. La chitarra di un suonatore cieco, nella Lanterna dos Afogados, intonava i canti della schiavitù. Un uomo salì su una cassa e prese a parlare. Gli altri gli si raccolsero attorno: e in breve furono tutti lì. Quando arrivarono Antonio Balduino e il suo gruppo, l’uomo gridava ormai solo degli «evviva», ai quali la massa rispondeva con altri «evviva».

Anche Antonio Balduino e i suoi amici urlavano con forza:- Evviva!Antonio non sapeva, in verità, perché dovesse manifestare la propria approvazione, ma gli piaceva lo

stesso acclamare e gridare. E rideva anche, perché aveva voglia di ridere.L’uomo sopra la cassa, che aveva l’aspetto di un oriundo spagnolo, lanciò un pugno di manifestini,

che gli scaricatori si disputarono tra loro. Antonio Balduino afferrò uno dei foglietti e lo diede a un suo

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amico, lo scaricatore Antonio Caroço. In quel momento uno gridò:- La polizia!Arrivò la polizia e prese l’uomo che teneva il comizio. Costui parlava della miseria in cui era

costretto a vivere il popolo e prometteva una patria nuova dove tutti avrebbero potuto avere pane e lavoro. Per questo veniva arrestato; ma, poiché gli altri non comprendevano che solo per questo la polizia lo prendeva, protestarono:

- Non potete, non potete arrestarlo!Anche Antonio Balduino gridava «non potete arrestarlo!» E questa protesta era la cosa che più gli

piaceva. Ma, infine, portarono via quel piccoletto che aveva tenuto il comizio; tutti però avevano nascosto e tenuto i manifestini ch’egli aveva lanciati e chi non era riuscito ad averne se li faceva prestare dal compagno. S’alzarono pugni contro i poliziotti che si portavano via l’oratore. S’alzarono braccia nere e robuste: e quelle braccia robuste protese in alto, facevano pensare al gesto di chi vuole spezzare le catene. Dalla Lanterna dos Afogados veniva intanto la musica di alcuni canti di schiavitù.

Il fischietto trillava invano. Un uomo grasso, con un ombrello e una gran faccia rosea, gridava:- Canaglie!...

Forse dal mare, dal corpo di un suicida verrà ad Antonio Balduino l’indicazione della «sua strada» futura. Oppure, dall’arresto di un uomo che parla di pane e lavoro. Oppure, ancora, dal gesto di un gruppo di uomini che protestano contro la polizia.

Furono anni belli, anni liberi, quelli in cui Antonio e la sua banda dominarono la città, mendicando nelle strade, litigando nei vicoli, dormendo sulla riva del mare. La banda era compatta e i monelli forse avevano uno per l’altro una certa stima. Ma sapevano dimostrare questa stima solo dandosi dei pugni sulle spalle o scambiandosi parolacce, insulti, oscenità. Insultare con voce dolce, senza asprezza, la madre dell’amico, era il segno più grande d’affetto di cui ciascuno di quei negretti spensierati fosse capace.

Che fossero uniti e solidali, è certo. Quando uno litigava, tutti erano pronti a difenderlo, a sostenerlo; e tutto ciò che guadagnavano veniva fraternamente diviso tra tutti. Ciascuno aveva un certo amor proprio, e tutti tenevano all’onore della banda. Un giorno attaccarono un’altra banda di ragazzi che pure chiedevano l’elemosina in città.

Quando si seppe di quest’altra banda, capeggiata da un negretto sui dodici anni, Antonio Balduino cercò di stabilire con essa un contatto. Mandò al Terreiro, dove la banda aveva la sua centrale, un ambasciatore. Fu incaricato Filippo il Bello, che sapeva parlare. Ma il ragazzo non potè neppure avvicinarsi. Miseramente cacciato e fischiato, ritornò con gli occhi pieni di lacrime d’ira. Rifer ì tutto ad Antonio Balduino:

- Non sarà mica andata così perché ti sei messo a raccontare balle, a darti le arie, Bello?- Ma non sono nemmeno riuscito ad avvicinarmi. Hanno cominciato subito a insultare mia madre.

Giuro che a uno di quelli gli sfascio il muso una volta o l’altra...Antonio Balduino restò pensieroso:- Bisogna mandarci il Gordo.Lo Sdentato si offese:- Mandarci un altro? E perché? Dobbiamo andar subito là a spaccargli la faccia. Bisogna dargli una

lezione. Vengono a levarci il pane e vuoi far la pace con loro? Non avresti nemmeno dovuto mandare il Bello. Che vergogna per noi!... Andiamo subito laggiù a vendicarci...

Gli altri furono tutti dalla sua parte:- Lo Sdentato ha parlato giusto. Andiamo!Ma Antonio Balduino tagliò corto:- Nemmeno per sogno... Voglio mandare laggiù il Gordo. Può darsi che abbiano fame. Se si

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accontenteranno di restare nella sola zona della Baixa dos Sapateiros, io li lascerò in pace...Lo Sdentato rise:- Sembra che hai paura, Baldo...Antonio Balduino portò la mano al coltello, ma si dominò:- Non ti ricordi più, Sdentato, del giorno che ti prendemmo con noi? Eri con Cici, e crepavate di

fame nella Cidade de Palha... Se avessimo voluto, avremmo potuto fare la stessa cosa con voi. Invece non l’abbiamo fatto...

Lo Sdentato abbassò il capo e si mise a fischiettare. Non pensava più ai negri del Terreiro, e poco gli importava, in questo momento, se Antonio Balduino decidesse di battersi con loro o li lasciasse in pace. Pensava a quei suoi giorni di fame, a suo padre disoccupato, che si beveva nelle osterie tutto quello, che sua madre racimolava lavando i panni. Ricordava le bastonate prese il giorno che aveva voluto mettersi in mezzo, tra la vecchia e il padre, perché questi voleva strapparle il denaro a forza. Ricordava il pianto di sua madre, e il padre che ripeteva: «merda... merda...»

Poi, la fuga. Giorni e giorni di fame, per la città. L’incontro con Antonio Balduino e la banda. E la vita di dopo... Dove sarà finita sua madre? E suo padre avrà trovato lavoro? Quando lavorava non beveva né picchiava mai sua madre: era buono e portava perfino qualche regalo. Ma c’era poco lavoro in città e, appena disoccupato, il vecchio affogava le sue pene nei bicchieri di acquavite... Lo Sdentato pensò a tutto questo: sentì un nodo alla gola e provò un odio terribile verso il mondo e verso gli uomini.

Il Gordo partì per l’ambasciata, accompagnato dalle ironie di Filippo il Bello.- Se non ho combinato niente io, figurati cosa saprai fare tu...Viriato il Nano mormorò:- Parla chiaro, eh, Gordo! Non vogliamo litigare; ognuno vuole vivere per conto suo...Lo aspettarono nella via del Tesauro. Il Gordo si fece il segno della croce e s’incamminò verso il

Terreiro.Passò molto tempo e ancora non si vedeva. Viriato il Nano disse:- Questa faccenda non mi va...Il Bello rise:- Si sarà fermato a pregare in qualche chiesa...Cici sorridendo approvò quella battuta, ma tutti gli altri erano preoccupati, pensavano che forse era

successo qualcosa all’ambasciatore. Difatti gli era successo qualcosa. Il Gordo infine ritornò piangendo:- M’hanno preso e me ne hanno date tante. M’hanno strappato anche la medaglia del Santo, che

portavo qui, al collo.- E tu non hai reagito?- Loro sono una cinquantina, io ero solo...Il Gordo raccontò:- Quando sono arrivato là, ancora ridevano di come era scappato il Bello. Subito mi hanno accolto

con insulti, mi hanno chiamato porco. «Ecco il porco», così gridavano...- T’è andata bene... - interruppe Filippo. - Con me non facevano che insultare mia madre...- Ma io li ho lasciati dire. Mi sono avvicinato e ho cercato di parlare. Non mi hanno lasciato dir

niente. Mi hanno preso; era inutile che dicessi che volevamo stare in pace... Ecco come mi hanno ridotto. Sono più di una ventina.

- Bene. Se vogliono litigare, andiamo a menargli, e subito!Si alzarono e andarono, tutti allegri, i coltelli pronti, chiacchierando di un po’ di tutto.I ragazzi che avevano il loro quartier generale al Terreiro, per molto tempo, dopo la rissa, non si

fecero più vedere. Probabilmente si erano separati, si erano dati alla rapina isolata; ma una cosa è certa: che mai più apparvero riuniti in gruppo. Al ritorno dalla rissa, la banda di Antonio Balduino era

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trionfante, meno il Gordo che non era riuscito a ritrovare la medaglietta che gli aveva regalato padre Silvino.

Il Gordo era molto religioso.Fu per questo che il Gordo si segnò e rimase tutto tremante il giorno che Antonio Balduino vide

Lindinalva. Quel giorno, egli comprese tutto, e, sebbene non ne parlasse con Balduino, si sentì ancora più attaccato al negro.

Erano in Rua Chile quando videro arrivare una coppia. Si misero in fila, il Gordo in testa, e si avvicinarono ai due - probabilmente due innamorati. E una coppia d’innamorati frutta sempre una buona elemosina. Il Gordo portò le mani al petto e subito prese a canticchiare:

Fate la carità a sette piccoli ciechi...

Circondarono la coppia. Ma quando Antonio Balduino guardò in viso quei due, scopri che la donna era Lindinalva e il giovanotto un tipo con un anello rosso al dito.

Una musica jazz suonava dei blues in un caffè. Anche Lindinalva si accorse della presenza di Balduino e si strinse al petto del fidanzato con un gesto di timore e di disgusto. Il Gordo cantava; nessuno aveva notato la scena. Antonio Balduino gridò:

- Smettetela! Basta. Andiamo via!S’allontanò di corsa. Rimasero muti di stupore. Lindinalva era rimasta con gli occhi chiusi. Il giovane

le chiese:- Ma che cos’hai, cara?Lindinalva mentì:- Che cosa terribile, questi ragazzi.Il giovanotto rise, con aria di superiorità:- Sei troppo paurosa, cara.Lanciò una moneta ai ragazzi. Ma essi si erano ormai allontanati in cerca di Antonio Balduino, che si

nascondeva il viso tra le mani. Viriato il Nano chiese:- Cosa c’è, Baldo?- Niente. Conosco quella gente.Lo Sdentato tornò indietro, per raccogliere il denaro. Il Gordo aveva intuito ogni cosa: si fece il

segno della croce e restò per tutto il tempo accanto ad Antonio Balduino, a raccontargli le storie di Pedro Malazarte. Il Gordo conosceva molte storie e le sapeva anche narrare molto bene. Ma ogni racconto, per quanto allegro fosse, diventava triste nella bocca del Gordo che trovava sempre il modo di farci entrare angeli e diavoli. Eppure era molto vivace nel narrare: inventava particolari, esagerava e mentiva su tutto, e poi credeva alle esagerazioni e alle menzogne che egli stesso raccontava.

Vissero quell’esistenza libera e indipendente per due interi anni. Due anni di scorrerie per la città: sempre alle partite di calcio e agli incontri di pugilato, sempre in continue risse e lotte, spettatori assidui del Cinema Olimpia e ascoltatori attenti delle storielle narrate dal Gordo - e non si accorgevano che ormai stavano diventando grandi, erano ormai uomini, e la cantilena dei sette piccoli ciechi non si adattava più al loro aspetto di negri ormai forti, grandi, che possedevano ragazze mulatte là sulla spiaggia, che rubacchiavano qua e là, nella città religiosa di Bahia. Le elemosine cominciavano a essere poche e scarse; un giorno, furono arrestati come malandrini e fomentatori di disordini.

Un mulatto dal cappello di paglia, che portava sempre sotto il braccio delle carte, una spia, avvertì la polizia che li acchiappò tutti.

Prima li portarono al vicino posto di polizia, senza dire loro niente. Poi, furono condotti in un corridoio tenebroso, dove, da un abbaino, penetrava un filo sottile di sole. Lì udirono la voce dei

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carcerati che cantavano. Infine, giunsero i guardiani con i manganelli. Furono picchiati e percossi senza ragione e senza spiegazioni, dato che nessuno aveva rivolto ai ragazzi una sola parola. Questo fu il loro primo tatuaggio. Filippo il Bello rimase segnato in faccia. Il mulatto che li aveva denunziati rideva, lanciando boccate di fumo. I detenuti cantavano sempre, forse al piano di sotto o a quello di sopra: non si sapeva bene dove. Dicevano, nella loro canzone, che fuori c’era sole e libertà. Il manganello vibrava sulle spalle dei ragazzi. Lo Sdentato gridava e insultava tutti. Antonio Balduino tentava di dare calci, e Viriato il Nano si mordeva le labbra dalla rabbia. Il Gordo continuava a recitare le sue orazioni, ma le diceva ad alta voce:

- Padre nostro che sei nei cieli...I colpi fischiavano. E cessarono solo quando dal corpo dei ragazzi uscì il sangue. I detenuti

cantavano sempre la loro nenia triste.Passarono otto giorni in prigione, vennero schedati e infine messi in libertà. Era una mattina piena di

sole. Ripresero, così, le loro scorrerie per la città.

Ma quella vita durò poco. La banda venne man mano sciogliendosi. Il primo ad andarsene fu lo Sdentato, che entrò in un gruppo di borsaioli. Ogni tanto i nostri ragazzi l’incontravano. Lo vedevano passare con indosso pantaloni e cappotto, un paio di vecchie scarpe, un fazzoletto stretto attorno al collo; zufolava in sordina com’era sua abitudine. Anche Cici scomparve e non se ne seppe più niente. Jesuino andò a lavorare in una fabbrica, si sposò, ebbe un mucchio di figli. Zé Casquinha s’imbarcò come marinaio.

Filippo il Bello, invece, morì sotto un’automobile. Era una giornata molto luminosa e Filippo era più bello del solito. Anche la cicatrice che gli aveva segnato la faccia quella volta ch’erano stati arrestati, gli dava una certa aria spavalda: da avventuriero, da sbarazzino. Aveva trovato una cravatta nuova e festeggiava quel giorno il suo tredicesimo compleanno. Gli altri ridevano e scherzavano con lui. Ad un certo punto, sull’asfalto della strada, si vide brillare qualcosa, come un diamante. Balduino guardò e disse:

- Pare un brillante.Filippo il Bello subito si animò:- Lo vado a prendere e me lo metto al dito. Un regalo per la mia festa...Corse in mezzo alla strada. Viriato riuscì a gridare, per avvertirlo dell’auto che sopraggiungeva di

gran corsa. Filippo lo guardò ridendo, e fu il suo ultimo sorriso. Rimase schiacciato, stritolato, un povero mucchio di carne che gemeva. Morì col sorriso che aveva rivolto a Viriato, quasi ringraziandolo dell'avvertimento. Il viso non era stato toccato ed era bello, luminoso, un viso di principe. Il cadavere venne portato all’obitorio. Si presentò una donna imbellettata, già anziana, che diceva, tra le lacrime:

- Mon cheri... Mon cheri...E baciava il viso di Filippo il Bello. Ma egli non vedeva più niente e non sapeva che lì c’era proprio

sua madre. Non seppe neppure che la banda si trovò di nuovo riunita per il giorno del suo funerale. Arrivarono anche lo Sdentato e Jesuino e persino Cici giunse chissà da dove. Mancò soltanto Zé Casquinha che era marinaio e stava in mare. La madre di Filippo e le donne della Rua de Baixo portarono alcuni fiori. E i ragazzi lo vestirono di un abito di lana, comperato da un turco che vendeva vestiti usati.

Soltanto Viriato il Nano, che ogni giorno sembrava diventasse sempre più piccolo e più curvo, seguitò a chiedere l’elemosina. Gli altri si sparpagliarono per la città, facendo ciascuno qualcosa di diverso: operai nelle fabbriche, commessi e piccoli artigiani, scaricatori al porto. Il Gordo andò a vendere giornali, perché aveva una bella voce. Antonio Balduino tornò sulla collina del Capa Negro, a fare il malandrino in compagnia di Zé Camarão, sempre pronto a battersi nella lotta, a suonare la chitarra nelle feste, sempre presente alle Macumbas, ai riti di Jubiabá.

Andava al porto ogni sera e rimaneva là a lungo a cercare, ad aspettare dal mare un’indicazione sulla

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«sua strada», sulla strada che doveva imboccare.

La Lanterna dos Afogados.

Quando Antonio aveva comprato la Lanterna dos Afogados dalla vedova di un marinaio che l’aveva costruita molti anni addietro, la bettola aveva già quel nome e, sulla porta, già da allora ostentava quella insegna dipinta grossolanamente, che raffigurava una sirena mentre salvava un uomo in procinto di affogare. Il marinaio, che aveva messa su la bettola, era sbarcato un giorno da un mercantile e si era fermato lì, in quel vecchio stanzone fumoso della baracca coloniale.

La sua donna era una mulatta molto scura, la quale cucinava riso dolce per i clienti e la carne per i lavoratori del porto.

Nessuno sapeva perché il marinaio avesse dato alla bettola quel nome, Lanterna dos Afogados. Si sapeva solo che egli aveva fatto naufragio due o tre volte e aveva percorso il mondo intero. Prima di morire aveva sposato l’amante per farle ereditare il locale, ormai ben avviato. La donna l’aveva poi venduto ad Antonio, che da molto aveva adocchiato il negozio, attratto dalla sua magnifica posizione. Ad Antonio, però, non piaceva il nome della bettola: gli pareva strano, senza alcuna giustificazione. E dopo pochi giorni dall’acquisto, l’insegna venne sostituita. La nuova rappresentava, approssimativamente, una caravella dell’epoca delle scoperte portoghesi, e, sotto, portava il nome: Caffè Vasco da Gama.

Ma il fatto è che i clienti guardavano stupiti e quasi spaventati la nuova insegna della bettola e non entravano. Per via di quella targa lucida e di quella pulizia insolita che adesso c’era nel locale, non riconoscevano più il loro vecchio e sudicio luogo di riposo, dove erano soliti bere acquavite e chiacchierare nelle sere in cui si lavorava al porto.

Antonio era superstizioso. Il giorno seguente andò a cercare in cantina la vecchia targa, che tornò al posto di prima. L’altra, quella con la caravella, egli la conservò per quando avrebbe avuto un suo caffè al centro della città. Con la vecchia insegna della Lanterna dos Afogados, tornò anche la mulatta dalla pelle scura che era stata amante del marinaio, ed essa riprese a cucinare il riso dolce per i clienti, la carne per gli scaricatori e a dormire nello stesso letto di prima. La sola differenza era che adesso dormiva insieme a un portoghese chiacchierone e vivace anziché con un marinaio silenzioso e chiuso. Quando Antonio sarebbe riuscito a metter su un caffè al centro della città, con l’insegna della caravella e col nome Vasco da Gama, essa sarebbe rimasta nella Lanterna dos Afogados, cucinando riso dolce per i clienti, carne per gli scaricatori e dormendo nello stesso letto, ma con il nuovo proprietario.

I clienti tornarono alla Lanterna dos Afogados. Ripresero a discutervi marinai, vecchi navigatori e negri. I comandanti dei battelli parlavano delle fiere e dei mercati della baia dove avrebbero portato i loro carichi di frutta. Si suonava la chitarra, si cantavano sambas, si narravano storie terribili, da far rabbrividire, in quelle notti piene di stelle. E le prostitute scendevano dalla Ladeira do Taboão per venire alla Lanterna dos Afogados.

Antonio Balduino, Zé Camarão e il Gordo erano tra i più assidui della bettola. Anche Jubiabá, a volte, vi faceva le sue apparizioni.

Se nella lotta il negro Antonio Balduino era diventato il migliore allievo di Zé Camarão, nella chitarra presto superò il maestro e divenne altrettanto celebre.

Molte volte, quando percorreva le strade della città nelle sue scorrerie di malandrino, cominciava a ritmare, battendo sul cappello di paglia, una musica che inventava lì per lì e ne cantava l’aria con parole anche improvvisate. Talvolta cantava una nuova samba per gli amici della collina:

Bella è la vita del negro, o mia mulatta...

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Tutti i giorni è domenica,si balla sempre, là sullo spiazzo,e c’è la moretta per far baldoria...

In tutte le feste era un gran successo:

Il Signore di Bonfim è il mio santo protettore,i suoi incantesimi sono potenti,ma io sono un bel malandrino, o mia mulatta,e tu sei la mia rovina, la mia disgrazia...

Non c’era ragazza che non si lasciasse commuovere.Un giorno, un individuo molto ben vestito venne sulla collina e cercò di Antonio Balduino. Gli

indicarono il negro che chiacchierava tra un gruppo di amici. L’uomo si avvicinò, trascinandosi dietro il bastoncino di canna:

- È lei Antonio Balduino?Balduino sospettò che fosse uno della polizia:- Perché me lo chiede?- Non è lei che compone sambas? - fece l’uomo, puntando il bastoncino su di lui.- Invento qualche cosetta...- Me ne vuole cantare una?- Se non sono indiscreto: perché le interessa tanto?- Forse ne comprerò qualcuna.Antonio Balduino, in quei giorni, aveva proprio bisogno di soldi, per comprarsi un paio di scarpe

nuove viste alla fiera di Agua dos Meninos. Andò a prendere la chitarra e cantò varie sambas. Quel signore ne scelse due, disse che gli piacevano.

- Mi vuol vendere queste?- Ma per quale ragione le vuole prendere?- Perché mi sono piaciute...- Gliele vendo.- Vanno bene venti milreis per tutte e due?- Va bene... Quando ne volesse altre...L’uomo si fece fischiare le due arie da Antonio Balduino, e le appuntò su un foglio tutto rigato.

Scrisse anche le parole.- Tornerò, ne comprerò altre.S’allontanò per la discesa, trascinando il bastoncino. Gli abitanti della collina si fermarono a

guardarlo. Antonio Balduino si sedette presso la porta dell’osteria e infilò i due biglietti da dieci milreis nella camicia, a contatto della carne nuda. E rimase lì a pensare alle scarpe nuove che si sarebbe comprate e al taglio di stoffa che avrebbe preso per Joana.

Il signore col bastoncino, che aveva comprato le sambas, trovandosi la sera in un caffè al centro della città, disse:

- Ho composto due sambas formidabili.Cantò le due arie, battendo le dita sul tavolino. Le sambas, più tardi, vennero incise su dischi, cantate

alla radio, suonate su tutti i pianoforti. I giornali scrivevano: «Il maggior successo di questo carnevale lo hanno riscosso le sambas del poeta Anisio Pereira, che hanno fatto impazzire la gente».

Antonio Balduino non leggeva i giornali, non ascoltava la radio, né suonava il pianoforte. E continuò a vendere sambas al poeta Anisio Pereira.

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Joana portava i capelli sciolti, pettinati con cura e bagnati d’un profumo che stordiva Antonio Balduino. Spesso il negro posava il naso piatto sulla nuca di lei, le sollevava i capelli e aspirava a lungo quel profumo. La donna rideva:

- Leva il muso dal mio collo.Anche Antonio si metteva a ridere:- Che buon odore!Gettava la negra sul letto. La voce di lei sembrava venisse ormai da lontano:- Porcellone...

Il giorno che arrivò con le scarpe nuove e, sotto il braccio, un taglio di stoffa, Joana stava cantando una di quelle sambas che lui aveva venduto all’uomo con il bastoncino.

- Sai una cosa, Joana?- Cosa?- Questa samba io l’ho venduta.- Come? Venduta? - La ragazza ignorava in che modo si potesse vendere una samba.- È venuto un ometto sulla collina e mi ha comprato due sambas per venti milreis. Non c’è male, vero?- Ma che ne faceva?- Chissà. Sarà un pazzo.Joana rimase un po’ pensierosa, ma Antonio Balduino le diede la stoffa:- Con quei soldi ho comprato questo per te.- Oh, che bellezza!- E guarda che splendore le mie scarpe nuove...Le piacquero anche le scarpe e si gettò al collo di Balduino, che rideva forte, felice della vita,

soddisfatto dell’affare concluso. E mentre annusava la nuca di Joana, questa cantava la sua samba. Fu l’unica persona che cantasse quella samba e sapesse chi era il suo vero autore.

Antonio Balduino l’avvisò:- Oggi andiamo alla Macumba di Jubiabá. È la festa tua, mio tesoro.Si recarono alla Macumba, poi si andarono a sdraiare sulla spiaggia, dove si amarono rabbiosamente.

Antonio Balduino vedeva nel corpo di Joana quello di Lindinalva.

Frequentavano sempre la Lanterna dos Afogados, sebbene a Joana non andasse troppo a genio quel locale.

- Un posto dove vanno tante donnacce. Potrebbero pensare che anche io...Joana stava a servizio in una casa del quartiere Vitória e abitava in una stanzetta alle Quintas. Le

piaceva andare a fare all’amore sulla spiaggia ed entrava alla Lanterna dos Afogados solo per far contento Antonio Balduino. Quando andavano là insieme, lui rimaneva solo con la ragazza a un tavolo, bevendo birra, sorridendo a chi lo salutava. Dopo aver mostrato a tutti la sua amante, usciva ridendo, st rizzando l’occhio come per dire che sarebbero andati sulla spiaggia, là vicino al porto.

Quasi tutti i giorni, però, Antonio Balduino s’incontrava con il Gordo, con Joaquim, con Zé Camarão. Bevevano acquavite, raccontavano storielle, ridevano come solo i negri sanno ridere. La sera della festa del Gordo, anche Viriato il Nano si fece vedere. Era cambiato molto negli ultimi anni. Non che fosse diventato più alto o più forte. Era, anzi, tutto malandato, vestito di stracci e si appoggiava a un rozzo bastone.

- Sono venuto a bere alla tua salute, Gordo.Il Gordo chiese dell’altra acquavite. Antonio Balduino domandò:- Come vanno le cose, Viriato?- Così e così...- Stai male?

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- No. Sono acconciato a questo modo per strappare un’elemosina migliore, - e, così dicendo, sorrise col suo solito sorriso imbarazzato.

- Perché non ti sei più fatto vedere?- Ma, lo sai... Mi sono lasciato andare. Non l’ho fatto apposta...- Mi hanno detto che sei stato male.- Sì, è vero; quella maledetta malaria... Mi ha raccolto l’autoambulanza della Sanità. Ho passato

giornate d’inferno. Se dovessi riammalarmi, preferirei morire in mezzo alla strada...Accettò la sigaretta che gli porgeva Joaquim.- Mi hanno abbandonato là, senza che nessuno mi vedesse. Lo sapete, voi, come si sta laggiù?Il Gordo non lo sapeva, e ne rimase spaventato.- Di notte arrivava la febbre. Credevo di morire. Mi ricordavo che non avevo nessuno al mondo.

Nessuno che mi difendesse...Tacque.- Però ti è andata bene, - osservò Balduino.- Oh, no. La malaria torna, torna certamente. Un giorno di questi morirò in mezzo alla strada come

un cane rognoso.Il Gordo tese a Viriato la sua mano nera sul tavolo:- Ma via, non morirai, vecchio mio.Joaquim tentò lo scherzo:- Erba cattiva non muore mai...Viriato riprese:- Ti ricordi, Balduino, di Rozendo? Si era ammalato, ma arrivò la madre e se lo portò via. Fui io a

trovarla. E Filippo il Bello, quando morì, anche per lui venne la madre, al funerale. Portò quei fiori, e arrivarono pure molte donne..

- Ce n’era una con certe cosce... - l’interruppe Joaquim.- Tutti hanno o il padre o la madre, o qualcun altro.Io non ho nessuno.Lanciò il mozzicone in un angolo, prese un altro bicchiere d’acquavite:- Cosa vale la nostra vita? Vi ricordate quando fummo presi come cani dalla polizia? Perché, allora,

ci trattarono così? Perché la nostra vita non serve a niente. Noi non abbiamo nessuno.Il Gordo tremava. Antonio Balduino guardava fisso dentro il bicchiere d’acquavite. Viriato il Nano

s’alzò:- Io vi sto seccando... Ma sono sempre solo e penso sempre a tante cose...- Scappi via, già? - chiese Joaquim.- Vado a farmi l’uscita dal cinema.Uscì appoggiandosi al bastone, curvo, tutto coperto di stracci.- Ormai si è abituato a camminare così, - notò Joaquim.- Ma perché parla solo di cose tristi? - Il Gordo non lo sapeva, ma sentiva pena per lui, perché il

Gordo era molto buono.- Ne sa più di noi tutti, - affermò Antonio Balduino.A un tavolino accanto, un mulatto con un ciuffo di capelli sulla fronte, spiegava a un negro:- Mosè ordinò al mare di fermarsi e di aprirsi, e così lo attraversò, con tutti i cristiani...- Io, invece, chiacchiero solo per divertirmi... - disse Joaquim.Il Gordo si lamentò:- Non avrebbe dovuto farlo proprio oggi, che è la mia festa.- Fare che cosa?- Raccontare cose tristi. M’è andata via ogni voglia di ridere.- Macché. Andiamo a fare un po’ di baldoria a casa di Zé Camarão. Porteremo qualche moretta, -

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propose Antonio Balduino.Il Gordo pagò il conto. All’altro tavolo, il mulatto raccontava la storia del re Salomone che aveva

seicento mulatte.- Che maschio, eh! - commentò Antonio Balduino, con una risata.Andarono e fecero baldoria, si riempirono d’acquavite, se la spassarono con alcune ragazze

appetitose, ma non riuscirono a dimenticare Viriato, il Nano, che non aveva nessuno a cui parlare della sua malaria.

Joana faceva ogni tanto delle scenate a Balduino per via delle altre mulatte, con le quali Antonio andava spesso. Infatti, qualunque mulatta gli capitava davanti diventava la sua amica. Grazie alla forza dei suoi diciotto anni vigorosi e selvaggi, Antonio si era creato un grande fascino tra le ragazze della città: cameriere, lavandaie, negrette che vendevano acarajé e abarà11. Sapeva attaccare discorso con loro, sapeva convincerle, e finiva sempre che le conduceva là al porto, sulla spiaggia, dove insieme si rotolavano nella sabbia, che entrava nei capelli dei due amanti senza che se ne accorgessero.

Faceva all’amore con loro e poi non le vedeva più. Passavano nella sua esistenza come quelle nuvole che scivolavano nel cielo, e che gli suggerivano paragoni poetici:

- I tuoi occhi sono neri come quella nuvola...- Ahi! Sta per piovere.- Allora, andiamo a casa. Conosco un posto dove possiamo starcene riparati.Certo, Joana aveva quel famoso profumo nella nuca. Appena lo vedeva, la ragazza gli si stringeva

addosso, litigava quando aveva saputo che il negro era stato con qualche altra donna e sembra anche che avesse fatto una malia per non essere abbandonata da lui. Aveva cucito alle mutande dell’amante alcune penne nere di gallina, un pezzo di torta di farofa12 cotta con olio di dendê, dove aveva incastrato cinque monetine di rame. Aveva, infine, appeso tutto questo sulla porta di casa di Antonio Balduino, in una notte di luna piena.

Durante una festa in casa di Ariindo, a Brotas, Joana aveva fatto una chiassata del diavolo, solo perché Antonio Balduino aveva ballato una o due volte con Delfina, una bella mulatta alta. Voleva gettarsi su quella ragazza e s’era tolta persino una scarpa dal piede. Antonio Balduino rideva a più non posso, gustandosi la lite delle due donne.

In casa, Joana gli chiese:- Ma che hai trovato di bello in quel mostro?- Sei gelosa?- Io? Bah... Di quella pellaccia! Mi sembra una vecchia valigia che cade a pezzi. Ma che ci hai trovato

di bello?- Tu non lo puoi capire. Quella donna ha i suoi segreti...Antonio Balduino rideva, e poi si rotolava con lei sul letto annusando il profumo della sua nuca.Si ricordava di quando l’aveva conosciuta. Era stato a una festa al Rio Vermelho. Antonio l’aveva

adocchiata da lontano, mentre suonava la chitarra. La ragazza si prese subito una cotta per lui. Il giorno dopo, una domenica, si videro e andarono alla festa di Olimpia. Joana gli aveva raccontato una storia molto complicata per provargli che era vergine e Antonio le aveva creduto. Lasciò cadere la cosa, ma andò ugualmente all’appuntamento fissato per il giovedì, dato che quella sera non aveva niente da fare. Passeggiarono per Campo Grande, ma lui se ne stava zitto perché Joana era vergine e al negro non piacciono le ragazze vergini. Giunta quasi l’ora di tornare al lavoro, lei gli confidò:

- Senti, ho visto che sei gentile e rispettoso, per questo ti voglio dire la verità. Io non sono vergine.- Ah! No?- Fu mio zio, uno zio che abitava in casa. È successo tre anni fa. Ero sola, la mamma era andata a

11 Acarajé e abarà: Cibi afro-brasiliani. La prima è solo una crocchetta di fagioli cotti nell’olio di dendê; la seconda è ancora una crocchetta di fagioli, a cui vengono aggiunti granchiolini, e che viene cotta nel latte di cocco.

12 Farofa: Specie di farina mista a mandioca e altri ingredienti.

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lavorare...- E tuo padre?- Non l’ho mai conosciuto... Mio zio approfittò dell’occasione e mi prese a forza.- Disgraziato... - Ma, in fondo al cuore, Antonio Balduino si sentiva dalla parte dello zio.- Non ho conosciuto più nessun uomo, in questi tre anni. Ma adesso, adesso ci sei tu che mi piaci...Antonio Balduino questa volta capì che la ragazza stava mentendo, ma non disse niente. Non la

lasciò tornare al lavoro quella sera, e, poiché non aveva un posto dove portarla, andarono sulla spiaggia del porto, davanti alle navi e al mare.

Qualche tempo dopo affittarono quella stanzetta alle Quintas, dove ogni giorno Joana gli raccontava bugie e faceva scenate.

Il negro non le dava retta, ma cominciava a essere stufo di lei.

Si trovava una sera di cattivo umore alla Lanterna dos Afogados, quando entrò il Gordo tutto affannato. Joaquim, che chiacchierava con Antonio Balduino, glielo indicò:

- Guarda, viene il Gordo.- Avete saputo che cosa è successo?... Gli scaricatori del porto hanno pescato un cadavere

nell’acqua...Quello era un fatto che avveniva tutti i giorni: non si impressionarono troppo. Ma il Gordo

aggiunse:- Era Viriato.- Chi?- Viriato, il Nano.Uscirono di corsa. Il corpo era adagiato sulla sponda del molo. Un gruppo di uomini gli era intorno.

Doveva essere stato in acqua almeno tre giorni; era, infatti, gonfio e tumefatto. Gli occhi erano sbarrati, e sembrava che si appuntassero su di loro. Il naso era stato già mezzo mangiato dai pesci e si sentiva il rumore lieve e strano che facevano i granchietti dentro il corpo.

Raccolsero il cadavere e lo portarono alla Lanterna dos Afogados. Unirono due tavolini e lo stesero là sopra. Il rumore dei granchi continuava sotto la pelle del cadavere. Pareva un suono di nacchere. Antonio prese una candela dal bancone per infilarla nella mano, che però non si apriva più. Joaquim disse:

- È riuscito a crescere soltanto dopo morto.Il Gordo pregava e gemeva:- Poveraccio! Non aveva nessuno al mondo.Alcuni uomini che bevevano acquavite si avvicinarono. Le donne guardavano e si tiravano indietro

impaurite. Antonio reggeva ancora la candela, poiché nessuno aveva il coraggio di andarla a mettere nella mano del morto. Antonio Balduino prese la candela e si accostò al cadavere. Gli aprì la mano gonfia e vi chiuse dentro la candela. Poi disse:

- Era solo, senza nessuno. Cercava la sua strada ed è andato nel mare...Nessuno comprese queste parole. Qualcuno chiese in che strada abitava. Jubiabá che arrivava in quel

momento s’informò:- Buona notte a tutti. Che è successo?- Cercava, padre Jubiabá, l’occhio della pietà. Ma non l’ha mai trovato e ora si è ammazzato. Non

aveva né padre né madre, non aveva nessuno che pensasse a lui. È morto perché non ha trovato l’occhio della pietà...

Nessuno capì, ma tutti tremarono quando Jubiabá mormorò:- Oiù ànum fó ti ikà, li ôkù.Il Gordo raccontava con molti particolari e con accento triste la storia di Viriato il Nano a uno degli

uomini che stavano bevendo l’acquavite. Secondo il Gordo, una volta Viriato aveva visto tre angeli e

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una donna vestita di rosso: era sua madre e lo chiamava in cielo.Per questo si era gettato in mare.D’improvviso, in mezzo a tutta quella gente, Antonio Balduino si sentì solo col cadavere ed ebbe

paura. Una paura pazza. Tremava, batteva i denti. Gli vennero in mente tutti: la zia Luisa che era impazzita, Leopoldo che era stato assassinato, Rozendo ammalato che chiamava gridando la madre, Filippo il Bello schiacciato sotto l’automobile, il vecchio Salustiano suicidatosi nel porto, il corpo di Viriato il Nano pieno di granchi che facevano un rumore di nacchere.

E pensò che tutti, vivi e morti, erano molto infelici. Anche quelli che dovevano ancora nascere. Soltanto non riusciva a capire perché gli uomini fossero così infelici.

Il temporale, fuori, spense il fanale della Lanterna dos Afogados.

La Macumba.

Per prima cosa pregarono Exu di non venire a disturbare il buon andamento della festa della Macumba. Ed Exu se ne andò molto lontano, a Pernambuco, o in Africa.

La notte scendeva e penetrava dentro le case e quella era la notte quieta, raccolta e pia di «Bahia de Todos os Santos», di Bahia di tutti i santi. Dalla casa del Santone Jubiabá salivano suoni di tamburi, di timpani, di nacchere, di bolas: suoni misteriosi della Macumba che si perdevano nel tremolio delle stelle, nel buio della notte, nel silenzio della città. Sulla porta, alcune negre vendevano acarajé e abarà.

Exu, poiché era stato scongiurato, andò a turbare altre feste più lontane, nelle piantagioni di cotone della Virginia o a Rio, nei candomblés13 della collina di Favela.

In un angolo, in fondo alla sala di terra battuta, suonava l’orchestra. Le note degli strumenti rimbombavano monotone nel cervello dei presenti. Era una musica snervante, melanconica, una musica antica come l’uomo quella che usciva dai tamburi, dai timpani, dalle nacchere, dalle bolas.

Il pubblico, schierato tutt’intorno alla sala, contro le pareti, osservava con gli occhi fissi gli ogans che sedevano in mezzo allo stanzone, in quadrato. Intorno agli ogans si muovevano le feitas. Gli ogans sono molto importanti, perché sono membri del candomblé, sono i ministri del rito, gli iniziati; mentre le feitas sono le sacerdotesse, quelle che possono ricevere il santo. Antonio Balduino era ogan, Joaquim anche; il Gordo, invece, doveva stare ancora tra gli spettatori, proprio accanto a un bianco, un tipo magro e calvo, che osservava la cerimonia con grande attenzione e si sforzava di accompagnare la musica monotona battendosi dei colpi sulle ginocchia. All’altro fianco, il Gordo aveva un giovane negro, vestito di blu, tutto rapito dalla musica e dai canti, dimentico di quello che aveva visto poco prima. Il resto del pubblico era costituito da negri, mulatti, stretti a certe negre grasse, che indossavano gonnelle corte e camicette scollate, e portavano collane attorno al collo. Le feitas danzavano lentamente, dimenando il corpo.

D’improvviso, a una vecchia negra, che stava appoggiata alla parete centrale, vicino all’uomo calvo, e che da molto tremava nervosa al ritmo della musica e dei canti, entrò nel corpo il santo. Venne portata nella cameretta. Ma poiché non era una feita, una delle iniziate della casa, rimase là finché il santo non l’abbandonò e prese una giovane negretta che entrò a sua volta nella stanza delle sacerdotesse.

Il santo che era penetrato in lei era Xangô, il dio del fulmine e del tuono; e siccome la negretta era una feita, potè uscire dalla piccola stanza indossando le vesti sacre del santo: un vestito bianco ornato di collane bianche punteggiate di rosso vermiglio. In mano recava un bastoncino.

La mãe do terreiro, la madre della sala, la sacerdotessa anziana, diede inizio alle cantilene di saluto al santo:

- Edurô dêmin lonan ê yê!Il pubblico rispose in coro:

13 Candomblés: Le Macumbas e i Candomblés sono riti e cerimonie di stregoneria negra, di origine africana. Le stesse parole sono usate anche per designare il luogo dove tali riti si svolgono.

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- A umbó k'ò wà jô!La donna riprese, ma sempre in nagô:- Mettetevi in fila che cominciamo a danzare.Le iniziate, le feitas, giravano attorno agli ogans, mentre la folla adorava il santo, le mani tese, le

braccia diritte ad angolo retto, le palme rivolte verso di lui:Tutti urlavano:- Okê! Okê!I negri, le negre, i mulatti, l’uomo calvo, il Gordo, lo studente, tutta la folla incitava il santo:- Okê! Okê!A questo punto il santo entrò nel circolo delle feitas e prese a danzare a sua volta. Il santo era Xangò,

il dio del fulmine e del tuono, e portava collane bianche punteggiate di rosso sul vestito bianco. Avanzò e s’inchinò dinanzi a Jubiabá, che stava in mezzo agli ogans, ed era il più importante di tutti i santoni. Fece un altro giro di danza e salutò l’uomo bianco e calvo, che era venuto là alla Macumba su invito di Jubiabá. Il santo salutava così: si inchinava tre volte innanzi alla persona, poi l’abbracciava, prendendola per le spalle, infine accostava la sua faccia a quella del salutato, ora da un lato ora dall’altro.

La mãe do terreiro, la sacerdotessa anziana, adesso cantava così:

Iya ri dé gbê ôAfi dé si ómón lôwôAfi ilé ké si ómón lérun

e cioè:

La madre s’adorna di gemme,e mette alcune perle al collo dei figli,e mette ancora altre perle al collo dei figli...

Gli ogans e il pubblico, imitando il tintinnio delle perle, ripetevano in coro:- Omirô wónrón wónrón wónrón ômirô.In quel momento Joana, che continuava a danzare quasi fosse in trance, fu presa da Omolu, la dea del

vaiolo.E uscì dalla cameretta vestita d’un drappo di molti colori, tra i quali predominava il rosso vivo, con

dei pantaloni ricamati all’orlo, che le spuntavano da sotto la gonna e sembravano certe antiche mutande. Il busto della ragazza invasata era quasi nudo: solo una piccola striscia bianca era legata sul seno. Il corpo di Joana era di una bellezza perfetta, il seno duro e appuntito pareva dovesse forare la stoffa. Ma nessuno vedeva in lei la negretta Joana. Nemmeno Antonio Balduino riusciva a vedere in lei la propria amante, Joana, che dormiva con lui senza sognare sulla sabbia del porto. Là, a torso nudo, era Omolu, la terribile dea del vaiolo. La voce monotona della sacerdotessa anziana si levò a salutare l’ingresso del santo:

- Edurô dêmin lonan ê yê!Ci fu il solito suono di tamburi, di timpani, di nacchere e di bolas. Musica che non mutava, che anzi si

ripeteva sempre, ma che eccitava terribilmente. E il coro del pubblico fece:- A umbó k'ô wà iô!Tutti salutavano, devoti, il santo:- Okê! Okê! E Omolu, che danzava tra le feitas, tra le iniziate, venne a salutare Antonio Balduino. Salutò, poi, altre

persone del pubblico che erano ammesse nella casa. Salutò il Gordo, salutò lo studente negro che era stimato da tutti, salutò l’uomo calvo, salutò Roque e vari altri.

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Adesso tutti erano eccitati e volevano danzare. Omolu veniva avanti e traeva fuori dalla cerchia del pubblico le donne che dovevano entrare nella danza. Antonio Balduino agitava il busto come se stesse remando. Tutti tendevano le braccia, salutando e invocando il santo. Un’aria di mistero si stava diffondendo per la sala, e proveniva da ogni parte: dai santi, dalla musica, dai cantici, e, soprattutto, da Jubiabá, vecchio centenario, così piccolo e minuto.

Presero a cantare un’altra delle canzoni della Macumba:

Eólô biri ô b’ajà gbà ko à péhindà.

Queste parole, tradotte dal nagô, significano: «Il cane quando cammina mostra la coda». Anche Oxossi, il dio della caccia, era venuto alla festa della Macumba di padre Jubiabá. Vestiva di bianco e di verde con un po’ di rosso, e un arco con la relativa freccia gli pendeva dalla cintura. All’altro fianco aveva la faretra. Questa volta portava anche, oltre all’elmo sormontato da un cimiero di stoffa verde, un lungo scacciamosche. Non succede mica sempre che Oxossi, il dio della caccia, il gran cacciatore, porti il suo grosso scacciamosche...

I piedi scalzi delle donne volteggiavano sulla terra battuta, nel pieno della danza. Chinavano il corpo secondo il rito; e questo continuo chinarsi aveva un che di sensuale, l’aria sensuale del corpo caldo di una negra e della musica languida dei negri. Scorreva il sudore, e tutti erano presi dal ritmo e dalla danza. Il Gordo tremava e non vedeva altro che figure confuse di donne e di santi, ombre degli dèi capricciosi e dispotici delle lontane foreste. L’uomo bianco batteva con le scarpe il pavimento e diceva allo studente:

- Non ce la faccio più: devo per forza mettermi a danzare...Il santo s’inchinava davanti a Jubiabá. Mille braccia ad angolo retto portavano il loro saluto a Oxossi,

il dio della caccia. C’era chi stringeva le labbra e le mani che tremavano, mentre i corpi fremevano nel delirio della danza sacra. D’improvviso, Oxalà, il più importante di tutti gli dèi - quello che si divide in due personalità: Oxodiian, il giovane, e Oxolufã, il vecchio - venne e possedette Maria dos Reis, una negretta di quindici anni, dal corpo intatto di vergine e dalle forme grassottelle. E apparve nelle sembianze di Oxolufã, Oxalà vecchio, tutto curvo, appoggiato a un bastone con i lampioncini. Quando uscì dalla cameretta, era tutta vestita di bianco e ricevette subito il saluto dei presenti che si curvarono di più:

- Okê! Okê! Solo allora la mãe do terreiro cantò:

E inun ójà l'a ô jó, inun li a ô lô.

Cioè, avvertiva:«Gente della festa, preparatevi: è l’ora di entrare nella danza!»E la folla, in coro:

Ero ójà é parà món, ê inun ôjà li a ô lô.

«Attenti tutti, ora entreremo nel pieno della festa».Sì, tutti adesso avrebbero iniziato la festa, perché in mezzo a loro c’era Oxalà, che è il più grande e il

più potente di tutti gli dèi.Oxolufã, Oxalà vecchio, salutò soltanto Jubiabá. E danzò tra le feitas, finché lei, Maria dos Reis,

stramazzò a terra, sempre scuotendo il corpo al ritmo della danza, e sbavando dalla bocca e dal sesso.Tutti erano impazziti nella sala, e tutti danzavano al suono dei tamburi, dei timpani, delle nacchere e

delle bolas. Anche i santi danzavano al suono della vecchia musica africana, danzavano tutti e quattro tra

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le feitas e intorno agli ogans. Erano Oxossi, il dio della caccia; Xangô, dio del fulmine e del tuono; Omolu, dea del vaiolo; e Oxalà, il più potente di tutti, che si rotolava per terra.

Sull’altare cattolico, eretto in un angolo della sala, Oxossi rappresentava san Giorgio; Xangô, san Gerolamo; Omolu, san Rocco, e Oxalà, il signore di Bonfim, che è il più miracoloso dei santi cattolici della città negra di «Bahia de Todos os Santos» e del santone Jubiabá. Il signore di Bonfim è il santo che ha la festa più bella a Bahia, perché la sua festa assomiglia in tutto e per tutto a un grande candomblé o a una grande Macumba.

Nella sala, agli intervenuti erano state distribuite pipocas, pizze di mais arrosto, e anche xinxin di caprone e di montone, con riso di aucà14. Nelle serate di Macumba i negri della città si riunivano nel cortile di Jubiabá e si raccontavano le loro faccende. Restavano fuori a chiacchierare tutta la notte e discutevano degli avvenimenti degli ultimi giorni. Ma quella sera essi si sentivano un po’ imbarazzati dalla presenza dell’uomo bianco che era venuto da molto lontano solo per assistere alla Macumba di Jubiabá. Il bianco aveva mangiato molto xinxin di caprone e aveva assaggiato il riso di aucà. Antonio Balduino aveva saputo che quell’uomo scriveva dei racconti popolari, degli ABC, e girava il mondo. Per prima cosa aveva pensato si trattasse di un marinaio. Il Gordo, invece, sosteneva che quel tale era uno che viaggiava a piedi. Era stato il poeta, quello che gli comperava le sambas, a presentare ad Antonio l’uomo bianco. Costui voleva vedere le Macumbas, e il poeta gli aveva detto che soltanto Antonio Balduino era in grado di fargli avere il permesso di entrare e di assistere a una Macumba di Jubiabá. Ma, nonostante tutti gli elogi che gli venivano fatti, Antonio Balduino non se la sentiva di parlare a Jubiabá. Portar bianchi, e soprattutto persone sconosciute, alle sedute di Macumba non era una cosa ben fatta. Quell’individuo poteva essere della polizia e forse voleva entrare solo per arrestare tutti. Una volta, infatti, avevano preso Jubiabá: il santone aveva passato la notte dentro, e avevano portato via anche il feticcio di Exu. Fu necessario che Zé Camarão, più astuto del demonio, andasse a recuperare il feticcio nella stessa stanza del commissario, sotto il naso dei poliziotti. Quando il brigante tornò con Exu sotto la giacca, fu una vera festa. La Macumba, organizzata in quella occasione, durò tutta la notte: il rito doveva placare Exu che era furioso e avrebbe potuto turbare le future cerimonie.

Per questo, Antonio Balduino non voleva accompagnare il bianco alla Macumba. E parlò con Jubiabá solo quando anche lo studente negro, suo amico, glielo chiese:

- Io garantisco per quell’uomo. Si può stare tranquilli, come se fossi io.Allora, il negro volle conoscere tutta la storia del bianco. Quando seppe che quell’uomo percorreva il

mondo, e vedeva tutte le cose della terra, si entusiasmò. Chissà se un giorno quell’individuo non avrebbe scritto il suo ABC?

Il bianco se ne andò dopo aver detto a Jubiabá che la cerimonia a cui aveva assistito era la cosa pi ù bella di tutto quanto gli era successo di vedere al mondo finora. Lo studente se ne andò con lui e tutti i negri trassero un sospiro di sollievo. Adesso, finalmente, potevano chiacchierare, discutere delle loro faccende, parlare di quello che volevano, raccontare frottole a volontà.

Il Rosado stava dicendo ad Antonio Balduino:- Hai visto il nuovo tatuaggio che mi son fatto fare?- No.Il Rosado era un marinaio che, di tanto in tanto, scendeva a Bahia. Il Rosado, un giorno, aveva

portato notizie di Zé Casquinha, il quale, a sentir lui, navigava per mari lontani e già parlava come un gringo, nelle lingue straniere. Il Rosado aveva il dorso interamente coperto di tatuaggi: nomi di donne, un vaso da fiori, un pugnale. Adesso si era fatto disegnare anche una testa di toro e una frusta.

Il Rosado rideva. Antonio Balduino guardò il tatuaggio e provò una certa invidia:- Bello!- C’è un americano, sulla nave, che ha sulla schiena tutta una carta geografica. Uno splendore,

14 Aucà: Le pipocas, il xinxin e l'aucà sono alcune cucine di tipo afro-brasiliano, preparate con ingredienti, cibi e prodotti tropicali.

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ragazzo mio...Ad Antonio Balduino venne in mente l’uomo bianco. Doveva riuscire a vederlo. Ma se n’era già

andato e pareva si fosse allontanato di corsa perché i negri avevano vergogna di lui. Antonio Balduino adesso vorrebbe farsi fare il tatuaggio sulla schiena. Ma ancora non sa che cosa disegnarci. Se dovesse dar retta al suo capriccio, vi vorrebbe far raffigurare il mare e l’immagine di Zumbi dos Palmares. C’è un negro, al porto, che su tutto il dorso porta tatuato il nome di Zumbi.

Damiano, un vecchio negro, sorride.- Vuoi vedere una bella schiena segnata?Jubiabá fa un gesto come per trattenerlo. Ma il vecchio ha già sollevato la camicia e gli si vede ormai

tutto il dorso. La testa del vecchio - ognuno può vederlo - è completamente canuta. E sulla sua schiena ci sono le tracce delle frustate. Egli era stato fustigato nelle fazendas, nelle fattorie feudali, ed era andato ai ceppi nel periodo della schiavitù. Antonio Balduino vide sotto i segni delle frustate il marchio di una scottatura:

- Che cos’è questo, vecchio?Quando Damiano si accorge che Antonio allude al segno a fuoco, d’un tratto prova vergogna e

lascia cadere la camicia. Resta senza parole e guarda, laggiù, la città illuminata. Maria dos Reis sorride ad Antonio Balduino. Anche i vecchi che sono stati in schiavitù possono nascondere un loro segreto.

Quando Joana se ne andò, sola, tutta piena di gelosia, e Maria dos Reis tornò anch’essa a casa, dalla madre, Antonio Balduino si unì al Gordo e a Joaquim. Portava la chitarra per andare a fare un po’ di baldoria.

Ma il Gordo li lasciò presto, perché abitava lontano con la nonna, una vecchia ottuagenaria, un po’ barbuta, che da molto tempo aveva perduto il senso della realtà e viveva in un mondo tutto suo, narrava di fatti e di persone che continuamente confondeva con altri fatti e altre persone, e non arrivava mai alla conclusione dei suoi racconti. In verità, essa non era affatto la nonna del Gordo. Il Gordo aveva inventato quella parentela perché si vergognava di aver raccolto e di mantenere quella vecchia, che prima vagabondava per la città. Ma la trattava come se realmente fosse sua nonna: le portava da mangiare, chiacchierava con lei intere ore, rientrava presto perché la vecchia non rimanesse sola. Lo si vedeva, qualche volta, con un taglio di stoffa sotto il braccio e tutti credevano che fosse un regalo per qualche ragazzetta smorfiosa.

- È per mia nonna, poverina. Consuma molto i vestiti perché si sdraia sempre sul pavimento sporco. Non ragiona più tanto...

- È tua nonna per parte di padre o di madre, Gordo?Il Gordo rimaneva imbarazzato. Gli altri sapevano bene che il Gordo non aveva mai conosciuto né

padre né madre. Eppure, il Gordo aveva una nonna, e molti gliela invidiavano.

Dopo che il Gordo se ne fu andato, Antonio Balduino e Joaquim presero la discesa, per la Ladeira da Montanha, fischiettando una samba. La strada era deserta e silenziosa. C’era solo, alla finestra di una casa povera, illuminata dalla luce di un primus, una donna che stendeva le fasce di un neonato. Si sentiva venire dalla stanza la voce di un uomo:

- Pupetto! Pupetto mio!...Joaquim commentò:- Quello domani vuol addormentarsi sul lavoro. Sta facendo la balia asciutta.Antonio Balduino non rispose, non lo ascoltava. Joaquim continuò:- Proprio non gli conviene: non ti pare?- Cosa?- Niente. Niente.Antonio Balduino gli chiese:

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- Ti sei accorto com’è buono il Gordo?- Buono? - Joaquim non ci aveva fatto caso.- Sì, buono. È un uomo di cuore. Ha l’occhio della pietà aperto -. Adesso era Joaquim che taceva.

Ma subito scoppiò in una risata.- Di che cosa ridi?- Rido, perché adesso mi sono accorto che il Gordo è un brav’uomo.Continuarono a scendere in silenzio la collina. Antonio Balduino rivedeva davanti agli occhi la scena

della Macumba, con l’uomo calvo che aveva girato tutto il mondo. Quel signore se n’era andato, ma è più giusto dire che era scappato. Antonio Balduino pensava che quell’uomo doveva essere Pedro Malazarte. Eppure, egli era scappato appena si era accorto dell’imbarazzo che regnava tra i negri. Antonio ricordò Zumbi dos Palmares. Se fosse esistito un altro Zumbi, quel vecchio negro non sarebbe stato frustato. Si sarebbe ribellato e non si sarebbe vergognato di un bianco. Costui, allontanandosi, aveva voluto esprimere un moto di solidarietà, e certamente non sarebbe più tornato. Ma un giorno quell’uomo avrebbe scritto l'ABC di Antonio Balduino, un ABC eroico, nel quale sarebbero state cantate le gesta di un negro libero, allegro, rissoso, coraggioso come sette negri messi insieme.

Pensando a questo, Antonio Balduino tornò allegro e rise:- Sai una cosa, Joaquim? Voglio far la festa a quella negretta...- Quale? - Joaquim fu tutt’orecchi.- Maria dos Reis. Ha un debole per me...- Qual’è?- Quella presa da Oxala. Una pollastrella.- Un boccone prelibato, Baldo. È fidanzata con un soldato dell’esercito. Sta’ attento: ti metti in

qualche grana.- E chi lo dice? Se quella ha un debole per me... Chi se ne frega del soldato. Mi piace il petto della

moretta, questo sì. Il soldato se ne vada al diavolo -. Joaquim sapeva bene che Antonio Balduino avrebbe preso certamente la mulatta, senza badare al soldato. Ma non gli piaceva avere dei grattacapi con i soldati dell’esercito, e consigliò:

- Lascia in pace la moretta, Baldo.Aveva dimenticato che Antonio Balduino voleva essere celebrato in un ABC e che tutti gli eroi degli

ABC amano fanciulle con le quali si uniscono romanticamente, nel solo giro di una notte, e il giorno dopo devono litigare con i soldati.

Percorsero la città bassa, ancora addormentata. Non incontrarono nessuno con cui fare baldoria. La Lanterna dos Afogados era chiusa. Nessuno girava per le strade a quell’ora: non una sola ragazza da portare sulla spiaggia. Non c’era nemmeno una bettola dove poter bere un rabo de gaio, cioè una «coda di gallo», un cocktail di acquavite e di altri liquori. Continuarono ad andare a zonzo a casaccio:

Joaquim sbadigliava dal sonno. Imboccarono un vicolo e scorsero, d’un tratto, una coppia di mulatti che parevano due innamorati recenti. Joaquim disse:

- Una mulatta, amico.- Joaquim, quella è fatta per noi.- Sta con un maschio, Baldo.- Ora vedrai quello che so fare.In un istante, Antonio Balduino fu presso la mulatta. Le diede una spinta e quasi la gettò in mezzo

alla via.- Ecco qua, sporcacciona: io mi ammazzo a lavorare per te, e tu vieni a sfregarti con un maschio...

Svergognata, sentirai che bastonate! - Poi si volse al mulatto. Ma prima che Antonio aprisse bocca, quello chiese:

- È la sua amica? Non lo sapevo.

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- La mia amica? È mia moglie, sposata con tutte le regole, capito? Con tutte le regole.Si avvicinò ancora all’uomo.- Io non lo sapevo. Il signore mi scusi: lei non mi aveva detto niente...Volse le spalle e sparì alla prima traversa. Antonio Balduino rideva come un pazzo. Joaquim, che era

rimasto in disparte (perché basta uno contro un uomo solo) si avvicinò:- È andata, eh!I due scoppiarono in una risata tanto allegra e sfacciata che quasi rischiava di svegliare la città

addormentata. E una risata venne anche di là, da terra: era della donna, che si stava alzando. Era una mulatta sdentata, che non valeva tanta fatica. Ma poiché non ce n’erano altre, decisero di portarla sulla spiaggia. Antonio Balduino fu il primo, poi fu la volta di Joaquim.

- Non ha denti, però è buona, - disse Joaquim.- Non ne valeva la pena, - ribatte Balduino.Si sdraiò vicino al mare, prese la chitarra e cominciò a suonare. Joaquim immerse i piedi nell’acqua.

La donna, che finiva di allacciarsi il vestito, si unì a loro: si mise a cantare la canzone che Balduino pizzicava sulle corde. Dapprima cantò sottovoce, poi alzò a poco a poco il tono: aveva una voce bella, strana, quasi maschile. Riempì il porto con il suo canto: già i primi pescatori si svegliavano, i marinai si affacciavano alle murate delle navi e il giorno nasceva sul mare.

E alle prime luci del giorno, in quella povera finestra del casamento della Ladeira da Montanha, la donna svegliò il marito. Egli doveva andare a lavorare in una fabbrica lontana e doveva alzarsi presto. Disse alla moglie, indicando il bambino:

- Questo diavoletto non mi ha lasciato dormire. Sono morto di sonno -. Si lavò la faccia, guardò la mattina chiara, bevve il caffè acquoso. La moglie l’avvertì:

- Sai, non c’è pane, perché ho dovuto prendere il latte per il bambino.L’uomo fece un gesto di rassegnazione, baciò il figlio, batté una mano sulla spalla della moglie,

accese un mozzicone di sigaretta:- Mandami qualcosa a mezzogiorno.Quando scese - era ormai giorno chiaro - e infilò la Ladeira da Montanha, diretto alla fabbrica,

s’imbatté in Antonio Balduino e Joaquim che salivano portandosi dietro la sdentata. Balduino gridò:- Jesuino, sei proprio te?Era proprio Jesuino, che una volta aveva mendicato e vagabondato con loro. Era quasi

irriconoscibile, tanto era dimagrito.- Stai maluccio, ragazzo mio...- Mi è nato un figlioletto, Baldo. Vorrei che tu gli facessi da padrino. Un giorno vi farò conoscere

mia moglie.Si allontanò giù per la discesa, verso la fabbrica che si trovava a Itapagipe. Doveva andarsene a piedi,

per poter poi comprare il latte al figlio. La moglie stendeva le fasce alla finestra ed era anch’essa pallida e magra. Per lei non c’era stato né pane, né caffè.

Pugilatore.

La casa di Jubiabá era piccola ma graziosa. Sorgeva nel mezzo di una radura sulla collina del Capa Negro, un grande spiazzo davanti, un cortiletto dietro.

Una larga sala occupava la maggior parte della casa. Nel mezzo della sala c’era un tavolo con due panche, una per lato, dove pranzavano Jubiabá e i suoi visitatori, e una sedia più comoda che guardava la porta della stanza dove dormiva il santone. Sulle panche, intorno al tavolo, negri e negre chiacchieravano. C’erano anche due spagnoli e un arabo. Sulle pareti erano attaccati numerosi ritratti di

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parenti e di amici del santone. In una nicchia, un idolo negro, un orixalà, fraternizzava con un quadro del signore di Bonfim. Il quadro raffigurava il santo che portava a salvamento una nave sul punto di naufragare. Ma l’idolo era molto più bello: rappresentava una negra dal corpo ben tornito, che si teneva con una mano una mammella possente e ben fatta, in un gesto d’offerta. Era Iansan, la dea delle acque, che i bianchi chiamano santa Barbara.

