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IL DOTTORATO DI RICERCA IN PEDAGOGIA SPERIMENTALE
INDICE
Venti anni
di Pedagogia Sperimentale
TULLIO GREGORY
Introduzione
PIETRO LUCISANO
Istituzione e sviluppo del Dottorato di
ricerca in Pedagogia sperimentale
Il Collegio dei docenti
Relazione al termine del primo triennio
ALDO VISALBERGHI
I Dottori di ricerca e le tesi di dottorato
Catalogo delle tesi di dottorato di ricerca
Venti anni di Pedagogia sperimentale
Raramente nella nostra Repubblica le riforme delle strutture scolastiche hanno realizzato
programmi educativi culturalmente motivati e didatticamente coerenti: sola eccezione, forse,
l'istituzione della scuola dell'obbligo, rispondendo a una prospettiva di crescita della nazione, anche
se fu attuata non senza incertezze e condizionamenti. Poi ha prevalso non tanto lo scontro
ideologico(sempre molto astratto, quando c'è stato, anche in regime democristiano), quanto
piuttosto la riduzione del problema scolastico in termini piattamente sindacali e aziendalistici, con
la preoccupazione di sistemare in ruolo, più o meno automaticamente, i cosiddetti precari - dalle
elementari all'università - con una progressiva eliminazione di ogni serio criterio selettivo nel
curriculo scolastico (scambiando la scuola di tutti con la scuola che promuove tutti) e affrontando
solo problemi occasionalmente emergenti. Alla mancanza di prospettive coerenti si è sempre
accompagnata l'assoluta carenza di processi di valutazione e di verifica dei metodi di insegnamento
e delle poche, episodiche, frammentarie riforme messe in atto (non vi è stata verifica neppure per le
classi cosiddette sperimentali). Non è dunque un caso se solo negli anni ottanta - per iniziativa di un
manipolo di pedagogisti più attenti alle esperienze internazionali -si è cominciato a promuovere un
dottorato in Pedagogia sperimentale orientato alla formazione di insegnanti e operatori scolastici
capaci di sottoporre a controllo critico i curricoli e le strutture didattiche de lnostro Paese. Ed è
anzitutto merito di Maria Corda Costa e Aldo Visalberghi essersi impegnati nella realizzazione di
questo dottorato chiamando a collaborare studiosi giovani e meno giovani; mentre è assai
significativo che il CUN abbia respintola proposta di intitolare il dottorato "Ricerca educativa
sperimentale"e abbia imposto il più generico titolo"Pedagogia sperimentale" così da perdere, notava
Visalberghi, la "peculiarità del dottorato anche per quanto riguarda il reclutamento, che nelle
intenzioni dei proponenti e al fine di svecchiare la situazione del Paese, avrebbe dovuto attrarre
anche laureati in materie diverse da quelle tradizionalmente 'pedagogiche' (soprattutto in statistica,
in economia, sociologia, antropologia e naturalmente psicologia)". Fortunatamente, malgrado la
nuova intitolazione,alle ricerche e ai seminari hanno partecipato specialisti di varia estrazione, non
solo in scienze dell'educazione, ma in psicologia, storia, sociologia ecc. Dei risultati dei primi 18
anni del dottorato si dà qui un rapido e preciso resoconto con il sunto degli elaborati dei
partecipanti, alcuni dei quali nel frattempo divenuti docenti. Emergono dati assai significativi e
verificati con precise metodologie sperimentali, spesso a conferma di più generiche consapevolezze.
Peraltro alcuni risultati, emersi da ricerche in specifici ambiti disciplinari, assumono subito valore
più generale: così ad esempio le considerazioni conclusive delle varie ricerche sull'insegnamento
della storia mettono in evidenza come sia determinante, nello sviluppo dei processi formativi non
tanto l'estrazione sociale e il contesto familiare dell'alunno, quanto il "gruppo-classe" e quindi
l’ambiente scolastico, la formazione e la motivazione degli insegnanti, gli strumenti didattici
utilizzati. Altre ricerche hanno messo in luce i limiti gravi di contro alle grandi possibilità delle
strutture delle scuole dell'infanzia, gli asili, con forti squilibri regionali: qui l'arretratezza è anche in
rapporto al troppo recente e scarso - impegno dello Stato e degli Enti Locali e alla non adeguata
preparazione degli insegnanti quanto a capacità di promuovere atteggiamenti e metodologie atte a
sviluppare precise competenze cognitive nei piccoli. Un gruppo significativo di ricerche è
impegnato a verificare l'incidenza dell'insegnamento di varie discipline, dalle matematiche alla
storia - nello sviluppo delle dinamiche di apprendimento; altre hanno messo in luce i problemi
dello sviluppo del pensiero critico come attività intellettuale specifica, non senza connessione con
lo sviluppo delle capacità argomentative e con processi e metodologie più tradizionali: come il
riassumere, qui prospettato non nel senso di un'attività riproduttiva, ma come abilità complessa che
consente di agire criticamente sul testo, interpretandolo. Da molte ricerche emerge insistente come
l'efficacia dei processi didattici sia strettamente connessa alla formazione degli insegnanti: in questa
prospettiva vanno segnalati gli esiti -non banali - di una ricerca sull'insegnamento delle lingue
straniere nelle elementari ove i risultati migliori quanto alla capacità di ascolto degli alunni si
realizzano nei gruppi di insegnanti "accentratori”, cioè meno comunicativi. Importanti ricerche sui
contesti in cui si svolgono, o sì dovrebbero svolgere, processi formativi più complessi; qui il
problema dell'uso delle biblioteche scolastiche: anche quando esistono, non sono quasi mai
integrate nella didattica, non solo per l'inadeguatezza delle strutture ma per la mancanza di una
formazione dei docenti orientata a stimolare attività legate all'uso delle fonti primarie. Di fatto
marginali restano anche le tecnologie informatiche. Con le biblioteche scolastiche, i musei presenti
sul territorio:i rapporti scuola/musei sono inesistenti o del tutto inadeguati, mancando la
consapevolezza della possibile incidenza degli oggetti musealizzati nei processi cognitivi e
formativi; di qui il carattere sempre superficiale della visita scolastica ai musei (peraltro
episodicamente praticata), senza alcuna integrazione con la didattica, salvo rari casi
nell'insegnamento della storia dell'arte nelle scuole superiori, che tuttavia –per la sua specifica
finalità – lascia fuori il complesso delle varie testimonianze culturali presenti nei musei che
potrebbero ben altrimenti arricchire e stimolare la formazione degli allievi. Gli esempi potrebbero
continuare, posta la ricchezza e l'articolazione delle ricerche svolte nel corso di quasi un ventennio:
qui si voleva solo sottolineare l'importanza di una metodologia rigorosa nelle ricerche sui processi
formativi come strumento di verifica e come presupposto di ogni serio intervento nel dibattito e
nelle proposte di riforma.
Tullio Gregory
Introduzione.
Ho vissuto la maggior parte della storia di questo dottorato fuori dalla porta dell’auletta del
seminario di Scienze dell'educazione a Villa Mirafioril dove si tenevano le riunioni ufficiali.
Quando il dottorato si insediò, su iniziativa di Aldo Visalberghi e di Maria Corda Costa, io ero da
poco entrato come ricercatore, e all'epoca i ricercatori non erano ammessi nel collegio docenti. Era
un "fuori dalla porta" ovviamente relativo, infatti nelle stanze del terzo piano di villa Mirafiori si
respirava ovunque il clima del dottorato. Un clima di confronto e di ricerca, talvolta duro, segnato
da forti dibattiti metodologici all'interno del gruppo dei docenti, che coinvolgevano e talvolta
travolgevano i dottorandi, ma che avevano come denominatore comune una costante richiesta di
atteggiamento scientifico. Il nostro dottorato è stato una grande scuola. Ora, una scuola è grande
certamente in primo luogo per il merito dei discenti. Sono loro a interpretare le indicazioni dei
docenti, a costruire la ricerca: è la loro passione, la loro dedizione, la loro creatività. E dunque
questa pubblicazione vuole, in primo luogo, rendere merito al lavoro di studio che essi hanno svolto
in quegli anni e al lavoro di ricerca e di insegnamento che hanno portato avanti, testimoniando così
che una buona scuola può essere feconda. Il nostro è stato fino allo scorso anno in Italia l'unico
dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale. Se mi fosse chiesto dì sintetizzare l'attività di questi
anni, che viene presentata in questo fascicolo attraverso le sintesi dei lavori realizzati, direi che la
matrice comune è stata quella di dare un impianto scientifico allo studio dei processi educativi. In
un mondo in cui le decisioni educative vengono assunte spesso sulla base della tradizione, delle
ideologie politiche e religiose -a volte, come accade divedere di recente, all'interno di salotti
incompetenti; travolti da questa o quella moda "culturale" - il nostro dottorato è stato un costante
richiamo alla necessità di costruire teorie consistenti e di verificarle alla luce dell'esperienza, della
ricerca empirica e sperimentale e di dati concreti e attendibili. Questo metodo è stato al tempo
stesso strumento di ricerca e modello di deontologia professionale. Si scrive di ciò che si conosce, si
generalizza poco e solo sulla base di evidenze. Si lavora molto e si scrive poco. L’atteggiamento
scientifico era poi manifesto nella provenienza stessa dei docenti, una comunità scientifica laica,
alla quale partecipavano con lo stesso entusiasmo studiosi con provenienze culturali e ideologiche
diverse, marxisisti, cattolici, liberalsocialisti. Mi soffermo su questo aspetto perché rimane rilevante
in una comunità pedagogica che ancora si divide per appartenenze che nulla hanno a che vedere con
la ricerca e con la scienza. Una tematica ugualmente presente in tutti i lavori è stata quella della
valutazione dei processi e dei prodotti dell'attività educativa, con la consapevolezza della
complessità e al tempo stesso della irrinunciabilità di questo compito. Non sono mancati momenti
di forte dibattito; tra questi vorrei ricordare la questione relativa ai rapporti tra indagini quantitative
e qualitative, che ha visto i docenti confrontarsi nella sede del dottorato e in numerosi pubblicazioni
ospitate nelle pagine della prestigiosa rivista Scuola e Città. Questo stile è certamente frutto della
qualità e dell’impegno dei docenti che in questi anni si sono avvicendati nella conduzione del
lavoro. Una buona scuola deve avere grandi maestri. È difficile rendere merito in poche righe al
prestigio scientifico dei docenti di questo dottorato: il loro contributo è noto agli studiosi, agli
insegnanti e a tutti coloro che hanno seguito il dibattito sulla scuola nel nostro paese e a livello
internazionale. Forse è sufficiente ricordare che in tutte le grandi ricerche a carattere internazionale
sui problemi di valutazione della scuola c'è stata la presenza scientifica di componenti del nostro
collegio docenti. Forse merita ancora ricordare il contributo che è venuto da questo gruppo
all'evoluzione della stessa connotazione accademica della Pedagogia, con il passaggio dalla laurea
tradizionale a quella in Scienze dell'educazione e della formazione. A questo proposito, non
potendo citare tutti, vorrei ricordare Mario Gattullo. Un maestro è una persona che sa pensare in
grande, ma che poi è attenta ai dettagli, alle sfumature. Un maestro è una persona che vive la sua
competenza come servizio. Ricordo Mario Gattulio che leggeva e commentava, rigo per rigo, i
progress report dei dottorandi e al tempo stesso lavorava perché la comunità dei pedagogisti potesse
crescere per essere all'altezza del ruolo scientifico e sociale che avrebbe dovuto assolvere. Ricordo
la sua pignoleria e il suo senso del limite, il suo impegno e il suo sense of humour. In un momento
di transizione come quello che stiamo attraversando è utile guardarsi alle spalle e vedere il lungo
cammino che è stato realizzato. È utile perché il rischio, in pedagogia come in politica, è quello di
non capitalizzare le esperienze, di non costruire: chi non ha passato non può costruire e non può
educare. Il lavoro che abbiamo alle spalle è un impegno per noi tutti, per noi che oggi continuiamo
il lavoro del dottorato di ricerca, ma anche per la comunità virtuale di quanti docenti, dottori di
ricerca e spesso ormai professori e ricercatori affermati - continuano in sedi diverse e con percorsi
diversi lo stesso cammino.
Pietro Lucisano
ISTITUZIONE E SVILUPPO DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PEDAGOGIA SPERIMENTALE
I corsi di dottorato di ricerca sono stati istituiti con il DPR 11 luglio 1980, n. 382, art. 68 e
seguenti, che ha regolato sia l’organizzazione del dottorato sia l’attribuzione delle borse di studio1.
Con il successivo decreto ministeriale 15 giugno 1982, il Ministero della Pubblica Istruzione ha
istituito complessivamente 2.100 posti per la frequenza al primo ciclo dei corsi di dottorato,
distribuiti tra le diverse discipline2.
Una analisi del modello al quale si richiama l’organizzazione del dottorato di ricerca nella
normativa e nella esperienza italiana è stata condotta dall’Osservatorio per la valutazione del
sistema universitario del MURST e pubblicata come parte integrante del Parere sullo Schema di
“Regolamento in materia di dottorato di ricerca” predisposto in data 8 ottobre 1998
(<www.murst.it/osservatorio/oss-1398.htm>, ultima consultazione 19 giugno 2001). Nella relazione
si afferma: “Nel panorama internazionale, con riguardo ai modelli prevalenti nell’organizzazione
del dottorato di ricerca, si può affermare che sono sostanzialmente due:
1. il primo è quello di un corso di studio nel quale, almeno nel primo anno, l’attività maggiore del
dottorando consiste nel seguire corsi di lezioni e/o seminari strutturati;
2. il secondo non prevede invece corsi di lezioni di alcun tipo e il dottorando si limita a svolgere
attività di ricerca.
È chiaro che obiettivi formativi, modalità organizzative e requisiti di idoneità delle sedi sono
assai diversi nei due casi. Nel primo modello, infatti, un corso di dottorato richiede un numero
consistente di partecipanti, mentre il secondo modello è compatibile anche con un solo partecipante.
La legge 382/80, pur non avendo operato una scelta esplicita tra i due modelli, sembra orientarsi
verso il primo modello” (ivi, p. 1).
Il Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale nasce, presso la Facoltà di Lettere e filosofia
dell’Università degli Studi di Roma, con una decisa valenza formativa e con un programma
scientifico che prevede la specificazione di due distinti curricula: l’indirizzo di sperimentazione
didattica e quello di rilevazione su grandi campioni, entrambi con una durata di tre anni. Il settore
disciplinare di riferimento è quello di Lettere, Lingue e Magistero.
Non è agevole ricostruire l’iter normativo del corso di dottorato: i primi bandi sono stati
pubblicati con criteri di volta in volta diversi – il concorso è indetto talvolta dal Ministero, su base
nazionale, talvolta direttamente dai rettori di un gruppo di Università – e non sempre comprendono
informazioni quali quelle relative alle sedi consorziate. Frequenti sono le omissioni, che richiedono
1 Gli articoli che regolavano l’attribuzione delle borse sono stati sostituiti dalle legge 291/89 (salvo il comma quattro
dell’art. 79), che ha semplificato le procedure. 2 Si segnalano di seguito i provvedimenti con i quali sono stati indetti i bandi di concorso per i successivi cicli di
dottorato:
ciclo amministrazione data di pubblicazione n° posti durata in anni
II Pubblica Istruzione 11 marzo 1985 3 3
III “ 23 giugno 1986 6 3
IV “ 2 febbraio 1988 4 4
V “ 30 maggio 1989 3 4
VI MURST 15 giugno 1990 3 4
VII “ 10 maggio 1991 3 4
VIII “ 28 aprile 1992 3 4
IX “ 29 giugno 1993 3 4
X “ 19 luglio 1994 3 4
XI “ 28 luglio 1995 3 4
XII “ 6 agosto 1996 2 4
XIV “ 17 luglio 1998 1 4
XVI Univ. “La Sapienza” 16 giugno 2000 3 3
XVII “ 16 maggio 2001 3 3
l’emanazione di provvedimenti integrativi. A partire dal 1988 si possono rilevare indizi di una
“normalizzazione” delle procedure: nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale, Serie
concorsi, insieme al bando di concorso vengono pubblicate per la prima volta le modalità di
partecipazione, il fac-simile della domanda di ammissione e gli indirizzi delle sedi amministrative
delle università interessate.
Il quinto ciclo di dottorato viene ancora indetto, nel maggio 1989, dal Ministero della Pubblica
Istruzione. Tuttavia nel giugno 1989, con un decreto del neo Ministero dell’Università e della
Ricerca scientifica a firma di Ruberti, vengono riaperti i termini per il concorso, “per non arrecare
pregiudizio agli studenti che conseguiranno la laurea nella sessione estiva dell’anno accademico in
corso”.
A partire dal quarto ciclo, la durata del Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale passa da
tre a quattro anni, accogliendo così la proposta formulata dal collegio docenti che, già in occasione
del primo ciclo, aveva segnalato l’esigenza di disporre, per la ricerca pedagogica empirica, di cicli
più che triennali, soprattutto in considerazione del difficile raccordo tra le fasi della ricerca e il
ritmo delle attività scolastiche nelle quali la ricerca si inserisce (vedi la Relazione al termine del
primo triennio di Aldo Visalberghi, riportata in questo stesso volume).
Sempre a partire dal quarto ciclo vengono indicate nel bando di concorso le sedi consorziate:
Bologna Palermo, Parma e Pavia. Dal quinto ciclo in poi le sedi consorziate saranno le Università di
Bologna, Palermo, Pavia e Trieste.
A partire dall’anno accademico 1999/2000 (XV ciclo) i dottorati di ricerca sono stati istituiti e
banditi dalle università e dagli istituti universitari nella loro piena autonomia organizzativa,
didattica e scientifica, sulla base della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 210 del 3 luglio
1998, in conformità al regolamento in materia di dottorato di ricerca (DM 30 aprile 1999, n. 224,
pubblicato nella G. U. n. 162 del 13 luglio 1999).
L’emanazione della legge n. 210/1998, relativa alle Norme per il reclutamento dei ricercatori e
dei professori universitari di ruolo, ha sollecitato una esplicita riflessione sugli obiettivi che
l’università si propone con l’istituzione del dottorato di ricerca. Il Consiglio Universitario
Nazionale, in un parere espresso nel settembre 1998, ha sottolineato il significato scientifico che
riveste, per un’istituzione universitaria, l’attivazione di un corso di dottorato in “un quadro di
riferimento unitario del sistema di formazione alla ricerca” ed ha auspicato che siano previsti, ove
possibile, percorsi formativi che consentano l’utilizzazione dei dottori di ricerca “sia nel mondo
accademico sia nella ricerca avanzata del mondo economico-produttivo”
(<www.murst.it/cun/pareri/98.09-18-dottorato.html>, ultima consultazione 19 giugno 2001). Il
modello di un corso di studio che prevede un ampio spazio per l’attività formativa, con l’attivazione
di lezioni e di cicli seminariali, è decisamente ribadito dalla legge n. 210/1998, coerentemente con
l’obiettivo dichiarato di “ampliare a tutti i settori della ricerca, siano essi pubblici o privati, la
valenza della formazione data dai corsi di dottorato, non limitandola alla preparazione del personale
ricercatore universitario” (MURST, Parere sullo Schema di “Regolamento in materia di dottorato di
ricerca”, cit.).
La percezione dell’esigenza non soltanto di ampliare e sviluppare il settore disciplinare specifico,
ma anche di rispondere con immediatezza alle sollecitazioni provenienti in primo luogo, ma non
esclusivamente, dal mondo della scuola è stata alla base della decisione di limitare nuovamente, a
partire dal XVI ciclo, la durata del Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale a tre anni.
IL COLLEGIO DEI DOCENTI
Il Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale è nato dall’iniziativa e dalla collaborazione di
un gruppo di docenti interessati al settore della ricerca empirica e sperimentale in campo
educativo. L’eterogeneità degli apporti scientifici e disciplinari confluiti nel gruppo di lavoro ha
caratterizzato l’impostazione interdisciplinare del corso di dottorato, assicurando la presenza di
precise competenze in tutti i settori connessi sia al campo della sperimentazione didattica sia a
quello delle rilevazioni su grandi campioni.
Il gruppo iniziale, che si è costituito con il coordinamento di Aldo Visalberghi, era inoltre
composto da Egle Becchi, Luigi Calonghi, Maria Corda Costa, Mario Gattullo, Mauro Laeng, Lucia
Lumbelli, Roberto Maragliano, Clotilde Pontecorvo, Nicola Siciliani de Cumis, Lydia Tornatore,
Benedetto Vertecchi, Alberto Zuliani.
La composizione del Collegi docenti è variata nel corso degli anni, a seguito dell’articolarsi degli
impegni di lavoro dei diversi membri e di un naturale processo di avvicendamento. È stato così
possibile avvalersi successivamente della collaborazione di Giovanni Cacioppo, Vittorio Capecchi,
Enzo Lombardo, Carlo Pancera, Franco Vaccina, Maria Serena Veggetti, ai quali, in tempi più
recenti, si sono aggiunti Guido Benvenuto, Giuseppe Boncori, Maria Lucia Giovannini, Pietro
Lucisano, Lucio Pagnoncelli, Furio Pesci.
È tuttavia rimasta sempre presente, nel corso degli anni, la consapevolezza che l’attuazione di un
corso di dottorato non implicava soltanto la presenza di docenti esperti nel settore specifico del
dottorato, ma anche l’attivazione di lezioni e cicli seminariali diretti sia ad approfondire materie
di base non adeguatamente trattate nei corsi di laurea sia a particolari aspetti dell’elaborazione
teorica e della ricerca in campo educativo.
In questo spirito di formazione e di aggiornamento, e nell’intento di favorire una interazione fra
ricerche nazionali e internazionali, agli incontri periodici del corso di dottorato – tenuti almeno
tre volte nel corso di ogni anno - sono stati invitati quali relatori anche docenti non appartenenti
al Collegio, che hanno contribuito con i loro interventi allo sviluppo di tematiche trasversali o di
materie specifiche. Sono stati ospiti del dottorato: Girolamo Arnaldi, Lucija V. Betsfai
Davydova, Andrej V. Brushlinskij, Alberto Cirese, Pietro Clemente, Vassilij V. Davydov, Marta
Fattori, Emilia Ferreiro, Torsten Husén, Valeri S. Lazaref, Riccardo Luccio, Nikolai D.
Nikandrov, Carl Ratner, Gennaro Sasso, Antonio Schizzerotto, Alberto Sobrero, Vittorio
Somenzi, Gastone Tassinari, Franco Zambelli.
I risultati che il Dottorato di ricerca in Pedagogia sperimentale ha ottenuto nei suoi diciotto anni
di attività confermano la validità dell’impostazione adottata dal Collegio dei docenti. La
formazione di personale specializzato nel settore educativo – professori ordinari di materie
pedagogiche nell’università e quadri della ricerca pedagogica in istituzioni nazionali e
internazionali – e la produzione di un numero rilevante di ricerche a stampa, riguardanti sia
argomenti formativi e pedagogici di area generale sia indagini didattiche e su grandi campioni,
testimoniano l’impegno del lavoro svolto a livello accademico, nell’ambito del sistema
formativo nazionale, nel contesto delle politiche attive per il lavoro e la società.
Si riporta il testo integrale della relazione che il Prof. Aldo Visalberghi, in qualità di
Coordinatore del Collegio docenti, ha redatto al termine del primo triennio di attività del
Dottorato di ricerca consortile in Pedagogia sperimentale. Il documento riveste un particolare
interesse sia perché sottolinea la forte carica innovativa dell’istituzione di un dottorato nel settore
della ricerca educativa, sia perché esprime, in termini ancora attuali, le dinamiche, le tensioni e le
difficoltà che questa esperienza ha presentato a partire dal suo primo ciclo di attività.
Prof. Aldo Visalberghi, Coordinatore del Dottorato di ricerca consortile in Pedagogia con
indirizzi “rilevazioni su grandi campioni” e “sperimentazione didattica”
Relazione al termine del primo triennio
Premessa
La ricerca pedagogica operata con metodologia rigorosa e tecniche affinate, vale a dire sulla base
di disegni sperimentali precisi e con l'utilizzazione di strumenti di verifica attendibili, non ha nel
nostro paese diffusione adeguata, paragonabile a quella raggiunta in altri settori delle scienze umane
e sociali.
Perciò un gruppo di docenti di materie pedagogiche di varie università, di cui il nucleo più
consistente apparteneva all'Università di Roma “La Sapienza”, ha proposto l'istituzione di un
dottorato di ricerca di "pedagogia sperimentale" cui collaborassero tutte o quasi le competenze di
maggior rilievo presenti nel paese in differenti sedi universitarie. A tal fine, nell'aprile-maggio ‘81,
quattordici docenti di cui quattro della prima Università di Roma e gli altri delle università di
Torino, Pavia, Parma, Ferrara, Bologna, Firenze, Salerno, Lecce e Palermo chiesero ai rispettivi
Rettori e al Ministero della Pubblica Istruzione l'istituzione di un dottorato consortile di ricerca
pedagogica. Nel successivo iter della pratica Torino e Salerno recedettero per ragioni diverse, e il
consorzio fu costituito con l'adesione formale delle Università di Roma (Facoltà di Lettere e
filosofia, Magistero ed Economia e Commercio), Pavia (Lettere e filosofia), Ferrara (Magistero),
Parma (Magistero), Bologna (Magistero), Firenze (Magistero), Lecce (Lettere e filosofia), Palermo
(Magistero, Economia e Commercio) e del Centro Europeo dell'Educazione (con sede a Villa
Falconieri, Frascati), istituzione particolarmente impegnata nelle rilevazioni su grandi campioni.
Ma su parere del CUN, all'atto dell'approvazione, la denominazione fu mutata da Ricerca
educativa sperimentale in Pedagogia, rimanendo ferma quella dei due indirizzi. Tale cambiamento
nuoce alla peculiarità del dottorato anche per quanto riguarda il reclutamento, che nelle intenzioni
dei proponenti ed ai fini di svecchiare la situazione del paese, avrebbe dovuto attrarre anche laureati
in materie diverse da quelle tradizionalmente “pedagogiche” (soprattutto in statistica, economia,
sociologia, antropologia, e naturalmente psicologia).
Inoltre la leggina "agostana" del 1964. che riduceva a cinque il numero massimo di sedi
universitarie consorziabili, obbligò il Collegio dei docenti a ridurre, per i cicli successivi al primo,
la partecipazione formale al dottorato alla sola sede amministrativa di Roma e al CEDE di Frascati:
non c'era infatti ragione di escludere alcuni atenei piuttosto che altri (in seguito, come si dirà più
avanti, matureranno condizioni per una ricostituzione del consorzio entro i limiti fissati dalla legge
suddetta).
Mentre il primo ciclo proseguiva su base consortile, il Collegio dei docenti veniva comunque
mantenuto nella sua costituzione originaria, essendo ciò consentito da altra norma contenuta nella
legge citata.
Attuazione del primo ciclo
Nonostante tali difficoltà e la riduzione del finanziamento complessivo dovute a questa e ad altre
circostanze, il primo ciclo si è svolto regolarmente, a partire dall'anno accademico 1983-84. Il
concorso di ammissione per quattro posti con borsa di studio e sei posti per professori secondari o
ricercatori in pubblici enti di ricerca aveva ammesso al corso triennale nove candidati, quattro dei
quali con fruizione dell'assegno, gli altri cinque docenti di scuole secondarie superiori.