Jubiabá uscì dalla stanza, vestito di un bel camiciotto, ricamato sul petto. Quel camiciotto gli arrivava fino ai piedi; il santone non aveva indosso altro indumento. Un negro si alzò dal tavolo e andò ad aiutare lo stregone mentre si sedeva.

I negri si avvicinarono a baciare la mano di Jubiabá. Gli spagnoli e l’arabo fecero lo stesso. Uno degli spagnoli aveva una guancia gonfia coperta da un fazzoletto legato sotto il mento.

Si avvicinò al santone e disse:- Padre Jubiabá, ho un dente maledetto che mi duole terribilmente. Caramba! Non mi lascia lavorare,

non mi lascia far niente. Caramba! Ho già speso un sacco di soldi dal dentista e non c’è stato niente da fare. Non so più dove battere la testa!

Si tolse la fasciatura: il gonfiore era spaventoso. Jubiabá lo medicò.- Facci impacchi di malva e prega così:

San Nicodemo, guarisci questo dente! Nicodemo, guarisci questo dente! guarisci questo dente! questo dente! dente!

Aggiunse altre spiegazioni:- Reciterai la preghiera sulla spiaggia. Devi scrivere sulla sabbia tutto il verso e poi devi cancellare

ogni volta una parola. Capito? Poi vai a casa a fare gli impacchi. Ma senza la preghiera non serve.Lo spagnolo lasciò cinque milreis e se ne andò a mettere in pratica i consigli di Jubiabá.Poi fu la volta di un negro che voleva fare una fattura. Parlò a voce bassa, all’orecchio di Jubiabá. Il

santone si alzò, e, aiutato dal negro, entrò nella stanza.Tornarono dopo pochi istanti, e, il giorno appresso, si vide una terribile fattura - farina impastata

con olio di dendê, quattro milreis in pezzi d’argento, due ventini di rame e un piccolo urubù ancora vivo - sulla porta di Henrique Padeiro che fu colto da un male misterioso e morì pochi giorni dopo. Anche una negra voleva una fattura, ma non parlò a bassa voce, e non entrò nella stanza. Disse soltanto:

- Quella svergognata di Marta s’è presa il mio uomo. Voglio che lui ritorni a casa -. La negra si eccitava. - Io ho figli, io; quella non ce l’ha mica i figli da mantenere!

- Portami qualche capello di quella donna e metterò a posto ogni cosa, - rispose Jubiabá.E continuò a sfilare, innanzi a Jubiabá, una folla di negri che chiedevano incantesimi e fatture.

Alcuni vennero benedetti con rami di nasturzio. Ma in questo modo, la città si riempiva, all’alba del giorno dopo, di fatture e di feticci che ingombravano le strade e allontanavano i passanti che giravano al largo, impauriti. Da Jubiabá venivano anche molte persone del gran mondo: dottori con tanto di anello, ricconi in automobile.

Quando Antonio Balduino entrò nella sala, un soldato stava parlando con il santone. Il soldato cercava di parlare a bassa voce, ma era emozionato e i presenti potevano udire tutto quello che diceva:

- ...Pare che non mi voglia più bene... Non mi sta più a sentire... Forse si sarà innamorata di qualcun altro... Ma io non voglio, padre. Io la voglio per me. Le voglio bene... Sono pazzo di lei...

La voce del soldato si era fatta piagnucolosa. Jubiabá gli chiese qualcosa e quello rispose:- Si chiama Maria dos Reis.

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Antonio Balduino trasalì, ma subito sorrise. Cominciò a stare più attento al dialogo. Ma Jubiabá già congedava il soldato.

- Solo se mi porti un pelo delle sue ascelle e una sua mutanda, farò in modo che non si allontani più da te. Ti resterà attaccata, ti seguirà come un cane.

Il soldato uscì a testa bassa, senza guardare in faccia nessuno, sperando di passare inosservato.Antonio Balduino si avvicinò a Jubiabá, si sedette sul pavimento.- Si direbbe che quello le voglia molto bene alla ragazza...- La conosci, Baldo?- Non è quella presa da Oxalà durante la Macumba?- Il soldato è innamorato di lei, vuol fare una fattura... Stai attento, Baldo...- Non mi mette fifa quel soldato!- Ma le vuole molto bene...- Si vede!Si mise a fare segni per terra con un pezzetto di legno.Aveva ormai diciotto anni, ma pareva ne avesse venticinque. Era forte e alto come un albero, libero

come un animale, e la sua risata era la più chiara della città.

Lasciò Joana, non vide più neppure quella ragazza un po’ sdentata che aveva una voce maschile e cantava le sue sambas; anche delle ragazze che si portava sulla spiaggia non volle più saperne.

Gironzolava, in compagnia del Gordo, intorno alla casa di Maria dos Reis. E compose anche una samba per lei, una samba che diceva così:

Io ti amo, Maria...Tu mi hai preso il cuore,io ne ho fatte tante, una volta,ma adesso sei tu che mi rovini...

Non volle vendere questa samba. La cantò durante una festa dove c’era anche lei, Maria dos Reis, e la guardò continuamente. Il soldato era ormai scoraggiato: non era ancora riuscito a procurarsi il pelo dell’ascella di Maria che doveva portare a Jubiabá. Maria dos Reis si limitava a sorridere. Guardava il soldato con occhi tristi, perché sapeva che lui l’amava e che per lei avrebbe ucciso qualcuno. Pensava alla lettera che il soldato aveva scritto alla sua matrigna, a donna Branca Costa, chiedendola in isposa. Quella lettera, l’aveva a casa, in fondo a un baule. Diceva:

A lei, Eccellentissima Senhora Dona Branca. Distinti saluti.Oggi mi sento trasportatto, come mai prima dora, verso un singero e piagevole paradiso dove

regna per me intensioni intime e favorevoli per le quali mi sento obblicato a dichiararmi singeramente a sua Eccellensa, che amo con un amore puro e sacro la tua stimata Maria.

Amore che giammai si spegnerà, e così col passare del tempo e unitamente con la vostra centile bontà farà raddoppiare eternamente tra noi un amore che ci deve condurre al fuoco della vera feligità. E con tali intime intensioni approfitto di questa luminosa opportunità per chiedere a Vostra Eccellensa in matrimonio la tua centile e bellissima Maria.

Sarà per me la fortuna più grande possedere questa Brillantissima Perla del vostro confortevole cuore per la quale mi sforserei in breve tempo di dare a Vostra Eccellensa e agli altri della vostra nobile famiglia questa Brillantissima soddisfasione.

Gerto che Vostra Eccellensa non rifiuterà alla mia richiesta una sua risposta favorevole, mi congedo presentando a Vostra Eccellensa le mie assicurazioni di alta stima e considerasione.

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f.to: O. S.Osorio, soldato del 19°.

Donna Branca non voleva che Maria sposasse un soldato; ma la ragazza rimase ferma nella sua volontà e si fidanzò, sebbene fosse costretta a lasciare la casa della matrigna. Il matrimonio era già stato fissato per agosto, dopo che Osorio avrebbe ottenuto i gradi di caporale come gli aveva promesso il capitano. Senonché Maria dos Reis conobbe una sera, nella Macumba di Jubiabá, il negro Antonio Balduino, il quale aveva un’aria da malandrino e componeva sambas per lei. Balduino non aveva mandato nessuna lettera, né aveva mai parlato di matrimonio.

Le aveva dato soltanto, una sera, alla festa da Ribeirinho, mentre passavano nella stanza da pranzo, un biglietto così composto:

Maria si nascose il biglietto in seno. Sgattaiolò nella camera della moglie di Ribeirinho, dove erano stati posati i cappelli degli uomini e la chitarra di Antonio Balduino. Candida, che entrò in quel momento nella stanza, vide il biglietto:

- Di chi è, ragazza mia?- Indovinate...- Che ne so. Aspetta che te lo dico -. Pensò un momento: - No, proprio non so indovinarlo...- È di Antonio Balduino.- Bah! Quello non è una persona per bene, cara mia. È uno sporcaccione. Non c’è donna che gli

sfugga. Attenta, Maria...- Ma perché?- E Osorio?Osorio era il soldato. Maria dos Reis rimase perplessa, e invece di piegare l’angolo del «sì», restituì il

biglietto così com’era. Ma per Antonio Balduino fu come se lei avesse detto «sì».

Adesso Antonio andava a chiacchierare con lei, sulla porta di casa, a Brotas, nei giorni in cui il soldato non si faceva vedere. Il soldato aveva la libera uscita solo il giovedì, il sabato e la domenica. Il resto della settimana era tutto di Antonio Balduino, il quale già aveva sentito nelle mani il calore e le forme sode di quel corpo vergine. Un martedì, alla festa di Cobula, venne Maria dos Reis con alcune amiche. Sulla piazza, incontrarono Antonio Balduino. Il negro era molto elegante: scarpe gialle e camicia rossa. In bocca, una sigaretta da pochi soldi. Si fermarono a discorrere. Presso un baraccone, Antonio Balduino comprò un biglietto della lotteria, con dentro la «fortuna», per Maria dos Reis. Aprirono il biglietto arrotolato: era il numero 41. Il padrone della lotteria, un grassone, uno spagnolo, andò a vedere che cosa vinceva il numero 41. Gridò:

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- 41: una scatola di polvere di riso.Sulla scatoletta c’era un foglietto con pochi versi: il responso della fortuna:

La vita ti recherà dolore,tanta disgrazia, tanto danno,solo a causa dell’amoresolo a causa dell’inganno.

Antonio Balduino rise. Maria dos Reis, invece, rimase male, fu tutta mesta, addolorata:- E se incontrassimo Osorio?Nemmeno a farlo apposta, Osorio, in divisa, si dirigeva verso di loro. Appena fu vicino, disse:- Già lo sospettavo. Ma non volevo crederci. Non avrei mai pensato che avresti fatto questo.La sua voce aveva il tono lamentoso dei canti di chiesa.Mentre parlava così, Maria dos Reis si nascondeva il viso tra le mani. Le amiche sorridevano,

nervose, e dicevano continuamente:- Signor Osorio, non lo faccia, per carità!- Fatti sotto! - esclamò Balduino che già si era preparato alla lotta e stava in guardia.Il soldato alzò la mano verso il viso di Antonio Balduino, ma il negro si era già abbassato e si era

gettato con le gambe su quelle del soldato, che subito cadde. Si rialzò, e impugnava la spada. Antonio Balduino fece scattare il coltello a serramanico:

- Fatti sotto, se sei un uomo!- Non ho paura di nessuno.Maria dos Reis implorava:- Baldo, per amor di Dio...Le amiche dicevano:- Signor Osorio! Signor Osorio!- Non me ne importa della divisa, - fece Antonio Balduino, e strappò la spada al soldato, che aveva

già ricevuto una coltellata al viso.Disarmato il soldato, Balduino gettò via il coltello e attese Osorio in un punto più nascosto, più

buio. Arrivava gente: uomini, guardie, e parecchi soldati. Osorio si lanciò contro Balduino e incontrò uno dei pugni formidabili del negro. Cadde a terra e rimase immobile. Un gringo che aveva assistito alla rissa, con occhio esperto, avvertì Antonio Balduino:

- Vattene, che arrivano i soldati. Hai dato un bel cazzotto. Bisogna che ci vediamo, noi due...Il negro raccolse il coltello e scomparve verso la casa di Maria dos Reis. Fece appena in tempo a

fuggire e già da ogni parte arrivavano soldati, che, vedendo il loro compagno ferito, cominciarono a dar pugni a destra e a sinistra tra la gente. E la rissa divenne generale.

Maria dos Reis nascose Antonio Balduino nella sua camera da letto, senza farsi accorgere dalla matrigna, che stava dormendo. Quando, all’alba, il negro uscì nella strada, il corpo di Maria dos Reis era ancora tenero e caldo, ma non più vergine. Era andata meglio che con Oxalà, il più potente e più grande di tutti i santi.

Alla Lanterna dos Afogados, qualche giorno dopo, il negro Antonio Balduino rincontrò l’uomo che l’aveva aiutato a fuggire. Antonio entrava col Gordo nella bottega e si sentì chiamare da qualcuno. Era il gringo, lo straniero.

- Ti sto cercando da parecchio tempo. Da quella sera. Ho girato tutta la città e non ti ho trovato. Dove ti eri cacciato?

L’invitò a sedere, offrì da fumare. Si sedettero. Balduino lo ringraziava:- Se non c’era lei, quel giorno, avrei preso un sacco di botte dai soldati.

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- Un bel pugno gli hai dato. Un bel pugno.Il Gordo, che quella sera non era presente, chiese:- Che pugno?- Quello che lui ha dato al soldato. Per la Madonna15, che pugno!...Ordinò della birra.- Hai mai tirato di boxe?- No. Conosco solo la lotta che facciamo noi negri.- Se vuoi, puoi diventare un campione.- Campione?- Per la Madonna, te lo giuro. Quel pugno: formidabile...Si mise a guardare le mani enormi del negro. Palpò le spalle, le braccia di Antonio Balduino:- Un campione. Un vero campione...Parlava come uno che provasse una certa nostalgia per i tempi passati.- Basta aver voglia.Antonio Balduino aveva molta voglia.- Come?- Potrai batterti a Rio e poi, forse, andare in America del Nord.Bevve il suo bicchiere di birra:- È da parecchio tempo che faccio l’allenatore. Ho tirato su certi pugilatori che oggi sono diventati

campioni conosciuti in tutto il mondo. Ma nessuno aveva un pugno come quello. Proprio un bel pugno!

Quando uscirono dalla bettola, Antonio Balduino era già stato ingaggiato da Luigi, l’allenatore; anche il Gordo si sarebbe unito a loro come «secondo», come aiutante. All’uscita erano tutti un po’ ubriachi. Il giorno dopo, Antonio Balduino disse a Maria dos Reis:

- Ora non sono più uno spostato. Son diventato un pugilatore. Diventerò un campione. Andrò a Rio, poi in America del Nord...

- Te ne vai?- Ti porterò con me, cara.Antonio era certamente migliore di Oxalà, il più potente e più grande di tutti i santi.I giornali annunciarono il primo combattimento qualche mese dopo. Adesso lui era per tutti «Baldo,

il negro». Luigi concedeva interviste a tutti; un giornale pubblicò persino la fotografia di Antonio Balduino con un braccio teso pronto per dare un pugno, e l’altro in atto di difesa. Maria dos Reis attaccò la foto alla parete nella sua camera.

L’avversario aveva nome Gentil, e si faceva chiamare «il campione dei pesi massimi della marina». In realtà, era soltanto uno scaricatore del porto.

Al Largo da Sé, nella piazza della cattedrale, si erano dati convegno tutti i tifosi del pugilato e anche tutti i clienti della Lanterna dos Afogados, compreso Antonio, gli abitanti della collina del Capa Negro, tutti gli amici di Antonio Balduino. Per primo, salì sul quadrato l’arbitro, un sergente dell’esercito in borghese, e annunciò:

- Tra poco avrà inizio un incontro formidabile. Chiedo al pubblico un po’ di cavalleria e molti applausi.

Salì anche il Gordo con un secchio e una bottiglia. Poi arrivò un tipo con la faccia giallastra: aveva gli stessi oggetti e si mise all’angolo opposto. Ed ecco arrivare Antonio Balduino insieme a Luigi. Quelli della collina, quelli della Lanterna dos Afogados e i pescatori strillarono insieme:

- Antonio Balduino! Antonio Balduino!L’arbitro presentò:

15 Per la Madonna!: In italiano nel testo.

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- Baldo, il negro.Apparve anche l’altro boxeur, che a sua volta fu molto applaudito dal pubblico:- Gentil, campione di tutti i pesi della gloriosa marina, - gridò l’arbitro.Battimani e grida si alzarono dalla folla. Quelli della collina, dei pescherecci e della bettola,

guardavano il mulatto con occhi ironici:- Ne prenderai tante...Anche Antonio Balduino guardava il suo avversario e sorrideva. Luigi lo consigliava:- Mena forte. Sulla bocca e sugli occhi. Molto forte.Il Gordo era nervoso e pregava per la vittoria dell’amico.Ma si ricordò che la boxe era un peccato e smise di pregare, timoroso.Al segnale di inizio, i pugili si scontrarono subito. Dietro, la folla gridava.

Il negro Antonio Balduino venne squalificato perché, a metà del combattimento, aveva applicato una mossa di lotta negra. L’incontro era stato duro e aveva messo in luce le grandi qualità di Baldo come pugilatore. Alla gente non piacque la decisione della giuria, fischiò l’arbitro, che se ne andò protetto dalla polizia.

I giornali ripubblicarono la foto di Antonio Balduino, e uno andò a ruba perché raccontava la vita del negro. Si scoprì, in questo modo, che erano opera sua le sambas del poeta Anisio Pereira, e scoppiò uno scandalo negli ambienti colti e letterari della città.

Gli fu concessa la rivincita. Ci fu una folla traboccante e, questa volta, Antonio Balduino non venne applaudito soltanto dalla gente della collina, dai pescatori e dai clienti della Lanterna dos Afogados (Antonio aveva persino scommesso venti milreis sulla vittoria del negro) quando l’arbitro annunciò:

- Baldo, il negro.Tutti gli spettatori lo acclamarono e gridarono a lungo.Alla quinta ripresa, il mulatto Gentil non era più campione della marina.Era disteso sul quadrato, immobile. Il Gordo asciugava il sudore ad Antonio Balduino. Poi,

andarono tutti a bere alla Lanterna dos Afogados i venti milreis che aveva vinto Antonio.

Chi se ne andò prima da Bahia fu Maria dos Reis. La matrigna aveva avuto un altro figlio, e suo marito, un funzionario statale, era stato trasferito al Maranhão. Maria dos Reis li seguì. Antonio Balduino fu molto triste per la sua partenza, perché lei non gli faceva pensare a Lindinalva, pallida e lentigginosa.

Quella sera, prese una sbornia e decise d’imbarcarsi come marinaio quando vide la nave che si portava via Maria. La ragazza aveva con sé la foto dove si vedeva Antonio che aveva il braccio teso nella mossa di pugilatore e sorrideva con la bocca e con gli occhi.

Vinse tutti i pugilatori che doveva battere per diventare campione di Bahia. Campione di Bahia era un boxeur di nome Vicente, che non combatteva più per mancanza di avversari. Dopo la comparsa sui rings di Antonio Balduino e dopo i suoi continui trionfi, Vicente aveva ripreso ad allenarsi con grande rigore perché vedeva che il negro metteva in pericolo il suo titolo.

Da una settimana, la città era tappezzata di manifesti. Sotto il disegno raffigurante due uomini in combattimento, c’era scritto:

VICENTEil campione baiano dei pesi massimi

controBALDO, il negro

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si disputeranno il titolo di «Campione di Bahia»Domenica, Piazza della Cattedrale

Vicente concesse un’intervista ai giornali dove dichiarava che avrebbe vinto alla sesta ripresa. Antonio Balduino rispose, il giorno dopo, che al sesto round il campione baiano sarebbe andato a dormire sul tappeto. Si scambiarono parecchi insulti e il pubblico si elettrizzò. Ci furono anche molte scommesse e Antonio Balduino era sempre il favorito.

Prima del sesto round, Vicente dormiva davvero sul tappeto e Baldo, il negro, era il nuovo campione baiano dei pesi massimi.

Vicente ottenne la rivincita. Vinse ancora Antonio Balduino. Luigi era diventato pazzo: parlava solo d’andare a Rio. Si mise in contatto con gli impresari della capitale. Antonio Balduino continuava a fare all’amore con le mulatte sulla spiaggia, beveva alla Lanterna dos Afogados, andava alle Macumbas di Jubiabá, e spargeva per le vie della città la sua chiara risata.

Arrivò a Bahia un boxeur di Rio. Sfidò tutti i pugilatori della città, fece chiasso. Venne concordato un incontro con Antonio Balduino. Tutta la città s’interessò al combattimento dei due campioni.

Alla vigilia dell’incontro, Antonio Balduino si trovava a chiacchierare alla Lanterna dos Afogados. Fu avvicinato dall’impresario del campione carioca.

- Buona sera.- Buona sera.Antonio Balduino offri della birra.- Desideravo parlare con lei, in privato.Il Gordo e Joaquim andarono a sedersi a un altro tavolo.- Volevo dirle questo: Claudio non può perdere, lei lo sa...- Non può perdere?- C’è una ragione. Lui mi costa molti soldi. Se viene sconfìtto da lei, non potrà più battersi qui... Non

è vero?- Sì.- Ma se lui vince, si batterà con altri. Mi pagherà le spese.- E allora?- Ci sono cento milreis per lei. Dopo chiederà e otterrà la rivincita.Antonio Balduino alzò la mano, ma poi la stese sul tavolo.- Ha parlato già con Luigi?- Luigi è un babbeo. Non c’è bisogno che sappia niente.Sorrise:- Allora: prima che ce ne andiamo, la rivincita. Va bene?- Ha qui il denaro?- Glielo do dopo l’incontro.- No. Così non mi va. Se vuole darmelo adesso...- E se lei poi non perde?- E se dopo aver perduto e averle prese, lei non mi paga?Antonio Balduino si era levato in piedi. Il Gordo e Joaquim osservavano la scena dall’altro tavolino.- Non bisogna litigare, - disse l’impresario. - Via, si segga.Guardò il negro, che si versava un altro bicchiere d’acquavite.- Mi fido. Ecco, prenda qui sotto il tavolo.Antonio Balduino prese il denaro. Vide che erano cinquanta milreis.- Aveva detto cento!- Gli altri cinquanta glieli do dopo...

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- Così non mi va.- Non li ho qui con me, davvero...- O me li dà subito...Ricevette i cinquanta che restavano, e si diresse al tavolo del Gordo. Quando l’impresario se ne fu

andato, Antonio Balduino scoppiò a ridere tanto a lungo che alla fine gli doleva la pancia.Il giorno seguente, dopo l’incontro e la sensazionale sconfitta del campione carioca, l’impresario

venne a cercare Antonio Balduino alla Lanterna dos Afogados. Era furioso:- Lei è un ladro...Antonio Balduino rideva.- Mi dia indietro il mio denaro.- Chi ruba al ladrone, acquista il perdono...- Lo dirò ai giornali, alla polizia.- Lo faccia pure.- Lei è un ladro! un ladro!Antonio Balduino scaraventò a terra anche l’impresario. La gente della bettola, che non si aspettava

questo nuovo spettacolo, applaudiva.- Ha tentato di comprarmi. Mi ha dato cento milreis perché io perdessi contro quel rachitico. Gli ho

promesso che avrei perduto. Mi sono intascato il denaro e oggi ho messo a terra il suo campione. Così non ci proverà più a corrompere la gente. Io mi vendo solo per amicizia. Bene, adesso ci beviamo i suoi soldi...

Tutti alla Lanterna dos Afogados ridevano. Antonio Balduino uscì e andò a regalare a Zefa, una ragazza venuta dal Maranhão, che aveva portato un bacio di Maria dos Reis all’amante (invece di uno ne aveva dati molti), la collana di perle rosse comprate quella mattina col denaro avuto dall’impresario del campione carioca.

Luigi parlava sempre più seriamente del viaggio a Rio.

Antonio troncò la sua carriera di pugilatore il giorno stesso che si fidanzò Lindinalva. Sui giornali che annunciavano il suo incontro con il peruviano Miguez, Antonio Balduino lesse la notizia del fidanzamento di «Lindinalva Pereira, figlia del ricco commendator Pereira, personalità di Bahia, con il giovane avvocato Gustavo Barreiras, degno rampollo di una delle più illustri famiglie della città, poeta dai versi armoniosi, oratore di grande fama».

Prese una terribile sbornia, cadde al tappeto al terzo round, quando non era più in grado di battersi e non ce la faceva più ad incassare i pugni del peruviano Miguez. La gente disse che si era fatto corrompere. Antonio non spiegò a nessuno la ragione della sconfitta. Nemmeno a Luigi, che quella sera pianse, si strappò i capelli e bestemmiò; nemmeno al Gordo, che guardava sempre con gli occhi di chi teme a ogni istante qualche disgrazia. Da quel giorno, Antonio non tornò più sul ring.

Quella notte fredda, dopo la sconfitta, poiché non voleva andare a bere alla Lanterna dos Afogados, si recò al Bar Bahia. Si sedette, con il Gordo, a un tavolino in fondo alla sala e si mise a bere silenziosamente. Un uomo si avvicinò e li supplicò che gli pagassero un bicchierino. Balduino lo guardò in faccia:

- Ma questo tipo lo conosco. Non so dove, ma io l’ho conosciuto una volta...L’uomo aveva gli occhi fissi, vitrei, e si passava continuamente la lingua sulle labbra:- Solo un bicchierino, uno «scacciapensieri». Pagamelo, via, amico!...Antonio Balduino vide che aveva una cicatrice sul viso:- Quella dev’essere opera mia.Pensò un po’, ma subito si batté la mano sulla fronte:- Ma tu non sei Osorio?

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Il Gordo aggiunse:- Non eri soldato?...- Sì, una volta ero sergente...Spinse avanti a sé una sedia e si sedette:- Una volta ero sergente... - si passava la lingua sulle labbra. - Un bicchierino solo.Balduino rideva. Il Gordo provava pietà per quel poveraccio.- Ma c’era anche una donna, una donna, avete capito?Bella. Proprio bella. Bastava vederla... Ci fidanzammo, capite?... Io dovevo essere promosso

caporale.- Ma non eri sergente?- Già; ormai non mi ricordo più niente, ma forse dovevo diventare capitano. Il capitano me lo aveva

promesso... Il capitano... Pagami un altro cicchetto! Ragazzo, porta un altro bicchiere: c’è l’amico qui che paga... Avevamo fissato anche il giorno delle nozze. Che festa avremmo fatto. Lei era bella. Proprio bella. Ma è scappata con un altro...

- E questa cicatrice?- È stato lui, è stato... Ma io l’ho lasciato con le budella di fuori... Era una bellezza, la ragazza. Una

bellezza.- È vero.- Tu l’hai conosciuta?- Non te ne ricordi?Bevvero fino all’alba e uscirono tenendosi sottobraccio, come vecchi amici, ridendo a più non posso:

si erano dimenticati di Maria dos Reis e di essere stati uno soldato e uno boxeur.D’improvviso l’uomo esclamò:- Allora eri tu quel tale...E si staccò da Antonio Balduino.- Ma anch’io ho perduto tutto.Si riabbracciarono e continuarono a camminare per la via, barcollando:- Era di una bellezza!...Antonio Balduino, nella sua testa, confondeva la negra Maria dos Reis con la bianca Lindinalva.Grandi imbarcazioni stavano immobili sull’acqua calmissima.I barconi, le vele ammainate, dormivano nell’oscurità. Anche così facevano pensare alle partenze, ai

viaggi verso i piccoli porti della costa, con le loro grandi fiere, con i loro mercati. Ma ora i battelli dormivano, i nomi pittoreschi dipinti sulla prua: Paquete Voador (vascello alato); O Viajante sem Pôrto (il viaggiatore senza porto); Estrêla da Manhã (stella del mattino); O Solitario (il solitario). All’alba, avrebbero salpato, spinti dal vento, a vele spiegate e avrebbero solcato le onde della baia.

Sarebbero andati a caricare ortaggi, frutta, mattoni, tegole. Sarebbero, poi, rientrati carichi di fragranti ananas. Il Viajante sem Pôrto è dipinto in rosso e corre più di tutti. Mastro Manuel dorme a prua: è un vecchio mulatto, nato e vissuto sempre sui barconi.

Antonio Balduino conosce la storia di tutti quei battelli e di tutte le barche. Già da bambino amava sdraiarsi sulla spiaggia del porto, e anche ora posa il capo sul cuscino di sabbia, mette i piedi a bagno nelle onde. L’acqua è tiepida e tenera, in queste ore della notte. Balduino, talvolta, si mette a pescare, silenzioso, il viso pronto ad accendersi in un sorriso appena riesce a prendere un pesce. Ma, di solito, si limita a fissare il mare, le navi, la città morta alle sue spalle.

Antonio Balduino vorrebbe andarsene, partire, viaggiare, percorrere paesi sconosciuti, fare all’amore su spiagge sconosciute con donne sconosciute. Miguez, venuto dal Perù, lo aveva battuto.

Una nave getta un fischio di sirena mentre supera la punta del molo. Se ne va e le sue luci rompono le tenebre della notte. È una nave svedese. Poche ore prima, i suoi marinai scorrazzavano per la città, bevevano birra nei caffè, tenevano fra le braccia le mulatte di Barroquinha. Adesso, sono sul mare

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oscuro; domani saranno in qualche porto lontano, tra le braccia di altre donne bianche o gialle. Un giorno, anche Antonio Balduino si dovrà imbarcare, per girare il mondo. Lo ha sempre sognato. Di notte quando dorme, o quando, sdraiato sulla spiaggia, guarda i battelli e le stelle.

La nave ormai è quasi scomparsa nel buio.

La città tendeva verso il cielo le braccia delle sue chiese. Dal porto Antonio scorgeva i vicoli in salita, le case vecchie ed enormi. Le luci brillavano, lassù, e nuvole bianche correvano il cielo come un gregge di pecore. Parevano, anzi, i denti di Joana. Antonio Balduino ogni volta che andava con una ragazza le diceva:

- I tuoi denti sono bianchi come le nuvole.Ma adesso che aveva perduto, quale ragazza l’avrebbe più guardato? Tutti dicevano che si era

lasciato comprare.Si perdeva nella contemplazione del quartiere negro della città. C’era una stella alta sulla sua testa.

Non sapeva che stella fosse, ma era bella, grande e lucente, e pareva che ammiccasse. Non aveva mai notato quella stella. Apparve una luna grandissima e gettò su tutte le case, fin le più lontane, una luce così strana che egli non riconobbe più la stessa città. Immaginò di essere un marinaio, giunto in un porto straniero. Un porto lontano, come quelli che egli vede nei sogni di tutte le notti. Ogni notte, infatti, Antonio Balduino sogna di sbarcare in terre straniere. Le nuvole correvano in cielo. Erano come tante pecore. Bianche, enormi pecore. Nella città bassa non c’era nessuno. Era la prima volta che Antonio sognava così, da sveglio. Bahia non era più la Bahia di sempre e lui non era più il negro Antonio Balduino, Baldo il pugilatore, quello che frequentava le Macumbas di Jubiabà e che le aveva prese da Miguez, il peruviano. Che città era mai quella, e chi era poi lui stesso? E dove erano mai finiti tutti i suoi conoscenti? Guardò il porto e vide la sua nave. Naturalmente, era già ora di tornare a bordo e là lo aspettavano. Si guardò addosso gli indumenti da marinaio, si mosse barcollando e disse a voce alta:

- Vado a bordo...Una voce gridò:- Cosa?Ma Antonio non rispose e continuò a fissare la città, bagnata dalla luce bianca della luna. Gli ritornò

in mente l’incontro di boxe.D’improvviso, giunse dall’alto della collina un battere ritmato di mani e di tamburi, il batuque16.Una nuvola nera coprì la luna. Si palpò addosso: gli indumenti di marinaio erano scomparsi, aveva

soltanto dei pantaloni bianchi e una camicia a righe rosse.Il ritmo del batuque si faceva sempre più intenso, sulla collina. Era come una preghiera addolorata, un

grido di angoscia. Antonio, allora, si accorse che la città era sempre Bahia, proprio la Bahia che conosceva tutta: strade, salite e vicoli; e non era un porto sperduto di un’isola sperduta nella immensità del mare. Era la Bahia della sua sconfitta.

Adesso non guardava più le stelle, né le nuvole. Non vedeva più nel cielo i greggi di pecore che vedeva prima. Dov’erano andati a finire i battelli, che prima erano fuggiti, lontano dagli occhi di Antonio Balduino?

Udiva appena. Il ritmo del batuque proveniva ora da tutte le colline: quei suoni, dall’altro lato dell'oceano, erano stati suoni di guerra, batuques che annunciavano battute di caccia o battaglie. Oggi, erano diventati suoni di supplica, voci schiave che invocavano aiuto, masse di negri con le mani levate verso il cielo. Alcuni di quei negri, che ormai avevano i capelli bianchi, portavano sulle spalle i segni della frusta. Oggi, le Macumbas ripetevano vagamente quei suoni ormai perduti.

Erano come un messaggio diretto a tutti i negri: ai negri che in Africa ancora combattevano e andavano a caccia, e ai negri che gemevano sotto lo scudiscio del bianco. Suoni di batuque che venivano

16 Batuque: Ritmo di tamburi, tam-tam; nonché, più precisamente, danza popolare molto concitata.

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di lassù, dalla collina. Anche adesso arrivavano, angosciosi e confusi - arie religiose, arie guerriere, arie di schiavitù - all’orecchio di Antonio Balduino, il quale se ne stava disteso sulla rena del porto. Quei suoni gli riempivano gli orecchi e facevano ribollire l’odio sordo che aveva in cuore.

Antonio Balduino si rotolava sulla sabbia, disperato. Non aveva mai provato un’angoscia cos ì profonda. Provava un senso di odio che gli metteva l’animo sottosopra. Vedeva file e file di negri; vedeva quel negro, segnato sulle spalle, che aveva conosciuto in casa di Jubiabá. Vedeva mani callose che battevano la terra, vedeva donne negre con figli mulatti avuti da signori bianchi. Vedeva Zumbi dos Palmares trasformare il batuque della schiavitù in batuque della guerra. Jubiabá, nobile e sereno, educare il popolo schiavo.

Vedeva se stesso ribelle all’uomo bianco. Eppure era stato sconfitto, sconfitto da Miguez, come se si fosse venduto.

Ma non riuscì a vedere più niente perché tornò a splendere la luna, con quella sua luce fastidiosa, e i suoni si andavano spegnendo, lassù nei vicoli scoscesi, nelle viette oscure, nelle strade selciate di pietre.

Quando si udirono gli ultimi suoni di batuque e quando lo splendore della luna abbagliava, gli apparve dinanzi il viso di Lindinalva, bianco e coperto di lentiggini.

Era elegante e sorrideva. Faceva scomparire ogni suono e ogni senso d’odio.Antonio Balduino si passò una mano sul viso per scacciare la visione che lo molestava e guardò fisso

da un’altra parte. Scorse di nuovo le luci dei battelli e Mastro Manuel che camminava sul molo. Ma, in mezzo alle luci, danzava ancora Lindinalva. E questo perché egli era stato sconfitto e si sentiva demoralizzato, finito.

Chiuse gli occhi; quando li riapri riuscì a scorgere soltanto la luce del triste, piccolo fanale della Lanterna dos Afogados.

Un triste ritornello viene dal mare.

La luce della Lanterna dos Afogados lo incoraggia e lo invita. Antonio Balduino lascia il molo, s’alza dalla sabbia che lo accarezza e si dirige a grandi passi verso la bettola. La luce debole di qualche lampadina illumina appena l’insegna che raffigura una bella donna dal corpo di pesce e dal seno sodo. In alto, una stella dipinta in rosso diffonde sul corpo vergine della sirena una tonalità chiara che rende la figura misteriosa e vaga. La donna-pesce trae dall’acqua un suicida. E sotto c’è il nome: Lanterna dos Afogados.

Dall’interno della bettola viene una voce:- Baldo! Sei tu, Baldo?- Sono proprio io, Joaquim!Seduti presso uno dei tavoli c’erano il Gordo e Joaquim. Joaquim grida da dove è seduto, riparandosi

gli occhi con la mano per veder meglio alla luce vacillante della lampada:- Entra. C’è qui Jubiabá.Nella piccola sala, quasi fasciata dall’oscurità, vi sono cinque o sei tavolini dove bevono alcuni

barcaioli, capitani di battelli e marinai. Dovunque, grossi bicchieri colmi di acquavite. Un cieco pizzica la sua chitarra, ma nessuno lo ascolta. A un tavolo, marinai bianchi e biondi, tedeschi di un mercantile che fa il suo carico nel porto, bevono birra e cantano, ubriachi. Sono con loro due o tre donne, scese apposta quella sera dal vicolo delle prostitute, dalla Ladeira do Taboão, per venire alla Lanterna dos Afogados. Ridono molto, ma hanno un’aria un po’ meravigliata e stordita, perché non capiscono la canzone. I marinai le abbracciano e le baciano. Sotto il tavolo, un’infinità di bottiglie di birra vuote. Antonio Balduino passa accanto a quel tavolo e sputa. Un marinaio afferra un bicchiere e fa il gesto di volerlo lanciare: Antonio Balduino si prepara alla lite. In un angolo, il cieco continua a far suonare lamentosamente la chitarra senza che nessuno lo ascolti. Antonio Balduino si ricorda che Jubiabá è là

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presente: abbassa il braccio, e si va a sedere insieme al Gordo e a Joaquim.- Dov’è Jubiabá?- È là dentro con Antonio a fare scongiuri per la moglie.Antonio è un vecchio portoghese, che ha per amante una mulatta dalla faccia segnata dal vaiolo. Un

ragazzo pallido serve ai tavoli, correndo da una parte all’altra della bettola. Saluta Antonio Balduino:- Buona sera, signor Baldo.- Porta da bere.Il Gordo segue, attento, il canto dei marinai:- È bello.- Lo capisci?- No, ma mi piace, mi commuove.- Ti commuove? - Joaquim non riesce a comprendere l’amico.Antonio Balduino, invece, capisce queste cose e non ha più voglia di attaccar briga con i tedeschi.

Adesso, gli piacerebbe cantare con i marinai e ridere con le donne. Batte il dito sul tavolo e fischietta. I marinai sono sempre più ubriachi e uno di loro ha già smesso di cantare, rovescia la testa sul tavolo. Il cieco suona la chitarra in un angolo, nel buio. Nessuno lo ascolta, tranne il ragazzo pallido che serve in sala. Tra una corsa e l’altra, portando i suoi bicchieri di acquavite, guarda il cieco con occhi pieni di ammirazione e sorride.

Ma di lontano, dalle tenebre del mare, giunge una voce di canto. Benché ci siano le stelle in cielo non si vede a chi appartenga, né di dove giunga, se dalle barche, dai battelli o dal vecchio forte. Ma certo proviene dal mare, quel triste ritornello: è una voce sonora, lontana.

Antonio Balduino osserva dappertutto. Intorno c’è buio. Si vede solo la luce delle stelle e della pipa di Mastro Manuel. I marinai non cantano più, le donne non ridono più, il cieco ha smesso di piangere sulla chitarra con gran dispiacere del ragazzo pallido che serve nella bettola.

Jubiabá ritorna al suo tavolo e Antonio va di nuovo dietro il bancone. Il vento, che invade la sala come una carezza, trasporta il canto mesto della voce lontana. Da dove verrà? Il mare è tanto grande e misterioso che non si capisce da dove possa spirare quel vecchio motivo di valzer. Certo è un negro quello che canta, perché solo i negri cantano così. Mastro Manuel tace. Forse pensa al carico di sapotis 17

che all’alba il suo battello dovrà fare a Itaparica? No. Ascolta il ritornello del valzer. Si è voltato nella direzione da cui sembra venire la voce, che empie il mistero del mare. Il Gordo ha uno sguardo vago e sperduto. Naturalmente, il valzer lo commuove. E, insieme a lui, tutti si volgono verso il mare, chiedendosi: «di dove verrà la voce del negro?»

Signore, da’ tregua ai miei lamenti...

Forse il negro canta dall’antica fortezza ed è un vecchio soldato. Forse starà sopra una barca e sarà un giovane contadino che vende arance al mercato di Agua dos Meninos.

O sarà un barcaiolo nella sua canoa, al Porto da Lenha? Oppure la voce verrà da un veloce battello, e sarà la voce di un marinaio negro che ha lasciato la donna amata in un porto lontano?

Signore, da’ tregua ai miei lamenti...cancella questa mia tristezzadi non poterla più vedere...

Da dove verrà il canto mesto che vola sui battelli, sulle barche, sul molo, sul porto, sulla Lanterna dos Afogados, su tutto il golfo e si va a spegnere tra le vie scoscese della città?

Il Gordo si accorge che Antonio Balduino ascolta nervoso. Antonio pensa a Lindinalva e gli sembra

17 Sapotis: Frutti tropicali che, come forma e colore, assomigliano alle patate.

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che il negro stia cantando soltanto per lui, per lui che si sente così solo. Ma il negro canta per tutti, non soltanto per Antonio Balduino. Canta per il Gordo, per Mastro Manuel, per i marinai tedeschi, per tutti i negri dei battelli e delle barche, per tutti i bianchi, marinai delle navi svedesi, e anche per il mare.

Le luci della città brillano sulla collina. Poco prima, da lassù, giungeva il suono ritmato dei candomblés e delle Macumbas. Ma ora la città è lontana e il luccichio delle stelle è molto più vicino che non le luci delle lampade elettriche. Antonio Balduino scorge il fuoco della pipa di Mastro Manuel. Sente dentro di sé la voce del negro, ma d’improvviso questa si allontana, fugge verso il mare, al largo. Poi ritorna, e continua a vibrare, a risuonare nella bettola. Si diffonde una grande tristezza:

Non posso fare altroche piangerepiangere e lamentarmi...

Nessuno parla. I marinai tedeschi ascoltano. Jubiabá tiene le mani distese sul tavolo. Il Gordo trema tutto e Antonio Balduino vede Lindinalva bianca, pallida, lentigginosa, sull’acqua, nel cielo, sulle nuvole, nel bicchiere dell’acquavite, negli occhi del ragazzo tisico che serve ai tavoli.

Quella luna gialla batte di nuovo sulla Lanterna dos Afogados. La voce viene in sordina, portata dal vento. Il Gordo trema, Mastro Manuel fuma lentamente. La voce si ferma nella bettola e gira con la brezza.

Se hai un po’ di pietà per mevolgi il tuo sguardo,il tuo sacro amorea me...

Se n’è andata la triste canzone. Il cieco la cerca, con gli occhi senza luce.Jubiabá mormora parole che nessuno ascolta. Joaquim chiede:- Mulatto, hai una sigaretta?Fuma a grandi boccate. I marinai bevono birra. Le donne tengono gli occhi fissi al mare. Jubiabá

allunga le gambe e scruta la notte. La luna ha ingiallito tutto, ha sporcato d’argento il mare e il cielo. Ma ecco, torna il vecchio valzer. La voce del negro è vicina, sempre più vicina:

Cancella questo mio doloredi non poterla più vedere...

La voce si avvicina sempre più. Mastro Manuel riprende la pipa che brilla come un coltello. Un battello taglia il mare, là, al largo. Se ne va silenzioso, dietro la triste canzone portata dal vento.

Antonio Balduino avrebbe voglia di dire: «Buon viaggio, amici...»Invece tace e ascolta. La voce è stata portata lontano dal vento. Poi ritorna, più bassa:La luna è entrata nella bettola. I marinai ascoltano, come se capissero le parole del valzer del negro.

Le donne, che adesso capiscono, non ridono più. Joaquim dice:- Perché tornare?Il Gordo si è impaurito:- Che dici?Antonio Balduino si rivolge a Jubiabá:- Padre Jubiabá, oggi ho fatto uno strano sogno, sulla spiaggia.- Che cosa hai sognato?Jubiabá è magro: minuta è la sua figura là sulla sedia. Il Gordo pensa agli anni che deve avere Jubiabá

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sulle spalle. Cento e quanti anni ancora? Antonio Balduino è forte ed enorme. Non racconta il sogno, ma dice:

- Ho veduto in sogno quel negro con la schiena tutta segnata dalle frustate, padre Jubiabá.La voce è penetrata nella bettola:

Non posso fare altroche piangere,piangere e lamentarmi...

Antonio Balduino spiega:- ... piangeva, padre, piangeva... quel negro frustato nella schiena... l’ho visto in sogno... era

spaventoso. Ho voglia di dargliele a quei marinai...Il Gordo si spaventa:- Perché?- Il negro bastonato... bastonato...Jubiabá si raddrizza sulla sedia. Ha visto il viso rugoso, aperto all’odio. Tutti l’ascoltano:- È avvenuto molto tempo fa, Baldo...- Che cosa?- La storia che sto per narrarvi... Il padre di tuo padre era bambino. Accadde nella piantagione di un

signore bianco e ricco, là nel Corta Mao...Un canto mesto, un vecchio valzer che un negro canta non si sa dove, domina ogni cosa:

da’ tregua ai miei lamenti...

Jubiabá racconta:- C’era un mucchio di negri. Erano sbarcati da poco e non sapevano la lingua del signore bianco... È

passato molto tempo. Laggiù al Corta Mão...- Ma che cosa accadde?- Il signor Leal non aveva un fattore. Ma aveva una coppia di gorilla, due grossi gorilla scuri, tenuti

da una catena robusta. Il signore li chiamava uno Catito e l’altra Catita. Il maschio aveva un grosso ceppo legato alla catena e una frusta nella mano. Era lui il fattore.

Dov’è andato a finire il vecchio valzer triste che non tocca più il cuore di quei negri, attenti solo alla storia di Jubiabá? Dov’è andata la voce del negro che cantava? Ora, solo il cieco fa gemere la chitarra e tutti lo sentono. Il bimbo pallido e tisico raccoglie in un piattino le monete per il cieco, che è suo padre. Un uomo dice:

- Non do niente. Il vecchio non sa suonare.Ma tutti si voltano a guardarlo con tali occhi che l’individuo finisce per buttare una monetina sul

piatto:- Stavo scherzando, carino...La voce di Jubiabá continua:- La scimmia Catita uccideva galline, entrava nelle case. Lo scimmione conduceva gli uomini alla

piantagione e si sedeva sul suo ceppo. Quando un negro non lavorava, lo prendeva a frustate. Alle volte picchiava senza ragione. Una volta uccise un negro a forza di frustate.

Le luci tremano alla Lanterna dos Afogados. Il cieco accenna un motivo sulla chitarra.- Al signor Leal piaceva scatenare Catito e gettarlo sulle negre. Catito le uccideva, per poi goderne.

Un giorno il signore lasciò libero Catito, perché si lanciasse su una giovane negra sposata da poco a un giovane negro. Il signor Leal aveva visite...

Il Gordo trema tutto. Si risente, lontana, la triste canzone. Tace la chitarra del cieco, il quale ora

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conta i soldi raccolti.- Catito si gettò sulla negra e il negro sul bestione...Jubiabá guarda lontano, nel buio. La luna è gialla.- Il signor Leal sparò addosso al negro che già aveva dato due coltellate al gorilla. Anche la negra

morì. Non rimase che una pozza di sangue. Gli ospiti si divertirono molto. Meno una bambina bianca, che la notte diventò pazza sognando la scimmia e il negro...

Il valzer triste risuona adesso più vicino.- Ma durante la notte un fratello del negro ammazzò il signor Leal. Il fratello del negro io l’ho

conosciuto. È lui che mi ha raccontato la storia...Il Gordo si è avvicinato a Jubiabá. La pipa di Mastro Manuel brilla come una stella. Nell’oscurità del

mare una voce canta un motivo triste:

Cancella questo mio doloredi non poterla più vedere...

La voce è alta, sonora, nostalgica.Jubiabá dice:- Io ho conosciuto il fratello.Antonio Balduino tocca il pugnale che porta in petto.

«Ojù ànun fó ti ikà, li okù».

Jubiabá diceva:- Ojù ànun fó ti ikà, li okù.Sì, Antonio Balduino sapeva bene che nel mondo si era chiuso l’occhio della pietà e c’era rimasto

soltanto l’occhio della crudeltà. Nella notte misteriosa del porto, piena di musiche svariate, volle sfogarsi e scoppiare in una risata aperta, che era poi il suo grido di libertà. Ma egli aveva perduto anche questa facoltà. Era triste e abbacchiato. Non era più il re, l’imperatore della città; non era più il boxeur Baldo. Ora la città lo soffocava come la corda soffoca l’impiccato, il suicida. Adesso, tutti dicevano che si era venduto. E il mare che batteva sugli scogli, le navi che salpavano a luci accese, i battelli che partivano solo con una lanterna e una chitarra, erano richiami irresistibili. Là era la sua strada, la «strada di casa». Viriato il Nano aveva risposto a quel richiamo, il vecchio Salustiano pure, e tanti altri. Sul petto, Antonio Balduino aveva un tatuaggio: un cuore, un’enorme «L» e un bel naviglio.

Antonio prese con sé il Gordo e fuggì sul mare a bordo di un battello da cabotaggio. Andava a cercare nelle fiere, nelle piccole città, per terra e per mare, la sua risata, la sua strada, la «strada di casa».

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Parte seconda

Diario di un negro in fuga

Page 74: Jorge Amado - Jubiabá

Sul mare.

Il Viajante sem Pôrto taglia le acque che riflettono le stelle. Il battello è tutto verniciato di rosso e ha un faro che manda tutto intorno una luce gialla simile a quella della luna, che proprio in questo momento fa la sua apparizione dietro una nuvola. Da un’altra imbarcazione, che attraversa la baia, viene un grido:

- Chi va là?- Buon viaggio! Buon viaggio!La via del mare è larga. Le acque passano mormorando. Un pesce salta nel raggio di luce del fanale.

Mastro Manuel va al timone. Il Gordo non capisce, si sente sbalordito. Antonio Balduino se ne sta disteso sulla tolda e ammira lo spettacolo del mare. Dalla stiva, sale un profumo di ananas maturi.

Spira un vento dolce e una stella lucente brilla nel cielo. Nella mente del negro Antonio Balduino nasce l’idea di una samba ch’egli viene ritmando sulle ginocchia a colpi misurati. Già fischia le sue solite ariette e tra breve ritroverà la sua antica risata. La samba parla di donne, di malavita, di avventure, di un negro libero, delle stelle del cielo e della larga strada del mare.

Prima la canzone si chiede:

Dove va a finire questa strada, Maria?...

Quindi spiega:

Le stelle dei tuoi occhi sono in cielo...il rumore della tua risata è qui nel mare...tu sei nel faro che guida il battello...

Questo diceva la samba. Diceva, inoltre, che il negro Antonio Balduino amava soltanto due cose: la vita avventurosa e Maria. E avventura nella sua lingua significa libertà. E Maria significa mulatta.

Dove andrà a finire mai quella strada? Per Mastro Manuel, che è un vecchio marinaio, quella strada non offre misteri.

- Qui, - spiega lui, - è il punto dove il mare si sposa col fiume...Il battello ha già superato la barra. Entra, ora, nel fiume Paraguaçu. Sulle rive si vedono vecchi

castelli feudali, rovine di antiche fornaci e di ricchezze passate, che hanno strane sagome di fantasmi. Il Gordo osserva:

- Sembrano visioni d’incubo: «mule di prete».Il mormorio dell’acqua è adesso l’incontro, l’abbraccio amoroso tra il mare e il fiume. E lo stormire

degli alberi del bosco, là dietro, sembra proprio provocato dall’agitarsi dello spirito di un’amante di qualche prete, che, morta, si è trasformata in una mula senza testa e ora vaga tra le fitte macchie che hanno coperto ormai le tombe degli schiavi negri.

Il battello corre dolcemente sull’acqua tranquilla del fiume. Al timone, Mastro Manuel fuma la pipa. Indica e riconosce via via i banchi neri degli scogli. La strada non ha misteri per lui. Antonio Balduino ha smesso di cantare la sua samba e il Gordo la sa già a memoria. Gli sembra che sia la migliore samba composta da Antonio Balduino, perché parla di donne, di avventure, di stelle. Il Gordo dice:

- Non vendere più sambas, Baldo.Il negro ride. Il battello corre sul fiume:- Questo non lo batte nessuno, - dice Mastro Manuel toccando lievemente il legno del battello, quasi

accarezzasse una donna.Spira un vento che gonfia le vele e rinfresca gli uomini. Dalla stiva, sale un profumo di ananas

maturi.

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Mastro Manuel è il padrone del battello da molti anni. Antonio Balduino era ancora bambino quando conobbe Mastro Manuel e il suo Viajante sem Pôrto. Ma, già da molto tempo, Mastro Manuel andava con la sua imbarcazione per i porti del golfo, portando frutta nei mercati, caricando mattoni e tegole per le costruzioni della città nuova.

Ora gli si darebbero solo trent’anni: nessuno crederebbe ai cinquanta che porta sulle spalle. Mastro Manuel è tutto di un colore, è di un bronzo scuro; ed è difficile dire se sia un bianco, un negro o un mulatto. È, sì, un marinaio dal colore del bronzo, un marinaio che parla di rado, che è rispettato in tutta la zona del porto di Bahia, del mercato di Agua dos Meninos, delle bettole del porto, delle bettole di tutti i piccoli porti dove fa scalo il suo battello. Il Gordo rompe il silenzio con una domanda:

- Avete mai salvato qualcuno che stava per affogare, Manuel?Mastro Manuel lascia la pipa, distende le gambe:- Durante un temporale, all’imboccatura del porto, un battello si capovolse. Il vento aveva spento

tutti i fari. Fu una serata terribile, pareva che fosse giunto il giorno del giudizio...Il Gordo osserva il cielo e si assicura che la notte, oggi, sia favorevole e serena.- Anch’io navigavo quella notte, portato dal temporale. Pure il mio fanale si era spento e non si

riusciva a vedere da qui a lì.Ad Antonio Balduino piace la vita dei mastri di piccole imbarcazioni. Sorride, ma Mastro Manuel sta

serio. Aspira una boccata dalla pipa:- Vedevamo le luci di Bahia. Parevano vicine, ma si allontanavano sempre più. Non riuscivamo ad

accostarci a terra. Quella sera il mare era furioso, aveva litigato col fiume.La sua faccia ha assunto un’aria grave:- È male quando il mare litiga col fiume. Da lì viene la tempesta.- E il battello?Mastro Manuel pareva avesse dimenticato il battello:- Portava una famiglia che tornava dalle feste di Cachoeira. Avevano fretta di tornare e non vollero

aspettare la nave del giorno appresso. Tutti i giornali ne parlarono.Tirò un’altra boccata:- Avevano fretta e finirono tutti in mare. Riuscimmo a tirar su solo i cadaveri. Proprio così; e due

persone non furono mai più ripescate.Il Viajante sem Pôrto corre rapido, chino su un fianco, e segue le mille curve del fiume, che ora si apre

d’improvviso in un bacino, ora si restringe in angusti canali.- Mi ricordo dell’acqua che faceva glu-glu accanto al battello rovesciato.Mastro Manuel imitava l’acqua:- Glu-glu: sembrava che il mare ingoiasse qualcosa...- Ma non c’era una donna che piangeva il suo uomo? Non c’era l’angelo custode degli affogati? -

domandò il Gordo, tremando.- Quando arrivammo, erano tutti morti.- Anche l’angelo custode era scappato, - rise Balduino.- Non ci sono angeli per chi naufraga. I gorghi divorano ogni cosa e ti attirano come una tentazione.Il Gordo aveva inventato la faccenda dell’angelo e della sposa che cercava il marito, ma sostenne che

l’aveva letta sui giornali.- Ma se tu non eri ancora nato!...- Allora dev’essere stato un’altra volta. Voi non c'eravate, Manuel?Il Gordo è attratto da una stella che gli pare debba essere un astro nuovo e grande. Grida dalla gioia

per la scoperta:- Guardate che stella nuova e bella... Quella stella è mia, è mia... - Ha paura, il Gordo, che qualcuno

gliela porti via, gli rubi la stella che lui ha scoperto.Gli altri due guardano. Mastro Manuel li schernisce:

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- Macché stella! Quello è il Paquete Voador che ci viene dietro. Era a Itaparica quando siamo passati noi, ora vuole raggiungerci. Vorrebbe mettersi in gara con te, - Mastro Manuel si rivolge al suo Viajante sem Pôrto e lo accarezza con lo sguardo.

Dice ai compagni:- La nave va forte, e Guma al timone ci sa fare. Ma col mio legno nessuno riesce a spuntarla.

Vedrete...Il Gordo è triste perché ha perduto la sua stella. Antonio Balduino domanda:- Come fate, Manuel, a capire che quello è il Paquete Voador?- Dalla luce del fanale.Ma quella luce è simile a tutte le luci dei fanali dei battelli e Antonio Balduino, sebbene non creda

più, come il Gordo, che si tratti di una nuova stella, perché essa si muove continuamente, dubita tuttavia che sia proprio il Paquete Voador. Potrebbe essere benissimo uno dei tanti veloci battelli del porto. Resta in attesa. Il Gordo guarda il cielo per scoprire un’altra stella che sostituisca quella perduta. Ma quelle che brillano sono tutte note e hanno tutte un padrone. L’altro battello si avvicina. Mastro Manuel manda il suo lentamente, aspetta.

È proprio il Paquete Voador. Guma grida:- La faresti una corsa con me, Manuel?- E dove vai?- A Maragogipe.- Io vado a Cachoeira, ma arriverò fino a Maragogipe... Ne metti quindici?- Vada per quindici.Anche Antonio Balduino scommette qualcosa. Guma s’attacca al timone:- Sotto!I due battelli vanno di conserva e il Paquete Voador guadagna terreno. Balduino è un po’ allarmato:- Attento, Manuel, ai miei dieci!Il mastro sorride:- Lascialo correre...E poi grida verso la stiva:- Maria Clara!La donna, che stava dormendo e sognando, si sveglia e compare sulla tolda. Mastro Manuel la

presenta:- La mia signora...La sorpresa dei due uomini è tanto grande che non riescono a pronunciare una sola parola. La donna

tace e, anche se fosse brutta, sembrerebbe, così in piedi sul ponte inclinato, con le vesti al vento e i capelli sciolti, bella e piacente. La fragranza del mare si mescola al profumo degli ananas della stiva. «Il collo della donna, le sue labbra, - pensa Antonio Balduino, - devono odorare di mare, di acqua salata». E prova un improvviso desiderio. Il Gordo, invece, pensa che la donna sia una specie di angelo custode, e vorrebbe quasi recitare per lei una preghiera. Ma Maria Clara non è niente di tutto questo, è solo la donna del mastro del battello. Mastro Manuel le dice:

- Sto facendo una corsa con Guma. Su, canta una canzone...Il canto aiuta il vento e aiuta il mare. Questi sono i segreti che solo un vecchio marinaio conosce,

segreti che si apprendono vivendo sul mare.- Canterò la samba di questo ragazzo.Sono tutti affascinati. Non sanno bene se sia bella o brutta, eppure, in quel momento, l’amano. Essa

è come la musica che conquista il mare. È in piedi, i suoi capelli sono abbandonati al vento. Canta:

Dove va a finire questa strada, Maria...

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Il Viajante sem Pôrto corre e fa un gran rumore di acque. Rispunta il Paquete Voador come un punto luminoso nella notte.

Le stelle dei tuoi occhi sono in cielo...

Quella macchia bianca è la vela del Paquete Voador, che si avvicina ormai sempre di più.

Il rumore della tua risata è qui nel mare...

Dove finiranno in quella corsa pazza? Non andranno i battelli a schiantarsi contro qualche banco di scogli e tutti a dormire in fondo al mare? Mastro Manuel stringe il timone a occhi chiusi. Antonio Balduino freme e guarda affascinato la donna che canta. Per il Gordo, invece, la donna è un angelo, e lui prega.

Tu sei nel faro che guida il battello.

Passano accanto al fanale del Paquete Voador. Guma getta un involto pieno di denaro sul ponte del Viajante sem Pôrto. Quindici milreis. Mastro Manuel intasca i suoi cinque milreis e grida:

- Buon viaggio, Guma. Buon viaggio.- Buon viaggio, - la voce risponde ormai alle loro spalle.Balduino prende i dieci milreis che ha vinto:- Comprale un vestito, Manuel. È stata lei a vincerli.

La strada del mare è larga, Maria...

Antonio Balduino pensa: dove sarà ora l’uomo bianco e calvo che quel giorno venne alla Macumba di Jubiabá? Dove sarà? Dove sarà l’uomo che Antonio Balduino suppone sia Pedro Malazarte, l’avventuriero? Bisogna che non dimentichi questo viaggio sul battello, quando scriverà l'ABC di Antonio Balduino, negro coraggioso e malandrino, pazzo per la libertà e per il mare.

Mastro Manuel lascia il timone ad Antonio Balduino, perché il fiume adesso è largo e sicuro. Se ne va con la donna nella cuccetta. Ma, pure di laggiù, dove si sono rifugiati, vengono rumori dei due corpi in amore. Si sentono sommessi gemiti, suppliche, baci. Un’ondata alta copre e protegge gli amanti, che ora ridono tra i baci. Forse, adesso che saranno umidi e molli, l’amore sarà anche più bello.

Antonio Balduino pensa di buttare la barca sugli scogli del fiume. Morirebbero tutti, e le grida e i baci si spegnerebbero dentro il mare. Il Gordo, che ha perduto quella notte una stella e un angelo, mormora:

- Non avrebbe dovuto far questo...

Dolce profumo di tabacco.

Dolce profumo di tabacco! Un dolce profumo di tabacco penetra nelle larghe narici del Gordo che ne rimane intontito. Il battello è rimasto in porto solo nei giorni di fiera delle città vicine: Cachoeira e São Felix. Poi è salpato per altri piccoli porti: Maragogipe, Santo Amaro, Nazaré das Farinhas, Itaparica, con a bordo Manuel e la donna che cantava ogni sera e odorava come il mare. Ha spiegato le vele ed è partito una mattina piena di melanconia. Sembrava un addio.

Antonio Balduino e il Gordo rimasero nell’antica città di Cachoeira, a misurare in lungo e in largo le

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sue vie, in un vagabondaggio forzato. Sentivano la città attraverso l’odore dolciastro di tabacco, che veniva da São Felix, là di fronte: dalle fabbriche bianche che occupavano interi quartieri ed erano grosse e possenti come i loro padroni. Odore che intontiva, che faceva pensare a cose lontane, che spingeva il Gordo a raccontare, a raccontare lunghe storie inventate, o già sentite. Nelle fabbriche di sigarette non c’era lavoro. Li c’erano solo donne, pallide e macilente, donne dagli occhi pesti, che facevano sigari pregiati destinati ai banchetti dei ministri. Gli uomini non erano adatti a quel lavoro: avevano mani troppo grosse per poter maneggiare sigarette, sebbene la fatica fosse ugualmente dura e forte.

Nel pomeriggio piovoso del giorno in cui arrivarono, Antonio e il Gordo attraversarono in barca il fiume Paraguaçu, che divideva in due la città. Nello sfondo si vedeva il ponte gigantesco. Il Gordo, nel frattempo, raccontava una delle sue storie. Il Gordo era nato poeta, e se avesse saputo leggere e scrivere avrebbe potuto guadagnarsi la vita componendo degli ABC e delle storie in versi. Ma il Gordo non era mai stato a scuola e gli bastava narrare, con la sua voce bassa e sonora, le cose che aveva sentito dire, le vecchie leggende che aveva udito in città e i racconti che inventava quando beveva. Se non fosse stato per la sua smania di mettere degli angeli dappertutto, in ogni storia e in ogni racconto, le sue narrazioni sarebbero riuscite migliori. Ma il Gordo era anche molto religioso.

La barca evitava gli scogli. Il fiume era in magra e diversi uomini con i pantaloni rimboccati e a torso nudo pescavano qualcosa da mangiare. Il Gordo raccontava:

- Allora Pedro Malazarte, che era un tipo astuto, disse a quell’uomo: «È una mandria enorme di porci... più di cinquecento... macché cinquecento... più di mille... duemila... tremila... tanti che non è possibile contarli...» L’altro, l’uomo che aveva in mano la pentola, vedeva soltanto le code conficcate in terra: un’infinità di code nere agitate dal vento. Quel movimento di code faceva davvero credere che ci fossero tanti porci, vivi, sprofondati nella terra. E Pedro Malazarte incalzava: «Questi porci sono fatati... Quando cacano esce denaro. E tutti biglietti da cinque milreis... Poi, quando sono più grossi escono solo biglietti da dieci milreis, e persino biglietti da un conto quando sono vecchi. Io ti do tutto questo per la tua pentola...»

- E l’uomo non si insospettì? - interruppe il barcaiolo.- No, l’uomo era uno sciocco e vedeva ormai dappertutto porci. Diede in cambio del branco di

maiali la pentola con la carne e i fagioli. Pedro Malazarte lo avvertì: «Lasciali dentro la terra fino a domani mattina. Da domani, usciranno e cominceranno a dare denaro». E l’uomo rimase ad aspettare che i maiali spuntassero fuori. Passò la sera, la notte, passò il giorno dopo e un altro giorno ancora, e anche oggi quel tipo è lì che aspetta... Se volete potete andare a vederlo...

Il barcaiolo rideva, Antonio Balduino voleva sentire ancora la storia della pentola. Gli piacevano i racconti di Pedro Malazarte, un bel birbante che sapeva ingannare gli altri e faceva una vita magnifica. Lo credeva vivo; pensava che girasse il mondo, che conoscesse le cose di tutti i paes i; infatti, perfino in cielo era stato Pedro Malazarte, per portare dei soldi al marito di una ricca vedova che faceva la fame in un alberguccio del paradiso. E Antonio avrebbe giurato che quell’uomo calvo incontrato alla Macumba di Jubiabá doveva essere Pedro Malazarte travestito. Quell’uomo non aveva percorso anche lui tutto il mondo e non aveva visto tutte le cose della terra?

- Credo che l’uomo calvo che venne alla Macumba di padre Jubiabá doveva essere Pedro Malazarte...- Chi? - il Gordo non si ricordava più di quell’uomo.- Quel giorno che Oxalà si prese Maria dos Reis...- Ah! Sì, sì, ricordo! Ma no. Quel bianco era un gran viaggiatore e scriveva ABC. Io conosco la sua

storia. Un giorno fuggì con un cavallo sauro dalla fattoria del padre, allevatore di cavalli, e percorse il mondo intero sul cavallo sauro, scrivendo gli ABC degli uomini più coraggiosi che aveva incontrato, delle donne più crudeli e corrotte che aveva visto...

- Scriverà anche il mio ABC.- Il tuo?- L’uomo più coraggioso che lui ha conosciuto è Antonio Balduino. Io batto tutti: lui stesso me lo ha

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detto.Il Gordo si mise a guardare l’amico. Antonio Balduino portava due pugnali sotto la camicia, uno per

fianco.La barca si arrestò sul fango della sponda.Dalle fabbriche viene quell’odore che intontisce. Gli uomini, che stavano pescando, ritornano a terra

e portano un po’ di pesce per il magro pranzo. Dalle fabbriche parte in quell’istante un fischio acuto, prolungato: è la fine della giornata di lavoro. Antonio Balduino è venuto a cercare tra le operaie delle fabbriche una donna, una mulatta da portare a fare all’amore. Si ferma in un angolo, ridendo ancora delle storielle del Gordo, e aspetta che passino le donne.

Ma ecco che escono: sono tristi e stanche. Sono intontite da quell’odore dolce di tabacco che è penetrato nelle loro mani, nelle loro vesti, nei loro corpi, nei loro sessi. Escono e non c’è un’ombra di gioia nei loro occhi. Sono molte, una fiumana di donne che paiono altrettante malate. Alcune fumano una sigaretta di cattiva qualità, dopo aver fabbricato sigarette di gran lusso. Quasi tutte masticano tabacco. Un tipo biondo chiacchiera con una piccola mulatta che non ha ancora perso i suoi colori nella fabbrica. Essa ride, mentre quello mormora:

- Ti farò stare meglio...Antonio Balduino dice al Gordo:- Quella è l’unica commestibile. Ma è già occupata.Le donne passano silenziose, come ubriacate dall’odore di tabacco, e imboccano vie strette dove

ormai è entrato il buio e infilano vicoletti senza fanali in fondo alla città. Procedono così, con aria triste, parlando a bassa voce, ancora sotto l’incubo della multa che pigliano tutte quelle sorprese a chiacchierare durante il lavoro. Una di loro è incinta, ha la pancia tesa in avanti. Si ferma, a un certo punto, e bacia un uomo che porta dei pesci in un cartoccio. Proseguono sottobraccio; lei gli racconta che ha preso una multa, perché si era fermata un momento in cui sentiva che la pancia le pesava e le doleva; poi, d’improvviso, esclama:

- E pensa i giorni che perderò quando avrò il bambino! Quanti giorni!...La sua voce è tragica, angosciata. L’uomo abbassa la testa e stringe i pugni. Antonio Balduino, che ha

udito, sputa.Il Gordo freme. Passano le donne delle fabbriche di sigarette. Intanto, si vedono dappertutto i

grandi cartelloni con la pubblicità dei tabacchi. Uno spaccio ha un gran tabellone con su scritto: «Le migliori sigarette del mondo - Per banchetti, pranzi, rinfreschi». Passano le donne che fabbricano le sigarette. Camminano con tanta tristezza che non si direbbe che vadano a casa, dal marito, dai figli. Il Gordo osserva:

- Sembra un funerale.La piccola mulatta, così graziosa, se ne va col tedesco. La donna incinta piange al braccio del marito.

All’albergo di Cachoeira, comodo ed elegante, alcuni ragazzoni tedeschi bevono whisky e mangiano cibi cucinati apposta per loro. Delle donne sono venute da Bahia per andare a letto con questi giovanotti biondi e simpatici. Sono i figli dei padroni di quelle fabbriche da dove sono uscite le donne smunte e tristi. Chiacchierano tra un bicchiere e l’altro: parlano di Hider e della salvezza della Germania, della prossima guerra mondiale che vinceranno. E quando l’alcool sarà arrivato alla testa cominceranno a cantare inni di guerra. Una bambina li interrompe e dice:

- Fate l’elemosina: mia madre sta per morire...Ma i biondi tedeschi non vedono la luna piena, che è uscita da dietro le colline e ora domina il fiume.

Sulle rive, gli uomini, i mariti delle operaie, cantano alla chitarra e le donne offrono i bambini alla luna:

Benedicilo, piccola e cara luna.Prendi questo pupetto per te

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e aiutami ad allevarlo.

Verso sera pioviggina: il barcaiolo si avvicina a Balduino e al Gordo:- Allora, amici. Non andate a mangiare un boccone?- Certo, andiamo.- Se volete mangiare là, in casa nostra. È mangiare di poveri. C’è solo pesce; ma un po’ si mangia; e

poi è offerto di cuore.Si rivolge al Gordo:- Vieni a raccontare una storia alla mia vecchia. Sta per arrivare dalla fabbrica. Ho cinque bambine e

due bambini...Sorride, in attesa della risposta. Entrano in un vicolo che finisce in una strada fangosa, che a

Balduino ricorda la collina del Capa Negro.Nelle case brilla la luce rossastra dei primus. I bambini, sulle porte, giocano a costruire fantocci e

animali col fango nero del marciapiedi.- È qui, - dice il barcaiolo.Le pareti della casetta sono nere di fumo. Un quadro del signore di Bonfim, una chitarra appesa al

muro. Un bambino dorme su un letto di tavole. Avrà tre mesi al massimo. Si è svegliato appena l’uomo l’ha baciato e ora stende le manine, ridendo con la boccuccia nera. Uno che a malapena cammina, si attacca alle sottane della madre. Ha già la pancia gonfia come gli altri che stanno costruendo pupazzi di terra, là fuori.

Il barcaiolo fa le presentazioni:- Sono due amici. Questo qua, - e indica il Gordo, - sa raccontare storie che sono una meraviglia.

Sentirai...La donna mastica tabacco. Ha le labbra sformate e una faccia gialla da malarica. Prende i pesci che le

ha portato il marito e va in cucina. Si sente la sua voce chiamare i figli.Antonio Balduino prende la chitarra. Il Gordo chiede:- È difficile qui la vita?- Aver lavoro è difficile. Qui trovano da fare soltanto le donne; gli uomini vanno a pesca o

guadagnano qualche soldo con le barche.- E le mogli guadagnano bene?- Macché. Niente. Poi ci sono le multe, le assenze per via dei figli, le malattie, e le donne diventano

presto vecchie, finite. La gente qui si consuma, caro mio.- È triste.- Triste? - l’uomo ride. - Si crepa di fame come se niente fosse. Quando una donna esce da una

fabbrica, non trova più lavoro da nessun’altra parte. C’è un’intesa tra le diverse fabbriche. E non sempre si pesca qualcosa.

Un ragazzetto negro se ne sta sulla porta, silenzioso. Approva col capo. Il Gordo si sente colpevole di aver avviato quel discorso così brutto:

- Dio vi aiuterà...- Dandoci magari altri malanni. Mia moglie si tiene questo quadro, ma io non ci credo più. L’ho già

provata la fame dura. Una notte non c’era da mangiare per la figlia più piccola, che era quella - addita una mulattina di cinque anni. - Dio si è scordato dei poveri...

La donna si affaccia sulla porta della cucina e sputa una saliva scura:- Non dire eresie. Dio ci castiga.Il ragazzo, sulla porta, osserva:- Ma nemmeno io ci credo più, in fondo. Solo si parla di Dio, qualche volta... Volete saperlo? Quel

cane di un tedesco si è buttato su Mariinha. Dice che la farà star meglio... Ma dov’è Dio?Il Gordo prega sottovoce. Chiede a Dio che non permetta che il tedesco si prenda Mariinha e che

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non manchi mai il cibo dalla tavola del barcaiolo. Antonio Balduino sa che il Gordo sta pregando e che è tutto inutile. Dice:

- Può essere un’eresia, cari miei. Ma il negro che è qui davanti a voi ha una sola vogli a: uccidere tutti i bianchi. Li ammazzerò tutti, non avrò pietà per nessuno.

Il pesce ormai è in tavola.Il ragazzo negro quella sera scomparve da casa e pochi mesi dopo venne condannato a trent’anni per

avere ucciso il tedesco che aveva lasciato Mariinha con un figlio in pancia e senza lavoro.Il mangiare è poco per tante bocche e i ragazzi ne chiedono sempre ancora. La luce rossastra del

primus ingigantisce le ombre.

Il Gordo ha raccontato la storia della pentola di Pedro Malazarte e i bambini si sono addormentati. Uno di loro stringe ancora nelle piccole mani un pupazzo di terra, mutilato di un braccio. In sogno, il pupazzo nero di terra è una bambola bionda di porcellana che dice «mamma» e chiude gli occhi per dormire.

Più tardi, Antonio e il Gordo escono dalla parte del fiume. Gli uomini cantano alla luna piena. Donne dalle vesti rattoppate passeggiano lungo gli argini. Il fiume scorre e scompare sotto il ponte.

Il Gordo canta la Cantiga do Vilela, la canzone di Vilela, che Antonio Balduino accompagna sulla chitarra. Gli uomini seguono attenti la storia della lotta eroica del bandito Vilela contro l’«alfiere negriero». Il racconto poetico è pieno di gesta eroiche. L’alfiere infatti era stato valoroso; ma più valoroso di lui era stato Vilela:

Bravo fu l’alfiere,tanto bravo che finì impiccato!Ma più bravo fu Vilela,Che morì, fu santo e si salvò!...

- Bello, - esclama uno.- Non ci verrai a dire che il bandito diventò santo, - interrompe una donnetta magra.- Ci son molti jagunços, molti banditi, che meriterebbero di essere fatti santi -. L’uomo che risponde

batte le dita sul parapetto del fiume. - Hai mai visto uno jagunço rubare a un poveraccio? Il bandito è povero come noi... A me piacciono i banditi.

- Faccio corna, vecchio mio! Come se non avessimo visto cosa hanno fatto al coronel18 Anastàcio... Lo lasciarono senza orecchie, senza naso, gli strapparono persino quegli affari... Sembrava, alla fine, un insetto schifoso, Dio mi perdoni.

Si mettono a ridere ricordandosi come era stato conciato il coronel. Ma quello che picchia le dita sul parapetto, dice:

- Ma non ti ricordi di quello che aveva fatto il coronel Anastàcio alle figlie di Simão, il monco? Erano quattro ragazze: non ne risparmiò nessuna. Se le pappò tutte. Il vecchio finì completamente pazzo... E se Simão ne avesse avute altre, il coronel le avrebbe prese tutte. Sono gli jagunços che vendicano i torti che ci tocca subire.

Poi si rivolge verso il Gordo:- Canta un’altra canzonetta, amico.Ma questa volta comincia a cantare Antonio Balduino, e canta sambas e canzonette che lasciano tristi

e melanconiche tutte le donne presenti.Le campane della chiesa suonano le nove.- Andiamo a ballare in casa di Fabricio, amici? - propone un negro robusto.Un gruppo si allontana. Gli altri si dirigono alle case o restano ancora un po’ a guardare la luna, il

18 Coronel: Grosso proprietario di terre o di piantagioni che, in genere, ha al suo servizio un gruppo di banditi (jagunços).

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fiume, il ponte: questo è il loro cinema.

Fabricio riceveva gli ospiti col bicchiere dell’acquavite in mano:- Prendete qualcosa?Tutti accettavano di bere e il bicchiere passava di bocca in bocca: era un bicchierone che Fabricio

colmava fino all’orlo.Il barcaiolo presentò Antonio Balduino e il Gordo:- Due amici.- Entrate. Entrate. La casa è degli amici, - e distribuiva grandi abbracci.Entrarono. Un mulatto dai baffetti suonava la fisarmonica. Le coppie giravano per la sala. Antonio

Balduino non riuscì a sentire il caratteristico odore dei negri. Anche lì, in quel rione lontano, il profumo dolciastro del tabacco dominava su tutto. Le coppie ballavano: l’uomo della fisarmonica si abbassava e si alzava, e quando il pezzo stava per finire era talmente elettrizzato che batteva i piedi in ritmo e persino danzava, urtando le coppie che gli passavano accanto.

Quando la musica smise, il barcaiolo gridò:- Amici, questo negro suona la chitarra come un dio e il grassone conosce delle storie bellissime.Antonio Balduino sussurrò al Gordo:- Ho l’impressione che qui mi becco qualche donna.Andò a bere acquavite con il padrone di casa e quando tornò in sala, dietro le ripetute richieste delle

negre, suonò sulla chitarra le sue migliori sambas, che il Gordo cantò. L’uomo della fisarmonica era irritato, ma non diceva niente. Quando finì Antonio Balduino gli disse:

- Andiamo a bere un sorso, amico? Tu suoni davvero bene.- Mi arrangio. Ma tu sì che sei in gamba.Quello indicò alcune donne ad Antonio Balduino:- Vedi, quella ci sta. La mia mulatta è una sua amica. Perché non ti metti con lei?L’uomo tornò a suonare la fisarmonica. Adesso, tutta la sala ballava. I piedi battevano sul pavimento,

le teste dei ballerini erano unite, i ventri si toccavano: erano tutti ubriachi, chi di acquavite, chi di musica. Gli uomini segnavano il tempo con le mani. I corpi si stringevano alla vita, poi si scioglievano, giravano su se stessi, da soli, e tornavano a scontrarsi, ventre contro ventre, sesso contro sesso.

- Così, tesoro...Il ritmo continuava, i suonatori erano in mezzo ai ballerini, tutta la sala era sottosopra, poi pendeva

da un lato, d’improvviso tornava ferma, normale, e subito dopo non c’era più, tutti si trovavano sul soffitto. I primus aumentavano la confusione. Anche le ombre danzavano: là sulle pareti: gigantesche, paurose. Il pavimento scompariva, i piedi non lo sentivano più, si sentiva solo il contatto dei corpi che dava un brivido di libidine. Le donne erano come di gomma, dimenavano tutto il corpo e pareva che si spezzassero: le anche si allargavano, le natiche si. agitavano da sole, come se avessero una vita propria, staccata dal corpo. Danzavano gli uomini, le donne, le ombre e la luce dei primus. Era sparita la sala, era sparita la luce, non si vedeva più niente. C’era rimasto solo il ritmo frenetico, l’odore dolciastro del tabacco e i ventri che si toccavano. Era scomparso anche il desiderio; tutto era scomparso; c’era soltanto la danza.

Antonio Balduino scrisse sulla rena del fiume un nome: Regina. La donna che gli stava accanto, illanguidita dalle fatiche d’amore, sorrise contenta e baciò il negro. Ma arrivò un’ondata leggera e cancellò il nome tracciato con la punta del pugnale. Antonio Balduino scoppiò nella sua solita risata, che lo scuoteva tutto. La donna si arrabbiò e si mise a piangere.

La piantagione di tabacco occupava tutta la collina e pareva non avesse mai fine. Cominciava in pianura, poi saliva il colle e spariva là dietro: era un campo verde, interminabile, di piante basse dalle foglie larghe.

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Il vento scuoteva le foglie e se non ci fosse stato, per ogni pianta un sacchetto di stoffa che li proteggeva, i semi di tabacco sarebbero andati a cadere in qualche spazio di terreno inutile.

Le donne che, curve, raccoglievano le foglie con gesti stanchi, drizzarono il busto e si stirarono. Furono le ultime a lasciare il lavoro; una di loro era vecchia e rugosa, un’altra, invece, che fumava una sigarettaccia da pochi soldi, era una donnona giovane e forte. Gli uomini si erano già avviati e parevano tutti gobbi. Portavano mucchi di' foglie di tabacco che avrebbero appese davanti alla porta di casa, per difenderle dal sole troppo forte o dalla pioggia. Le foglie già secche venivano sostituite con foglie fresche che formavano una specie di cortina davanti alle case dei lavoratori.

Quattro di quelle case, chiuse in quadrato, delimitavano uno spiazzo dove gli uomini si riunivano per chiacchierare e suonare la chitarra. La vecchia entrò in una di quelle case, e là trovò il marito, che stava accoccolato dinanzi al fuoco a cuocere i fagioli, cioè a sorvegliarne il grado di cottura. Quella pili giovane rimase a chiacchierare con gli uomini raccolti sulla «piazza»: così, infatti, veniva chiamato il quadrato di terra tra le quattro case.

Il Gordo pensava rattristato alla nonna e diceva:- È rimasta sola, sola con Dio. Chi le darà da mangiare?- Sta’ tranquillo, che non morirà di fame.- Non voglio dir questo, - il Gordo si confondeva. - Dicevo che...La donna si appoggiò alla sedia per ascoltare meglio:- Ma di chi parlate?- Non sai? È vecchia sfinita. Mangia solo se glielo metti in bocca...La donna rise, gli uomini lo presero in giro:- Ma non sarà, per caso, la tua mulatta? Questo di metterle la roba in bocca... È bella?- Giuro che è mia nonna. Lo giuro... Non ha più denti e ha avuto un colpo...Arrivava altra gente. Antonio Balduino si distese nel mezzo dello spiazzo, col ventre nudo rivolto al

cielo:- Sono proprio stanco.Il Gordo gli domandò:- Non è vero che ho una nonna? È vero che non mangia se non le metto il cibo in bocca?Gli uomini ridevano. La ragazza interruppe:- Tua moglie è così vecchia, Gordo, che la chiami nonna?Le risate di tutti aumentarono l’impaccio e la confusione del Gordo:- Lo giuro. Lo giuro, - e si baciava le dita messe in croce.- Falla venire qui, Gordo. Ci penso io a metterle qualcosa in bocca, me la sposo io...- È mia nonna, lo giuro.- Non fa niente. Anche se è vecchia, va bene lo stesso...Antonio Balduino si alzò su un braccio:- Ho l’impressione che voi siete un branco di bestie... Sì, è vero: il Gordo ha una nonna. E anche un

angelo custode. Lui ha cose che non ha nessuno... Il Gordo è buono, voi non lo sapete!Il Gordo era impacciato. Gli uomini ora stavano zitti e la ragazza guardava con aria sorpresa.- Il Gordo è buono, e voi siete cattivi. Il Gordo...Antonio s’interruppe per guardare le piantagioni di tabacco che si stendevano a perdita d’occhio.Ricardo mormorò:- Anche vecchia, io l’avrei assaggiata lo stesso...Ma la donna prima di rientrare a casa, si avvicinò al Gordo e chiese:- Vuoi pregare per me? Prega invece il tuo angelo che dia un po’ di soldi a te e ad Antonio per farvi

andare alle piantagioni di cacao -. Guardò le foglie di tabacco. - Là, sì, ci sono tanti soldi da farne una montagna!

Ricardo disse:

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- Quest’anno il lavoro è pesante. Il raccolto è buono e Zequinha non prende più nessuno. Non so come ha fatto a prendere voi due...

- Eravamo mezzo morti di fame a Cachoeira. Per questo siamo venuti.- Per guadagnare venti soldi al giorno...Un asino ragliò, nella campagna. Antonio Balduino disse al vecchio che usciva di casa, masticando:- Saluta tuo padre, vecchio, che ti chiama...- E tu non chiedi la benedizione a tuo nonno? Bada che io ho conosciuto tua madre...Risero. Antonio Balduino abbassò la voce:- Lascia stare: la Totonha è un bel pezzo di...- Mettiti con lei e te ne accorgerai. Lui ha quattro morti sulla coscienza. Non scherza davvero, e non

sbaglia davvero la mira...- Io so solo che non ne posso più. Due mesi senza una donna...Il vecchio scoppiò a ridere. Ricardo lo guardò con rabbia:- Tu ridi perché sei sposato. Tanto una donna ce l’hai. Può essere una vecchia suola di scarpa, ma è

una donna... E io? È quasi un anno che non vedo una femmina sul letto!- Non rido per questo. Quando son venuto da queste parti a raccogliere tabacco era proprio così

come oggi. Io strinsi la cinghia, rimasi a digiuno, finché non presi la Celeste che era quasi una bambina... Oggi, è una scarpa vecchia, ma allora era una tentazione. E le saltai addosso come un falco sulla preda... Tutti avevano paura del vecchio João, che era terribile. Aveva detto che se un negro gli avesse preso la figlia l’avrebbe ammazzato come un cane. Ma, ragazzi, io non sentivo odore di donna da due anni... Pensai che morire era una sciocchezza, si muore solo quando è arrivato il momento. Una sera piovigginosa, chiamai la Celeste per fare due chiacchiere con lei. Il vecchio era in casa e puliva la carabina. Parlò anche con me, ridemmo... Io, che non avevo avuto mai paura, ne ebbi allora. Ma Celeste stava uscendo, e io non resistetti. In un bosco là vicino, la presi...

Gli uomini ascoltavano a occhi bassi. Antonio Balduino raschiava la terra col pugnale. Ricardo si strofinava le mani, impaziente. Il vecchio riprese:

- Da due anni non sapevo che cosa fosse una donna.Lei rimase con tutte le vesti strappate. Io fuggii per quel bosco di Dio, aspettando che il vecchio mi

uccidesse.- E poi?- Il giorno dopo presi coraggio e andai a parlare col vecchio Joao. Stava pulendo la carabina, e

quando mi vide posò quell’affare sul pavimento. Sapevo che mi avrebbe ammazzato, ma volevo tornare con Celeste. Mi avvicinai e gli dissi tutto. Gli dissi che volevo sposarmi, che ero onesto e buon lavoratore... A questo punto il vecchio mi fece la faccia dura, e io pensai che la mia ora era arrivata. E lui, invece, niente. Disse solo: «Doveva capitare. Qui non c’è una donna e l’uomo ha bisogno di donne. Pòrtatela a casa, ma sposala». Io non credevo alle mie orecchie e João aggiunse: «Mi è piaciuto che sei venuto a raccontarmi tutto. Hai agito da uomo». Chiamò Celeste e le ordinò di venire con me. Riprese a pulire la carabina. Ma giuro: quando me ne andai, lui piangeva.

Gli uomini rimasero muti. Il vento agitava le piante di tabacco, le larghe foglie facevano pensare a strani sessi di donna. Ricardo ingoiò a fatica e disse:

- Non so come si possa lavorare senza avere una donna. Qui ci sono solo due donne sposate.- E la figlia di Laura?- Io la sposerei, se volesse... - disse Ricardo.Antonio Balduino piantò il pugnale in terra. Un negro, un tipo alto, affermò:- Un giorno la prenderò io, voglia o non voglia.- Ma è una bambina di dodici anni, - disse il Gordo, spaventato.I monti là dietro erano coperti di nebbia. La ferrovia passava laggiù, lontano. Di tanto in tanto un

treno fischiava, e ai finestrini le donne salutavano colla mano. La strada era percorsa da uomini che

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portavano sacchi di frutta ai mercati, che conducevano asini carichi di merce, o buoi da vendere a Feira de Sant’Ana. Uno si accomodava sulle spalle il sacco enorme con le mani callose; un altro frustava l’asino o spronava i buoi; e i vaccari ripetevano con tono mesto, quasi cantando:

- Ouuuuuuuuuuu booiiiiiiiii...Le mani si tendevano verso la terra: mani grandi e callose che coglievano foglie profumate di

tabacco. Le mani si abbassavano e si alzavano con un ritmo sempre uguale. Pareva una folla in preghiera. Quel lavoro provocava un dolore alle spalle, un dolore sottile e continuo che si prolungava nella notte, atroce. Zequinha andava su e giù sorvegliando il lavoro, dando ordini, sgridando. Montagne di foglie di tabacco venivano raccolte, e, quando cadeva la sera, quelle mani avevano guadagnato venti soldi che non toccavano neppure, perché dovevano sempre al padrone somme imprecisate.

Le mani, mani callose e sporche, si agitavano per salutare i treni, che passavano fischiando.

Nella casa di fango e paglia abitavano in quattro: Ricardo, il negro Filomeno, Antonio Balduino e il Gordo. Filomeno - quando apriva bocca - parlava solo di fucilate e di morti, ma in genere stava zitto e ascoltava. Ricardo aveva incollato alla parete, sopra le tavole dove dormiva, la foto di una attrice del cinema, tutta nuda, cioè coperta solo con un ventaglio che le nascondeva appena il sesso. Aveva attaccato la fotografia alla parete con molta cura. Gliela aveva data il figlio del padrone, circa tre anni prima, quando era venuto nella fattoria. Ricardo sistemava la lanterna in modo tale che la luce rossastra cadesse in pieno sull’attrice, la quale, così nuda, sembrava un invito provocante. Il Gordo sopra il letto teneva un santo, che aveva «scambiato» con cinquecento reis durante le feste di Bonfim. Antonio Balduino metteva ai piedi del suo giaciglio l’amuleto che gli aveva regalato Jubiabá e i pugnali che portava sempre alla cintura. Il negro Filomeno, sul letto, non aveva niente.

Dopo mangiato si riunivano sullo spiazzo e poiché non avevano né cinema, né teatro, né caffè, suonavano la chitarra e cantavano a gara. Le mani rudi dei negri traevano dalle corde suoni che empivano di allegria e di tristezza tutti i contadini delle piantagioni di tabacco. Cantavano canti tristi e sambas allegre. Nella gara, Ricardo era molto bravo: le sue mani sfioravano le corde della chitarra e non erano più quelle mani callose che maneggiavano la vanga e la terra. Erano mani d’artista, veloci e sicure, che narravano all’animo degli uomini storie d’amore e di lotta. Le mani, dopo aver dato il pane, offrivano allegria alla terra senza donne. Le chitarre strimpellavano tutta la notte; e questo era il cinema, il teatro, il caffè. Le mani, rapide, correvano sulle corde e la musica si diffondeva per le piantagioni di tabacco, che, alla luce della luna, assumevano un aspetto singolare.

Quando il silenzio calava su tutte le cose, quando non si udivano più gli accordi delle chitarre e gli uomini riposavano nei loro giacigli, e le luci erano tutte spente, Ricardo guardava la fotografia dell’attrice nuda che aveva un ventaglio che la copriva davanti. La fissava a lungo, e, alla fine, la donna si muoveva davanti ai suoi occhi. Eccola qui: ora lei è vestita, e lui e lei non sono più in una piantagione di tabacco. Si trovano in una grande città, una città che Ricardo non ha mai visto e conosciuto, una città tutta illuminata, piena di automobili e di grandi viali, più estesa di Cachoeira e di São Felix messe insieme. Forse è Bahia o forse anche Rio de Janeiro. Passano donne bionde e brune, e tutte sorridono a Ricardo che è molto elegante, indossa un abito di lana e un paio di scarpe gialle come quelle viste una volta in una bottega di Feira de Sant’Ana. Le donne ridono e tutte lo vorrebbero, ma lui sta insieme all’attrice che ha conosciuto in un teatro e che ora tiene tanto stretta a sé che i seni di lei gli sfiorano il petto. Insieme, vanno a cenare in un ristorante di lusso, pieno di donne scollate, un ristorante dove si bevono vini pregiati. Ricardo ha già baciato più volte la donna, la quale, naturalmente, lo ama con tutto il cuore, visto che gli permette di stringerle i seni e di alzarle, di sotto la tavola, il vestito di seta. Ma ora, l’attrice è tornata nella foto, con il ventaglio sul sesso, perché il giaciglio fa molto rumore e Antonio Balduino, all’altro capo della stanza, si è mosso sulle tavole dove sta coricato. Ricardo attende con ira che tutto torni tranquillo. Si tira la logora coperta fin sul mento. E torna con la donna al ristorante per

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prendere, subito dopo, un’auto che li porta in una stanza con tanto di letto e profumi. Là lui le toglie le vesti lentamente, gustando uno a uno tutti i suoi incanti. Poco gli importa adesso che il letto scricchioli e che Antonio Balduino si muova sul letto. Non è, non è la sua mano callosa che stringe il suo membro; ma è il sesso candido della attrice bionda che non ha più né vestito né ventaglio e ama Ricardo, lavoratore delle piantagioni di tabacco. Si svegli pure chi vuole, ché tanto lui fa soltanto l’amore con una donna bella, dal seno sodo, dal ventre rotondo. La sua mano è una donna.

L’attrice ritorna al suo posto, col sesso coperto dal ventaglio. Fuori brilla la luce di un primus che illumina le piantagioni di tabacco. Ricardo posa il capo sulle tavole del suo giaciglio e si addormenta.

Una domenica Ricardo disse che sarebbe andato a pescare al fiume. Aveva comprato una bomba e con quella sperava di ammazzare molti pesci. Invitò gli amici. Solo il Gordo l’accompagnò. Chiacchierarono per tutta la strada. Sulla riva del fiume, Ricardo si tolse la camicia e il Gordo si sdraiò sull’erba. Le piantagioni di tabacco si stendevano alle loro spalle. Laggiù passava un treno. Ricardo preparò la bomba e accese la miccia. Sorrideva. Tese le mani davanti a sé, ma non fece in tempo a lanciare la bomba, che questa gli scoppiò tra le mani e gli spezzò mani e braccia, arrossando di sangue l’acqua del fiume. Ricardo si guardò i moncherini ed era come se si fosse suicidato.

La veglia.

Arminda, la figlia di Laura, che alla fine del lavoro portava in giro per i campi la fanciullezza dei suoi dodici anni, non corre più e lavora con il viso afflitto, abbattuto. Una volta ha persino chiesto a Zequinha il permesso di tornare a casa. Da una settimana, Laura è distesa sul letto, e una malattia misteriosa l’ha gonfiata tutta. Prima, Arminda era allegra e faceva il bagno nel fiume, nuotando come un pesce, e gli uomini si eccitavano alla vista del suo corpo di bambina. Adesso, può solo lavorare, perché se non lavora muore di fame.

Martedì non si è presentata nemmeno al lavoro. Totonha, che veniva dalla casa dell’ammalata, comunicò a tutti:

- La vecchia ha tirato le gambe.Gli uomini sospesero per un momento il lavoro. Uno disse:- Era vecchia, ormai.- Si è gonfiata come un bue. Fa quasi paura vederla.- Che malattia strana.- Nessuno mi leva dalla testa che è stato uno spirito maligno...Stava arrivando Zequinha. Gli uomini si chinarono di nuovo sulle foglie di tabacco. Totonha parlò

con Zequinha, poi avvertì gli altri:- Vado un po’ con la bambina. Stanotte veglieremo la morta.Il negro Filomeno confidò ad Antonio Balduino:- Che cosa darei per stare un po’ solo con lei, che Dio ci assista...Il Gordo bevve un sorso di acquavite perché aveva molta paura dei morti. E, mentre mangiavano,

rievocarono la storia di altri morti da loro conosciuti, di altre malattie mortali. Il negro Filomeno non parlava. Aveva in mente un suo piano. Pensava ad Arminda, alla freschezza delle sue giovani carni.

Sembrava che le luci si muovessero, camminassero. Una luce vacillante mandava bagliori nella casa di paglia e di fango. Non si vedevano le persone. Si vedeva solo quella luce rossastra, che tremolava e si spostava come un’anima in pena. Sulla porta, Totonha riceveva la gente che veniva a vegliare la morta. Distribuiva abbracci e riceveva condoglianze come fosse stata parente di Laura. Aveva gli occhi umidi e raccontava le sofferenze della morta:

- Poveretta, strillava tanto. E poi quella malattia maledetta...- Per me quello era uno spirito maligno.

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- Aveva cominciato a gonfiarsi, a gonfiarsi e il ventre le era diventato grosso e sembrava bruciato...- Adesso finalmente ha un po’ di riposo.Una donna si fece il segno della croce. Il negro Filomeno chiese:- E Arminda?- È là che piange. Poverina, non ha più nessuno al mondo.Offrì un po’ di acquavite e tutti l’accettarono.Nell’unica stanza della casa due panche erano state collocate lungo una parete. Alcuni uomini e

alcune donne, scalzi e a testa scoperta, vegliavano la morta. Dall’altro lato della stanza, su una vecchia sedia, sedeva Arminda piangendo un pianto senza lacrime, rotto da alti singhiozzi. Aveva sugli occhi un fazzoletto rosso. Gli ultimi arrivati le si avvicinarono e le strinsero la mano, ma lei nemmeno si muoveva. E non diceva una parola.

Al centro della stanza, steso sopra un tavolo che di solito serviva da letto e insieme da tavolo da pranzo, giaceva il cadavere, gonfio che pareva dovesse scoppiare da un minuto all’altro. Una coperta di cotone, a grandi fiori gialli e verdi, copriva il corpo della vecchia e lasciava scoperti il viso rugoso con la bocca storta e i piedi enormi e piatti dalle dita aperte. Gli uomini, passandole davanti, guardavano il volto della vecchia, e le donne si segnavano. Una candela era stata messa vicino alla testa della morta e mandava la sua luce fioca sul viso immoto, ancora teso in una smorfia di sofferenza. E quegli occhi immobili parevano fissare gli uomini e le donne che se ne stavano seduti sulle panche e bisbigliavano. Una bottiglia di acquavite passò di mano in mano. Bevevano tutti a grandi sorsate direttamente alla bottiglia. Due uomini uscirono per fumare un po’ là fuori. Zequinha arrivò anche lui e passò la mano sul capo di Arminda. Allora cominciarono le preghiere, intonate dal Gordo:

- Accogli, Signore, questa povera anima.I presenti rispondevano in coro:- Pregate per lei.La bottiglia di acquavite passava di mano in mano. Tutti bevevano a garganella. La candela

illuminava il viso della morta, che diventava sempre più gonfio. Il coro si levava alto come un lamento:- Pregate per lei.A un tratto Antonio Balduino alza gli occhi e guarda Arminda. La ragazza sta piangendo, all’altro

angolo della stanza. Ma il viso gonfio della morta non permette ad Antonio di vederla bene.Anche il negro Filomeno guarda la piccola orfana. Antonio Balduino si accorge che gli occhi del

negro sono fissi sul seno della ragazza, che si alza e si abbassa nei singhiozzi. Antonio Balduino ha un attimo di rabbia. Sussurra al vicino:

- Quel negro miserabile non ha rispetto nemmeno per i morti.Ma anche lui guarda il petto di Arminda che si muove sotto la veste. D’un tratto, il negro Filomeno

stacca gli occhi dal corpo di Arminda e guarda la gente che è nella stanza. Ha paura: tutti se ne possono accorgere. «Di che cosa avrà timore il negro Filomeno?» pensa Antonio Balduino. E subito guarda, quasi sorridendo, la scollatura della veste di Arminda. La luce della lanterna arriva dove comincia il seno. Sembra che voglia entrare... Sì, la luce del primus vorrebbe penetrare tra le mammelle di Arminda come una mano. Ora è sul punto di entrare... Antonio Balduino segue la luce con gli occhi accesi. Ecco, forse la luce è riuscita a infilarsi nella scollatura. E, certo, adesso sta frugando tra le mammelle che si alzano e si abbassano. Antonio Balduino sorride e mormora appena:

- È riuscita a entrare, birbona!Ma subito distoglie, anche lui, lo sguardo e si sente tremare tutto. Non è forse vero che la morta lo

ha fissato con occhi sbarrati, in una espressione di odio? Antonio Balduino guarda in terra, si osserva le grosse mani, ma sente che lo sguardo irato della defunta non lo abbandona. E pensa:

«Perché questo diavolo di vecchia non sta attenta a quel farabutto di Filomeno che vuole prendersi sua figlia?»

Però gli viene in mente che anche lui ha cattive intenzioni, e subito sfugge allo sguardo della vecchia.

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Osserva il Gordo, il quale apre e chiude la bocca cantando le preghiere dei defunti.Prova a seguire col pensiero e con lo sguardo solo una mosca, che potrebbe, da un momento

all’altro, entrare nella bocca del Gordo. Ma la morta continua a fissarlo mentre Filomeno volge gli occhi al seno di Arminda.

- Diavolo di una vecchia, che ancora si preoccupa della figlia! È morta da poco e già...- Cosa? - fa il vicino.- Niente, non ho fiatato.Il Gordo canta. Antonio Balduino ripete con gli altri:- Pregate per lei.Quella mosca forse riesce a entrare davvero nella bocca del Gordo. E quasi c’è entrata, ma il Gordo

adesso ha chiuso la bocca. Ritenta. Si ferma sul naso. Aspetta che il Gordo riapra la bocca. Ecco: è ora! Ma la mosca ha spiccato il volo e si è andata a posare su Arminda, dall’altra parte. Il negro Filomeno si dimena sulla sedia. Antonio Balduino cerca di immaginarsi come saranno le mammelle di Arminda senza il vestito. Osserva i grossi capezzoli che si delineano sulla stoffa. La mosca si è fermata proprio su un capezzolo, sul sinistro. «La ragazza non porta reggipetto: si vede subito. Il suo seno dev’essere duro e carnoso. Ma perché piange?» pensa Antonio Balduino. Ha grandi occhi, lunghe ciglia. Tutto scosso dai singhiozzi, il seno sembra quasi balzar fuori dalle vesti. Anche la mosca è dovuta fuggire. È andata a posarsi sul viso della morta. Come si è gonfiata la vecchia! Quasi non ci sta più sulla tavola. Il viso è diventato enorme, la pelle verdastra e gli occhi sgranati. Ma perché guarda così Antonio Balduino? Lui che cos’ha fatto di male? Ora lui non guarda neppure Arminda, e il negro Filomeno, invece, non le toglie gli occhi di dosso. Perché allora la morta non lo lascia in pace, non smette di ossessionarlo, e non guarda altrove? Come si è gonfiata, come si è deformata! La mosca gira sul naso della vecchia. Saranno gocce di sudore quelle che brillano sulla sua faccia? Certo, la morta ha bisogno di preghiere. E Antonio Balduino, invece di pregare con gli altri, pensa solo a guardare la figlia. Infine il negro entra nel coro:

- Pregate per lei.È contento di aver gridato tanto forte da spaventare Filomeno, il quale ha ripetuto in ritardo il solito:- Pregate per lei.Infatti, la preghiera nel frattempo era cambiata. Il Gordo stava già recitando qualcos’altro. La

bottiglia di acquavite di nuovo passa di mano in mano. Antonio Balduino ne beve un bel sorso e sbircia dalla parte di Arminda. Ma la morta glielo impedisce. Si è gonfiata a tal punto che quando Balduino guarda nell’altro angolo della stanza riesce a vedere solo metà del viso di Arminda. Vede bene, vede benissimo, invece, gli occhi della morta che lo seguono con odio. Forse ha indovinato che lui sta per chiedere ad Arminda un po’ d’acqua per andare fuori con lei e per poterla baciare e stringere tra le braccia? I morti sanno tutto. Ed essa già lo sa, certamente, e non lo lascia più in pace. Antonio osserva il viso orrendo della vecchia morta: non ha mai visto una faccia come quella. Il viso di Arminda, invece è piacente, allegro. Anche adesso che piange, il suo viso è allegro. Perché esistono, nel mondo, persone di questo genere? Il volto della morta è verde e cosparso di gocce di sudore. Sembra tutto molle e vischioso. Antonio Balduino si stropiccia le mani come per liberarsi da quella impressione. Guarda il soffitto, ma si sente gli occhi della morta addosso. Rimane così a osservare a lungo le travi e le tegole nere. Poi, di colpo, abbassa gli occhi e sbircia il seno di Arminda. Sorride soddisfatto: gliel’ha fatta, alla vecchia! Eppure, adesso è peggio, molto peggio: la morta ha la bocca storta dalla rabbia, e gli occhi le escono sempre più dalla testa. Ha una mosca posata sulla bocca. Sembra la punta di una sigaretta spenta, nera di saliva. Antonio Balduino si sforza di stare dietro alle preghiere. E quando immagina che la morta non lo guardi più, apre la bocca per chiedere un po’ d’acqua ad Arminda. Ma ci sono sempre, davanti a lui, gli occhi della morta che hanno un’aria di sfida. Riprende a pregare. E a bere acquavite. Quante volte gli è stata passata la bottiglia? Ormai sarà quasi finita. Quante ce ne saranno ancora da sturare? Durante le veglie si consuma molta acquavite. Ecco: adesso la morta non lo guarda più; Antonio Balduino si alza piano, gira attorno al tavolo su cui giace il cadavere, e tocca Arminda sulla

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spalla:- Mi vieni a dare un po’ d’acqua?La ragazza si alza. Si dirigono in fondo al cortile dove c’è una tinozza con l’acqua e una brocca.

Arminda si china per riempire la brocca e dalla scollatura Antonio Balduino le vede il seno nudo. L’afferra, allora, per le braccia, e la fa girare violentemente per averla davanti a sé, ancora tutta spaventata. Ma Antonio non vede altro che quella bocca e quei seni che gli sono dinanzi. Sta per abbracciarla e per avvicinare la sua alla bocca di Arminda, che ancora non capisce, quand’ecco gli appaiono gli occhi della morta che vengono a mettersi in mezzo a loro due. La vecchia Laura si è levata dal suo tavolo per raggiungerli. E così continua a difendere la figlia. I morti sanno tutto e la vecchia già conosceva le intenzioni di Antonio Balduino. Ora è qui e fissa severa il negro. Antonio lascia subito Arminda, si porta le mani agli occhi, rovescia la brocca con l’acqua e si precipita nella stanza come un cieco. La morta, sul tavolo, si è gonfiata ancora. Il negro Filomeno ride perché ha finalmente capito quali erano le intenzioni nascoste di Antonio Balduino quando aveva chiesto l’acqua. Lui farà certamente la stessa cosa. «Che bestia, - pensa Balduino, - quello crede di riuscire a combinare qualcosa: quando sarà lì troverà la morta che lo guarderà fisso. La morta sa ogni cosa, indovina ogni cosa» . Invece, gli occhi della vecchia non perseguitano Filomeno. Essa permetterà davvero che quello sporcaccione metta le mani su Arminda? Il negro si è alzato ed è andato a chiedere un po’ d’acqua ad Arminda; e la morta non si muove, non protesta. Antonio Balduino mormora verso quella faccia impassibile:

- Ehi! Ehi! Non lo vedi? Non lo vedi? Bada: quel negro è un birbante!Ma la morta non raccoglie l’avvertimento. Pare quasi che stia ridendo: si ode un piccolo rumore là

dietro. Arminda rientra nella stanza e ora piange un pianto diverso. Ha il vestito tutto spiegazzato sul petto. Il negro Filomeno viene avanti sorridente. Antonio Balduino si torce le mani con rabbia, si alza e dice forte al Gordo:

- Non avevi detto che è solo una bambina di dodici anni? E allora? Perché allora la vecchia non si è mossa?

Zequinha commenta:- È ubriaco...Qualcuno chiude gli occhi alla morta.

La fuga.

Alla cintura, sotto il camiciotto, Antonio Balduino porta sempre due pugnali.Zequinha gli si è buttato addosso con la falce in mano. Si sono afferrati e sono rotolati nella terra

dura della strada. Nel cadere, a Zequinha è sfuggita di mano la falce. Quando si è rialzato per gettarsi nuovamente su Antonio Balduino ha visto il pugnale nella mano del negro. Si è fermato indeciso. Ha calcolato lo slancio. Poi ha fatto un salto. Antonio Balduino è indietreggiato, e dalla mano gli è caduto il pugnale. Zequinha ha riso con gli occhi e, fulmineo come un gatto, si è chinato a raccogliere l’arma del nemico. Ma mentre si chinava, Antonio Balduino ha sfoderato l’altro pugnale e lo ha conficcato nella schiena di Zequinha. Antonio Balduino porta sempre alla cintura due pugnali... E la sua risata spaventa gli uomini più della lotta, più di un colpo di pugnale, più del sangue.

Era notte, e il negro ha potuto raggiungere il bosco.Adesso si apre la via nel fitto della macchia. Corre tra i rami e gli arbusti che si richiudono alle sue

spalle. Da tre ore, ormai, corre così, come un cane inseguito da ragazzucci di strada. Nel silenzio del bosco, si odono i grilli. Antonio corre senza una direzione; corre, smarrito, attraverso il bosco, con i piedi doloranti, sempre lontano dai sentieri, ferendosi tra le spine. I suoi pantaloni di tela sono completamente strappati. Non si è neppure accorto quando gli è accaduto. Il bosco infinito si stende

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dinanzi a lui. Nel buio, non vede niente. Ora si ferma: sente rumore di rami spezzati. Chi sarà? Lo hanno raggiunto? Sta pronto, con la mano sul pugnale: unica arma che gli rimane. Si è nascosto dietro un albero, lì è difficile che lo scoprano. Sorride al pensiero che il primo inseguitore che gli capiterà sottomano finirà male. Ha pronto il pugnale. Ed ecco, veloce come un’apparizione, gli passa davanti un abitante di quei boschi. Che animale sarà mai stato? Prosegue nel cammino, aprendosi la via con le mani. Dal viso gli esce sangue. Il bosco è implacabile con quelli che lo violano. Una spina ha graffiato il viso di Antonio Balduino. Ma egli non vede, non sente niente. Sa solo che ha lasciato un uomo lungo disteso laggiù nelle piantagioni di tabacco. E nella schiena di quest’uomo c’era conficcato un pugnale ch’era suo, che era stato maneggiato dalla sua mano. Antonio Balduino non prova rimorso per quello che ha fatto. Tutta la colpa è di Zequinha. È lui che ha provocato la rissa. Lo aveva sempre perseguitato e irritato tanto. Un giorno o l’altro doveva finire così. E se non fosse venuto avanti con la falce in mano, Antonio Balduino non avrebbe estratto il pugnale.

Più avanti, il bosco si fa più rado. Attraverso le foglie il negro vede brillare le stelle. Il cielo è limpido, ed è percorso da banchi di nuvole candide. Se avesse qui, vicino a sé, una mulatta, Antonio Balduino le direbbe che i suoi denti sono come le nuvole bianche del cielo. Si ferma a contemplare il cielo della notte stellata. Si siede. È in mezzo a una radura e non si ricorda più della lite. Se ci fosse Maria dos Reis... Ma Maria dos Reis se n’è andata, con una famiglia, a São Luìs do Maranhão. Se n’è andata per mare, sopra un bastimento nero pieno di luci. Se fosse qui, si amerebbero nel silenzio del bosco. Il negro guarda le stelle. Chissà, forse Maria dos Reis guarda in questo momento, come lui, le medesime stelle. «Le stelle ci sono dappertutto: ma saranno poi proprio le stesse?» pensa Antonio Balduino. Maria dos Reis vede quelle stelle e anche Lindinalva. Antonio, quando pensa a Lindinalva, prova un sentimento confuso di rabbia. Perché pensa a lei? Lei è bianca, sulla faccia ha le lentiggini, e non è fatta per un negro come lui. È meglio pensare a Zequinha, steso a terra, con un pugnale conficcato nella schiena, piuttosto che pensare a Lindinalva che odia i negri. Se sapesse che lui è l ì fuggiasco, andrebbe certamente a dirlo alla polizia. Maria dos Reis lo nasconderebbe, Lindinalva no. Antonio Balduino dischiude in un sorriso le grosse labbra, pensando che Lindinalva non sa niente e non potrà mai denunciarlo. S’irrita contro le stelle che lo fanno pensare a Lindinalva. Viriato il Nano odiava le stelle. Una volta glielo aveva detto. Quando? Antonio Balduino non se ne ricordava. Viriato non parlava d’altro che di quella sua tristezza di sentirsi sempre solo; un giorno aveva preso il cammino del mare, come quel vecchio che era stato ripescato una sera in cui gli uomini del porto caricavano un mercantile svedese. Viriato avrà scoperto la sua strada, avrà trovato la sua casa? Il Gordo dice che chi si ammazza va subito all’inferno. Ma il Gordo è mezzo matto, non sa quello che dice. Antonio Balduino sente la mancanza del Gordo. Il Gordo ancora non sa niente, non sa che lui ha ucciso Zequinha con una pugnalata alla schiena. Da quindici giorni il Gordo era andato via, pieno di nostalgia per la nonna che non aveva, a Bahia, chi le desse da mangiare e la imboccasse. Il Gordo è molto buono, non è capace di dare una pugnalata a nessuno. Non è uno di quelli che attaccano lite e lottano. Antonio Balduino ricorda benissimo i giorni della loro infanzia, passati a mendicare per le strade di Bahia. Il Gordo sapeva chiedere l’elemosina come nessun altro. Ma non valeva niente quando si trattava di menar le mani. Filippo il Bello lo prendeva in giro. Filippo era veramente molto bello. Quando, il giorno del suo compleanno, morì sotto l’automobile, tutti piansero. E il suo funerale sembrò quello di un ricco signore. Le donne della Rua de Baixo portarono tutte dei fiori. Una vecchia francese piangeva: era la madre di Filippo. L’avevano rivestito di un elegante abito di lana e gli avevano messo una cravatta nuova. Filippo doveva essere rimasto contento. Era un tipo sempre azzimato; gli piacevano le belle cravatte. Antonio Balduino una volta dovette attaccare lite a causa sua. Adesso, ripensandoci, sorride. Era stata una magnifica lezione quella che lui aveva dato allo Sdentato. Anche lo Sdentato gli si era buttato addosso con un coltello, mentre lui non aveva tirato fuori nessuna arma. Contro Zequinha, invece, aveva adoperato il pugnale. Antonio si accorge, ora, che la persona di Zequinha non gli era mai piaciuta, che quella faccia gli era stata antipatica fin dal primo momento. E se non lo avesse fatto lui, un

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altro gli avrebbe dato quella pugnalata. Anche il negro Filomeno odiava a morte Zequinha. E tutto, sempre, a causa di Arminda. Perché Zequinha si era messo con lei? Loro erano arrivati prima. La notte della veglia, Antonio Balduino non se l’era portata a casa, soltanto perché la morta non smetteva di perseguitarlo con quegli occhi gonfi.

E il negro Filomeno forse non le aveva tastato le mammelle? Perché, allora, Zequinha si era fatto avanti lui e aveva portato via la bambina? Era, infatti, una bambina di dodici anni, il Gordo l’aveva sempre detto. E il Gordo diceva anche che. non era ancora una donna, e che prenderla era un delitto. Zequinha, invece, l’aveva presa; e si meritava, dunque, la pugnalata... È vero che se non era Zequinha, l’avrebbe presa il negro Filomeno o lui stesso, Antonio Balduino. Sì, Antonio Balduino sa benissimo che non è per questa ragione che lui ha piantato il pugnale nella schiena di Zequinha. Arminda era una bambina di dodici anni: ma se Antonio ha ucciso il fattore è stato perché costui era andato con la bambina, mentre Antonio la voleva nel suo letto. Aveva dodici anni, eppure era già donna. Ma davvero? E se, invece, il Gordo avesse avuto ragione? Se Arminda era davvero una bambina e prenderla era una malvagità? Ebbene, ora Zequinha non l’avrebbe più presa, perché era là steso in terra con un pugnale nella schiena. Ma a che cosa era servita quella pugnalata? A quest’ora il negro Filomeno, di sicuro, s’era portata la ragazza in casa. È una legge delle piantagioni di tabacco questa: le donne sono animali rari, e quando una di esse rimane senza il proprio uomo, trova subito un altro che se la porta in casa. A meno che quella donna non preferisca andare a finire nei quartieri delle donne malfamate di Cachoeira, di São Felix, di Feira de Sant’Ana. Questa, sì, sarebbe una cattiveria. È una bambina di dodici anni e tutti la vorrebbero. Se finisse laggiù, diventerebbe presto vecchia a bere sempre acquavite, non si laverebbe più i capelli, il suo seno appassirebbe, le verrebbero brutte malattie, e a quindici anni sembrerebbe già una donna di quaranta. Forse potrebbe anche finire avvelenata. Certe donne si gettano nel fiume, nelle notti buie. Allora sarebbe stato meglio che fosse rimasta con Zequinha a raccogliere tabacco nei campi. Ma Zequinha è morto pugnalato... Antonio Balduino sente l’eco di alcune voci in mezzo al bosco. Si avvicina per udire meglio. Saranno uomini che passano sulla strada. Ma la strada è lontana, dall’altra parte: lì c’è solo un semplice sentiero. Antonio Balduino si avvicina ancora. Adesso riesce a sentire. Gli uomini sono vicini, divisi da lui appena da una fila di alberi. Sono gli uomini della fattoria. Hanno tutti il fucile a ripetizione e fumano seduti ai lati del sentiero. Vanno alla caccia del negro Antonio Balduino, il quale ha ucciso a pugnalate il loro capo; e non sanno che il negro è lì, a pochi passi. Antonio quasi se la ride. Ma subito si mette a tremare, appena sente che gli uomini dicono che lui è ormai accerchiato nel bosco, e o morirà di fame lì dentro o finirà per essere preso. Antonio Balduino si allontana piano piano, cercando di non fare alcun rumore e si addentra nuovamente nel folto. La strada si trova dall’altro lato. Ma anche sulla strada ci saranno uomini così come ci sono tutt’intorno al bosco. Si sente accerchiato, inseguito come un cane rabbioso. O morirà di fame o lo metteranno in prigione come assassino. I grilli lo innervosiscono con il loro verso monotono. In casa di Zequinha c’è la veglia. «Il negro Filomeno, - pensa Antonio Balduino, - il negro Filomeno girerà là attorno alla casa armato di fucile, o sarà alla veglia e si guarderà Arminda, pronto a portarsela a casa». Oh, potesse ammazzare anche il negro Filomeno! Ma lui è qui, accerchiato come un cane rabbioso, chiuso nel bosco: già comincia ad avere fame e sete...

I piedi gli dolgono per aver tanto camminato. Avrebbe potuto dare a Zequinha soltanto una lezione. Non era, forse, lui Baldo, il gran boxeur? Non ne aveva, forse, battuti tanti, in Largo da Sé, nella piazza della Cattedrale, a Bahia? Sì, avrebbe potuto buttare a terra Zequinha a forza di pugni. Ma costui aveva afferrato una falce. Non si fa a botte con una falce, e a tradimento si risponde con tradimento... Per questo lui aveva preso il pugnale e l’aveva lasciato cadere per piantare l’altro sulla schiena di Zequinha. Chi ci aveva guadagnato, in fondo, era Filomeno, il quale ora doveva essere lì alla veglia e si guardava tranquillo Arminda. Antonio ammazzerebbe anche Filomeno se potesse arrivare fino alla casa di Zequinha. Il cadavere a quest’ora sarà disteso sul letto con la ferita dietro le spalle. Filomeno certo deve

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essersi messo il pugnale alla cintola e ora si porterà in casa Arminda. Avrebbe dovuto uccidere proprio Filomeno. Ma ora Antonio è nascosto nel bosco, è accerchiato da ogni lato e non si può muovere. Se non fosse per la sete, tutto andrebbe bene: ma ha la gola secca. Non si dà cura dei piedi doloranti, del viso sanguinante lacerato dalle spine, dell’abito strappato. Sente soltanto la gola secca, infuocata dalla sete. Gli piacerebbe anche mangiare qualcosa. In quel bosco non ci sono frutta. Non è il tempo delle goiabas: i loro alberi sono senza frutto. Un cobra passa sibilando. I grilli fanno un fragore insopportabile. Adesso Antonio non vede più le stelle, perché il bosco qui è più fitto. E la sete aumenta. Fuma. Fortunatamente, al momento della fuga aveva delle sigarette e dei fiammiferi nella tasca dei pantaloni. Che ora sarà? Forse, mezzanotte; o forse più tardi. La sigaretta fa dimenticare la sete e la fame. Quando ha cominciato a fumare? Non se ne ricorda più. Quand’era sulla collina del Capa Negro Antonio già fumava. E aveva prese le bastonate proprio per questo motivo. Se la zia Luisa lo vedesse ora, che direbbe? La zia lo picchiava, ma gli voleva bene. Era impazzita, la poverina, perché aveva sempre portato a vendere in piazza, al Terreiro, le sue pizze calde. Davanti alla sua casa, sulla collina, le persone si riunivano a chiacchierare. Un giorno si era fermato là quel tale di Ilhéus che aveva raccontato storie di intrepidi banditi. Ed ecco che oggi Antonio Balduino era inseguito come se fosse lui un celebre bandito. Se l’uomo di Ilhéus lo vedesse ora, certo lo ammirerebbe, e alle storie che raccontava la notte, fino a tardi, aggiungerebbe quella di Antonio Balduino. Anche Antonio vorrebbe avere un ABC che parlasse tutto di lui. Era sicuro che l’uomo calvo, venuto alla Macumba di Jubiabá, un giorno avrebbe scritto il suo ABC. Il Gordo aveva detto che l’unica occupazione dell’uomo calvo era quella di scrivere ABC degli uomini più coraggiosi da lui conosciuti, e che, per questo, passava la vita a correre per il mondo, a cavallo di un bel sauro. Antonio Balduino si merita già veramente di essere cantato in un ABC? Lui non lo sa. Forse, l’uomo di Ilhéus narrerà un giorno la storia di Antonio a uomini e ragazzi di un’altra collina, che l’ammireranno e sogneranno di diventare come lui. Ah, ma se riuscirà a venir fuori da questa boscaglia, dov’è accerchiato da uomini armati di fucili a ripetizione, meriterà certamente di essere celebrato in un ABC! Quanti saranno gli inseguitori? Se si sono mossi tutti quelli della fattoria, dovrebbero essere più di trenta. Ma non devono essere venuti tutti. Il negro Filomeno non è venuto, deve essere rimasto là, con Arminda, raccontando agli altri qualche frottola, promettendo chissà che cosa. Lo conosce bene quel negro. Si può stare sicuri che un negro che non parla mai è un poco di buono. Antonio stringe in pugno il coltello. Con quella sola arma affronterebbe Filomeno se gli si parasse davanti. Si sarebbe raccontato anche questo nel suo ABC: soltanto con un pugnale attaccò e uccise un jagunço armato di fucile... Getta via la sigaretta. Diavolo: la gola è secca, lo stomaco gli duole e sente un dolore forte al viso. Si passa una mano sulla guancia e si tocca la ferita che gli ha fatto la spina. Da quando non esce più il sangue il dolore è aumentato. È una grossa ferita, che gli attraversa tutto il viso. Anche i piedi sanguinano e le mani sono tutte graffiate. E c’è poi questa sete che lo tortura, quegli uomini che lo inseguono e lo circondano, quei grilli che lo assordano... Rivede le stelle, nel bosco rado. Se almeno ci fosse dell’acqua, piovesse. Ma non ci sono nuvole nere in cielo. Solo stracci di nuvole bianche, trasportate dal vento. E la luna, che è spuntata, la grande luna bianca, più bella che mai. Come vorrebbe trovarsi a Bahia, nel porto, con la chitarra, insieme a quella donna dalla voce cupa, da maschio, a cantare un valzer, una canzone antica che parlasse d’amore. Dopo, allacciati uno all’altra, rotolerebbero insieme sulla rena... Ah, era bello allora! Quella stella sembra quasi la luce della Lanterna dos Afogados... Berrebbe un sorso di acquavite, ascolterebbe la musica del vecchio cieco che canta sulla chitarra, scambierebbe quattro parole con il Gordo e con Joaquim. Forse si farebbe vedere anche Jubiabá e Antonio gli chiederebbe la benedizione. Nemmeno padre Jubiabá sa che lui è inseguito e nascosto nella boscaglia. Né sa che ha ucciso Zequinha. Ma Jubiabá saprebbe comprendere l’animo di Antonio: gli passerebbe una mano sul capo e poi gli parlerebbe in nagô. No, non direbbe che l’occhio della pietà gli si è chiuso, che gli è restato aperto solo quello della malvagità. Perché dovrebbe dire così? Antonio Balduino sente che ha ancora bene aperto l’occhio della pietà. Ha ammazzato Zequinha, lo ha ammazzato: ma solo perché voleva mettersi con una bambina di dodici anni. Una bambina, non una

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donna fatta. Lo domandi pure al Gordo: era tanto bambina che la madre doveva ancora badare a lei. Lo domandi pure al Gordo... Ma è inutile mentire a padre Jubiabá. Egli sa tutto perché è santone, la sua volontà è potente e la sua voce è ascoltata da Oxalà. Sa tutto come la vecchia morta. No, Antonio ha ucciso perché voleva per sé Arminda. Arminda aveva dodici anni, ma era già donna. Il Gordo non le capisce queste cose. Come si può credere a quello che dice il Gordo. Il Gordo non capisce niente di donne, lui s’intende solo di preghiere. E poi il Gordo è molto buono, non ha l’occhio della crudeltà. Padre Jubiabá deve combinare una fattura per ammazzare il negro Filomeno. Il negro Filomeno è cattivo, gli si è chiuso anche a lui l’occhio della pietà. Una fattura per ammazzarlo, una fattura potente con peli di ascella di una donna e penne di urubù... Perché padre Jubiabá scuote la testa? Ah, sta dicendo in nagô che anche Antonio Balduino ha chiuso l’occhio della pietà... Sì, sta dicendo proprio così... Antonio Balduino stringe il pugnale: ha la gola secca dall’arsura. Se Jubiabá ripeterà quelle parole ucciderà anche lui. E poi si taglierà la gola. Vede, nel cielo azzurro, il vecchio negro. Non è la luna: è Jubiabá. Il quale ripete, ripete sempre quelle parole. Antonio Balduino gli si lancia contro con il pugnale, e ci manca poco che non vada a finire là dove si trovano i suoi inseguitori, che chiacchierano sulla strada. Jubiabá è scomparso. Balduino ha sete. Ritorna di corsa verso il bosco più folto, dove non vede la luna, non vede le stelle, non vede il porto di Bahia con la Lanterna dos Afogados. Si distende in terra, e mostra i pugni verso quelli della strada:

- Domani vedrete se non sarò capace di fuggire... Cari miei, io ci so fare!Il viso gli duole e ha sete. Ma appena chiude gli occhi, sprofonda di colpo nel sonno e dorme a

lungo senza sognare.