In incontri informali fra i dottorandi e docenti erano andati profilandosi i singoli temi di ricerca
poi precisati e definiti formalmente il 14 febbraio, in una riunione nella quale vennero altresì
assegnati a ciascun dottorando due docenti con funzione tutoriale in quanto particolarmente
competenti nel settore di ricerca prescelto dal candidato. Sono riportati in appendice sia l'elenco di
tali temi, nella loro formulazione definitiva, con indicazione dei "tutori" assegnati a ciascun
dottorando, sia l'elenco dei componenti il Collegio dei docenti quale risultava all'inizio del ciclo,
con indicazione delle modifiche successivamente intervenute.
Il lavoro è proceduto mediante cicli seminariali cui hanno partecipato di norma tutti i dottorandi
e gran parte dei docenti che si alternavano nel trattare argomenti delle materie previste (di cui è dato
altresì l'elenco in appendice), e soprattutto nel riferire di ricerche rilevanti da loro condotte e
sottomettere poi a discussione le procedure seguite e i risultati raggiunti. Tali cicli seminariali,
normalmente della durata di 3-4 giorni in cui si è lavorato mattina e pomeriggio, sono stati
complessivamente 14, di cui 12 si sono svolti a Roma, uno a Bologna ed uno a Pavia.
Sono stati chiamati a collaborare con relazioni su temi specifici anche docenti o esperti esterni al
collegio. e precisamente i sociologi Chiara Saraceno (Trento), Alessandro Cavalli (Pavia), Luigi
Schizzerotto (Trento), Vittorio Capecchi (Bologna), i filosofi Gennaro Sasso e Vittorio Somenzi
(Roma), gli psicologi Cesare Musatti (Milano) e Laura Benigni (CNR Roma), l'antropologo Alberto
Cirese (Roma) e lo storico Girolamo Arnaldi (Roma).
Tali collaborazioni sono state richieste ai fini di ampliare il più possibile sia la problematica
metodologica sia il quadro di riferimento storico-concettuale. onde arricchire criticamente gli
itinerari formativi percorsi dai candidati ed evitare chiusure iper-specialistiche. Gli aspetti specifici
dei loro progetti di ricerca sono stati curati. oltre che in larga parte dei seminari curati dai docenti
interni, più in particolare tramite sistematici contatti con i tutori e tramite viaggi di studio in Italia e
all'estero presso istituzioni specializzate, o conferenze internazionali specificamente dedicate ai
rispettivi settori d'indagine. Il CEDE ha provveduto su propri stanziamenti ai viaggi di studio dei
due dottorandi dell'indirizzo “rilevazioni su grandi campioni” (Bolletta e Mayer, docenti di Scuola
Secondaria Superiore in posizione di comando presso lo stesso CEDE) in Australia e Nuova
Zelanda oltre che in paesi Europei.
Nel corso di ciascun anno accademico uno o due seminari sono stati in tutto o in parte dedicati ai
progress report dei dottorandi, con la partecipazione continuata, oltre che dei tutori, di buona parte
del Collegio dei docenti. Ciò ha permesso approfondimenti critici e aperture operative ulteriori
spesso molto interessanti.
La varietà dei temi di ricerca affrontati e la conseguente diversità nelle impostazioni
metodologiche non hanno impedito, anzi in un certo senso hanno favorito lo svolgersi di un
discorso epistemologicamente unitario ed organico fra docenti e discenti. I dottorandi hanno
lavorato intensamente, e il Collegio dei docenti non si è mai neppure prospettata la possibilità di
proporre l'esclusione di qualcuno di essi dal proseguimento del corso, come pure la legge prevede si
possa fare. L'impegno dei docenti, molti dei quali dovettero compiere numerose trasferte, è stato
costante e spesso assai superiore allo strettamente necessario.
Problemi emersi
Nonostante il lavoro intenso di docenti e discenti, sembra che la ricerca pedagogica empirica
esiga cicli più che triennali: tutti i candidati, infatti, salvo uno, sembra debbano optare per la
seconda sessione della prova finale. La ragione principale sta nel necessario raccordo fra fasi della
ricerca e ritmo delle normali attività scolastiche in cui la ricerca si inserisce. Si creano
inevitabilmente discrasie e tempi morti. Perciò il Collegio dei docenti ha deciso di richiedere che i
cicli di formazione abbiano in futuro durata quadriennale anziché triennale. Di qui anche la
decisione di far iniziare il secondo ciclo con l’anno accademico 1986-87, giacché altrimenti la sua
durata reale sarebbe stata di due anni e tre mesi.
Il Collegio dei docenti, nelle quattordici riunioni effettuate nel triennio, ha dovuto affrontare,
oltre ai problemi di organizzazione didattica in genere felicemente risolti, anche molti problemi di
natura giuridico-strutturale. Già si è accennato a quello del consorzio, cui si è dovuto rinunciare e
che si intenderebbe ricostituire.
Altro problema riemergente di continuo, e solo parzialmente risolto grazie all'impegno
costruttivo del Rettorato della sede amministrativa, è quello delle trasferte dei docenti e soprattutto
degli studenti, per i quali si creano grosse discriminazioni a seconda sede abituale. Ma i
finanziamenti in pratica decrescenti renderanno il problema più grave in futuro.
L'esclusione, ora statuita, della possibilità di lavorare in enti pubblici e insieme studiare per il
dottorato di ricerca, è particolarmente dannosa nel settore dei dottorati in Pedagogia, e il problema,
a parere del Collegio dei docenti, andrebbe riconsiderato anche tenendo conto che la diversa
regolamentazione valida per il primo ciclo ha dato, almeno nel caso di questo dottorato, buoni
risultati.
L'esclusione di qualunque compenso per le attività didattiche svolte dai componenti il Collegio
dei docenti porta bensì il vantaggio che vi si impegnino solo coloro che sono profondamente
motivati, ma sembra penalizzarli eccessivamente a causa del molto tempo che è risultato necessario
dedicare, oltre che alle attività didattiche vere e proprie, alle riunioni, alle discussioni, alle attività di
tutorato.
Ma il punto che ha più spesso suscitato unanimi dissensi da parte del Collegio dei docenti
riguarda le modalità della discussione conclusiva della dissertazione. Tali modalità sono assai più
simili a quelle della vecchia libera docenza che alla prassi dei dottorati seguita negli altri paesi.
Manca il relatore e il controrelatore (che potrebbero essere i “tutori” stessi, ove tale figura venisse
generalizzata). C’è scarsa garanzia che nella commissione giudicatrice risultino davvero presenti
tutte le competenze indispensabili. Il Collegio dei docenti deve egualmente conoscere le
dissertazioni finali ed esprimere su di esse un giudizio preliminare, ciò che comporta difficoltà
notevoli di consegna anticipata degli elaborati rispetto ai termini ufficiali, e di loro costosa e
affannosa duplicazione in dieci, quindici esemplari almeno.
È voto unanime del Collegio dei docenti che il giudizio finale per il conseguimento del dottorato
di ricerca si effettui con modalità più simili a quelle seguite negli altri paesi e cioè ad opera delle
stesse università, sia pure integrando le commissioni di dottorato nominate dal Rettore o dai Rettori
con docenti nominati direttamente dal CUN.
Va infine precisato, circa i finanziamenti ai quali si è già più volte accennato, che sulla cifra
richiesta, complessiva di L. 130.000.000, il Dottorato ha avuto assegnate le somme di:
a) L. 10.000.000 per il 1° anno;
b) L. 14.687.000 per il 2° anno;
c) L. 7.930.000 per il 3° anno.
Le altre università consorziate hanno stanziato scarsi fondi, utilizzati per le trasferte dei docenti,
e non hanno rinnovato gli stanziamenti dopo lo scioglimento del consorzio. Di qui un finanziamento
complessivo decrescente, che crea ovviamente difficoltà crescenti e che potrebbe mettere in crisi
l'istituzione: vengono infatti sacrificati anzitutto i viaggi di studio ed anche il materiale di consumo
(testi, unità didattiche ecc.) che è indispensabile nelle ricerche di pedagogia sperimentale.
APPENDICE 1
Dottorato di ricerca in Pedagogia, consortile, con sede amministrativa in Roma
(indirizzi: Rilevazione su grandi campioni e Sperimentazione didattica)
Elenco dei dottorandi del primo ciclo, con indicazione dei temi di ricerca e dei “tutori” loro
1. DANTE ANSALONI “Insegnare la ricerca storica: ipotesi di lavoro e loro verifica
empirica nella scuola secondaria superiore”.
(tutori Becchi – Pancera)
2. RAIMONDO BOLLETTA “Il rendimento in matematica alla fine della scuola
dell’obbligo: costruzione e validazione di un test oggettivo
per l’accertamento finale e la diagnosi d’ingresso agli studi
successivi”.
(tutori Gattullo – Visalberghi)
3. GIUSEPPE BONCORI “Lo sviluppo del pensiero critico nell’ambito della scuola
media: esame della letteratura e verifica sperimentale di
interventi didattici”.
(tutori Calonghi – Laeng)
4. BRUNO LOSITO “La formazione degli insegnanti e degli operatori socio-
educativi: indagini sulle sperimentazioni in atto a livello
secondario”.
(tutori Calonghi – Laeng)
5. MICHELINA MAYER “Conoscenza scientifica e conoscenza di senso comune:
analisi dell’incidenza di fattori scolastici ed extra-scolastici
sull’apprendimento della fisica”.
(tutori Visalberghi – Vertecchi)
6. SAUL MEGHNAGI “Innovazione tecnologica e formazione post-obbligatoria:
uno studio di casi aziendali”.
(tutori Corda Costa – Cacioppo)
7. MARGHERITA ORSOLINI “Conversare, narrare, comprendere: una ricerca sperimentale
nella scuola dell’infanzia”.
(tutori Corda Costa – Pontecorvo; collabora anche Lumbelli)
8. ELENA PICCHI PIAZZA “L’educazione al conoscere storico nella scuola
dell’adolescente. Sperimentazione di una unità didattica in
classi liceali”.
(tutori Corda Costa – Siciliani)
9. CRISTINA ZUCCHERMAGLIO “Alfabetizzazione e continuità educativa fra i 5 e i 7 anni:
una ricerca sperimentale sui processi di costruzione della
lingua scritta”.
(tutori Pontecorvo – Lumbelli)
APPENDICE 2
COMPOSIZIONE DEL COLLEGIO DEI DOCENTI
del Dottorato di ricerca consortile in Pedagogia con indirizzi “Rilevazioni sui grandi campioni” e
“Sperimentazione didattica” all’inizio dell’anno accademico 1983-84
Maria CORDA COSTA, Pedagogia, Facoltà Lettere e Filosofia, Università di ROMA
Aldo VISALBERGHI, Pedagogia, Facoltà Lettere e Filosofia, Università di ROMA
Mauro LAENG, Pedagogia, Magistero, Università di ROMA
Clotilde PONTECORVO, Istituzioni di pedagogia, Magistero, Università di ROMA
Alberto ZULIANI, Statistica, Facoltà Economia e Commercio, Università di ROMA
Egle BECCHI, , Pedagogia, Facoltà Lettere e Filosofia, Università di PAVIA
Lucia LUMBELLI, Pedagogia, Magistero, Università di PARMA
Benedetto VERTECCHI, , Pedagogia, Magistero, Università di FERRARA
Mario GATTULLO, Pedagogia, Magistero, Università di BOLOGNA
Lydia TORNATORE, Pedagogia, Magistero, Università di FIRENZE
Luigi CALONGHI, Pedagogia, Magistero, Università di SALERNO
Roberto MARAGLIANO, Pedagogia, Facoltà Lettere e Filosofia, Università di LECCE
Nicola SICILIANI de CUMIS, Pedagogia, Magistero, Università di PALERMO
VARIAZIONI SUCCESSIVE NELLA COMPOSIZIONE DEL COLLEGIO DEI DOCENTI
Il precedente elenco di docenti ha quindi avuto – nel corso del triennio – le seguenti modifiche:
1) Il prof. Alberto ZULIANI ha dovuto recedere dopo poche settimane, in quanto impegnato in
altro dottorato di ricerca;
2) i proff. Luigi CALONGHI, Roberto MARAGLIANO, Benedetto VERTECCHI e Nicola
SICILIANI de CUMIS hanno avuto il trasferimento dalle loro rispettive università a quella di
ROMA;
3) hanno aderito al Dottorato i proff. Carlo PANCERA (Pedagogia, Magistero, Università di
FERRARRA), Giovanni CACIOPPO (Pedagogia, Magistero, Università di PALERMO) e
Franco VACCINA (Statistica, Facoltà Economia e Commercio, Università di PALERMO).
I DOTTORI DI RICERCA E LE TESI DI DOTTORATO
II CICLO – A. A. 1983/84
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Dante Ansaloni Insegnare la ricerca storica: ipotesi di lavoro e loro
verifica empirica nella scuola secondaria superiore
Becchi
Pancero
Raimondo Bolletta Il rendimento in matematica alla fine della scuola
dell'obbligo: costruzione e validazione di un test
oggettivo per l'accertamento finale e la diagnosi
d'ingresso agli studi successivi
Gattullo
Visalberghi
Giuseppe Boncori Lo sviluppo del pensiero critico nell'ambito della scuola
media: esame della letteratura e verifica sperimentale di
interventi didattici
Calonghi
Laeng
Bruno Losito La formazione degli insegnanti e degli operatori socio-
educativi: indagine sulle sperimentazioni in atto a livello
secondario
Calonghi
Laeng
Michela Mayer Conoscenza scientifica e conoscenza di senso comune.
Analisi dell'incidenza di fattori scolastici ed
extrascolastici sull'apprendimento della fisca
Vertecchi
Visalberghi
Saul Meghnagi Innovazione tecnologica e formazione post-obbligatoria:
uno studio dei casi aziendali.
Cacioppo
Corda Costa
Margherita Orsolini Conversare, narrare, comprendere: una ricerca
sperimentale nella scuola dell’infanzia Corda Costa Pontecorvo
Elena Picchi Piazza L’educazione al conoscere storico nella scuola
dell'adolescenza: sperimentazione di unità didattiche in
classi liceali
Corda Costa Siciliani
Cristina
Zucchermaglio
Alfabetizzazione e continuità evolutiva fra i cinque e i
sette anni: una ricerca sperimentale sui processi di
costruzione della lingua scritta
Lumbelli
Pontecorvo
II CICLO – A. A. 1986/87
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Guido Benvenuto Il problema del "riassumere": dimensioni teoriche e
sperimentazioni didattiche
Lumbelli
Pontecorvo
III CICLO – A. A. 1987/88
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Monica Ferrari L'asilo nido in Italia: rilevazioni su scala nazionale e
valutazione di istituzioni specifiche
Becchi
Visalberghi
Emilio Lastrucci Insegnamento della storia e valutazione della competenza
storica
Corda Costa
Gattullo
Visalberghi
Raimonda Morani Scrivere storie e filastrocche, narrazione e versificazione
in bambini di scuola elementare
Pontecorvo
Tornatore
Anna Salerni La comprensione lessicale attraverso l'analisi dei
suggerimenti testuali Corda Costa Lumbelli
Donatella Savio Il gioco simbolico in ambito prescolare: analisi
dell'interazione tra adulto e gruppo infantile
Becchi
Pontecorvo
IV CICLO – A. A. 1988/89
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Donatella Cesareni Sistemi ipertestuali per l'acquisizione di conoscenze
scientifico-ambientali Laeng Pontecorvo
Paola Livraghi Imparare al nido: evaluation di un universo di asili nido e
proposta di itinerari guidati di apprendimento cognitivo Becchi Pontecorvo
Visalberghi
Gisella Paoletti Apprendere da testi nella scuola media superiore: l'effetto
delle modalità di riformulazione scritta Lumbelli Pontecorvo
Maria Teresa
Siniscalco
La comprensione dell'informazione televisiva di attualità
da parte di preadolescenti Corda Costa Lumbelli
V CICLO – A. A. 1889/90
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Furio Pesci Istituti di accoglienza per adolescenti e atteggiamenti
verso valori e disvalori
Cacioppo
Corda Costa
Alessandra Talamo Cooperare nella scuola elementare: atteggiamenti
magistrali ed esperienze sociodidattiche Becchi
Corda Costa
Pontecorvo
VI CICLO – A. A. 1990/91
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Costanza Bettoni Produttività dell'istruzione primaria
Capecchi
Corda Costa
Visalberghi
Ginetta Cavazzini Comprensione verbale ed educazione ambientale:
stimolazione dell'autocontrollo nelle inferenze
Lumbelli
Visalberghi
Antonio Gariboldi Fisionomie di pedagogia latente nella scuola del bambino Becchi
Capecchi
Lumbelli
Andrea Spila Abilità metalinguistiche e prime esperienze di lettura in
lingua straniera nella scuola elementare Corda Costa Visalberghi
VI CICLO – A. A. 1991/92
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Paola Berbeglia Indagine sulla presenza di alunni stranieri nella scuola
media inferiore romana e sulle modalità d'intervento
didattico utilizzate ad hoc
Capecchi
Visalberghi
Anita Ceraso Educazione all'intuizione geometrica con il computer e
con altre tecniche didattiche
Laeng
VII CICLO – A. A. 1992/93
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Francesca Gattullo Approcci all’insegnamento della lingua straniera e
acquisizione di abilità di ascolto a livello elementare
Lumbelli
Visalberghi
Elena Mignosi La qualità della scuola materna pubblica in un quartiere
a rischio di Palermo: problemi, risorse e prospettive
Becchi
Cacioppo
Visalberghi
Francesco Oman Orientamento scolastico e professionale con particolare
riferimento alla scuola dell'obbligo: percorsi di studenti e
consigli di orientamento
Corda Costa Visalberghi
IX CICLO – A. A. 1993/94
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Antonella Nuzzaci Musei, visita guidata e apprendimento: una ricerca
sperimentale nel settore demoetnoantropologico Corda Costa Laeng
Alessandro
Vaccarelli
Motivazioni, atteggiamenti, abilità verbale
nell'acquisizione della lingua del paese di immigrazione Corda Costa Veggetti
X CICLO – A. A. 1994/95
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Vera Marzi L'information problem solving con particolare
riferimento ai percorsi di apprendimento conducibili
nella biblioteca scolastica
Corda Costa
Siciliani
Patrizia Sandri Rappresentazione del tempo convenzionale e ritardo
mentale lieve: una ricerca su allievi di scuola elementare
Pontecorvo
Veggetti
XI CICLO – A. A. 1995/96
DOTTORE TESI DI DOTTORATO TUTOR
Sergio Crasnich La competenza argomentativa: sperimentazione di un
curricolo a livello di scuola superiore
Lumbelli
Siciliani
Maria Paola Gusmini Autovalutare il contesto della prescuola: ricerca su un
universo di asili nido e scuole dell’infanzia Becchi Pontecorvo
Siciliani
Ira Vannini Insegnamenti e valutazione scolastica. Un’indagine
empirica su opinioni e atteggiamenti di docenti di scuola
media e primo biennio superiore
Giovannini
Visalberghi
CATALOGO DELLE TESI DI DOTTORATO DI RICERCA3
Autore Dante Ansaloni
Titolo Insegnare la ricerca storica: ipotesi di lavoro e loro verifica empirica nella scuola
secondaria superiore
Data a. a. 1986/87
Tutor Egle Becchi, Carlo Pancera
Abstract Formulazione del problema, ipotesi di lavoro
L’excursus analitico delle problematiche connesse alla conoscenza storica, alla sua
insegnabilità, all'uso del manuale evidenzia il divario tra potenzialità formative della
disciplina e loro realizzazione in ambito scolastico istituzionale, in particolare nel
triennio della secondaria. Ne emerge la seguente ipotesi di lavoro: come passare da
tradizione e metodi di tipo “manualistico”, da abitudini mentali modellate sul racconto
organizzato secondo la successione cronologica dei fatti, a modalità di lavoro storico
intese come ricerca ed esercitate mediante una serie organizzata di operazioni graduate
dai livelli più semplici ai più complessi, in grado di cogliere le pluralità delle concause
interagenti e concorrenti alla formazione del contesto storico.
Tre le classi coinvolte con i rispettivi insegnanti di storia: una di liceo classico
tradizionale, una di liceo classico sperimentale ed una di istituto tecnico per periti
aziendali e corrispondenti in lingue estere, per due anni scolastici successivi (primo e
secondo anno del. triennio), durante ciascuno dei quali hanno luogo in ogni classe lo
svolgimento di una unità didattica di lavoro storico in chiave di ricerca, l'analisi e la
valutazione dei risultati.
Indicazioni sommarie degli studi sull'argomento
Alla ricerca sulla didattica della storia hanno contribuito e contribuiscono
pedagogisti e storici di professione. Essa è rivolta soprattutto alla scuola dell'obbligo ed
in misura minore al biennio, quasi mai in modo specifico al triennio della secondaria.
Ciononostante, se ne è tenuto conto sia nella fase di studio preliminare, sia in quella di
organizzazione delle unità didattiche di lavoro storico, nella consapevolezza, certo, della
necessità di collegarne gli esiti a situazioni scolastiche e culturali specifiche e differenti
da quelle a cui essa è fondamentalmente rivolta. Ciò ha comportato, in particolare,
un'attenzione specifica ad aspetti peculiari della psicologia dell'adolescenza.
Finalità della ricerca
Finalità fondamentali della ricerca sono:
a) proporre e descrivere un percorso di realizzazione delle potenzialità cognitive e
formative della disciplina storica fondato su una metodologia di ricerca applicata ad
argomenti, fonti e materiali storiografici preselezionati ed organizzati dal gruppo di
programmazione formato dagli insegnanti di storia e da me in qualità di coordinatore
e rivolto in modo specifico al triennio della secondaria;
b) verificare l'efficacia del percorso summenzionato mediante:
la rilevazione empirica dei livelli di conoscenza e di competenza storiche propri
delle classi coinvolte prima e dopo l'effettuazione di ciascuna unità didattica di
lavoro storico;
il confronto con gruppi di controllo costituiti da classi parallele avvezze ad una
didattica di tipo “tradizionaIe” e ad approcci disciplinari fondamentalmente
3 Le schede relative ai dottorati del primo ciclo sono state pubblicate nella rivista Scuola e città, XXX (1988) 10, p.
456-462, quelle relative ai dottorati del secondo e terzo ciclo in Scuola e città, XXX (1991) 11, p. 518-527.
manualistici;
c) descrivere ed interpretare le competenze acquisite da classi con percorsi scolastici
differenziati.
Metodologia seguita
La ricerca ha utilizzato procedure di tipo sperimentale (somministrazione di prove
iniziali e finali, confronto tra gruppi sperimentali e di controllo, analisi statistica dei
risultati e della loro distribuzione), procedure di tipo osservativo, nonché esercizi
collegati alle fasi di svolgimento delle unità di lavoro storico, al fine di individuare e
valutare sia gli elementi determinanti i processi di apprendimento e di formazione in
atto nella loro interazione, sia gli esiti conclusivi dell'esperienza compiuta.
Risultati ottenuti
Emergono acquisizione ed incremento delle abilità dello storico, capacità di
esercitarne il “mestiere”, sia pure ai livelli di competenza consentiti dall’età e dalla
preparazione culturale generale e specifica degli studenti.
Il confronto tra i livelli di informazione, di apprendimento e di abilità raggiunti dalle
diverse classi che hanno partecipato all'esperienza di studio della storia in chiave di
ricerca evidenzia sia le competenze da ciascuno conseguite, sia lo sviluppo degli
strumenti culturali e delle abilità ad esse funzionali, sia, infine, la loro fungibilità
rispetto a problematiche di ambito disciplinare storico poco note o ignote in precedenza.
Il confronto con i gruppi di controllo consente di rilevare il grado di corrispondenza tra
differenze di approccio e di metodo da un lato, di risultati dall'altro.
Autore Guido Benvenuto
Titolo Il problema del "riassumere": dimensioni teoriche e sperimentazioni didattiche
Data a. a. 1988/89
Tutor Lucia Lumbelli, Clotilde Pontecorvo
Abstract Presentazione del problema di ricerca: ipotesi ed obiettivi
L'oggetto di questa ricerca di dottorato parte da una palese contraddizione presente
nella didattica scolastica: da un lato si rileva che il riassumere è abilità impegnata dagli
studenti in moltissime occasioni comunicative, sia scolastiche sia extrascolastiche, e se
ne denuncia l'utilità nella più ampia educazione linguistica degli studenti, dall'altro si
verifica una mancata attenzione educativa alla relativa formazione didattica. Ed è
soprattutto nella scuola dell'obbligo che il riassumere è stato confinato nella pratica del
tradizionale riassunto scritto, e cioè semplice prova di comprensione della lettura,
propedeutica a forme di composizione scritta ritenute più complesse, quali ad esempio il
"tema". Dalle ricerche e dagli studi che hanno indagato l'abilità del riassumere emerge
invece l'esigenza di non ridurre il riassumere a semplice abilità riproduttiva ma di
considerarlo come abilità complessa che consiste nell'agire criticamente sui prodotti
della comprensione. Conseguentemente a questa diversa prospettiva, la ricerca di
dottorato ha inteso studiare le variabili didattiche relative al riassumere in classe,
rispondendo ai seguenti obiettivi:
costruire diversi percorsi istruttivi per l'abilità del riassumere e sperimentarne
l'idoneità didattica;
mettere a punto un metodo di misurazione-valutazione obiettiva per differenti prove
di riassunto;
osservare le strategie linguistiche e cognitive impegnate da studenti in diverse prove
di sintesi;
descrivere alcune possibili strategie di interventi co-comunicativi che 1'insegnante
può adottare per facilitare e analizzare il riassumere degli studenti.
Metodologia della ricerca
Per raggiungere tali obiettivi di ricerca e quindi indagare alcune precise variabili
interagenti nell'abilità del riassumere di studenti di III media, la ricerca ha adottato due
prospettive e metodologie di sperimentazione:
un piano sperimentale di confronto tra 3 gruppi omogenei (due sperimentali ed uno
di controllo) attraverso un disegno con intervento sperimentale (pre-test - trattamento
- post-test). La procedura sperimentale è stata condotta su di un campione
complessivo di 242 studenti di III media in 12 scuole di Roma, ed ha proceduto a
verificare l'idoneità didattica di differenti forme di istruzione al riassumere, basate su
schede di lavoro autogestite dagli studenti;
una analisi osservativa di un'interazione didattica in un contesto di piccolo gruppo di
studenti condotta da un insegnante-sperimentatore e delle strategie linguistiche e
cognitive impegnate nel riassumere.
L'interazione oggetto di analisi è stata compiuta con due gruppi di 4 studenti, che
sono stati impegnati per tre giorni consecutivi (un’ora al giorno). Questa indagine
qualitativa a carattere esplorativo, oltre a rilevare aspetti significativi delle modalità
preferenziali e delle difficoltà degli allievi nel riassumere, ha permesso di sperimentare
la conduzione e lo svolgimento di un piano di insegnamento interattivo di quelle
capacità che sono cruciali per imparare a riassumere.