Si sveglia al cinguettio degli uccelli. Si guarda intorno e non capisce dapprima perché sia là e non nella branda, alle piantagioni. Ma la sete che gli stringe la gola e la ferita che gli duole sul viso gli ricordano i fatti del giorno prima. È circondato da tutte le parti, e ha ucciso un uomo. Ha sete, una sete pazza. Durante la notte il viso gli si è gonfiato. Si passa una mano sulla ferita:

- Spina maledetta! Anche questa ci voleva...Resta rannicchiato pensando a quello che gli resta da fare. Forse avranno lasciato poca gente per

l’accerchiamento durante il giorno. Il viso gli duole. Ha sete. Si muove circospetto, evitando altre spine e ogni minimo rumore. Ora, alla luce del giorno, si sente meglio. La strada si trova alla sua destra. Ma egli va verso il sentiero dove dovrebbero esserci meno uomini. Se non fosse per la sete sarebbe tutto uguale. Non sente fame, ora; ma lo stomaco gli fa male. In maniera ancora sopportabile, però. La sete è terribile, è come una corda che stringa la gola. No, bisogna che passi per il sentiero anche se rischia di essere preso. Non ne può più dalla sete. Potrà lottare fino a quando una pallottola porrà termine a tutto. La cosa strana è che nessuno poteva sopportare Zequinha, e che tutti, invece, volevano bene a lui, ad Antonio. Ma, certamente, il padrone aveva minacciato: «Chi si rifiuterà di andare in cerca del colpevole sarà licenziato». Se c’è qualcuno lì, sul sentiero, ci sarà da lottare. Morirà lui, ma uno ne toglierà di mezzo. «Uno almeno verrà con me...»

Ride così forte che quasi sembrerebbe contento. Sì, è contento, perché ha deciso di farla finita e di lottare per la vita. La cosa che ama di più al mondo è la lotta. Soltanto adesso, però, se ne rende conto. È nato per lottare, per uccidere, e un giorno morirà per una fucilata alla schiena, per una pugnalata al petto o forse per una semplice coltellata. Quelli che torneranno alla piantagione racconteranno che Balduino è morto da vero uomo, col pugnale in mano. E chissà se non racconteranno poi ai figli e agli amici la storia di Antonio Balduino, il quale fece il mendicante, il boxeur, il compositore di sambas, l’avventuriero, uccise un uomo per via di una bambina, e morì combattendo contro venti uomini, dopo essersi battuto eroicamente?

Scopre per caso una pozza d’acqua: beve a grandi sorsate e si lava la ferita del viso.Acqua! Acqua! Non se n’era mai accorto che l’acqua fosse così buona! Migliore della birra, migliore

del vino, migliore anche dell’acquavite. Cerchino di circondarlo ora, lo inseguano pure come un cane!

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Che cosa gli importa? Ha dell’acqua, per bere e per lavarsi la ferita del viso che gli duole e si è gonfiata. Si sdraia ai margini della pozza e si riposa fiducioso, sorridente, felice. Durante la notte, nel buio, non aveva visto le pozze d’acqua. Ce ne sono molte: di acqua fangosa, sporca, ma buona, buona come nessun’altra cosa al mondo. Passa molto tempo, così disteso, a pensare. Una volta fuggito, dove se ne andrà? Potrà addentrarsi nel sertão19, nell’interno del paese, lavorare in una piantagione, governare i buoi. Tanti assassini vanno a rifugiarsi da quelle parti... Se continueranno a cercarlo e a perseguitarlo, entrerà in una banda, una banda di briganti, di fuorilegge, e farà quella vita che ha sempre tanto ammirato. La cosa peggiore è che adesso comincia a sentire il morso della fame. Forse troverà qualche frutto, cos ì come ha trovato l’acqua. Gira per il bosco scrutando gli alberi: non trova niente. Ma forse, durante la giornata, potrà uccidere qualche animale e mangiarselo. Ha i fiammiferi, accenderà il fuoco. Ma no, non accenderà il fuoco: perché richiamerebbe l’attenzione degli uomini che sono in agguato sulla strada. Si ricorda che deve andare a vedere se ne sono rimasti molti. Si porta la mano al viso che gli fa sempre più male. Brutto affare. Certo, doveva essere una spina velenosa.

Padre Jubiabá conosce medicine miracolose per ferite di quel genere. Si tratta, per solito, di erbe raccolte nel bosco. Lì ci dev’essere di sicuro qualcuna di quelle erbe. Guarda per terra, ma si domanda: «Quali saranno le buone? Soltanto padre Jubiabá le riconosce, lui che sa tutto...» Antonio arriva presso la fila degli alberi che lo separa dal sentiero. Osserva. Eccoli là. Ci sono tutti, nessuno è andato a lavorare. Il padrone è proprio deciso a farla finita con il negro Antonio Balduino. Ha messo persino in riposo i lavoratori. Mangiano carne secca e chiacchierano. Antonio Balduino si ritira piano piano. Ha rimesso il pugnale alla cintola. Cammina pensoso, ma d’improvviso si mette a ridere:

«Con me non ce la faranno...»Ma la cosa peggiore è che non ha niente da mettere sotto i denti. E che di notte deve restare solo.

Non ha mai avuto paura di rimanere solo; ma oggi proprio non se la sente. Prende a pensare a cose di nessuna importanza, a ricordare gente morta da lui conosciuta, riveder nell’immaginazione padre Jubiabá e i luoghi dove è passato, e Lindinalva. Se non vedesse Lindinalva non avrebbe addosso questo malessere. Pensa anche ad Arminda che deve essersi messa col negro Filomeno. Ma il negro non ne ha colpa. Se non andasse lui con Arminda ci andrebbe qualcun altro. Non ci sono donne nelle piantagioni di tabacco. Per questo, si agitava tanto sul letto Ricardo durante la notte. Come farà adesso che non ha più le mani? Vivrà a Cachoeira chiedendo l’elemosina. Avrà una donna? Forse ne avrà una che baderà a lui. Lo meriterebbe: era un buon mulatto, sempre pronto a tutto con gli amici. Se fosse ancora alla fattoria sarebbe venuto anche lui alla caccia di Antonio Balduino? Il negro ha un’ombra dinanzi agli occhi. È la fame: gli avevano detto che proprio così compariva. Si muove, disperato, in cerca di cibo...

Quando sopraggiunse la notte, egli stava fumando l’ultima sigaretta e quasi non ci vedeva più. Il viso gonfio gli faceva un male da far impazzire.

Gira attorno alle pozze d’acqua e barcolla come un ubriaco. Non ha niente nello stomaco dal giorno prima della lite. Cammina barcollando, e lo accompagnano le ombre delle persone da lui conosciute in passato. Dove ha veduto quell’ometto magro che sta gridando:

- Dov'è finito Baldo, il vincitore dei campioni bianchi?L’ometto grida e ride. Dove mai lo ha visto Antonio?Adesso ricorda: in quell’incontro di boxe contro un tedesco che egli riuscì a battere. Sorride. Anche

quando l’ometto aveva gridato quelle parole, Antonio aveva vinto il bianco, l’aveva lasciato sul tappeto. Potrà superare così l’accerchiamento e ricuperare la libertà perduta? Ma perché il Gordo recita le preghiere dei defunti? Lui non è mica morto. E perché tutti rispondono: - Pregate per lui...

Ma perché rispondono? Non si accorgono che questo fa male al negro Antonio Balduino, affamato, con una ferita coperta di mosche? Insistono. Antonio Balduino si è lasciato cadere presso una pozza d’acqua. Beve. Poi osserva la gente che lo segue in corteo. Allunga le mani e mormora che si

19 Sertão: Con questo nome si designano, in generale, le regioni dell’interno: inaccessibili, semi-inesplorate.

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allontanino, che lo lascino morire in pace:- Andatevene! Andatevene!Non se ne vanno. La vecchia Laura, madre di Arminda, è arrivata in quel momento. È arrivata con

gli occhi gonfi, il corpo gonfio, la lingua fuori. Si ferma a ridere di lui...- Va’ all’inferno! Va’ all’inferno!Si alza. Tutti lo seguono. Persino il Gordo che gli era tanto amico. Jubiabá dice che lui, Antonio, ha

chiuso l’occhio della pietà. È vero, sì, questa è la verità. Ma lo lascino in pace, perché se ne va a morire e vuole morire da uomo; e così non può, così non può...

Tutti recitano le preghiere dei defunti... Antonio inciampa su una radice e cade.Antonio s’abbandona, così, lungo disteso. Quando si alza, una decisione gli brilla negli occhi.La strada è alla sua destra. S’avvia da quella parte a passo sicuro. Sta dritto come se non avesse fame,

come se da due giorni non avesse neppure un’anima, ma solo fantasmi. Ha in mano il pugnale:«Qualcuno verrà a farmi compagnia...»Ma la sua improvvisa apparizione sulla strada coglie di sorpresa gli uomini. Ha ancora la forza di

abbatterne uno che gli si para dinanzi. E passa attraverso il gruppo, impugnando il lungo coltello scintillante.

Sparisce nell’oscurità. Qualche fucilata, sparata a caso, risuona nell’aria.

Il treno.

- Stavano per venirci i vermi...Il vecchio medicava il viso di Antonio Balduino, che si era gonfiato per via della ferita di quella

spina, e sembrava, così sformato e rosso, una mela. Mise sulla ferita erbe impastate di terra. Jubiabá avrebbe fatto lo stesso.

- Grazie vecchio. Siete buono.- Si chiuderà in un momento. Quest’erba è benedetta, fa miracoli.Il negro era arrivato là, estenuato dalla corsa attraverso il bosco, che costeggiava la strada, fuggendo

lontano dalle piantagioni di tabacco. Il vecchio abitava una sudicia capanna, sperduta nel bosco, davanti alla quale cresceva qualche pianta di mandioca. Gli diede da mangiare, da dormire, gli curò la ferita e gli raccontò che Zequinha per un pelo non era morto, ma il padrone voleva agguantare Balduino per dargli una lezione che servisse da esempio.

Antonio Balduino rise:- Può provarci! Adesso mi sono rimesso...Bevve tutta una brocca d’acqua e concluse:- Voglio ritornare in mezzo alla gente, ormai. Se potrò, un giorno, vi ricompenserò, buon vecchio...- Scappare adesso, perché? La ferita non si rimargina così, benedetto ragazzo. Si può riaprire. È

meglio che resti qui, tranquillo. Nessuno sospetta di me: sono un tipo prudente, io...Antonio Balduino aspettò ancora tre giorni che la ferita si rimarginasse. Mangiava la carne che gli

dava il vecchio, beveva la sua acqua, dormiva nel suo giaciglio.

Saluta il vecchio:- Siete stato molto buono...Si mette in cammino seguendo la linea della strada ferrata. Appena sarà a Feira de Sant’Ana riuscirà a

trovare un camion che lo possa portare a Bahia. Si sente felice del rischio che ha superato, della lotta avventurosa che ha affrontato; si sente felice di essere sfuggito all’accerchiamento. Gli sembra di essere invincibile. Di essere l’uomo più coraggioso di tutta la regione. Le stelle, in cielo, hanno visto come ha saputo lottare. Se gli uomini che lo circondavano non fossero rimasti stupiti davanti al suo coraggio, ora

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lui viaggerebbe verso le stelle, verso il grande cielo azzurro, insieme a uno di loro. Starebbe lassù, con il pugnale scintillante in mano. Lo vedrebbe Maria dos Reis, la donna dalla voce cupa, Lindinalva, e, forse, lo scoprirebbe anche il Gordo che vorrebbe tanto avere una stella tutta sua. La luce della sua stella trarrebbe in inganno Mastro Manuel, che lo scambierebbe per il fanale di un battello deciso a mettersi in gara con il Viajante sem Pôrto. Udrebbe Maria Clara cantare le sambas... Ecco, tutto questo sarebbe accaduto, se gli uomini della piantagione non fossero rimasti imbambolati alla sua improvvisa apparizione nella strada con il pugnale in mano e un taglio sul viso. Si sarebbero tutti gettati su di lui che ne avrebbe ammazzato soltanto uno. E, forse, gli avrebbero crivellato tutto il corpo di colpi. Ma gli uomini che sono capaci di morire lottando e vendendo cara la propria vita vedono sempre qualche stella nel cielo e hanno un ABC, qui, sulla terra, che racconta le loro avventure. Antonio sarebbe, a quest’ora, una stella lucente, con un pugnale sempre bene in vista. Jubiabá lo ha sempre detto che gli uomini coraggiosi si trasformano in stelle... Ed ecco: il negro Antonio Balduino scoppia nella sua libera risata, che zittisce i grilli e spaventa gli animali nelle loro tane. Un odore di foglie si spande nella notte silenziosa. Una ventata annuncia la pioggia che si avvicina. Le foglie si piegano ed emanano un profumo intenso. Più avanti, sulle rotaie, si vede una massa scura e la luce di una lanterna. Giungono voci di uomini che parlano. È un treno che si è dovuto fermare. Probabilmente, è diretto a Feira de Sant’Ana e porta i passeggeri della nave che è giunta oggi a Cachoeira, proveniente da Bahia. Gli uomini esaminano una ruota. Antonio Balduino passa dall’altra parte del convoglio e si avvicina a un vagone merci. Se la porta scorrevole è aperta, monterà sul treno. Spinge il grosso sportello con tutta la forza: si apre. Balza dentro il vagone come un animale, rapido e leggero. Chiude la porta dall'interno, e solo in quel momento scopre nel fondo del vagone delle ombre che tentano di nascondersi tra i sacchi di tabacco:

- Salute, amici... Non temete: sono dei vostri. Nemmeno io voglio pagare il biglietto.E ride.

La donna era incinta. Il suo ventre non era ancora molto gonfio, ma si notava benissimo il suo stato di gravidanza. Uno dei due uomini era vecchio e si appoggiava a un bastone. Fumava, mezzo assonnato. Nel buio del vagone, quando la brace della sigaretta spandeva un po’ di luce, il bastone sembrava un serpente, un cobra, sul punto di spiccare un salto. L’altro, indossava calzoni da soldato e un vecchio cappotto di lana. Non aveva barba sulle gote, ma cercava di farsi crescere i baffi che pure erano radi per i pochi peli che gli spuntavano sopra il labbro. Mentre parlava, si passava continuamente le dita sui baffi immaginari. «Un mocciosetto», pensò Antonio Balduino.

Il treno era ancora fermo: per questo i tre individui del vagone rimanevano in perfetto silenzio. Si era verificato qualche guasto, cosa che succedeva spesso in quei treni. Quelli dentro il vagone da mezz’ora se ne stavano muti, aspettando che il treno partisse. Le voci si sarebbero potute udire là fuori e il capotreno si sarebbe scagliato su quei viaggiatori clandestini. Quando Antonio Balduino aveva parlato, il vecchio aveva aperto gli occhi e aveva detto:

- Chiudi il becco, negro, se vuoi viaggiare con noi. Se no, ci butteranno tutti giù dal treno...E indicò con gli occhi la donna incinta. Antonio Balduino si domandò se il vecchio fosse marito o

padre della donna. Per l’età, doveva essere suo padre, ma poteva essere anche suo marito. S’immaginò quella donna, con la pancia così grossa, costretta ad andare a piedi fino a Feira de Sant’Ana. Si sarebbe, per forza, fermata, molto prima di arrivare laggiù. Così pensando, il negro rise tra sé. Il ragazzo con i calzoni da soldato lo guardava, e si tormentava i baffi. Non pareva molto soddisfatto della presenza di Antonio Balduino. Ma d’improvviso sentirono delle voci che si avvicinavano. Era il capotreno che spiegava ai passeggeri di prima classe la causa del ritardo:

- Un guasto da niente... Adesso si parte.- Ma abbiamo perso quasi un’ora...- Capita sempre, dappertutto.

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- È un’indecenza!Dopo un po’, un fischio acuto, prolungato e mesto annunciò la partenza. Sebbene nascosto nel

vagone con le porte chiuse, Antonio Balduino fece un cenno di saluto, di addio.- Hai lasciato qualcuno? - domandò il vecchio.- Sì, forse qualche serpente, - si mise a ridere il negro. Ma poi abbassò la testa e, senza guardare

nessuno, disse:- Una bambina... Proprio una bambina...- Carina? - fece il giovanotto toccandosi i baffi.- Magnifica, ragazzo mio. Sembrava una di città...- E l’hai lasciata?- Era di un altro. E lui non è morto.- Io so di uno che ha rapito una donna, - raccontò il vecchio.- E io so di uno che diede una coltellata a un altro per via di una maschietta. Poi passò due giorni,

affamato, nascosto nei boschi... - Antonio Balduino raccontava la propria storia.- E aveva paura?- Tu stai zitto, ragazzino. Tu non sai niente. Quell’uomo era circondato da tutte le parti... E se

proprio vuoi vedere se quello è un uomo, fatti pure sotto, amico!- Ma allora siete voi?... - il ragazzo cominciò a guardarlo con più rispetto.La donna rimaneva in silenzio. Poi si lamentò, e il vecchio disse:- Quello che diceva che era un’indecenza parlava giusto; e se in prima classe è così, poveri noi che

viaggiamo a sbafo, così nascosti!- Io ho dato due milreis a un ragazzo che mi ha portato le valigie fino al vagone, - mormorò la donna.- Quando facevo il soldato, viaggiavo in prima classe e sempre gratis, - si vantò il giovanotto.- In prima? - Antonio Balduino aveva qualche dubbio.- Certo, in prima, sissignore. Non sapete che i soldati hanno molte agevolazioni. Voi che abitate in

questo paese del diavolo, in questo culo di Giuda, non sapete proprio niente...- Non sono mica di qua, marmittone. Io sono di passaggio. Giusto per divertirmi. Sono nato a

Bahia... Non hai mai sentito parlare di un pugilatore di nome Baldo? Ebbene, eccomi qua!- Ah! Siete voi? Vi ho visto combattere con Chico Moela.- Fu un bell’incontro, non è vero? - e il negro sorrise.- È rimasto famoso... Io non pagai il biglietto. Perché soldati hanno molte agevolazioni...- E perché ti sei tolta la divisa?- Ho finito il mio periodo di leva. E poi...Il vecchio aprì gli occhi:- Poi, che è successo?- Un sergente... Solo perché aveva quattro strisce sulla manica... I sergenti sono tutti pezzi di merda.

E lui credeva che...- Insomma se la prese con te, - il vecchio si appoggiava al bastone.- Già. Alla ragazza piacevo soltanto io. E lui, allora, cominciò a farmi mille storie, prese a

perseguitarmi, mi faceva stare sempre consegnato. Tutto perché non potessi uscire nei giorni di permesso... Ma bisognerebbe vedere come gli ho lasciato la faccia.

- Cominci a piacermi, ragazzo. Quanti anni hai?- Diciannove.- Tu hai visto ancora poche cose in questo mondo, mio caro. Io, invece, sono stanco di vivere, -

disse il vecchio, amareggiato.- Stanco, vecchio mio, perché? - gli chiese Antonio Balduino.- Oh, mio caro, io ormai ho fatto tante cose, ho percorso tutte queste terre. Qui intorno tutti sanno

chi è Augusto da Cêrca, Augusto «del recinto»... «Del recinto», a causa di una lite che scoppiò per il

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bestiame. Ed ecco che cosa ci ho guadagnato: solo malattie, nient’altro che malattie...L’ex-soldato offrì le sigarette. Antonio Balduino ne accese una. Alla luce del fiammifero vide il volto

della donna che guardava il cielo attraverso la fessura dello sportello. Aveva un’aria stanca di una che ha vissuto molto. Il vecchio continuava a parlare:

- Io, una volta, possedevo molto bestiame, che portavo sempre a vendere al mercato di Feira de Sant’Ana. Un mucchio di bestie a perdita d’occhio... Avevo anche una piantagione di tabacco, prima che i tedeschi arrivassero in Brasile. Possedevo molte terre. E anche molti beni.

Tacque. Adesso sembrava che dormisse, ma poi ricominciò a parlare con voce soffocata:- Avevo anche una famiglia... Non si direbbe, no? Eppure... Eppure, ebbi tre figlie che misi anche in

collegio. Erano proprio belle... Mi hanno preso tutto, capite? Qualcuno si prese il bestiame, il tabacco andò a finire nelle mani di un tedesco... Anche le figlie se ne andarono. Un bianco ne incantò una, e se la portò con sé non so dove. L’altra vive qui, a Cachoeira, e sembra una pazza con quei capelli tagliati. È una di quelle che fanno la vita. Lei lo so dove sta; ma l’altra che fine avrà fatto?

La donna staccò gli occhi dallo sportello:- Perché ce l’avete tanto colle donne di mondo?- Donne perdute. Tutte con i capelli tagliati e la faccia impiastrata di rosso.- Voi non sapete la vita che fanno. Non sapete niente. Non capite niente...Il vecchio rimase confuso e impacciato. L’ex-soldato disse:- Io ho avuto un’amante che era una che faceva la vita. Lavorava fino a mezzanotte, poi io andavo a

casa di lei e restavo là fino alla mattina. Era bello...- E voi che c’entrate?- Io, io non dicevo niente...- Non diceva niente, - fece la donna con rabbia. - Voi parlate senza sapere quello che dite! Parlate

tanto per parlare. Guardate come sono ridotta; se non sono morta di fame è perché Dio non ha voluto.Antonio Balduino si spaventò e si stupì a vederla così, incinta. Ma non disse niente.Il vecchio aprì gli occhi e mormorò:- Non dico niente io, Dio mi guardi. Se non fosse per mia figlia, come potrei vivere? È lei che mi

mantiene. E mi rispetta anche molto; proprio così. Quando la vado a trovare, mette alla porta tutti gli uomini. Se non si fosse tagliata i capelli...

La donna rise. E Antonio Balduino intervenne:- È brutta la vita dei poveri. Essere povero è come essere schiavo.L’ex-soldato cominciò a raccontare:- Ho conosciuto un sergente che diceva la stessa cosa...- Era quello che ti fregò la donna?- No. Era un altro. Lei voleva bene solo a me...- Eppure andava con un altro, - rise Balduino, prendendolo in giro.- Oh, voi non l’avete conosciuta. Era proprio bella. Non ce ne sono tante come lei.Il treno si fermò a una stazione. Nel vagone ci fu di nuovo silenzio. Della gente passava lì vicino,

fuori del vagone. Si sentì qualcuno che diceva: «Addio, addio». E un altra persona rispondeva: «Salutami Josefina». Più vicino qualcuno mormorava: «Ti dimenticherai di me...» Era una voce addolorata di donna. Un uomo le giurava che non l’avrebbe dimenticata. «Non ti scordare di scrivermi...» Si sentì un bacio, poi il fischio della locomotiva che troncava ogni saluto. Infine, di nuovo, il rumore delle ruote del treno. Il soldato raccontò:

- Il treno dice: «Vo con Dio, vo col diavolo». Sentite! Non sembra che dica così?- È vero.- Me lo ha detto mia madre quando ancora mi teneva in braccio. Viaggiavamo su un treno grande,

con tanti vagoni, e diceva altre parole. «Caffè col latte, pane col burro», sembrava dicesse. Non sembra che anche questo dica così?

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Si mise a pensare a quel treno, a quel tempo passato.- Hai la mamma? - domandò la donna.- Adesso vado ad abitare con lei. Pianse tanto, quando andai al servizio militare. Sapete come sono

fatte le donne. La vecchia crede che io sia ancora un bambino... - e così dicendo si attorcigliava i baffi che non esistevano.

- Sempre la stessa storia, - disse la donna. - Avete sentito, - adesso si rivolgeva ad Antonio Balduino, - quella che, alla stazione, supplicava il suo uomo perché le scrivesse?

- Ho sentito qualcuno che parlava.- Ecco: si può stare sicuri che quella non lo vedrà più. Anch’io... - e s’interruppe.- Che cosa? - il vecchio riapri gli occhi.- Oh, niente. Stupidaggini! - La donna cominciò a fischiettare un’arietta.- Questo mondo è brutto, - sputò il vecchio, con rabbia. - Si nasce per penare.- La vita è bella, vecchio mio. Lo so perché voi parlate così... - e il soldato si mise a ridere.- La vita è bella per chi ha qualche soldo, - affermò la donna.- Allora, tu hai una madre? - chiese Antonio Balduino, volgendosi al soldato. - Io non ho mai visto

mia madre. E mia zia è finita pazza. Il Gordo, invece, ha anche la nonna...- Ma chi è questo Gordo?- Un tipo che voi non conoscete. Un bravo ragazzo. Molto buono.- Buono? - scherzò il vecchio. - Non c’è nessuno che sia buono a questo mondo.- Eppure, il Gordo è buono!Il vecchio si era riaddormentato. Rispose la donna, questa volta:- C’è anche gente buona al mondo. I poveracci sono infelici dalla nascita. E con la miseria si diventa

cattivi.Il treno adesso procede rapido. L’ex-soldato si è disteso sul pavimento. Guarda in faccia la donna.

Costei sembra molto invecchiata e ha la pancia deforme.Ma anche così com’è, Antonio Balduino le scorge sulle labbra un sorriso. La donna guarda il cielo

attraverso la fessura dello sportello:- Colpa della miseria. Per questo non gli voglio male. Anche se mi ha lasciato con questa pancia.- Suo marito? - domanda, tutto gentile, l’ex-soldato.- Ma io sono una donna che fa la vita: non sono mai stata sposata.- Credevo...- Che cosa poteva fare, lui? Non aveva nemmeno un soldo. Come faceva a mantenere un figlio? Per

questo è fuggito di notte, come un ladro. Ha lasciato tutte le sue cose là in casa. Io so che mi voleva bene.

- È fuggito? Quando ha visto che voi stavate per partorire?- Se ne andò... Io avevo lasciato il mio mestiere per vivere con lui. Io gli lavavo anche i panni:

sembravamo quasi sposati. Era buono. Avrebbe potuto stare sopra un altare, come un santo.- Gli volevate bene parecchio...- Ma è vero quello che dico! Era proprio un santo. Un giorno gli dissi, tutta allegra, che stavamo per

avere un figlio. Egli rimase imbambolato, con la faccia in aria. Poi rise e mi baciò. Era così buono...- Al mio paese, ho una fidanzata, - dice l'ex-soldato, - bella come un fiore. Ci sposeremo presto.A guardarlo adesso, sembra che quel ragazzo sia immobile come un morto: gli occhi chiusi, la bocca

atteggiata a un lieve sorriso, il bel viso tondo felice come quello di un morto in pace.La donna scrolla la testa. Il suo viso ancora giovane ha un’aria stanca: deve aver vissuto molto. Ella

sente pietà e tenerezza per l’ex-soldato. È così carino ed è così inesperto della vita. Presto si sposerà... Antonio Balduino le chiede, all’improvviso:

- E poi?La donna prosegue il suo racconto:

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- Tutto perché lui era povero. Vivevamo male, in un buco. I soldi che lui guadagnava, messi insieme a quelli che io racimolavo lavando i panni alla gente, non bastavano. Se ne andò, solo per questo.

La donna prova pietà per l’ex-soldato, che ha appoggiato la testa sul braccio e ascolta curioso.- Una notte se la squagliò. Nemmeno lo vidi. Ha lasciato tutte le sue cose. Poi, ho saputo che è

fuggito per non vedere suo figlio affamato.- E adesso?- Dicono che lavora a Feira de Sant’Ana. Vado a raggiungerlo.Il soldato è triste. Pensa, in questo momento, al denaro che ci vorrà a mantenere la moglie, quando

si sposerà, e i figli, quando verranno:- Ma lei è così bella. E poi io lavoro. Non ho paura di lavorare.La donna gli fa coraggio:- Certo, certo...Eppure egli è pieno di dubbi: tutti se ne accorgono. Antonio Balduino si rivolge alla donna:- Voglio fare da padrino a vostro figlio.- Gli ho fatto una cuffietta. Una vecchia mi ha regalato delle fasce. Questo è tutto quello che ho.

Nasce nella miseria.L’ex-soldato dice:- Meglio non sposarsi... Però è così bella...Sono arrivati alla stazione di São Gonçalo. Scendono dei viaggiatori. La città dorme tra i suoi

giardini. Il rumore del treno ha svegliato un bambino in una casa vicina alla stazione. Si sente il pianto del bambino. La donna sorride felice.

- Adesso sarà bello anche per voi, - dice Balduino. - Ce ne avrete uno anche voi. E la notte piangerà anche lui.

- Vorrei che fosse un maschio.Il fischio del treno che riparte ha svegliato il vecchio:- È vero che c’è gente buona nel mondo. Io sbagliavo. Mia figlia è buona. Parlo naturalmente di

Maria. Zefa, no. Zefa è cattiva. Non mi ha mai dato notizie di sé. Può darsi che sia morta. Maria, invece, è buona; mi dà anche un po’ di soldi. Si arrabbia soltanto perché io bevo. Ma io bevo solo per colpa di Zefa, perché non so dove si trova. Maria è buona...

Il vecchio lascia di nuovo cadere la testa e ricomincia a sonnecchiare. L’ex-soldato dice alla donna:- Si vede, è proprio cotto... Allora, voi volete un maschio? Io pure vorrei un maschio, quando mi

sposerò. Dicono che certe volte l’uomo soffre anche lui le doglie, quando la moglie partorisce.Ora, è di nuovo felice e guarda la donna senza nessun desiderio. Il suo cuore è puro ed egli pensa

con tenerezza a Maria das Dores che lo aspetta a Lapa. Sorride perché si figura la sorpresa di lei quando lo vedrà. Peccato che i baffi non siano cresciuti abbastanza. Se no, Maria, al primo momento, non l’avrebbe neppure riconosciuto.

- Credete che mi riconoscerà?- Chi? - domanda meravigliato Antonio Balduino.- Niente. Stavo pensando.Il vecchio si è svegliato. Trema dal freddo. È tornato il vento che annuncia il temporale. Avvolge e

circonda il treno che oscilla sulle rotaie.- Questa carriola ci farà finir male, - osserva Antonio Balduino.- I poveracci devono soffrire. Certi nascono per godere: e sono i ricchi. Gli altri per soffrire: e sono i

poveri. È così fin da quando esiste il mondo.Adesso è l’ex-soldato che dorme felice. Russa forte. Non si accorge del vento che sibila fuori del

vagone.- Verrà giù chissà quanta pioggia!... - il vecchio si è trascinato fino allo sportello del treno per vedere

fuori.

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- Io vengo da un posto, vecchio mio, dove si stava molto male. Prendevamo dieci soldi al giorno.- Nelle piantagioni di tabacco?- Proprio là.- Tu conosci poche cose, negro. Io son vecchio di queste parti. Ho visto cose da far tremare i polsi.

Chissà?... - il vecchio ha una scintilla strana negli occhi e punta il bastone per alzarsi. - Il povero è così infelice che quando la merda sarà denaro, il culo del povero non cacherà più...

Antonio Balduino ride. Il vecchio non riesce a tenersi in equilibrio e cade di peso sopra le balle di tabacco. La donna si precipita in suo aiuto:

- Vi siete fatto male?Il soldato russa. La donna si accosta ad Antonio Balduino e gli dice sottovoce:- Non ho detto niente, perché non ci rimanesse male lui... - indica l’ex-soldato. - Ma per dirla chiara

e tonda, io non so perché Romualdo sia fuggito. Forse anche a causa della povertà. Ma sono io che lo penso. Una donna che abita vicino a me, diceva che lui se n’è andato per colpa di un’altra, una certa Dulce... Forse è fuggito... - alza la voce.

- Ma, no, non è fuggito. Non mi avrebbe lasciata così...Il soldato dorme felice, immobile come un morto.- Così... Con un figlio nella pancia... Ma perché se n’è andato, allora?Antonio Balduino accende un fiammifero e, a quella luce, vede che la donna sta piangendo e si

scuote tutta. Il negro si sente confuso, impacciato, cerca di dire qualcosa e mormora:- Non se la prenda... Sarà un bel maschietto!...

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Il circo.

L’incontro con Luigi fu del tutto casuale. Antonio Balduino aveva passato il resto della notte a vagabondare per la città. L’ex-soldato aveva preso subito la via per Lapa; il vecchio aveva il posto per dormire; e la donna era andata a trovare un’amica. Verso il mattino, Antonio Balduino cercò di procurarsi un camion che lo portasse a Bahia gratis. Si avvicinò a una macchina che stava caricando e disse all’autista con l’aria di uno che non voglia nulla:

- Vai a Bahia, amico?- Sì, - rispose l’autista, che era un mulatto magro e sorridente. - Hai qualcosa da spedire?- Vorrei spedire questo negro qui, - e si batteva il petto ridendo.- Eh! Bahia è piena di feste, in questo periodo...

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Antonio Balduino si sedette vicino all’autista e accettò una sigaretta:- Io ci ritorno con una certa nostalgia, amico. Non vedo l’ora di ritornare. È quasi un anno che me

ne sono andato di là.L’autista si mise a cantare:

Bahia è una bella città,ma io di qua, e lei di là...

- Non lo dire. Bahia è bella davvero. Non vedo l’ora di tornarci.- Vuoi venire con il camion? Io parto dopo aver mangiato un boccone.- Ma io sono pulito; voglio dire: non ho manco un soldo, amico.- Le donne ti hanno rovinato... - rise l’autista.- Può darsi, - e Balduino strizzò un occhio.- Non fa niente. Mi manca l’aiutante. Tu puoi venire al posto suo.- Va bene.- Se dovrai darmi una mano, tu me la darai.- A che ora parti?- Dopo mangiato. Tra un’ora, o un’ora e mezzo.- Allora, arrivederci.- Dove vai?- Vado a trovare certi amici...- Allora, qui tra un’ora.- Va bene.Antonio Balduino continuò a passeggiare per la città. Non doveva andare a trovare nessun amico,

ma non voleva che l’autista sapesse che non poteva andare a mangiare. Ma avrebbe mangiato a Bahia, o con il Gordo o con Joaquim, oppure anche con Jubiabá. Mentre stava pensando a queste cose e al modo di rimediare una sigaretta, udì un grido:

- Per la Madonna! È Baldo.Si voltò. Davanti a lui, c’era Luigi con un vestito molto gualcito e i suoi soliti capelli radi:- Luigi...Luigi gli dette una botta sulle spalle, gli girò intorno e disse tutto allegro:- Magnifico!- Che fai qui, Luigi?- Tira vento cattivo, mio caro. Vento cattivo.- Che c’entra il vento?- Da quando tu hai smesso la carriera, Baldo, le cose non mi sono andate più bene.Guardava il negro con tristezza:- Ti stavi facendo proprio una bella carriera. Un peccato!... Hai lasciato tutto d’improvviso senza

nemmeno dire dove andavi.- Ero rimasto male per quella sconfitta.- Sciocchezze, sciocchezze! Qual è il pugilatore che non le piglia una volta ogni tanto? Poi, tu eri

ubriaco fradicio.- Ma che diavolo stai facendo qui, Luigi? Hai sottomano qualche nuovo lottatore?- Macché! Non ne troverò mai uno come te.Antonio Balduino rise soddisfatto e diede a Luigi una botta sul petto.- Macché!... adesso lavoro qui in un circo.- Un circo?- Un brutto affare. Meglio non parlarne.

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Entrarono in un bar. Luigi chiese un caffè. Antonio Balduino gli disse:- Pagami una sigaretta. Sto a zero, Luigi.Sapeva che con Luigi poteva parlare sinceramente. Si ricordò di qualcosa e gli disse:- Tu sei l’unico che non mi sei apparso quando ero circondato nel bosco, mezzo morto...- Ma se io nemmeno lo sapevo, figlio mio. Come è accaduto?- Niente. Ero affamato e mezzo morto. Mi vidi passare negli occhi tutto il mondo. Vidi un sacco di

gente che mi veniva a vegliare cantando cose che si cantano ai morti. Soltanto te non ho visto.Luigi anche questa volta non aveva ben capito. Antonio Balduino raccontò la lite che aveva avuta

con Zequinha, la fuga in mezzo alle foreste, i sogni e le visioni. Parlò brevemente senza aggiungere inutili particolari, perché non vedeva l’ora di sapere qualcosa dell’affare del circo:

- Di che cosa si tratta?Luigi scrollò la testa mestamente:- Un affare disgraziato. Quando tu te ne andasti, io non sapevo dove battere la testa.- Senza niente...- Proprio così. Mi trovavo in questa situazione quando arrivò a Bahia un circo. Il Grande Circo

Internazionale. Era di un mio compatriota, di nome Giuseppe. Aveva fatto fortuna a Bahia. Ma il circo non era davvero in un momento florido: aveva più debiti che soldi in cassa. Io ci stetti, ed entrai come socio. Un affare disgraziato. Abbiamo girato paesi e villaggi. Per la Madonna! Il circo non frutta un soldo. E costa maledettamente. È quasi in via di fallimento.

Luigi lasciò cadere le braccia e raccontò alcuni particolari della faccenda del circo. Antonio Balduino disse:

- Ci deve essere di mezzo il diavolo.Ma Luigi continuava a guardarlo e parlava:- Io, però, ho un’idea che può cambiare completamente le cose. Ho bisogno di te.- Di me, vecchio mio? Io non sono stato mai un artista di circo.- Non eri nemmeno un pugnatore, eppure io ti feci diventare un campione.Sorridevano tutti e due, ricordando i tempi passati. E quando si alzarono dal tavolino del bar,

Antonio Balduino era già stato ingaggiato dal Grande Circo Internazionale, come lottatore. Il negro passò nella via dove lo aspettava l’autista del camion e lo avvertì:

- Non vado più a Bahia, amico.- Le donne non ti lasciano partire, eh? - rise l’autista.- Può darsi, - e il negro strizzò un occhio.Nel contratto verbale che Antonio aveva fatto con Luigi era convenuto che il negro avrebbe avuto

dal circo alloggio e vitto gratis, e denari, quando ci sarebbero stati anche i denari. Ma ai soldi il negro Antonio Balduino non pensava gran che.

L’insegna era già lì per terra. C’era scritto a grandi lettere azzurre:

GRANDE CIRCO INTERNAZIONALE

Disteso accanto all’insegna, Giuseppe dormiva di gusto. Luigi disse:- È ubriaco. Sempre così...Lo urtò con un piede. Giuseppe mormorò alcune parole senza senso:- Fate silenzio. È il momento del salto mortale. Basta una parola e il grande atleta perderà... la vita...Alcuni uomini scavavano delle buche nel suolo. Altri montavano le gradinate. Lavoravano tutti:

artisti, inservienti, operai. Luigi condusse nel suo baraccone il negro Antonio Balduino. La prima cosa che vide il negro fu la propria fotografia in posizione di pugilatore, così com’era uscita sopra un giornale di Bahia.

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Luigi si buttò sul letto (non era altro che un divano destinato ad entrare in scena con l’Uomo-Serpente), e continuò a spiegare ad Antonio Balduino:

- Cinque contos per chi vincerà. Vedrai che non si presenterà nessuno.- Ma bisogna che ci sia l’incontro, se no il pubblico si arrabbierà.- E perché no? Ingaggiamo un tipo qualsiasi per venti milreis. Ne possiamo trovare quanti ne

vogliamo. E tu lo stenderai al tappeto come se niente fosse.- E se si presenta un tipo ben piazzato, robusto, disposto anche a darle?- Non verrà nessuno, vedrai.- E se dovesse venire?Luigi indicò la foto appesa alla parete:- Per caso, non sei più un pugilatore, ragazzo mio? Antonio Balduino fece cenno di sì con la testa.

Passò la mano sopra la fotografia, fischiettò. Luigi disse:- Hai avuto già i tuoi dispiaceri? Allora stai invecchiando...- A quei tempi non avevo questo taglio sulla faccia.- Questo taglio va bene: impressiona la gente. Bussavano alla porta. Luigi aprì. Era una donnina, che

veniva a reclamare lo stipendio di un mese e mezzo:- Io così non ci sto; non lavoro. Non contate più su di me, domani.- Domani, voi avrete i vostri soldi, benedetta donna.- Ogni volta mi dite la stessa cosa, ogni volta: «domani avrete i vostri soldi» . Son due mesi che non

sento dire altro. Sono stufa. Non contate su di me, domani.- Ma domani avrete i soldi, vedrete! non sapete che cosa succederà domani... - si volse a Balduino: -

questa è Fifì, la donna del trapezio. È un po’ adirata, come vedi.La donnina guardò il negro.- Questo è il celebre Baldo. Avrete già sentito parlare di lui sicuramente...La donna non ne aveva mai sentito parlare, ma assentì con la testa. Luigi parlava svelto, per far una

certa impressione su Fifì:- Ecco. È il maggiore lottatore del Brasile. A Rio non c’era persona che gli tenesse testa. È arrivato

oggi, da Bahia, ingaggiato da me. Ha preso un’automobile, ed è volato qui...La donna non ci credeva:- Con che soldi avete ingaggiato questo fenomeno, Luigi? Mi puzza tanto che questa sia tutta una

frottola. Mi sembra proprio di aver visto questo negro guidare un camion da queste parti... Senti, ragazzo mio, se tu hai lasciato il camion credendo che qui guadagnerai dei soldi, proprio ti sbagli. Qui denaro non ce n’è davvero.

Fece un gesto di sfiducia e si diresse verso la porta. Ma Antonio Balduino, più rapido di lei, l’afferrò per il braccio con rabbia:

- Un momento, signora. Io sono proprio un lottatore. Sono stato campione di Bahia dei pesi massimi. Vedete quello, sulla parete? Eccolo qui, in persona.

La donna guardò e si convinse:- Se è così... Ma perché siete venuto qui al Circo? Qui non c’è denaro.- Sono venuto per fare un piacere a un amico... - batté la mano sulla spalla di Luigi, - un vero

amico...- Ah! Se è così...- E domani vedrete soldi a stufo.La donna non finiva mai di scolparsi:- C’è un autista che ha proprio la vostra faccia: identico.Dalla porta, sorrise ancora. Antonio Balduino si volse a Luigi:- Quella faccenda di Rio proprio non attaccava, fratello.Luigi stava già scrivendo il manifesto che doveva essere diffuso il giorno dopo; Balduino leggeva da

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dietro le sue spalle:- Voglio che il mio nome figuri in lettere grandi. Così grandi.E apriva le mani indicando di che dimensione le voleva.

Giuseppe, quando aveva smaltito le sue solite sbornie, diventava attivo, pieno di decisione, di energia. Sembrava che, in quei momenti, dovesse salvare tutto, risolvere la difficile situazione del Circo, pagare tutti gli stipendi degli artisti e degli inservienti. Ma tutta la sua attività, tutta la sua energia rimanevano nei gesti, nelle parole e nelle frasi che adoperava sempre con abbondanza, con larghezza:

- Vediamo come va questo numero! Questa battuta non va! Dovevate aver già montato queste panche. Bisogna che io mi sgoli, mi ammazzi. Se non ci sono io, le cose qui non vanno più avanti!

E quando un artista reclamava i suoi soldi, Giuseppe subito ribatteva:- Voi non sapete far altro che chiedere soldi. E l’arte? Non vale niente l’arte? Ai miei tempi, si

lavorava solo per amore dell’arte, per gli applausi, per i fiori. Per i fiori, capito? I fiori: erano le ragazze che ce li buttavano. Fiori e fazzoletti ricamati. Se avessi voluto, adesso ne avrei una intera collezione. A me però non piacciono queste cose. Ai miei tempi, sì, pensavamo veramente all’arte. Un trapezista era un vero trapezista.

Si volgeva a Fifì:- E una donna al trapezio, una trapezista, era veramente una trapezista.Fifì si sentiva offesa. Ma Giuseppe continuava:- Oggi, invece, che cosa si vede? Tocca vedere una donna che fa il trapezio e lavora bene come voi,

che ti parla sempre e soltanto di soldi, come se gli applausi non contassero niente.- Io non mangio applausi.- E la gloria? Non si vive di solo pane. L’ha detto anche Cristo.- Cristo non era trapezista.- Oggi... Ai miei tempi, invece: applausi, fiori, fazzoletti, fazzoletti, capite? Tutte queste cose avevano

il loro valore. Voi, invece, volete soltanto denari. Non è vero? Va bene, domani avrete i vostri soldi. Pagherò tutto. Tutto.

Ma finiva sempre dicendo:- Voi sapete, Fifì: è difficile per noi tirare avanti. Che ci posso fare, povero me? Io sono un vecchio

artista. Ho percorso tutta l’Europa. Là, nel mio baraccone, ho tutti gli album delle foto... Adesso sono qui anch’io, mi so rassegnare. Voi credete ch’io abbia un po’ di soldi? Ho solo dei debiti. Abbiate pazienza, Fifì. Voi siete una buona ragazza...

- Ma, Giuseppe, io non ho più niente da mettermi. Il gonnellino verde ormai è una vergogna. Non posso più presentarmi in scena con quel gonnellino.

- Giuro che il primo denaro incassato sarà per voi.Se ne andava a dare altri ordini inutili, a protestare per il lavoro rimasto indietro, a criticare tutto

quello che aveva fatto Luigi, per poi finire in un’osteria, dove raccontava a qualche sconosciuto, che gli pagava da bere, le sue vecchie glorie di trapezista.

Quella sera, mentre tornava barcollando al suo baraccone, dopo aver segnato con il carbone una croce sulla testa di diversi mocciosi perché potessero entrare gratis al Circo, incontrò Antonio Balduino che fingeva di guardare le stelle, e invece spiava il carrozzone, dove Rosenda Rosedà, la ballerina negra, il numero di maggior attrazione del Grande Circo Internazionale, stava spogliandosi alla luce di una candela. Si vedevano già le spalle lisce come il velluto. Il negro cantava una delle sue sambas di più successo:

La mia mulatta è di velluto...e tutto mi fa fremere...

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Appena vide che arrivava Giuseppe, Antonio fece finta di guardare le stelle. Quale sarà la stella di Lucas da Feira? Una volta gli avevano indicata la stella dov’era andato a finire Zumbi dos Palmares. Ma quella stella non brilla da queste parti. Si vede solo a Bahia, nelle notti di Macumba, quando i negri fanno festa a Oxossi, il dio della caccia; essa protegge tutti i negri: splende quando i negri sono allegri, si spegne quando sono tristi. Era forse il Gordo che gli aveva raccontato quella storia? No, era stato il santone Jubiabá, una notte, al porto. Se l’avesse narrata il Gordo, avrebbe messo nella storia un angelo. Padre Jubiabá è il solo che conosca le cose di Zumbi dos Palmares e degli altri negri grandi e valorosi. Adesso Antonio potè dare un’altra occhiata al baraccone di Rosenda, perché Giuseppe veniva avanti barcollando e non sarebbe arrivato tanto presto. Macché! Rosenda era scomparsa e aveva spento la luce. Se non fosse stato per Giuseppe - quell’ubriacone! - Antonio l’avrebbe già vista nuda. Era una bellezza di donna. Antonio poteva pure non avere soldi, ma fin tanto che lei sarebbe rimasta nel Circo anche Antonio vi sarebbe rimasto. Che bella negra era! Una donna di quel genere alla Lanterna dos Afogados avrebbe avuto un enorme successo. Tutti sarebbero rimasti a bocca aperta, a vederla...

Ecco Giuseppe: sul punto di salutare il negro quasi ha perso l’equilibrio.- Sono stanco. Questo lavoro mi ammazza. Fatico come un cane.- Lo vedo.Giuseppe continuò a camminare e impiegò quasi mezz’ora ad arrivare nel suo baraccone.«C’è pericolo che mandi a fuoco il baraccone quando dovrà accendere la candela con il fiammifero»,

pensò Antonio Balduino avvicinandosi. Ma Giuseppe aveva già acceso la candela e si era seduto presso un tavolino mezzo sbilenco. Sul tavolino vi erano libri riccamente rilegati, ma sciupati dal tempo. Il negro fu preso dalla curiosità e guardò la scena come un ladro. Che vi sarà stato in quei libri? Perché Giuseppe li accarezzava con tanto amore? Accarezzava i libri come il negro faceva con le cosce delle mulatte. Passava la mano, leggera, con grande cura, sulle copertine: quasi con gesto lussurioso. Ma Giuseppe si voltò, e Antonio Balduino lo vide in faccia. Certe persone, quando bevono, diventano tristi com’era ora Giuseppe.

Altre invece sono allegre, ridono e cantano. Alcuni si rattristano e quasi piangono.: ecco, come Giuseppe. Antonio Balduino non resistette ed entrò nel baraccone di Giuseppe, triste dal tanto bere.

Era accaduto in Italia, una primavera. Quello lì, nell’album, con i baffi, era suo padre. Tutta la sua famiglia aveva sempre vissuto nei circhi equestri. La fotografia più vecchia, più ingiallita dal tempo, ritraeva suo nonno, in divisa. No, non era generale. Era il padrone di un circo. Si chiamava il Grande Circo Internazionale. Ma allora era veramente un circo. Di soli leoni ce n’erano più di trenta; di elefanti, ventidue; e tigri, pantere: tutti gli animali del creato...

- Ho bevuto qualche bicchiere, ma non racconto frottole -. Antonio Balduino credette.I baffi di suo padre avevano un gran successo. Lui, Giuseppe, era ancora bambino, eppure ricordava

bene ogni cosa. Quando il vecchio saliva sul trapezio sembrava che il Circo dovesse crollare per gli applausi. Un vero delirio. Anche i salti che faceva da un trapezio all’altro: il salto mortale in aria, tre giri nel vuoto senza appoggiarsi a niente, mozzavano il fiato in gola alla gente. Sua madre, invece, lavorava sulla corda. Faceva l’equilibrista e andava sulla corda con un ombrellino giapponese in una mano. Vestiva di azzurro e sembrava una fata. Lui, Giuseppe, proveniva da una famiglia di gente vissuta sempre nei circhi. Alla morte di suo padre, aveva ereditato tutto. Solo di leoni il Circo ne aveva chissà quanti. Poi, c’erano i cavalli ammaestrati... Quando doveva pagare i salari e gli stipendi alla gente del Circo, sborsava somme enormi. E i suoi artisti erano i più famosi di Europa.

- E tutti ricevevano i soldi regolarmente, ogni sabato. Non ci fu mai un ritardo, per nessuno.Era accaduto in Italia, una primavera. Un giorno il re, il re in persona, era venuto al suo Circo. Che

serata fu quella! Forse lui, Antonio Balduino, non ci credeva, perché lo vedeva lì ubriaco e malvestito. Eppure era stato applaudito dal re. Non solo dal re, ma da tutta la famiglia reale, che era in un palco di prima fila. Quando Giuseppe entrò nell’arena, fu un vero avvenimento, Dio mio! Non si era mai vista

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una cosa simile.- Credevo che gli applausi non dovessero più finire...Era lì, nell’album, la sua fotografia di allora. Sì, era vestito in frac: così entrava nell’arena. Poi si

toglieva i vestiti, a poco a poco. La giacca, i pantaloni, la camicia col petto duro. Rimaneva in maglia, così come in quest’altra foto. Ed era bello: non si possono fare confronti con quello che è oggi. Adesso non è più che pelle e ossa. Ma, allora, le donne si innamoravano di lui solo a guardarlo. Ci fu una contessa, una signora bionda, piena di gioielli... Gli aveva dato un appuntamento...

- Come andò a finire?... - Il negro era incuriosito.- Un vero cavaliere non racconta queste cose.Il re era là, nel suo palco di prima fila. E tutta la famiglia reale. Giuseppe eseguì il doppio salto

mortale e - non ci crederete - il re non si tenne e si alzò in piedi per applaudirlo. Che serata quella. Anche Risoleta era più bella che mai, e quando saltò con lui fu un grande successo. Lei vendeva la fotografia di loro due agli spettatori: questa fotografia, lì in mezzo alla pagina dell’album, e dove si vedeva una donna nell’atto di ringraziare il pubblico per gli applausi, e tenere per mano un uomo in una specie di costume da bagno. Guardando bene, in quell’uomo si riconosceva Giuseppe.

- Una bella donna... - fece Antonio Balduino.- Era mia moglie, Risoleta.Lei vendeva quella foto agli spettatori e tutti la compravano. Era primavera e Risoleta pareva un

fiore di primavera. Tutti i romani volevano un suo ricordo, un ricordo della primavera che se ne andava e prendevano la sua fotografia. In quest’altra foto si vedeva lei in equilibrio su una gamba, sopra un cavallo in corsa. Si chiamava Jupiter, il cavallo, e valeva parecchi soldi. Rimase nelle mani di un creditore, in Danimarca, durante un giro che il Circo aveva fatto lassù. Questa fotografia di Risoleta, in piedi sul cavallo, era stata presa pochi giorni prima che lei cadesse. Era così bella, quella primavera, così giovane, che nessuno avrebbe mai detto dovesse capitarle quella stupida disgrazia. Giuseppe non lo avrebbe mai creduto. Eppure, Risoleta cadde. C’era tanta gente quella sera nel Circo che sembrava un mare di teste. Loro due, Giuseppe e Risoleta, erano il grande successo della stagione. Tutti, in quei giorni, parlavano dei Due Diavoli, nome di battaglia sotto il quale erano noti. Quando Risoleta si lasciava vedere nelle vie della città le donne si fermavano a guardarla: imitavano i suoi vestiti, le sue mosse, perché lei sapeva essere elegante, non era bella soltanto nel Circo, sul trapezio. Gli uomini, poi, andavano pazzi per lei. Loro due erano il gran successo di quella primavera romana. Questa fotografia mostrava Risoleta in abiti da passeggio.

Giuseppe osservava l’immagine di Risoleta. Poi fece due passi verso il letto e tirò fuori una bottiglia d’acquavite.

- Gocce di Santo Amaro, eh? - rise Antonio.Giuseppe beveva ancora. Non staccava gli occhi dalla foto della moglie. Anche Antonio Balduino

poteva vedere che la donna aveva il viso triste di una che si sentiva prigioniera. Giuseppe sapeva bene che a lei non andava a genio quella vita del Circo, che aspirava a entrare in società, ben vestita, elegante, facendo furore tra gli uomini. Ma chi avrebbe detto che, invece, proprio quella sera dovesse cadere? Non si era rotto nessuno specchio... Giuseppe e Risoleta entrarono nell’arena, sotto uno scroscio di applausi. Lei ringraziò sorridente e tutti e due salirono sul trapezio. Dapprima tutto filò bene come al solito. Ma nel salto mortale... Non era mai successo. Forse il trapezio si mosse male. Risoleta non raggiunse le gambe di Giuseppe, e non potè aggrapparsi da nessuna parte. Era là in terra, come un mucchio di carne. Quando Rex, il leone, ammazzò John, il domatore inglese, e lo fece a pezzi, non fu così orrendo. Risoleta non era più che un mucchio di carne, senza testa, senza braccia, niente. Giuseppe non sa come mai non cadde anche lui, dove trovò la forza per discendere. Fuori era primavera e passeggiavano le coppie. Passò del tempo, e il pagliaccio arrivò a dire che Giuseppe l’aveva lasciata cadere apposta, perché aveva saputo che Risoleta aveva un amante. Si fece un’inchiesta, che non portò a niente... Ma da quel giorno, cominciò il declino del Grande Circo Internazionale.

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- Sembra un romanzo, - esclamò Balduino. - Lo racconterò al Gordo.- Ma voi ci credete che lei avesse un amante? Lo dissero, me lo vollero dimostrare, mi fecero vedere

le lettere di lui a lei dalle quali si capiva che quel tale aveva rapporti con Risoleta. Ma era tutta una menzogna. La gente del Circo è cattiva. Non bisogna fidarsi della gente del Circo. Sono tutti invidiosi. Erano invidiosi del successo di lei. Ma ciò che mi dà più rabbia e che mi fa bere continuamente è il pensiero che forse Risoleta aveva veramente un amante. C’erano le lettere. Eppure, lei era così buona. Che le piacesse questa vita, no, questo non si poteva dire. Non era però donna da avere un amante. Tuttavia c’erano le lettere. E parlavano anche di appuntamenti... Oh, quanto vorrei che lei fosse viva per farmi dire che era tutta una menzogna, che era soltanto invidia! Non vi sembra?

Ora forse si metterà a piangere? Stava con la testa fra le mani e aveva chiuso gli occhi. Toccò adesso ad Antonio Balduino afferrare la bottiglia dell’acquavite e berne una gran sorsata. Fuori, era una sera di primavera.

- Che cosa fa il pagliaccio?- Prende le donne al laccio.- Vedi la negra alla finestra?- Si cucina la minestra.Il pagliaccio Bolão va in giro, montato a rovescio su un asino. In fondo alla città, il Circo domina

ogni cosa. Innumerevoli bandiere e due grandi manifesti sulla porta. Laggiù suonerà la musica questa sera, e le negre venderanno il cocco. La città parla soltanto del Circo, degli artisti, della negra che balla quasi nuda e, soprattutto, del negro Baldo che sfida gli uomini di Feira de Sant’Ana. La gente commenta a lungo l’avvenimento, nel mercato grande. Luigi ha atteso il lunedì per far debuttare il Circo. Quel giorno, infatti, c’è il mercato del bestiame e vengono uomini da tutti i dintorni a vendere e comperare buoi. Il pagliaccio attraversa il Largo da Feira, la piazza del mercato:

- C’è spettacolo oggi?- Come no? Certo, signore.I ragazzi, che sono scesi dalle fazendas, dalle fattorie, per portare zucchero grezzo e ricotta a vendere,

guardano con invidia i monelli della città che accompagnano il pagliaccio e questa sera entreranno gratis al Circo. Un contadino dice a un altro:

- A me piace il Circo, a me piace molto.- Io ne ho già visto uno che si chiamava «Europeo» e che era proprio bello.- Dicono che questo sia formidabile.- E che grande è! Se il pagliaccio ha detto la verità...- Voglio pernottare qui; voglio andare al Circo.- Sembra che non ci sia più nemmeno un posto. Tutto esaurito.I monelli si preparano a entrare nel Circo passando sotto la tenda. Il pagliaccio ha continuato la sua

gloriosa passeggiata in mezzo ai contadini. Dagli uffici commerciali, gli impiegati osservavano la scena. In mezzo al mercato, il pagliaccio si è fermato e ha chiesto silenzio:

- Gentile pubblico! Baldo, campione mondiale di lotta libera, di pugilato e di lotta africana, venuto da Rio de Janeiro espressamente (e sottolineava con la voce «espressamente») per lavorare nel Grande Circo Internazionale, per tre contos al mese, vitto, alloggio e panni lavati...

- Eh! - ha mormorato un contadino.- ... ha il piacere di sfidare chiunque voglia, in questa eroica città, battersi con lui in un incontro di

lotta nell’arena del Circo, questa sera o durante la permanenza del Circo a Feira de Sant’Ana. Se qualcuno vincerà Baldo, il circo darà a questo eroe la somma di cinque contos di reis. Cinque contos di reis, - ripeteva gridando. - E Baldo aggiunge un conto di sua tasca, perché è sicuro di non perdere. C’è qualcuno che vuole approfittare di questa occasione? Fosso dire, intanto, a questo gentile pubblico che due uomini già si sono presentati nell’ufficio del Circo accettando la sfida del grande campione Baldo, il

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quale ha naturalmente acconsentito a battersi con loro. Chi vuole incontrarsi con lui deve soltanto recarsi questa sera al Grande Circo Internazionale. Gli incontri termineranno con la morte di uno dei due lottatori. Ho detto: con la morte...

E, come non fosse stanco dopo questo lungo discorso, continua il suo giro per la città, montato a rovescio sull’asino, il quale, di tanto in tanto, s’impunta. Il pagliaccio fa finta di cadere e si attacca alla coda dell’animale: a questi gesti tutti i passanti ridono, e lui ripete lo stesso discorso, là dove trova un po’ di gente riunita.

Tutta la città commenta l’incontro di lotta che ci sarebbe stato la sera e già si sa che un autista, un commesso di negozio e un enorme contadino sono disposti ad accettare la sfida di Baldo, il gigante negro, e a disputare la lotta per i cinque contos. La città, verso sera, si è già fatta nervosa.

Quando il contadino entrò, un ragazzo che lanciava frizzi dai posti in piedi, gridò:- José, ecco il maschio delle due scimmie lottatrici. Su di lui hai scommesso, - e indicò il contadino.Tutti risero. Il contadino voleva attaccar lite ma finì col ridere anche lui. Quel contadino in sandali e

bastone era un vero gigante. Rideva tra sé perché pensava ai cinque contos che avrebbe guadagnato con quel certo Baldo. Nei boschi, abbatteva gli alberi con due colpi di scure e trasportava enormi tronchi per lunghe distanze. Quando si sedette, aveva un sorriso di vittoria, benché fosse un uomo modesto e timido.

Entravano nel Circo alcuni negri e portavano con sé delle sedie: quelle sedie erano destinate alle famiglie che avevano preso i palchi. Il Circo non aveva sedie: se volevano sedersi, le dovevano portare gli spettatori.

- Per questo, io vengo soltanto nei posti in piedi. Si spende meno e non c’è bisogno di portare niente. Si porta solo il corpo.