I risultati della ricerca
Attraverso l'analisi al contempo quantitativa (verifica dell'efficacia di modalità
didattiche nuove) e qualitativa (indagine sui processi) dei "materiali" prodotti dagli
studenti, e fondata sulla letteratura teorica e di ricerca in argomento, si sono raggiunti i
seguenti risultati:
1) l) gli studenti di III media presentano sensibili difficoltà nella produzione di efficaci
forme di sintesi perché adottano fondamentalmente una strategia di riduzione
"copia-e-cancella": essi cioè nelle loro elaborazioni rimangono complessivamente
legati alla superficie dei testi producendo formulazioni di sintesi attraverso la
selezione di parti di testo e l'eventuale eliminazione di particolari secondari. Le
difficoltà si presentano non principalmente sul versante della comprensione delle
idee principali contenute nei testi, ma nella produzione di forme di sintesi nel
rispetto di diversificate richieste comunicative. L'esigenza didattica che quindi
emerge è di poter fornire agli studenti "strumenti" per passare da un tipo di strategia
di sintesi più semplice, e inadeguata per alcuni scopi, ad una più "esperta", che
conduca alla produzione di efficaci e diversificate forme di riassunto in relazione ai
tipi di testo, agli obiettivi comunicativi specifici ed al contesto di richiesta.
2) Un tipo di istruzione basata sulla presentazione di "regole" per riassumere, che
suggerisce cioè i passi da seguire e le operazioni di sintesi da utilizzare per scrivere
un riassunto, si è rivelata significativamente efficace nel migliorare l'abilità
complessiva di riassumere. La scheda di "regole", sperimentata nella fase
sperimentale di questa ricerca, si può quindi offrire come possibile "strumento" di
lavoro da impiegare nella fase iniziale di una didattica del riassumere, giacche i
risultati emersi ci sembra ne raccomandino decisamente la diffusione per una sua
concreta utilizzazione nella scuola.
3) Mirate istruzioni che regolino la misurazione-valutazione di prove scritte di
riassunto permettono, se presentate con opportuno piano di addestramento, di
giungere ad un soddisfacente grado di accordo tra diversi valutatori indipendenti.
Prendendo spunto dalla metodologia utilizzata nella ricerca internazionale IEA-IPS
(Indagine sulla Produzione Scritta), in questa ricerca di dottorato si è messo in atto
un piano di istruzione per la valutazione che ha permesso:
a) la messa a punto di criteri maggiormente analitici per la valutazione di prove di
tipo aperto, il riassunto e la scaletta, tradizionalmente soggette ad un alto grado di
soggettività nella valutazione;
b) il raggiungimento di alti valori di accordo (interjudge rielability) tra insegnanti-
valutatori nella misurazione dei criteri identificati come rilevanti, e la conseguente
attendibilità delle misure condotte sulle prestazioni degli studenti.
Autore Paola Berbeglia
Titolo Indagine sulla presenza di alunni stranieri nella scuola media inferiore romana e sulle
modalità d’intervento didattico utilizzate ad hoc
Data a. a. 1995-96
Tutor Vittorio Capecchi, Aldo Visalberghi
Abstract Il problema dei processi migratori è presente nelle società di tutti i tempi e in
particolare in quella contemporanea; la tensione e il dilemma che tali eventi inducono
potrebbero essere sinteticamente descritti come il tentativo di preoccuparsi
contemporaneamente di una costante coesione sociale e di uno sviluppo creativo della
diversità. Il lavoro di dottorato ha trovato la sua ragion d’essere nella situazione
problematica legata all’attuale contesto sociale e si è posto come obiettivo la
determinazione delle condizioni del problema, piuttosto che la ricerca di una sua
soluzione. Durante i quattro anni di svolgimento dell’indagine, l’opinione pubblica in
Italia ha notevolmente modificato la sua comprensione del fenomeno migratorio; ma,
nonostante i ripetuti interventi normativi (a partire dalla “legge Martelli”, n. 39/1990),
l’immigrazione è rimasta sostanzialmente un problema associato a una situazione di
emergenza.
L’indagine si è configurata come una survey condotta nei due distretti romani che, a
livello di scuola media inferiore, risultavano maggiormente popolati da ragazzi stranieri
o non nazionali (il IX e il XXI) e si è proposta di approfondire e indagare le
caratteristiche di un campione di ragazzi stranieri a confronto con l’istituzione
scolastica. Il lavoro si è articolato principalmente sulla base di tre questionari: uno
indirizzato all’alunno straniero, relativo a dati biografici, linguistici e scolastici; uno
diretto agli insegnanti, riguardante dati professionali e modalità d’intervento didattico in
presenza di alunni stranieri; uno rivolto alla scuola, riguardante i problemi burocratici di
inserimento degli alunni stranieri, l’educazione interculturale e le iniziative di
aggiornamento e formazione per docenti svolte in questo settore nell’ambito della stessa
sede scolastica.
La ricerca si è posta in continuità ideale con una precedente indagine, condotta dalla
stessa autrice, fra gli scolari del Burkina Faso negli anni 1987-89. In quell’occasione
l’obiettivo del lavoro consisteva prioritariamente nell’indagare la presenza delle abilità
di conservazione, e i risultati emersi hanno messo in luce come queste dipendono sia
dalla maturazione strutturale e funzionale dell’intelligenza individuale, sia dal valore
che una determinata società attribuisce alle attività connesse all’astrazione.
Il lavoro sviluppa, nella prima parte, un accurato quadro teorico dell’immigrazione e
del concetto di educazione interculturale, ricostruendo inoltre la situazione
internazionale riguardante le tipologie normative per l’integrazione degli alunni
stranieri. La seconda parte presenta la ricerca empirica, che ha preso in considerazione
l’alunno straniero secondo un’ottica sistemica, ossia attribuendogli un ruolo di centralità
nel contesto educativo e cercando di individuare l’entourage scolastico, sociale e
familiare in cui è inserito. In questa prospettiva, sono state esaminate sia variabili
relative all’allievo (di tipo storico-geografico, motivazionali e scolastiche), sia variabili
relative agli insegnanti e ai capi d’istituto. Il campione interessato è stato di 163 alunni
stranieri (appartenenti a paesi europei, extraeuropei, figli di coppie miste, cittadini
italiani con genitori stranieri, adottati).
Tra le variabili riguardanti l’allievo, in considerazione della loro possibile influenza
sugli aspetti principali dell’adattamento al nuovo ambiente, lo studio ha confermato le
ipotesi formulate in merito alla provenienza geografica (la prossimità geografica può
facilitare la comprensione della lingua del Paese d’accoglienza, ma diventa più
difficoltoso un perfezionamento in ambito scritto e orale rispetto a lingue meno vicine
ma apprese più correttamente) e al periodo di residenza in Italia (un ingresso non
recente, anche da parte dei familiari, influenza positivamente l’inserimento del bambino
straniero). Non è risultata invece confermata l’ipotesi che ragazzi fortemente impegnati
nel lavoro o in attività domestiche, in accordo con le abitudini e le esigenze della cultura
di provenienza, possano dedicare minor tempo all’apprendimento. Tra le variabili
motivazionali, sono emerse come oggetto di considerazione il desiderio di inserimento e
riuscita sociale, in riferimento alle motivazioni alla permanenza in Italia, e l’importanza
attribuita alla scuola nella famiglia di provenienza. Come variabili scolastiche, sono
stati indagati il percorso scolastico del ragazzo e il livello di alfabetizzazione della
famiglia, esaminando le possibili conseguenze del bilinguismo e di un’eventuale
scolarizzazione precedente all’emigrazione, e la percezione dell’alunno da parte
dell’insegnante, che potrebbe aver sviluppato una visione stereotipata dell’alunno
straniero.
Per quanto riguarda ipotesi e variabili relative agli insegnanti, oltre a quelle
abitualmente considerate in questo genere di ricerche, è emersa come caratteristica
significativa l’appartenenza a una scuola aperta ed attiva piuttosto che, ad esempio, il
genere o la materia d’insegnamento.
In riferimento all’istituzione scolastica, infine, il fattore determinante l’adozione da
parte del capo d’istituto di modelli organizzativi specifici sembra essere la presenza di
un numero consistente di alunni stranieri nella propria scuola.
Autore Costanza Bettoni
Titolo Produttività dell’istruzione primaria
Data a. a. 1994/95
Tutor Vittorio Capecchi, Maria Corda Costa, Aldo Visalberghi
Abstract Lo studio si inserisce all'interno del quadro dell’Economia dell'istruzione, e più
specificamente nel settore di microeconomia dell'istruzione, come ricerca di "input-
output": alla luce di una diversa distribuzione sul territorio nazionale del livello di
profitto degli studenti e degli indicatori statistici educativi da un lato e della spesa pro-
capite sostenuta dalle amministrazioni comunali per istruzione e cultura dall'altro, si è
inteso analizzare se esista una relazione tra la spesa per l'istruzione e il prodotto
educativo.
Lo studio del rapporto esistente tra spesa formativa pro-capite e prodotto scolastico
ha numerosi precedenti, soprattutto negli Stati Uniti, mentre quasi del tutto inesistente è
la ricerca in tale ambito nel nostro paese. Tuttavia le informazioni che da tale studio si
ricavano non sono univoche e chiare, così come invece lo sono i risultati emersi dallo
studio delle relazioni tra prodotto scolastico e fattori di back-ground degli studenti.
Questa condizione riguarda in genere la maggior parte degli studi che hanno analizzato
l'influenza delle variabili relative alla scuola e agli insegnanti sui livelli di profitto degli
studenti. Ciononostante si riconosce che ovunque le scuole differiscono tra loro, anche
in termini di risorse, ed esistono scuole più o meno efficaci, e che gli insegnanti
differiscono tra loro, ed esistono insegnanti più o meno efficaci.
Numerosi sono i resoconti disponibili dei vari studi condotti sul tema del rapporto tra
spesa formativa e prodotto scolastico, unitamente ai risultati ottenuti. In generale i
risultati delle ricerche rimandano a una considerazione più generale: il problema della
identificazione degli elementi di efficacia delle scuole, di cui è parte integrante lo studio
del rapporto tra la spesa per l'istruzione e il prodotto scolastico, che è tema infatti di
estrema delicatezza. Il complesso intreccio di variabili che interagiscono nella
determinazione della riuscita scolastica rende necessario da un lato l'ampliamento del
ventaglio di studi sull'argomento e l'approfondimento, anche metodologico, delle analisi
già avviate, e dall'altro l'assunzione di cautele nell'analisi dei dati e nell'interpretazione
dei risultati.
Più nello specifico la presente ricerca ha proceduto a verificare su un campione
nazionale l'esistenza di correlazioni statisticamente significative tra la spesa comunale
per l'istruzione pro-capite (variabile indipendente) e il prodotto educativo, misurato
attraverso un test di alfabetizzazione alla lettura (variabile dipendente).
La popolazione scolastica è quella elementare, e in particolare gli alunni del quarto
anno di corso.
L'output è rappresentato dai risultati nazionali dell'indagine IEA-SAL - Studio
Alfabetizzazione Lettura del 1991. In considerazione dell'incidenza dei fattori di back-
ground familiare sul livello di profitto degli studenti, emersa in numerose ricerche
condotte a livello nazionale ed internazionale, si è fatto ricorso a una seconda variabile
di output, il cosiddetto "punteggio atteso", determinato in sede internazionale. Tale
punteggio è stato ottenuto correggendo i risultati al test IEA-SAL attraverso la
ponderazione dell'indice di cultura familiare. Sono stati inoltre elaborati, quale ulteriore
misura di output, alcuni indicatori statistici di dispersione scolastica
L'input è costituito dalle spese sostenute dai Comuni per Istruzione e Cultura
nell'anno 1991.
La ricerca si è articolata in tre fasi:
1) Esplorazione e raccolta dei dati disponibili relativi alla spesa formativa, al livello di
profitto degli studenti e agli esiti scolastici nella scuola elementare. Obiettivo di
questa prima analisi era quello di tracciare un quadro essenzialmente orientativo
della situazione esistente in tema di dati statistici disponibili sulla spesa formativa,
sul livello di profitto scolastico e sugli esiti scolastici in generale e più nello
specifico per la scuola elementare. Si intendeva inoltre verificare la qualità dei dati
stessi, la loro tempestività e possibilità di utilizzazione. È emerso un forte ritardo
nella pubblicazione, curata dall’ISTAT, dei dati tratti dai Bilanci delle
Amministrazioni Comunali e Provinciali (nel 1993, anno in cui ha preso avvio la
ricerca, erano stati pubblicati quelli relativi al 1987), ritardo che negli anni
successivi si è gradualmente ridotto. Inoltre la stessa aggregazione dei dati in grandi
categorie di spesa rendeva di fatto inutilizzabile questa fonte. Parallelamente si è
verificata la disponibilità della Corte dei Conti-Ufficio di Controllo degli Enti Locali
a concedere l'accesso ai dati raccolti nei Conti Consuntivi dei Comuni, un
documento molto simile al Bilancio.
2) Analisi su grande campione del rapporto tra spesa formativa, livello di profitto
scolastico ed esiti scolastici nella scuola elementare. In questa seconda fase della
ricerca è stata analizzata, su un campione nazionale di 72 Comuni, la relazione
esistente tra spesa comunale per l'istruzione da un lato e i livelli di profitto
scolastico e gli esiti scolastici dall'altro. Si è fatto ricorso al campione di scuole
elementari che hanno partecipato all'indagine, sull’alfabetizzazione alla lettura
promossa dall'IEA i cui risultati sono stati resi pubblici nel 1992. Sono stati raccolti
ed analizzati i dati di spesa di quei Comuni le cui scuole elementari avevano
partecipato all'indagine ed insieme sono stati elaborati i dati statistici relativi
all’istruzione dei Comuni con l'obiettivo di costruire alcuni indicatori di esito
scolastico.
3) Studi di caso. In quest'ultima fase della ricerca si è approfondita qualitativamente
l'indagine su cinque Comuni del campione nazionale, appartenenti alle diverse aree
geografiche, individuati sulla base di differenze qualitative e/o quantitative
riscontrate sia sul versante della spesa formativa sia sul versante del prodotto
scolastico.
Autore Raimondo Bolletta
Titolo Il rendimento in matematica alla fine della scuola dell'obbligo: costruzione e
validazione di un test oggettivo per l'accertamento finale e la diagnosi d'ingresso agli
studi successivi
Data a. a. 1986/87
Tutor Mario Gattullo, Aldo Visalberghi
Abstract La ricerca ha affrontato il problema dell'accertamento dei livelli di apprendimento in
matematica raggiunti dagli allievi alla fine della scuola dell'obbligo in relazione alla
effettiva attuazione dei programmi di matematica introdotti nel 1979 e ha avuto inoltre
per obbiettivo la produzione e la messa a punto di un test diagnostico di matematica,
utile per l'accertamento delle lacune riscontrabili all'inizio della scuola secondaria
superiore.
La ricerca ha tratto principale ispirazione dalle metodologie adottate dalle indagini
internazionali della associazione IEA sull'apprendimento scolastico e da indagini
nazionali, prevalentemente inglesi ed americane, sui livelli di rendimento in matematica
di consistenti campioni di popolazioni scolastiche. Lo studio intendeva verificare
l'efficacia di tali metodologie nel contesto scolastico italiano e la praticabilità
organizzativa e gestionale nel contesto del Centro Europeo dell'Educazione in cui la
ricerca è stata realizzata.
A partire dall'ipotesi che, in presenza di una forte variabilità nelle pratiche didattiche
e nell'interpretazione degli attuali programmi di matematica, esistono livelli di
apprendimento piuttosto difformi che influiscono a volte in modo determinante sui
rendimenti successivi all'inizio della scuola secondaria superiore e che tale situazione
sia accertabile mediante strumenti di rilevazione relativamente semplici ed economici,
la metodologia adottata privilegia l'utilizzazione di questionari rivolti agli insegnanti e
di test oggettivi per gli studenti sia per la loro rapidità di impiego sia per la loro
generalizzabilità.
Si tratta di un'indagine campionaria che ha studiato due campioni probabilistici
indipendenti estratti in anni scolastici distinti, rispettivamente costituiti: il primo da
1300 insegnanti di matematica di scuola media intervistati sul programma di
matematica effettivamente svolto, il secondo da 2800 studenti di fine terza media, a cui
è stato somministrato un test oggettivo di profitto. Il test, prodotto appositamente per
tale indagine, era stato sottoposto a try-out sulla base dei risultati di una prima
somministrazione di prova su un campione ridotto di studenti.
La tesi documenta diffusamente le principali elaborazioni effettuate sulle numerose
variabili rilevate. Circa il curricolo effettivamente svolto, l'indagine ha accettato che i
docenti intervistati interpretano ed attuano in modo assai vario gli attuali programmi
con una prevalenza di interpretazioni riduttive, legate alla tradizione più consolidata.
Tale risultato viene confermato anche dai rendimenti degli allievi che mostrano
maggiori incertezze proprio negli item che si riferiscono ai contenuti più innovativi dei
programmi.
L 'indagine mostra anche, con gli alti tassi di adesione dei campioni estratti, la buona
accoglienza di ricerche di questo tipo, volte principalmente a produrre conoscenze e
strumenti utili al sistema scolastico nel suo complesso.
Sono state riscontrate le differenze di rendimento tra strati territoriali già apparse in
precedenti indagini comparative. Sono anche emerse chiaramente le influenze sul
rendimento nel test di variabili di sfondo quali quelle familiari.
L 'analisi fattoriale del test ha permesso infine di approfondire e confermare l'analisi
curricolare ed ha fornito una chiave di lettura di particolare utilità didattica dei risultati
complessivi del test, chiave che costituisce la base per un uso diagnostico del test
medesimo all'inizio della scuola superiore.
Autore Giuseppe Boncori
Titolo Lo sviluppo del pensiero critico nell’ambito della scuola media: esame della letteratura
e verifica sperimentale di interventi didattici
Data a. a. 1986/87
Tutor Luigi Calonghi, Mauro Laeng
Abstract Il pensiero critico è oggetto di molte ricerche sia dal punto di vista concettuale sia da
quello didattico, soprattutto in area anglosassone. Tra le finalità della ricerca figura,
anzitutto, quella di presentare uno sviluppo delle basi teoriche che, da posizioni iniziali
molto diverse, sembra orientarsi verso una chiarificazione concettuale del pensiero
critico come attività intellettuale specifica, contraddistinta dalle operazioni di
valutazione e di verifica del prodotto intellettuale. Viene anche spesso sottolineata
l'importanza educativa di questo settore in collegamento a dimensioni diverse della vita
intellettuale e sociale (per una rassegna più dettagliata cfr Giuseppe Boncori, La
capacità critica: dimensioni psicologiche e applicazioni sperimentali nella didattica
scolastica, «Studi di Psicologia dell'Educazione», 1986, 1 (Gennaio-Aprile), pp 41-54).
Conseguentemente, le ipotesi della ricerca sono state relative alla validazione di esercizi
e di prove costruiti per lo sviluppo e la valutazione della capacità critica. La
metodologia seguita ha previsto una sperimentazione su un campione estratto da una
popolazione di alunni di scuola media di un grande centro urbano dell’Italia centrale. Lo
schema sperimentale è stato quello classico del “pre-test-post-test con gruppo di
controllo”. Le procedure di elaborazione statistica dei dati sono state finalizzate ad
un’analisi dei valori medi e ad uno studio correlazionale. Un’analisi di casi particolari
ha concluso la ricerca. Tra i risultati ottenuti, oltre alla rassegna della letteratura fino al
1985, figurano la costruzione e la validazione di una serie di esercizi per lo sviluppo del
pensiero critico e la costruzione e validazione di prove per la valutazione.
Autore Ginetta Cavazzini
Titolo Comprensione verbale ed educazione ambientale: stimolazione dell’autocontrollo nelle
inferenze
Data a. a. 1995/96
Tutor Lucia Lumbelli, Aldo Visalberghi
Abstract Il lavoro parte dalla premessa che le conoscenze sulle modalità in cui l’attività
inferenziale può rendere conto della comprensione verbale non siano state
sufficientemente valorizzate come fonte per la definizione di uno specifico obiettivo
didattico: occorre esaminare l'abilità di eseguire proprio e soltanto quelle inferenze che
determinati passaggi testuali richiedono e cioè di sorvegliare quella esecuzione con
opportune strategie metacognitive. Da qui l'assunzione che la ricerca sui processi
cognitivi, proprio in quanto è servita a definire tale obiettivo e a tracciare un percorso
didattico funzionale ad esso, è pedagogicamente rilevante.
La tesi si articola in tre parti principali. Nella prima si dà un quadro selettivamente
riassuntivo dei contributi che la ricerca sul text processing mette a disposizione per la
specificazione dell'abilità inferenziale in precisi termini operazionali: l'evidenza
sperimentale sul carattere "naturale" ed automatico delle inferenze nella comprensione
verbale; la loro rilevanza per distinguere i buoni lettori da chi ha una comprensione
della lettura più o meno ridotta; 1’importanza, didatticamente cruciale, della distinzione
tra inferenze autorizzate o necessarie o bridging e inferenze plausibili o elaborative o
enciclopediche, rispetto alle altre distinzioni operate dalle varie tipologie di inferenze; la
specifica funzione assolta dalle inferenze bridging, e cioè la funzione di collegare i
processi cognitivi di comprensione alla decodifica della superficie linguistica del testo,
e quindi a componenti dell'abilità di lettura che sono più comunemente apprezzate.
Nella seconda parte della tesi vengono compendiati i risultati più significativi di una
ricognizione esplorativa in cui è stata sondata l'applicazione di criteri per la valutazione
della comprensibilità dei testi che erano stati già a suo tempo ricavati dalla letteratura
esaminata nella prima parte. Si tratta di una serie di criteri destinati a identificare
occasioni testuali di probabile incomprensione, scaturiti tutti dalla valorizzazione delle
bridging inferences come componente del processo di comprensione. L’analisi secondo
tali criteri è stata applicata, quindi, al genere di testi che è stato posto al centro della
ricerca, cioè testi di carattere informativo-argomentativo, con chiaro scopo divulgativo
e/o didattico, riferiti a tematiche di risparmio/dispendio energetico connesse con aspetti
della vita quotidiana, testi che possono essere considerati come introduzione
all'educazione ambientale. Se il problema di perseguire sia il massimo di
comprensibilità sia il minimo di semplificazione riduttiva è comune a tutte le forme di
comunicazione divulgativa, tale problema ha una particolare pertinenza per la
comunicazione nell'educazione ambientale, ove è urgente la necessità di raggiungere
tutti i futuri cittadini, indipendentemente dai loro itinerari scolastici e destini lavorativi,
per comunicare informazioni complesse e interdipendenti.
La terza parte della tesi è dedicata al controllo sperimentale dell'efficacia di una
strategia didattica che è scaturita dalla combinazione dei contributi della psicologia
sperimentale riassunti nella prima parte e di alcune scelte pedagogiche fondamentali, e
cioè l'istanza che l'intervento didattico sia calibrato sugli specifici bisogni cognitivi
dell'allievo e l'importanza attribuita a un suo ruolo attivo, di ricerca autonoma, nella
interazione educativa. È una strategia che intende garantire sia la precisione e la
ripetibilità delle procedure didattiche, sia la qualità ed efficacia del processo educativo,
nel quale l’insegnante ha un ruolo di guida esperta.
I risultati della sperimentazione sembrano confermare non solo le ipotesi specifiche
del curricolo sperimentato, ma anche i già richiamati principi pedagogici che ne sono
alla base: è possibile ottenere un netto miglioramento nella esecuzione di inferenze
pertinenti mediante una forma di intervento in cui il dettaglio nella definizione
dell'obiettivo e della procedura non va a scapito della qualità della relazione educativa,
ma anzi è una condizione necessaria della sua efficacia. Tali risultati appaiono tanto più
significativi dal momento che i destinatari privilegiati della sperimentazione non erano
lettori poco abili in generale, ma quella purtroppo estesa sottocategoria che, pur
presentando problemi di lettura alla fine della scuola dell'obbligo, esclude una loro
spiegazione in termini di deficit di carattere cognitivo; per il loro contesto di
provenienza questi lettori problematici sono, invece, una testimonianza del sussistere di
quel fenomeno dello svantaggio socioculturale che oggi viene solo indirettamente
evocato nelle denunce e analisi della dispersione scolastica e nella progettazione dei
corsi di recupero a livello di scuola secondaria.
Per questo il lavoro svolto rappresenta inoltre un contributo alla definizione di un
progetto di recupero individualizzato e intensivo dell'abilità di comprensione della
lettura e all'evidenziazione dei suoi vantaggi proprio e soprattutto a proposito di allievi
che spesso appaiono refrattari nei confronti di analoghi tentativi di compensazione.
Infatti, il loro svantaggio si estende al piano motivazionale e quindi al piano di quelle
risorse attentive che sono indispensabili per l'efficacia di qualsiasi proposta didattica. I
benefici riscontrati con questa difficile e importante categoria di allievi dovrebbe
compensare gli indubbi costi di tempo e di preparazione degli insegnanti.
Autore Anita Ceraso
Titolo Educazione all’intuizione geometrica con il computer e con altre tecniche didattiche
Data a. a. 1995-96
Tutor Mauro Laeng, Enzo Lombardo
Abstract L'obiettivo di questo lavoro sperimentale è stato quello di mettere a confronto diversi
modi di proporre lo studio della geometria solida, focalizzando l'attenzione sulla
costruzione dei relativi modelli matematici. Lo scopo è stato quello di studiare la
relazione tra l'attività di costruzione di un modello e l'educazione all'intuizione
geometrica, valutando, con l’uso di tecniche e materiali diversi, quale delle modalità di
lavoro proposte potesse essere ritenuta vantaggiosa.
L'attività di costruzione è stata intesa in due modi: realizzazione di un solido
geometrico, il parallelepipedo, con materiale concreto manipolabile e costruzione dello
stesso oggetto con uno specifico software didattico. Il computer è stato insieme
strumento ed oggetto di indagine, in quanto è stato proposto come una modalità di
lavoro di cui verificare la validità didattica nello specifico ambito della geometria
solida. Per l’apprendimento dei contenuti logico-matematici è stato utilizzato il software
didattico LOGO, nella versione tridimensionale chiamata LEONARDO. La ricerca ha
inteso esaminare se l'uso del programma avesse favorito il recupero dei ragazzi con
bassi livelli di profitto o se, invece, l'attività manipolativa li avesse facilitati
nell'apprendimento dei concetti geometrici, e inoltre in che modo l'uso del computer
potesse incidere sull'apprendimento degli alunni con alte abilità e in che modo l'attività
di costruzione concreta potesse influire sul profitto degli studenti. L’ipotesi era che l'uso
del software didattico potesse essere vantaggioso per l'apprendimento dei concetti
matematico-geometrici degli alunni, coinvolgendo attività che consentivano di
immaginare le figure nello spazio. Si è ipotizzato, in modo più operativo, che l'attività al
computer potesse favorire l'apprendimento dei concetti della geometria piana e solida,
misurandolo, alla fine del lavoro, in termini di risultati raggiunti dai singoli soggetti alle
prove somministrate.
In particolare, le modalità di lavoro adottate sono state:
un’attività al computer svolta con il programma LOGO, nella versione
tridimensionale chiamata LEONARDO;
un’attività manipolativa condotta con materiali concreti (“colla e forbici”) che
prevede la costruzione concreta di un solido;
un’attività standard, definizione con la quale si indica l’insieme delle attività
ordinarie che gli insegnanti svolgono con il gruppo classe. Gli alunni che hanno
partecipato a questo tipo di attività hanno svolto, ai fini della ricerca, il ruolo di
gruppo di controllo.
Il disegno sperimentale ha pertanto previsto l’individuazione di tre gruppi, ognuno
costituito da due classi di IV elementare: un gruppo di controllo e due sperimentali,
ognuno dei quali ha sperimentato una delle due tecniche didattiche confrontate: la
modalità manipolativa e quella informatica. I concetti di geometria attivati, che sono
stati discussi nel corso del lavoro con i ragazzi dei due gruppi sperimentali, hanno
riguardato le caratteristiche specifiche del parallelepipedo e i suoi aspetti più generali, in
particolare quelli legati al suo sviluppo piano e solido; si è inoltre osservato e disegnato
l'oggetto dai vari punti di vista che si possono assumere. Le conoscenze e le abilità dei
bambini sono state misurate prima e dopo il lavoro sperimentale. Sono stati applicati
test di intelligenza più generali e prove specifiche delle abilità spaziali; sono stati inoltre
controllati i livelli di conoscenza della matematica e l'apprendimento dei concetti
geometrici attivati dal lavoro, per mezzo di uno strumento costruito appositamente.
Da una iniziale condizione di disomogeneità tra le classi partecipanti, che vedeva il
gruppo di controllo occupare le posizioni più alte di tutte le graduatorie costruite per lo
studio descrittivo dei dati, si è giunti, in uscita, a un forte recupero delle classi
sperimentali, con una minore disomogeneità dei dati rispetto alle condizioni delle classi
registrate in fase di ingresso. Se i due gruppi sperimentali migliorano nei confronti del
gruppo di controllo, i due si differenziano nelle prestazioni alle prove d’uscita, che sono
a favore dell’attività manipolativa “colla e forbici” nella valutazione operata con le
“Schede di geometria” e a favore dell’attività condotta con il LOGO/LEONARDO nella
“Batteria di test attitudinali” (BITAL) – Competenze cognitive – test di abilità spaziale. I
risultati hanno dimostrato inoltre che l'uso collettivo del programma LOGO/LEONARDO
garantisce, rispetto a quello individuale, un migliore apprendimento dei concetti di
geometria sollecitati dallo svolgimento del compito (è stata rilevata una differenza
statisticamente significativa di punteggio tra i due gruppi). Individuati i soggetti "bassi"
ed "alti" dalle graduatorie iniziali, è, infine, risultato che i "bassi" del gruppo LOGO
collettivo migliorano anche alla prova delle abilità spaziali in modo significativo.
Lo studio dell’educazione all’intuizione geometrica ha messo in evidenza che
entrambe le tecniche didattiche sperimentate rappresentano un vantaggio per gli alunni,
i quali migliorano particolarmente nell’apprendimento dei concetti se costruiscono
concretamente l’oggetto, mentre affinano la visione spaziale se utilizzano il
LOGO/LEONARDO. Tuttavia le due attività non si escludono reciprocamente, poiché
tenerle separate è stata solo una necessità della sperimentazione. Un itinerario didattico
proponibile nella scuola può prevedere, sicuramente, l’uso nella pratica quotidiana di
entrambe le tecniche.
Autore Donatella Cesareni
Titolo Sistemi ipertestuali per l'acquisizione di conoscenze scientifico-ambientali
Data a. a. 1992/93
Tutor Mauro Laeng, Clotilde Pontecorvo
Abstract Problemi e ipotesi
La ricerca ha per oggetto lo studio, l’elaborazione, e la sperimentazione di strumenti
ipertestuali, con impiego della computer graphic, allo scopo di analizzarne e
verificarne le possibili applicazioni ai fini dell’acquisizione di conoscenze e di
accertare le condizioni migliori, nei termini di tipologia del software e di modalità di
utilizzazione, affinché l’apprendimento abbia luogo. A tal fine, è stata impostata,
costruita e sviluppata un’applicazione ipertestuale, Ecolandia, che propone un’attività
di studio, di riflessione critica e di problem-solving rispetto ai problemi dell’educazione
ambientale.
Le due ipotesi fondamentali sono:
1. il confronto tra attività didattica realizzata attraverso l’uso dell’applicazione
ipertestuale e attività di studio condotta con materiale a stampa esattamente
corrispondente;
2. il confronto tra l’uso libero e l’uso guidato dell’applicazione ipertestuale.
Fasi dell’indagine e disegno di ricerca La tesi è articolata in tre parti:
Nella prima si espone e si analizza criticamente una letteratura che ha esplorato ma
raramente verificato le possibilità degli strumenti ipertestuali sulle acquisizioni
cognitive.
Nella seconda si espongono i principi costruttivi e le caratteristiche
dell’applicazione Ecolandia, che si propone di portare gli studenti ad acquisire
conoscenze relative ai temi trattati e metodo d’indagine.
Nella terza si descrivono le fasi e i passi della ricerca sperimentale vera e propria.
Popolazione e campione
La ricerca ha coinvolto un campione di 114 studenti di seconda media e del primo
anno di un istituto professionale, divisi in tre gruppi assegnati ognuno ad una diversa
attività didattica: una attività di studio condotta attraverso l’uso libero dell’applicazione
ipertestuale; la stessa attività condotta con una versione guidata dell’applicazione;
un’attività di studio condotta con fascicoli a stampa. In tutti e tre i casi le attività sono
state svolte in coppie e attraverso una somministrazione preordinata in più sedute.
Analisi dei dati L’analisi dei risultati ha riguardato: misure ottenute con prove oggettive di
valutazione dell’apprendimento; misure osservative relative allo svolgimento del
compito da parte dei soggetti (in parte rilevate attraverso l’applicazione ipertestuale) e
alle modalità di conduzione di un indagine; analisi di contenuto delle relazioni e delle
soluzioni apportate al compito proposto.
Risultati
L’uso dell’applicazione ipertestuale si è dimostrato capace di coinvolgere gli studenti
e di motivarli per l’attività di studio. Si sono rilevate differenze statisticamente
significative negli incrementi di punteggio fra prove di entrata e prove di uscita,
relative sia alle conoscenze acquisite sia alla capacità di porre in relazione concetti, a
favore del gruppo di soggetti che hanno lavorato con l’applicazione ipertestuale (ed
in particolar modo gli studenti con più basse abilità di comprensione del testo)
rispetto ai soggetti che hanno lavorato con fascicoli a stampa.
Il confronto tra le due modalità di uso dell’ipertesto, libera e guidata, ha portato a
risultati differenti nei due sottocampioni di scuola media e scuola superiore. Mentre nel
primo caso si osserva sempre un maggiore incremento nelle conoscenze da parte dei
soggetti che lavorano con la modalità libera, nel secondo ci sono differenze dovute alle
abilità di lettura: i soggetti con basse abilità di lettura sono avvantaggiati dalla modalità
guidata, mentre non si riscontrano differenze tra le due modalità per i soggetti con alte
abilità, le cui conoscenze aumentano significativamente comunque.
Autore Sergio Crasnich
Titolo La competenza argomentativa: sperimentazione di un curricolo a livello di scuola
superiore
Data a. a. 1999-2000
Tutor Lucia Lumbelli, Nicola Siciliani de Cumis
Abstract L'educazione a un uso competente ed accurato dell'argomentazione è oggi studiata
soprattutto nell'ambito dell'educazione linguistica, e in particolare con riferimento alla
produzione della lingua scritta. È un settore che ha visto negli ultimi anni un rapido
sviluppo in campo internazionale, anche in seguito alla ripetuta registrazione del
sussistere di difficoltà e fragilità a un livello scolastico in cui il saper scrivere viene a
coincidere con la capacità di scrivere testi argomentativi. La problematica è aperta nella
misura in cui le ricerche non hanno ancora prodotto risultati che permettano di
privilegiare determinate strategie educative rispetto ad altre.
Questa ricerca si propone di contribuire alla definizione di un piano di stimolazione
della competenza argomentativa e alla valutazione della sua efficacia, dal punto di vista
teorico pedagogico e metodologico didattico. L'obiettivo didattico è stato definito sulla
base della nuova retorica di Perelman, che è stata privilegiata proprio per l'importanza
riconosciuta all'adattamento al destinatario e per 1'indicazione di corrispondenti
strategie comunicative sufficientemente definite per essere insegnate/apprese. La scelta
di una specifica quanto fondamentale componente della competenza argomentativa
deriva non solo dalla preoccupazione di identificare un obiettivo educativo che sia
definito in modo tale da orientare la costruzione di strumenti destinati a valutarne il
raggiungimento, ma anche dal valore strategico attribuito alla capacità di porsi dal punto
di vista altrui in generale. La teoria dell'adattamento dell'argomentazione all'uditorio
permette di individuare in tale capacità una condizione necessaria nei confronti di
finalità educative generali come il rispetto per l'interlocutore, il dissenso non violento,
l'empatia o ascolto attivo, e nei confronti di quell'obiettivo dell'educazione linguistica
che va sotto l'etichetta di reader-based versus writer-based writing. La specificazione
dell'obiettivo ricavabile dalla teoria di Perelman permette di far corrispondere alle
intenzioni e agli atteggiamenti più generali precise strategie linguistiche che sono anche
strategie di pensiero e possono pertanto essere insegnate e apprese alla stregua di altre
abilità cognitive. Infatti, se per il parlante/scrivente rispettare l'altro è anche tenere conto
di quanto di diverso pensa e vuole, senza per questo rinunciare a discutere con lui e a
cercare di persuaderlo, allora quel rispetto è sottratto al piano delle mere dichiarazioni
di buona volontà e diventa il criterio con cui viene monitorata la scelta non solo delle
argomentazioni a favore della propria convinzione ma anche e soprattutto delle
controargomentazioni, con tutte le implicazioni di sfida all'abilità cognitiva che la
ricerca di queste ultime comporta.
Oltre alla particolare specificazione dell'obiettivo didattico, altri elementi
contraddistinguono il curricolo di stimolazione della competenza argomentativa qui
sottoposto a vaglio sperimentale. Vi è stato applicato in modo sistematico il principio
pedagogico (che oggi trova riscontro nei concetti di autoregolazione e di
automonitoraggio della psicologia dell'educazione), secondo il quale l'apprendimento
avrà esiti tanto più stabili quanto più sarà basato sull'iniziativa e sulla ricerca attiva da
parte di chi apprende. Ne discende innanzitutto la decisione di partire da forme di
comunicazione e forme di analisi delle argomentazioni che fossero il più possibile
centrate sull'esperienza vissuta dagli allievi e libere da prescrittivismi e tecnicismi.
Questa decisione non è stata presa in contrapposizione con gli approcci che hanno
insistito sull'importanza di esporre gli allievi a modelli e/o esempi dei comportamenti da
apprendere, ossia in contrapposizione con l'idea di apprendimento basato
sull'osservazione; né essa ha implicato la rinuncia a fornire conoscenze teorico retoriche
e standard per la pianificazione di discorsi e testi argomentativi. La caratteristica del
curricolo sperimentato è di fornire sia le conoscenze teoriche sia i modelli della loro
applicazione esemplare solo gradualmente, e cioè in modo da evitare il rischio di
acquisizioni nozionistiche, astratte, prive di collegamenti con quell'esperienza vissuta in
cui il progetto si propone di lasciare solida traccia. Da qui la direzione dalla prima fase
del massimo centramento sull'esperienza e iniziativa degli allievi, alla seconda fase del
curricolo in cui tale centramento sussiste ma si combina con la proposta di materiali
ricchi di esempi di argomentazioni e controargomentazioni da "osservare" liberamente
scelti, e infine alla terza fase, decisamente centrata sulla ricostruzione e analisi di testi
argomentativi da parte dell'insegnante sperimentatore. Altre conseguenze di quella
decisione fondamentale sono sia la forma di comunicazione dell'insegnante che è stata
privilegiata (almeno nelle intenzioni ma spesso anche, come è testimoniato dai molti
brani di trascrizione delle registrazioni, nella condotta effettiva) in quanto garanzia di
incoraggiamento dell'iniziativa dell'allievo, sia la stessa scelta didattica di operare sul
linguaggio parlato scommettendo sul trasferimento al linguaggio scritto delle
conoscenze di teoria dell'argomentazione e delle strategie di comunicazione
argomentativa acquisite. Infatti, con la specificazione dell'obiettivo, si veniva a
valorizzare gli aspetti che accomunano piuttosto che quelli che distinguono scritto e
orale e precisamente quegli aspetti cognitivi che vanno dalla ricerca nella memoria,
all'organizzazione delle informazioni disponibili nella propria mente, alla ricostruzione
delle possibili relazioni con quelle supposte nella mente dell'interlocutore. La scelta di
operare sull'orale è stata anche la scelta di porre la stimolazione educativa nel contatto
più diretto possibile con la stessa attività cognitiva e, a questo scopo, di incoraggiare la
verbalizzazione dell'attività riflessiva nel corso della ricerca e della costruzione delle
argomentazioni e controargomentazioni.
Per quanto riguarda gli strumenti di valutazione degli effetti dell'intervento
educativo, accanto allo strumento ottenuto adattando all'obiettivo specifico del curricolo
sperimentato una delle prove IEA per la valutazione della composizione scritta, è stato
messo a punto uno strumento del tutto nuovo con la funzione specifica di fornire una
misura oggettiva di quella componente della competenza argomentativa che consiste
nell'adattamento all 'uditorio del discorso argomentativo. Si tratta di due forme parallele
di un test articolato in 10 item a riposta multipla, in ciascuno dei quali, date alcune brevi
informazioni sugli interessi e/o opinioni degli interlocutori, si tratta di scegliere tra
quattro argomentazioni quella, e quella sola, che di essi tiene conto.
Autore Monica Ferrari
Titolo L'asilo nido in Italia: rilevazioni su scala nazionale e valutazione di istituzioni
specifiche
Data a. a. 1989/90
Tutor Egle Becchi, Aldo Visalberghi
Abstract Presentazione del problema e intenti della ricerca
Questa indagine cerca in primo luogo di fornire un quadro della distribuzione e
dell'uso degli asili nido sul territorio nazionale ottenuto grazie all'elaborazione di
criteri di rilevamento resi il più possibile univoci ed inoltre presta particolare
attenzione alle dinamiche legislative che connotano le politiche per l'infanzia attuale
negli ultimi venti anni dalle singole regioni. Ma non basta. Una delle finalità precipue
di questo lavoro consiste - ponendosi a un livello di maggiore prossimità rispetto a dei
contesti specifici - nel tentativo di mettere a punto uno strumento per la valutazione di
singoli settings, discutendo la letteratura italiana e straniera sull'argomento e
procedendo alla traduzione, alla revisione, alla taratura e alla sperimentazione in un
campione di 25 nidi di una scala (l’ITERS) che può essere utilizzata in situazioni
estremamente diversificate.
Modalità procedurali In primo luogo si è cercato di mettere a fuoco il dibattito sul nido come servizio
sociale in Italia dalla legge istitutiva (n. 1044 del 1971) ai nostri giorni. Si è inoltre
brevemente comparato questo servizio con altri ambienti educativi per la stessa fascia
d'età esistenti soprattutto nella Comunità Europea e negli Stati Uniti e con la produzione
teorica al riguardo.
In secondo luogo è stata condotta una ricerca sul territorio che ha voluto ricostruire la
geografia degli asili nido nel nostro Paese analizzando i dati e i criteri di rilevamento
messi in atto dalle fonti ufficiali - cioè dall'ISTAT e dal Ministero della Sanità - in tempi
estremamente recenti con i risultati di un'indagine che è stata avviata in occasione di
questa tesi nel maggio 1989, in collaborazione con il Ministero della Sanità.
A questa analisi dell'uso e della distribuzione del servizio sul territorio nazionale si
affianca un dettagliato esame delle dinamiche legislative delle singole regioni che
consente di meglio interpretare i dati quantitativi. Inoltre grazie allo studio della
legislazione regionale è stato possibile individuare alcuni parametri presenti nelle
singole leggi (finalità, norme edilizie e costruttive, personale, rapporto numerico
educatori/bambini, gestione, finanziamenti) e mettere a punto una griglia che consente
di valutare la normativa sui nidi secondo criteri quantificabili. Questa operazione,
grazie alla quale è stata formulata una graduatoria delle regioni italiane sulla base
delle dinamiche legislative, è stata condotta nel tentativo di raccordare il primo livello
della ricerca al secondo, che si situa ad un maggiore livello di prossimità rispetto alla
singola microistituzione. In tal modo sono state selezionate alcune regioni campione
estremamente diverse tra loro rispetto alla produzione legislativa in cui condurre
un'analisi più approfondita della fisionomia del servizio. Si è pensato di scegliere
l'Emilia Romagna e la Sardegna (rispettivamente la prima e l'ultima della graduatoria)
ed inoltre il Veneto (che ha un valore mediano), l'Umbria (che sta in una posizione
intermedia tra la prima e la mediana) e la Campania (che si trova in una posizione
intermedia tra la mediana e l'ultima della graduatoria).
Si è cercato inoltre di scendere nel dettaglio, per quanto è stato possibile, mettendo a
punto uno strumento che potesse analizzare le singole microistituzioni educative in
un Paese come il nostro, in cui la situazione del servizio è estremamente
diversificata. Per questo, tenendo conto del vivace dibattito sul problema della
ricostruzione dei meccanismi che presiedono all'ecologia di un setting educativo per
la primissima infanzia e conseguentemente della valutazione degli standard minimi
che ne garantiscono la qualità, si è scelto uno strumento ideato da T. Harms, D. Cryer
e R. M. Clifford (l’ITERS), che cerca di valutare la qualità di ambienti extradomestici
in cui molti bambini di età compresa tra 0 e 3 anni si recano ogni giorno. La ITERS
(Infant and Toddler Environment Rating Scale) è stata tradotta e provata in alcune
situazioni italiane ed è divisa in 7 subscale.
In ognuna delle 5 regioni di cui si è parlato sopra si è pensato di scegliere un
campione stratificato a un criterio di stratificazione suddividendo i Comuni secondo la
classe di ampiezza demografica nel seguente modo: 1) Comune capoluogo di regione;
2) Comuni con popolazione al dì sopra dei 10.000 abitanti; 3) Comuni con popolazione
al di sotto dei 10.000 abitanti.
Il numero dei nidi in ciascuna delle regioni e in ognuno degli strati non è stato
determinato in base a un criterio di stretta proporzionalità rispetto alla composizione
dell'universo. Questa scelta è stata fatta per assicurare significatività anche ai confronti
all'interno del gruppo delle 5 regioni. Dall'indirizzario dei nidi funzionanti fornito dal-
le regioni sono stati scelti secondo un procedimento di estrazione casuale 25 nidi: 10 in
Emilia Romagna, 4 in Umbria, 5 in Veneto, 3 in Campagna e 3 in Sardegna. L'equipe di
ricercatori, formata da E. Becchi, A. Bondioli, M. Ferrari, D. Savio, P. Livraghi, ha
preliminarmente provato la ITERS in due nidi della provincia di Pavia, recandosi poi nei
25 nidi campione. Le alte percentuali di concordanza tra gli osservatori - riscontrate in
questa circostanza preliminare e poi evidenziate dal confronto dei punteggi assegnati
dall’autrice della ricerca me (che era sempre presente in ogni rilevazione) e dai
ricercatori che si alternavano al suo fianco - hanno consentito ulteriori elaborazioni dei
dati raccolti e ne hanno facilitato lo studio.
Risultati e problemi aperti
Per quanto riguarda i risultati dell'indagine sul territorio va sottolineato che due
regioni (Lazio e Calabria) non hanno fornito risultati pienamente comparabili con gli
altri. Questo fatto mette in luce innanzitutto la necessità di una rilevazione puntuale
della situazione degli asili nido che venga attuata da tutte le regioni, una volta che si
siano concordati i parametri di riferimento e i criteri di rilevamento, che devono essere
il più possibile omogenei. La ricerca condotta in collaborazione con il Ministero della
Sanità evidenzia inoltre la grande diversità tra le politiche per l'infanzia pensate e attuate
in concreto dalle differenti regioni che disegnano immagini diseguali del servizio per la
fascia 0-3, troppo spesso lontane dalle reali necessità dell'utenza e degli operatori che in
molte regioni italiane, e soprattutto nel Mezzogiorno, non usufruiscono affatto di
iniziative volte a incrementare la loro specifica competenza professionale.
Riguardo al lavoro svolto nei 25 nidi sorteggiati, va detto innanzitutto che lo
strumento utilizzato (l’ ITERS) si è rivelato capace di riflettere sul delicato problema
degli standard qualitativi che concernono gli aspetti più marcatamente pedagogici e gli
scambi relazionali all'interno di un ambiente extradomestico per la primissima infanzia
ed inoltre sulle relazioni che legano le attività pedagogiche al clima sociale e
all'organizzazione degli spazi. Maggiore attenzione meritano le cure di routine di cui lo
strumento sembra sottolineare soprattutto gli aspetti igienico-sanitari, mettendo in
secondo piano l'importanza che tali momenti possono assumere per concrete esperienze
di crescita del bambino. Grazie all' ITERS - sulla cui "filosofia" si è cercato di riflettere -
e alle informazioni sulle caratteristiche organizzative e gestionali del servizio - raccolte
tramite un questionario compilato dalle educatrici - è stato possibile delineare il profilo
di ogni nido preso in esame e cercare di comprendere i modelli educativi che
caratterizzano alcuni ambienti in cui bambini tanto piccoli trascorrono una gran parte
del loro tempo. I dati raccolti sembrano mostrare che l'ecologia di una singola
microistituzione è estremamente complessa e che la migliore qualità del nido è
generalmente legata a molti fattori ben rilevati dall ITERS, ma anche all'attenzione che il
singolo Comune dedica al miglioramento della professionalità degli educatori, che
spesso genera pattern educativi più flessibili.
Autore Antonio Gariboldi
Titolo Fisionomie di pedagogia latente nella scuola del bambino
Data a. a. 1994/95
Tutor Egle Becchi, Vittorio Capecchi, Lucia Lumbelli
Abstract Due linee di riflessione hanno ispirato il lavoro di dottorato. Da un lato sono stati
tenuti in considerazione i tentativi, frequenti nella cultura educativa statunitense e non
assenti anche in quella italiana, di formalizzare le realtà educative avvalendosi di un
costrutto quale quello di modello, desunto dall'ambito delle scienze naturali. Dall'altro
lato è stato studiato un tema-chiave presente negli studi sullo svantaggio culturale e i
suoi risvolti educativi, quello di pedagogia latente, definita sia da Bernstein nei suoi
saggi sui codici linguistici socialmente determinati, sia da Strodtbeck nelle sue indagini
sulle strategie e sui valori pedagogici propri della famiglia di ceto medio e di classe
proletaria.
Relativamente a tale duplice e fin qui distinto orientamento, che per entrambi i
versanti ha tracce cospicue anche nel linguaggio corrente dell'educare e nel lessico dei
programmi ministeriali (modello nel senso di paradigma ma anche di struttura unitaria;
pedagogia latente nel senso di pedagogia informale e di interventi non programmati),
sono state sviluppate delle puntualizzazioni teoriche per entrambe le nozioni,
presentando e chiarendo le plurime accezioni di pedagogia latente nei testi sullo
svantaggio culturale, ipotizzandone la presenza significativa anche in contesti non
deprivati, impegnandosi nella disamina del termine di modello sia nell'epistemologia
delle scienze naturali sia dell'antropologia culturale sia, infine, della pedagogia, e
rilevando, a questo particolare proposito, la polisemia del vocabolo, e la presenza di
equivalenti quali pattern, format, programma, project.
Il passo ulteriore è stato quello di ipotizzare la possibilità di definire delle fisionomie
- equivalenti meno formalizzati del costrutto di modello e meno ambigui di quello di
pattern - di pedagogia latente in realtà educative, operando per riscontri empirici. La
scelta è stata quella di considerare sezioni di scuola materna di vario tipo - pubbliche e
private, legate oppure no a precise tradizioni pedagogiche -, nell'intento di denotarne la
fisionomia, con particolare riguardo all'organizzazione e all'uso delle attrezzature, alle
modalità di gestione del gruppo-sezione, alle relazioni sociali fra insegnanti e bambini e
fra bambini stessi, assunte come dimensioni inintenzionali e poco o per nulla
consapevoli - e quindi di pedagogia latente - da parte degli educatori.
La realizzazione di questi intenti comportava la soluzione di problemi di contesto, di
procedure, di strumenti. Per quanto riguarda la realtà da indagarsi, in un'ottica di survey
su macrocampione, si è privilegiato l'universo delle scuole statali e comunali della
provincia di Pavia - già oggetto di indagine anni addietro -, da cui è stato estratto un
campione stratificato di 44 sezioni. Su questa realtà il lavoro di ricerca ha utilizzato uno
strumento di derivazione statunitense - l'ECERS, Early Childhood Environment Rating
Scale - che è stato tradotto e modificato in modo da renderlo pertinente al contesto
italiano (contribuendo pertanto a un primo adattamento italiano di quello che oggi è la
SOVASI, Scala per l'osservazione e la valutazione della scuola dell'infanzia). La ECERS-
SOVASI è intesa a rilevare e misurare l'organizzazione spaziale, gli arredi, le pratiche, le
modalità di socializzazione, le relazioni con l'extrascuola di ogni sezione di scuola
materna. Un secondo tempo ha visto la costruzione e l'applicazione di uno strumento
pure esso di educational evaluation, ma più mirato al rilevamento di modalità
relazionali nella sezione: la “Griglia per lo studio della giornata educativa”, grazie alla
quale sono state individuate e analizzate le modalità di gestione educativa delle attività
di una giornata in una sezione di una scuola dell'infanzia. In questa tappa la scelta non è
stata campionaria, ma conseguente all'idea che una fisionomia è tanto più marcata
quanto più definito e "forte" è lo sfondo ideologico in senso lato sotteso alle pratiche
formative che si realizzano in un dato contesto. Pertanto sono state scelte sezioni di una
scuola montessoriana, di una scuola steineriana, di una scuola di una comunità
ortodossa hassidica, di un istituto gestito da un ordine religioso, due scuole comunali il
cui impianto è oggetto di continua riflessione e aggiornamento, e una scuola statale che
nella precedente fase del lavoro era apparsa come dotata di particolare consapevolezza
pedagogica.
Il terzo passo, tipico di una microindagine, ha inteso mettere a fuoco le modalità di
gestione del coinvolgimento, da parte dell'insegnante, del gruppo infantile impegnato in
una data attività: qui la realtà in esame era stata selezionata da due sezioni, una di scuola
statale e una di scuola comunale, ognuna per due attività, riprese con videocassetta,
trascritte e codificate. Quest’ultimo momento dell’indagine - compiuto ispirandosi a
concetti di derivazione goffmaniana e rogersiana - ha consentito non solo di enucleare
specifici atti della relazione educativa altrimenti poco percepibili e di precisare meglio
alcuni aspetti della modalità di gestione della sezione, elemento che costituiva fuoco
della seconda tappa della ricerca (e quindi di perfezionare lo strumento che si era
approntato e usato), ma anche di definire una tipologia di fisionomie di scuola
dell'infanzia, che può aprire la strada a una loro modellizzazione.
Autore Francesca Gattullo
Titolo Approcci all’insegnamento della lingua straniera e acquisizione di abilità di ascolto a
livello elementare
Data a. a. 1997/98
Tutor Lucia Lumbelli, Aldo Visalberghi
Abstract Problemi e ipotesi
La ricerca analizza il rapporto tra approcci all’insegnamento e risultati
dell’apprendimento della lingua straniera (L2) nel contesto della scuola elementare
italiana.