- Ecco il domestico del giudice!Il negro entrò, posò le sedie nel palco, uscì per prenderne altre e, finalmente, si sedette in gradinata.

Qualcuno fischiava e prendeva in giro un tipo che si era seduto in un palco:- Olé! Chico Peixeiro: ti tratti bene, eh? Chi t’ha pagato, forse Naninha?Fuori era bello: bello di tante luci e di tanti colori. L’insegna del Circo - Grande Circo Internazionale

- brillava in rosso, azzurro e giallo, e le lampade si accendevano e spegnevano. Alcune negre in gonna e con tante collane al collo, vendevano le solite pizze e schiacciate: pipocas, acarajés, mingati e mungunzà. Tutta la piazza era illuminata dalla luce del Circo. Diversi monelli giravano intorno alla tenda del Circo cercando qualche strappo o qualche buco da dove si potesse entrare a sbafo. Un uomo vendeva succo di canna da zucchero e un negro, un gelataio, si affannava a finire presto il suo recipiente di gelato per potere entrare anche lui nei posti in piedi. Costui se ne usciva in grandi risate, pregustando la gioia e il divertimento che gli avrebbero procurato le battute e le burle spassose del pagliaccio. La gente faceva ressa alla biglietteria dei posti popolari, e, là vicino, Luigi si fregava le mani dalla gioia. Le vecchie della città erano spaventate da quel movimento inaspettato di tutta la popolazione: Feira de Sant’Ana era una cittadina tranquilla, che alle nove si trovava tutta immersa nel sonno. Il Circo però aveva portato un gran trambusto, aveva rivoluzionato tutto, perché il Circo è novità, viaggi, bestie di altri paesi, avventura. I negri avevano già inventato storie sulla vita degli artisti.

In quest’istante arriva la banda. Adesso sbocca nella Rua Direita, nella via centrale, e già si sente l’aria di una marcia da carnevale. Dentro, nel Circo, tutti si alzano. Quelli che stanno sulle panche pi ù alte dei popolari guardano al di sopra della tenda. I monelli, che sono sulla porta del Circo, accorrono e seguono la banda Euterpe 7 Settembre. La banda viene avanti elegante, altera, a passo marziale, vestita di verde e di azzurro. Rodrigo, il farmacista, è straordinario come primo flauto. La tromba a pistone butta fuori dei suoni che continuano a vibrare nell’aria e vanno a rimbombare nella testa di Antonio Balduino, il quale esce dal baraccone e viene anche lui a vedere la musica. Una bella banda! I suonatori sono davvero ben vestiti. Quello che cammina a passo indietro è il maestro. Antonio Balduino darebbe chissà che cosa per scambiare il suo posto di lottatore con quello dell’uomo magro che cammina come

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un gambero e dirige la Euterpe 7 Settembre. È veramente bello, pensa il negro, e tutte le donne lo guardano! Tutto il popolo. È lui l’eroe della città, la gloria di Feira de Sant’Ana. Lui e il flautista. Sono conosciuti da tutti e salutati da tutti. Il giudice si leva il cappello, quando passano, e i giovani, che ora siedono sulle panche, quando vogliono fare una festa, invitano il flautista ad andare con loro, gli pagano da bere e lo trattano da pari a pari, contenti soltanto del fatto che lui porta sempre con sé il flauto. Ma Giuseppe distoglie Antonio Balduino dalla contemplazione estatica della banda musicale. Il negro ritorna nel suo baraccone e porta nell’animo il desiderio di dirigere anche lui, un giorno, una bella Euterpe. La banda entra, adesso, sul piazzale del Circo. Arriva tutta circondata di gente: importante, altera, consapevole del proprio prestigio. All’ingresso del Grande Circo Internazionale, il maestro dà un ordine e tutti gli uomini della banda si fermano. Nei popolari, nei posti a sedere, nei palchi, anche nei baracconi degli artisti tutti stanno ad ascoltare l’inno che la Euterpe ha attaccato a suonare all’entrata del Circo. E tutti pensano che quella musica è bella e che Feira de Sant’Ana ha certamente la migliore banda di tutto lo Stato. Finito l’inno, i musicisti entrano nel Circo e si vanno a collocare sopra la porta, in una tribuna fatta apposta per loro. Adesso la musica è arrivata e il pubblico reclama l’inizio dello spettacolo che si fa attendere.

- Il pagliaccio! Venga fuori il pagliaccio!La ragazzaglia urla, urlano gli uomini e anche il giudice ha guardato l’orologio e ha detto alla moglie:- Sono passati cinque minuti dall’ora fissata. La puntualità è una grande virtù.Ma la moglie non dà più importanza ai principi del marito, alle sentenze del consorte, il giudice. Nel

palco vicino, un gruppo di impiegati e di commercianti, che hanno fatto una scommessa collettiva, parlano dell’incontro.

- Durerà davvero fino alla morte di uno dei due?- La polizia non lo permette.- Ma hanno detto che questo Baldo è un tipo formidabile. Agripino, che ha visto il negro lottare a

Bahia con un tedesco, ha detto che è proprio un toro.Nei popolari, la gente batte i piedi sulle tavole. La gente dei popolari è maleducata, pensano gli

impiegati e i commercianti. Si è mai visto uno spettacolo che comincia all’ora giusta? Quelli dei popolari sono maleducati. Ma non è per maleducazione che battono i piedi. I commercianti e gli impiegati non lo sanno. Quelli dei popolari battono i piedi, gridano e protestano, perché così ci si diverte di più. Un circo senza frizzi dalla piccionaia, senza grida, senza proteste, non è un vero circo. È proprio quello infatti, il meglio del circo: avere la voce rauca dal tanto gridare, i piedi doloranti dal picchiare sulle tavole dei popolari. Una negra protesta:

- Pizzica le cosce di tua madre, mascalzone!C’è un principio di lite dalla parte sinistra dei popolari. Quando qualcuno dà fastidio a una donna

sposata succede sempre così. Un uomo è caduto dalla piccionaia. Ma subito si è alzato ed è tornato, tra un mare di fischi, al suo posto. Nell’arena compare Luigi, vestito dell’uniforme di Giuseppe, il quale, questa sera, si è preso una delle sue peggiori sbornie. Il silenzio si diffonde in tutto il Circo.

- Gentile pubblico! Il Grande Circo Internazionale vi ringrazia per la vostra presenza qui, al suo primo spettacolo, e spera che i suoi grandi artisti meritino i vostri cordiali e benevoli applausi.

Luigi ha calcato sul suo accento italiano. Così fa più impressione. Gli inservienti sono entrati, hanno steso un tappeto vecchio e bucato, che attraversa l’arena da un punto all’altro; e ora avviene la presentazione della compagnia, in mezzo a un delirio di battimani. Per primo è entrato Luigi, che porta per la cavezza il cavallo Furacão, con i guarnimenti che luccicano. Poi è entrata Fif ì, la donna del trapezio, e gli applausi sono aumentati: l’atleta indossa un gonnellino di stoffa verde e mostra le gambe agli occhi avidi dei negri, degli impiegati, e del giudice. Ringrazia il pubblico alzando un po’ di più il lembo del gonnellino. Il pubblico applaude freneticamente. Il pagliaccio Bolão entra facendo giravolte e piroette:

- Buona sera a tutti, amici cari!

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Risate da ogni parte. Il pagliaccio indossa dei calzoni larghi, azzurri, pieni di stelle gialle e con una luna rossa sulle natiche:

- Sono vestito di cielo e di tutte le stelle. È il vestito che mi ha dato una fata!È così divertente il pagliaccio! L’Uomo-Serpente sembra davvero un cobra in quel costume attillato,

pieno di cose che brillano. Il costume lo fa sembrare una donna, o meglio un bambino o una bambina, e alcuni uomini lanciano verso di lui parole di scherno. Altri, invece, chiedono silenzio a voce alta. L’uomo che mangia il fuoco ha i capelli rossi. Il grande equilibrista Robert fa colpo sulle donne per il suo frac; francese è il suo nome, francese è anche il suo modo di tenere i capelli lisci, impomatati, con la scriminatura nel mezzo; un vero incanto. Lancia baci qua e là con le mani, baci raccolti e custoditi in segreto dalle donzelle romantiche. Una vecchia zitellona sospira. «Un bel tipo», mormora qualcuno nei popolari. Joujou, invece, passa quasi inosservata perché tutti gli occhi sono puntati, adesso, sul gorilla e sull’orso. Il leone sta in una gabbia laggiù in fondo, e ruggisce con aria lugubre. Con aria lugubre e feroce. Una donna sussurra alla vicina che a lei non piace andare al Circo perché ha paura che il leone esca dalla gabbia. Il leone le mette il nervoso. Joujou è ormai anziana, molte sue rughe il cosmetico non riesce a coprirle; tuttavia, anche così, è una donna con un bel corpo. Rosenda Rosedà arriva vestita alla maniera di Bahia:

- Buona sera, amici!Fa una corsa tutto attorno al circo, saltando, sollevando la gonna che fa la ruota e che, girando

nell’aria, sembra la tenda del Circo. Gli uomini dimenticano Joujou, Fifì, il grande equilibrista Robert, l’orso, il leone, e anche il pagliaccio, per fissare gli occhi soltanto sulla negra Rosenda Rosedà che, vestita alla maniera di Bahia, agita le anche così bene. Gli occhi sono pieni di lussuria. Gli impiegati e i commercianti tendono il collo, e si appoggiano sul bordo del palco per vedere meglio. Il giudice ha tirato fuori dalla tasca gli occhiali. Sua moglie dice che è una cosa immorale.

I negri dei popolari sono rauchi dal tanto gridare. Rosenda ha conquistato il pubblico. L’unico che non si fa vedere è Baldo, il gigante negro, che, dietro le tende, sostiene Giuseppe ubriaco e lo trattiene, perché lui vorrebbe a tutti i costi andare a salutare il pubblico. La gente reclama l’arrivo del negro:

- Fuori il lottatore! Fuori il lottatore!- Che forse si nasconde?Luigi spiega che Baldo, il gigante negro, il grande lottatore, campione mondiale di pugilato, di lotta

libera e di lotta africana, si sta ancora allenando e apparirà soltanto quando dovrà incominciare l’incontro con i campioni di quella eroica città. La compagnia si ritira e ha inizio lo spettacolo con Joujou e il suo cavallo. Il cavallo Furacão corre al galoppo intorno all’arena. Joujou ha una frusta in mano e indossa dei pantaloncini corti e una blusa che le stringe le grosse mammelle. Salta sul cavallo. Ora è in piedi sulle anche dell’animale. Per lei è come stare sopra un’automobile. Fa un salto sulla groppa di Furacão in corsa. Applausi. Dopo aver fatto altre piroette, si ritira tra i battimani.

- Ne ho viste di meglio, - osserva un individuo che viene ascoltato da tutti perché ha viaggiato molto per il mondo. Egli dice di aver visto cose migliori a Bahia e a Rio.

- Questo non mi va.La gente che prima aveva voglia di applaudire resta dubbiosa. Ma poi tutti superano l’incertezza e

battono le mani con forza. Appena l’orchestra ha intonato una samba, il pagliaccio è entrato facendo dei capitomboli. Si è messo a leticare con Luigi, ha afferrato una valigia mezzo aperta (s’intravede un paio di mutande), ha preso un bastone e, alla fine, fa segno di volersene andare. Poi, fa qualche gioco di prestigio, e Luigi gli chiede:

- Sei stato a scuola, Bolão?- Come no! Sono stato due anni nella erementale e ho imparato a essere somaro -. Il pubblico ride a

non finire.- Allora dimmi: in quanti giorni Iddio ha fatto il mondo?- Io lo so.

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- Allora dillo.- Forse credi che io non lo sappia? - e minacciava con un bastone.- Allora dillo!- Io lo so, ma non lo dico, perché non voglio dirlo.- Vuol dire che non lo sai...- Non lo so... Chi ti ha detto che non lo so? Dimmelo, ché gli vado a dare un sacco di botte.In questo modo, dicendo cose simili a queste, il pagliaccio, nella sera del primo spettacolo del Circo,

fece felice tutta quella gente. Gli impiegati e i commercianti ridevano, il giudice rideva, i negri dei popolari ridevano pure, ma a grandi, forti risate. Soltanto l’uomo che aveva viaggiato trovava tutto insulso e poco divertente e rimpiangeva i soldi che aveva sborsato. Ma costui aveva perduto ogni innocenza, ogni purezza, da diversi anni, da quando era stato nelle grandi città come studente, prima che gli morisse il padre e prima che andasse a lavorare da Abdula.

Il gorilla ballò. L’orso bevve un bicchierone di birra. L’Uomo-Serpente, che pareva senza sesso, si contorceva tutto. Non si poteva guardare, dava il nervoso. Metteva la testa tra i piedi, girava il corpo tutto da una parte, si metteva i piedi in bocca, stava tutto raggomitolato sopra una cassa piccolissima con quel ventre da donna, le gambe sulle spalle, vicino alla testa. Lavorava bene, ma irritava gli uomini perché non aveva un sesso definito, e tutti restavano incerti non sapendo se dovevano amarlo, se dovevano pensare a lui come a una donna, o se dovevano applaudirlo come si applaude un vero uomo. Soltanto negli occhi di quello che aveva viaggiato molto brillava una luce strana, equivoca. L’Uomo-Serpente ringraziò con il suo viso da angelo, gettò baci come faceva Robert, il grande equilibrista, e accennò un inchino come faceva Fifì, la celebre donna del trapezio. Le donne avevano raccolto i baci, gli uomini i saluti. A questo punto, solo lui, l’uomo che aveva viaggiato molto, lasciò vuoto il suo posto e se ne andò, perché, a suo giudizio, lo spettacolo era ormai finito. Portò con sé, nel cuore, la propria miseria e negli occhi la propria tristezza, e quella notte non dormi.

Il grande equilibrista Robert, questa sera, non dà spettacolo. Le donne rimangono male. In compenso ecco Rosenda Rosedà, l’inimitabile.

L’incomparabile ROSENDA ROSEDÁsi presenta a noi superba nella suaformidabile interpretazione drammaticae patetica toccando le più alte cimedella sua brillante carriera sulle scene.

La formidabile interpretazione drammatica e patetica è una danza emozionante: il maxixe20. È possibile che sotto la lunga gonna alla moda di Bahia, Rosenda non porti niente? Sembrerebbe di no, poiché essa lascia intravedere le cosce fino a metà e non si scopre nessun pezzo di stoffa. Sui seni porta delle collane di perle multicolori. Con le gambe fa dei grandi X. La moglie del giudice dice che questa è una scena decisamente immorale e che la polizia non dovrebbe permetterla. Il giudice non è d’accordo con la moglie: cita la Costituzione e il Codice, e aggiunge che lei non deve parlare perché non sa niente, e che, insomma, lui vuole guardare le cosce di Rosenda Rosedà, «l’incomparabile» . Ma adesso tutti hanno qualcosa di meglio da vedere. Rosenda agita le anche. Il resto del corpo è scomparso: sembra che abbia solo le anche. Le sue natiche riempiono il Circo, dal tetto fin giù all’arena. Rosenda Rosedà balla; balla una danza mistica da Macumba, sensuale come una danza religiosa, feroce come una danza delle foreste vergini. La donna lascia vedere tutto il corpo: eppure esso resta un segreto per gli uomini, giacché, appena si mostra allo sguardo, subito la gonna lo copre, lo nasconde. Gli uomini sono nervosi e tesi; fissano gli occhi sulla donna, ma è tutto inutile. La danza è troppo rapida; ed è anche troppo religiosa: infatti, essa finisce col dominarli. Ma i bianchi non sono così presi dal ritmo, essi continuano a

20 Maxixe: Danza sensuale, voluttuosa.

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fissare lo sguardo sulle cosce, sulle natiche, sul sesso di Rosenda Rosedà. I negri, invece, sono dominati dalla danza, dai movimenti, dal ritmo intenso e religioso della Macumba, del maxixe, e credono che la donna sia posseduta da qualche santo. Rosenda «tocca le più alte cime della sua brillante carriera» quando, finalmente, cessa il movimento delle natiche e si ferma sulle gambe, ricevendo l’ovazione entusiastica e delirante del pubblico, che è scattato in piedi e non sente nemmeno la marcia che ha attaccato a suonare la banda. E Rosenda danza di nuovo «la sua formidabile interpretazione», il suo emozionante maxixe, la danza religiosa dei negri, la Macumba degli dèi della caccia e del vaiolo, mentre la gonna vola, i suoi seni saltano sotto le collane, davanti agli occhi avidi del giudice. Le gambe e i piedi dei negri accompagnano la danza sulle tavole delle tribune popolari, che rischiano di rompersi e di cadere. Rosenda ormai ha «toccato le più alte cime della sua brillante carriera sulle scene». Il giudice si è alzato per applaudire. Fa pensare al re del racconto di Giuseppe. Rosenda, da sotto le gonne, estrae fiori, petali di rose, e li getta sulla testa calva del giudice. È un’idea di Luigi, questa. Ed è un momento di grande emozione. Quando lo spettacolo sarà finito, verrà un negro in sandali e raccoglierà uno di quei petali di rosa, che ancora conserva il profumo del corpo nudo di Rosenda Rosedà, e porterà con sé quel fiore nelle piantagioni di tabacco.

Il pagliaccio rientra nell’arena e di nuovo gli uomini ridono e tornano sereni. Infine, compare Luigi che annuncia:

- Gentile pubblico! Baldo, il gigante nero che già conoscete di nome e di fama, sfida chiunque in questa città voglia affrontarlo in una lotta che deve finire soltanto con la morte di uno dei contendenti. La direzione del Circo offre cinque contos di premio al vincitore e Baldo aggiunge di sua tasca un conto, perché sicuro della propria vittoria.

Nella folla si sente un lungo sussurrio. Luigi esce e rientra insieme al negro Antonio Balduino, che porta, sul corpo muscoloso, una pelle di tigre, che è troppo piccola per lui e lo impaccia nei movimenti. Incrocia le braccia sul petto e guarda gli spettatori con occhi di sfida. Sa che Rosenda lo sta guardando e desidererebbe che si presentasse qualcuno per disputare veramente l’incontro. Rosenda ha venduto in giro le proprie fotografie, è andata a contare, nel baraccone, i soldi incassati, poi ha avvertito Antonio che doveva entrare in scena. Ma adesso non compare nessuno che sia disposto ad affrontare il negro. Luigi spiega al «gentile pubblico» che i due uomini, venuti in un primo tempo nell’ufficio del Circo, non si sono più presentati. Se non fosse venuto avanti nessuno, Baldo avrebbe lottato con l'orso. Luigi ha appena finito di parlare che quel contadino dall’aria di scimmione, di guariba, si è alzato e si è venuto a piantare in mezzo all’arena, tutto impacciato:

- È vera la faccenda dei cinque contos?- È la pura verità, - ha risposto Luigi un po’ spaventato.Il contadino si è tolto i sandali e la camicia, ed è rimasto con i soli calzoni. Luigi ha scambiato

un’occhiata con Antonio Balduino. Il negro ha sorriso facendo intendere che tutto andava bene. Hanno portato un materasso in mezzo all’arena e Antonio Balduino si è tolto la pelle di tigre per rimanere soltanto con un paio di piccole mutandine. Il taglio della sua faccia spicca più che mai alla luce delle grosse lampade. Gli uomini applaudono il contadino. Luigi si è rivolto di nuovo al pubblico chiedendo che qualcuno, esperto di lotta, si presti a fare da secondo arbitro.

Si è fatto avanti uno dei commessi di negozio. Ha parlato un po’ con Luigi per fissare le condizioni dell’incontro. Poi l’italiano ha spiegato al pubblico:

- La lotta finirà soltanto con la morte o con la rinuncia di uno dei due contendenti.E passa alle presentazioni:- Ecco Baldo, il gigante nero, campione mondiale di pugilato, di lotta libera e di lotta africana: lo

sfidante.Dopo aver chiesto qualcosa al contadino, annuncia:- Totonho da Rosinha, che ha accettato la sfida.Antonio Balduino si fa avanti per stringere la mano all’avversario. Ma costui ha creduto che quello

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fosse già l’inizio del combattimento e si è gettato sul negro. Luigi li separa, spiega la cosa e tutto si rimette a posto. Adesso sono in mezzo al tappeto e si guardano fissi in faccia.

Rosenda Rosedà era là dietro, e guardava sempre il negro Antonio Balduino. Non c’erano, per Antonio, i cinque contos, non c’era stipendio, ma c’era solo il corpo tiepido di Rosenda, la «incomparabile». E Balduino si sentiva felice. Se fosse riuscito a essere anche direttore della banda Euterpe si sarebbe potuto chiamare completamente felice.

Il commesso diede il via e contò:- Uno... due... tre...Il contadino si era subito buttato addosso a Balduino, il quale indietreggiava e correva tutt’intorno al

tappeto. La folla fischiò il negro. E Rosenda rispose con una boccaccia in direzione del pubblico. Ma, d’improvviso, Baldo si voltò e assestò un pugno sul viso di Totonho. Come se niente fosse. Il contadino sembrava quasi non averlo nemmeno sentito. Di nuovo egli si era messo a inseguire il negro e di nuovo aveva incassato altri colpi. «Qui bisogna tirar fuori qualche colpo di lotta africana», pensò Antonio Balduino. Si scagliò quindi sul contadino, lo fece cadere e gli martellò la faccia di pugni. Ma Totonho riuscì a stringere tra le gambe l’avversario e a rovesciarlo; e ora gli stava persino sopra. A questo punto, Antonio Balduino capì con chi aveva a che fare: costui non sapeva picchiare, aveva soltanto una forza bruta. Appena si alzarono da terra, il negro piazzò altri pugni sul corpo del contadino, che non sapeva come schivarli. Mentre correvano così, torno torno al tappeto, Totonho afferrò Antonio Balduino per la vita, lo sollevò in aria e gettò il negro per terra con tutta la forza. Il negro, steso in terra, era rimasto un po’ di tempo immobile. Poi, si era rialzato pieno di rabbia. Fino a quel momento, Antonio lottava solo con accanimento, ma adesso era pieno d’ira. Atterrò il contadino con un colpo di lotta africana, gli afferrò il braccio e glielo contorse senza tanti complimenti. L’avversario era inchiodato dalle gambe di Baldo che continuava a storcergli il braccio. La folla applaudiva. Il contadino diede un grande urlo, abbandonò l’incontro e pagò i cinque contos. Uscì in mezzo ai fischi, tenendosi il braccio che gli sembrava rotto. Antonio Balduino salutò il pubblico, e si ritirò, in mezzo agli applausi.

- Il negro ci sa fare...Appena fu nel baraccone, Antonio domandò a Rosenda:- Ti è piaciuto?La donna aveva gli occhi umidi dall’entusiasmo.Un inserviente corse nell’arena: portava un cartello dove c’era scritto:

INTERVALLO

La gente uscì a bere succo di canna da zucchero. La banda intonò alcune marcette.

Robert era vestito da sergente, come pure Antonio Balduino. Il grande equilibrista era elegantissimo nell’uniforme di sergente dell’esercito francese. Invece, la divisa di Antonio Balduino era corta e stretta, perché era stata fatta per l’uomo che ingoiava le spade, il quale non lavorava più nel circo da qualche anno. Quell’uniforme stretta gli dava fastidio, e la sciabola, così corta, era un po’ ridicola. Ma a parte questi inconvenienti, la scena sarebbe andata bene lo stesso se non ci fosse stata Fifì che voleva incassare subito la paga, prima di cominciare la seconda parte dello spettacolo. In questa seconda parte si sarebbe dovuto rappresentare la celebre pantomima I tre sergenti. Poiché Luigi non aveva ancora fatto i conti delle spese fisse del Circo e non voleva pagare nessuno prima dell’indomani, Fifì protestava:

- O mi pagate adesso o non entro in scena.Fifì faceva la parte del terzo sergente e stava bene vestita così, da uomo. Rossa di rabbia, tendeva un

dito in un gesto di minaccia, e gridava. Luigi scoppiò a ridere:- L’uniforme vi ha dato alla testa. Forse vi siete troppo impersonata nella parte di sergente...

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- Lasciate stare le ironie, lasciatele stare!Arrivò Giuseppe ubriaco fradicio e cominciò a parlare di arte, di applausi, di fiori, e finì perfino col

piangere. Luigi disse a Fifì d’aspettare: avrebbe fatto i conti e l’avrebbe pagata quella sera stessa. Non intralciasse la continuazione dello spettacolo. Ecco: forse non sentiva? Il pubblico, nel Circo, già protestava, batteva i piedi, impaziente. Luigi si strappava i rari capelli, disperato. Rosenda Rosedà anche lei intervenne, con un tono umano:

- Smettila di fare la guastafeste. Lo spettacolo questa volta funziona così bene...Fifì di questo si rendeva conto. E non le piaceva nemmeno fare la guastafeste. Sì, lo spettacolo era

andato bene, molti erano stati gli applausi, moltissima la gente nelle gradinate. Tutti erano contenti e lei lo era come gli altri. Ma nel suo seno Fifì conservava la lettera della direttrice del collegio: perciò doveva essere forte, doveva resistere, protestare, averla vinta. Da due mesi, infatti, non pagava il collegio dove teneva sua figlia e se non avesse versato le quote nel giro di dieci giorni, la direttrice le avrebbe rimandato indietro la bambina. Fifì non voleva assolutamente vedere sua figlia lì, nel Circo. Questo proprio non lo voleva. E doveva essere forte, doveva saper essere forte. Si propose di non guardare in faccia Luigi, il quale aveva un’aria supplichevole, implorante. Luigi era stato sempre buono con lei, l’aveva persino aiutata. Eppure, se questa volta lei non l’avesse spuntata prima della fine dello spettacolo, se avesse lasciato andare la cosa al giorno dopo, se avesse aspettato il momento in cui si sarebbero dovute pagare le spese fisse, la sua bambina sarebbe finita nel Circo, e sarebbero andati in fumo tutti i suoi piani, tutti i suoi sogni, accarezzati in questi lunghi quattro anni, durante i quali aveva sempre pagato con tanto sacrificio le quote del collegio di Elvira. Quando le era nata la figlia, Fifì stava appunto leggendo il romanzo: Elvira, vergine martire. Adesso non aveva nemmeno i soldi per comprare dei romanzi. Ora mandava tutti i suoi stipendi alla direttrice del collegio e spesso quei soldi non bastavano. Elvira, tra poco, avrebbe finito la scuola. Se lei non fosse riuscita a essere forte, se non avesse resistito adesso, sarebbero caduti tutti i suoi castelli, costruiti a forza di sacrifici.

... La città era piccola, anche più piccola di Feira de Sant’Ana. È sempre difficile ottenere una cattedra di maestra d’asilo. Ma da quelle parti una casa non costava molto. Davanti alla casa ci sarebbe stato un piccolo giardino, dove lei avrebbe coltivato i fiori (dei garofani: la sua passione) dove, seduta su una panchina, avrebbe letto i suoi vecchi romanzi con le copertine gialle. La scuola avrebbe funzionato nella casa stessa. Elvira avrebbe insegnato ai bambini e diretto la scuola, mentre lei avrebbe aiutato la figlia nei lavori di casa: lei avrebbe pensato ai mangiare, lei avrebbe pulito la casa, coltivato i fiori: dei garofani rossi che sarebbero stati bene sul tavolo della maestra. Fifì sarebbe diventata una specie di nonna per i bambini, i quali avrebbero imparato, con Elvira, a leggere e scrivere. Avrebbe conosciuto tutti gli abitanti di quella cittadina. E nessuno avrebbe saputo che lei era stata un’artista di circo, cantante in numerosi e vaganti teatri di varietà, e qualcosa di peggio nei giorni più brutti. I capelli bianchi le avrebbero dato un’aria materna e rispettabile, da vecchia signora povera e buona. Sarebbe stata davvero una vecchiaia felice. Avrebbe lavorato al tombolo per fare merletti - si ricordava ancora come si facevano? - da applicare sui vestiti delle ragazze più giovani. Insomma, sarebbe stata amata da tutti e soprattutto da Elvira. E, quando la vecchiaia l’avrebbe presa completamente, Elvira avrebbe abbracciato la sua testa e l’avrebbe accarezzata come faceva con i bambini. Davanti alla casa ci sarebbe stato un giardino pieno di garofani rossi. Però, per arrivare a questo, bisognava essere forte adesso, passare magari per una donna cattiva, per una guastafeste.

Fifì, rossa di vergogna, di pudore, mostrò la lettera della direttrice del collegio, svelando così il suo segreto. Luigi si commosse, le posò una mano sulla spalla e le promise:

- Io vi giuro, Fifì, che dopo lo spettacolo avrete i soldi. Anche se rischierò di rimanere senza il denaro che occorre per il pasto del leone.

Il pubblico protestava sempre più forte: fischiava, gridava contro gli inservienti. Tutti consultavano l’orologio. Finalmente, la pantomima ebbe inizio. Antonio Balduino aspettava da un’ora il momento in cui avrebbe potuto baciare Rosenda Rosedà. Il negro non sapeva bene la sua parte, non era stato mai

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capace d’imparare le cose a memoria, ma si ricordava benissimo come e quando avrebbe dovuto baciarla. Sorrideva, strizzava l’occhio a Rosenda, che faceva finta di non accorgersi di niente. Quando arrivò il momento, il negro diede un gran bacio sulla guancia della ballerina e le disse all’orecchio:

- È meglio sulla bocca...La pantomima ebbe molto successo.

Giuseppe, a quest’ora, sarà nel suo baraccone a sognare sopra le fotografie dell’album. Robert si è recato al caffè-concerto della città per trovare là una donna come si deve, facendosi forte dei suoi capelli impomatati. Fifì scrive una lettera alla direttrice del collegio, scusandosi per il ritardo del pagamento e mandandole il denaro dei due mesi. Alla luce della candela, che s’intravede in un baraccone più lontano, Antonio Balduino osserva Luigi nell’atto di fare i suoi conti. Poveraccio, era proprio in mezzo ai guai per via di quel circo! Per quanto esso riuscisse ad avere successo e buoni incassi, la situazione del circo era così infelice che non c’era santo che potesse salvarlo dal disastro.

Come mai Rosenda ci mette tanto tempo a cambiarsi? Antonio l’aspetta, appoggiato al cancello del circo, proprio sotto l’insegna luminosa che ora è spenta. Il leone ruggisce nella sua gabbi a: deve essere affamato; è magro, è pelle e ossa. L’orso, invece, sta un po’ meglio, perché tutte le sere di lavoro beve un bel bicchiere di birra. Un giorno Luigi aveva pensato di sostituire la birra con l’acqua. Aveva empito là bottiglia d’acqua, ma, se era riuscito a ingannare gli spettatori, non era riuscito a ingannare l'orso, che non ne aveva voluto sapere di bere, e aveva mandato all’aria il numero. Antonio Balduino si era divertito un mondo quando Rosenda gli aveva raccontato quella storia. Rosenda ci mette molto a vestirsi. Rosenda Rosedà: ma che bel nome! Il suo vero nome è Rosenda: e Rosedà è solo un’invenzione di Luigi.

Era una mulatta in gamba Rosenda, capace di far girare la testa a chiunque. Sapeva parlar bene; raccontava fatti avvenuti sulle colline di Rio, su quelle di Favela, su quelle di Salgueiro; descriveva le feste dei clubs di quella città: l'Ameno Jasmineiro (il bel gelsomino), il Caprichosas de Estôpa (capricciose di stoppa), il Lirio do Amor (il giglio d’amore). Rosenda aveva una maniera tutta sua, molto elegante, di muovere le anche quando camminava; pareva una vera carioca. Il fatto è che Antonio Balduino si era invaghito della negra. E Rosenda ricorreva sempre a certe sue vanità, si valeva di certi trucchi, di piccole astuzie e giochetti; trovava sempre modo di sfuggire, con aria civettuola, ad Antonio Balduino proprio quando costui credeva di averla in suo potere; eppure, in questo modo, a lui sembrava di sentirsi un po’ ricambiato nel suo amore.

Avrà finito di vestirsi? Perché ha spento la luce e ora apre la tenda che funziona da porta? Appare al chiarore della luna:

- Ti aspettavo.- Me? Guarda un po’!...Escono, vanno a passeggio. Lui le racconta le avventure vissute girando per il mondo, e lei lo ascolta

attenta. Balduino si accalora mentre racconta la fuga attraverso la foresta, l’accerchiamento fallito, g li uomini spaventati dalla sua improvvisa apparizione con il coltello in pugno. Rosenda si appoggia a lui. Il suo seno sfiora il braccio del negro.

- Che bella notte! - osserva il negro.- Quante stelle...- Quando muore un negro in gamba diventa una stella del cielo.- Io pure vorrei diventare brava, vorrei danzare in un grande teatro, in un vero teatro. Uno come

quelli di Rio.- Perché?- Perché mi piace danzare. Da bambina, io ritagliavo sempre le foto degli artisti di teatro. Mio padre

era portoghese; faceva il commerciante.I capelli di Rosenda Rosedà sono lisciati col ferro. Sembrano quelli di una bianca. Ma forse sono

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anche più lisci.«Negra sciocchina...» pensa Antonio Balduino.Ma, appena sente il contatto del suo seno sul braccio, ricorda che, nella danza, è una negra molto

eccitante.- Non te ne sei accorta? Il pubblico sembrava impazzito. Non sapeva far altro che applaudire.Rosenda gli si accosta sempre di più. Antonio insiste:- Mi piace molto una Macumba danzata così bene.- Ho cercato di andare a lavorare in un teatro. Un uomo che abitava vicino a casa mia conosceva un

portiere del teatro Recreiro. Ma papà non mi lasciò andare. Avrebbe voluto che mi sposassi con un cassiere del suo negozio, un giovanotto ributtante.

- Ma non ci sei caduta...- Mica sono scema! Non mi piaceva: tutto qui. Un portoghese...Non le venne la parola ma si capiva che cosa intendeva. Antonio Balduino le domandò:- Come?- ...poi venne Emanuel. Papà diceva che era un vagabondo, uno senza arte né parte. Ed era vero.

Non aveva mestiere, non sapeva come tirare avanti. Come te, giovanotto... S’innamorò di me; andammo a ballare all’Ameno; e da quel giorno cominciò la nostra disgrazia. Il vecchio era furibondo perché l’altro, il portoghese, si era un po’ innamorato di me. Il vecchio mi disse che ero una figlia detestabile e ingrata, e mi buttò fuori di casa, lì sulla strada.

- E tu che facesti?- Prima vissi con Emanuel in una stanza della periferia. Ma quando lui tornava a casa ubriaco, aveva

l’abitudine di picchiarmi. Non esitai; al primo di questi sfoghi feci fagotto e me ne andai. Da quel giorno, cominciai a rosicchiare gli ossi: avevo trovato da lavorare come cuoca, poi come cameriera, poi come balia asciutta. Mi convinse a fare la vita di oggi un pagliaccio che lavorava in un circo a Rio. Mi faceva la corte, diventai la sua amante. Un giorno, nel Circo, venne a mancare un’artista, una spagnola che danzava con le nacchere e io la sostituii. Dovevi vedere che successo... Poi mi stancai del pagliaccio ed entrai in un altro Circo. Era quello che tu conosci... Ed eccomi qua!..

Antonio Balduino non sapeva che cosa dire:- Proprio così...- Però, un giorno o l’altro, io andrò in un vero teatro. Che importa se sono negra! Che vuol dire? In

Europa c’è una negra che fa furore tra i bianchi. Me l’ha detto una delle mie padrone.- Già, ne ho sentito parlare.- Vedrai che ci riesco. E tu sentirai parlare molto di questa negra.Antonio Balduino sorride:- Mi sembri nella luna!- Perché?- Pare che sei vicina, ma sei lontana da qui...- Ma io sono così vicina a te.Il negro strinse alla vita Rosenda Rosedà. Ma lei, di corsa, fuggì nel suo baraccone.

Antonio Balduino, adesso, è seduto nell’unico, triste e squallido ritrovo della città. Ma oggi c’è un po’ di gente per via dello spettacolo del Circo. Se non fosse stato per il circo, tutti sarebbero andati a dormire alle nove, quando batteva l’ora della chiesa. Robert è seduto a un tavolo, tutto elegante, e guarda una donna che sta ballando. Antonio Balduino si siede vicino a lui. Robert gli chiede:

- Sei venuto anche te a trovare una donna?- No. Sono venuto a bere un bicchiere.Le donne sono poche e quasi tutte vecchie. Anche quella che segue con gli occhi Robert è una

vecchia tutta dipinta. Le donne sono sparse tra tutti i tavoli e sorridono agli uomini.

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- Perché non la inviti a sedere qui con te?- Io faccio le cose per bene...Ma Antonio giura che quella là in un angolo è vergine. Chissà come gli è venuta, ad Antonio, questa

idea nella testa? Ha già bevuto un po’, ma non gli sembra di essersi già ubriacato con due soli bicchierini di acquavite. Allora, perché si è messo in testa che quella donna dai capelli lisci, dal viso pallido, sia vergine? La donna siede in un angolo, senza vedere nulla, senza guardare nessuno, lontana da tutto, dalla taverna, dai suoi frequentatori, dalla bibita che ha lì sul tavolo. Se ci fosse il Gordo, Antonio Balduino gli chiederebbe d’inventare una storia di una bambina abbandonata, senza un suo angelo custode, senza nessuno al mondo. Se, invece, ci fosse Jubiabá, Antonio gli chiederebbe di fare una fattura contro l’uomo che vuole sfruttare quella vergine, che la obbliga a venire nel cabaret e a bere quei liquori. Antonio Balduino osserva un istante Robert che fa l’occhietto alla vecchia. Però, potrebbe anche non essere vergine... Eppure, si vede subito che ce un uomo che sfrutta quella sua aria innocente. La donna sta lì nel ritrovo, a un tavolo d’angolo, ma i suoi occhi non vedono nulla, guardano, sperduti, fuori della finestra. Forse sta pensando ai fratellini rimasti soli a casa, alla madre malata. Il padre dev’essere già morto. Forse, per questo, lei è qui.

Antonio Balduino vorrebbe andarle vicino e offrirle un po’ di denaro. Ma, in realtà, non ha nemmeno una moneta in tasca; potrebbe, però, prendere i soldi di Luigi. Un commesso di negozio l’ha invitata a ballare un tango. Finirà per vendersi a chi le dà più denaro. Ma chissà se sarà capace di chiedere qualcosa? Può darsi che non le diano niente e che la madre malata debba morire.

Sì, è tutto inutile. Sua madre non riuscirà a salvarsi; anche i fratellini moriranno, moriranno di malaria, perché hanno le pance gonfie e i visetti pallidi. Ci sarà qualcuno, - e, perché no? magari un tipo come Robert, l’equilibrista, - che finirà per sfruttarla, per vendere il suo corpo vergine e giovane agli uomini di Feira. La venderà ai contadini, agli autisti, a tutti. Lei magari s’innamorerà del suonatore di flauto, ma Robert la bastonerà, e la farà morire tubercolosa come la madre... Ma ecco: la donna si alza per uscire con il commesso. No, il negro Antonio Balduino non permetterà che questo avvenga. Magari andrà a rubare i soldi di Luigi, i soldi destinati a comprare il cibo per il leone, ma non permetterà che lei perda la sua innocenza. Raggiunge la coppia e prende il giovanotto per una spalla:

- Lasciala stare!- Occupati dei fatti tuoi...La donna continua a guardare lontano.- È una ragazza per bene, non lo sai? Fa questo soltanto per salvare sua madre che sta per morire.

Lasciala stare!Il giovanotto con un braccio dà una spinta al negro. Antonio Balduino è talmente ubriaco, che va a

cadere sopra un tavolo. E lì piange come un bambino. L’uomo esce con la donna, che appena fuori, commenta:

- Ha bevuto tanto che m’ha preso per una ragazza per bene...Ma perché ride quel giovanotto? Anche lei vorrebbe ridere, vorrebbe ridere sulla sbornia del negro,

ma non riesce, ha un nodo in gola. Un’angoscia improvvisa l’ha presa e, senza alcuna spiegazione, la ragazza abbandona l’uomo, che ancora ride senza aver capito, e se ne va a dormire sola nella sua stanza.

Nel cabaret, Antonio Balduino, sempre più ubriaco, canta tra gli applausi della gente e balla con la vecchia di Robert l’equilibrista. Poi, quando il padrone del locale si accorge che quei due non hanno soldi per pagare le consumazioni scoppia una specie di lite. Tornato al circo, Antonio entra nel baraccone di Rosenda; e anche questo perché ha bevuto molto.

Luigi continua a fare i suoi conti con la matita. E se il leone urla tanto nella sua gabbia non è perché sia molto feroce; esso è, anzi, un animale docile come il cavallo Furacão; ruggisce perché ha fame, perché il Circo non può pagargli nemmeno un pasto.

Non serve che Luigi faccia tanti conti. Da due giorni Giuseppe non beve più, perché non riesce a

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trovare credito nemmeno per una goccia di liquore, e nessuno gli presta più un soldo. E per Giuseppe la vita senza l’acquavite è molto triste. L’acquavite ha il potere di trasportarlo nel passato: alle cose e alle persone che ha amato e che sono ormai morte. Senza niente da trangugiare egli è costretto a rendersi conto delle difficoltà che attraversa il Circo, della mancanza di denaro che rende gli artisti svogliati e intrattabili. Il Circo non è più riuscito a riempirsi come nella prima sera. Questi quindici giorni di permanenza a Feira de Sant’Ana sono andati male: in due soli spettacoli il Circo ha esaurito i suoi numeri e con due soli spettacoli tutta la popolazione di Feira ha assistito al Circo. Soltanto allo spettacolo del lunedì successivo ci fu ancora un po’ di gente: alcuni contadini venuti per la fiera. Ma erano pochi, perché non ci sarebbe stato l’incontro di lotta che a loro piaceva di più. Non si era fatto vedere più nessun avversario adatto per Antonio Balduino. E a nulla serviva che l’amministrazione del Circo aumentasse da cinque a dieci contos il premio al vincitore, né che Baldo, il campione, scommettesse due contos sulla propria vittoria. La fama del negro aveva ormai fatto il giro di tutta la zona e nessuno voleva correre il rischio e la vergogna di prenderle. Adesso Antonio Balduino, negli spettacoli semideserti del Circo, faceva l’equilibrista, lottava con l’orso che si lasciava vincere con molta facilità, e aveva finito per accompagnare Rosenda Rosedà con la chitarra. A lui non importava se il denaro c’era o non c’era.

L’unica cosa che contava per lui era Rosenda. Antonio non pensava ad altro. Le notti che passava con Rosenda valevano pur la noia di doversi sopportare le sbornie di Giuseppe, il silenzio di Robert, i discorsi di Bolão che si lamentava della propria vita.

Bolão raccontava che aveva dovuto abbandonare lo studio al second’anno di ginnasio, sebbene avesse avuto dei buoni punti agli esami. Solo in diritto civile aveva preso un sei; il professore, infatti, non lo poteva vedere per via di un certo fischio che lui aveva fatto in aula. Sembrava che suo padre avesse parecchi soldi, tutti dicevano che era ricco sfondato. Il vecchio spendeva, in realtà, come un signore: abitava una casa di alto affitto, c’era il pianoforte per la figlia, lezioni di francese e d’inglese, progetti di viaggi in Europa. Era malato di cuore, ma nessuno lo sapeva, nemmeno lui. Morì d’improvviso, mentre attraversava la strada. Quando andarono a vedere si scoprì che aveva lasciato soltanto un mucchio di debiti. Fu così che Bolão era andato a finire, con lo stesso soprannome che gli avevano appioppato in collegio, nell’arena di un circo, vestito di azzurro a stelle gialle e con una luna rossa sul fondo dei calzoni.

Bolão ripetava questa storia ogni giorno e chiudeva sempre il discorso con queste parole:- Potevo essermi laureato. Avrei fatto la carriera politica, alla quale - lo capivo - ero portato; e oggi

forse sarei deputato.Fifì brontolava che ognuno ha il suo destino, quello che Dio gli ha assegnato. Antonio Balduino

andava a rifugiarsi nel baraccone di Rosenda dove dimenticava Bolão, Fifì che voleva avere una vecchiaia felice, Giuseppe che voleva morire, Luigi che faceva i suoi conti e Robert che non diceva nulla e nemmeno reclamava lo stipendio.

Per fare in modo che il Circo potesse partire e arrivare a Santo Amaro, avevano dovuto vendere il cavallo Furacão e una buona parte di tavole delle gradinate. Luigi continuava a fare i conti. Nessuno voleva comprare il leone, e il leone mangiava molto. Una sera Robert scomparve e non si seppe dov’era andato. Luigi credette che fosse scappato con i soldi, quei pochi soldi che l’italiano aveva conservato nel baraccone per le spese del giorno dopo. Ma Robert non aveva portato via nulla. Doveva essersi imbarcato sul battello che quella sera salpava diretto a Bahia. Un uomo si presentò per sfidare alla lotta Balduino, e fu sconfitto al primo round. Ma, grazie a questo incontro di lotta, il Circo riuscì a spostarsi fino a Cachoeira, ripassando per Feira de Sant’Ana caricato su due camion. Quando era passato la prima volta il Circo occupava sette camion; ed erano soltanto sette perché Luigi, con la sua avarizia, aveva stipato tanto ogni cosa che era riuscito a far entrare tutto in così pochi carrozzoni. Adesso, due camion bastavano e avanzavano. Giuseppe rammentava che quando avevano girato la Francia

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possedevano un’intera flotta, perché occupavano due navi; per terra, invece, viaggiavano con trentaquattro carrozzoni che portavano anche il personale. Giuseppe bevve sempre e fece tutto il viaggio pensando ai giorni memorabili e gloriosi del Grande Circo Internazionale.

Luigi spera ancora su Cachoeira e São Felix. Si tratta di due città vicine, e a São Felix ci sono anche due fabbriche di sigarette. Forse monterà il Circo anche a São Felix. Ma, a questo punto dei suoi progetti, Luigi viene interrotto da Fifì che gli domanda come farà lei, questo mese, a mandare al collegio la quota della figlia. Luigi scrolla le spalle:

- E io non so nemmeno se riusciremo a mangiare!...Bolão racconta ancora una volta all’Uomo-Serpente la sua vita. Quello ascolta con aria indifferente.

Sull’altro camion, Antonio Balduino e Rosenda Rosedà ridono di cuore. Antonio Balduino prende la sua chitarra e attacca una samba che comincia così:

La vita è bella, o mia mulatta...

Fifì non è di questa opinione, e nemmeno Bolão; Giuseppe piange e Luigi si arrabbia. Soltanto l’Uomo-Serpente rimane imperturbabile, indifferente a tutto.

Montarono il Circo anche a São Felix. Si sa: il Circo è un divertimento per la povera gente, e São Felix è una città di operai. Si presentò persino uno che voleva sfidare a lotta Antonio Balduino. Era un negro, che aveva fatto il marinaio. L’incontro fu annunciato a grandi lettere. Luigi si fregava le mani, soddisfatto, e ascoltava ormai, senza più arrabbiarsi, le sambas di Antonio Balduino. Il pagliaccio percorse la città, gli uomini fecero i loro commenti per le strade, le donne risero. La prima sera, l’ingresso del Circo era illuminato; arrivò la banda con i monelli dietro; diverse negre vendettero le schiacciate sulla porta del Circo. Le personalità si fecero portare le sedie e venne molta gente anche da Cachoeira. Per prima, entrò Fifì (poiché la compagnia era ridotta, senza Robert e senza il cavallo Furacão, Luigi non fece le solite presentazioni) e andò sulla corda. Poi, il pagliaccio divertì molto gli spettatori. Arrivò Rosenda e fece le sue danze. Questa volta, Antonio Balduino non l’accompagnò con la chitarra, perché lui, quella sera, era «Baldo, il gigante nero». Joujou presentò lo scimpanzé e l’orso. Su, in alto, c’erano i trapezi pronti. Fifì avrebbe fatto un altro numero per arricchire lo spettacolo. Era tutto a posto e già gli inservienti avevano cominciato a far oscillare i trapezi. Tutti guardavano in alto. Fifì apparve col gonnellino verde, salutò il pubblico e salì. Fifì stava per mettere il primo piede sul trapezio quando un uomo irruppe nell’arena: indossava un vestito sdrucito e camminava come un ubriaco. Era Giuseppe. Luigi gli corse dietro, ma, poiché la gente batteva le mani credendo si trattasse di un altro pagliaccio, lo lasciò correre di qua e di là nell’arena, mentre gridava agli spettatori:

- Cadrà, cadrà!Il pubblico rideva. E rise anche di più quando Giuseppe disse:- Vado a salvare la poverina.Nessuno riuscì più a fermarlo. Salì sulla corda con una agilità che nessuno avrebbe sospettato mai in

lui, sciolse l’altro trapezio. Fifì, dall’altra parte, guardava spaventata, e non sapeva che cosa fare. Gli spettatori non si accorgevano di niente. Luigi e due inservienti salirono a loro volta sul trapezio. Giuseppe lasciò che essi si avvicinassero e quando li sentì molto vicini, volò con il trapezio, si lasciò andare e fece il più bel salto mortale di tutta la sua carriera, cercando di raggiungere, con le sue povere vecchie mani, l’altro trapezio. Cadde in mezzo all’arena e le sue mani, nell’agonia, cercavano ancora il trapezio, e sembrava che volessero dire «addio». Svennero alcune donne, alcuni fuggirono, altri si avvicinarono al corpo di Giuseppe. Pareva che le mani dicessero ancora «addio».

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Parte terza

ABC di Antonio Balduino

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Inverno.

L’inverno ha lavato e spazzato via tutto. Ha lavato anche le macchie di sangue rimaste sul posto dove era sorta l’arena del Grande Circo Internazionale. Luigi ha venduto le tavole delle gradinate, il grande tendone e il gorilla a uno dei tedeschi proprietari delle fabbriche, ha distribuito tra il personale i soldi rimasti e ha annunciato la fine del Circo. Joujou era partita alla volta della città di Bonfim dove si trovava un altro circo, per vedere di trovare lavoro laggiù. Prima di partire aveva detto agli altri :

- Non ho mai visto un circo così squattrinato come questo. Eppure mi piaceva.Luigi mise insieme uno spettacolo da baraccone con Fifì e il leone, e insieme andarono in giro per le

cittadine dell’interno: l’entrata al baraccone costava solo pochi soldi. L’Uomo-Serpente diede uno spettacolo per conto proprio nel teatro locale, e poi scomparve. Antonio Balduino pensava che se l’Uomo-Serpente fosse finito nelle piantagioni di tabacco gli si sarebbero buttati addosso come se fosse una donna. Egli, infatti, sembrava in certi momenti una donna, e in altri un adolescente. Ma il negro non sapeva che era giunto a Cachoeira quel tale che, una volta, aveva disprezzato lo spettacolo che il Circo aveva dato a Feira de Sant’Ana. Era uno che aveva viaggiato molto, era stato a Rio e a Bahia, e se n’era andato dal Circo appena terminato il numero dell’Uomo-Serpente. Quei due erano fuggiti insieme in automobile. Soltanto più tardi si seppe che la polizia dava la caccia all’uomo di Feira de Sant’Ana perché aveva rubato tutti i denari di un negozio dove lavorava come commesso.

Quando dovette dividere le varie cose di proprietà del Circo, Luigi, che non era riuscito a vendere l’orso, assegnò l’animale ad Antonio Balduino e a Rosenda. Quest’ultima non si era accorta che quel trucco era stato escogitato d’accordo tra Antonio Balduino e Luigi. Il negro le aveva detto:

- Non si può dividere l’animale. Se andiamo a venderlo non ci facciamo nemmeno quattro soldi.- E allora?- Lo portiamo a Bahia. Ho in mente un sistema che ci potrà far guadagnare dei soldi; lo porteremo

alla fiera di Agua dos Meninos.- Oppure in un teatro, - azzardò Rosenda.- Anche, - il negro non voleva discutere o mettere intralci.Al porto, seppero che il battello di Mastro Manuel sarebbe passato di lì a due giorni. Ed essi

aspettarono l’arrivo del Viajante sem Pôrto.Ma l’inverno infuriava sulle acque del fiume. Forti piogge oscuravano la superficie delle acque. Il

fiume avanzava: ed era abbondante, gonfio; trasportava tronchi d’albero strappati nelle piantagioni e cadaveri d’animali; una volta si vide anche passare sull’acqua una porta che la corrente aveva scardinato da una casa. Le file di scogli erano scomparse, e gli uomini non potevano più mettere i piedi nell’acqua per pescare qualche pesce per il pranzo. Il fiume era traditore, ruggiva come un animale delle foreste. Gruppi di persone lo osservavano dall’alto del ponte, ed esso passava là sotto quatto come un serpente. Nell’aria c’era l’odore dolciastro del tabacco. Il fiume aveva già inghiottito, quest’inverno, due marinai. Un’operaia di una delle fabbriche portava il lutto.

Un grande acquazzone si rovesciava sulla città. Era notte. Con questa pioggia Rosenda Rosedà non aveva motivo di uscire, di sera, dalla pensione di Donna Raimunda e d’inventare la storiella della passeggiata. Certamente doveva essere fuggita a Cachoeira. Sì, lei voleva lasciarlo solo come uno scemo, a badare all’orso innervosito dalla pioggia che picchiava sul tetto, dal rombare del fiume, dall’odore intenso di tabacco. Non si poteva lasciare solo l’orso, questo era vero. Ma perché quella passeggiata notturna? A questo pensiero, il negro Antonio Balduino batte il pugno sul tavolo. Se lei lo credeva scemo, se pensava che Antonio non capisse niente, si sbagliava. Forse Rosenda non pensava che Antonio avesse visto quel tedesco, che li seguiva dalla sera che era morto Giuseppe? Quel tale non aveva mai smesso di seguirli, di cercare di attaccare discorso, di rivolger loro la parola. Due volte Antonio Balduino aveva voluto interrogarlo, chiedergli che cosa volesse. Una sera - se lo ricordava bene - Antonio aveva detto a Rosenda con aria minacciosa:

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- Voglio domandare a costui se non mi ha mai visto, se non sa chi sono io.Rosenda, allora, aveva osservato che non valeva la pena, che era sciocco mettersi a litigare, che

certamente lo straniero non guardava loro. E l’aveva trascinato via. Una donna, quando vuole, sa fare in modo che tu non ci veda chiaro nelle cose. Adesso, però, Antonio aveva gli occhi aperti e aveva capito bene tutta la faccenda. Certo, Rosenda era uscita per andare incontro a quel bianco. Dovevano essere andati in qualche casa, e forse lei aveva già aperto le cosce a quel tale. Che vergogna quella negra! Sì, era bella e piacente, ma Antonio non era uno che si faceva prendere in giro a questo modo. Lui si era sempre vantato di aver rinunciato alle sue amanti, e adesso Rosenda lo ripagava così. Dove sarà andata? Saranno andati in qualche albergo? Può darsi, perché lo straniero doveva avere parecchi soldi. Ma Antonio avrebbe acchiappato la coppia e avrebbe dato a tutti e due una bella lezione. La pioggia batteva sul tetto. Doveva uscire per andarli a cercare? Forse sarebbe stato meglio rimanere in casa e chiudere a chiave la porta della camera. Dormisse pure la ragazza nella strada... Eppure, appena ad Antonio è venuta questa idea, subito ha sentito il bisogno del corpo esile e caldo di Rosenda. Quando dorme con un uomo, sembra quasi che danzi quella negra. La sa lunga, Rosenda! Antonio Balduino sorride. La notte è fredda, la pioggia cade con violenza. Un gatto gli si stringe attorno alle gambe per cercare un po’ di calore. Il letto è vecchio, ma è morbido, c’è un buon materasso. In molte pensioni dove si paga caro, non si trova un materasso così morbido. E Rosenda su che letto giacerà adesso, con lo straniero? Forse su un materasso duro e pesante. Quella ragazza meriterebbe un monte di botte. Non vale la pena che uno ammazzi un altro uomo per colpa di una vagabonda come Rosenda. Antonio aveva accoltellato Zequinha, ma Arminda era una bambina di dodici anni, che non sapeva niente della vita. Quel negro, che qualche giorno fa era stato condannato a diciotto anni di prigione, aveva ammazzato uno straniero, ma Mariinha era vergine ed era la sua fidanzata. Antonio, invece, doveva dare una lezione al tedesco e lasciare che Rosenda se ne andasse per i fatti suoi, doveva abbandonarla. Com’è freddo, però, adesso! Antonio prende il gatto tra le braccia; l’animale, soddisfatto, gli si struscia addosso. Ora non gli verrà più voglia di uscire per andare a cercare quei due. L’orso è inquieto: forse ha paura della pioggia, forse ha nostalgia di qualcosa, di qualcuno. Ma avrà davvero delle nostalgie quell’orso? Poveraccio... Chissà da quanti anni non tocca una femmina. Antonio Balduino non può passare una settimana senza prendere una donna: e, così pensando, egli ride soddisfatto. Forse l’orso è castrato. Antonio va a vedere. L’animale si allontana irritato. Non è né castrato né maschio: è femmina. Che cosa farà, con quell’orso, a Bahia? Sarebbe meglio lasciarlo andare libero per la collina del Capa Negro. Tutti l’avrebbero preso per un lupo mannaro. La pioggia si calma. Antonio si alza. Andrà a cercare Rosenda. Allontana il gatto dal letto, ma in quel preciso momento arriva Rosenda Rosedà, che ride tranquilla scoprendo i suoi denti bianchi.

La donna si accorge subito dell’espressione sconvolta e adirata di Antonio Balduino. Gli si avvicina, ancora ridendo:

- Sei arrabbiato, stella mia? Per colpa dell’orso?- Non fare la scema. Forse credi che non sappia che sei andata con quello straniero?- Che straniero, Dio mio?Sarà vera la sorpresa che le si stampa sul viso? Ma Balduino pensa che la donna è una brutta bestia,

sa che la donna è ingannatrice. Quando deve pensare a una donna falsa e bugiarda gli viene subito in mente Amelia, la donna di servizio del commendatore. Amelia mentiva cinicamente, con la stessa faccia tosta di una che dica le più grandi verità del mondo. Può darsi che anche Rosenda, con quella faccia innocente, stia mentendo.

- E dov’eri allora?- Non si può nemmeno andare a fare quattro chiacchiere in casa di una vicina?- Una vicina?- Va’ a chiederlo alla moglie di Zuca. Ero lì. Lei conosce certi miei parenti che abitavano da queste

parti.

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L’orso è sempre più nervoso e impaziente. Antonio Balduino non ha tanta voglia di discutere. È disposto ad accettare tutte le scuse. Vuole soltanto stendersi sul materasso soffice, e avere accanto al suo corpo quello caldo di Rosenda. La pioggia ha ripreso forte e scorre sulle tegole. Cade una goccia nel mezzo della stanza, e, in poco tempo, fa un buco nel pavimento di terra battuta. L’orso gira attorno alla catena. Rosenda lo ferma, gli passa la mano sul pelo; ma l’orso non si calma; non servono a niente le carezze della ragazza. Antonio Balduino, disteso sul letto, pensa alla maniera di fare la pace con Rosenda. Vorrebbe soltanto che Rosenda Rosedà gli si mettesse accanto, si allacciasse a lui, e mettesse quel ventre, che si muove come nella danza, contro il suo. Magari, domani, le darà una lezione e la lascerà. Ma adesso, no: Antonio adesso ha bisogno di lei, del suo corpo, del suo calore. Purtroppo, ha già cominciato a litigare e non può fare la pace così d’improvviso. Rosenda tiene il muso e resta vicino all’orso, Antonio non sa come cominciare: chiude gli occhi, ma lei non viene sul letto. Intanto fuori piove, il vento passa fischiando nella strada, entra per la fessura della porta. È possibile che Rosenda non capisca che Antonio la chiama? È tutta ammusonita: forse ha ragione, forse era andata veramente a parlare con la vicina, con la moglie di Zuca, che sa la vita e i miracoli di tutti. Rosenda si toglie il vestito. Il vestito non è bagnato: se fosse stata lontana, se fosse andata con lo straniero, sarebbe tornata di sicuro tutta inzaccherata. Rimasto solo, Antonio ha finito per immaginare chissà che cosa. Il gatto si è raggomitolato ai suoi piedi e gli dà un calore gradevole; ma il resto del corpo rimane esposto al freddo. La pioggia batte sul tetto. Antonio si ricorda di certi versi che gli ha recitato il Gordo: dei versi che parlano della musica che fa la pioggia battendo sulle tegole e di una donna che arriva all’alba; non si ricorda se questa donna veniva a cavallo o a piedi. La sottoveste di Rosenda è caduta, e adesso i suoi seni di negra riempiono la stanza. Gli occhi di Antonio Balduino non vedono che quello. Poche ragazze hanno seni come Rosenda: così eretti e così sodi. Antonio Balduino getta via la sigaretta. E con grande sforzo mormora:

- Sai che l’orso è femmina?- Come?- L’orso è femmina.Il seno di Rosenda è vicino al suo petto.In mezzo alla pioggia e al freddo, in mezzo al vento che soffia nella strada, Rosenda, in quello

scenario, danza solo per lui. Antonio dà un calcio al gatto, che esce miagolando.

Il Viajante sem Pôrto ha attraccato sotto l’acquazzone. Maria Clara prepara un caffè per Rosenda e Antonio. Partiranno la sera, appena il battello sarà carico. L’orso viene legato nella stiva. Mastro Manuel dà ad Antonio notizie del Gordo; dice che è tornato a vendere giornali e ha accompagnato la nonna al camposanto. Jubiabá è sempre vivo: continua a fare lo stregone e a celebrare Macumbas. Joaquim si fa vedere ogni giorno alla Lanterna dos Afogados con Zé Camarão. Antonio Balduino vuol sapere notizie di tutti i suoi amici e conoscenti, ma anche della città, del porto, delle navi che vanno e vengono. Di nuovo Antonio si avventura nel mistero del mare. Quando era fuggito, dopo aver preso quella grossa batosta dal peruviano Miguez, non sapeva più ridere. Aveva la testa piena delle storie di Jubiabá, si vergognava di essere stato sconfitto così duramente, sentiva che era finita la sua carriera di boxeur, e aveva saputo che si era fidanzata Lindinalva. Adesso sapeva di nuovo ridere, e gli sarebbero certamente piaciute anche le storie tragiche raccontate da Jubiabá. Infatti, nella sua fuga di questi due anni, aveva visto e sofferto molte miserie. La sua risata ha oggi un che di aspro, di crudele; e sul suo viso c’è un taglio profondo, che gli aveva aperto una spina quella notte che era rimasto accerchiato nel bosco. Mastro Manuel vuole sapere la storia di quel taglio. Maria Clara continua a guardare lontano. Antonio Balduino racconta, pensando al mare, alle gru del porto, alle navi scure che partono nella notte.

Fu in una notte come questa, di temporale, che Viriato finì nel mare. I granchi gli entrarono nel corpo e gli suonavano dentro, agitandosi come sonagli. Anche il vecchio Salustiano si ficcò nel mare per cercare laggiù la sua strada, la sua strada di casa. E quella donna che si era gettata nell’acqua con una

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pietra al collo?... Il battello ora ondeggia sull’acqua. All’andata, Antonio Balduino aveva pensato di buttare la barca contro gli scogli. Oggi non si vedono nemmeno le pietre della riva. Le acque hanno coperto tutto, ma Mastro Manuel non lascerà il timone a nessuno.

Il colpo avverrebbe in un attimo. Il battello urterebbe contro uno scoglio, troncherebbe i discorsi di Maria Clara e di Rosenda. (Maria Clara ha i capelli in disordine, scompigliati dal vento e sembra che da essi venga un odore di mare. Forse lei non ha mai abitato una casa, forse è figlia del mare). La pipa di Manuel si spegnerebbe. E le onde del fiume coprirebbero tutto: perché il fiume è in piena e le sue onde e i suoi cavalloni sono grossi come quelli del mare. Mastro Manuel non lascia il timone a nessuno. Il vento scuote gli alberi sulle rive. Lontano, brilla una lanterna di un altro battello. Nelle tenebre delle foreste le lucciole si accendono e si spengono. Il vento trasporta il battello, che vola sulle acque come un veloce motoscafo. In questo momento, in mezzo al temporale, essi sono molto vicini alla morte, quasi la sfiorano. Basterebbe una mossa sbagliata del timone e sarebbero scaraventati contro gli scogl i, che sono invisibili sotto le onde. Antonio Balduino pensa a tutto questo e se ne sta disteso con il ventre in aria. In cielo non si scorge nemmeno una stella, si vedono solo pesanti e nere nuvole, che corrono sospinte dal vento. Dalla persona di Maria Clara viene questo odore di mare. E il mare infatti è ormai prossimo. Il battello è quasi arrivato alla foce del fiume. Le rive del fiume si allontanano e rimangono sempre più indietro; i villaggi sono addormentati nel buio. Antonio Balduino pensa che, in fondo, la vita è brutta, che non vale la pena di stare al mondo. Viriato il Nano sapeva questo. La strada del mare è larga. Oggi, è larga e tormentata: il dorso verde del mare è tutto agitato; e pare anche che ti inviti. Antonio, negro pieno di valore e di decisione, aveva sognato fin da bambino che da grande ci sarebbe stato un ABC dove si raccontava agli altri negri la sua storia piena di atti e di slanci di coraggio. Se ora venisse ingoiato dalle acque, non si sarebbe più raccontata la sua storia. Un negro di valore non si uccide, se non per sottrarsi alla polizia. E un uomo di ventisei anni ha ancora molto da vivere, ha ancora molto da lottare prima di meritare un ABC. Eppure il mare chiama, invita. È lì la sua strada di casa. Dalla persona di Maria Clara viene un odore di mare. Quella donna parla del mare, racconta fatti accaduti tra i marinai dei battelli, storie di naufragi e di morti sul mare. Parla di suo padre che era pescatore e una volta, in pieno temporale, era scomparso sopra una zattera. In lei il mare è sempre presente: il mare è suo amico e suo nemico, ed è penetrato in lei. Invece, niente è penetrato e si è assimilato alla vita del negro Antonio Balduino; egli è già stato tutto, e non è ancora niente. Sa che deve lottare e che sempre di più dovrà lottare. Tuttavia questo fatto gli appare ancora in forma molto vaga. Sente, in confuso, che la sua lotta è una lotta perduta. Lo sente nei suoi nervi che si sono rilassati e indeboliti. È come se desse pugni in aria. E adesso il mare lo chiama, come all’andata lo chiamavano le labbra di Maria Clara. Mastro Manuel indica con la mano davanti a sé: in fondo si vedono le luci di Bahia. Il vento vola attorno ai capelli di Antonio. E trasporta tutto il profumo di mare che è raccolto nel corpo di Maria Clara. Le luci di Bahia scintillano come punti di salvezza.

Rosenda Rosedà è rimasta a casa del Gordo. Jubiabá è venuto, la sera, e tutti gli hanno baciato la mano. Il vecchio negro si accoccola in un angolo. La luce del primus batte in pieno sulla sua faccia rugosa. Il Gordo non ha la luce elettrica in casa. Il Gordo sorride, felice di rivedere l’amico. Tutti ascoltano le storie di Antonio Balduino, le sue avventure. L’orso dorme in un angolo della stanza. Hanno deciso che il giorno dopo andranno tutti alla fiera di Agua dos Meninos, per vedere se riusciranno a guadagnare qualche soldo con il lavoro dell’orso. Poi, scendono insieme alla Lanterna dos Afogados dove finiscono con l’ubriacarsi. Poi Antonio Balduino porta Rosenda Rosedà sulla spiaggia del porto e fa all’amore con lei davanti al mare. Ma la donna si lamenta della rena che le irrita la pelle e le entra nei capelli lisciati col ferro. Il negro ride di gustò. In fondo, si vede la sagoma delle gru del porto.

La fiera di Agua dos Meninos comincia la sera del sabato e continua la domenica, fino a mezzogiorno. Ma il momento migliore è la sera tardi del sabato. I barcaioli attraccano le barche al Porto da Lenha, i padroni dei battelli lasciano le loro imbarcazioni nel piccolo porto, la gente arriva e conduce

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gli animali carichi di roba, le negre vengono a vendere mingau, e la pizza di mandioca e di riso dolce. I tram passano lì vicino, pieni di gente. Tutti accorrono a visitare la fiera di Agua dos Meninos. Alcuni vengono a comprare provviste per la settimana, altri vengono per il piacere di fare una passeggiata, per mangiare sarapatel, sanguinacci di maiale, per suonare la chitarra, per trovare una donna. La fiera di Agua dos Meninos è una festa, una grande festa. Una festa di negri, con musiche, chitarre, risate, molte grida e qualche lite. Le baracche formano delle lunghe file. Ma la maggior parte della merce non è nelle baracche: la trovi nelle grandi ceste, o nelle casse di legno. Contadini con il cappello largo di paglia, seduti da una parte, parlano animatamente con gli avventori. Ecco la merce: radici di macacheira (mandioca) e di igname, monti di ananassi, di arance e di cocomeri. Vi sono tutte le specie di banane del mondo, al mercato di Agua dos Meninos. E c’è tutto alla fiera. Qui c’è un uomo che prova la sorte con un pappagallino. Ogni «fortuna» costa duecento reis. Rosenda Rosedà ha preso la sua. C’è scritto così:

FORTUNA

Non fidarti di chi ti loda, perché è falso. Tu sei ancora ingenua per poter giudicare gli altri da sola. Hai un cuore buono e non pensi male di nessuno. Ma questo non è pericoloso, perché hai la ventura di esser nata sotto una buona stella. La tua giovinezza sarà tutta una corrente di passioni e troverai nell’amore molte complicazioni, molti contrasti. Sposerai finalmente un giovane di cui non ti curerai molto dapprincipio, ma che, alla fine, conquisterà il tuo cuore e sarà l’unico che amerai tutta la vita con sincero affetto. Darai alla luce tre bei pupi, che alleverai con gran cura e che daranno al tuo cuore una grande e vera pace.

Vivrai ottant’anni. Vincerai alla lotteria se giocherai il numero: 04554 - S.U.O.

Rosenda ride e Antonio Balduino commenta:- Partorirai tre volte. Hai visto?- Una zingara mi ha già detto che io dovevo avere otto figli e che dovevo fare un viaggio molto

lungo. Il viaggio l’ho già fatto: sono venuta da Rio fino a Bahia. Non si è mica sbagliata.Ma Antonio Balduino ripensa a quel brano della «fortuna» dove è detto: «la tua giovinezza sarà tutta

una corrente di passioni e troverai nell’amore molte complicazioni, molti contrasti» . Egli è decisamente innamorato della negra. Si direbbe quasi che Rosenda abbia fatto una stregoneria con il santone Jubiabá per prenderlo nelle reti dell’amore. Jubiabá non è venuto al mercato, È troppo presto per lu i: oggi è sabato e molta gente lo va a trovare. Tutta gente che sta male, che soffre: alcuni sono dei malati che vogliono qualche medicina per il corpo: ferite, tubercolosi, lebbra e altre malattie o inconvenienti della vita; a questi Jubiabá distribuisce foglie d’erba e preghiere; altri, invece, vengono da lui perché sono traditi dalla moglie, o perché desiderano una donna che non li sente o non si piega; e questi hanno bisogno di grosse stregonerie, di mandingas, di fatture. La domenica mattina, le strade sono tutte piene di mandingas. Padre Jubiabá protegge gli amori, li fa cessare, strappa la donna dalla mente degli uomini, ficca gli uomini nel cuore delle donne. Egli conosce i segreti dei potenti, conosce bene la vita degli umili. Che cosa non sa Jubiabá, chiuso nella sua casetta nella collina del Capa Negro? Più tardi egli arriverà, appoggiato al suo bastone, dopo aver curato molta gente, dopo aver sistemato le faccende di molte persone. Arriverà lì, dove si trovano tutti loro. Il Gordo ha portato l’orso: Antonio Balduino gli complica sempre la vita. Il Gordo stava molto bene, prima, quando vendeva i giornal i; ed ecco che arriva Balduino e gli trova da fare un altro lavoro. Lui lascia i giornali, e segue l’amico. Poi, d’improvviso, tutto finisce e il Gordo torna a strillare i giornali, con la sua voce sonora e triste. Adesso è lì che si porta dietro l’orso, di qua e di là. Sul principio, aveva paura dell’orso. Ma poi si è abituato a stare con la bestia e, poiché sua nonna è morta, tutte le sue cure e le sue attenzioni sono ora per l’orso, che ha sempre cibo in abbondanza anche quando il Gordo è affamato. L’orso, legato per il muso, è già pronto a guadagnarsi da vivere. I contadini si raccolgono attorno al Gordo che inventa una storiella adatta all’orso. Ma si trova in difficoltà, perché pensa: avrà l’orso un suo angelo custode? Il Gordo non l’ha mai sentito dire. Ma le storie dove non compare nemmeno un angelo non piacciono al Gordo,

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cosicché decide di dare un angelo anche all’orso. Ma ecco che arriva Balduino e ripete le parole che adoperava Luigi quando doveva presentare il leone:

- Il mostro che qui vedete, gentile pubblico, è stato catturato nelle foreste africane. È tre volte assassino: perché ha già ucciso tre celebri domatori. (Antonio si ricorda parola per parola il discorso che Luigi ripeteva tutte le sere). È un assassino... Ma esso lavorerà lo stesso, e tutti potranno vederlo, a condizione di stare molto attenti. Non dimenticatevi che questo animale ha già ammazzato tre persone...

Il Gordo osserva il muso dell’orso e vede che l’animale ha degli occhi dolci da bambino e sembra incapace di uccidere chicchessia. Non è giusto che Balduino lo tratti da assassino. Ma l’orso cammina a testa in giù e la gente gli si fa intorno sempre più fìtta. Rosenda legge la mano degli uomini: essi sono soddisfatti perché la ragazza fa un bel solletico sulla loro mano tanto che sentono un fremito per tutto il corpo. Rosenda sa guadagnare dei buoni soldi. Dice ridendo a un mulatto con aria da cascamorto:

- C’è una ragazza che è pazza di voi...Il mulatto sorride a Rosenda: che sia lei quella ragazza? Rosenda, intanto, mette da parte i soldi più

grossi. Il Gordo va in giro con il cappello di paglia a raccogliere il denaro per lo spettacolo dell’orso. Antonio Balduino, tutto elegante, con scarpe rosse e camicia rossa, tesse l’elogio dell’animale. Cresce l’animazione e il movimento attorno a loro.

Un’automobile si è fermata in mezzo alla strada. Si è guastato il motore. L’autista si è infilato sotto la macchina per trovare il motivo del guasto. Un uomo commenta nel capannello di gente che si è formato attorno all’auto:

- Che dicevo? Le macchine non valgono niente. Il cavallo Focoso non si guastava mai. Avete mai visto un cavallo che si guasta?

Prima aveva raccontato la storia del cavallo Focoso di suo cognato. Quel tale è contrario al cavallo-motore. Fa l’apologia del cavallo-animale, del carro con i buoi. Cita persino la Bibbia. Jubiabá ascolta, timido, in disparte. Gli altri interrompono il discorso con segni e parole d’approvazione. All’arrivo di Jubiabá, Antonio e gli altri contavano il danaro guadagnato: cinquantanove milreis, una vera fortuna. Erano rimasti alla fiera a divertirsi, perché là c’è molta animazione. L’orso li segue. Davanti a una baracca dove Joaquim sta bevendo, si fermano tutti. E sentono il discorso di quel tale che racconta la storia del cavallo Focoso:

- Allora, quando non c’era quella roba là, - e indica l’automobile ferma per il guasto, - gli uomini vivevano a lungo. Matusalemme visse novecento anni. Lo dice la Bibbia.

- È proprio vero, - sostiene anche un vecchio mulatto, bianco di capelli.- Tutti vivevano duecento, trecento anni. Vivere cento anni, allora era uno sbaglio. Vedete quello che

dice la Bibbia.- Dicono che il pappagallo viva più di cento anni.L’uomo guarda arrabbiato in direzione di chi l’ha interrotto. Ma, appena si accorge che si tratta di

Rosenda, fa un sorriso.- Proprio così. Noè è vissuto non so quanto tempo. Allora c’erano i carri tirati dai buoi.Beve un sorso. Il mulatto conferma ancora quel discorso dicendo:- Proprio così.Il mulatto avrebbe voluto dimostrare che anche lui sapeva le cose. Un negro approva con la testa.

Egli sente molta ammirazione per l’uomo che cita a quel modo la Bibbia.- Uno usciva di casa con un carro di buoi e sapeva che sarebbe arrivato dove voleva arrivare.

Adesso, invece, un tale esce sopra una di queste bestie, - e indica ancora l’auto rotta, - e rimane in mezzo alla strada. Non c’è benzina. Nel carro dei buoi non è mai mancata la benzina. Per que sto oggi gli uomini muoiono ancora bambini. La macchina non è un’invenzione di Dio; è una cosa del diavolo.

Il mulatto approva ancora una volta. L’uomo continua:

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- Al tempo dei carri tirati dai buoi la donna partoriva anche a cent’anni...- Oh no, a questo non ci credo! Scusatemi, ma che la donna partorisse a cent’anni questo non mi

entra nel cervello, - dichiara Antonio Balduino.Tutti ridono, tranne il mulatto.- Ma c’è scritto sulla Bibbia... - fa l’uomo.Ma Antonio Balduino non lo vuole credere. Una donna che partorisce a cento anni? No, questo

proprio non gli entra in testa. Quell’uomo lo prende per uno scemo, prende in giro tutti con quelle storie. E mentre Antonio sta per aprire la bocca, per dire tutto questo, prende la parola Jubiabá:

- Al tempo dei carri tirati dai buoi c’erano negri affamati. Anche oggi ci sono. Per il negro è stata sempre la stessa storia.

Il vecchio mulatto approva:- Ah! Questo è vero, - e allarga il concetto espresso da Jubiabá, - anche per i poveri...Ma la fiera vive e si anima attorno a loro, e, mentre Jubiabá continua a parlare con l’uomo che odia

le macchine (adesso racconta la storia di un male che lo affligge da molti anni), gli altri girano per la fiera, senza una direzione definita, fermandosi alle baracche, parlando con i contadini, assaggiando le varie cose da mangiare. Un ubriaco guarda Rosenda e dice:

- Olà! Bella questa mulatta!Antonio Balduino si offende, ma Rosenda non gli permette di attaccar briga:- Non vedi che è ubriaco fradicio?- Ma potrebbe pure accorgersi che sei con un uomo...No, quel tipo non vede niente perché ha bevuto molto in tutte le baracche dove si vende acquavite.

Però è riuscito a vedere Rosenda, è riuscito a vedere che Rosenda è una bella ragazza. Già lontano, Antonio Balduino ha ancora voglia di ritornare indietro e d’interrogare quell’uomo.

Ma davanti a loro scoppia una baruffa. Jubiabá dice subito che se ne vuole andare. Dietro a lui viene l’uomo che odia le automobili e che adesso ha una gran fiducia di potersi far curare con le preghiere di Jubiabá. La confusione è aumentata all’altro lato della fiera. Antonio Balduino si accorge che il Gordo non è tra loro. E domanda:

- Dov’è il Gordo?- Dev’essere laggiù con l’orso.Joaquim ha occhi solo per Rosenda. Se non fosse l’amante di Balduino anche lui aspirerebbe a lei.

Lui sa dov’è andato il Gordo.- In mezzo a quella lite ci deve essere il Gordo, - dice Antonio Balduino, che si è allontanato un

poco dagli altri.- Il Gordo? - Rosenda si spaventa.Antonio e Joaquim accorrono. Rosenda affretta il passo.Il Gordo si difende dai colpi che gli assesta un tale, il quale vorrebbe strappare la catena con cui è

legato l’orso. Gli uomini attorno gridano:- Lascialo fare... lasciaci vedere...Antonio Balduino attraversa la folla, mette la mano sulla spalla del Gordo:- Che vuole questo tipo?- Vuole infilare il sigaro nelle narici dell’orso.- Solo per vedere quello che fa... - ride l’uomo, mostrando il sigaro acceso. L’uomo ha una cicatrice

nel mento e dei baffi radi sul labbro. - Ha una faccia così divertente. Voglio provarci...Tutti lì intorno ridono. Antonio Balduino si morde la mano. Joaquim si è messo alle spalle dell’uomo

del sigaro, che ora ascolta quello che gli dicono due mulatti accanto a lui. L’uomo del sigaro borbotta:- Niente... Una cosa da niente... Voglio provarci...- Provaci, - dice Antonio Balduino.L’uomo s’avvicina all’orso. Alza il sigaro. L’orso retrocede. Ma adesso il sigaro è ormai vicinissimo al

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muso dell’animale e il Gordo sta per gridare. L’uomo finisce a terra colpito da un pugno di Baldo, il pugilatore. I due mulatti, che stavano accanto all’uomo del sigaro, avanzano minacciosi verso il negro. Ma uno dei due è afferrato dalle braccia di Joaquim, mentre l’altro si prende un calcio d’Antonio alla bocca dello stomaco. Il Gordo vuole assestare una bastonata in testa all’uomo del sigaro che si sta alzando. Ma coglie invece un negro che non c’entrava niente e che reagisce. Il fratello del negro entra pure lui nella baruffa. Mastro Manuel, venuto alla fiera per vendere ananassi, arriva in quel momento e con lui vengono altri tre. Siccome c’è Antonio Balduino tra quelli che picchiano, anche lui comincia a muovere le mani. La stessa cosa fanno i tre che lo accompagnano. Altri venuti per dividere i contendenti finiscono col partecipare alla lite. A poco a poco, tutti entrano nella mischia. Arriva gente da ogni parte. Un soldato estrae la spada. Ma a che serve una spada contro tanti coltelli che si vedono brillare nell’aria? Una guardia fischia inutilmente dalla strada. Antonio Balduino tira cazzotti con forza contro un individuo che non sa chi sia; è un tale, passato lì per caso, che si è fatto avanti per mettere pace. L’uomo del sigaro picchia uno di quelli che sono entrati in suo aiuto. Il Gordo si è allontanato con l’orso, e adesso lui e l’animale osservano la scena. Rosenda Rosedà morde gli uomini che vanno addosso ad Antonio: ha il vestito stracciato e ha in mano un coltello tirato fuori da sotto le calze. Tutta la fiera di Agua dos Meninos è impegnata nella baruffa, e lotta tanto per lottare, senza sapere perché; lotta per il solo piacere fisico di attaccar briga con altri, di rotolare per terra scambiando botte e cazzotti. I negri hanno dimenticato tutto: le radici di igname, i mucchi di mandarini, gli ananassi e i beijus, le focacce di tapioca. L’unico loro desiderio, adesso, è di litigare, ché litigare è bello come cantare, come sentire narrare una storia, come dire frottole, come contemplare il mare nella notte del porto.

Il Gordo ruba una bottiglia di birra per darla all’orso. Qualcuno grida:- Arriva la polizia a cavallo!Con la rapidità con cui è cominciata, la baruffa si spegne. Gli uomini tornano alle loro baracche, ai

loro mucchi di frutta. La polizia a cavallo non trova più niente: soltanto qualche macchia di sangue lì sul luogo della rissa. Un uomo si preme col fazzoletto il taglio che qualcuno gli ha fatto sul viso. I coltelli sono tutti scomparsi. E i negri ridono soddisfatti perché questa sera si sono sfogati, si sono divertiti. L’uomo del sigaro dice ad Antonio Balduino:

- Accidenti che botte!Offre la birra e accarezza la testa dell’orso. Di nuovo cade la pioggia e bagna tutti i negri.

Il locale dei negri.

La sala da ballo Liberdade na Bahia si trova sulla via di Cabeça, ad un secondo piano a cui si sale attraverso una stretta scala. Si tratta di una vasta sala, con le sedie per le donne tutt’intorno alle pareti, e un palchetto per l’orchestra jazz. C’è anche un cortile di cemento con tavolini, dove vengono servite le bevande, giacché è rigorosamente proibito bere in sala. Da una parte ci sono i cessi. E anche una piccola stanza, con uno specchio grande e una panca per sedere, dove le donne si possono assestare i capelli. In quella stanzetta si può trovare sempre un pettine e un vasetto di brillantina. Nelle giornate dei grandi balli, quando si avvicina il carnevale o le feste di Bonfim, la sala viene ornata di fiori e di nastri di carta di tutti i colori. Ma, adesso, la festa più vicina è quella di San Giovanni, e, dal tetto, pendono numerosi globi di carta e infiniti palloncini pieni d’aria. Dev’essere sempre una festa di effetto e di risonanza, quella di San Giovanni. Il circolo Liberdade na Bahia ha le sue tradizioni da conservare gelosamente, e il suo ballo di giugno raccoglierà, certamente, tutta la servitù delle case più ricche, tutte le mulatte che vendono dolci nelle strade, i soldati del 19°, i negri sparsi in tutta la città. È il ballo negro più celebre della città. Non ce ne sono molti a Bahia. I negri preferiscono andare a ballare nelle Macumbas le danze religiose e rituali, e vengono qui, al ballo negro, soltanto nei giorni di gran festa. Ma il locale Liberdade na Bahia è riuscito a ottenere l’appoggio di Jubiabá, che ne è diventato presidente

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onorario, e, per questo, è riuscito a prosperare. Inoltre, esso ha un’orchestra di grido, che si è formata lì ma che è andata spesso a guadagnarsi buone paghe nelle altre feste della città. Non c’è, infatti, una festa di un certo lusso dove non sia presente il jazz dei «7 Canarios». In quelle occasioni, i negri dell’orchestra vestono anche in smoking. Ma essi danno il meglio di sé quando suonano nel proprio locale. Non c’è somma che possa convincere quell’orchestra a suonare, da qualche parte, nei giorni in cui si balla alla Liberdade na Bahia. Lì essi danzano come vogliono, indossano quello che hanno, stanno tra amici e chiacchierano tra loro. Il ballo negro è in piena auge e ha le sue tradizioni da conservare. In questo periodo si sta preparando la festa di San Giovanni.

Ogni volta che Antonio Balduino vedeva l’orchestra dei «7 Canarios» sognava d’essere maestro in una banda di musica o in un jazz. Veramente preferiva la banda di piazza, perché i musicanti delle bande di piazza vanno vestiti in uniforme e il maestro cammina davanti a tutti, all’indietro, con una bacchetta in mano. Antonio Balduino amava i colori vistosi, le uniformi rutilanti dei maestri delle bande musicali. I componenti dell’orchestra di jazz vestivano, invece, abiti comuni, oppure, nelle feste dei ricchi, indossavano quegli smoking che non piacevano al nostro negro. Tuttavia egli si sarebbe anche accontentato di fare il maestro dell’orchestra di jazz: quello cioè che cantava e batteva il tempo con i piedi.

Da molto tempo Antonio non componeva una samba. Nelle piantagioni di tabacco non aveva tempo di fare niente. Adesso, invece, appena era tornato a Bahia, aveva composto due sambas che erano state cantate anche alla radio; e aveva anche scritto l'ABC di Zumbi dos Palmares, dove cantava la vita del suo eroe così come egli la immaginava. Nell'ABC di Antonio, Zumbi era nato in Africa, aveva lottato con i leoni, aveva ammazzato alcune tigri, e, un giorno, ingannato dai bianchi, era entrato in una nave, che l’aveva portato, schiavo, nelle piantagioni di tabacco. Ma egli non voleva essere bastonato; decise, dunque, di fuggire, lottò insieme a tanti negri, uccise diversi uomini della polizia, e, per non lasciarsi prendere, si gettò dall’alto della montagna:

O Africa, laggiù son natoe di te sempre mi ricordo:allora, libero, a caccia andavoe di frutta mi cibavo.

O palmeti, laggiù io lottaicontro la schiavitù io lottai.Mille poliziotti m’inseguironoe nessuno mai ritornò.

Zumbi dos Palmares alloragiù dal monte si buttò,e disse: «Addio, amici, addio,morto mi vedrete, ma schiavo, questo no!»

Il Gordo aveva imparato subito a memoria l'ABC e lo recitava in tutte le feste accompagnandosi alla chitarra.

Antonio Balduino andò in cerca di quel poeta che gli aveva comprato le sambas, per vedere se voleva prendere anche l'ABC. Ma il poeta volle solo le due sambas, disse che l’altro componimento non valeva niente, che i versi non andavano e tante altre cose che Balduino non riusciva a capire. Il negro si arrabbiò, perché gli pareva che l'ABC fosse molto bello, e, dopo aver ricevuto trenta milreis per le due sambas, sputò un sacco d’insolenze in faccia al poeta, che non reagì. A cuor leggero, Antonio Balduino

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tornò a casa e cantò l'ABC a Rosenda e a Jubiabá, che lo trovarono proprio riuscito. Jubiabá si mise d’accordo con Jeronimo e fece in modo che il lavoro di Antonio Balduino fosse pubblicato nella «Biblioteca del popolo» (collezione delle migliori poesie del Sertão, canzoni popolari, storie, stornelli, recitativi, orazioni, ricette utili, aneddoti ecc., al modico prezzo di 20 centesimi). Uscì insieme alla Storia del Bue misterioso e al Ragazzo e neonato; e in poco tempo tutti gli scaricatori del porto, i marinai dei battelli (furono quest’ultimi che lo trasmisero ai cantastorie ciechi delle altre città del golfo), i vagabondi della città, tutti i negri seppero recitare a memoria l'ABC. Adesso, Antonio Balduino sognava soltanto di poter entrare nell’orchestra dei 7 Canarios.

Antonio era socio del club Liberdade na Bahia ma non si faceva vedere tanto spesso da quelle parti. Vi erano sempre tante feste dove si poteva andare, e là, per giunta, le consumazioni erano care e non c’era niente da masticare. Tuttavia, per via di una certa mulatta, Antonio si lasciava trasportare nel locale dei negri, dove Juvencio, il segretario, un negro grassone che era anche maestro di sala, gli diceva invariabilmente:

- Finalmente Balduino ci ha fatto l’onore di venire al club! Si direbbe quasi che ci disprezza...Antonio Balduino non disprezzava nessuno. Ma in quel locale non poteva ballare abbracciato alla

ragazza perché era proibito. Non poteva nemmeno fermarsi in mezzo alla sala a chiacchierare con la dama. Né poteva, al Liberdade na Bahia, ubriacarsi come voleva. Tutto questo non andava molto a genio a un negro che non si sapeva contenere. Antonio aveva l’abitudine di stringere forte le negre nella danza, e parecchie volte gli piaceva anche ubriacarsi. Si ricordava bene la prima volta che era stato al club: da allora era passato molto tempo. Appena entrato, aveva cominciato a litigare con Juvencio. Il fatto andò così. L’orchestra suonava con grande entusiasmo. Neanche a farlo apposta, suonavano una delle sue sambas, una delle prime che aveva venduto al poeta. Antonio invitò una mulatta a ballare: si chiamava Isolina, una che egli corteggiava in quel periodo. Cominciarono a ballare e dopo un po’ il negro abbracciò stretta stretta la mulatta. Bastò questo per far intervenire subito Juvencio:

- Questo non si può fare -. Juvencio era un maestro di sala molto severo.- Che cosa non si può fare?- Qui non è il posto per fare ragazzate e sguaiataggini.- E chi fa niente!- Non è vero: non vi comportate come si deve.Balduino prese a schiaffi il segretario. Scoppiò la lite, ma Jubiabá si mise in mezzo e li divise.

Juvencio spiegò che egli doveva mantenere la buona morale del club: se permetteva che si facessero delle sguaiataggini nel locale, non sarebbero più venute le buone famiglie. E che avrebbero detto i genitori delle ragazze, che si fidavano della serietà del club? A lui non gli importava se c’era qualcuno che faceva l’amore: lui non entrava nella vita degli altri. Ma dentro il club questo non si doveva vedere. Lì nella sala voleva la massima serietà. Quello non era un casino. Era una «Società di ricreazione e di danza»! Antonio Balduino riconobbe che l’altro aveva ragione e fecero la pace. Il negro continuò a danzare e a bere. Poi, venne il Gordo, e tutti e due si divertirono molto. Ma verso l’una di notte un sergente dell’esercito cominciò a ballare in modo scandaloso con una bianca. Juvencio protestò una prima volta, ma il sergente non se la diede per inteso. Juvencio protestò una seconda volta. Alla terza disse al sergente che non poteva continuare a ballare. Quello diede una spinta a Juvencio. Intervenne Antonio Balduino in aiuto del segretario, e buttò a terra il sergente, che uscì abbacchiato, ma minaccioso. Antonio e il segretario andarono a bere un bicchiere di birra insieme. Ma il sergente ritornò accompagnato da numerosi soldati. La baruffa che ne seguì fu tremenda, e tremendo il frastuono che si fece. Qualcuno si rinchiuse nel cesso e qualche soldato sparò. La festa finì con alcune teste rotte e diverse persone in galera. Antonio Balduino riuscì a scappare. E, da quel giorno, rimase celebre al Liberdade na Bahia. Quando compariva, Juvencio gli faceva festa e gli offriva la birra. Ma, in realtà, Antonio preferiva ai balli del club le feste della collina del Capa Negro, delle viuzze di Itapagipe, del Rio

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Vermelho. Nel carnevale, invece, gli piaceva venire nel locale dei negri, perché arrivava vestito da indio, con delle penne rosse e verdi sulla testa e cantando canzoni di Macumba. A carnevale era bello. Ma, a San Giovanni, Antonio preferiva andare alla festa che João Francisco teneva a casa sua, a Rio Vermelho, dove c’era un falò enorme sulla porta, un’infinità di palloncini, di mortaretti, molta cangica e molto liquore di genipapo21. Ma quest’anno doveva venire al Liberdade na Bahia, perché Rosenda si era fatto un vestito da sera e voleva debuttare alla festa del club. Era molto vanitosa quella mulatta! Quanto avrebbe preferito, Antonio, andare invece alla festa di João Francisco!

Antonio Balduino cominciava a pensare che Rosenda Rosedà stava diventando insopportabile. Voleva comandare sempre lei. Un giorno o l’altro le avrebbe dato un calcio e l’avrebbe buttata fuori di casa. La negra voleva continuamente qualche regalo: gli aveva fatto vendere l’orso per comprarsi un vestito da sera, che avrebbe potuto benissimo comprare a rate da un turco; oggi aveva chiesto una collana che aveva veduto in un negozio di Rua Chile a dodici milreis. Antonio era uscito per comprarle la collana, ma cammin facendo aveva incontrato Vicente e gli aveva dato dieci milreis per il funerale di Clarimundo, schiacciato da una gru nel molo. Il sindacato avrebbe pensato al funerale, ma gli scaricatori volevano raccogliere altri soldi per la vedova e avevano organizzato una colletta. Avrebbero portato anche una corona. Il poveraccio era morto sotto la gru, l’uncino di ferro l’aveva colpito sulla testa (Clarimundo stava trasportando una balla, e non poteva guardare in alto, e non si era accorto della gru), e lasciava la moglie con quattro figli piccoli. Antonio Balduino diede dieci milreis, e decise di andare a parlare con Jubiabá per vedere se il santone sarebbe riuscito a rimediare qualche altra cosa per la povera donna. Balduino conosceva molto bene il negro Clarimundo. Sempre allegro e ridente, lo si vedeva spesso cantare. Aveva sposato una mulatta di pelle chiara. Era un buon compagno: aiutava gli amici appena disponeva di qualche soldo. Adesso era morto e la donna doveva vivere di quello che le avrebbero dato gli altri. Che cosa gli aveva servito lavorare, faticare sotto enormi carichi, trasportare tutto il giorno balle per le navi in arrivo e in partenza? D’improvviso moriva e lasciava i figli senza niente per vivere. Il vecchio Salustiano aveva finito col gettarsi in acqua. E, per aver pensato tanto a queste cose, Viriato il Nano si era ucciso in una notte di temporale. Antonio Balduino non voleva pensare a queste cose: non gli piaceva. A lui piaceva ridere, suonare la chitarra, sentir raccontare le storie graziose del Gordo, le storie eroiche di Zé Camarão. Ma oggi egli è di cattivo umore perché dovrà perdere la festa di João Francisco, e dovrà andare con Rosenda al ballo del club negro. Prima, però, passerà a casa di Clarimundo, che è sulla strada. Andrà a vedere il morto, che era suo amico. Meglio sarebbe stato non andare a nessuna festa, restare a vegliare il morto. In ogni caso, sarebbe andato a parlare con Jubiabá, affinché lo stregone desse la sua benedizione al cadavere. Può darsi che Jubiabá sia a casa sua, di Antonio, a parlare con il Gordo. La casa di Antonio e del Gordo è vicina alla collina del Capa Negro, e ogni tanto Jubiabá scende da lassù per venire a far quattro chiacchiere. Jubiabá non invecchia mai: quanti anni avrà adesso? Deve ormai aver passato i cento. E poi conosce tante cose. Il pensiero di Jubiabá aumenta l’angoscia che di tanto in tanto assale Antonio Balduino: Jubiabá dice sempre qualcosa che rimane impressa nell’animo del negro, e lo fa pensare al mare dove Viriato si è buttato, e dove il vecchio Salustiano ha dimenticato la fame dei figli. Antonio riconosce che lui stesso non è più quello di prima, che non è più così allegro come una volta. Adesso pensa molto spesso a cose tristi. Ma d’improvviso, lì nella strada, il negro comincia a ridere con gioia, forte. Alcuni passanti si voltano stupiti. Il negro continua a ridere; ma capisce che gli è venuta quella risata più per irritare gli altri che per esprimere una vera gioia. Continua il suo cammino con passo più affrettato; pare quasi che corra. Ma, quando arriva a casa, è di nuovo calmo, e già pensa al vestito bianco che indosserà questa sera al ballo.

- La mia collana ce l’hai, stella mia?Antonio Balduino guarda la mulatta con una faccia sconsolata. Si è ricordato solo adesso della

21 Cangica e genipapo: La cangica è una crema dolce di mais e latte di cocco. Il genipapo è un frutto tropicale, che, messo in infuso nell’acquavite, dà un liquore dolce e forte.

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collana di Rosenda. Dieci milreis li ha dati a Vicente per la moglie di Clarimundo. Il resto di due milreis l’ha ancora in tasca. Rosenda ha un’aria scontenta, sfiduciata:

- Non mi hai portato la collana?- Non sai chi è morto?Ma queste parole non dicono niente a Rosenda, che non conosce Clarimundo.- Avrei tanto voluto portarla questa sera, e tu non me l’hai comprata. È una vera cattiveria. Poi dici

che mi vuoi bene. Non è vero...È la sera di San Giovanni e tutta la gente, nella strada, manifesta con gran chiasso la propria allegria.

Anche Antonio Balduino vorrebbe essere allegro. Gli uomini gli passano accanto con dei visi ridenti e gioiosi, e i negozi, dove si comprano i fuochi d’artificio, sono affollatissimi. Tutti si preparano a una serata d’allegria. Faranno scoppiare petardi e razzi. I negri parlano soltanto della festa di João Francisco e del ballo del circolo Liberdade na Bahia. Ma Antonio Balduino non riesce a essere contento questa notte: Clarimundo è morto ed egli non sa togliersi di mente il ricordo dello scaricatore. Rosenda è adirata, tiene il muso. Antonio non risponde alle domande della negra, che comincia a piagnucolare. Antonio si fa sulla porta e vede che nella casa di Osvaldo stanno preparando un falò, un falò di enormi dimensioni. Nella casa di fronte, alcune ragazze pescano la fotografia del futuro innamorato in una catinella d’acqua. Tutti sono allegri oggi; solo lui è triste, pensieroso, distratto. La vedova di Clarimundo starà piangendo, a quest’ora. Lei ha ragione di piangere: ha perduto il marito da poco. Antonio, invece, non ha un motivo per essere triste, se non il cattivo umore di Rosenda. Ma anche questa è, in fondo, una sciocchezza. Antonio potrebbe dare un calcio a Rosenda e ai suoi capricci e andarsene tranquillo alla festa di João Francisco. Quella donna comincia a venirgli a noia: gli sembra volgare, noiosa. Antonio Balduino fa qualche passo fuori della porta. Rosenda piagnucola nella stanza e dice che non verrà più al ballo. Il negro prende il cappello e corre a casa di Jubiabá, per avvisarlo della morte di Clarimundo.

Al ritorno, dopo aver parlato con Jubiabá e con il Gordo, il quale è andato subito a vegliare il morto, Antonio ritrova Rosenda con la faccia scura, ma già quasi pronta per andare al ballo.

- Sai, Rosenda, bisogna che passiamo un minuto a casa di Clarimundo.- Chi è Clarimundo? - domanda lei ammusonita.- Uno scaricatore del porto che è morto oggi. Per il suo funerale ho speso i soldi destinati alla

collana.- E che andiamo a fare laggiù?- Andiamo a trovare la vedova, poveretta.- Così, vestiti per la festa?- E che c’è di male?Ma Rosenda è ancora furiosa per la faccenda della collana e brontola che non è bello andare nella

casa di un morto vestiti in abito da sera. Eppure, dicendo questo, continua a prepararsi. Antonio Balduino prende il caffè. Le parole di Rosenda gli arrivano dalla camera da letto:

- Visitare un defunto... S’è mai visto?Quella ragazza avrebbe meritato le botte. Com’era vanitosa! Voleva andare per forza alla festa con la

collana, con il collo ornato di perle azzurre. Una collana di dodici milreis. Dieci Antonio li aveva dati alla vedova di Clarimundo; gli altri due li aveva lì in tasca, e sarebbero serviti per prendere una birra. Sul collo di Rosenda una collana sarebbe stata proprio bene; ma rossa era più bella che azzurra. Ad Antonio Balduino piace molto il rosso. Sì, quella negra sapeva essere donna: sopra un letto non la superava nessun’altra. Ma fuori del letto non valeva niente; sempre piena di vanità, piena di smorfie. Ecco: era una negra smorfiosa. Non sapeva dire altro che voleva entrare in teatro, voleva recitare; non avrebbe mai chiesto un posto da cameriera, perché - diceva - non era nata per quel mestiere. Il caffè era freddo, ed era lungo. Il caffè dev’essere forte: Rosenda nemmeno il caffè sa fare bene. La moglie di

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Clarimundo, invece, sapeva fare un caffè come si deve. Quella donna, se non trova un uomo che la mantenga, finirà per soffrire la fame; sono tempi cattivi e a lavorare da lavandaia non si tira avanti una famiglia. E poi lei non ci resiste: è così magra... La voce di Rosenda viene dalla camera, irritata:

- Ma tu vuoi venire sì o no?- Perché?- Ancora non ti sei vestito. A che ora vuoi arrivare? Poi, bisogna anche passare a casa del morto. Che

cosa sbagliata, Dio mio! Visitare un defunto vestiti da ballo. Non l’ho mai sentito dire in vita mia...Antonio Balduino si veste in bianco, ma, siccome passa per la casa di Clarimundo, non si mette la

cravatta rossa. Esce, ed è di cattivo umore. E così Rosenda. Camminano lontani l’uno dall’altra, come se non si conoscessero. Qua e là, volano palloncini verso il cielo. Davanti alla casa di Osvaldo hanno acceso il falò. E fanno scoppiare mortaretti e razzi serpeggianti.

Clarimundo non vedrà i palloncini di questo San Giovanni. Sulla porta della sua casa, in questa ricorrenza, non mancava mai un grosso falò, e sempre scoppiavano numerosi mortaretti. Gli amici venivano da lui a bere vino di genipapo e acquavite. Anche Antonio Balduino era andato da lui diverse volte. Facevano partire razzi serpeggianti che correvano dietro ai passanti distratti. Certe volte avevano fatto partire verso il cielo un pallone colossale, di sei metri, a forma di «zeppelin», con tre aperture. Era una bellezza. Un giornale, il giorno seguente, aveva pubblicato la fotografia del pallone. La stanza di Clarimundo era sempre piena di gente. Anche oggi è piena, ma il falò non arde sulla porta. Disteso nella cassa, Clarimundo ha gli occhi chiusi. Non vede i palloncini che volano nell’aria. Non vede il falò che arde davanti alla casa di Osvaldo. Gli altri anni, lui e Osvaldo scommettevano su chi avesse fatto il falò più grosso: quest’anno il fuoco di Osvaldo è più grande perché in casa di Clarimundo c’è solo una candela che arde ai piedi del morto. La faccia di Clarimundo è irriconoscibile: l’uncino di ferro della gru gli ha schiacciato il viso, gli ha spezzato le ossa, lo ha tutto sfigurato. Oggi, qualcuno ha fatto partire un pallone a forma di «zeppelin»: tutti sono corsi alle finestre per vederlo. Esso attraversa, pieno di luci, il cielo azzurro. Solo Clarimundo non lo vede, perché la gru lo ha ucciso mentre lavorava nel porto. Ai piedi del letto ci sono alcuni suoi compagni, scaricatori. Il sindacato penserà al funerale. Molti dei presenti andranno più tardi al ballo del circolo negro. Soltanto Jubiabá non verrà di sicuro, perché deve leggere le orazioni funebri per il morto. In mano tiene alcune fronde e le agita. Anche il Gordo certamente non verrà; il Gordo rimarrà a vegliare Clarimundo e aiuterà Jubiabá nel suo ufficio. Volano palloncini nel buio. Clarimundo, oh negro Clarimundo, questa notte non c’è falò davanti alla tua casa! Il negro Antonio Balduino prenderà una sbornia per via della tua morte. E da oggi guarderà le gru come dei nemici.

La voce della moglie di Clarimundo è rassegnata, e sembra quella di una che si è liberata da un incubo:

- Doveva succedere, prima o poi. Ogni volta che usciva pensavo che sarebbe ritornato sulle braccia dei compagni, ucciso da qualche gru.

La figlia maggiore, che ha dieci anni, piange appoggiata al tavolo. Il più piccolo, un bambino di tre anni, guarda i palloncini fuori della finestra. Jubiabá prega per il morto. Antonio Balduino questa sera si ubriacherà. Da una casa vicina viene una musica di samba e invade la casa del defunto.

La sala del circolo dei negri è piena di gente. Nell’aria scoppiano risate. Un lezzo di sudore riempie il locale, ma nessuno ci fa caso. L’orchestra 7 Canarios sta suonando con foga. Le coppie si possono muovere appena nella sala. Juvencio ha lasciato le sue funzioni di maestro di sala per venire a dire ad Antonio:

- Finalmente, Balduino si è deciso, ed è venuto a fare onore al nostro club.Juvencio è vestito di blu. Balduino presenta Rosenda che è venuta in vestito da sera. Rimangono

sull’entrata: aspettano che la musica finisca. Appena l’orchestra smette di suonare, le coppie in sala si

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sciolgono e Antonio e Rosenda possono entrare. Le donne si additano Rosenda Rosedà. Il vestito verde ha un gran successo. I negri non hanno occhi che per lei. Rosenda dice ad Antonio:

- Sembra che non abbiano visto mai nessuno...In realtà, la ragazza è soddisfatta, è piena d’allegria. Se fosse venuta con la collana sarebbe stata

anche più elegante. Antonio Balduino si è sentito orgoglioso per l’impressione che ha suscitato nel pubblico la negra, al suo ingresso in sala. Tutti li guardano e bisbigliano tra loro. Rosenda Rosedà, quando cammina, muove le anche come se danzasse una samba. Si fermano in mezzo alla sala, proprio sotto le luci. Rosenda va nel camerino per mettersi a posto i capelli lisciati col ferro. Alcuni negri vengono incontro ad Antonio. Joaquim è già mezzo ubriaco:

- Mica male qui, vecchio mio. Ho già bevuto un po’...- Credevo che tu fossi andato alla festa di João Francisco.- Vado anche là. Ma prima ho voluto dare un’occhiata qui, per vedere come andavano le cose. Mica

male. La tua mulatta è proprio in gamba, caro mio!- Rosenda? La vuoi?- Non mi piacciono gli avanzi degli altri...I negri ridono. Uno di loro chiede ad Antonio quando si è preso quel taglio sul viso. Il negro inventa

una storia di una lotta contro sei uomini. Zefa è anche lei lì al ballo e fissa Antonio Balduino. Si avvicina. Si lamenta con Antonio perché dice che lui «non riconosce più gli amici di prima». Rosenda esce dalla stanzetta e sorride. I suoi denti sono bianchissimi. Zefa la guarda con invidia:

- Ecco la tua signora!Rosenda si siede accanto a Zefa, al posto dove stava prima Antonio Balduino, che si è allontanato

con Joaquim e con Juvencio per bere, dall’altra parte. C’è un momento di pausa nelle danze, perché i musicisti ora bevono un bicchiere di birra. Ma, d’improvviso, scoppia nella sala la musica di una marcetta carnevalesca. Antonio Balduino osserva la sala, dal suo tavolo. Ci sono molte coppie: è meglio non ballare, questa volta. Guarda le scarpe colorate e nuove dei negri. Se ballasse gli pesterebbero le sue, che sono nuove di zecca. Joaquim assicura che le scarpe di Antonio gli sembrano veramente belle. Antonio dice di voler andare a prendere Rosenda, per bere con lei un bicchiere di birra. Appena si alza, si accorge che la negra danza con un bianco. Domanda a Joaquim:

- Chi è quel tipo?- Quale?- Quello che balla con Rosenda.- È Carlos, un autista. È un celebre attaccabrighe.Dove si è mai visto che una donna, venuta a ballare con un uomo, si metta a danzare con uno

sconosciuto, senza dire niente al cavaliere che l’ha accompagnata? Questo proprio non va. Rosenda lo vuole prendere in giro. È rimasta male per la faccenda della collana, e adesso vorrebbe farlo arrabbiare. Zefa non balla, questa volta. Viene al loro tavolo, accetta un po’ di birra:

- La tua donna è provocante, Baldo. Guarda come ride con quel bianco. Carlos è un diavolo...Joaquim invita Zefa a ballare. Zefa se ne va ridendo, ridendo di Antonio Balduino. Tutti sono

convinti che Antonio sia innamorato cotto di Rosenda, che lei lo abbia incantato con qualche stregoneria. Il negro chiede un bicchierino di acquavite al cameriere, un ragazzo con la gamba di legno. Al tavolo accanto a quello di Antonio, un tale vorrebbe litigare, attaccare lite con tutti quelli che sono là.

Le negre danzano nella sala. L’orchestra è al massimo del suo entusiasmo. Rosenda è là che balla. Carlos le parla all’orecchio. Questo dovrebbe essere proibito: perché Juvencio non protesta? Antonio Balduino pensa tra sé: «Forse mi sento così perché mi prudono le corna...»

Una bella mulatta, piccolina, con una faccia graziosa e certi seni appuntiti e minuti, è rimasta senza cavaliere, vicino a quella vecchia grassa. Rosenda passa accanto alla porta e ride. Perché Antonio Balduino non riesce a pensare alla piccola mulatta? Chiede altra acquavite. Tutto per colpa di quella collana! Forse non doveva dare i soldi a Vicente per la moglie di Clarimundo, che era morto sotto la

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gru? La collana era azzurra. Almeno fosse stata rossa. Rosenda passa ancora e ride. Alla fine Antonio si deciderà di mettere a posto, con quattro parole, quell’autista. Ridono di lui? Vuol dire che non conoscono ancora il negro Antonio Balduino. Tasta, da fuori, il coltello che tiene alla cinta dei calzoni. Questo coltello è sempre pronto a sfregiare la faccia di qualcuno. La collana azzurra non sarebbe stata molto bene sul vestito verde. Beve un altro bicchiere d’acquavite. Se almeno fosse stata una collana rossa... Domani la moglie di Clarimundo comincerà a lavorare da lavandaia; brutto lavoro; ed è una donna magra, finirà tubercolosa. Rosenda meriterebbe una buona lezione. Nessuna ha mai osato fare una cosa simile con lui. La sala è piena: le negre, vestite con abiti da sera, danzano come donne eleganti. Poche donne sanno vestirsi come si vestiva la negra Joana. Ma, oggi, Rosenda è più bella di Joana. L’autista è soddisfatto, con quella bella dama. L’orchestra si ferma, ma gli applausi la costringono a ricominciare. Al tavolo accanto a quello di Antonio, l’uomo che vorrebbe litigare a tutti i costi, afferma che attaccherebbe briga con chicchessia. Balduino si rivolge a lui:

- Sto dalla tua parte, amico.- Grazie, compare. Non vedo nessuno che si voglia battere con me.Così dicendo, protesta contro il cameriere, protesta con i suoi compagni di tavolo.- Io qui, stasera, faccio una fesseria...Antonio avrebbe potuto benissimo chiedere a Jubiabá che gli facesse una stregoneria perché

Rosenda gli restasse fedele. Un negro canta nell’orchestra:

Mulatta, tu m’hai disprezzato...

Ma ad Antonio non piace avere una donna che gli sia legata solo per stregoneria. E poco gli importa se Rosenda lo dovesse alla fine abbandonare. Quello che non gli va giù è la sfrontatezza che quei due dimostrano nei suoi riguardi. Lui l’ha portata lì per stare insieme e lei se ne va a ballare con un altro, senza chiedergli nemmeno il permesso, senza dargli nessuna soddisfazione. Quella donna vorrebbe prendere in giro il negro. Le negre ondeggiano al ritmo della marcetta. Un vecchio negro racconta una storia, da un’altra parte della sala. L’uomo che vuole a tutti i costi litigare con qualcuno interrompe il racconto con ingiurie. Il lezzo di sudore si fa sentire più forte. Un giovanotto cerca di convincere una ragazza ad andarsene con lui. Naturalmente l’autista chiede la stessa cosa a Rosenda. Lei ride. Balduino si alza. Insomma: il denaro l’aveva speso per aiutare la moglie di Clarimundo. Antonio si fa dappresso all’autista, afferra il braccio di Rosenda:

- Vieni a ballare con me.L’autista si offende:- La ragazza sta con me.- Sono io che l’ho portata qui. Questo vestito sono io che gliel’ho comprato. Lei voleva una collana,

ma io ho dovuto dare i soldi, destinati alla collana, alla moglie di Clarimundo che è stato ammazzato dalla gru.

Antonio tira Rosenda per il braccio, e la ragazza rimane indecisa, impaurita. Lei sa bene che a Balduino piace attaccar briga. Ma l’autista non è disposto a cedere la dama. La musica cessa ed essi rimangono a discutere in mezzo alla sala. Juvencio viene avanti per avvertire quei tre che non è permesso rimanere fermi in mezzo alla sala. L’autista si secca:

- Vattene...Joaquim si avvicina:- Che c’è? Che c’è?Rosenda si attacca al braccio di Joaquim:- Baldo vuole litigare solo perché io ballavo con questo ragazzo. Fermalo, fermalo, Joaquim!Adesso, quasi tutti volgono gli occhi verso di loro. L’ubriaco che voleva a tutti i costi menare le mani

si mette a disposizione di Antonio Balduino:

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- Se hai bisogno di me, compare...Juvencio dice che è una sciocchezza arrabbiarsi per certe cose e chiede al maestro che riattacchi la

musica. Suonano un fox. Antonio Balduino afferra Rosenda. L’autista dice:- T’aspetto fuori.Rosenda fa la smorfiosa. Ora che Balduino l’ha ripresa all’altro la donna ridiventa tenera e gli si

stringe al petto. Il negro pensa che se avesse al collo una collana rossa sarebbe più bella. L’uomo che voleva litigare con qualcuno è riuscito a sollevare una baruffa in fondo alla sala. L’autista osserva la scena dalla porta. Hanno spento la baruffa. La danza continua. Juvencio batte le mani in mezzo alla sala. Questa musica di fox sembra una marcia da funerale: è troppo triste. Clarimundo è morto e non vedrà più i palloncini della festa di San Giovanni. Appena hanno finito di ballare, Antonio Balduino si avvicina all’autista:

- Senti, volevo solo farti vedere che non mi potevi prendere la mia donna così, sotto il naso. Adesso puoi tenertela, perché io non so che farmene di questa pellaccia, perché non serve nemmeno per suonarci il tamburo.

Le coppie del ballo dei negri si riscaldano e si agitano nella danza. Il negro chiude la serata mettendosi a dirigere, per un po’, l’orchestra dei 7 Canarios. Il maestro è infatti ubriaco fradicio. L’autista se n’è andato con Rosenda. Il locale dei negri puzza di sudore, ma i negri ridono e si commuovono, si turbano, si accendono al ritmo del maxixe.

La romanza della Nave Catarineta.

Lindinalva leggeva sulla veranda poesie d’amore, romanze sentimentali e romantiche. Per esempio le piaceva molto la storia della Nave Catarineta.

Ecco la Nave Catarineta:quante cose ci può narrare!

Forse la Nave Catarineta le avrebbe portato un fidanzato. Una volta un bambino che andava in giro a chiedere l’elemosina le aveva detto che un fidanzato per lei sarebbe arrivato nella pancia di una nave che attraversava i mari. E Lindinalva da quel giorno aspetta sempre il fidanzato. E mentre aspetta, legge sulla veranda romanzi sentimentali, poesie d’amore.

Dopo il matrimonio della ragazza del palazzo di fronte, la via Zumbi dos Palmares aveva perduto ogni poesia. Il giovane fidanzato non aveva più percorso la strada né si era più visto gettare garofani sulla veranda. Gli sposi erano andati ad abitare in una via movimentata del centro, e nella casa le finestre erano rimaste tutte serrate, cosicché non si poteva più scorgere nemmeno la fotografia del giovane militare la cui morte aveva ucciso ogni allegria in quella famiglia. Dal giorno in cui quei due si erano sposati, Lindinalva divenne sempre più triste. Prima, dai giardini del commendatore, lei rimaneva a lungo ad osservare le vicende d’amore della vicina, e quel garofano che il giovane buttava all’innamorata le sembrava che fosse anche un po’ per lei. Quella relazione amorosa era il motivo romantico della strada. Appena la coppia si sposò, Lindinalva, che non aveva mai scambiato una parola con la vicina, si sentì più isolata, più sola che mai. Amelia invecchiava sempre chiusa in cucina. L’anno dopo la fuga di Antonio Balduino, Lindinalva dovette piangere la morte della madre. Il commendatore, appena divenuto vedovo, cominciò a spartire il suo tempo tra gli affari e i facili amori. Si era dato al bere (i dispiaceri, dicevano i vicini), e Lindinalva viveva abbandonata nella grande casa, dove le anitre erano morte e i fiori erano tutti appassiti. Lindinalva leggeva la storia della Nave Catarineta e sfogliava i petali delle rose. Un giorno sarebbe giunto per lei un fidanzato sopra un bel naviglio. Lindinalva sognò tanto questo arrivo che non fu sorpresa quando seppe che Gustavo (il dottor Gustavo Barreiras,

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avvocato, rampollo di una delle migliori famiglie della capitale) era giunto da poco da Rio con il diploma di laurea e una ferma volontà di fare fortuna. Lavorò come avvocato per il commendatore in un certo affare, e conobbe in questo modo Lindinalva. Le lentiggini della ragazza, se le impedivano di essere veramente bella, le davano però un’aria originale e distinta. Il corpo magro, con quel seno alto e appuntito, tentava gli occhi dell’avvocato. Il fidanzamento si concluse nell’allegria, e la via Zumbi dos Palmares acquistò, in quella occasione, nuova vita. Gustavo e Lindinalva andavano a passeggio, a braccetto, e lui le mormorava frasi romantiche. Dal grande palazzo di fronte i papaveri sporgevano dal muro come per vedere gli innamorati: erano papaveri rossi, rossi e carnosi come labbra umane. Gustavo una volta le aveva detto:

- I papaveri invitano al peccato... - e l’aveva baciata.Il vento faceva oscillare i papaveri. Lindinalva era tanto felice che aveva persino dimenticato il negro

Antonio Balduino, che le appariva in sogno nelle notti di incubo. Adesso sognava il fidanzato, una bella casetta, un giardino pieno di papaveri, di molti papaveri rossi come i peccati.

Il commendatore andò fallito (le donne gli avevano mangiato tutto - dicevano i commercianti). Il fidanzato dimostrò un raro senso di abnegazione. Lavorò molto per salvare il salvabile, ma senza risultati. Il commendatore passava il suo tempo nelle più luride case di prostituzione e il fidanzato veniva a trovare Lindinalva tutte le sere. Un giorno dovettero cambiare abitazione, perché la vecchia casa era rimasta nelle mani dei creditori. Andarono ad abitare molto lontano e toccava al fidanzato mandare avanti la casa. Una sera di temporale restò a dormire laggiù. Il commendatore era andato a passare la nottata con qualche donna di malaffare.

La porta della stanza di Lindinalva era appena accostata. Gustavo entrò. Lei si nascose sotto le lenzuola, sorridendo.

Ma Lindinalva non avrebbe mai creduto che poi tutto sarebbe cambiato d’improvviso. Dormirono insieme diverse volte, e, da principio, tutto andava molto bene. Notti dolci d’amore, baci che lasciavano il segno sulle labbra, mani che schiacciavano i seni come si pestano i papaveri. A poco a poco, però, Gustavo cominciò a distaccarsi: si lamentava che gli affari non andavano bene, metteva avanti difficoltà per il prossimo matrimonio, che venne rimandato tre volte. Il commendatore morì in una casa di tolleranza. Tutti i giornali riportarono la notizia e ne parlarono. Gustavo si sentì ferito da questo fatto, dichiarò che la sua carriera era ormai irrimediabilmente compromessa e, il giorno del funerale, non si fece nemmeno vedere. Alcuni giorni dopo spedi due biglietti da cento milreis. Lindinalva gli mandò a dire che avrebbe voluto vederlo. Dopo una settimana, egli venne. Ma era così freddo e ombroso, aveva tanta fretta che lei non riuscì nemmeno a piangere, né a dirgli che era incinta.

La cattiva sorte.

Fu Amelia che disse ad Antonio Balduino che Lindinalva faceva la prostituta. Da quando la disgrazia si era abbattuta sulla casa del commendatore, Amelia era stata con lei affettuosa e premurosa. Era stata, insomma, per Lindinalva come una madre. Ma, quando cambiarono casa, Lindinalva le disse che doveva cercare un altro lavoro, che non doveva andare con loro. Amelia avrebbe voluto seguirla; ma Lindinalva non glielo aveva permesso, si era persino arrabbiata. Amelia aveva, quindi, trovato da lavorare in casa di Manuel das Almas, ricco portoghese, padrone di una pasticceria della città. In quell’epoca, Antonio Balduino lavorava nelle piantagioni di tabacco. Quando Lindinalva aveva partorito, era stata ancora Amelia che era accorsa in suo aiuto. Aveva abbandonato quel posto per venire a stare con la «bambina», come lei chiamava sempre Lindinalva. Suo era stato il denaro speso per il parto, ed era stata lei l’infermiera affezionata e devota di Lindinalva. Tanto affezionata e devota, che la giovane non aveva provato, nelle premure di Amelia, il minimo senso di umiliazione. Gustavo, che

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aveva sposato la figlia di un deputato, aveva mandato cento milreis per la creatura che sarebbe dovuta nascere e la affannosa richiesta, la viva preghiera di mantenere il silenzio. Lindinalva gli rispose che poteva stare tranquillo: lei non avrebbe mai detto nulla. Disse ad Amelia di cercare di nuovo un lavoro. Quanto a lei, accettò l’invito di Lulù, proprietaria di una delle case di appuntamenti della città, che si chiamava «Pensione Montecarlo». Antonio Balduino apprese queste notizie a testa bassa: si passava la mano sul taglio che aveva sulla faccia. La notte, fuori, era piovosa.

La creatura che nacque, un bambino forte come il padre e triste come la madre, era andata a vivere con Amelia. Lindinalva, quella sera, aveva fatto il suo ingresso nella Pensione Montecarlo, indossando un vestito da sera molto scollato. Lulù le aveva dato alcune istruzioni: chiedere una buona quantità di liquore e di liquore molto caro; cercare preferibilmente i grassi proprietari di piantagioni di cacao, di tabacco, di canna da zucchero: i coronels. Lindinalva aveva la figura esile e verginale che doveva piacere ai vecchi signori. Li sfruttasse il più possibile: questa era «la vita», il suo mestiere...

Quando lei entrò nella sala della Pensione, la musica suonava un valzer lento. Nella scollatura, in seno, portava la chiave della stanza, che doveva consegnare all’uomo che l’avesse invitata a bere. Con quella chiave avrebbero aperto i segreti del suo corpo... Lindinalva, ora, non ha voglia di piangere, ma la musica è triste. Le coppie girano per la sala. Ancora è presto e non c’è molta gente alla Pensione. Soltanto due donne sono occupate, sedute a un tavolo con due giovani che bevono birra.

Lindinalva si siede presso un tavolino dove stanno altre donne. Una ragazza bionda spiega alle altre:- È la nuova venuta.Le donne guardano con indifferenza Lindinalva. Soltanto una mulatta, che sta bevendo un bicchiere

di acquavite, le domanda:- Che sei venuta a fare qui?La musica continua triste. La voce di Lindinalva è un po’ tremante quando risponde:- Non ho trovato lavoro.Una francese offre alle altre una sigaretta:- Basta che venga presto il coronel Pedro... Ho bisogno di soldi, oggi.La mulatta guarda il suo bicchiere e d’improvviso scoppia a ridere. Le altre non ci fanno caso: sono

abituate alle stravaganze, alle stranezze di Eunice. Lindinalva invece si stupisce, quasi si spaventa. Perché la musica è così triste? Potrebbero suonare una samba un po’ allegra. Dalla strada viene un rumore confuso di voci e di tranvai. Un rumore di vita. La Pensione sembra un cimitero dove si suona un po’ di musica. È proprio quello che sta dicendo Eunice:

- Noi non lo sappiamo: ma è come se fossimo tutte morte. La vita per noi è finita. A fare la puttana ci si sente come se si fosse già morte.