L’obiettivo principale è stato quello di ideare una strategia di ricerca che permettesse
di verificare l’efficacia dell’approccio comunicativo nell’insegnamento della L2,
attraverso la costruzione o l’individuazione di strumenti di indagine specifici. Sono stati
identificati due problemi particolari:
la relazione tra l’orientamento didattico/pedagogico degli insegnanti di L2 nella
scuola elementare e la loro pratica didattica in classe;
il rapporto tra alcuni aspetti della pratica didattica e l’abilità di comprensione
dell’ascolto degli alunni.
Le due ipotesi principali sono state formulate come segue:
1. l’orientamento didattico degli insegnanti di L2 è in stretta relazione con le modalità
di organizzazione delle attività didattiche e le strategie di correzione degli errori;
2. l’orientamento didattico degli insegnanti di L2 è in relazione con l’abilità di
comprensione dell’ascolto degli alunni.
La prima ipotesi si articola in due sotto-ipotesi, inerenti all’esistenza di:
1a. una congruenza di massima fra orientamento e pratica a livello dei macro-aspetti,
(organizzazione e gestione delle attività didattiche);
1b. una discrepanza fra orientamento e pratica a livello dei micro-aspetti, cioè di
trattamento degli errori, che si potrebbe manifestare soprattutto in modo non
sistematico, riflettendo un certo grado di contraddittorietà nelle strategie di
trattamento degli errori, così come è documentato in letteratura.
Fasi dell’indagine e disegno di ricerca
È stato adottato un disegno di ricerca quasi- sperimentale con gruppi in
correlazione “ex post-facto”. Esso è consistito nelle seguenti fasi: la fase esplorativa,
finalizzata alla concettualizzazione degli aspetti rilevanti dell’orientamento e della
pratica didattica della L2 e alla generazione di ipotesi; la fase di elaborazione e
somministrazione di un questionario, che discriminasse tra due gruppi di insegnanti che
seguivano orientamenti didattici opposti; la fase di osservazione dei due gruppi di
insegnanti durante la lezione di L2, effettuata con lo scopo di raccogliere i dati per il
confronto con l’orientamento espresso nel questionario; la somministrazione delle
prove di profitto della L2 agli alunni delle rispettive classi per la valutazione
dell’apprendimento; infine, la trascrizione, codifica e analisi delle registrazioni, che
aveva l’obiettivo di far emergere ipotesi esplicative dei risultati dell’apprendimento.
Popolazione e campione
La popolazione di riferimento è stata costituita dalla totalità dei docenti della
regione Emilia Romagna che nell’anno scolastico 1992-93 avevano preso parte
all’avviamento dell’insegnamento della L2 nella scuola elementare a partire dalle
classi terze. La popolazione degli alunni per la valutazione delle abilità comunicative è
stata quella delle classi quarte della regione nell’a. s. 1996-97. Il campione di
insegnanti per la somministrazione del questionario è stato di 49 soggetti, mentre
quello degli alunni per la prova di ascolto è stato di 187 casi.
Strumenti di ricerca
Gli strumenti di ricerca specifici sono stati:
1. un questionario sull’orientamento didattico dell’insegnante, che è stato costruito in
modo da riflettere i diversi aspetti di approccio all’insegnamento e da permettere di
discriminare fra l’insegnante massimamente orientato in senso comunicativo e
quello minimamente orientato in tal senso;
2. la griglia osservativa COLT (Frolich e Spada, 1995), per l’osservazione di alcuni
aspetti dell’attività didattica;
3. la sequenza di Lyster e Ranta (1997), per l’analisi del discorso correttivo
dell’insegnante, adattata sulla base dell’analiticità delle categorie, in modo da
permettere un’adeguata operazionalizzazione del complesso fenomeno del
comportamento correttivo dell’insegnante;
4. il test di profitto “Starters” dell’UCLES, che è stato scelto grazie alle sue
caratteristiche di standardizzazione e di validità. Sono state misurate
esclusivamente le abilità di comprensione dell’ascolto perché si è previsto che solo
queste avrebbero potuto dar luogo a risultati di dimensioni rilevanti.
Analisi dei dati
I dati del questionario hanno permesso l’individuazione dei due gruppi di insegnanti.
I dati complessivi sono statiinoltre presentati con statistiche e grafici descrittivi. I
risultati delle prove di ascolto sono stati sottoposti ad un’analisi della varianza per la
verifica della seconda ipotesi, mentre i dati delle osservazioni sono stati codificati e
analizzati secondo una versione adattata della procedura COLT per la verifica della
prima ipotesi. I dati delle trascrizioni sono stati codificati e analizzati per permettere
un’esplorazione dell’interazione in classe. Oltre a un’analisi statistica esplorativa, i
risultati sono stati sottoposti a test non parametrici (Mann-Whitney) per verificare la
seconda parte dell’ipotesi.
Risultati
L’ipotesi (1a) è stata confermata dalla congruenza della misurazione
dell’orientamento didattico con i risultati delle osservazioni in classe. L’ipotesi (1b) è
stata invece falsificata: entrambi i gruppi di insegnanti (“accentratore”, cioè non
comunicativo e “decentratore”, cioè comunicativo), hanno svolto interventi correttivi
congruenti con l’orientamento dichiarato, mostrando una complessiva coerenza
didattica. L’ipotesi (2) è stata confermata. Gli alunni del gruppo “accentratore” hanno
dato migliori risultati nella prova di ascolto. L’analisi esplorativa delle sequenze
correttive in classe, ha successivamente permesso di attribuire strategie di correzione
distinte nei due gruppi e di avanzare l’ipotesi che le migliori capacità di ascolto si
sviluppino grazie a dinamiche di “negoziazione della forma” piuttosto che del
contenuto, che nel contesto scolastico elementare sembrano rivelarsi maggiormente
efficaci. Sono stati prospettati, in conclusione, ulteriori sviluppi di ricerca sperimentale
su aspetti specifici di trattamento correttivo e di attenzione verso la forma linguistica, in
combinazione con diverse modalità di organizzazione didattica.
Autore Maria Paola Gusmini
Titolo Autovalutare il contesto della prescuola: ricerca su un universo di asili nido e scuole
dell'infanzia
Data a. a. 1999-2000
Tutor Egle Becchi, Clotilde Pontecorvo, Nicola Siciliani de Cumis
Abstract La ricerca risponde a interessi di natura operativa e, insieme, teorica (gli studiosi più
di frequente richiamati sono Dewey, Scriven e Schoen) riguardanti il contesto della
prescuola e, nel contempo, consente di dare loro una forma precisa, empiricamente
controllabile, elaborabile in via metrologica. Lo strumento principale del percorso di
indagine è stato la scala di autovalutazione della prescuola, ASEI - Autovalutazione dei
servizi educativi per l'infanzia (nella dizione italiana), messa a punto in Catalogna da
Darder e Mestres. Si tratta di una scala applicabile anche nelle istituzioni formative
prescolastiche italiane, per alcuni versi simili a quelle catalane, affine al QUAFES -
Questionario per l'analisi del funzionamento educativo della scuola, scala messa a punto
dagli stessi autori e già tradotta nel nostro paese nel 1998, che ha costituito un prezioso
riferimento sia per la traduzione dell'ASEI sia per le modalità e motivazioni applicative.
L'ASEI è composta da 23 item, ognuno a 5 livelli di valore, organizzati in due sottoscale,
relative la prima al progetto educativo, la seconda all'organizzazione e alla gestione del
servizio. Il lavoro svolto non si è configurato come lo studio e l'adattamento di una scala
di autovalutazione, ma come l'adozione meditata e controllata di uno strumento capace
di descrivere dimensioni dichiarate e latenti del modo in cui gli educatori e gli
insegnanti della prescuola vivono la loro esperienza pedagogica, come un mezzo per
guidarli in un percorso di formazione da intendersi in termini freiriani di
coscientizzazione. Nella fase di prericerca, attraverso la sua proposizione a testimoni
privilegiati e a collettivi di educatori e di insegnanti in asili nido e scuole dell'infanzia,
l'ASEI è stata presentata, discussa e messa a punto, per consentirne una applicazione
univoca nei contesti della ricerca. Grazie ai dati che sono stati raccolti, è stato possibile
impostare e discutere temi irrinunciabili dell'attuale discorso sulla pedagogia della
scuola frequentata da bambini piccini, non organizzata né guidata da programmi
prescrittivi: quello della valutazione formativa e dell'autovalutazione fatta dagli
insegnanti e quello della riflessione sulla propria operatività didattica e educativa. Si
tratta di un discorso complesso e nuovo nella cultura italiana della e sulla scuola, che
solo da poco si impegna in operazioni di evaluation non impressionistica del contesto e
della pratica magistrale, e che per questo si deve confrontare con la letteratura ingente,
non sempre priva di contraddizioni, che a questo proposito le viene offerta dai paesi
anglosassoni e dall'Olanda.
Sono stati incontrati problemi non solo nella messa a punto dello strumento, ma
anche nella precisazione di dimensioni motivazionali proprie dell'accoglienza. Proprio
per questo, accanto all’opera di autovalutazione, è stato messo a punto, nel corso
dell’indagine, un intervento di "restituzione" (già utilizzato in previe esperienze del
gruppo pavese da Becchi, Bondioli, Ferrari, Gariboldi, Mignosi, Savio, Talamo): esso
comprende il ridare le informazioni - nel caso in questione, i livelli valutativi scelti da
ogni rispondente - a coloro che le hanno erogate, dopo averle elaborate e messe in
comune con quelle di tutti i rispondenti.
L’indagine, realizzata dal 1997 a11999, ha coinvolto l'insieme dei sette asili nido e
delle dieci scuole dell'infanzia del Comune di Pavia: due universi, quindi, debitamente
descritti nei loro tratti più significativi e dotati di dimensioni tali da potersi impegnare in
modo esaustivo nell'impresa progettata, dove si è potuto contare sia sulla collaborazione
dell'ente locale che gestiva questi servizi, sia delle educatrici e delle insegnanti,
avvezze, per una tradizione di collaborazione tra Comune e insegnamenti pedagogici
dell'Università, a "incursioni" scientifiche. In questo contesto la somministrazione
dell'ASEI ha consentito di sondare quell'universo che si definisce di “pedagogia latente”:
rappresentazioni, valori, “ideologie” propri degli operatori, forti nell'ispirare le mosse
pratiche, ma non dichiarati e forse non avvertiti dagli operatori stessi, universo che
connota potentemente il lavoro al nido e alla scuola dell'infanzia. Ma soprattutto ha
permesso di rilevare, istituzione per istituzione, livelli di accordo e di disaccordo
rispetto a dimensioni specifiche espresse nei 23 item di cui è composta la scala,
immagini complessive di ogni nido e ogni scuola per quanto attiene alla sua vita
intrinseca e ai suoi rapporti con l'ecologia circostante. Nello specifico dei risultati, i nidi
si sono rivelati, nelle risposte all’ACEI, omogenei e elevati nella valutazione dell'idea di
nido come servizio dove il collettivo è tratto dominante sia nell'organizzazione sia nella
gestione e come luogo sociale per i bambini, mentre appaiono delle discrepanze nelle
singole istituzioni per quanto concerne scopi più specifici, gli aspetti educativi, i ruoli,
le relazioni con le agenzie esterne. Risulta avvertito il bisogno di una crescita
professionale. Gli esiti dell'autovalutazione sono stati discussi e generalmente
confermati negli incontri di restituzione. Un lavoro analogo è stato condotto anche per
le scuole dell'infanzia; in questo caso il livello medio di apprezzamenti appare più
basso, e questo rivelerebbe una pratica di collegialità meno intensa di quanto avviene
nei nidi, e un'assenza di coordinamento efficiente che la “storia” del servizio negli
ultimi lustri conferma. I risultati dichiarano anche una necessità fortemente sentita di
emanciparsi da questo “abbandono formativo” di cui la scuola civica pavese
dell'infanzia soffrirebbe, abbandono che sarebbe in conflitto con il desiderio di proporre
una migliore offerta formativa all'utenza. Vengono invece riconosciute come
dimensioni non deficitarie l'organizzazione interna della scuola e la cura delle routines.
Sia nei nidi sia nelle scuole dell'infanzia, nelle risposte all'ASEI e negli incontri di
restituzione sono stati individuati dei punti di attenzione, delle tensioni dinamiche su cui
fare eventuale leva in un impegno che renda l'esperienza di autovalutazione guidata un
capitolo in una più ampia vicenda di sostegno e crescita professionale e che consenta un
rafforzamento del livello pedagogico-gestionale degli asili nido e un loro miglioramento
nel caso della scuola dell'infanzia.
Autore Emilio Lastrucci
Titolo Insegnamento della storia e valutazione della competenza storica
Data a. a. 1989-90
Tutor Maria Corda Costa, Mario Gattullo, Aldo Visalberghi
Abstract Finalità della ricerca e sue articolazioni
La finalità generale della ricerca di dottorato è stata quella di delineare un quadro,
per quanto possibile organico e completo, dello stato presente dell'insegnamento della
storia nel triennio delle scuole secondarie superiori italiane di ogni indirizzo (ad
esclusione di quelli professionali) e in particolare di fornire un contributo scientifico al
chiarimento di alcuni problemi fondamentali connessi con la misurazione/valutazione
dei risultati formativi conseguiti in tale ambito disciplinare ed a tale livello di scolarità
in virtù dell'applicazione dei programmi vigenti e dei metodi ed approcci didattici
maggiormente diffusi.
La ricerca di dottorato si articola in tre parti distinte.
1) Un excursus storico-critico del dibattito contemporaneo intorno allo statuto
epistemico della storia, quale particolare regione del sapere e settore di ricerca, al
fine di pervenire ad individuare il contributo dei principali orientamenti del pensiero
filosofico e scientifico al chiarimento del ruolo formativo che questa specifica
disciplina può e deve rivestire nel curricolo della scuola secondaria, e quindi alla
definizione delle finalità educative generali e specifiche proprie di questo ciclo di
studi cui essa può elettivamente e più proficuamente concorrere. La disamina del
dibattito epistemologico particolarmente intenso e vivace che si è concentrato su
questo ambito dell'attività intellettuale umana per tutto il periodo contemporaneo è
stata pertanto diretta a formulare alcune ipotesi di massima intorno alla funzione che
la storia quale disciplina scolastica dovrebbe assolvere nel generale contesto
educativo e a valutare in quale misura tale funzione venga effettivamente esercitata
attraverso i metodi correnti di apprendimento-insegnamento.
2) La seconda parte del lavoro costituisce un tentativo di ricostruire le linee generali
dell'evoluzione del dibattito più specificamente relativo all'insegnamento della
disciplina tanto in una ampia cornice internazionale, quanto, in forma più approfondita e
dettagliata, nell'ambito della cultura italiana. In quest'ultima prospettiva si è tentato di
porre a confronto i principali orientamenti e le tendenze più rappresentative
configuratesi attorno a tali tematiche nella pedagogia e nell'universo scolastico del
nostro paese nell'ultimo mezzo secolo. L 'intento di questa parte del lavoro è quello di
rinvenire le origini e descrivere sommariamente la genesi degli orientamenti
attualmente prevalenti della didattica della storia nel nostro Paese nel triennio della
scuola secondaria, allo scopo di pervenire ad illustrare, nella parte conclusiva, in quale
misura e attraverso quali applicazioni concrete essi si giovino delle innovazioni più o
meno recenti che sono state introdotte dalle correnti di rinnovamento della disciplina,
quali relazioni rivelino con le diverse teorie sulla funzione conoscitiva del sapere storico
attualmente dominanti fra gli epistemologi e all'interno della comunità degli storici ed in
quale grado, infine, risultino aggiornati rispetto alle acquisizioni psico-pedagogiche più
recenti circa le modalità di apprendimento nella fascia di età interessata, ossia in post-
adolescenti e "giovani adulti" (young adults).
3) L'intento della terza, più ampia parte del lavoro, è quello di verificare quale sia il
grado di preparazione storica generale dei discenti e quale tipo di competenze di
carattere storico essi abbiano effettivamente conseguito nel corso del triennio della
scuola secondaria superiore, in virtù dell'insegnamento che viene attualmente
impartito, sulla base delle indicazioni prescritte dai programmi ministeriali vigenti e
dell'impianto e degli orientamenti dei più correnti libri di testo, ma anche in funzione
delle diverse possibili opzioni che presiedono all'allestimento dei "curricoli reali",
cioè in relazione ai differenti approcci didattico-curricolari che di fatto gli insegnanti
di storia del triennio programmano, pongono in atto ed eventualmente sperimentano
nel nostro Paese.
Disegno dell'indagine
A tale scopo è stata realizzata un'indagine campionaria tramite la costruzione di
alcuni strumenti di rilevazione oggettiva e la loro somministrazione su un campione
di scuole secondarie superiori di diverso indirizzo ricavato con metodo probabilistico
dalla popolazione scolastica nazionale di questa fascia e composto complessivamente
di quasi 2000 soggetti. Gli .strumenti messi a punto ed impiegati nell'indagine sono i
seguenti:
a) un ampio test di profitto consistente in un pacchetto di prove oggettive finalizzato
alla valutazione sommativa della competenza acquisita dai discenti delle scuole
secondarie superiori relativamente al programma di storia moderna (quarto anno di
corso per i licei classici e scientifici, terza classe degli istituti magistrali e terza/quarta
classe per gli istituti tecnici commerciali ed industriali) ed utile anche quale test di
ingresso o come componente della prova di esame all'università, per l'accertamento
delle conoscenze relative alla parte generale (non-monografica) del programma svolto
presso le cattedre che istituzionalmente impartiscono l'insegnamento della storia
moderna;
b) un questionario per gli studenti, che correda il test di profitto, mediante il quale
vengono rilevate le variabili di sfondo socio-economico, la riuscita negli studi ed alcune
variabili affettive concernenti gli interessi generali, l'atteggiamento nei confronti dello
studio e la motivazione al- l'apprendimento della materia specifica;
c) un questionario destinato agli insegnanti delle classi alle quali vengono
somministrate le prove e finalizzato, oltre che a rilevare alcune informazioni circa la
formazione di base e continua e la motivazione all'insegnamento (in generale e
relativamente alla disciplina specifica) e quindi ad ottenere un profilo dei docenti di
storia del triennio, ad accertare l'orientamento metodologico dell'insegnante ed il tipo
di approccio didattico-curricolare cui egli ha effettivamente improntato il suo
insegnamento nella classe. L 'indagine sperimentale, che per le modalità generali con
le quali è stata effettuata ricalca il disegno di una survey research (in quanto, come
nella massima parte delle rilevazioni su grande campione, non prevede alcun
trattamento né il controllo in condizioni sperimentali di alcuna variabile, ma si limita
ad una registrazione dell'esistente) si ispira nelle sue linee generali al modello
impiegato nelle più importanti ricerche condotte in campo internazionale dall'IEA, ha
avuto lo scopo di operare una serie di confronti e verificare un insieme complesso di
ipotesi tramite l'applicazione di indici di correlazione o di associazione tra i livelli di
profitto da una parte e vari nuclei di variabili di diversa natura dall'altra, rilevante
tramite i questionari per lo studente e per l'insegnante. Più in particolare i livelli di
profitto sono stati posti in correlazione con i seguenti ordini di variabili:
-variabili relative al successo scolastico e al grado di riuscita negli studi nelle diverse
aree disciplinari;
-variabili geografiche e topologiche (operando raffronti fra le diverse aree della
penisola e fra centri con diverse caratteristiche topografiche);
-variabili relative all 'estrazione socio-culturale degli allievi;
-variabili relative all'interesse e motivazione degli studenti (interesse specifico per la
storia, interesse per le diverse aree disciplinari, interesse per l'attualità, orientamento
nelle prospettive, interessi extra-scolastici, sensibilità alle problematiche di ordine
sociale ecc.);
-variabili relative all'impegno civile e sociale degli studenti;
-variabili relative alla motivazione del docente nell'insegnamento della disciplina
specifica, anche in rapporto ad altre discipline di cui esercita l'insegnamento (specificità
della preparazione storica nel curricolo della formazione di base, impegno
nell'aggiornamento disciplinare, disponibilità all'innovazione ecc.);
-variabili relative all'orientamento didattico-metodologico dell'insegnante ed al tipo
di approccio curricolare specifico effettivamente praticato nelle classi.
I risultati della rilevazione sono stati altresì impiegati allo scopo di ricavarne alcune
indicazioni di ordine psico-pedagogico in merito al tipo di processi cognitivi implicati
nell'apprendimento della storia. In particolare si è tentato mediante la tecnica dell'analisi
fattoriale di valutare il peso delle diverse capacità cognitive generali e specifiche
(capacità di ritenzione mnemonica, competenze linguistiche, capacità inferenziali,
capacità di collocare i processi di trasformazione storici nello spazio e nel tempo, ossia
rispetto alle coordinate geografiche e cronologiche ecc.) e le loro interrelazioni.
Un obiettivo subordinato di questa parte più tecnica del lavoro è stato quello di mettere
a punto e sperimentare le prove di profitto, al fine di valutare quale funzione e quale
efficacia possa rivestire l'impiego di strumenti di misurazione oggettiva ai fini della
valutazione degli esiti del processo di apprendimento-insegnamento nell'ambito
disciplinare della storia e relativamente a tale livello dell'itinerario formativo
complessivo. La costruzione e validazione del test di profitto è stata dunque destinata in
primo luogo a verificare tale possibilità di utilizzazione, la risposta da parte degli
insegnanti all'applicazione di siffatti strumenti e la capacità della prova oggettiva
stessa di controllare i risultati del curricolo reale, dimostrando che esso è impiegabile
in una generalità di situazioni di apprendimento sufficientemente ampia, in quanto
rispecchia il nucleo di argomenti comune alla massima parte dei percorsi didattici
specifici effettivamente seguiti nella scuola superiore italiana.
La somministrazione sul campione di grande entità e rappresentatività nazionale ha
perciò avuto quale duplice scopo la taratura del test e degli altri strumenti e la
rilevazione dei dati necessari per la verifica delle ipotesi sperimentali. La
standardizzazione delle prove e il loro impiego ai fini della rilevazione sperimentale
sono stati dunque contestati. Per garantire un sufficiente grado di affidabilità del test
prima della sperimentazione sul campione nazionale, onde prevenire nella massima
misura possibile l'eventualità che una parte dei dati non risultasse utilizzabile ai fini
della rilevazione, sono stati effettuati in precedenza due try-out delle prove e sulla base
dei risultati ottenuti è stato compiuto un primo controllo della validità e
dell'attendibilità. Eseguendo l'analisi degli item si è proceduto inoltre ad un
emendamento generale del test, mediante la sostituzione o la modifica degli item che
risultavano scarsamente efficaci o non discriminativi.
Del test di profitto, oltre al controllo della validità che, così come quello
dell'attendibilità, è stato effettuato con metodi di tipo statistico sulla base dei risultati
empirici della somministrazione stessa, è stata eseguita anche una validazione del
costrutto e del contenuto grazie alla consulenza offerta da un gruppo di storici
autorevoli. Gli specialisti consultati, docenti di storia moderna in diverse università
italiane, hanno fornito in massima parte le loro indicazioni per l'allestimento delle prove
tramite le risposte ad un questionario appositamente elaborato, mentre in altri casi
hanno offerto dei suggerimenti ancora più puntuali e dettagliati in colloqui con il
sottoscritto o tramite ampie relazioni scritte.
Risultati della ricerca
Il primo fondamentale risultato della ricerca riguarda la messa a punto e la taratura
del test oggettivo. Tramite la validazione del costrutto e del contenuto, l'item-
analysis (effettuata con due distinti procedimenti, quello tradizionale e quello
elaborato da G. Rasch, che nel nostro caso hanno condotto a risultati quasi
completamente convergenti) e il controllo dell'attendibilità, è risultato che il test può
considerarsi uno strumento utile e affidabile per l'accertamento degli apprendimenti
conseguiti in storia dagli alunni del triennio della scuola superiore italiana. Il test può
altresì costituire un modello per la costruzione di prove analoghe, finalizzate
all'accertamento delle medesime abilità ma per aree di contenuto che non vi
rientrano.
Tramite i risultati scaturiti dalla rilevazione effettuata sul campione nazionale,
inoltre, sono venuti in luce alcuni degli aspetti più problematici dell'apprendimento
della storia a questo livello di scolarità. Il più rilevante fra questi pare costituito dalle
difficoltà che gli alunni manifestano nella comprensione di quei problemi storici che
investono in forma più diretta gli aspetti economici e nei quali ha comunque una
parte la padronanza di una terminologia e di un corpo di concetti più specifici, che il
linguaggio storico desume in genere dalle scienze giuridiche, economiche e sociali.
Si è riscontrato anche come gli alunni stessi denuncino tali difficoltà, dichiarando -
anche nei casi in cui manifestano un interesse abbastanza elevato per la disciplina e
magari un discreto rendimento - lo scarso livello di fruibilità dei libri di testo e la
complessità del loro linguaggio.
I risultati dell'applicazione del test hanno altresì posto in evidenza come si riscontri
una estrema variabilità fra i discenti nella padronanza di quel basilare e preliminare
bagaglio informativo (avvenimenti e loro riferimenti cronologici) che dovrebbero
ragionevolmente ritenersi, se non certo la meta educativa principale e peculiare
dell'insegnamento della storia, sicuramente un pre-requisito necessario per lo sviluppo,
tramite la loro applicazione a problemi di natura storica, delle attività intellettive più
elevate.
Si è infine verificato - attraverso il confronto delle medie dei risultati disaggregati
secondo vari criteri e principalmente per mezzo dell'applicazione del test statistico di
analisi della varianza - come la variabilità dei risultati sia prevalentemente ed in misura
alquanto evidente connessa alla appartenenza ad un particolare gruppo-classe piuttosto
che a variabili di altra natura (come ad esempio l'estrazione socio-culturale del singolo
alunno o le variabili relative al contesto ambientale). Sulla scorta di questo risultato si è
cercato di esaminare e discutere, nella parte conclusiva del lavoro, la relazione degli
esiti effettivi dell'insegnamento della storia con le variabili indipendenti legate
all'insegnamento stesso, ossia la formazione e l'aggiornamento dei docenti, il loro grado
di motivazione ed applicazione reali nell'insegnamento di questa materia in rapporto alle
altre con le quali nei diversi indirizzi di studio la storia viene abbinata, il tipo di
approccio didattico e di strumenti impiegati ecc., avanzando alcune conseguenti ipotesi
e proposte in relazione all'allestimento dei curricoli, alla programmazione didattica e
alla formazione ed aggiornamento dei docenti.