La francese aspetta il coronel Pedro. Ha bisogno di denaro: ha ricevuto una lettera dai genitori, che vivono in una provincia della Francia, dove c’è scritto che il suo fratellino è malato grave, sta per morire. I genitori le chiedono, dato che la sua casa di mode lì in Brasile guadagna tanti soldi, di mandare qualcosa anche a loro. La ragazza martella le dita sul tavolo:

- Casa di mode... Proprio una casa di mode!...Eunice si versa da bere:- Tutte, tutte morte... siamo un cimitero...- Macché: io mi sento viva, e come! - protesta una ragazza bruna, anche lei venuta di recente. -

Questa Eunice ha certe idee per la testa... - e sorride.Lindinalva la guarda. È quasi una bambina; una bambina gioiosa, dai capelli neri. La bionda invece è

già sfiorita: diverse rughe le solcano il viso e ha un’aria distaccata, assente, come di una che vive lontano, altrove. La musica del valzer si spegne. Due tipi entrano nella Pensione e chiedono al bar complicati cocktails. La ragazzina bruna va incontro ai due. E quelli le toccano le cosce, chiedono ancora da bere, le parlano all’orecchio. Lindinalva prova d’improvviso una gran tristezza e sente una voglia immensa di andare ad accarezzare la bambina bruna. Eunice chiede una sigaretta. Forse anche lei ha

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pietà della bambina bruna?- Le prostitute sono come delle sputacchiere... - dice Eunice e crede che Lindinalva sorrida per

questa frase.L’orchestra adesso suona un tango. Un tango che parla d’amore, di una donna abbandonata, di un

suicidio. Entrano alcuni ricconi della città. Quel commerciante Lindinalva lo deve conoscere. Una volta, quando gli affari di suo padre, il commendatore, andavano bene, quel tale era venuto a pranzo a casa sua. Anche il commendatore era finito così, nelle case di appuntamenti, ed era morto nella camera di una prostituta. Quante donne di quella casa avranno conosciuto il commendatore? Quante avranno riso di lui? Quante l’avranno aspettato per spremergli denaro? Adesso Lindinalva aspetta anche lei un commendatore che le dia un po’ di denaro, e che beva molto, in modo che Lulù rimanga soddisfatta e non la butti in mezzo alla strada. Il tango parla di una donna abbandonata. Lindinalva, nella Pensione, non vuole pensare a suo figlio. In questo momento forse tenderà le manine verso Amelia. Dirà «mamma» ad Amelia. E Lindinalva non vedrà i suoi sorrisi. I due giovanotti bisbigliano qualcosa all’orecchio della bambina bruna. Che cosa le proporranno? La ragazza fa segno di no con la testa. Ma la giornata va male; c’è poca gente nella Pensione. I due insistono; e, infine, la ragazza si decide, accetta di andare con loro in camera. Eunice sputa a terra con forza; è piena d’ira. Lindinalva ha voglia di piangere. Lulù sorride e indica ai commercianti Lindinalva. Dice qualcosa a bassa voce. Eunice l’avverte:

- È arrivato il tuo turno.Lindinalva quell’uomo lo conosce. Ha mangiato allo stesso tavolo dove mangiavano suo padre e sua

madre. Con lui, non vorrebbe proprio andare: preferirebbe un qualsiasi altro uomo, preferirebbe magari il negro Antonio Balduino. Ma il commerciante la chiama col suo dito grasso. La ragazza bruna non è dovuta andare anche lei con quei due? Lindinalva si alza. Lulù le fa cenno di avvicinarsi. Eunice alza il bicchiere come per augurarle:

«Buon principio...»La francese fa un gesto con la mano come per dire: «Che me ne importa?» Tanto, è come se loro

fossero tutte morte: lo dice il tango, e l’ha già detto Eunice. Lindinalva non è più la Lindinalva di prima, la pallida Lindinalva che correva nei giardini del Parco di Nazaré. Anche lei è morta, e suo figlio è andato a stare con Amelia. Mentre passa vicino a Lulù, la padrona l’avverte di chiedere champagne, molto champagne. La bambina bruna esce dalla camera con aria spaventata e con le lacrime agli occhi. I due giovanotti ridono e si scambiano tra loro impressioni e opinioni. Lindinalva chiede dello champagne. Più tardi, in camera, il commerciante (quello che ha mangiato in casa sua) le domanderà che cosa sa fare di speciale. Ma loro, le donne delle case di appuntamento, è come se fossero già tutte morte. Eunice beve ancora acquavite e il tango suona e singhiozza.

Questa fu la prima esperienza di Lindinalva.

Ben presto parve troppo vecchia per le case di appuntamento più care. Ora, infatti, i ricconi non la cercano, non la vogliono più. La sua bocca ha sempre un sapore amaro di acquavite. Eunice, da tempo, è già finita nella Rua de Baixo, dove le donne prendono solo cinque milreis. Oggi dovrà andarci anche Lindinalva. Ha affittato una stanza nella stessa casa di Eunice. Durante la giornata ha trovato modo di andare a vedere il figlio, nella cameretta dove abita Amelia. Gustavinho è bello, ha due grandi occhi vivi, la bocca carnosa come quel fiore rosso di cui parlava Gustavo. Lindinalva non pensa più a quel fiore: ora conosce alcune parolacce in francese e tutto il gergo delle donne che fanno la vita. Ma il bambino le dice «mamma», e Lindinalva si sente pura e innocente. Racconta favole al figlio, le stesse favole che le aveva raccontato Amelia in altri tempi quando lei era proprio Lindinalva. Nella casa dove è andata a lavorare le hanno detto che il suo nome, da ora in avanti, sarà Linda. Racconta al figlio la storia di Maria Borralheira, di Maria la freddolosa, e si sente felice, molto felice. (Come sarebbe bello se il mondo finisse ora, se si morisse tutti in questo minuto!)

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Le donne aspettano i clienti nella sala, dietro le persiane semichiuse. Gli uomini passano nella strada e le prostitute li chiamano. Alcuni entrano, altri lanciano frizzi, altri ancora passano svelti portando degli involti sotto il braccio. Eunice è ubriaca, dice sempre di essere morta, giura che ormai le prostitute sono tutte all’inferno. La polacca, quella anziana, si lamenta della propria sfortuna. Ieri sera non è riuscita a trovare nessuno. Oggi nemmeno. Forse dovrà andare alla Ladeira do Taboão, dove le donne prendono pochi soldi, si prestano a tutto e muoiono dopo poco tempo. Lindinalva con il pensiero è lontana di lì: immagina di stare con il figlio, nella stanzetta misera di Amelia. Suo figlio le sorride e le dice «mamma». Prova una voglia pazza di andare a baciare le labbra carnose del figlio, di continuare sempre a raccontargli, per tutta la vita, la storia di Maria Borralheira. La padrona della Pensione porta un grammofono in sala da pranzo per fare un po’ di musica. Eunice lascia vedere, di sotto alla sottoveste, il seno molle. Chiama gli uomini dalla finestra. Gustavinho, quando sarà grande, passerà forse per quelle strade. Ma quando ciò avverrà, Lindinalva sarà morta e lui non la troverà certo dietro le finestre a chiamare gli uomini. Di Lindinalva conserverà l’immagine di una ragazza semplice e buona che gli raccontava le storie di Maria Borralheira.

Eunice ripete il suo solito discorso. La polacca chiede che le prestino qualche soldo. Un giovanotto con la zazzera accoglie il richiamo di Lindinalva. Eunice esclama:

- Buona fortuna, Linda, - e alza in aria un bicchiere immaginario.In camera il giovanotto le chiede come si chiama, vuole conoscere tutta la sua vita, le spiega che lui è

un poeta, recita dei versi, parla della malattia della madre che vive in provincia, le dice che lei è bella come le acace, paragona la sua chioma a un campo di grano, promette di fare un sonetto su di lei. Il grammofono stride una samba nella sala da pranzo. Al giovanotto, invece, piacciono i tanghi sentimentali. Domanda a Linda la sua opinione sulla politica:

- È una cosa disgustosa, non le sembra?E questa fu la prima esperienza di Linda.

Lindinalva percorse parecchi vicoli, andò sempre più in basso, verso le strade più misere. Venne ben presto molto vicino alla città bassa; finché un giorno arrivò alla Ladeira do Taboão. Da quel vicolo le donne escono soltanto per recarsi all’ospedale o per finire nella camera mortuaria. In ogni caso, escono in automobile: o sull’autoambulanza, o sulla vettura rossa di quelli che muoiono in povertà.

Alla Ladeira vi sono salviette alle finestre e facce nere sulle porte.Lindinalva è andata a trovare Gustavinho, che ha avuto la rosolìa. Il bambino ha teso le braccia e ha

sorriso, felice di rivedere la madre:- Mamma, mamma.Poi, il suo viso si è fatto serio. Ha domandato:- Quando vieni ad abitare con noi, mamma?- Mamma verrà uno di questi giorni....- Come sarà bello quando verrai a stare con noi!Lindinalva passò vicino al vecchio ascensore che lega la città bassa a quella alta. Rispose con un

sorriso al sorriso del conducente di un tram e proseguì fino al numero 32 dove aveva affittato una stanza.

Gustavinho aveva bisogno di rimettersi in carne. La rosolìa l’aveva sciupato, l’aveva fatto dimagrire. Lindinalva sospinse la grossa e pesante porta ad un solo battente di una casa dell’epoca coloniale. Il numero 32 era scritto in vernice azzurra chiara, molto in grande. Da sopra gridarono:

- Chi è?Lindinalva salì le scale sporche. Teneva gli occhi chiusi e il petto le ansimava. Aveva passato la notte

in bianco, a pensare. In principio, aveva cercato di dormire, ma appena era riuscita a prender sonno era stata assalita da orribili incubi. Vedeva un gruppo di donne sifilitiche con enormi dita, tutte raccolte sulla porta di un piccolo ospedale. Le pareva spingessero una vettura dell’ospedale. Poi capiva meglio:

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non era una ambulanza. Era il corpo del commendatore, morto in casa di una prostituta. Diventava poi, il corpo di Gustavinho, morto di rosolìa. Ma d’improvviso, non aveva visto più niente; scorgeva soltanto il negro Antonio Balduino che rideva a grandi risate: aveva in una mano un biglietto di cinque milreis e nell’altra una moneta.

Si svegliò tutta sudata, bevve un po’ d’acqua.Quella fu la notte più brutta della sua vita. Lindinalva, adesso, non ci pensava più. Tutto era voluto

dal destino. E il destino era proprio fatto così: per alcuni buono; per altri, miserabile. Ogni persona che nasce ha la sua sorte già segnata: essa non viene con la Nave Catarineta. E la sua era una cattiva sorte; che ci poteva fare?

Saliva le scale rassegnata, il giorno prima la mulatta che affittava le stanze del quinto piano era stata sincera:

- Da qui, cara mia, tu uscirai o per correre all’ospedale oppure per andare al cimitero dei poveri -. Aveva guardato in alto, dalla finestra. Poi aveva aggiunto: - Ne ho viste uscire tante da qui...

Lindinalva salì le scale guardando lontano. Dove sarà finita quella Lindinalva che rideva e giocava ai giardini pubblici di Nazaré?

Essa sale le scale tutta curva; sulle sue guance magre corrono due lacrime. Piangi, piangi, Lindinalva... Cadono le lacrime dai suoi occhi e gocciano sulle scale sporche. Lindinalva sale curva, il viso bianco e pieno di lentiggini nascosto tra le mani. Scorrono le lacrime sulla sua faccia triste. Lindinalva ha un figlio e vorrebbe vivere per lui! Ma dal vicolo della Ladeira do Taboão le donne escono solo per andare al cimitero.

Al quinto piano una donna mormora, diretta a un’altra:- È arrivata la Lenticchia. Non le dite niente, perché, poveraccia, sta piangendo.La donna è mossa da una pietà profonda.E questa fu la prima esperienza della Lenticchia.

Le gru.

Sono diretti alla Lanterna dos Afogados, al porto, dove la notte è più bella. Escono dalla Baixa dos Sapateiros e scendono per la Ladeira do Taboão. Finalmente il Gordo ha scoperto una stella che non si è vista mai:

- Guarda! Una stella nuova: è la mia stella!Il Gordo ha trovato una stella e cammina tutto soddisfatto. Jubiabá dice che ogni stella è un uomo di

valore, morto da poco o da molto tempo. Oggi dev’essere morto qualche grande uomo, uno di quelli che meritano un ABC: infatti il Gordo ha scoperto una nuova stella. Joaquim ne cerca un’altra per sé, ma non la trova. Antonio Balduino pensa al grande uomo che dev’essere morto questa sera. In ogni parte del mondo esistono uomini in gamba: appena uno di essi muore una nuova stella brilla in cielo. E quella stella forse la scoprirà il Gordo, oppure la vedrà per primo un bambino, un monello della strada che chiede l’elemosina e porta un coltello alla cintura dei calzoni. Ai nostri amici piace passeggiare, in questo modo, per le strade deserte quando c’è la luna piena che illumina la città con la sua luce gialla. Nessuno passa per le strade, le case hanno le finestre serrate, la gente dorme. Essi sono ancora i padroni della città. Sono vagabondi, vivono d’espedienti, cantano nelle feste, dormono sulla sabbia del porto, fanno all’amore con le mulatte delle fabbriche, non hanno un’ora precisa in cui devono svegliarsi o andare a dormire. Zé Camarão, anche lui, non ha mai lavorato. Ormai comincia a invecchiare, ma continua a essere quel vagabondo di sempre, un noto avventuriero, un abile suonatore di chitarra, un lottatore esperto. Antonio Balduino è stato il suo discepolo migliore. Anzi, ormai lo ha persino superato. Antonio nella vita ha fatto tutto quello che si poteva fare: è stato anche a lavorare nelle piantagioni di tabacco, è stato pugilatore e artista di circo. Ma la vita ideale è, per lui, quella del

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compositore di sambas; egli ne può comporre una ogni tanto e cantare alle feste dei negri della città. Joaquim lavora tre o quattro giorni al mese: solo quando ne ha voglia. Trasporta valigie e bagagli per conto di altri facchini pieni di lavoro. Il Gordo vende giornali quando Balduino non è a Bahia; ma quando arriva Balduino, il Gordo smette subito quel mestiere. Accompagna il negro in quella vita piacevole di vagabondi, di gente libera nella città addormentata. Antonio Balduino domanda ai due amici:

- Andiamo a mettere l’àncora alla Lanterna dos Afogados?- Va bene, andiamo.La Ladeira do Taboão, a quest’ora, in piena notte, è immersa nel silenzio. Il vecchio ascensore, a

quest’ora, ha smesso di funzionare e la torre pende sulla città. Alle finestre più alte brillano alcune luci. Sono le prostitute, tornate dal loro giro per la città; adesso esse sbrigano gli ultimi clienti.

Joaquim fischia una samba. Gli altri due tacciono. E soltanto il fischio di Joaquim rompe il silenzio della strada. Antonio Balduino pensa a quello che gli ha raccontato Amelia, pensa alla storia di Lindinalva. Adesso, la ragazza non sarà certo più così orgogliosa come prima e, quando vorrà, lui potrà prenderla. Non è più la sua padrona, la ricca figlia del commendatore: essa è una prostituta della peggiore strada della città e si vende agli uomini per pochi soldi. Come cambiano le cose! Quando lui vorrà, non avrà che da salire le scale della sua casa e potrà averla tra le braccia. Basterà pagare. Antonio ricorda il giorno che dovette fuggire dalla via Zumbi dos Palmares. Se Amelia non avesse inventato quelle menzogne sul suo conto, Antonio sarebbe stato ancora con il commendatore, avrebbe guardato Lindinalva come una santa, avrebbe lavorato nell’impresa commerciale e, forse, avrebbe anche impedito il fallimento del padrone. No, sarebbe rimasto uno schiavo. Amelia, in fondo, volendo fargli del male, lo aveva salvato. Adesso lui era libero e poteva possedere Lindinalva quando gli pareva e piaceva. Era lentigginosa e aveva una faccia di santa. Non l’aveva mai guardata con desiderio. Ma, dal giorno in cui Amelia aveva inventato quella storia - che lui la guardava mentre faceva il bagno - Antonio Balduino non aveva mai posseduto un’altra donna, sempre l’immagine di lei l’aveva perseguitato. Con qualunque donna andasse, ad Antonio sembrava sempre di stare con Lindinalva. Questo gli accadeva persino quando dormiva con Rosenda Rosedà, che lui aveva lasciato all’autista, che ora forse danzava in qualche locale di terz’ordine, e che forse faceva anche la prostituta, giacché gli aveva mandato a chiedere in prestito un po’ di denaro. Rosenda era una donna vanitosa e ora pagava per quella sua vanità, per quella sua frivolezza. Lindinalva non era vanitosa, ma lo odiava. E anche lei, ora, scontava quel suo atteggiamento altero. Ora viveva nella strada delle prostitute più basse e più disgraziate della città. Lui poteva prenderla quando e come voleva. Ma, visto questo, perché Antonio non si sente un po’ meno triste, perché invece cresce la sua mestizia, ed egli nemmeno si accorge dello spettacolo della luna piena? Non aveva forse aspettato tutta la vita quel momento, l’istante in cui avrebbe potuto possedere Lindinalva? Perché, dunque, non sale al quinto piano della casa numero 32 della Ladeira do Taboão e non batte alla porta della stanza di Lindinalva? Ecco la casa è lì, di fronte a loro: ci passano davanti. La via dorme, immersa nel silenzio; si sente solo il fischio di Joaquim. Un vento freddo sale dal mare e fa tremare Antonio Balduino. Dalla porta del numero 32 esce d’improvviso una donna, con i capelli sciolti. Appena compare sulla porta, Antonio Balduino è sicuro di avere dinanzi a sé Lindinalva. Ma la donna è ridotta uno straccio, una figura che ha perduto il proprio nome in quella strada malfamata. Viso lentigginoso e infossato, mani fini e tremanti, occhi sporgenti e scintillanti. Il vento scuote i capelli della donna, che si ferma quando è vicina agli uomini, agita le braccia e intreccia le mani in un gesto di supplica:

- Datemi due milreis per bere una birra. Due milreis per amore di vostra madre.Gli uomini restano muti di spavento. Lindinalva crede che essi non le vogliano dare niente:- Allora datemi una sigaretta. Solo una sigaretta. Sono due giorni che non fumo.Joaquim le dà una sigaretta. Lei la prende fra le dita magre e sorride.È proprio Lindinalva. Per questo Antonio Balduino sta tremando come se avesse la febbre. Un

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vento freddo viene dal mare. Appena ha intravisto la donna è stato invaso da un profondo terrore. Trema, è tutto impaurito, vorrebbe correre, fuggire di lì, verso la fine del mondo. Ma si sente attaccato al suolo e continua a guardare la faccia lentigginosa e scarna di Lindinalva. Lei non lo riconosce e forse nemmeno lo vede. Fuma la sigaretta e domanda con voce dolce, che ricorda la voce di quell'altra Lindinalva che correva nei giardini pubblici di Nazaré e giocava con il negretto Baldo:

- E la birra? Non mi offrite niente?Antonio Balduino riesce a tirar fuori dalla tasca qualche soldo. Li dà alla donna che ride e piange

nello stesso tempo. Antonio, tremante di paura, fugge di corsa verso l’uscita della strada e si ferma soltanto quando è arrivato in casa di Jubiabá: e lì, vicino al santone, che lo accarezza sulla testa, come quel giorno che si era impazzita Luisa, finalmente scoppia in pianto.

Quando scomparve il terrore che lo aveva preso quella sera (e che durò alcuni giorni). Antonio dovette tornare a casa di Lindinalva. Nella camera, dove il letto matrimoniale prende quasi tutto lo spazio, Lindinalva sta ora morendo. Amelia trattiene le lacrime. Antonio entra pian piano, come gli ha fatto cenno quella prostituta che piange sulla porta. Amelia non si meraviglia di vederlo l ì. Si mette un dito sulla bocca per avvertirlo di fare silenzio. Poi gli si avvicina, e Antonio le chiede:

- Come va? - e indica col dito Lindinalva.- Sta per morire.Ora che la morte si avvicina, la donna ha ripreso ad essere la stessa Lindinalva di via Zumbi dos

Palmares. Il suo viso è sereno e bello. È un viso macchiato di lentiggini, è un viso di santa. Le mani che suonavano il piano e sfogliavano le rose sono le stesse di una volta. Nulla è rimasto in lei della Lindinalva della Pensione Montecarlo, della Linda della Rua de Baixo, della Lenticchia della Ladeira do Taboão. Lei è adesso, di nuovo, la figlia del commendatore, quella che abitava nella casa più bella della via solitaria, quella che aspettava un fidanzato dalla Nave Catarineta. Ma, adesso, c’è un’altra Lindinalva ancora lì sul letto. Questa, Antonio Balduino non la conosce. Amelia, invece, sa chi essa sia: è la fidanzata di Gustavo, l’amante di Gustavo, la madre di Gustavinho. Ha un viso cordiale di giovane sposa. Essa sta mormorando, a voce bassa, qualcosa. Amelia si avvicina e le prende la mano. Lindinalva dice che vuole il figlio, esige che glielo portino prima di morire. Amelia si volge piangendo. Antonio Balduino le domanda:

- E il dottore?- Non può più farci niente. Ha detto che ormai non si può fare altro che aspettare la sua morte.Ma Antonio Balduino non si rassegna. Gli viene un’idea:- Vado a cercare Jubiabá.- Passa a casa mia e porta qui il bambino.Pensare che Antonio è venuto lì solo per vendicarsi: per possederla e poi gettarle sul letto qualche

moneta!... È venuto per insultarla, per dirle che una donna bianca non vale niente, che un negro come lui può fare di lei quello che vuole. E adesso, invece, corre in cerca di Jubiabá per vedere se si può riuscire a salvarla. Se lei guarirà, Antonio non si farà più vedere. Ma se dovesse morire, che farà lui nella vita? Non gli resterà altra strada che quella del mare, la strada dove si è buttato Viriato, il quale, anche lui, non aveva più nessuno al mondo. Soltanto adesso Antonio Balduino capisce che se Lindinalva morirà, egli rimarrà solo, senza più nessuna ragione per vivere.

Torna con il bambino. Non è riuscito a trovare Jubiabá. Nessuno sapeva dove fosse andato il santone e Antonio Balduino l’aveva cercato inutilmente. Antonio se l’è presa persino con il vecchio Jubiabá. Il bambino di Lindinalva lo segue, gli dà la mano e si sente con lui a suo agio. Ha il naso di Lindinalva e le stesse lentiggini sulla faccia. Fa continuamente delle domande, vuole sapere un sacco di cose. Antonio Balduino gli spiega tutto e si meraviglia della sua stessa pazienza.

Quando devono salire le scale prende tra le braccia il bambino. Amelia gli viene incontro, soffocata

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dai singhiozzi e gli dice:- Entra. Sta morendo.Antonio Balduino posa il bambino accanto al letto. Lindinalva apre gli occhi:- Figlio mio!Vuole sorridere, ma fa una smorfia. Il piccolo s’impaurisce e comincia a piangere. Appena

Lindinalva l’ha baciato sulle guance, Amelia lo allontana dal letto. La madre vorrebbe baciarlo ancora sulle labbra carnose, sulle labbra che assomigliano a quelle di Gustavo. Ma non può.

Ora piange e le dispiace di morire. Le dispiace, benché tante volte abbia invocato la morte. La malata intuisce che, nella stanza, c’è qualcun altro. Infatti, domanda ad Amelia:

- Chi è?Amelia resta confusa, non sa che cosa dire. Ma Antonio Balduino si avvicina a occhi bassi. Se uno

dei suoi amici lo vedesse in questo momento, forse non capirebbe come mai egli stia piangendo. Lindinalva cerca di sorridere appena lo riconosce:

- Baldo... Sono stata cattiva con lei...- Non importa.- Mi perdoni.- Non lo dica. Non mi faccia piangere.Lindinalva passa la mano sulla testa ricciuta del negro e, mentre muore, mormora queste parole:- Baldo, aiuti Amelia ad allevare mio figlio. Lo affido a lei...Antonio Balduino si getta ai piedi del letto come uno schiavo negro.

Antonio pretenderebbe che la bara di Lindinalva fosse bianca come quella di una vergine. Ma nessuno gli dà retta, nemmeno Jubiabá che sa tante cose. Il Gordo vorrebbe mettersi dalla parte di Antonio, perché è molto buono, ma lo spaventa il fatto che si celebri un funerale in bianco a una prostituta; è una cosa che non ha mai visto. Amelia, invece, quasi quasi comprende il desiderio di Antonio:

- Tu le volevi molto bene, vero? Io, quella volta, ho combinato quel pasticcio e ti ho messo in difficoltà. Ero gelosa che i padroni ti fossero tanto affezionati. Da venti anni, stavo con loro. Avevo allevato la bambina. Meritava un destino migliore: era così carina.

Ma Antonio Balduino insiste; si sbraccia e cerca di spiegarsi, con quella voce grave e cupa che ogni tanto gli nasce in gola:

- Ma Lindinalva era vergine. Giuro che era vergine. No, non è stata di nessuno. Non è stata di nessuno. Viveva di questo ma non si dava a nessuno. Solo io l’ho presa... Quando andavo con una donna, avevo sempre lei nella testa. Dovremmo farle una bara tutta bianca.

Era vero: nessuno l’aveva posseduta perché tutti l’avevano comprata. Soltanto il negro Antonio Balduino, che non aveva mai dormito con lei, l’aveva posseduta, e anche in tutte le maniere: nel corpo intatto di Maria dos Reis, nelle anche di ballerina di Rosenda Rosedà. Solo lui l’aveva posseduta attraverso tutte le donne che avevano dormito con lui. Nella meravigliosa avventura d’amore del negro Antonio Balduino e della bianca Lindinalva, quest’ultima era stata, nello stesso tempo, bianca, negra e mulatta; era stata, persino, quella cinesina di un porto lontano; era stata grassa e magra; aveva avuto una voce maschile in certe notti affascinanti del porto; e aveva mentito con la bocca della negra Joana. Ma ora Lindinalva non può andarsene con il vestito da vergine; no, non può, Antonio Balduino! Amelia gli spiega che lei ha amato Gustavo, che lui l’ha veramente posseduta senza comprarla. Ma Antonio Balduino non vuole ascoltarla e pensa che questo sia un nuovo intrigo ordito da Amelia per allontanarlo da Lindinalva.

Per aiutare il figlio di Lindinalva, il negro Antonio Balduino andò a lavorare come facchino nel porto, al posto di Clarimundo, che era stato ucciso dalle gru. Da ora in poi, Antonio avrebbe avuto un mestiere, sarebbe stato schiavo delle ore, dei sorveglianti, delle gru e delle navi. Ma se non avesse fatto

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questo passo, gli sarebbe rimasta davanti soltanto la via del mare.Le ombre enormi delle gru appaiono sul mare. E il mare verde e denso come l’olio chiama il negro

Antonio Balduino. Le gru fanno gli uomini schiavi, li ammazzano; le gru sono nemiche dei negri e sono alleate dei ricchi. Il mare, invece, fa gli uomini liberi. Basterà fare un tuffo e Antonio avrà il tempo soltanto di lasciare andare la sua solita risata. Ma Antonio si ricorda che Lindinalva gli ha accarezzato la testa e gli ha chiesto di prendersi cura del figlio.

Primo giorno di sciopero.

Antonio Balduino aveva passato la notte a scaricare una nave svedese che trasportava materiale per le ferrovie e che, nelle prossime sere, doveva essere riempita di cacao. Mentre Antonio trasportava un gruppo pesante di ferri e passava accanto a Severino, - un mulatto magro come uno spino, - questi gli disse:

- Da oggi: sciopero dei dipendenti del tram.Da molto tempo si aspettava la notizia di quello sciopero. Parecchie volte le maestranze della

Società, che aveva nelle sue mani la luce, i telefoni e i tram della città, avevano cercato di protestare e di chiedere un aumento di salario. Ed erano già sul punto di scendere in sciopero, ma poi si erano lasciati convincere da promesse che non furono mai mantenute. Da otto giorni, ormai, la città aspettava di svegliarsi senza tram e senza telefoni: ma lo sciopero non scoppiava, era sempre rimandato. Per questo, Antonio Balduino non aveva dato molta importanza alle parole di Severino. Subito dopo, tuttavia, sentì dire da un negro molto alto:

- Dobbiamo aderire anche noi allo sciopero; dobbiamo metterci dalla loro parte.Le gru depositavano sul molo enormi tubi di ferro. I negri li trasportavano sulle spalle, e li portavano

nel magazzino: parevano strani mostri, ma anche in quel modo riuscivano a parlare tra loro. Il sorvegliante dava ordini con il fischietto. Un bianco si passò la mano sulla fronte e scrollò il sudore che da essa colava:

- Otterranno davvero qualcosa?I facchini ritornavano indietro di corsa verso i tubi di ferro. Severino mentre si caricava sulle spalle il

suo peso mormorò:- Il loro sindacato ha mezzi sufficienti per sostenere lo sciopero.Detto questo, se ne va a passo rapido con il peso sulle spalle. Antonio Balduino solleva alcuni pezzi

di rotaia:- Ogni mese si versa qualcosa al sindacato. E il sindacato, allora, deve sostenere gli scioperi.Il fischio del sorvegliante annuncia la fine del turno di lavoro di un gruppo di operai. Il gruppo del

turno di giorno sta aspettando e immediatamente sostituisce quelli che se ne vanno a casa. I materiali delle ferrovie continuano a riempire i magazzini del porto. Le gru cigolano.

Escono a gruppi, e, sulla porta, Antonio Balduino si ricorda di un uomo che fu arrestato proprio lì mentre faceva un comizio. Allora Antonio era un monello della strada, eppure si ricordava perfettamente quell’episodio. Aveva gridato insieme agli altri, insieme ai suoi amici della strada, protestando per l’arresto di quell’uomo. Aveva gridato perché gli piaceva gridare, perché gli piaceva fischiare contro la polizia e gettare sassi alle guardie. Anche oggi, egli deve di nuovo gridare, protestare, come al tempo in cui correva libero per le strade e non si accorgeva nemmeno delle gru, queste nemiche sempre pronte a romperti la testa.

Antonio Balduino cammina solo nella strada. Aveva bevuto un bicchiere di mingau de puba al Terreiro. Accanto alla venditrice negra, gli uomini parlavano dello sciopero.

Antonio Balduino cammina e canta una canzone su Lampião:

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Mamma mia, dammi denaro:un cinturone vo a comprare,con una grande cartuccera,corro a battermi per Lampião.

Un suo amico gli grida dietro:- Olé, Baldo!Il negro fa un gesto di saluto con la mano e continua a cantare:

La donna di Lampiãomuore quasi di dolore,vuole farsi un bel vestitocon il fumo del vapore.E finisce cantando in sordina, tra i denti:

È Lamp, Lamp, Lamp,è Lampião, il nostro Lamp.

Con lo sciopero che ha paralizzato il traffico dei tram la città ha assunto un’aria quasi festosa, domenicale. Infatti, c’è un’animazione insolita, strana, nelle strade. Gruppi di uomini passano e tutti parlano concitati. Commessi di negozio e impiegati camminano ridendo, perché pensano divertiti alla faccia che farà il padrone che non potrà protestare per il loro ritardo. Una ragazzina attraversa in fretta la strada, impaurita non si sa da che cosa. La città è piena di conducenti e di fattorini del tram, di operai delle officine della Società. Tutti discutono con calore. Antonio Balduino li invidia perché stanno facendo qualcosa (una di quelle cose, appunto, che piacevano ad Antonio Balduino). Il negro non ha niente da fare questa mattina di tanto sole. Passano i gruppi. Vanno tutti verso il sindacato che si trova in una strada lì dietro. Balduino continua a camminare solo lungo la via deserta. Sente venire dall’altra via il rumore dei discorsi. Qualcuno deve parlare alla gente riunita nel sindacato. Antonio fa parte del sindacato degli scaricatori. Anzi, hanno già parlato di lui come di un futuro e probabile dirigente. Devono ormai aver capito che Antonio è un negro in gamba. Ma un tipo biondo, che mastica un sigaro e che si è svegliato ancora ubriaco, gli si para davanti:

- Tu pure fai sciopero, eh, negro? Ecco: tutta colpa della principessa Isabella22! Non c’è mai stato un negro che valesse qualcosa. E, adesso, guarda che cosa ci tocca vedere.

I negri hanno anche il coraggio di scioperare, di lasciare i tram fermi. Bisognerebbe trattarli con la frusta, perché i negri non possono essere trattati che come schiavi. Fa’, fa’ pure il tuo sciopero, negro! Sono stati così stupidi da lasciare libere queste canaglie! Vattene, vattene prima che io ti sputi in faccia, figlio di un cane!...

L’uomo sputa per terra. È ubriaco, e Antonio Balduino con una spinta lo manda a finire sul selciato. Poi il negro fa la mossa di chi vuole pulirsi le mani, e pensa alle ragioni che hanno spinto costui ad insultare così duramente i negri. Lo sciopero è soltanto dei conducenti del tram, degli operai delle officine dell’energia elettrica e di quelli della Società dei telefoni. Tra quei lavoratori vi sono molti spagnoli, molti bianchi, molte persone più bianche di questo ubriaco. Ma - come dice Jubiabá - tutti i poveri ormai sono considerati e chiamati negri.

Dalla piazza, dal Terreiro, giunge rumore di grida e di tumulti. Sono i lavoratori dei forni che hanno aderito allo sciopero. I garzoni che portano il pane nelle case rovesciano i cesti sulla strada. I monelli si buttano sul pane e anche le donne di servizio delle case più ricche vengono a raccogliere quel pane

22 Principessa Isabella: Figlia dell’imperatore Pedro II; nel 1888, durante la sua reggenza, firmò l’Atto d’Emancipazione dei negri.

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distribuito gratis.

Vengono a cercare Balduino nella stanza dove abita Amelia e lo trovano che gioca, camminando a quattro mani, con Gustavinho:

- Io sono il lupo mannaro...Si alza subito. Severino gli posa la mano sulla spalla e gli dice:- Abbiamo bisogno di te, Balduino.- Che c’è di nuovo? - e il negro è convinto che sia venuta l’ora di menare le mani.- Si riunisce il sindacato.Il negro Henrique si asciuga la faccia sudata.- Abbiamo faticato parecchio prima di trovarti...Essi guardano, in questo momento, il bambino bianco seduto sul pavimento. Antonio Balduino

spiega un po’ confuso:- È mio figlio...- Vogliamo aderire anche noi allo sciopero. Abbiamo bisogno del tuo voto.Antonio affida Gustavinho al Gordo ed esce ridendo, contento, perché anche lui potrà fare il suo

sciopero. Al sindacato trovano un terribile baccano. Parlano tutti insieme e nessuno capisce quello che dice l’altro. La segreteria prende posto presso il tavolo e chiede silenzio. Un individuo pallido mormora a Balduino:

- Qui ci sono dei poliziotti.Ma Balduino non vede nessuna divisa. E quello gli spiega:- Sono in borghese...Severino pronuncia un discorso. Non sono soltanto gli operai della Società dei tram, la Circular, - egli

dice, - che soffrono la fame. Anche loro, gli scaricatori del porto, non sanno dove battere la testa per campare. Poi c’è un dovere di solidarietà verso gli operai della Circular. Sono nostri fratelli. E dobbiamo anche noi aderire allo sciopero... I discorsi si succedono uno dopo l’altro. Uno dei sorveglianti (un ometto rosso che nelle ore di riposo giocava a dadi con i facchini alla Lanterna dos Afogados) prende anche lui la parola e dice che sarebbe stato sciocco decidere di scioperare, perché non c’erano abbastanza motivi per farlo, perché tutto andava bene. Ma l’ometto viene interrotto e fischiato. Il negro Henrique batte il pugno sul tavolo e parla:

- Io sono un asino di negro e non so nemmeno parlare. Ma so che qui c’è gente che ha figli e moglie che hanno fame. Quei bianchi che guidano i tram anche loro hanno fame. Noi siamo negri, loro sono bianchi: ma adesso siamo tutti uguali, siamo tutti poveri uguali...

Si mise ai voti l’adesione allo sciopero. La vittoria, la decisione a favore dello sciopero, fu dovuta al voto di Antonio Balduino. Soltanto più tardi si scoprì che avevano votato contro lo sciopero alcuni che non erano neppure lavoratori del porto, e tanto meno membri del sindacato.

Fu compilato un manifesto. E venne scelta una commissione che doveva recare agli scioperanti il segno della solidarietà dei facchini del porto. Antonio Balduino faceva parte di questa commissione ed era felice perché andava a lottare, a strillare, a gridare, a fare tutte quelle cose che più gli piacevano.

Il manifesto diceva:

COMPAGNI DELLA SOCIETÀ CIRCULAR!I lavoratori portuali, riuniti in assemblea nel loro sindacato, hanno deciso di aderire al movimento di sciopero dei loro

compagni della Società Circular. Essi vengono così a dare il loro appoggio incondizionato agli scioperanti in lotta per le proprie rivendicazioni. I compagni della Circular possono contare su di noi. Avanti, per l’aumento dei salari! Avanti, per le otto ore di lavoro! Avanti, per l’abolizione delle multe!

Firmato: La Segreteria.

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Antonio Balduino lesse il manifesto interrotto continuamente dagli applausi. I conducenti dei tram si abbracciavano tra loro. Anche i panettieri avevano aderito allo sciopero. Adesso era la volta degli scaricatori. Lo sciopero sarebbe stato, certamente, vittorioso.

Erano ferme tutte le linee dei tram e i telefoni. Questa sera non ci sarebbe stata la luce nelle case e nelle strade. Gli operai avevano inviato alla direzione della Società un promemoria con le loro rivendicazioni. La direzione aveva risposto che non era d’accordo su quelle richieste e avrebbe fatto ricorso al Governo. Poiché mancava l’energia elettrica non potevano uscire nemmeno i giornali. Le strade erano piene di gente e a tutti gli angoli s’incontravano gruppi d’operai che parlavano tra loro. Passavano e ripassavano pattuglie della polizia a cavallo. Correva voce che la Società Circular andasse in cerca di disoccupati e che li pagasse a peso d’oro affinché facessero fallire lo sciopero. Un avvocato, un certo dottor Gustavo Barreiras, presidente di un’associazione operaia, ebbe una lunga discussione con il Governatore sulla dibattuta questione. Quando uscì dal gabinetto del Governatore dichiarò al sindacato che il Governo trovava giuste le rivendicazioni degli operai e che avrebbe preso contatto con la direzione della Società. Ottenne molti applausi. Il giovane avvocato tendeva le mani e sembrava dovesse raccogliere i voti che l’avrebbero dovuto eleggere deputato. Severino disse a voce alta:

- Buffone!Antonio Balduino era già stanco di sentire tanti discorsi. Eppure tutta quella agitazione gli piaceva: si

trattava per lui di una cosa nuova, di uno di quegli avvenimenti che aveva sempre sognato di vivere. Era bello; gli sembrava che in quel momento loro, gli operai, fossero i padroni della città. E lo erano veramente. Bastava che essi lo volessero e non c’erano né luce, né tram, né telefoni per gli appuntamenti degli innamorati; e la nave svedese non poteva scaricare le rotaie delle ferrovie né poteva caricare i sacchi di cacao che si ammucchiavano al magazzino numero 3 del porto. Le gru erano immobili, assoggettate e vinte dai loro nemici, da quelli che esse ogni tanto uccidevano. E i padroni di tutte queste cose, gli uomini che comandavano gli operai, si nascondevano timorosi, non avevano il coraggio di farsi vedere. Antonio Balduino finora aveva sempre provato un certo disprezzo per quelli che lavoravano. Prima, avrebbe preferito entrare nella strada del mare, suicidarsi, una notte, nel porto, piuttosto che lavorare; ma Lindinalva gli aveva chiesto di occuparsi di suo figlio, di adottarlo. E, adesso, il negro guardava con altri occhi i lavoratori, sentiva per loro un certo rispetto. Essi potevano riuscire a non essere più schiavi; quando essi volevano, nessuno poteva spuntarla, poteva averla vinta con loro. Quegli uomini magri che, in origine, venivano dalla Spagna e che se ne stavano tutto il giorno sui predellini del tram a fare biglietti; e quei negri erculei, che caricavano grandi pesi al porto o che maneggiavano le macchine nelle officine elettriche, erano forti e decisi e avevano in mano la vita di tutta la città. Ed eccoli lì: essi passano ridendo, vestiti male, spesso a piedi nudi, e non fanno caso alle ingiurie di quelli che si sentono danneggiati dallo sciopero. Essi ridono perché adesso sanno di essere una forza.

Anche Antonio Balduino ha capito tutto questo, ed è stato per lui come se rinascesse.

L’uomo con il soprabito si alzò dal suo tavolo, nel bar, e andò a chiedere all’operaio:- Perché siete in sciopero?- Per migliorare i salari.- Ma che cosa vi manca?- Il denaro...- Volete diventare ricchi anche voi?L’operaio rimase un po’ confuso. In realtà, non gli era mai venuto in mente di voler diventare ricco.

Quello che lui voleva era avere qualche soldo di più, in modo che la moglie, la sera non protestasse tanto, in modo da poter pagare la visita di un medico (la sua bambina stava male), e da poter comprare qualche vestito, perché quelli che avevano addosso erano ormai agli sgoccioli.

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- Pretendete troppo! Dove si è mai sentito dire che gli operai abbiano bisogno di tanti soldi?L’operaio restò interdetto. Antonio Balduino, che si era avvicinato ai due uomini, stette ad ascoltare

le parole dell’individuo con il soprabito che continuava:- Volete un consiglio? Smettete questo stupido sciopero. Questo sciopero ve l’hanno messo in testa

quelli che vogliono turbare l’ordine pubblico. Chissà che cosa vi hanno fatto credere!... Finirete per perdere il lavoro che avete e anche quello che adesso guadagnate. Chi troppo vuole, nulla stringe.

L’operaio pensò alla moglie che protestava, alla figlia che stava male. Abbassò la testa. Antonio Balduino prese a insulti l’uomo dal soprabito:

- Quanto v’hanno pagato per raccontare queste storie?- Ecco uno dei mestatori! Non è vero?- Io sono... Io te la farò vedere...- Tu non sai con chi stai parlando!- Non m’interessa; non lo voglio sapere.Che gliene importava, infatti, a lui, dal momento che la città era nelle mani degli operai? Oggi,

Antonio poteva dire quello che voleva perché chi comandava nella città erano proprio loro.- Ebbene io sono il dottor Malagueta. Capito?- Il medico della Società Circular; dico bene?Queste ultime parole furono pronunciate da Severino, che arrivava in quel momento. Con lui

c’erano altri operai. Il negro Henrique pareva un gigante. L’uomo dal soprabito tagliò la corda. L’operaio, che aveva parlato per primo con lui, si unì al gruppo dei nuovi arrivati. Severino gli spiegò:

- Caro mio, lo sciopero è come quelle collane che si vedono nelle vetrine. Sono tenute su da un solo filo. Se tagli il filo cadono tutte le perle... Non bisogna far fallire lo sciopero!

L’operaio si chiamava Mariano. Alle parole di Severino, assentì con il capo.Antonio Balduino andò con quel gruppo al sindacato dei lavoratori della Società Circular per

aspettare notizie sulle decisioni prese nell’incontro tra gli uomini del Governo e la direzione della Società.

Al tavolo della segreteria del sindacato un negro sta ora chiudendo il suo discorso:- Mio padre era uno schiavo, io pure sono stato schiavo, ma non voglio che i miei figli siano, anche

loro, degli schiavi...Molti uomini sono seduti, ma parecchi altri se ne stanno in piedi, perché non ci sono più panche

libere.È arrivata una delegazione di panettieri che porta il suo appoggio agli scioperanti; i delegati leggono

un manifesto che incita tutto il proletariato a scioperare. «Sciopero generale», si grida nella sala. Un agente della polizia, sulla porta, ascolta e fuma. Non è il solo. Ma nessuno presta attenzione a lui e agli altri. Adesso prende la parola un giovane con gli occhiali. Dice che gli operai rappresentano la maggioranza della popolazione del mondo e che i ricchi sono soltanto una piccola minoranza. Come mai - si domanda - essi riescono a succhiare il sangue dei poveri? Perché quella maggioranza lavora stupidamente per l’agiatezza di quella minoranza?

Antonio Balduino batte le mani. Tutto questo è per lui una novità; e, poi, ciò che dicono lì al sindacato è la pura verità. Egli l’ha sempre intuito, ma non se l’era mai spiegato bene nel cervello. Per questo, prima, non era mai voluto andare a lavorare. Anche gli ABC dicevano quelle stesse cose, ma non le dicevano così chiaramente e non le spiegavano. Come una volta nelle notti alla collina del Capa Negro, così adesso Antonio ascolta e impara. Il giovane è sceso dalla sedia da dove, in piedi, aveva parlato. Il negro che ha fatto il discorso prima, ora è lì vicino ad Antonio Balduino; Antonio non sa trattenersi e va ad abbracciarlo:

- Hai parlato giusto: anch’io ho un figlio e non voglio che diventi uno schiavo.Il negro sorride. Adesso ha preso la parola un rappresentante degli studenti. Il sindacato degli

studenti di Legge - egli dice - è solidale con gli scioperanti. Tutti, - continua, - operai, studenti,

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intellettuali, poveri, contadini e soldati, si devono unire nella lotta contro il capitale. Antonio Balduino non ha capito bene queste ultime parole. Ma il negro che gli sta vicino e che ha parlato poco fa gli spiega che «capitale» e «ricchi» sono la stessa cosa. Antonio, allora, applaude l’oratore. Sente improvvisamente una gran voglia di mettersi in piedi sopra una sedia e di dire qualcosa anche lui. Anche lui potrebbe fare un discorso, perché nella sua vita ha visto tante cose. Antonio, infatti, si fa strada in mezzo alla gente e sale sopra una sedia. Un operaio domanda al vicino:

- Questo chi è?- È uno scaricatore del porto. Prima faceva il pugilato.Antonio Balduino parla. Lui non vuole fare un discorso, amici! Lui vuole solo raccontare quello che

ha visto nella sua avventura di vagabondo. Racconta come vivono i contadini nelle piantagioni di tabacco, come stanno gli uomini che non hanno donne, come lavorano le donne che fabbricano sigarette. Domandino pure al Gordo se pensano che lui racconti frottole. Lui racconta soltanto quello che ha visto. Dice anche che prima non gli piacevano gli operai, che non gli piacevano tutti quelli che lavoravano. Ma adesso è venuto a lavorare perché ha un figlio da mantenere; così ha potuto vedere che gli operai, se vogliono, possono anche non essere schiavi. Se gli uomini delle piantagioni di tabacco sapessero questo, farebbero anch’essi lo sciopero...

Quando Antonio Balduino finisce di parlare, viene quasi portato in trionfo. Ma Antonio Balduino non ha ben capito perché lo portano così in trionfo, perché l’applaudono tanto. Lui non ha raccontato niente di straordinario, non ha vinto nessun avversario, non ha fatto nessun atto di coraggio. Ha raccontato soltanto ciò che ha visto. Ma gli uomini lo applaudono lo stesso e molti, al suo passaggio, gli stringono la mano, lo abbracciano. Un agente della polizia lo fissa bene in faccia, per cercare di non dimenticare quella fisionomia. A ogni minuto che passa Antonio Balduino si sente più felice, più entusiasta dello sciopero.

Il ragazzo con gli occhiali se ne va e un agente lo segue. Dal palazzo del Governo telefonano al sindacato. È il dottor Gustavo Barreiras, il quale avverte i dirigenti del sindacato che l’incontro tra la direzione della Società e gli uomini del Governo si protrarrà fino a notte, e che si verrà soltanto allora ad una soluzione.

- Favorevole? - domanda il segretario del sindacato.- Abbastanza buona... - risponde all’altro capo del filo il dottor Gustavo.Sono le sei. La città è già piombata nelle tenebre.

Prima notte di sciopero.

La serata è bella, non c’è una nuvola in cielo e tutto è limpido e pieno di stelle. Sembra una notte d’estate. Eppure la gente resta chiusa in casa e nessuno uscirà questa sera a fare una passeggiata. Il fatto è che la città è immersa nel buio, e nemmeno una lampada brilla negli alti fanali scuri. Persino il faro dell’osteria Lanterna dos Afogados è spento.

Il porto non è mai stato così silenzioso. Le gru dormono perché questa notte gli scaricatori non verranno a lavorare. L’equipaggio della nave svedese si è rifugiato nelle varie case delle prostitute. Anche nelle strade centrali della città non c’è movimento. Gli uomini hanno paura di uscire quando non c’è luce nelle strade. Nelle case, la luce rossa delle lampade a petrolio ingigantisce le ombre. E la luce bassa delle candele fa pensare alle lunghe notti di veglia ai defunti. Antonio Balduino, mentre percorre le strade, pensa alle piantagioni di tabacco. Un uomo passa rasente al muro. Tiene la mano sul portafoglio, sotto il cappotto: chi lo vede potrebbe pensare che egli si regga il cuore. La città è avvolta dai ritmi di batuque, dai tamburi della Macumba di Jubiabá. Oggi questi suoni rimbombano agli orecchi del negro Antonio Balduino come un canto di guerra, come un canto di liberazione. La stella di Zumbi

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dos Palmares brilla nel cielo chiaro. Uno studente, una volta, aveva preso in giro il negro Antonio Balduino: gli aveva detto che quella non era una stella, ma il pianeta Venere. Antonio, però, se la ride dello studente, perché sa benissimo che quella stella è Zumbi dos Palmares, negro valoroso, morto per non essere schiavo; quella stella è Zumbi che brilla nel cielo e vede il negro Balduino che lotta perché Gustavinho non diventi schiavo. Quella prima giornata di sciopero era stata una delle più belle della sua vita. Bella come la fuga attraverso la foresta per rompere l’accerchiamento di quelli che lo inseguivano. Bella come la volta in cui conquistò il titolo di campione di pugilato, dopo aver vinto Vicente. Ma forse ancora più bella. Antonio sa adesso per che cosa lotta, e cammina così svelto per portare la notizia dello sciopero e per raccontare tutto ai negri che stanno alla Macumba di Jubiabá. Va informarli tutti: il Gordo, Joaquim, Zé Camarão, Jubiabá. Antonio non capisce perché mai Jubiabá non gli aveva mai insegnato l’esistenza dello sciopero, Jubiabà, che sapeva tutto. Zumbi dos Palmares, che è il pianeta Venere, sembra ammiccargli dal cielo.

Alla Macumba corre voce che forse Exu, il diavolo Exu, disturba la festa. Forse si sono dimenticati di mandare a dire a Exu di star lontano, si sono scordati di esorcizzarlo; si sono dimenticati di chiamarlo lontano, dall’altra parte del mare, nelle coste dell’Africa, nelle piantagioni di cotone della Virginia... Exu continua a turbare con la sua presenza la festa. Exu vuole a tutti i costi che i negri cantino e danzino in suo onore. Exu vuole che gli sia reso omaggio, che Jubiabá si inchini davanti a lui e dica:

- Okê, ôkê!Vuole che la direttrice della festa, la mãe do terreno, annunci l’arrivo di Exu:- Edurô dêmin lonam ô yê.Vuole che il pubblico ripeta in coro:- A umbó k'ó wà jô!Exu non se ne va. È la prima volta che questo accade in una Macumba di Jubiabá. I ritmi dei tamburi

scivolano per le vie in discesa e vanno a morire giù in fondo, nei vicoli della città bassa, della città in sciopero. Le feitas, le sacerdotesse, già danzano. Gli ogans, gli iniziati, guardano stupiti, attenti. Antonio Balduino entra pian piano nel luogo del rito. È un ogan e quindi prende posto oltre il cerchio delle feitas che danzano. E appena Antonio è arrivato, Exu se ne va. Il Gordo dice che la festa è dedicata a Oxossi. Ma prima che il dio della caccia scenda a danzare nel corpo di una delle sacerdotesse, Antonio Balduino si alza a parlare:

- Amici, gente mia, forse voi non sapete niente... Lo pensavo, nella mia testa, che forse voi non dovete sapere niente. Bisogna che voi andiate a vedere lo sciopero. I negri fanno lo sciopero, non sono più schiavi. Che cosa serve ai negri pregare, venire a cantare e danzare per Oxossi? Quando vogliono, i ricchi possono far chiudere la festa di Oxossi. Una volta la polizia ha già chiuso e proibito la festa di Oxalà, quando era ancora il vecchio Oxolufa. E il santone Jubiabá, allora, finì con loro, in prigione. Voi vi ricordate, certamente. Che può fare - ditemi - un negro? Un negro non può far niente, non può nemmeno danzare liberamente nella Macumba. E questo perché voi non sapete niente, siete ignoranti. Non sapete che i negri sono tutti in sciopero: scioperano per tutto: per le gru, per i tram, per la luce. Fuori ci sono solo le stelle, perché i negri hanno in mano la luce, i tram, tutto. I negri e i bianchi poveri: sono tutti schiavi, ma hanno tutto nelle loro mani. E se essi vogliono, possono smettere di essere schiavi. Gente mia, amici, andiamo tutti allo sciopero perché lo sciopero è come una collana. Finché le perle sono tutte unite è bella. Cade una perla e anche le altre cadono. Andiamo allo sciopero, lottiamo per non avere più fame. Gli altri negri sono già tutti laggiù.

E Antonio Balduino esce senza guardare se qualcuno viene con lui. Lo seguono il Gordo, Joaquim e anche Zé Camarão. Jubiabá tende le braccia e dice:

- Se lo è preso Exu!

Al sindacato ancora non si è avuta nessuna notizia sui risultati dell'incontro nel palazzo del

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Governatore. Severino ripete ancora a chi non la vuole intendere:- È tutta una buffonata. Non avete ancora capito che quell’avvocato è un tipo falso, è uno che fa il

doppio gioco?Alcuni difendono il dottor Gustavo: in fondo, è un avvocato e sa tante cose. A quest’ora si starà

battendo per i diritti degli operai sfruttati. Un controllore dei tram pronuncia un discorso di elogio del dottor Gustavo. Riscuote alla fine approvazioni e fischi, insieme.

Nella stanza del palazzo del Governatore avviene l’incontro tra i rappresentanti del Governo, alcuni membri della direzione della Società, e l’avvocato Gustavo Barreiras. Non arrivano però a concludere un accordo. Gustavo chiede, con belle tirate oratorie, che gli operai vengano soddisfatti nelle loro richieste:

- Non lo chiedo, lo esigo!...Egli parla di umanità, di esseri umani che soffrono la fame, che lavorano diciotto ore al giorno, che

muoiono tubercolosi. Rammenta ai presenti il pericolo della rivoluzione sociale se tali cose permangono allo stato attuale.

I rappresentanti della Società (un giovane americano e un vecchio signore, avvocato della Società e, in altri tempi, deputato), nonostante tutto, non cedono, non si muovono dalle proprie posizioni. Il massimo che essi possono fare, dichiara il vecchio avvocato, è di accordare agli operai il cinquanta per cento delle loro rivendicazioni. E questo essi lo fanno per amore del popolo, perché la città non rimanga senza tram, senza luce, senza telefoni. Egli, anzi, ci tiene a dichiarare che, per gli operai, la soluzione è ottima. Ma dare tutto quello che essi chiedono: questo poi no! È meglio lasciare ad essi una volta per sempre tutta la Società. Ma gli azionisti? Gli operai pensano soltanto a se stessi, secondo loro non hanno alcuna importanza gli stranieri che hanno dato fiducia al nostro popolo e hanno impiegato il proprio denaro nelle imprese brasiliane. Che cosa diranno costoro? Diranno che sono stati derubati dai brasiliani e questo fatto non onora di certo il buon nome del paese. (L’americano con segni della testa e con alcuni yes fa capire che approva quel discorso). Il vecchio avvocato si rifiuta di pensare che il dottor Gustavo Barreiras, il quale è un uomo molto colto e intelligente (Gustavo s’inchina), possa avere in mente delle cose così contrarie agli interessi della patria, voglia vedere il nome del suo paese gettato nel fango, all’estero. Che gli operai non riflettano a queste conseguenze è giusto, è naturale: sono degli ignoranti che prendono più di quello che sarebbe loro dovuto e sono spinti e trascinati dalle parole ingannevoli di mestatori, estranei ai loro interessi. Egli naturalmente non si vuole riferire - sottolinea chiaramente - al dottor Gustavo Barreiras, la cui onestà egli conosce bene e il cui talento egli ammira. (Gustavo s’inchina di nuovo e mormora che non avrebbe mai pensato una cosa simile, che il suo nome è al disopra di qualsiasi sospetto). La Società, dunque, per non lasciare il popolo privo delle cose essenziali alla sua vita, è disposta a concedere il cinquanta per cento dell’aumento chiesto dagli operai. Oltre a questo: niente da fare.

È ormai giunta l’ora di andare a mangiare. L’incontro si chiude senza che si sia arrivati ad alcun risultato. Il Governatore si ritira. L’americano offre a Gustavo un passaggio sulla sua macchina. L’avvocato della Società dice:

- Andiamo a mangiare insieme; a stomaco pieno, parleremo meglio...

«Come si sta bene su quella “Hudson”!» pensa Gustavo adagiandosi sul morbido sedile dell’automobile, tra l’americano e il vecchio avvocato. L’americano offre dei sigari. Per un certo tempo, restano silenziosi. L’automobile scivola dolcemente sulle strade, l’autista è in uniforme. Corrono lungo le rotaie. L’avvocato chiede all’americano:

- E quella sua idea, Mr. Thomas?- Oh! yes...L’avvocato si rivolge a Gustavo e gli spiega:

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- Guardi che coincidenza, dottore! Proprio in questi giorni parlavamo di lei...- Yes, yes, - fa l’americano, lasciando andare una boccata di fumo.- Io sono ormai stanco, sono vecchio.- Oh, non lo dica.- Non voglio dire che io non intenda più esercitare la professione: questo, no. Ma il lavoro alla

Società è per me molto pesante. Pensavamo, Mr. Thomas ed io, di chiamare qualcuno a occupare il posto di secondo avvocato della Società. La Società può benissimo dar lavoro a due avvocati. E abbiamo pensato a lei... No, non creda che facciamo questo per accontentarla. Non certo... (Gustavo trattiene un gesto che voleva dire come la propria coscienza non gli avrebbe mai permesso soluzioni ambigue e di compromesso; e poi afferma che non avrebbe mai pensato che il dottor Guedes lo volesse comprare. Non era capace di formulare un simile pensiero). La Società aveva dunque pensato a lei; per dir meglio l’avevamo pensato Mr. Thomas ed io (Gustavo ringrazia), visti i suoi rapporti con i sindacati dei lavoratori della Società. Lei è l’avvocato degli operai. E nella Società, lei potrebbe rappresentare il pensiero di quegli umili lavoratori. In questo modo potremmo realizzare un ponte tra gli operai e la Società. Gli interessi degli operai sarebbero affidati a lei. Lei è giovane, ha una buona carriera davanti a sé. Anche il Parlamento l’attende. E il paese si aspetta molto dal suo talento. Lei, dunque, può rendersi conto come i pensieri e i desideri della Società siano i più nobili che ci possano essere. Molti credono che la Società non s’interessi della sorte degli operai. Falso, completamente falso. Una prova tangibile che la Società s’interessa ai propri operai eccola qua: noi chiamiamo il loro paladino a diventare avvocato della ditta. Così gli operai avranno nella stessa direzione un loro difensore. E che difensore!... Da questo lei può vedere con quanta buona fede agisca la Società...

L’automobile è comoda e dolce. Zuleika, la moglie di Gustavo, non fa che chiedergli un’automobile. Con la Società nelle sue mani egli riuscirà ad entrare in Parlamento alla prossima legislatura. L’americano pensa alle cose pratiche:

- L’onorario è di otto contos al mese, dottor Barreiras.Ma Gustavo dichiara subito che quel problema dei soldi lo interessa relativamente, che a lui interessa

soprattutto difendere gli operai che possono essere anche esagerati nelle loro richieste - non dice di no - ma che hanno pure le loro ragioni. Se lui accetta l 'offerta, è solo per diventare una sentinella avanzata dei diritti degli operai. Resta inteso che lui non approverà mai certi eccessi, naturalmente.

Appena hanno finito di mangiare il dottor Guedes dice:- Allora, lei può portare agli operai la bella notizia, caro dottore. Dica a quei ragazzi (già: sono come

ragazzi - concorda Gustavo - ragazzi, facili ad accontentare); dica a quei ragazzi che domani tornino al lavoro. Avranno un cinquanta per cento di aumento: e sarà tutto merito della simpatia che ci ha saputo ispirare il dottor Gustavo...

Appena il giovane avvocato se ne va, l’americano sputa con disprezzo:- Ne ho già visti di tipi nauseanti, ma come questo!...Il vecchio Guedes ride e chiede al cameriere un po’ di champagne per festeggiare la fine dello sciopero:- Abbiamo lavorato bene per la Società, non è vero?

Un’automobile per la moglie, diventare deputato, avere una casa a Copacabana, e, magari, una piantagione di cacao. Il cinquanta per cento di aumento era, in fondo, parecchio. Ottenere il cento per cento come volevano gli operai era un voler troppo. Inoltre, si chiede cento per ottenere dieci. Egli aveva strappato il cinquanta per cento per gli operai. Una vittoria, sì, era una vittoria. Non solo; ma avrebbe anche impedito che il nome della patria venisse insozzato all’estero.

Al sindacato, il negro Antonio Balduino pronuncia il suo terzo discorso della giornata solo per dire che anche il figlio del dottor Gustavo Barreiras non dovrà diventare uno schiavo come è lui, come sono tutti i negri e i bianchi che lavorano da operai nel porto, nei forni, nella Società dei tram, della luce e del

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telefono.

Mariano rientra in casa a testa bassa. Quando era uscito, questa mattina, sua moglie ancora non sapeva che era stato dichiarato lo sciopero. Egli ha avuto il coraggio di tornare a casa solo a tarda sera: temeva di rivedere gli occhi febbrili della moglie piena d’ira, gli occhi spenti della figlia malata. Appena ha oltrepassato la soglia di casa, la moglie gli grida:

- C’entri forse anche tu, in questa faccenda, Mariano?- In che cosa?- Oh, ecco: il bambinuccio, adesso, si dà le arie da innocente! Parlo di questo maledetto sciopero.