Autore Paola Livraghi
Titolo Imparare al nido: evaluation di un universo di asili nido e proposta di itinerari guidati
di apprendimento cognitivo
Data a. a. 1992-93
Tutor Egle Becchi, Clotilde Pontecorvo, Aldo Visalberghi
Abstract Nel lavoro si affrontano due tematiche distinte e connesse dell'educazione
extrafamiliare della primissima infanzia: da un lato quella dell'organizzazione delle
istituzioni formative che accolgono bambini in età precoce, dall'altro il problema di una
cura pedagogica non solo informale e abitudinaria, ma consapevole e teoricamente
sostenuta di finalità e strategie opportune. L'approccio è osservativo ed empirico: la
ricerca è stata condotta operando in prima persona nel contesto di indagine, avvalendosi
di una metodologia standardizzata per la raccolta delle informazioni utili all'evaluation,
protocollando le osservazioni grazie al video, categorizzando ed elaborando
metrologicamente i dati relativi alla proposta pedagogica. A monte della ricerca stanno
interrogativi forti della pedagogia attuale, tesa a espandersi in una dimensione life long,
ma orientata a tradurre in termini educativi - oltre che, beninteso, di età scolare - solo gli
interventi con età più adulte, trascurando i primissimi tempi di vita come terreno di cure
quasi solo affettive, igieniche, preventive. Una considerazione delle occasioni e delle
offerte formative per i più piccini dimostra infatti quanto, sia nella casa sia fuori dalla
famiglia, il bimbo fino a due-tre anni venga gestito all'insegna della spontaneità - delle
condotte dell'adulto che lo ha in cura, delle idee che questi ha del bambino, della
nozione stessa di infanzia - secondo modelli poco definibili, dove intenzioni, verifica
delle condotte che si dicono educative, messa a punto di percorsi pedagogici sono rare,
poco consapevoli, non ancora integrate in disegni organici. Se questo vale soprattutto
per la gestione che si ha dei più piccini in famiglia, anche l'asilo-nido, che nei progetti e
nei manifesti dei suoi promotori all'inizio degli anni settanta doveva essere un luogo
elettivamente educativo, non ha ancora sollecitato nei ricercatori una sufficiente
elaborazione di idee coerenti e fondate di pedagogia della primissima età.
La ricerca ha ripensato questi temi nelle loro dimensioni teoriche e operative, da un
lato traducendo in termini di naturalismo vs prospettiva educativa la gestione della
primissima età, dall’altro analizzando i luoghi e le modalità di tale gestione. Il lavoro è
suddiviso in due parti: nella prima si presenta uno strumento di evaluation delle
istituzioni educative - la SVANI, Scala per la valutazione dell'asilo nido, tradotta e
adattata per l'Italia dall'originale americano in parte dalla stessa autrice -, si riferisce
della sua applicazione in tutti i nidi pubblici della provincia di Pavia, per un totale di 73
sezioni, si commentano i risultati ottenuti nell'elaborazione statistica dei dati, e
soprattutto si mette in evidenza l'organizzazione pedagogica delle sezioni dei bimbi più
piccoli, confrontandola con quella delle sezioni dei meno piccoli. Ne risulta un quadro
verificato della gestione del bimbo al nido, esaminato nelle sue dimensioni di arredo
materiale, di organizzazione delle routines, del materiale di gioco, della stimolazione
delle condotte intellettuali, verbali, motorie, estetiche, ludiche, sociali. Da questo
panorama si riesce ad evincere che tale gestione, specie nelle sezioni dei più piccini,
viene fatta più all'insegna della cura che dell'intervento mirato e controllato, della
fiducia nella capacità di crescere del piccolissimo che di stimolo e sostegno di tale
crescita, di apprendi menti spontanei - per mimesi dei gesti e delle voci dell'adulto e dei
compagni meno piccini, per uso di materiale ludico messo a disposizione del bimbo -
che di percorsi organizzati di insegnamento/apprendimento.
Nella seconda parte viene formulato e proposto un itinerario didattico organico e
verificato, atto a promuovere competenze cognitive in bambini di un anno di età in
situazione di nido. Attraverso un lavoro di tipo quasi-sperimentale, condotto in un asilo
nido pavese con cinque bambini dagli 8 ai 10 mesi, sono state utilizzate alcune sub-
scales di un baby-test (Le scale ordinali per la diagnosi dello sviluppo psicologico di
Uzgiris e Hunt, uno dei più aggiornati nella famiglia dei reattivi per la prima infanzia) al
fine di valutare il livello di alcune competenze cognitive (relative alla permanenza
dell'oggetto, al rapporto mezzi-fine, alla costruzione dei rapporti spaziali) dei piccoli
soggetti. Sono state così definite delle condotte peculiari del bambino e dell'adulto che
non solo consentivano, viste nel loro insieme, di misurare progressi e arresti nella
maturazione cognitiva del piccolo, ma anche pertinenza, efficacia, originalità,
improprietà del comportamento dell'adulto. La rilettura di queste categorie alla luce
dello "scaffolding", cui oggi si richiama un filone importante della ricerca
psicopedagogica, ha consentito infatti di rilevare le differenze di conduzione dell'adulto,
a seconda che si trattasse della prova o della puntata di gioco-insegnamento, e ha
permesso di stabilire il carattere - non solo più flessibile ma anche socialmente più
individualizzato nei confronti dei piccoli, e più produttivo sul piano della loro crescita
cognitiva - proprio di una adeguata guida e offerta durante le sedute ludico-istruzionali.
In tal modo è stata dimostrata l'incidenza differenziale delle condotte dell'adulto nelle
situazioni diagnostiche oppure di offerta formativa, sono state definite e verificate
proposte applicabili sul terreno dell'operatività concreta, è stata messa in luce
l'importanza dell'autoanalisi del proprio comportamento da parte di chi educa anche i
più piccini, aprendo una strada alla traduzione in termini pedagogici della loro gestione.
Autore Bruno Losito
Titolo La formazione degli insegnanti e degli operatori socio-educativi: indagine sulle
sperimentazioni in atto a livello secondario
Data a. a. 1986-87
Tutor Luigi Calonghi, Mauro Laeng
Abstract L’indagine si propone di fornire un quadro documentato e il più possibile preciso
delle sperimentazioni avviate nella scuola secondaria - sulla base dell'articolo 3 del DPR
419 - nel settore specifico degli indirizzi socio-psico-pedagogici. Essa si muove in un
campo, quello della verifica delle sperimentazioni, rispetto al quale non si hanno ancora
a tutt'oggi elementi sufficienti di valutazione e, prima ancora, di documentazione. La
scelta di concentrare l'indagine sul settore degli indirizzi socio-psico-pedagogici è
fondata sulla convinzione che in essi si presentino con particolare evidenza alcuni dei
problemi non risolti della riforma della scuola secondaria, in particolare quello del
rapporto tra formazione culturale generale e formazione professionale di base, cui è
legata la stessa individuazione delle forme di articolazione della secondaria unificata.
Il lavoro è articolato in tre parti: ricostruzione del dibattito sulla riforma della
secondaria superiore e sulla sperimentazione; discussione delle proposte formulate per
la formazione degli insegnanti di scuola elementare e materna e degli operatori socio-
educativi; analisi delle sperimentazioni avviate nella secondaria.
Dal punto di vista metodologico, la ricerca si caratterizza come una indagine
conoscitiva condotta su materiale documentario - progetti delle sperimentazioni,
materiale prodotto dalle scuole - e sulla base dei dati raccolti attraverso la Scheda di
rilevazione per le sperimentazioni approntata dalla Biblioteca di documentazione
pedagogica di Firenze. I dati relativi alle sperimentazioni sono organizzati in una analisi
di sfondo - relativa a circa quaranta scuole - e in tre monografie dedicate ad altrettante
esperienze ritenute particolarmente significative.
Ne emerge un quadro delle sperimentazioni che da un lato ne conferma gli aspetti
positivi: prolungamento del corso quadriennale dell'Istituto Magistrale, parziale
eliminazione di una canalizzazione precoce, introduzione di innovazioni metodologico-
didattiche, avvio di importanti esperienze di studio lavoro in rapporto con gli Enti
Locali e le strutture territoriali; dall'altro ne evidenzia le difficoltà e i limiti in assenza di
un progetto organico di riforma e di una ridefinizione dei percorsi di formazione degli
insegnanti di scuola elementare e materna. In particolare dall'indagine emerge la
problematicità dell'inserimento di un indirizzo di tipo socio-psico-pedagogico all'interno
della futura secondaria riformata.
Autore Vera Marzi
Titolo L'information problem solving, con particolare riferimento ai percorsi di
apprendimento conducibili nella biblioteca scolastica
Data a. a. 1998-99
Tutor Maria Corda Costa, Nicola Siciliani de Cumis
Abstract Nelle nostre scuole l’uso didattico della biblioteca scolastica, quando non la sua
stessa esistenza, è soggetto a forti limitazioni. Tuttavia, nelle realtà che hanno
consentito lo stabilirsi di un rapporto di collaborazione tra docenti e bibliotecario e nelle
quali è maturata la consapevolezza dell’esistenza di specifiche abilità relative al
recupero e all’uso dell’informazione, sono state adottate iniziative di insegnamento
delle information skills (abilità necessarie per individuare, recuperare e utilizzare
informazioni - notizie, dati, concetti o altro - in qualsiasi forma queste siano espresse)
come parte integrante della didattica di diverse discipline. Distaccandosi dalla tradizionale forma di insegnamento delle operazioni necessarie per svolgere una ricerca (utilizzare un
catalogo, consultare enciclopedie e testi, prendere appunti ecc.), prevalentemente affidato alla biblioteca scolastica, il presente
lavoro ha adottato modelli di insegnamento delle abilità di ricerca dell’informazione che procede secondo una dimensione di
information problem solving, come è proposto dagli studi più avanzati nel settore. Sono stati considerati elementi fondamentali per lo svolgimento dell'attività di ricerca il fatto che lo stimolo sia costituito dall'esigenza di risolvere un problema di carattere
informativo e che la ricerca sia integrata nel contesto del curriculum disciplinare. Il percorso di apprendimento delle abilità di
ricerca è stato pertanto analizzato come un processo che parte dall’analisi del problema e arriva a fornire una risposta soddisfacente attraverso l’impostazione di un piano di ricerca e l’adozione delle strategie appropriate.
Più specificamente, il lavoro si è focalizzato sull'intervento didattico di insegnamento
delle information skills e sulle modalità di una sua valutazione distinta dalla verifica di
carattere cognitivo disciplinare, che attualmente costituisce l'unica forma di valutazione
adottata. In secondo luogo, si è tentato di verificare se l'inserimento, nel programma
curricolare, di un'esperienza di apprendimento condotta attraverso la ricerca in
biblioteca avesse una qualche ricaduta sull'acquisizione di appropriate strategie di studio
e, inducendo una riflessione sull'attività di ricerca, favorisse una maturazione di abilità
cognitive. Lo scopo del lavoro di ricerca è stato quindi duplice:
definire modalità e requisiti di un intervento didattico efficace per l'insegnamento
delle abilità di ricerca dell’informazione e sperimentarlo nel contesto della realtà
scolastica italiana;
studiare quale rapporto intercorresse tra l'insegnamento delle abilità di ricerca
dell’informazione da un lato e quello delle abilità di studio e delle abilità di pensiero
dall'altro.
Destinatarie dell'intervento di sperimentazione sono state due scuole secondarie
superiori, in quanto si è ritenuto che, a tale livello, l'apprendimento del processo di
ricerca e uso dell’informazione dovesse essere considerato importante tanto quanto
l'apprendimento e la comprensione dello specifico contenuto disciplinare.
L'intervento è consistito nell'impostare e sviluppare con gli studenti un'attività
didattica di ricerca strutturata e si è avvalso della collaborazione di insegnanti di lettere
e di scienze, che hanno acconsentito a trattare alcuni degli argomenti in programma in
modo alternativo e complementare al lavoro in classe. Sperimentatore, bibliotecario
scolastico e insegnante hanno condotto l'attività interagendo strettamente, in modo tale
che lo studente seguisse un preciso percorso di ricerca, dal momento dell'analisi della
domanda che determina la ricerca fino all'esposizione del suo risultato e alla
valutazione, da parte dello studente, del percorso seguito. In ognuna delle classi
sottoposte al trattamento, l'attività di ricerca è stata condotta per due volte nel corso
dell'anno e si è conclusa con una valutazione formale da parte dell'insegnante del lavoro
svolto da ogni studente, in modo che la ricerca fosse chiaramente percepita come
integrata nello svolgimento della didattica.
Rispetto al primo degli obiettivi che l'indagine condotta si proponeva, relativo alle
modalità e ai requisiti di un intervento didattico efficace per l'insegnamento delle abilità
di ricerca e uso dell’informazione, il lavoro svolto ha consentito di strutturare uno
specifico percorso didattico, di individuare i tempi e le modalità del suo svolgimento, di
definire il materiale necessario per condurre l'attività di ricerca con studenti di scuola
secondaria superiore e di elaborare dei criteri per la relativa valutazione. Un'attenzione
particolare è stata dedicata alle procedure di svolgimento dell'intervento didattico:
l'aspetto organizzativo e gestionale dell'attività scolastica si è rivelato tutt'altro che
estraneo alla possibilità di introdurre l'insegnamento delle abilità di ricerca
dell’informazione nel curriculum didattico e all'efficacia di tale insegnamento.
Per il secondo obiettivo dell'indagine, che prevedeva di studiare la relazione tra
insegnamento delle abilità di ricerca dell’informazione, abilità di studio e capacità
cognitive, sono state adottate come strumenti di valutazione (pretest e post-test) due
distinte prove: la scala ECDL - Échelle Collective du Développement Logique, di
impostazione piagetiana, a somministrazione collettiva, e la Prova di pensiero teorico di
Davydov, di impostazione vygotskijana, a somministrazione individuale. La valutazione
fornita dalla scala ECDL ha fatto rilevare un effetto significativo del trattamento se
preso in considerazione unitamente ai fattori rappresentati dall’età dei soggetti e dal tipo
di corso frequentato. È stato inoltre riscontrato un collegamento tra abilità di
information problem solving e capacità di usare forme di operazioni logiche complesse:
gli studenti che hanno già raggiunto il livello operatorio formale hanno presentato un
rendimento migliore nello svolgimento dell'attività di ricerca che è stata loro proposta,
benché siano stati i soggetti di livello intermedio a far registrare, tra il primo e il
secondo modulo di ricerca, un maggiore incremento. L’esito della Prova di pensiero
teorico ha mostrato come l’insegnamento delle strategie di ricerca si sia tradotto in un
miglioramento statisticamente significativo nei soggetti di livello logico formale; il
risultato è coerente con i dati ottenuti in precedenti ricerche dai collaboratori diretti di
Davydov. Per quanto riguarda le abilità di studio, rilevate mediante la somministrazione del QSA, il gruppo sottoposto alla
sperimentazione, che al pretest presentava, al pari del gruppo di controllo, un profilo problematico dal punto di vista delle
strategie di apprendimento, ha fatto rilevare al post-test un’inversione di tendenza, rafforzando le componenti indicative di una buona gestione dei processi di studio e di apprendimento; questo risultato autorizza a ritenere il percorso didattico svolto un
interessante modello di insegnamento delle strategie di studio, che coinvolge aspetti sia cognitivi sia motivazionali.
In questo lavoro sono stati tenuti presenti i fattori che emergono dall’analisi delle
componenti del problema dell’information problem solving, senza peraltro dedicare ad
essi specifica trattazione; sono state pertanto selezionate due scuole in grado di garantire
la presenza di situazioni ottimali per analizzare il rapporto tra insegnamento delle
information skills, sviluppo cognitivo e abilità di studio. Ciò nonostante l’indagine ha
potuto accertare il peso della inadeguatezza normativa e di fatto in materia di strutture,
risorse e personale, rilevando tutti gli elementi di contingenza e precarietà cui è soggetta
l’attività didattica svolta dalle biblioteche scolastiche funzionanti. Oltre ai problemi
rappresentati dalle strutture, dalle risorse e dagli operatori delle biblioteche scolastiche,
è emersa l’importanza della formazione dei docenti, ai quali si chiede, in collaborazione
con il bibliotecario scolastico, di progettare, condurre e valutare delle attività didattiche
orientate allo sviluppo di abilità di ricerca e uso dell’informazione. Una biblioteca
scolastica adeguata per risorse di materiale e di personale, che inoltre raccolga e renda
fruibile la documentazione prodotta dalla scuola (o da più scuole), potrebbe svolgere un
ruolo propositivo nei confronti del corpo docente in termini di aggiornamento
professionale. Tuttavia l’attuale complessità del mondo dell'informazione, che
interagisce con il processo di apprendimento e di formazione dello studente (i nuovi
media esigono competenze e impongono strategie di accesso profondamente diverse da
quelle proprie del libro), richiederebbe per l’insegnante dei momenti di formazione
specifica. Con la scuola dell'autonomia, focalizzata su un apprendimento condotto
attraverso l’uso delle risorse, questa esigenza non può che accentuarsi.
Autore Michela Mayer
Titolo Conoscenza scientifica e conoscenza di senso comune. Analisi dell’incidenza di fattori
scolastici ed extrascolastici sull’apprendimento della fisica
Data a. a. 1986-87
Tutor Benedetto Vertecchi, Aldo Visalberghi
Abstract All'interno della situazione, poco incoraggiante, dell'insegnamento scientifico, da
alcuni anni si sono moltiplicate le ricerche tese a identificare gli ostacoli ad un corretto
apprendimento dei concetti e delle teorie. Assume quindi un particolare interesse, nel
campo della ricerca educativa, l'analisi di quei fattori, soprattutto extrascolastici, che
contribuiscono alla costruzione di conoscenze di senso comune preesistenti e a volte
alternative alle conoscenze scientifiche che la scuola dovrebbe trasmettere.
Le ipotesi che questo lavoro di ricerca intendeva verificare possono essere così
sintetizzate:
esistenza, all’interno della conoscenza di senso comune, di schemi o miniteorie
coerenti, relative ad argomenti oggetto del corso di fisica e presenti nell'esperienza
quotidiana attraverso fattori percettivi, linguistici o di informazione;
persistenza di questi schemi e quindi loro interferenza con il processo di
apprendimento per il quale costituiscono “ostacoli epistemologici”;
insufficiente consapevolezza da parte degli insegnanti sia dell'esistenza di queste
teorie di senso comune sia dell'importanza che esse rivestono in un processo di
costruzione di significati.
L'indagine si è svolta tramite test e questionari, costruiti attraverso colloqui e
ricerche preliminari con studenti e insegnanti, e attraverso un confronto puntuale tra
schemi di conoscenza di senso comune e genesi storica delle corrispondenti concezioni
scientifiche. I test riguardano diversi argomenti di fisica e sono composti principalmente
di item a scelta multipla, ma contengono anche risposte libere e “spiegazioni-
giustificazioni” delle risposte che permettono un'analisi qualitativa degli schemi di
ragionamento espliciti. Sono stati esaminati quasi 600 studenti frequentanti il Liceo,
Classico o Scientifico, o l'Istituto Tecnico Industriale, in vari anni di corso.
Nonostante le ovvie difficoltà incontrate già in fase di strutturazione di un campione
accettabile di scuole e classi disponibili, e poi soprattutto nelle rilevazioni sul campo
che non sempre hanno potuto rispettare il disegno delineato all'inizio, i dati raccolti
sono stati sufficientemente ricchi per poter essere sottoposti ad analisi statistiche di
varia natura con risultati spesso significativi e interessanti.
Pertanto gli obiettivi che la ricerca si proponeva devono considerarsi sostanzialmente
raggiunti: i test mostrano la presenza e la persistenza tra gli studenti di schemi di senso
comune, allo stesso tempo abbastanza generali e abbastanza definiti; il confronto tra i
risultati ottenuti e le previsioni degli insegnanti mostra inoltre la poca consapevolezza,
anche tra gli insegnanti più preparati, delle difficoltà dei propri alunni, e di
conseguenza, a volte, un involontario rafforzamento di errate conoscenze di senso
comune. L'istruzione scolastica non è peraltro inefficace, anzi i test mostrano un
miglioramento rilevante tra situazione post-insegnamento e situazione pre-
insegnamento, ma una percentuale degli studenti, che oscilla intorno al 50%, esce dalla
scuola secondaria mantenendo schemi e teorie diverse da quelle scientificamente
accettate.
Altro importante risultato di questa ricerca è la costruzione di uno strumento,
articolato in cinque test, che una volta messi a punto e magari estesi ad altri argomenti,
possono essere utilizzati nella pratica dell'insegnamento per esplicitare e discutere le
conoscenze che gli studenti già hanno e organizzare di conseguenza un percorso
curricolare significativo ed eventualmente individualizzato.
Autore Saul Meghnagi
Titolo Innovazione tecnologica e formazione post-obbligatoria: uno studio di casi aziendali
Data a. a. 1986-87
Tutor Giovanni Cacioppo, Maria Corda Costa
Abstract 1. L 'innovazione tecnologica pone il problema di ridefinire caratteristiche e modalità
della formazione legata al lavoro. In particolare sembra esigere un’estensione
significativa delle competenze e delle abilità non immediatamente tecniche richieste
dal sistema produttivo.
Le implicazioni in termini educativi di questa nuova domanda di cultura
costituiscono l'oggetto della ricerca.
2. Gli studi sull'argomento hanno evidenziato la tendenziale rilevanza di quella che è
stata definita competenza professionale di base:
componente a tutti gli effetti della competenza professionale specifica;
non circoscrivibile ad una fase preliminare di acquisizione del sapere legato al
lavoro;
da aggiornare, potenziare, modificare, a vari livelli di professionalità, nel corso
del tempo.
Da ciò il concetto di formazione professionale di base (FPB):
successiva alla formazione di base;
oggetto di educazione ricorrente;
parte integrante della formazione professionale;
fondata su contenuti definibili a fini curricolari.
3. La ricerca si è proposta di studiare le caratteristiche di tale FPB:
nelle sue implicazioni curricolari,
analizzando il rapporto tra esperienza e conoscenza da un lato e contenuti della
formazione dall'altro,
con preciso riferimento all'innovazione tecnologica,
in relazione allo specifico ambito della formazione post-obbligatoria,
con una delimitazione alla sola “formazione del produttore”.
4. La ricerca ha operato mediante uno studio di casi individuato:
a. come migliore procedimento per l'analisi di realtà la cui conoscenza è limitata e la
cui analisi è settorializzata;
b. essenziale per una:
analisi e identificazione di problemi rispetto ai quali un'indagine qualitativa è più
produttiva di uno studio di tipo quantitativo,
prima verifica di approcci teorici non studiati in precedenza,
messa a punto di ipotesi da sottoporre a verifica mediante campionamento
quantitativo.
5. I risultati della ricerca sono stati i seguenti:
a. nessuna opzione seria rispetto alla formazione post-obbligatoria può prescindere
da due condizioni:
un solido canale formativo di educazione degli adulti,
la conseguente presenza, nell'ambito della scuola di Stato, di possibilità ordinarie
di uscita e reingresso ai vari livelli;
b. l'esperienza, la memoria e l'identità in presenza di NT (nuove tecnologie) hanno:
un ruolo importante in funzione della conoscenza,
una rilevanza significativa in una situazione produttiva in cui sono diversi
rispetto al passato funzioni tecniche, sistemi di relazione, riferimenti di va1ore.
In tale ottica va affrontato il problema teorico di collegare ricerca educativa e
ricerca organizzativa;
c. il metodo adottato ha prodotto risultati che sembrano interessanti ed esso stesso
si configura, di fatto, come una delle acquisizioni della ricerca e uno degli oggetti
su cui sviluppare l'analisi futura.
Autore Elena Mignosi
Titolo La qualità della scuola materna pubblica in un quartiere a rischio di Palermo:
problemi, risorse e prospettive
Data a. a. 1996-97
Tutor Egle Becchi, Giovanni Cacioppo, Aldo Visalberghi
Abstract Oggetto della ricerca è l'analisi e la valutazione della qualità della scuola materna
pubblica all'interno di un quartiere a rischio dal punto di vista socio-economico e
culturale della città di Palermo. Secondo i dati ISTAT e CENSIS, in Italia la percentuale
media di bambini tra i 3 ed i 6 anni frequentanti istituzioni educative è ormai vicina al
100%; tuttavia si tratta di una realtà di cui si conosce ben poco e che presenta per motivi
storici e politici una pluralità di modelli. Inoltre vi sono notevoli differenze nell'offerta
formativa (sia in termini quantitativi che qualitativi) tra Nord e Sud del Paese. È apparso
quindi molto interessante poter condurre una indagine approfondita in un contesto
meridionale particolarmente problematico, considerando la funzione della scuola
dell'infanzia anche in termini di "prevenzione" dello svantaggio.
Sul piano teorico e metodologico, si è fatto riferimento ai moderni studi di
educational evaluation relativamente alle istituzioni educative per la prima infanzia e
alle esperienze già condotte in Italia Centrale e Settentrionale ad opera del gruppo degli
Insegnamenti Pedagogici dell'Università di Pavia. Si tratta di un approccio "olistico" ed
"ecosistemico" in base al quale lo sviluppo di un essere umano non viene considerato
esclusivamente in riferimento a leggi maturazionali interne o al generico rapporto col
mondo esterno, bensì al progressivo adattamento reciproco fra l'individuo che sta
crescendo e le mutevoli proprietà delle molteplici e interconnesse situazioni ambientali
in cui l'individuo vive. Da un lato, l'istituzione osservata viene pertanto inserita
all'interno del contesto più ampio in cui si trova (città, quartiere, contesto sociale,
politico ed economico), dall'altro i servizi per la prima infanzia sono considerati in
relazione a tutte le diverse componenti che costituiscono l'ambiente educativo: lo stato
delle strutture, lo spazio fisico e i mezzi a disposizione, i tempi e i ritmi di lavoro, la
modalità e la frequenza con cui vengono proposte le diverse attività, la dimensione
sociale (la qualità delle interazioni tra adulti e bambini), il modo in cui l'istituzione fa
fronte ai bisogni degli adulti (operatori, insegnanti, genitori) facendosi carico, tra questi,
anche delle opportunità di crescita professionale. Inoltre, la valutazione viene assunta
nella sua dimensione pragmatica e "ideologica", in quanto azione "situata" in uno
specifico contesto, in un tempo determinato ed implicante un giudizio allo scopo di
orientare un processo decisionale. In questa prospettiva, qualora non si tratti di una
ricerca su larga scala, risulta importante coinvolgere nel processo valutativo gli
operatori della scuola, condividendo con loro il progetto di indagine e i dati raccolti
attraverso una metodologia rigorosa, al fine di avviare processi di autoriflessione e di
sviluppo della consapevolezza e, conseguentemente, un percorso di cambiamento
"dall'interno".
Su queste basi, dopo aver condotto nell'a.s. 1994/95 un'indagine su Palermo e sui
suoi servizi per l'infanzia e aver rilevato che, rispetto ai bambini aventi diritto (fascia 3-
5 anni), la città è in grado di garantire solo il 36,6% di posti, considerando soltanto
scuola materna pubblica, ed il 50,1% considerando anche la scuola privata, si è deciso
di focalizzare l'attenzione su un quartiere cittadino con le seguenti caratteristiche: forte
rischio dal punto di vista socio-economico e culturale; bassa percentuale di bambini
iscritti alla scuola dell'infanzia rispetto agli aventi diritto; presenza delle tre tipologie di
scuola materna pubblica cittadina (statale, regionale e comunale); una situazione
"mista" dal punto di vista della continuità storico-culturale con il territorio cittadino. La
scelta è caduta sul quartiere Montegrappa-S.Rosalia, poiché questo presenta tutte le
caratteristiche individuate e poiché il Circolo Didattico che comprende la scuola
dell'infanzia del quartiere (C. D. "Montegrappa") costituisce un universo di indagine
(l'unica sezione dell'infanzia della zona non appartenente al C. D. Montegrappa fa infatti
parte di un Circolo Didattico situato in un altro quartiere). Le sezioni considerate, tutte
appartenenti, quindi, ad un solo circolo didattico, sono 13, suddivise in due differenti
plessi: in uno si trovano 7 sezioni statali a tempo normale, nell'altro 1 sezione statale, 3
regionali e 2 comunali.