C’entri anche tu, non è vero?- Perché «maledetto», Guilhermina? Noi cerchiamo di guadagnare qualche soldo di più. È solo per

avere un po’ di denaro per le medicine di Lila. Io voglio solo questo. Maledetto: non vedo proprio perché.

- Vuoi dei soldi? Di’ piuttosto che vuoi fare il vagabondo, che non vuoi fare niente, che vuoi ubriacarti per le strade, arrivare a casa all’alba. Credi che io non ti conosca? Credi di potermi prendere in giro? Vai a spasso, a vagabondare, e poi mi vieni a raccontare certe cose. «Voglio le medicine per Lila». Se tu ti fossi messo a lavorare di buona volontà, senza immischiarti in queste faccende, a quest’ora saresti controllore, guadagneresti certamente di più. Lo sciopero è un’invenzione del demonio: padre Silvino lo dice tutti i giorni. Queste son cose che il demonio mette nella testa di certi pazzi come te. Se tu non t’immischiassi in certe faccende, già saresti controllore...

Mariano ascolta e non risponde. Quando la donna finisce di parlare e pianta le mani sui fianchi, in attesa di risposta, Mariano le chiede a bassa voce:

- E Lila come sta?- E Lila come sta? - lo imita la donna, - sta sempre uguale: come vuoi che stia? Tu ci pensi molto, tu,

a lei, quando t’immischi in quelle faccende, quando vai a fare lo sciopero. Io preferirei che Dio mi ammazzasse piuttosto che vedere mio marito implicato in certe cose del demonio.

Si allontana da Mariano come se egli fosse il diavolo in persona. L’operaio si avvicina al letto e guarda la figlia. È malata d’intestino, il medico ha detto che deve avere ingoiato un po’ di terra. I giorni che aveva passato senza lavoro, in casa non c’era quasi mai niente da mangiare. Forse il dottor Gustavo saprà mettere a posto le cose con la Società questa notte e domani torneranno tutti al lavoro. Lui potrà così pagare un’altra visita del medico. Potrà comprare delle medicine in farmacia. E se la faccenda non si dovesse mettere a posto? Se lo sciopero dovesse durare otto, dieci giorni? La situazione diventerebbe tragica: mancherebbe il mangiare, la bambina morirebbe senza poter prendere una medicina. Egli non vuole assolutamente che Lila muoia. Sebbene Guilhermina sia terribile con lui, Lila gli sorride e lo bacia in viso, sulla barba ispida. Ma lo sciopero, Mariano, è una collana fatta di tante perle legate insieme da un filo. Se ne cade una, cadono tutte le altre. Mariano risente la voce di Severino e allontana da sé il brutto pensiero. Bacia la figlia.

Lontano, nella strada, ode ancora la voce adirata di Guilhermina.

Il negro Henrique si stuzzica i denti con una spina di pesce. Prende sulle ginocchia suo figlio e gli chiede:

- La sai la lezione di domani, tizzo di carbone?Il negretto ride e, ficcandosi un dito nel naso schiacciato, giura che sa la lezione sulla punta della

lingua. Ercidia si affaccia dalla cucina e comunica:- Domani, anche domani, pesce.- Finché c’è un po’ di pesce, va tutto bene, negra mia.Henrique ride insieme al figlioletto. Ecco: quel tizzoncino di carbone sa tutte le lezioni, riesce anche

a fare i conti!

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- È un campione, non ti sembra, Ercidia?La negra sorride. Il ragazzino vorrebbe che il padre gli raccontasse una storia. Henrique gli dice:- Un negro molto in gamba oggi ha fatto un discorso al sindacato e ha detto che i nostri figli non

devono essere più schiavi. Anche te, tizzoncino di carbone...- Va bene lo sciopero?- Come no! Nessuno ci può vincere. E vedrai che la spunteremo. È bello lo sciopero. C’è un negro,

un certo Balduino, che fa certi discorsi...Racconta alla moglie gli avvenimenti della giornata. Sotto la camicia a strisce s’intravedono i suoi

muscoli di gigante. Solleva davanti a sé il negretto e gli dice:- Senti tizzone: tu non dovrai essere mai schiavo. Ricordatelo. Diventerai magari governatore. Noi

siamo molti, gli altri sono pochi. E noi finiremo per dominarli.Dà uno scappellotto di affetto al futuro governatore. Poi scoppia in una gran risata, sicuro della

propria forza, della giustezza dello sciopero che gli operai stanno conducendo. La negra Ercidia sorride al marito con tenerezza:

- Domani, ancora pesce...

Il padrone della panetteria Dois mundos un tipo tracagnotto, d’origine spagnola, racconta quello che è successo durante la giornata. La moglie, sdraiata su una poltrona a dondolo, ascolta silenziosa. La figlia batte sul tavolo con le dita un ritmo di samba. Il padrone della panetteria racconta la storia dello sciopero, i fatti principali della giornata. Il candeliere diffonde una luce tremolante. Miguel termina il suo racconto e socchiude gli occhi. La moglie gli chiede, dalla sua poltrona:

- Ma la panetteria è aperta, non è vero, Miguel?- Certo. In questi giorni di sciopero ci rimetteremo un po’, ma, in compenso, si vende a prezzo più

alto.- Allora, mi sembra che gli operai abbiano ragione. In fondo, soffrono una terribile miseria.- È vero. Io, per me, avrei dato l’aumento. E l’ho anche detto alla nostra Associazione. Gli altri, e

soprattutto Ruiz, quello delle «Panetterie», non vogliono. Soprattutto Ruiz. Non si accontenta mai quell’uomo. Io, per me, l’avrei anche concesso l’aumento.

La figlia lo interrompe:- E perché l’avresti concesso, papà? Il signor Ruiz ha ragione. Noi abbiamo bisogno di tanti soldi. Io,

per esempio, vorrei una radio, una macchina utilitaria... Me l’avete promessa. Non ti ricordi più? E, adesso, vorresti dare i nostri soldi a quei negri svergognati.

- Chi tutto vuole nulla stringe, figlia mia, - risponde Miguel.La moglie pensa che sua figlia è nata in una casa comoda, agiata, non è venuta, come sono venuti lei

e suo marito, dai casamenti popolari di Madrid, viaggiando nella terza classe di una nave; sua figlia non ha mai sofferto la fame. Vuole un’automobile utilitaria, una radio, e chissà quante altre cose.

I negri, in fondo, pretendono così poco. E ripete al marito:- Battiti per l’aumento, Miguel. Ruiz è un avaraccio, non sa fare altro che accumulare denaro.La figlia dei due spagnuoli ha lasciato gli occhi su una utilitaria che poco fa è passata nella via. Il suo

innamorato si avvicina alla finestra:- Io sono favorevole allo sciopero; perché così, alla luce della luna, tu sei anche più bella.Quando lei avrà un’utilitaria, non sarà più costretta a tenersi un fidanzato che lavora come cassiere in

una merceria, potrà fare a meno di dover ascoltare certe frasi convenzionali. Farà all’amore con uno studente, oppure con un pittore dell’Accademia, e potrà frequentare le feste più eleganti.

Il dottor Gustavo Barreiras salta giù dal tassi e sale, a due a due, i gradini della scala del sindacato. Appena è entrato, si è fatto subito silenzio. L’avvocato si siede davanti al tavolo, al posto del presidente. Prende la parola:

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- Signori, come vostro avvocato, ho lavorato tutta la sera per trovare un accordo con i dirigenti della Società Circular. La prova evidente del mio lavoro e dei miei sforzi onesti in vostro favore è la bella notizia che vi porto. Signori, sarò breve. Il caso è stato completamente risolto grazie... - (gli ascoltatori tendono il collo per sentire meglio) - ... grazie agli sforzi compiuti dal vostro modesto difensore. Dopo aver discusso tutta una nottata, siamo giunti alla conclusione che il caso si sarebbe potuto ormai considerare liquidato onorevolmente per le due parti in causa, se tutti e due avessero ceduto un poco -. (Si sente un mormorio nella sala). - Dal lato suo, la Società è uscita dalla propria intransigenza; essa, infatti, non ammetteva nemmeno che si potesse giungere a una qualsiasi intesa con gli operai finché fossero rimasti in sciopero; tuttavia, la Società non solo ha acconsentito a discutere, ma, con me, è venuta anche a un accordo. Gli operai, dal canto loro, avrebbero dovuto rinunciare a un cinquanta per cento delle proprie rivendicazioni, mentre la Società sarebbe venuta incontro ad essi con l’altro cinquanta per cento; i nuovi salari sarebbero entrati in vigore dal giorno dopo.

- Questa è politica da avvocati o politica in favore degli operai? - interrompe Severino.- Questa è la migliore politica... - e il dottor Gustavo sorride con quanta più cordialità possibile. - È

la politica di conquistare a poco a poco quello che non si può conquistare in un sol colpo. Se darete ascolto agli agitatori professionali, la lotta sarà, per voi, perduta, poiché se lo portate troppo avanti, lo sciopero diventerà per voi un’arma a doppio taglio e si rivolgerà contro di voi: la miseria visiterà il vostro focolare, la fame batterà alle vostre porte.

- Il sindacato ha abbastanza denaro per sostenere lo sciopero.- Anche se continua all’infinito?- Lo sciopero deve finire, perché la città non può rimanere senza luce e senza tram. I padroni

devono concedere quello che noi chiediamo. Non perdiamoci d’animo, compagni!Il dottor Gustavo è rosso di collera:- Non sapete quello che dite. Io sono un avvocato, di queste cose me ne intendo.- Lo sappiamo noi quello che ci vuole per non morire di fame!- Ben detto, negro, - approva Antonio Balduino.Un giovane chiede la parola. Cominciano a battere le mani appena è arrivato al tavolo della

presidenza.- Chi è? - domanda Antonio al negro Henrique.- È un operaio delle officine elettriche. Si chiama Pedro Corumba23. Un tale ha scritto l'ABC della

sua famiglia, che ne ha fatte di tutti i colori a Sergipe. Io l’ho letto quell'ABC. Pedro è un vecchio combattente; un vecchio scioperante. Ha partecipato a diversi scioperi a Sergipe, a Rio e a São Paulo, Lo conosco: poi te lo presento.

- ... Quando io esco di casa dico ai miei figli: voi siete fratelli di tutti i bambini di operai del Brasile. Dico questo perché potrei morire e voglio che i miei figli continuino a lottare per la redenzione del proletariato. Compagni, ci vogliono tradire. Non è la prima volta che faccio uno sciopero. E so che cosa vuol dire essere traditi. L’operaio non deve credere a chi non sia un operaio come lui. Tutti gli altri, quelli che non sono operai, ci prendono in giro, c’ingannano. Questo qui - e indica il dottor Gustavo - è un riformista, è uno che fa il doppio gioco. Chi ci dice che non abbia già trovato lavoro nella Società, che già non gli abbiano messo in mano dei soldi?

Il dottor Gustavo batte un pugno sulla tavola, protesta, minaccia; dice che l’oratore lo insulta, grida che lui è in grado di reagire. Ma gli operai tendono l’orecchio alle parole di Pedro Corumba:

- ... Compagni, ci vogliono tradire. Noi non possiamo accettare la proposta che ci fa la Società. Se accettiamo, i padroni ci crederanno deboli; e domani se ne approfitteranno per toglierci con una mano quello che ci hanno dato con l’altra. Abbiamo cominciato, dobbiamo finire. Preferirei morire piuttosto che abbandonare lo sciopero cominciato così bene. Noi possiamo averla vinta. Dobbiamo averla vinta. Il proletariato è una grande forza e se sa fare, se sa dirigere la lotta, conquisterà quello che vuole.

23 Pedro Corumba: Personaggio che l’autore trae da un romanzo sociale di Amando Fontes.

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Compagni, non muoviamoci dalle nostre richieste. Basta con le buffonate. Abbasso Gustavo Barreiras e la Società Circular! Viva il proletariato! Viva lo sciopero!

- Viva! - grida la maggioranza, con gli occhi spalancati. Mariano sorride, il negro Henrique mostra i suoi denti in un gran sorriso di gioia. Antonio Balduino prende la parola:

- I lavoratori del porto sono d’accordo con il compagno Corumba. Il nostro caso non è ancora risolto. Appoggiamo lo sciopero degli operai della Circular, e aspettiamo che essi ci sostengano nelle nostre rivendicazioni. Non vogliamo doppi giochi. Non vogliamo compromessi. Vogliamo che le nostre proposte siano accettate così come sono, e non a metà.

Si propone che Gustavo Barreiras, che voleva tradirli, venga espulso dal tavolo della presidenza. Se Antonio Balduino avesse saputo che era lui l’amante di Lindinalva non l’avrebbe lasciato uscire vivo dalla sala. L’avvocato se ne va protetto dai poliziotti in borghese. Un coro di fischi lo accompagna fin sulle scale. Poi qualcuno chiede un po’ di silenzio. Severino parla, e dice che adesso la lotta sarà più dura, perché i nemici spargeranno la voce che sono loro, gli operai, a non volere l’accordo. Propone che venga lanciato un manifesto alla popolazione. Legge il manifesto redatto già prima da lui, e l’assemblea lo approva. Il manifesto spiega come gli operai siano stati traditi, ma afferma che essi porteranno avanti la lotta fino alla fine e che torneranno al lavoro solo quando la Società accetterà le richieste da essi avanzate al primo momento.

Un individuo bruno chiede un po’ d’attenzione. È contrario alla continuazione dello sciopero. È dell’opinione che bisogna accettare l’aumento del cinquanta per cento. Il cinquanta per cento - osserva - è pure qualche cosa. Chi vuole tutto in una volta, finisce per perdere ogni cosa. Il dottor Gustavo aveva ragione. Che forza hanno gli operai? Gli operai non hanno nessuna forza. La polizia poteva far cessare lo sciopero quando voleva.

- Come, come?- Certo. Noi dobbiamo accontentarci dell’aumento. Propongo che l’assemblea approvi la fine dello

sciopero ed esprima un voto di elogio al dottor Gustavo.Alcuni gridano:- Venduto, venduto! Traditore, traditore!Altri, invece, chiedono che si lasci parlare l’oratore. Diversi operai, tra i quali Mariano, sono quasi

d’accordo con il giovanotto bruno. Il cinquanta per cento è già qualche cosa. Poi, potrebbero rischiare di perdere tutto e sarebbe molto peggio. Quando il giovanotto si ritira ottiene qualche applauso. Ma Antonio Balduino, dal posto dove sta, grida:

- Amici, vi si è chiuso l’occhio della pietà; non vedete più che con l’occhio della cattiveria... Si direbbe che non vi ricordiate più che noi del porto siamo scesi in sciopero per appoggiarvi. Noi scaricatori, e loro, i lavoratori delle panetterie. Se volete essere traditi, fate pure. Ognuno è padrone della propria testa. Ma se siete tanto stupidi da voler perdere tutto per guadagnare una sciocchezza, giuro che io rompo la faccia al primo che passa da quella porta. Per me, io sciopero fino a che non abbiamo vinto.

Severino sorride. Ma diversi operai restano impressionati dal discorso di Balduino. Il Gordo, che non ha mai visto una cosa del genere, trema tutto. Il negro che ha parlato il pomeriggio fa un nuovo discorso. Dimostra che c’è stato un tradimento, che essi sono stati venduti. Anche Pedro Corumba parla, e cita alcuni casi di scioperi a São Paulo e a Rio, nei quali gli operai si erano lasciati convincere dalle promesse di alcuni avvocati che si dicevano amici del proletariato. Ma il pubblico resta indeciso; i lavoratori parlano e discutono tra loro a gruppi, e quelli propensi ad accettare la proposta della Società ingrossano sempre più le proprie file.

Il presidente passa alla votazione. Quelli che sono d’accordo per il proseguimento dello sciopero si alzino in piedi; gli altri, quelli che vorrebbero accettare la proposta della Società, restino seduti. Ma, prima che si passi alla votazione, irrompe nella sala un giovane operaio che grida:

- Il compagno Ademar è stato arrestato oggi pomeriggio all’uscita del sindacato; la Società assolda

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uomini per far fallire lo sciopero -. Si ferma per riprendere fiato:- Dicono che la polizia domani costringerà i panettieri a portare il pane.A questo punto, l’assemblea si leva in piedi tutta e vota all’unanimità a favore della continuazione

dello sciopero, le braccia tese, i pugni chiusi.

Secondo giorno di sciopero.

Perché dovrebbe andare a dormire in questa notte così bella? Il negro Antonio Balduino questa sera non va certo a dormire. Trascorre il resto della notte in compagnia del Gordo e di Joaquim attaccando manifesti per la città, cioè le copie del manifesto compilato da Severino, che spiega i motivi della continuazione dello sciopero. Ad ogni lampione c’è un manifesto. Così sui muri di via Ramos do Queiroz, della via Baixa dos Sapateiros. Un gruppo, invece, a capo del quale è andato il negro Henrique, s’è diretto dalle parti di Rio Vermelho. Alcuni vanno nella città alta, altri nella città bassa. In poco tempo, Bahia è piena di manifesti e presto tutti potranno conoscere le ragioni per cui gli operai sono decisi a continuare lo sciopero. La Società dei tram non è, in generale, molto benvoluta dalla gente, e i piccoli commercianti preferiscono prendere i marinetti24 per andare al lavoro e son soliti guardare gli operai con simpatia. La Società ha fatto spargere la voce che, se gli scioperanti avessero vinto, essa sarebbe stata costretta ad aumentare i prezzi dei biglietti dei tram, le tariffe della luce e dei telefoni.

Ma questa manovra fallisce: anzi, essa aumenta l’antipatia verso la Società Circular. Il tempo è sempre sereno e questo fatto tiene alto il morale della popolazione. Questo morale, questo buon umore è il migliore alleato degli operai in sciopero.

Antonio Balduino (quante cose ha imparato nel giro di un giorno e di una notte!) spiega le ragioni dello sciopero al Gordo e a Joaquim. Dice che lo stupisce il fatto che Jubiabá non conosca l’esistenza degli scioperi, lui che pure sapeva vita, morte e miracoli degli stregoni, storie e vicende della schiavitù. Sì, Jubiabá era libero, ma non aveva mai insegnato al popolo negro che cos’è lo sciopero. Antonio Balduino non capiva proprio la ragione di tutto questo.

Dal vicolo della Ladeira do Pelourinho viene un gran chiasso, il rumore di una grande confusione. Alcuni uomini passano di corsa. Nella sala del sindacato si sente uno scoppio: qualcuno deve aver sparato là vicino. Un operaio entra nella sala di corsa e annuncia:

- La polizia vuole costringere i garzoni dei forni a portare il pane.Esce un gruppo di operai dal sindacato. Ma la confusione si è già spenta: sul selciato si vedono le

ceste, poco prima piene di pane duro, che i padroni della panetteria volevano a tutti i costi far portare nelle case dai garzoni. Uno di questi, con l’occhio arrossato da qualche bastonata, spiega:

- È venuta anche la polizia a cavallo. Ma non abbiamo ceduto.Un altro comunica che la Padaria Galega, la Panetteria spagnola, vuole smerciare il pane fatto durante

la notte. Racconta che sono stati ingaggiati dei disoccupati con un salario doppio. I padroni, oltre al salario doppio, hanno garantito ai disoccupati il lavoro in permanenza.

Un vecchio fornaio grida:- Non lo dobbiamo permettere!Molta gente si è affacciata alle finestre sulla Ladeira. E dal sindacato degli operai della Circular

giungono in ogni momento a nuovi gruppi. Alcuni esprimono la propria approvazione e il proprio appoggio alle parole del fornaio:

- Andiamo a fargli vedere che non bisogna fare i crumiri, che non si deve spezzare lo sciopero.Antonio Balduino è come se fosse invitato a nozze:

24 Marinetti: Così son chiamati gli autobus a Bahia, perché - si dice - furono inaugurati il giorno in cui il noto poeta futurista venne a Bahia per la prima volta.

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- Andiamo a suonargliele!- Calma, - dice Severino. - Andiamo là e spieghiamo, con le buone, a quei lavoratori che non devono

servire da strumento contro altri operai come loro. Non c'è bisogno di suonargliele.- Ma perché tanti discorsi quando possiamo dargli una buona lezione, a quei traditori?- Non sono traditori. Non sanno niente. Andiamo a fargli capire come stanno le cose -. Severino sa

sempre quello che dice.Antonio Balduino tace. A poco a poco impara che nello sciopero non comanda un solo uomo. Nello

sciopero tutti insieme fanno come un solo uomo. Lo sciopero è come una collana... Ma Antonio non si rattrista perché non è lui a capo dello sciopero. Sa che sono tutti capi. Essi obbediscono a ciò che è giusto. Quella lotta è diversa da quella che egli ha condotto finora, durante la sua vita. Ma dalla sua vita di vagabondo che cosa ne è venuto fuori? Ne è venuto fuori che lui era schiavo delle gru, e vedeva nel mare la sua strada definitiva, la sua evasione. Nella lotta dello sciopero, era tutto diverso. Avrebbero perduto una parte della loro condizione di schiavi, e avrebbero guadagnato un altro pezzo di libertà. Un bel giorno avrebbero fatto uno sciopero anche più grande e avrebbero cessato del tutto di essere schiavi. Anche Jubiabá non sa niente di questa lotta. Quelli che vanno a portare il pane, al posto degli altri, non devono capire niente, anche loro. Severino ha ragione. Non bisogna prenderli a bastonate. Bisogna cercare di convincerli. E il negro segue il gruppo che si dirige verso la panetteria di via Baixa dos Sapateiros.

I garzoni che portano il pane escono proprio in questo momento dal forno. Con quei cesti sulla testa, sembrano maschere del carnevale. Severino, arrampicatosi ad un lampione, a cui si tiene stretto con un braccio, parla a quegli uomini. Dice a quei lavoratori che si devono mostrare solidali con i loro fratelli che chiedono un aumento; che non devono seguire gli interessi dei padroni; che non devono consegnare quel pane; che non devono tradire la classe a cui appartengono.

- Ma noi non abbiamo lavoro... - dice uno di loro.- E per questo, tu vuoi prendere il posto di un altro? Ti sembra giusto prendere il posto di un

compagno che lotta per il bene di tutti? Questo è un tradimento!Un garzone rovescia la cesta di pane sulla strada. Altri lo imitano. Gli scioperanti gridano la loro

approvazione, entusiasti. Anche i più recalcitranti, - quello che aveva interrotto Severino, un altro che si lamentava di avere una famiglia da mandare avanti, - abbandonano lì per terra le ceste applauditi dalla folla. Altri due che vorrebbero andare ugualmente a portare il pane vengono fermati dagli stessi loro compagni. Poi, tutti, gridando «viva lo sciopero!», si dirigono al sindacato panettieri.

Quel pomeriggio, però, lo sciopero aveva preso una brutta piega per i panettieri. Fu il Gordo, allontanatosi per andare a mangiare e rimasto fuori molto tempo, che portò la notizia. Il padrone delle Panifiçaóes Reunidas, «Le Panetterie Riunite», aveva ordinato d’ingaggiare fornai e impastatori a Feira de Sant’Ana. Aveva fatto venire gli uomini con un camion e il giorno dopo ci sarebbe stato molto pane fresco, perché gli uomini già stavano lavorando.

Ci fu un momento di panico tra i panettieri. Furono mandati rappresentanti al sindacato degli operai della Circular e a quello degli scaricatori del porto. Se le «Panetterie Riunite» fossero riuscite a distribuire il pane, lo sciopero dei panettieri poteva dirsi fallito e gli scioperanti avrebbero perduto non solo l’aumento, ma anche il lavoro. E questo avrebbe avuto una ripercussione negativa sullo sciopero degli operai della Circular e su quello dei portuali. Vinti i panettieri, lo sciopero avrebbe perduto una delle sue braccia. Sarebbe stato molto più facile lottare contro gli altri scioperanti. Cominciarono a piovere discorsi su discorsi al sindacato dei panettieri. Frattanto, nella piazza Castro Alves si teneva un comizio per esigere la scarcerazione dell’operaio arrestato la sera prima. In pieno comizio, qualcuno parlò del caso dei panettieri, del tentativo che si stava facendo per rompere lo sciopero. Il comizio, a questo punto, assunse un tono più violento, soprattutto quando arrivarono tutti gli operai che si erano raccolti al sindacato panettieri. Anche dal sindacato dei portuali veniva gente. Il Gordo passò ad avvisare anche

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gli operai della Società Circular.Al sindacato dei panettieri (la sala era troppo piccola per tanta gente) avevano parlato i

rappresentanti dei lavoratori delle panetterie, del porto, dei tram, e alcuni studenti. Parlò anche un operaio di una fabbrica di scarpe che sarebbe entrata in sciopero generale appena ce ne fosse stato bisogno. Ogni minuto al sindacato arrivava nuova gente. Severino parlò con voce rauca, quasi afona. Venne lanciato un manifesto che incitava gli operai a uno sciopero generale, e si decise che bisognava impedire di lavorare ai panettieri venuti da Feira de Sant’Ana.

Le «Panetterie Riunite» erano tre grandi forni. Si trovavano in tre punti diversi della città. Gli scioperanti formarono tre grandi gruppi e si diressero verso le «Panetterie». Intanto Severino e qualcun altro erano andati a prendere accordi con operai di altre fabbriche e con gli autisti dei marinetti e delle automobili di piazza. Si preparava lo sciopero generale. La Società Circular e la Compagnia che aveva in mano gli impianti del porto non volevano nemmeno entrare in contatto con gli scioperanti. Avevano dichiarato che avrebbero preso in considerazione le loro proposte soltanto quando gli operai fossero tornati al lavoro. I padroni delle «Panetterie» cercavano invece di stroncare in parte lo sciopero.

Fu facile impedire che gli operai di due dei forni delle «Riunite» continuassero a lavorare. Erano stati attratti da promesse favolose; ma Ruiz, il proprietario, aveva cominciato col rifiutare loro la metà del salario anticipato, com’era stato pattuito prima. Il padrone aveva detto che solo il giorno dopo, a lavoro ultimato, li avrebbe pagati. Appena gli scioperanti fecero appello al loro senso di solidarietà e fecero capire a quegli operai - questa decisione si leggeva in viso a tutti gli scioperanti - che mai e poi mai avrebbero permesso loro di lavorare, i nuovi venuti accettarono di tornare a Feira de Sant’Ana sopra un camion. E quelli se ne andarono gridando «Viva lo sciopero!»

Ma alla panetteria di via Baixa dos Sapateiros le cose andarono diversamente. Quando arrivarono gli scioperanti la polizia aveva già circondato il forno. Poliziotti in borghese si mescolavano alla folla, tra gli operai, posando la mano sull’impugnatura della pistola. Il gruppo si fermò sulla strada in attesa dell’arrivo degli operai assoldati. Quando il camion che li portava sboccò nella strada, un operaio si mise in mezzo alla via e impedì alla macchina di proseguire. Subito un altro operaio si arrampicò sul primo lampione e cominciò a parlare ai panettieri venuti da fuori: spiegava la situazione e diceva come li volevano adoperare i padroni delle «Panetterie». La strada era piena di gente. Persone che non avevano nulla a che fare con lo sciopero si fermavano per vedere come sarebbe andata a finire la cosa. Un tale disse all’amico che gli stava accanto:

- Scommetto quello che vuoi che dovranno tornare indietro.- Ne scommetto cinque che riescono a restare.Bambini e bambine, che giocavano in un vicolo lì vicino, erano accorsi per assistere alla scena. Si

divertivano come già Antonio Balduino si era divertito, da piccolo, quando, una volta, venne arrestato quel comiziante sul molo del porto, tanti anni prima. Quei bambini gridavano quando gli operai gridavano. E si divertivano immensamente. Issato sul lampione, l’operaio continuava il suo discorso. I panettieri venuti da Feira de Sant’Ana ascoltavano attenti e qualcuno sembrava già convinto di tornarsene indietro.

Improvvisamente ci furono dei colpi. I poliziotti avevano sparato; quelli a cavallo ora caricavano gli operai. Ci fu un fuggi-fuggi, gente calpestata, lotta di uomini contro altri uomini. Antonio Balduino già aveva steso a terra un poliziotto quando vide il Gordo corrergli davanti con gli occhi fuori delle orbite e le grosse guance tremolanti. L’operaio continuava il suo discorso in mezzo agli spari. Antonio Balduino, in quel momento, si accorse che il Gordo portava fra le braccia il cadavere di una bambina negra, uccisa dai colpi della polizia. Il Gordo usciva dalla strada gridando:

- Mio Dio, dove sei? Mio Dio, dove sei?

I panettieri venuti da Feira de Sant’Ana sono tornati al loro paese sullo stesso camion sopra il quale erano arrivati. Sulla via sono rimasti due scioperanti. Uno di essi è morto; l’altro, invece, ha ancora la

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forza di sorridere.

Chi è quel negro che cammina così, con le braccia tese davanti a sé, per le vie calme o movimentate della città? Perché bestemmia, perché piange, perché si chiede a voce alta dov’è Dio? Perché tiene le braccia tese in avanti come se portasse qualcosa, perché passa senza vedere nessuno, senza badare a uomini e donne che lo guardano stupiti, senza osservare la vita che si muove intorno a lui, senza vedere il sole che brilla? Dove va così estraneo, così lontano dal mondo? Che cosa porterà tra le braccia, che cosa cullerà con tanto affetto e con tanta dolcezza? Che cosa sarà, ché l’occhio umano non riesce a scorgere nulla? Sembra, infatti, ch’egli stringa qualcosa al petto dolcemente. Che cosa vorrà, dunque, questo negro grasso, con gli occhi tristi, che passa per le vie della città nelle ore in cui c’è più movimento, più animazione? Quel negro ripete a tutti coloro che gli passano accanto la stessa domanda angosciata:

- Dov’è Dio? Dov’è Dio?La sua voce è desolata e tragica. Ma nessuno sa chi sia questo negro che impressiona tutta la città.Gli operai che hanno fatto lo sciopero sanno, invece, che quel negro è il Gordo, impazzito per aver

visto come un colpo di pistola di un poliziotto aveva potuto uccidere una bambina negra, di fronte a una delle «Panetterie Riunite», il giorno in cui c’era stato un comizio. Essi sanno che il Gordo, quel giorno, aveva preso tra le braccia il cadavere della negretta e l’aveva portato fino alla casa dello stregone Jubiabá; e che, da quel giorno, non aveva mai smesso di ripetere quella stessa domanda:

- Dov’è Dio?Quel negro era molto religioso e adesso è impazzito. Adesso va per la città con le braccia tese

davanti a sé come se ancora portasse il corpo della negretta uccisa. Egli non fa male a nessuno, è un pazzo tranquillo.

Ma nemmeno gli operai conoscono tutta la sua storia.Essi non sanno che, dal giorno del comizio, il Gordo porta in giro il corpo della negretta sicuro che

da un momento all’altro Iddio si ricorderà di lei, dimostrerà quanto è grande la sua bontà e la rimetterà diritta in piedi, a giocare con le altre bambine, là nei vicoli. Allora, soltanto allora, il Gordo smetterà di ripetere quella terribile domanda, abbasserà le braccia e i suoi occhi non saranno più tristi. Ma se egli sapesse che la negretta è morta, che la sua bara di povera è stata sepolta già da molto tempo, anche lui ne morirebbe perché anche per lui l’occhio della pietà di Dio, grande come è grande il mondo, si sarebbe ormai chiuso. Allora egli non avrebbe più fede e morirebbe fuori della grazia di Dio. Per questo, il Gordo se ne va per le strade, come un pazzo tranquillo, con le braccia tese, stringendo ogni tanto al petto il corpicino magro della bambina negra morta durante il comizio. Non importa che gli uomini non vedano il piccolo corpo ferito: esso pesa tra le braccia del Gordo e lui ne sente il tepore quando accosta quel corpo al cuore.

Seconda notte di sciopero.

La città aveva perduto quella certa aria festosa del primo giorno di sciopero. Subito dopo quei primi spari, false notizie avevano cominciato a circolare e si erano diffuse per tutta la città. A poco a poco, il movimento e l’animazione nelle strade erano venuti diminuendo. I marinetti correvano nelle vie, ma portavano pochi passeggeri e anche questi si affrettavano ad andare a casa timorosi di nuovi tumulti, pieni di paura di prendersi qualche fucilata isolata e sperduta:

- Le fucilate non hanno indirizzo...Nelle case, l’atmosfera di terrore dominava quasi dappertutto. Lo scontro tra i panettieri in sciopero

e la polizia aveva assunto, nei racconti della gente, proporzioni terribili. Si parlava di diciotto morti, di decine di feriti. Correva la voce che i sindacati sarebbero stati presi d’assalto e gli scioperanti sciolti a

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forza di fucilate e di cariche della polizia. Le signore tremavano e mettevano la sbarra alla porta prima di accendere le candele e i lumi a petrolio. La città era inquieta.

A casa di Clovis venne a mancare il cibo. Egli aveva promesso che avrebbe portato qualcosa dalla città e Helena aveva aspettato tutta la sera; ma lui non era venuto. Correvano le voci più contraddittorie. Quando Helena seppe delle fucilate che c’erano state alla Baixa dos Sapateiros, corse in mezzo alla strada. Ma le comunicarono che Clovis non si era trovato in quel tumulto; lui faceva parte del gruppo che era andato a far chiudere l’altra panetteria. Tornò a casa più stanca che mai e continuò ad aspettare il marito. I tre bambini giocavano dietro la porta. Che avrebbe dato da mangiare questa sera ai figl i? Il fornello spento aspettava inutilmente, in cucina. Non c’era nulla da cuocere. Quel giorno era finita anche la farina. A pranzo, anche a pranzo aveva dovuto chiedere qualcosa in prestito alle vicine e aveva promesso che avrebbe restituito tutto appena fosse tornato il marito; anche le altre donne, infatti, erano povere e avrebbero avuto bisogno di quel po’ di cibo, poiché gli uomini che abitavano in quel vicolo o erano lavoranti in qualche panetteria o facevano i facchini nel porto: tutti uomini, quindi, in sciopero. Helena era piena di vergogna. Che avrebbe fatto da mangiare per i bambini? Avrebbe chiesto in prestito altro cibo? In fondo, erano tutti in sciopero e gli uomini dicevano che bisognava aiutarsi gli uni con gli altri. Lei non era contraria allo sciopero. No. Era sicura che gli uomini avevano ragione, che il salario era troppo piccolo e non bastava. Avevano diritto di chiedere qualcosa di più, di smettere di lavorare fino a che i padroni si fossero decisi di aumentare il salario. Ma la donna aveva paura per i giorni che sarebbero venuti. A casa non aveva più roba da mangiare; anche nelle case dei vicini sarebbe venuto presto a mancare ogni cibo. Dove poteva trovare il sindacato tanti soldi per mandare avanti tanta gente? Se lo sciopero fosse durato ancora altri giorni, la fame li avrebbe vinti tutti. Si avvicinò alla finestra. Alla finestra accanto si affacciò Ercidia:

- Clovis è arrivato, Helena?- No, Ercidia, ancora non è tornato.- Forse non verrà. Henrique mi ha detto che non lo dovevo aspettare. Lo sciopero oggi va male e gli

uomini devono restare nelle strade.La negra sorrideva.- Dovrò mangiare senza di lui.Sorrise di nuovo. Ma perché Helena non sorrideva, perché non rispondeva? Stava piangendo.

Ercidia uscì dalla sua ed entrò nella casa della vicina:- Che c’è, Helena?I fornelli erano spenti, in cucina. La negra accarezzò l’altra sulla testa:- Non te la prendere, cara. In casa ho un po’ di pesce, che basterà anche per te. E poi quando loro

l’avranno spuntata con lo sciopero, avremo qualche soldo di più.Helena sorrise tra le lacrime.

Dopo aver sistemato i bambini, che si erano subito addormentati, Helena ha preso una cesta sulle spalle e si è incamminata verso Graça, dove abita donna Helena Ruiz, moglie del padrone di suo marito. La donna di Clovis è stata lavandaia di donna Helena, una signora sempre pronta a fare del bene ai poveri, che la chiamava con sincerità «mia cara».

- Ecco, mia cara: voglio che questi panni diventino belli, puliti, candidi.Sebbene fosse ricchissima, donna Helena continuava a curare lei stessa le cose di casa. Diceva

sempre che chi non ha nessun lavoro da fare, chi non ha nessuna occupazione, finisce per esser sopraffatto da pensieri cattivi. E benché non le mancassero posti dove andare: feste, cinema, passeggiate, trovava sempre la maniera e il tempo di curare la casa. Il marito le chiedeva, quasi supplicando, che affidasse tutto il governo della casa alle donne di servizio, che non sciupasse i suoi bei ventidue anni, ma la donna non gli dava ascolto:

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- Se io affido le cose di casa alla servitù tu non avrai mai niente che vada bene. Poi, mi fa piacere badare a queste faccende...

Il marito la baciava sul viso e poi andavano al cinema stretti stretti. Lui le raccontava dei suoi affari, parlava con orgoglio dei buoni incassi delle sue panetterie (voleva aprire un’altra succursale a Itapagipe), lei sorrideva soddisfatta del marito che Dio le aveva dato. Ruiz diceva:

- Sei tu, cara, che mi dai coraggio. Se non fosse per te, io non sarei niente...Fu attraverso donna Helena che Clovis trovò lavoro nella panetteria. La lavandaia l’aveva chiesto alla

sua padrona oggi, e già l’indomani Clovis cominciava a lavorare. La lavandaia, adesso, si dirigeva verso la casa della sua padrona (erano ormai due anni che non la vedeva, dal giorno cioè in cui Clovis era andato a lavorare nella panetteria) e strada facendo pensava a tutte queste cose. Si sarà ricordata donna Helena della «sua cara»?

Donna Helena sta in salotto e lavora a un suo ricamo. Il marito fa il bagno di sopra perché è tornato dalla strada sudato, dopo aver passato tutta la giornata in varie riunioni e incontri, in cerca di uomini che venissero a lavorare nelle sue panetterie.

Appena sa che la lavandaia è lì alla porta ed è venuta per parlarle, donna Helena dà ordine che la facciano entrare. Posa da una parte il ricamo, che cuciva alla luce del candeliere (il marito aveva già protestato: «tu ti rovini la vista, Helena»), e sorride alla donna che tiene gli occhi fissi in terra.

- Allora, mia cara, non sei più venuta a trovarci!...- Sono stata tanto occupata, donna Helena. I bambini non mi lasciano un minuto di respiro.- Lo sai che non sono stata capace di trovare una lavandaia brava come te?Helena sorride con aria dimessa e confusa. Donna Helena si ricorda, in questo momento, che la

donna le ha mandato a dire di volerle parlare:- Che cosa vuoi?Helena non sa in che modo cominciare. Agita le mani, balbetta, si confonde. Donna Helena le

chiede:- Che cos’hai? È successo qualcosa ai bambini? Come sta tuo marito?- Qualcosa è successo, donna Helena... C’è lo sciopero.Lo sciopero, sempre lo sciopero! Anche Ruiz non può sentir parlare di questo sciopero.- Ma se lei volesse...Donna Helena non sa niente. La lavandaia le racconta la vita del vicolo dove lei abita ; le dice che gli

uomini guadagnano una miseria nelle panetterie, che mandano avanti le famiglie con un salario di fame, che spesso i bambini stanno male e non si sa come curarli. Con lo sciopero - uno sciopero giusto per chiedere qualche soldo in più di paga - le famiglie si erano trovate a non aver niente da mangiare.

I suoi figli erano riusciti a mettere qualcosa in bocca, quel giorno, solo perché una vicina aveva avuto compassione di lei e le aveva dato qualcosa. Ma c’erano tanti bambini che ancora avevano fame.

Donna Helena si agita sulla poltrona, è piena di stupore, di meraviglia. La sua voce è pietosa, piena di dolore:

- Ci sono bambini che soffrono la fame? Non è possibile, Dio mio...Sì, c’erano bambini che soffrivano la fame. E una negretta era morta durante la sparatoria del

pomeriggio. Le altre bambine, in casa, chiedevano da mangiare e piangevano.- Se continua così, dobbiamo andare in giro per l’elemosina. E gli uomini chiedono così poco.Donna Helena si alza piena d’emozione. Certamente Ruiz non è a conoscenza di tutte queste cose.

Se ne fosse stato informato, avrebbe già aumentato i salari ai suoi operai.È così buono! Donna Helena accompagna la lavandaia verso la cucina. Là le cuoce qualcosa, le

riscalda degli avanzi. Poi le mette in mano venti milreis. Quando la donna esce, curva come una schiava e piangendo come una schiava, donna Helena la consola:

- Stai tranquilla, mia cara. Vado subito a parlare con Ruiz. Lui non le sa tutte queste cose. Quando io

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gli riferirò tutto, lui concederà subito gli aumenti agli operai. Vedrai: è così buono!...

Antonio Ruiz, proprietario delle «Panetterie Riunite», nel momento in cui la moglie entra nella stanza, sta indossando una camicia di seta. Osserva stupito il viso di lei:

- Che cos’hai, anima mia?Si avvicina e bacia ancora la moglie.- Sei triste? Perché non vai al cinema, oggi? - Poi ci ripensa. Ride: - Lo sciopero non lascia andare al

cinema il mio amore...- È proprio dello sciopero che ti voglio parlare.- Ti occupi di politica, cara?Nella camera accanto dorme la figlia dei due Ruiz, in mezzo a dieci bambole in un lettino da fate.

Donna Helena si ricorda dei bambini che soffrono la fame nei vicoli poveri:- Bisogna che tu ti metta d’accordo con gli operai e conceda l’aumento...Il marito si volta di scatto.- Come? - la sua voce ha un tono brutale che donna Helena non gli ha mai sentito. Ma l’uomo subito

si pente e dice con voce dolce:- Tu non sai come vanno queste cose, amore.- Chi ti ha detto che io non lo so? Anzi, ne so più di te... - (donna Helena ha davanti agli occhi le

scene del vicolo con i bambini affamati). - Io so molte cose che tu ignori.E racconta al marito, con voce concitata, ciò che le ha raccontato la lavandaia. E finisce, sorridendo

vittoriosa:- Non è vero che ti ho rivelato cose che tu non conoscevi? Tua moglie, - come vedi, - è bene

informata...- Ma chi ti ha detto che io non so niente di tutto questo?- Ah, dunque, tu sai tutto e...Quelle parole hanno scosso profondamente donna Helena. E l’hanno tanto scossa, tanto ora le

martellano nella testa, che quasi ella ha perso la voce. Il marito le s’avvicina:- Che hai, adesso, Lena? Io lo so, lo so, sì.- E non fai niente? Non aumenti la paga agli operai? Sei d’accordo su questo delitto?- Ma quale delitto, Lena? - la meraviglia di Ruiz non è simulata.- Come: quale delitto?! - Donna Helena passa da uno stupore all’altro. - Allora tu pensi che non sia

un delitto lasciare quegli uomini, quelle donne, quei bambini, capisci Ruiz, dei bambini, soffrire la fame?!...

- Ma, figlia mia, io non dico questo. Da che mondo è mondo è sempre stato cos ì. Ci sono sempre stati poveri e ricchi.

- Ma, capisci?, sono dei bambini che soffrono la fame.Hai mai pensato che cosa sarebbe se la nostra piccola dovesse restare senza mangiare? È terribile,

Dio mio...Ruiz passeggia su e giù per la stanza, agitato:- Perché ti preoccupi di queste cose? Tu non te ne intendi...- E tu, che sei tanto buono! Avrei creduto che...- Io sono uguale agli altri. Non sono né peggiore né migliore degli altri.Un attimo di silenzio si crea nella stanza. Dalla camera vicina si sente venire il respiro sano della

bambina. Ruiz spiega alla moglie:- Ma tu lo sai che cosa vogliono gli operai?- Vogliono così poco.- Ebbene, non bisogna dargli niente! Se noi, oggi, concediamo questo aumento, domani ne vorranno

un altro, poi un altro ancora, e, alla fine, vorranno avere in mano tutte le panetterie.

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- Io so soltanto una cosa: che guadagnano pochissimo, che le famiglie fanno la fame. E tu non mi hai mai detto che eri a conoscenza di questo. Mi lasciavi così all’oscuro di tutto. Se io l’avessi saputo...

Ruiz s’irrita:- Se l’avessi saputo, che cosa avresti fatto? Tu non te ne intendi di queste faccende. Se io agisco in

questo modo lo faccio per difendere la tua automobile, la tua casa, il collegio per la bambina. Credi che voglia lavorare per dare da mangiare a quelle canaglie?

- Ma vogliono così poco, Ruiz. Non è possibile che ti piaccia vedere che gli altri soffrono.- A me non piace niente. Ma qui non è questione di sentimentalismi. La cosa è più seria. Non si

tratta di me, non si tratta dei miei sentimenti. Io sono il padrone, devo difendere i miei interessi. Se cediamo un dito, domani essi vorranno tutta la mano. Tu rimarrai senza automobile, senza casa, senza la servitù per te e per la bambina. Ti va? Io difendo tutto questo, non faccio altro che difendere ciò che è nostro, i nostri soldi. Io difendo il tuo lusso, le tue comodità!

Va su e giù per la stanza. Poi si ferma davanti alla moglie:- Credi ancora, Lena, che io abbia piacere di sapere che c’è qualcuno che soffre la fame? No, non ne

ho piacere. Ma: a la guerre comme a la guerre...Dalla camera vicina giunge il suono regolare del respiro della bambina. Bambini che soffrono la

fame, bambini che non hanno da mangiare, bambini che piangono chiedendo il cibo. Il marito, suo marito, trova naturale tutto questo. Suo marito, che lei sa come sia buono di cuore, incapace di far male a una formica. Ci dev’essere qualche mistero in questa faccenda, qualche mistero che lei non riesce ad afferrare. Il fatto è che quei bambini soffrono la fame. Il che significa che se Ruiz non fosse diventato ricco, forse toccherebbe alla sua bambina di essere affamata. Helena implora, tra le lacrime, il marito perché conceda l’aumento agli operai.

- È impossibile, mia cara, è proprio impossibile. È l’unica cosa nella quale non ti posso accontentare.E cerca ancora di spiegare che quella, per lui, è come una guerra, che se si lascia prendere un dito

quelli gli prenderanno la mano, che fra un mese gli chiederanno un nuovo aumento:- Bisogna piegarli con la fame.Si avvicina ancora alla moglie e tende la mano per accarezzarla sui capelli:- Non piangere, Lena.Le passa il braccio intorno alla vita. Nei vicoli poveri, ci sono bambini affamati.- Non ti avvicinare! Sei terribile. Non ti avvicinare...E continua a singhiozzare, si sente infelice, prova una gran compassione di sé e del marito, e pensa

con simpatia ai poveri, agli scioperanti. E, in mezzo al pianto, continua a mormorare:- Bambini affamati. Bambini affamati...

Clovis è rimasto ad ascoltare i discorsi al sindacato. Dopo le sparatorie, lo sciopero ha assunto un carattere nuovo. Gli uomini sono in agitazione e vorrebbero reagire. È diffìcile tenerli. Ordini del giorno e risoluzioni vengono votate e diffuse: e tutte chiedono la liberazione immediata degli scioperanti arrestati. Girano notizie strane e contrastanti. A un certo punto, un operaio entra di corsa nella sala e dà notizia che la polizia starebbe per attaccare il sindacato. Tutti si preparano alla difesa. Ma è stato un falso allarme. In ogni modo, si prevede che, da un momento all’altro, la polizia debba arrivare. Alle nove di sera, la vertenza dei portuali viene risolta: gli scioperanti hanno vinto. Tuttavia, in un’assemblea al sindacato portuali, gli scaricatori decidono di continuare lo sciopero fino a che non verranno accordati gli aumenti ai panettieri e agli operai della Circular. Gli scaricatori si dirigono tutti verso il sindacato di quelli della Circular, per andare a leggere laggiù la loro risoluzione. In mezzo ai discorsi scoppia una notizia: la polizia ha arrestato diversi operai e vorrebbe costringerli a lavorare con la minaccia della forza. Il sindacato è in piena agitazione; è come un mare in tempesta. Escono tutti. Alcune delegazioni vanno a trattare con i conducenti dei marinetti e con gli autisti delle auto-pubbliche. Altri vanno a prendere accordi con operai di varie fabbriche. La massa si dirige verso gli uffici della

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Società Circular per una manifestazione di ostilità contro la direzione. Gli animi sono tesi, esaltati all'estremo. Suonano le dieci.

Davanti agli uffici della Società c’è un’automobile ferma. È la «Hudson» del direttore, un americano che guadagna dodici contos al mese. Scende in questo momento le scale, con un sigaro in bocca. L’autista apre lo sportello dell’automobile. Antonio Balduino, che è alla testa del gruppo degli scioperanti, grida:

- Prendiamolo ragazzi. Così anche noi avremo un prigioniero.Il direttore viene circondato. I poliziotti che stavano a guardia del palazzo accorrono. Antonio

Balduino lo afferra per un braccio e gli strappa il vestito bianco. Dalla folla vengono alcune grida:- Ammazzatelo! Ammazzatelo!Antonio Balduino alza il braccio per scaricare addosso all’americano uno dei suoi formidabili pugni.

Ma una voce si fa sentire. È Severino che parla:- Non toccatelo. Siamo operai, non siamo assassini. Portiamolo al sindacato.Antonio Balduino lascia cadere il braccio con rabbia. Ma subito capisce che bisogna agire in quel

modo, che lo sciopero non è fatto da un uomo solo, ma da tutti. E, in mezzo alle grida, l’americano viene condotto al sindacato degli operai della Circular.

La notizia della cattura dell’americano corre rapidamente per tutta la città. La polizia esige che venga subito rilasciato.

Il consolato americano si mette in movimento. Gli scioperanti chiedono che siano liberati tutti i prigionieri politici. E che non costringano altri operai a lavorare. Alle undici, tutti gli arrestati fanno ritorno al sindacato. Corre voce che il consolato americano abbia chiesto alla polizia di liberare gli operai, temendo che gli altri possano uccidere il direttore della Società. L’americano se ne va indisturbato, in mezzo ai frizzi, alle parolacce. Al sindacato regna il più grande entusiasmo. Antonio Balduino dice al negro Henrique:

- Va tutto bene. Ma se quel dottor Gustavo mi dovesse venire tra le mani...E si frega le palme, soddisfatto della vita. Lo sciopero è una cosa bella.

Mezz’ora dopo, tra gli applausi, viene letto un ordine del giorno. Gli autisti dei marinetti e delle auto-pubbliche, gli operai di due fabbriche tessili e quelli di una fabbrica di sigarette hanno deciso che il giorno dopo dichiareranno lo sciopero se la vertenza dei panettieri e degli operai della Circular non verrà risolta durante la notte. Pedro Corumba comincia un discorso con queste parole:

- Gli operai se saranno uniti potranno dominare il mondo...Antonio Balduino abbraccia, nell’entusiasmo, un tipo che non ha mai visto.

Nel palazzo del Governo, a mezzanotte, i rappresentanti della Società Circular e dei padroni delle panetterie comunicano alla commissione degli scioperanti che essi hanno deciso di concedere tutto quello che gli operai hanno chiesto. I nuovi salari entreranno in vigore dal giorno dopo. Lo sciopero dunque è finito con la completa vittoria degli scioperanti.

Antonio Balduino va a casa di Jubiabá. Adesso guarda il santone da pari a pari. E gli racconta di aver scoperto il significato degli ABC, di aver trovato la sua strada, il suo cammino sicuro. I ricchi hanno chiuso l’occhio della pietà, ma essi, i poveri, quando vorranno, potranno chiudere l’occhio della cattiveria. A questo punto Jubiabá, lo stregone, s’inchina davanti a lui come se fosse Oxolufã, Oxalà il vecchio, il più potente di tutti gli idoli negri.

Hans, il marinaio.

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Antonio Balduino stringe in tasca dei calzoni i centoventi milreis che ha vinto questa sera al gioco. La notte, a poco a poco, cala sulla città. Alcuni giorni fa le luci non si accendevano. Lo sciopero aveva paralizzato tutto. Ma non tutto: perché, - pensa Antonio Balduino - in fondo, solo la sua vita di prima si era in quei giorni paralizzata. Con lo sciopero egli ha infatti scoperto una nuova strada, che gli ha ridato il gusto della lotta. È passato più di un mese. In questo periodo, come fa oggi, Antonio ha sempre cantato a bassa voce una samba intitolata «Lo sciopero vittorioso», apparsa il giorno dopo che seguì la vittoria degli operai. Antonio Balduino canta e si ricorda dei fatti di quei due giorni:

Nello sciopero è entratodi lavoratoritutto un sindacato;per l’aumento dei salari.Tutti gli altri son con loroper dar forza alla protesta.Contro la Società Circularsta la gente del lavoro.

Le parole sono di Perminio Lirio. E l’inno si canta sull’aria di una canzoncina in voga. Il foglietto con le parole e la musica è stato venduto in grande abbondanza per tutta la città, e, il giorno che seguì alla fine dello sciopero, quella samba era la sola canzone che si cantava nelle strade, dove di nuovo circolavano i tram. Lo sciopero era stato per il negro Antonio Balduino una vera rivelazione. All’inizio egli l’aveva amato come una lotta, cioè come una lite o come una rissa: cose che a lui piacevano immensamente, fin da bambino. Però, a poco a poco, lo sciopero aveva cominciato ad assumere agli occhi dell’ex boxeur un aspetto nuovo. Gli sembrava qualcosa di più serio di una rissa, di una lite. Era una lotta che si prefiggeva uno scopo, dove si sapeva ciò che si voleva; era una bella lotta. Lì, nello sciopero, tutti si volevano bene, si difendevano, e lottavano contro la schiavitù. Lo sciopero meritava un ABC. Non bastava la samba che Antonio Balduino viene cantando mentre pensa a tutte queste cose.

Non c’era luce,non c’era pace,fermi i trasportioggi e dimane,muto il telefono,niente giornali;tutti in scioperoe spenti i fanali.

Era vero tutto quello che diceva la samba. Quegli uomini, che Antonio Balduino aveva sempre disprezzato, come schiavi incapaci di reagire, avevano paralizzato tutta la vita della città. Antonio Balduino fin allora credeva che solo lui e i suoi compagni di delinquenza, tutti malandrini che vivevano con il coltello in pugno, fossero liberi, forti, e padroni della religiosa città di Bahia. Ma questa convinzione lo aveva reso triste e lo aveva spinto quasi al suicidio il giorno in cui era dovuto andare a lavorare nel porto. Adesso, invece, Antonio sa che le cose non stanno così. I lavoratori sono schiavi, ma lottano per la libertà. È giusto quel che dice la samba:

Anche altre fabbrichesi sono fermatefinché le richieste

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sono state approvate.Adesso, operai: grande allegria!Evviva i lavoratoridella nostra Bahia!

Antonio aveva creduto che la lotta, di cui parlavano gli ABC, letti nelle serate sulla collina, appresi nelle lunghe chiacchierate davanti alla casa di sua zia Luisa, o dalle opinioni di Jubiabá, o dalla musica delle Macumbas, aveva creduto che l’unica lotta da fare fosse quella che si viveva nell’esistenza di malandrino, nella libera avventura, nel non fare niente. La lotta non era questa. Nemmeno Jubiabá sapeva che la vera lotta, l’unica lotta fosse lo sciopero, la rivolta degli schiavi. Adesso, il negro Antonio Balduino tutto questo lo sa. Ecco perché se ne va per la via così sorridente, ecco perché nello sciopero egli ha ritrovato la sua risata di animale libero. Canta gli ultimi due versi della samba con una voce così alta e potente che spaventa quella pallida prostituta con l’aria da innocentina, che sta alla finestra di una vecchia casa della Ladeira da Montanha e annaffia un vaso di fiori.

È calata la notte. La luna è salita dal mare e si è andata a mettere accanto alle stelle. Il Gordo percorre, a quest’ora, Rua Chile, con le braccia tese davanti a sé, ripetendo la terribile domanda: «dov’è Dio?» Zumbi dos Palmares brilla nel cielo: per i bianchi, è il pianeta Venere; per i negri, per Antonio Balduino, è Zumbi, il negro che preferì morire piuttosto che rimanere schiavo. Zumbi conosceva bene quelle cose che solo adesso Antonio Balduino aveva appreso. I battelli dormono. Soltanto il Viajante sem Pôrto esce dal porto, solo, con la lanterna accesa, carico di ananassi. Maria Clara è in piedi sul ponte e canta. La sua persona emana un odore forte di mare. Quella donna è nata nel mare, il mare è il suo nemico e il suo amante. Antonio Balduino, anche lui ama il mare. Ha sempre visto nel mare la sua strada, la strada di casa. E quando Lindinalva morì, egli pensò che il suo ABC fosse ormai perduto, che nessuno lo avrebbe mai scritto, che egli non avrebbe fatto più niente; allora decise di prendere il cammino del mare per essere felice come lo può essere un morto. Ma gli uomini del porto, gli uomini del mare, gli avevano insegnato lo sciopero. Il mare gli aveva indicato la sua strada, la strada di casa. Adesso invece Antonio guarda il mare verde, tinto qua e là di giallo dalla luna. Da lontano ormai gli giunge la voce di Maria Clara:

La strada del mare è larga, o Maria...

Un vecchio, sul molo deserto, suona un organetto. La musica arriva fioca e si diffonde verso i battelli, verso le canoe, verso i transatlantici, verso l’immenso e misterioso mare di Antonio Balduino. Se non ci fosse stato lo sciopero, a quest’ora il mare avrebbe inghiottito i l suo corpo in una notte senza luna. Se non ci fosse stato lo sciopero egli avrebbe rinunciato a vedersi cantato in un ABC; avrebbe rinunciato allo spettacolo di Zumbi dos Palmares che brillava come Venere. Una figura passa laggiù lontano. Sarà forse Robert, l’equilibrista, che è scomparso misteriosamente dal Circo? Ma poco gli importa. La musica dell’organetto diventa lamentosa e triste. La voce di Maria Clara è scomparsa in alto mare. Mastro Manuel ora sarà al timone: egli conosce tutti i segreti del mare. E farà all’amore con Maria Clara alla luce della luna. Le onde del mare bagneranno i due corpi e così il loro amore sarà anche più bello. La rena bianca del porto è macchiata d’argento dalla luce della luna: là il negro Balduino ha fatto all’amore con tante mulatte, e tutte gli sembravano Lindinalva, la lentigginosa Lindinalva. Se non fosse stato per lo sciopero, il suo corpo di affogato sarebbe stato rigettato dal mare lì sulla sabbia e i granchi avrebbero risuonato dentro il suo corpo come risuonavano in quello di Viriato il Nano. Brilla la luce di un battello. Porterà fin là il vento la melodia dell’organetto suonato dal vecchio italiano? Un giorno, pensa Antonio Balduino, egli dovrà viaggiare, dovrà partire alla volta di altri paesi, di altre terre.

Un giorno s’imbarcherà sopra una nave come quella olandese che sta lì nel porto tutta illuminata, e

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partirà alla volta del mare immenso. Lo sciopero lo ha salvato. Adesso egli sa lottare. Lo sciopero è stato il suo ABC. La nave sta per salpare. I marinai hanno assistito allo sciopero, e racconteranno in altre terre che quei negri hanno saputo lottare bene. La gente che resta a terra saluta e dice «addio» ai marinai. Quelli che se ne vanno si asciugano le lacrime. Perché si piange quando si parte? Partire è una bella avventura, anche quando si va verso il fondo del mare dov’è finito Viriato. Ma è meglio partire diretti verso lo sciopero, diretti verso la lotta. Un giorno Antonio Balduino s’imbarcherà sopra una nave e farà lo sciopero in tutti i porti. Quel giorno anche lui saluterà la gente. Dirà: «Addio, amici, io me ne vado». Zumbi dos Palmares brilla in cielo. Sa che il negro Antonio Balduino non andrà più sul mare per morire. Lo sciopero lo ha salvato. Un giorno saluterà la gente e agiterà un fazzoletto da sopra il cassero di una nave. La musica dell’organetto piange una musica di addio. Ma lui non dirà «addio» come fanno questi uomini e queste donne della prima classe, che salutano gli amici, i padri e i fratelli, le mogli in lacrime, le fidanzate tristi. Lui saluterà come quel marinaio biondo che è laggiù in fondo alla nave e agita il berretto salutando tutta la città, le prostitute del Taboão, gli operai che hanno fatto lo sciopero, la teppa della Lanterna dos Afogados, le stelle in mezzo alle quali c’è Zumbi dos Palmares, il cielo chiaro e la luna gialla, il vecchio italiano dell’organetto, e anche Antonio Balduino. Antonio anche lui saluterà come il marinaio. Dirà «addio» a tutti perché ha partecipato allo sciopero e ha imparato ad amare tutti i mulatti, tutti i negri, tutti i bianchi, che nella terra, o sopra le navi che solcano il mare, sono degli schiavi sul punto di spezzare le proprie catene. E il negro Antonio Balduino tende la mano callosa e grande, per rispondere al saluto di Hans, il marinaio.

ABC di Antonio Balduino.

Questo è l'ABC di Antonio Balduino,negro valoroso e impertinente,avventuriero senza paura,ma uomo generoso, di gran cuore.Conquistatore per sua natura,rapì una bella mulattae lottò contro tanti padroni.

Morì morto ammazzato,ma ferito a tradimento.(Dall'ABC di Antonio Balduino)

L'ABC di Antonio Balduino, che porta sulla copertina rossa una foto del tempo in cui il negro era boxeur, viene venduto nel porto, nei battelli, nei mercati, nelle fiere, al Mercato Modello, nelle osterie, al modico prezzo di duecento reis; lo comprano e lo leggono giovani contadini, biondi marinai, facchini del porto, donne che amano contadini e marinai, e negri tatuati, con ampi sorrisi, che portano incisi sul petto un’àncora, o un cuore trafitto o un nome di donna.

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Indice

Parte primaBahia di tutti i santi e del santone Jubiabá

L’incontro di pugilatoPrima infanziaVia Zumbi dos PalmaresMendicanteRagazzo negroLa Lanterna dos AfogadosLa MacumbaPugilatoreIl portoUn triste ritornello viene dal mare«Ojù ànun fó ti ikà, li okù»

Parte secondaDiario di un negro in fuga

Sul mareDolce profumo di tabaccoManiLa vegliaLa fugaIl trenoIl circo

Parte terzaABC di Antonio Balduino

InvernoIl locale dei negriLa romanza della Nave CatarinetaLa cattiva sorteLe gruPrimo giorno di scioperoPrima notte di scioperoSecondo giorno di scioperoSeconda notte di scioperoHans, il marinaioABC di Antonio Balduino

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Finito di stampare il 10 gennaio 1976per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a.

presso le Officine Fotolitografiche s. p. a., Casarile (Milano)