Un tale campo di indagine ha consentito, coerentemente con la prospettiva adottata,
un'analisi e una valutazione articolate su più piani e approfondite. L'indagine è stata
portata avanti nel corso di due anni scolastici (1995/96 e 96/97) e ha previsto
l'utilizzazione di diversi strumenti:
- la SOVASI (Scala per l'Osservazione e la Valutazione della Scuola dell'infanzia), una
rating scale adattata per l'Italia da Ferrari e Gariboldi (1994) da un analogo strumento
statunitense (la ECERS di Harms e Clifford, 1980) e sottoposta a rigorose procedure per
accertarne la validità e l'affidabilità. Tale strumento permette di disegnare il profilo di
singole sezioni sulla base di indicatori raggruppati in aree di interesse specifiche,
secondo una prospettiva ecologica;
- la “Griglia della giornata educativa”, elaborata dal gruppo di ricerca dell'Università
di Pavia, attraverso la quale é possibile enucleare i modelli educativi che
caratterizzano la giornata scolastica dei bambini dai 3 ai 5 anni. In particolare, tale
strumento consente di "caratterizzare" gli eventi che costituiscono la giornata
educativa sulla base di specifici tratti (quali il tipo di attività, i partecipanti, le
modalità di gestione, le modalità sociali), e di qualificare le loro interconnessioni
all'interno di una dimensione temporale;
- interviste semistrutturate, condotte individualmente attraverso una metodologia "non
direttiva", in cui vengono esplicitati i vissuti e le opinioni delle insegnanti a partire dagli
ambiti osservati attraverso gli altri strumenti di indagine.
Mentre la SOVASI e la "Griglia della giornata educativa" sono state utilizzate in tutte
le 13 sezioni di scuola dell'infanzia del C. D. Montegrappa, le interviste sono state
condotte solo con i 9 insegnanti che, su un totale di 21, hanno liberamente accettato di
partecipare. Il coinvolgimento dei docenti è stato attuato attraverso un percorso di
informazione/formazione che prevedeva una presentazione approfondita della
prospettiva teorica di riferimento e di tutti gli strumenti adottati e l'esplicitazione degli
obiettivi del lavoro, nonché una partecipazione attiva (anche attraverso l'uso in prima
persona della SOVASI) e una riflessione a livello di gruppo relativamente a tutte le fasi
della ricerca. In una tale ottica, ha avuto una grande importanza la restituzione puntuale,
all'intero gruppo docente, dei dati via via raccolti, che ha consentito di attuare un
percorso circolare di osservazione, riflessione e inizio di revisione dell'esistente in
relazione ai problemi emersi.
La raccolta di dati e informazioni di tipo diverso e la loro integrazione in una
valutazione complessiva ha consentito di ottenere un quadro ricco e sfaccettato del
contesto scolastico osservato e della qualità della sua offerta formativa. Sono emerse
forti analogie tra quanto rilevato per mezzo di strumenti diversi: accanto a una totale
inadeguatezza delle strutture, degli spazi e dei mezzi rispetto ai bisogni dei bambini e
degli adulti, sono stati evidenziati grossi problemi di relazione tra le insegnanti (acuiti
dall'appartenenza a tre tipologie di scuola differenti) e l'assenza di un "assetto di lavoro"
nel gruppo docente; questo sembra evidenziato dalla mancanza di criteri comuni e di un
progetto educativo condiviso, da una forte disomogeneità relativamente alla qualità
dell'offerta formativa tra sezione e sezione, da un senso di solitudine e demotivazione a
livello individuale e da difficoltà nello scambio con le famiglie. Per quanto riguarda i
modelli della giornata scolastica e la qualificazione degli episodi educativi, emerge un
modello di scuola dell'infanzia principalmente di tipo ludico/scolastico (ludico vs
scolastico) in cui si attribuisce valore didattico soprattutto alle attività dirette dall'adulto
(finalizzate principalmente ad apprendimenti di tipo cognitivo) e in cui i momenti ludici
e le attività informali non vengono intenzionalmente utilizzati a fini formativi. La
dimensione sociale viene lasciata alla "spontaneità" e all'immediatezza e, in genere, non
viene investita da alcun intervento mirato o da alcuna mediazione consapevole da parte
delle insegnanti. Le routine costituiscono la struttura portante della giornata, che per il
resto appare caratterizzata da una grande frammentarietà, sia rispetto al "caotico"
alternarsi di eventi di vario tipo sia rispetto alla continuità didattica tra le attività. In
positivo, si rileva nell'insieme, all'interno delle singole sezioni, un clima sociale
piuttosto buono, caratterizzato da una notevole affettività e da numerosi e ricchi scambi
comunicativi tra insegnante e bambini a livello informale.
Rispetto alla ricaduta in termini operativi sulla scuola del processo valutativo, si è
assistito a un miglioramento della circolazione delle informazioni e a uno sviluppo degli
scambi comunicativi anche in merito alla dimensione lavorativa; inoltre, alla luce dei
bisogni emersi e riconosciuti, è stata formulata dal gruppo una esplicita e condivisa
richiesta di formazione mirata. Nel corso del secondo anno di lavoro si sono verificati,
in alcune sezioni, cambiamenti metodologici e organizzativi all'interno della giornata
educativa, in parte ostacolati, tuttavia da problemi intervenuti a livello istituzionale (un
cambio di dirigenza, la chiusura di alcune sezioni e il trasferimento forzato di un terzo
delle insegnanti).
Autore Raimonda Morani
Titolo Scrivere storie e filastrocche: narrazione e versificazione in bambini di scuola
elementare
Data a. a. 1989-90
Tutor Clotilde Pontecorvo, Lydia Tornatore
Abstract Presentazione del problema
Quali metodi e percorsi didattici può utilizzare la scuola elementare per sollecitare la
scrittura creativa?
Fiabe e storie sono generi che si sviluppano in particolare nelle culture orali. Tuttavia
anche nelle civiltà caratterizzate dalla scrittura svolgono un ruolo importante perché
sono forme attraverso le quali si rinsalda il gruppo, si trasmettono valori, si organizzano
esperienze, si offrono interpretazioni dei fatti umani e sociali. In epoca recente ricerche
psicologiche di vario orientamento si sono ripetutamente occupate del problema della
narrazione. Per un verso è stata dedicata particolare attenzione alla grammatica delle
storie come struttura ricorrente che facilita i processi di comprensione e di ricordo degli
eventi umani; per un altro le correnti più interessate allo sviluppo emotivo hanno
rilevato come le narrazioni, soprattutto nella forma più tradizionale della fiaba, siano
veicoli privilegiati per la comunicazione di emozioni e sentimenti.
Procedura della ricerca
A partire da queste ed altre considerazioni, si è ritenuta la produzione di storie e di
filastrocche un ambito privilegiato per 10 studio della scrittura creativa infantile.
La ricerca si propone infatti di:
1) indagare sul processo che va dall'ideazione alla stesura del testo di una storia;
2) individuare l'azione di quei modelli letterari e popolari che, a volte, guidano la
produzione dei testi infantili;
3) descrivere la nascita della versificazione come genere differenziato dalla prosa e la
progressiva acquisizione dei meccanismi ritmici, metrici e melodici che caratterizzano il
linguaggio poetico;
4) elaborare una serie di proposte didattiche per la sollecitazione delle abilità
espressive scritte dei bambini di scuola elementare.
La procedura utilizzata nella ricerca è di tipo osservativo: la scrittura creativa è stata
studiata in contesti controllati ed è stato confrontato l'effetto di stimoli diversi (iconici e
verbali). Per lo studio delle tipologie dei processi e dei prodotti dello scrivere storie e
filastrocche si è prevalentemente utilizzata un'analisi qualitativa.
Risultati della ricerca
Dall'analisi del materiale raccolto risulta che:
- non sempre i bambini scrivono di getto ma, come scrittori esperti, rimaneggiano ciò
che hanno ideato attraverso un lavorio che può assumere valore stilistico;
- il comico e 1'uso della "logica fantastica" sono assenti dalle produzioni dei bambini
di seconda elementare mentre compaiono nel testi di quelli di quarta;
- mentre le storie dei più piccoli risultano caratterizzate da un maggior egocentrismo e
dalla difficoltà a tenere presenti contemporaneamente diversi punti di vista, quelle
dei più grandi sono caratterizzate da una maggiore “oggettività narrativa”.
Altro risultato della ricerca è l'elaborazione di uno strumento d'analisi delle
filastrocche che permette di classificarle, in base agli aspetti formali del testo, dalle più
semplici alle più complesse e d'individuare la nascita del verso e del linguaggio poetico
come genere diversificato dalla prosa.
Quanto alle implicazioni didattiche emerge, infine, che la scrittura creativa si giova
di una complessa serie di condizioni (per esempio la varietà degli stimoli, una lettura
sistematica di testi di vario genere fatta dall'insegnante alla classe, la possibilità di
interagire in coppia, la libertà di scelta dell'argomento, del quando e di quanto a lungo
scrivere da parte del bambino) senza le quali appare difficile il suo sviluppo.
Autore Antonella Nuzzaci
Titolo Musei, visita guidata e apprendimento: una ricerca sperimentale nel settore
demoetnoantropologico
Data a. a. 1998-99
Tutor Maria Corda Costa, Mauro Laeng
Abstract L’indagine è rivolta all'approfondimento delle tematiche riguardanti il rapporto
scuola-museo - in particolare la comprensione delle relazioni tra museo e istruzione,
tra didattica della scuola e didattica dei musei - e ha analizzato in modo specifico
l'apprendimento in contesto museale. Pertanto, questo lavoro risulta costituito da tre
parti: una prima di impianto teorico; una seconda prevalentemente conoscitiva e
descrittiva tendente ad indagare il rapporto scuola-museo; una terza più propriamente
sperimentale, centrata sull'apprendimento e sul ricordo dell'esperienza della visita in
un museo demoetnoantropologico.
Prima parte
A partire da un'attenta analisi delle fonti bibliografiche disponibili e uno spoglio
della specifica letteratura scientifica, sono state messe a fuoco le problematiche centrali
riguardanti il problema della didattica museale in Italia e i rapporti tra didattica
generale, museale e museale di settore (corredati dalla stesura una bibliografia completa
e aggiornata).
Seconda parte
Alla luce di un rigoroso approccio scientifico, nella seconda parte della ricerca, si è
tentato di cogliere le difficili implicazioni della relazione scuola-museo, dando corso a
una indagine che si è svolta parallelamente su tre versanti distinti:
l. la scuola: sono stati intervistati un campione di insegnanti di scuola elementare, media
inferiore e superiore operanti nelle scuole del Comune di Roma;
2. il museo: sono stati intervistati i direttori dei musei demoetnoantropologici della
regione Lazio e della Toscana;
3. il repertorio delle figure professionali: sono stati intervistati coloro che svolgono
servizio di promozione culturale e didattica o esperti del settore che, direttamente o
indirettamente, operano in materia di azione educativa e culturale all'interno della
regione Lazio.
Attraverso un'indagine mirata e servendosi di strumenti appropriati, sono stati
descritti, da una parte, gli obiettivi e le tipologie dei programmi educativi dei musei e,
dall'altra, le modalità e le forme tipiche con cui la scuola si accosta a questi ultimi. Al di
là della semplice dichiarazione di principio, la specificità del ruolo educativo del museo
e delle sue collezioni, così come le relazioni stabilite tra i due partner, scuola e museo,
si sono rivelati ancora un discorso aperto. Infatti, spesso i rapporti tra istruzione e
museo sono stati ridotti a mere dichiarazioni d'intenti, dichiarazioni abilmente
giustificate dall'attuale utilizzazione sociale dei saperi, utile/non utile, formale/non
formale. Se è un dato ormai acquisito che la funzione didattica rientri nei compiti
istituzionali del museo, resta però ancora da chiarire sia le forme dominanti attraverso le
quali essa si esprime, sia il pubblico che partecipa a queste proposte e a questi
programmi. La fase dell'indagine ha previsto, proprio in questo senso, una esplorazione
sia delle tipologie e dei modelli di didattica dei musei demoetnoantropologici (didattica
museale di settore) del Lazio e della Toscana, sia dell'utilizzazione, da parte degli
insegnanti, del museo a fini didattici. Inoltre, ha tenuto conto delle figure professionali
del settore che, indirettamente o direttamente, incidono sulla qualità della definizione
della proposta didattica; sono state previste in tal senso, infatti, una serie di interviste a
un "corpus di giudici".
Questa seconda parte della ricerca ha avuto il duplice obiettivo: quello di soddisfare
le necessità conoscitive ed interpretative del fenomeno scolastico (uso didattico del
museo a scuola) e del fenomeno museale (didattica dei musei demoetnoantropologici)
all'interno di una precisa realtà territoriale (quella romana). Il modello di analisi
sviluppato consente di stabilire se e in quale misura esista un rapporto scuola-museo a
Roma, con particolare riguardo al settore demoetnoantropologico.
Si è tentato di tenere conto di due livelli di lettura nella descrizione della domanda e
dell'offerta didattico-museale: il livello della domanda, cioè la richiesta di utilizzo
didattico del museo da parte della scuola, e il livello dell'offerta, cioè l'attività didattica
intesa come servizio previsto/offerto dalle istituzioni museali. Si è tentato così di
comprendere il rapporto scuola-museo rispetto alla direzione, al mutamento e alle
caratteristiche che esso va assumendo senza perdere di vista la realtà propria dei
singoli operatori che si muovono alla ricerca di un proprio ruolo da protagonisti, con
identità, obiettivi e procedure diverse, spesso assunti senza piena consapevolezza dei
confini del sistema in cui si collocano.
L’analisi di realtà complesse e in costante evoluzione, come la scuola e il museo,
hanno reso necessario predisporre strumenti conoscitivi integrati, finalizzati alla
costituzione di sistemi informativi su ambiti specifici tali da delimitare la complessità
del problema, nonché di strumenti che consentissero ai singoli soggetti che si occupano
di didattica museale di identificare la propria posizione rispetto agli altri, di definire le
proprie competenze.
La didattica museale è stata, quindi, considerata secondo un’ottica tripartita:
intendendo la scuola come soggetto fruitore del museo e protagonista delle iniziative di
coordinamento e di valorizzazione dei beni museali; intendendo il museo come
produttore di servizi didattici; intendendo il "corpus di giudici" come insieme di
osservatori privilegiati e coautori della qualità della proposta didattica.
I risultati della ricerca dimostrano come ancora oggi venga riservato al rapporto
scuola-complesso di testimonianze culturali museali (artistiche, storiche, archeologiche,
demoetnoantropologiche ecc.) un ruolo largamente inadeguato, sia per le potenzialità
del museo sia per le esigenze di formazione dell'allievo, nelle diverse fasce di età. Si
deve prende atto che il problema del bene musealizzato non viene recepito da parte
della scuola nella sua dimensione più naturale, ovvero innanzitutto come capacità di
trarre godimento culturale dall'incontro con gli oggetti. Ne consegue che mancano
ancora delle strategie educative che aiutino l'allievo a crescere in questa dimensione, a
partire dalle esperienze più semplici, verso quelle più complesse. L'esperienza della
visita al museo è ancora lontana dall'essere una pratica consolidata e razionalizzata.
Si nota, infatti, un orientamento della politica educativa del museo tendente a
proporre delle attività didattiche spesso non sottoposte a procedure di controllo dal
punto di vista della qualità della ricaduta cognitiva. Le proposte didattiche appaiono
indifferenziate per i tipi di pubblico a cui sono dirette e le visite scolastiche al museo si
rivelano episodiche e fuori dalla logica di un'attività programmata collegialmente.
Anche se oggi, quindi, la cooperazione scuola-museo si inscrive più chiaramente nei
programmi scolastici, il duplice fenomeno dell'attenzione prestata al museo come
azione e supporto pedagogico e della sacralità assegnata dagli insegnanti alla cultura
del museo concorre ad occultare la dissociazione che si opera tra i sistemi di valore e
le logiche eterogenee dell'azione. La relazione scuola-museo presenta una ambiguità di
fondo, che investe il riconoscimento delle forme didattiche, la natura delle relazioni tra
insegnanti ed operatori museali, ma soprattutto lo statuto accordato alla cultura
museale.
Terza parte
L’esplorazione iniziale ha consentito di individuare il funzionamento e i caratteri
costitutivi del rapporto scuola-museo, prendendo a riferimento il caso della realtà
romana (e delle due regioni interessate nell'indagine), e soprattutto di elaborare alcune
ipotesi in senso sperimentale. La ricerca sperimentale condotta nel settore
demoetnoantropologico, mirata allo studio dell'apprendimento in contesto museale,
s’incentra sull'impatto della visita guidata al museo sul piano dell'apprendimento e sul
ricordo dell'esperienza museale, quest'ultimo inteso come indicatore della comprensione
del messaggio museale. L'esperienza ha trovato realizzazione presso il Museo Nazionale
delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma.
L'esperimento, con cui si è tentato di validare un modello di visita guidata con
pubblico scolastico (allievi del secondo ciclo della scuola elementare), ha fatto
emergere che non si può stabilire in astratto la qualità dell'esperienza museale, ma che è
necessario creare le condizioni perché da tale esperienza emerga una precisa
funzionalità; in altri termini, è necessario che il museo venga percepito come
opportunità per il consolidamento dell'esperienza e per il soddisfacimento delle esigenze
individuali, da cui trarre vantaggio.
È stata prevista una precisa modalità di conduzione di "visita guidata" centrata sul
carattere selettivo e tematico della proposta, su una strategia di lettura appropriata
dell’oggetto, mirante al controllo dell'informazione e della comunicazione didattica
all'interno del museo, cioè sulle condizioni favorevoli che concorrono a determinare una
corretta lettura dell’oggetto museale.
Nello specifico, l'obiettivo della ricerca consisteva nel capire se, a partire da un
modello di visita guidata condotta in un museo di tipo demoetnoantropologico, potesse
essere migliorato l'apprendimento sia del singolo oggetto sia dell'intero percorso di
visita e potesse essere incrementato il ricordo dell'esperienza a distanza di quattro mesi
da essa tramite l'adozione di un preorientamento cognitivo e topografico (predisposto
secondo le indicazioni ricavate dalla letteratura scientifica), che orientasse
concettualmente l'allievo, affiancato alla proiezione di un filmato, che avesse lo scopo
di ricondurre, al momento della visita, l’oggetto al suo contesto di provenienza
concentrando la lettura sugli aspetti materiali e funzionali dell'oggetto stesso. Tale
modello di visita teneva conto dell'ambiente museale inteso come ambiente percettivo e
come spazio concettuale, consentendo l'osservazione diretta e accurata degli oggetti e
della loro rappresentazione mentale.
A proposito dell’apprendimento al museo e del ricordo dell’esperienza, i risultati
mostrano lo stretto legame che esiste tra trattamento, apprendimento e consolidamento
di questo apprendimento a distanza di tempo, ma soprattutto che, anche quando in
assenza di trattamento si predilige un percorso razionalizzato (selettivo e tematico),
esiste la possibilità di un incremento della comprensione. Lo studio dimostra,
comunque, che il trattamento, così come previsto nella sperimentazione, facilita la
ritenzione dell'informazione e garantisce una migliore comprensione dell'oggetto e
dell'intero itinerario; fa emergere, inoltre, l'importanza che il patrimonio percettivo
assume nella decodifica del messaggio museale. I risultati della ricerca mostrano
l’efficacia del trattamento nell'interazione dei due fattori (Preorientamento e Filmato),
ma evidenziano la maggiore efficacia dello stimolo Filmato rispetto a quello
Preorientarnento. Il Preorientamento si rafforza solo nel momento in cui trova l'azione
“rinforzante” del Filmato, tanto che, se è sicuramente un elemento che contribuisce ad
accrescere la comprensione del percorso di visita, non è di per sé sufficiente a garantirne
la conservazione nella memoria. Lo stimolo visivo, il Filmato, assume un aspetto
dominante anche e soprattutto nella dimensione e nella qualità del ricordo.
Imparare al museo non soltanto attiva processi cognitivi, ma costituisce un'attività
che si svolge in un contesto di interazione sociale culturalmente mediata dai rapporti
attraverso cui si esplica, caratterizzata anche in senso spaziale e fisico da comportamenti
legati agli oggetti e agli ambienti in cui avviene l'apprendimento. Al fine di
schematizzare le conclusioni raggiunte è stato fatto ricorso ad una sintesi finale con il
bilancio dei risultati per ogni parte della tesi.
Autore Francesco Oman
Titolo Orientamento scolastico e professionale con particolare riferimento alla scuola
dell’obbligo: percorsi di studenti e consigli di orientamento
Data a. a. 1996/97
Tutor Maria Corda Costa, Aldo Visalberghi
Abstract La ricerca condotta in questa tesi di dottorato, sul piano teorico e sul piano della
ricerca empirica, riflette la complessità del problema dell’orientamento e la presenza di
nodi critici e di aporie fortemente condizionanti l’impostazione delle problematiche
dell’orientamento a scuola.
Il lavoro sperimentale svolto ha riguardato una rilevazione longitudinale di dati
relativi alla carriera scolastica di studenti nel passaggio dalle scuole medie alla scuola
secondaria superiore. Il gruppo di studenti sottoposti a rilevazione ha raggiunto le 550
unità e proveniva dal territorio del Distretto scolastico XXXVII, nella zona dei Castelli
romani, in provincia di Roma.
Sono stati raccolti ed analizzati dati su studenti tramite un questionario, articolato in
più sezioni, che comprendeva informazioni relative alla carriera scolastica, alle scelte
scolastiche, a variabili di sfondo socio economiche, a indicatori di cultura familiare.
Inoltre sono stati rilevati ed analizzati dati relativi al profitto scolastico così come in
quegli anni scolastici (1994/95 e 1995/96) venivano annotati negli strumenti di
valutazione in vigore (“Nuova scheda di valutazione per la scuola media”), con
particolare attenzione alle informazioni suscettibili di avere una rilevanza particolare
l’orientamento come: consiglio di orientamento, osservazioni sulle attitudini, la
personalità scolastica, gli stili di apprendimento.
I dati sulle valutazioni degli insegnanti e in particolare i consigli di orientamento
sono stati confrontati con le scelte degli studenti rispetto all’iscrizione nella scuola
secondaria superiore, e l’accordo o il disaccordo sono stati considerati rispetto al
successo scolastico o all’insuccesso nella scuola superiore.
Accanto alla rilevazione di dati, il lavoro di dottorato si è articolato su vari nodi
critici del concetto e della pratica scolastica dell’orientamento. In particolare è stato
illustrato il percorso concettuale che ha portato da un paradigma di orientamento basato
principalmente sul costrutto di attitudine ai paradigmi basati su interessi, aspetti socio
culturali, approccio dello sviluppo vocazionale e comunque verso un’impostazione
multifattoriale e interdisciplinare dell’analisi del problema della scelta scolastica.
Nella rassegna dei punti di vista e delle teorizzazioni è stato assunto il punto di vista
sociologico per l’analisi del sistema scolastico, della sua produttività, dei fattori che
influenzano il successo, la selezione, il condizionamento, la disuguaglianza delle
opportunità formative.
Dal punto di vista economico e del mercato del lavoro sono state analizzate le
caratteristiche della disoccupazione giovanile, della mobilità sociale legata al titolo di
studio e alla professione.
Sul sistema scolastico sono state effettuate osservazioni e analisi dei dati statistici
disponibili relativi alla distribuzione degli studenti nei diversi ordini e gradi
dell’istruzione e nelle diverse tipologie di scuola secondaria superiore.
L’insieme delle osservazioni ha rivelato la necessità di prendere in considerazione
l’orientamento nella scuola media come lo snodo ancora fondamentale nell’attuale
sistema scolastico italiano.
Il consiglio di orientamento risulta debole e astratto rispetto alla considerazione dei
fattori individuali e delle risorse familiari e ambientali. Inoltre il consiglio risulta
fortemente legato al livello di profitto scolastico dello studente e quindi risulta
fortemente predittivo dell’esito scolastico nella scuola secondaria superiore. I consigli di
orientamento meno seguiti sono quelli relativi all’indicazione di percorsi formativi
nell’istruzione e nella formazione professionale.
Il questionario somministrato ha consentito una descrizione delle caratteristiche degli
studenti coinvolti nella ricerca: il livello socio economico e il grado di cultura familiare
sono risultati più elevati rispetto a dati di confronto nazionali. Sulle scelte scolastiche
sembrano avere più influenza il grado di cultura della madre, mentre sulle scelte
professionali esercita maggiore influenza la professione paterna.
La ricerca mette in evidenza la necessità di procedere in ricerche di tipo
longitudinale, per la ricchezza di informazioni rilevabili. Ciononostante in tali ricerche
la mortalità del campione risulta decisamente elevata. Questo dipende anche dalla
mancanza di strumenti istituzionali per la rilevazione dei dati sulle carriere scolastiche
degli studenti e dalla sensibilità dei dati richiesti. In molte istituzioni scolastiche la
tutela della privacy degli studenti ha costituito un vero ostacolo al procedere
dell’indagine.
Autore Margherita Orsolini
Titolo Conversare, narrare, comprendere: una ricerca sperimentale nella scuola dell'infanzia
Data a. a. 1986-87
Tutor Maria Corda Costa, Clotilde Pontecorvo, con la collaborazione di Lucia Lumbelli
Abstract 1. Conversare, narrare, comprendere: quale influenza può esercitare la scuola nello
sviluppo di queste complesse abilità linguistiche? A questa domanda la ricerca condotta
intende fornire una risposta.
2. Molte ricerche hanno indagato sul tipo di “ambiente linguistico” tipicamente offerto
da scuole dell'infanzia organizzate in modo tradizionale: ne emerge che i bambini a
scuola hanno soprattutto occasione di acquisire le regole conversazionali tipiche
dell’“essere allievi”; il tipo di situazioni e di ruoli comunicativi che i bambini
esperiscono nell'ambiente scolastico è però di gran lunga meno vario e complesso di
quello che essi hanno in genere occasione di sperimentare nell'ambiente familiare.
3. Da queste considerazioni è partita la ricerca sperimentale, che ha tre principali
finalità:
3.1) elaborare una serie di organiche proposte didattiche per l'educazione linguistica
nella scuola dell'infanzia, rivolte a bambini di 4-5 anni, che si propongono di fornire
condizioni favorevoli per la padronanza di alcune competenze “cruciali”: conversare,
narrare e comprendere storie ;
3.2) fornire una descrizione e proporre interpretazioni delle competenze individuali, in
un'età cruciale per lo sviluppo di più complesse abilità linguistiche, qual è quella tra i 4
e i 5 anni;
3.3) indagare sull'impatto che le innovazioni didattiche realizzate esercitano, nei
confronti delle abilità linguistiche considerate.
4. La ricerca ha utilizzato sia procedure sperimentali (somministrazione di pre-test e
post-test, confronto tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo), sia procedure
osservative, al fine di chiarire:
a) la maggiore efficacia delle attività didattiche sperimentali, rispetto alle tradizionali
attività linguistiche effettuate nella scuola dell'infanzia;
b) l'influenza di diversi contesti comunicativi nell'uso e nell'acquisizione di competenze
linguistiche nei bambini.
5. Per le competenze di narrazione e di comprensione di storie, emergono differenze
significative tra il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo, e significativi
cambiamenti evolutivi. Le competenze conversazionali, descritte attraverso
l'osservazione di svariati contesti, si sono rivelate sensibili a tre principali tipi di
variazioni: presenza dell'adulto (versus interazione verbale tra pari); strategie
conversazionali usate dall'insegnante; contenuto del discorso (discorsi sulla “realtà”
versus discorsi sulla “possibilità”).
Autore Gisella Paoletti
Titolo Apprendere da testi nella scuola media superiore: l'effetto delle modalità di
riformulazione scritta
Data a. a. 1993-94
Tutor Lucia Lumbelli, Clotilde Pontecorvo
Abstract L’indagine rappresenta un esame delle prospettive euristiche dell'applicazione di
concetti e procedure derivanti dalla psicologia cognitiva - sia di base sia applicata
all'educazione - a un tema classico della riflessione pedagogica, quale il significato del
ruolo attivo dell'allievo nel processo educativo e didattico. Dalla ricerca si ricavano
ipotesi di lavoro che ribadiscono l'importanza di questo principio dal punto di vista della
qualità della relazione educativa e dell'efficacia dell'approccio didattico. Ne viene
inoltre suggerita una formulazione che è sufficientemente precisa da garantirne
un'applicazione sistematica e generalizzata, almeno nell'ambito dell'apprendere a
studiare, con l’obiettivo di conciliare il ruolo attivo ed autonomo dell'allievo nel
processo di studio/apprendimento con la determinazione di precise strategie per regolare
tale processo, incoraggiare l'autonomia degli allievi e contemporaneamente fornire loro
regole procedurali che garantiscano il successo sul piano cognitivo, comunicare
all'allievo precise suggestioni operative senza per questo scoraggiare pratiche di attività
mentale indipendente nell'applicazione di quelle suggestioni stesse.
L'ipotesi principale della ricerca era che l'efficacia dello studio di un argomento,
attraverso un gruppo di testi destinati a dare informazioni su di esso, sia influenzata in
modo significativo dallo scrivere appunti che implichino una riformulazione di quei
testi stessi. A un gruppo di studenti dell'ultimo anno di scuola media superiore è stato
chiesto di studiare utilizzando questa forma di appunti mentre a un altro gruppo,
bilanciato rispetto al primo per abilità di comprensione verbale e conoscenze
sull'argomento dei testi, è stato chiesto di limitarsi a sottolineare le parti dei testi che
sembrava importante ricordare. L'efficacia della riformulazione è stata confermata. Con
un'analisi dei vari livelli di riformulazione identificabili nei protocolli dei soggetti, è
stato altresì accertato un vantaggio statisticamente significativo dei microriformulatori
rispetto ai macroriformulatori e sono stati ottenuti altri rilevanti risultati.
Nella fase preliminare della ricerca sono stati controllati i quesiti destinati ad
accertare gli effetti dello studio e sono stati sottoposti a varie forme di analisi i testi
stessi, con lo scopo di identificare le eventuali difficoltà di comprensione e procedere
alla loro eliminazione mediante riscrittura. Si è inteso così ridurre il più possibile
l'influenza delle abilità di comprensione dei testi sugli effetti dello studio. Il lavoro di
ricerca nel suo complesso ha segnalato:
1. il ruolo determinante che il primo impatto con il testo da studiare, o text processing,
ha nei confronti dei processi successivi e quindi la pertinenza della ricerca sulla
comprensione e comprensibilità dei testi nei confronti della definizione delle
strategie di studio;
2. la molteplicità dei modi in cui la memoria può incidere nelle varie fasi del processo
di studio e la conseguente pertinenza e rilevanza del controverso stato delle teorie
sul rapporto tra comprensione e memoria di testi nei confronti della ricerca sulle
strategie di apprendimento;
3. le condizioni alle quali l'uso della scrittura può essere assunto come variabile
indipendente incisiva rispetto ai risultati del processo di studio: da una parte il nesso
fondamentale tra rielaborazione attiva nel corso dello studio ed efficacia dello studio
stesso e dall'altra parte la necessità di progredire nel dettagliare la definizione delle
forme di scrittura che vanno utilmente assunte come variabile in questo campo di
ricerca;
4. la prospettiva euristica di ulteriori, più accurate distinzioni di livelli o tipi di
riformulazione come base di una progressiva precisazione delle strategie di studio
efficaci, prospettiva che emerge dai problemi lasciati aperti dalla ricerca fin qui
condotta, quale soprattutto la determinazione dei tratti processuali che consentano di
contraddistinguere con chiarezza la riformulazione scritta più efficace, ossia il modo
più efficace di prendere appunti (quali sono le condizioni alle quali le riformulazioni
microstrutturali risultano più efficaci di riformulazioni scritte che corrispondano ad
elaborazioni cognitive più complesse?);
5. una serie di questioni procedurali che possono e devono essere affrontate nella
ricerca sulle abilità di studio e sono relative non solo alla variabile indipendente
(criteri di categorizzazione delle riformulazioni) ma anche alla variabile dipendente,
e cioè ai criteri per identificare le informazioni cui mirare nelle prove di profitto e
per formulare i relativi quesiti.
Autore Furio Pesci
Titolo Istituti di accoglienza per adolescenti e atteggiamenti verso valori e disvalori
Data a. a. 1993-94
Tutor Giovanni Cacioppo, Maria Corda Costa
Abstract II lavoro ha avuto per obiettivi, da un lato, la ricognizione qualitativa di
caratteristiche rilevanti nella struttura organizzativa delle comunità d'accoglienza per
adolescenti in difficoltà, dall'altro, lo studio di alcuni aspetti dello sviluppo dei minori
interessati da provvedimenti giudiziari in ambito civile e penale (affidamento,
sospensione temporanea o definitiva della potestà genitoriale, condanne per piccoli
reati), in particolare nell'area del cosiddetto "ragionamento morale", alla luce delle
teorie di Piaget e Kohlberg. In particolare, si è tentato di verificare l'ipotesi che vi siano
differenze significative nel ragionamento morale di ragazzi con vicissitudini esistenziali
tali da interromperne o impedirne la "normale" vita in famiglia, rispetto a coetanei che
vivono "normalmente" con i propri genitori.
Allo scopo di acquisire conoscenze sufficientemente approfondite sulle comunità è
stato costruito un questionario da sottoporre agli operatori e ai responsabili delle
strutture operanti sul territorio delle tre aree metropolitane scelte per l'indagine. In vista
dell'analisi del ragionamento morale degli adolescenti è stato costruito un questionario
ispirato, anche nella struttura e nelle tecniche di somministrazione e verifica dei
risultati, ad analoghi lavori già compiuti utilizzando le teorie e gli strumenti proposti da
Kohlberg e collaboratori.
Nell'impossibilità pratica di comporre un campione significativo di minori ospitati
nelle comunità d'accoglienza, mancando dati statistici aggiornati e attendibili ed essendo
la maggior parte dei dati necessari soggetta alla secretazione giudiziaria, si è proceduto,
sulla base dei dati disponibili, ad individuare tre aree metropolitane qualitativamente
significative delle notevoli differenze presenti sul territorio nazionale nella risposta al
disagio e nell'attuazione della legge-quadro sull'affidamento (L. 184/1983): Torino,
tipico esempio di servizi per infanzia e adolescenza aggiornati e sostanzialmente al
passo con le esigenti indicazioni della normativa; Roma, territorio ampio e complesso,
ricco di realtà contraddittorie (compresenza di case-famiglia di notevole efficienza e di
istituti tradizionali ancora affollati); Palermo, al tempo area fortemente arretrata nelle
modalità d'intervento che privilegiavano il ricovero dei minori "abbandonati" in istituti
di vecchio stampo, eredi diretti degli orfanotrofi, a causa della pressoché totale assenza
di famiglie affidatarie e di case-famiglia. In queste tre città, in base al criterio della
"popolazione raggiungibile", sono stati somministrati i due strumenti agli
operatori/responsabili e agli ospiti presenti nelle comunità al momento della visita, in
collaborazione con gli enti locali che hanno fornito gli elenchi delle strutture in attività.
Nelle tre città, inoltre, per quanto riguarda la rilevazione sul ragionamento morale sono
stati composti “judgment samples” di studenti coetanei dei ragazzi raggiunti nelle
comunità (12-18 anni), ai quali è stato somministrato lo stesso questionario proposto
nelle comunità. Complessivamente, sono stati raggiunti circa 500 minori ospiti di
comunità d'accoglienza e circa 1000 studenti di scuole secondarie inferiori e superiori
(queste ultime dello stesso ordine di quelle frequentate dai ragazzi delle comunità).
La ricerca è stata realizzata sulla base di un disegno di tipo quasi-sperimentale
("static-group comparison" tra due campioni) individuando come "trattamento" il
passaggio nelle comunità d'accoglienza e confrontando i soggetti per sesso e per gruppi
di età. L'analisi dei risultati, attraverso applicazioni di statistica non parametrica (test
chi-quadro ecc.), ha permesso di concludere che l'ipotesi di partenza, rispetto
all'applicazione delle teorie di Piaget e Kohlberg, non era stata verificata. Non sono
state individuate differenze significative ed univoche nel ragionamento morale tra
ragazzi delle comunità e studenti delle scuole secondarie loro coetanei. Piuttosto sembra
possibile avanzare l'idea, già affermata da un collaboratore di Kohlberg, James Rest, che
gli stadi di sviluppo descritti in questa teoria non seguano una sequenzialità lineare, ma
piuttosto siano compresenti costantemente nelle persone in età evolutiva e legati a
particolari sfere della vita pratico-morale.
Autore Elena Picchi Piazza
Titolo L’educazione al conoscere storico nella scuola dell'adolescenza: sperimentazione di
unità didattica in classi liceali
Data a. a. 1986-87
Tutor Maria Corda Costa, Nicola Siciliani de Cumis
Abstract È possibile, a livello di scuola secondaria superiore, organizzare l'insegnamento della
storia così da riuscire a trasmettere il complesso delle abilità che producono il “sapere in
storia” (intese in termini di processi cognitivi che sono in atto nella ricerca),
contribuendo ad un più completo sviluppo della intelligenza?
Ricerche sullo sviluppo dei processi cognitivi nell'arco di età a partire dai sedici anni
ai 18/20 hanno messo in luce l'esistenza, oltre il “pensiero dell'adolescente”, di un
“pensiero adulto”, caratterizzato da una capacità inferenziale ad ampio raggio e da
un'abilità di connessioni interdisciplinari.
Ricerche di psicologia educativa hanno inoltre sottolineato il ruolo che
l'apprendimento di diversi e specifici campi disciplinari, oltre alle “conoscenze esatte”
(e tra questi lo studio della storia) possono svolgere sull'evolversi delle strutture
cognitive.
Intendendo la conoscenza storica come conoscenza “quasi causale”, che ricostruisce
processi intenzionali avviati da individui o gruppi collocandoli all'interno di un
complesso quadro istituzionale, si ha che la storia appare disciplina di confine, posta tra
le scienze dell'uomo e le discipline “umanistiche” (artistico-letterarie), disciplina che
attua un'integrazione tra i processi della “spiegazione”, che richiedono
generalizzazione-deduzione-verifica, e quelli della “comprensione”, che richiedono
l'uso di un pensiero “adduttivo”, capace di penetrare le intenzioni dei vari attori storici e
di ricondurre ad esse l'evolversi e l'intreccio dei fatti.
Rispetto a questo complesso di operazioni cognitive la scuola dell'adolescente appare
poco consapevole e poco attrezzata. Lo studio della storia che in essa si pratica è
sostanzialmente ripetitivo, manca (o è carente) la dimensione della ricerca, intesa come
attività di spiegazione-compresione-verifica, come capacità di confronto e di
valutazione e sintesi delle diverse prospettive, come capacità di riferimento
passato/presente e manca, inoltre, una prospettiva teorica {storico-critica ed
epistemologica).
Dall'analisi preliminare sono scaturiti i seguenti obiettivi della sperimentazione
didattica:
1. elaborare una metodologia d'insegnamento basata sulla ricerca, intesa come
approfondimento monografico di un argomento del programma sviluppato in modo
attivo (cioè portando lo studente a riprodurre le attività del laboratorio dello storico) e
critico (portandolo a riflettere su ciò che fa);
2. fornire agli insegnanti un modello flessibile di programmazione didattica, che possa
essere introdotto in diversi tipi di scuola secondaria, in diverse classi del triennio,
applicato a diversi argomenti del programma, infine un modello che possa suggerire
all'insegnante i modi per realizzare un'autonoma progettazione didattica. La proposta
didattica innovativa è costituita da un'unità didattica (sul tema “La rivoluzione
industriale in Inghilterra; diverse modalità di attuazione in Europa, con particolare
riferimento all’Italia post-unitaria”), strutturata in base all'approccio della
programmazione curricolare e del mastery learning.
La metodologia seguita per la verifica dell'ipotesi vedeva l'applicazione
dell'inferenza statistica (con tecniche parametriche e non parametriche) all'analisi dei
risultati di prove oggettive di profitto in storia attuando un duplice confronto: a)
intergruppo, sui dati in entrata e quelli in uscita di due gruppi (sperimentale e di
controllo) costituiti da classi terminali di un liceo classico e di due licei scientifici; b)
intragruppo, tra i dati in entrata e quelli in uscita di ciascuno dei due gruppi.
È stata condotta inoltre un'analisi qualitativa dei risultati di alcune prove scritte (un
tema in storia e delle schede di “lettura dei documenti”) svolte da alunni del gruppo
sperimentale.
Sono state infine analizzate le osservazioni fatte dagli insegnanti che hanno
somministrato l'unità didattica.
I risultati ottenuti hanno evidenziato differenze in positivo per il gruppo sperimentale
nelle abilità di analisi-sintesi-valutazione.
Effetti positivi del training didattico sono emersi inoltre per ciò che riguarda le
abilità di svolgimento del tema rispetto agli elementi della sistematicità, pertinenza,
specificità. Le prove di “lettura del documento” hanno evidenziato nei soggetti, in
uscita, abilità di analisi-comprensione-valutazione, mostrando la positività di queste
attività didattiche, sia per formare, sia per stimolare il gusto e l'interesse dell’indagine
storica.
Autore Anna Salerni
Titolo La comprensione lessicale attraverso l'analisi dei suggerimenti testuali
Data a. a. 1989-90
Tutor Maria Corda Costa, Lucia Lumbelli
Abstract Presentazione del problema
In questa ricerca di dottorato si esamina in che modo un lettore di fine scuola
dell'obbligo cerca di ricavare in un testo il significato di alcune parole sconosciute, o di
parole a lui note, almeno in via generale, che acquistano però un preciso significato in
un dato contesto. Si vuole quindi studiare quel procedimento che consente a chi legge di
ricavare il significato di alcune parole considerando i dati forniti dal testo, cioè le parole
e le frasi circostanti. Dati definiti “suggerimenti testuali”.
I testi considerati in questa ricerca sono di tipo espositivo, testi cioè con funzione
informativa, come ad esempio i manuali scolastici. Un lettore di fronte ad un testo
espositivo-informativo dovrà essere in grado di ricavare dal contesto linguistico il
significato specifico di una parola, utilizzando i suggerimenti linguistici presenti nel
testo che saranno introdotti attraverso un determinato intervento didattico.
Obiettivi della ricerca
Obiettivi di questa ricerca di dottorato sono pertanto:
1. misurare l'abilità lessicale di studenti di fine scuola d'obbligo nell'individuare il
significato di parole sconosciute, utilizzando i suggerimenti che possono essere
ricavati dal testo in cui sono inserite;
2. verificare sperimentalmente se un intervento didattico consistente in una serie di
sedute centrate ciascuna su un suggerimento testuale sia in grado di migliorare l'abilità
lessicale di studenti che presentano difficoltà nella comprensione delle parole;
3. analizzare le strategie cognitive seguite dagli studenti nel ricavare il significato di
parole non note in un testo;
4. fornire indicazioni per migliorare la comprensibilità di testi divulgativi tenendo conto
della facilità dimostrata dagli studenti nel riconoscere ed utilizzare i suggerimenti
testuali usati per definire il significato di parole sconosciute.
Metodologia seguita
Il lavoro di ricerca si è articolato in tre diverse fasi:
1a FASE
- Esame degli studi e delle ricerche condotte sulla comprensione lessicale in contesto e
del tipo di insegnamento lessicale proposto.
- Scelta e definizione dei suggerimenti testuali da utilizzare nella ricerca.
- Messa a punto dell'intervento didattico da sperimentare nella ricerca.
- Preparazione degli strumenti di misurazione da utilizzare nella ricerca.
2 a FASE
- Definizione del campione e sperimentazione.
3 a FASE
- Analisi statistica dei dati raccolti prima e dopo il trattamento.
- Esame dei dati raccolti nel corso del trattamento.
Il disegno sperimentale
Per verificare l'effetto dell'intervento didattico proposto è stato adottato un piano
sperimentale che prevede il confronto tra due gruppi equivalenti (sperimentale e di
controllo) ognuno composto da 24 studenti scelti in sei classi di III media di tre scuole
di Roma e Provincia. I soggetti che compongono il campione sono studenti poco abili
nella comprensione della lettura poiché, come dimostrato dall'esame della letteratura
in argomento, è a questo livello che si presentano maggiori difficoltà lessicali.
Ad entrambi i gruppi vengono somministrate le stesse prove di ingresso e di uscita
(prove di comprensione della lettura e prove di lessico) ma su un solo gruppo si è
fatto agire il fattore sperimentale. Gli studenti di questo gruppo sono stati impegnati
nella fase di trattamento per sette giorni consecutivi che prevedono la presentazione,
tramite schede, dei 5 suggerimenti testuali individuati (informazioni dirette,
sinonimi, esempi, elenchi di parole, informazioni indirette) e un lavoro sui testi di
verifica di quanto presentato teoricamente.
L 'ipotesi della ricerca è dunque che gli studenti del gruppo sperimentale, dopo aver
seguito un determinato percorso istruttivo, ottengano prestazioni migliori rispetto al
gruppo di controllo nel riconoscere il significato di parole utilizzando il contesto
linguistico.
Risultati ottenuti
L'abilità lessicale degli studenti è stata analizzata considerando sia i prodotti, cioè i
risultati ottenuti dai due gruppi alle prove di verifica somministrate prima e dopo il
trattamento, sia i processi da cui sono scaturiti quei prodotti, ossia i dati raccolti nel
corso del trattamento e che riguardano sia l'apprendimento dei suggerimenti da parte
degli studenti sia il tipo di intervento adottato dal conduttore.
Dal confronto statistico tra i risultati ottenuti dai due gruppi si rileva una differenza
significativa a favore del gruppo sperimentale. L'insegnamento proposto è risultato
quindi efficace nel migliorare l'abilità lessicale intesa come abilità di ricavare il
significato di parole sconosciute utilizzando il contesto linguistico in cui sono inserite.
Dall'esame dei dati accolti nel corso del trattamento, analizzando le interazioni con
gli studenti, è stato possibile ricavare indicazioni circa la procedura di insegnamento-
apprendimento verificatasi nel corso del trattamento. Si rileva così che gli studenti meno
abili non sono in grado di utilizzare autonomamente le schede proposte. Per essi è
necessario l'ausilio dell'insegnante o di un pari "esperto" che possa chiarire, precisare e
riprendere le informazioni date nelle schede.
Dall'analisi dei dati di processo è stato inoltre possibile raccogliere informazioni
circa il modo in cui gli studenti ricavano in un testo il significato di una parola ignota.
Da questi dati risulta che i suggerimenti testuali se sono collocati vicino alle parole non
note vengono riconosciuti e utilizzati dai lettori più facilmente per ricavare il
significato delle parole. La possibilità di identificare i suggerimenti cresce se i
suggerimenti usati per definire il significato delle parole sono direttamente segnalati
nei testi.
Per la formazione della competenza lessicale in contesto bisogna dunque tener conto
di tale risultato. Da una parte è bene programmare un intervento didattico che insegni
agli studenti ad andare oltre la struttura superficiale di un testo e a collegare
informazioni date in più luoghi del testo stesso. Dall'altra è bene tener conto di queste
difficoltà per la stesura di testi che siano effettivamente divulgativi. I suggerimenti
testuali se chiaramente segnalati nei testi dovrebbero infatti aiutare i lettori a superare le
difficoltà di tipo lessicale e quindi parte delle incomprensioni che di regola non
dovrebbero verificarsi nei testi divulgativi. Per produrre testi divulgativi, che siano cioè
effettivamente in grado di comunicare conoscenze, è bene dunque utilizzare quei
suggerimenti testuali che possono garantire la chiarezza e la comprensibilità dei testi
prodotti. Quei suggerimenti cioè che, in questa ricerca come in altre ricerche, risultano
facilmente riconosciuti dai lettori, anche e soprattutto da quelli che hanno maggiori
difficoltà di lettura.
Autore Patrizia Sandri
Titolo Rappresentazione del tempo convenzionale e ritardo mentale lieve: una ricerca su
allievi di scuola elementare
Data a. a. 1998/99
Tutor Clotilde Pontecorvo, Maria Serena Veggetti
Abstract Lo studio approfondisce le tematiche riguardanti la dimensione temporale, e, in
particolare, l’apprendimento dei sistemi di tempo convenzionale da parte di bambini,
normodotati e con ritardo intellettivo lieve, di II e IV classe di scuola elementare, e
risponde a sollecitazioni più volte espresse da parte di insegnanti e educatori di
indicazioni metodologiche su come intervenire didatticamente nel caso di allievi
normodotati con difficoltà di apprendimento o di allievi con deficit intellettivo, per i
quali l’acquisizione dei sistemi di tempo convenzionale sembra essere più o meno
completa o avvenire secondo modalità e tempi di apprendimento diversi.
Il lavoro svolto risulta costituito da tre parti: una prima parte teorica, una seconda più
propriamente sperimentale, una terza di analisi statistica dei dati raccolti.
I principali presupposti teorici sono stati desunti da contributi disciplinari diversi
(filosofici, psicologici, psicolinguistici e pedagogici) della letteratura nazionale e
internazionale. I sistemi di tempo convenzionale sono strumenti intellettuali
fondamentali per l’adattamento al proprio sistema sociale e naturale, e l’acquisizione
di uno schema di riferimento temporale decentrato e oggettivo è strettamente collegato
con lo sviluppo globale dell’identità personale; il bambino, sia esso "normodotato" o
con deficit intellettivo, è un soggetto attivo che interagisce con la realtà, con l'ambiente
sociale e culturale di appartenenza, condizionato dal modello di tempo elaborato nei
secoli.
In ambito psicologico, le ricerche finora condotte hanno contribuito a delineare un
quadro critico e problematico dello sviluppo dei molteplici aspetti concettuali inerenti
la dimensione temporale nel bambino; esistono diverse caratteristiche e livelli di
comprensione del tempo, così come esistono varie accezioni del termine: tempo
biologico, tempo convenzionale, tempo psicologico ecc. Una distinzione essenziale
riguarda quella tra tempo biologico, legato al susseguirsi degli eventi, e caratterizzato
principalmente dall’irreversibilità, e tempo convenzionale, costituito dai nomi e dalle
regole stabilite dagli uomini per orientarsi nel tempo, caratterizzato principalmente
dalla ciclicità. Gli aspetti fondamentali del tempo che il bambino deve
progressivamente imparare a padroneggiare, integrandoli, sono l'ordine di successione
e la durata, e le tre caratteristiche comuni a questi due aspetti: l'irreversibilità, la
combinazione del carattere ciclico e progressivo, l'orizzonte temporale (aspetti
qualitativi di passato, presente e futuro). Le abilità linguistiche e concettuali che
permettono al bambino di comunicare in modo preciso eventi non presenti, sia passati
che futuri, si sviluppano gradualmente e includono la capacità di integrare l'esperienza
soggettiva con il sistema temporale, lineare, oggettivo della cultura occidentale. Per
mettere in relazione il significato delle categorie di passato, presente e futuro alla sua
esperienza nel mondo, il bambino deve conquistare il concetto base dell'ordinamento
temporale. È infatti fondamentale che egli impari sia a porre in sequenza la raccolta
dei suoi ricordi, raccolta dalla quale si può ipotizzare origini l'idea del passato, sia le
proprie intenzionalità o i propri desideri, dai quali potrebbe essere originata l'idea di
futuro. Contemporaneamente, è altresì fondamentale che stabilisca una relazione
ordinata tra tutte e tre le categorie di passato, presente e futuro.
Un'altra abilità che il bambino deve acquisire è quella designata come
decentramento temporale e che consiste nell'adottare un punto di vista temporale che
differisca dal proprio. Il decentramento temporale è stato proposto come un
prerequisito cognitivo necessario al bambino per comprendere certe descrizioni
linguistiche di sequenze di azioni nelle quali l'ordine secondo il quale sono menzionati
gli eventi è inverso al loro ordine di accadimento. Il centramento (cioè l'assenza di
"decentramento") preoperatorio può persistere nelle persone ritardate anche quando
esse sono in grado, per qualche aspetto, di utilizzare il pensiero operatorio concreto:
esse continuano ad avere difficoltà nel prestare attenzione a più di una dimensione per
volta. Le performance più povere evidenziate dai bambini con deficit, rispetto ai loro
coetanei, sembrano dovute, non tanto alle minori conoscenze possedute dai primi, ma a
una loro carente flessibilità di pensiero. La capacità narrativa si rivela come la
variabile linguistica più satura di fattori cognitivi e che meglio valuta il livello di uso di
competenze logico-linguistiche integrate. In altri termini, saper raccontare si configura
come una capacità molto indicativa rispetto alle potenzialità di apprendimento, e
questo dato conferma il peso, nell’ambito del ritardo mentale lieve, delle difficoltà
cognitive sulle competenze linguistiche.
Dopo avere elaborato uno strumento di rilevazione, costituito da una batteria di 12
item, si è proceduto alla ricerca sperimentale vera e propria, finalizzata principalmente a
verificare se, con un intervento didattico centrato sulla mediazione e l’apprendimento
strategico, si permettesse ai bambini di migliorare le proprie prestazioni. Più
precisamente le ipotesi formulate sono state le seguenti:
a) un metodo didattico centrato sulla mediazione e l’apprendimento strategico permette
alla maggioranza dei bambini considerati normodotati, non solo di migliorare
stabilmente la loro competenza temporale, ma, nel caso dei bambini di classe II di
scuola elementare, di acquisire anche conoscenze e abilità considerate proprie a
bambini di età cronologica superiore;
b) è probabile che i bambini con deficit intellettivo lieve, pur mostrando meno
conoscenze e abilità temporali di base rispetto ai loro coetanei, grazie all’intervento
didattico “mediato” migliorino significativamente le loro competenze sul tempo.
Per costituire il gruppo sperimentale e quello di controllo, si è proceduto
all’individuazione delle classi di II e IV di scuola elementare aventi inserito un allievo
con deficit intellettivo lieve, mediante una raccolta dati presso il Provveditorato agli
Studi di Bologna, con relativa lettura delle diagnosi e dei profili (quando presenti) degli
allievi con deficit, incontri con psichiatri e psicologi di Aziende USL di Bologna e
Modena, incontri con direttori didattici e insegnanti di classi di II e IV elementare della
provincia di Bologna e di Modena, per accertarsi della loro disponibilità alla
sperimentazione ed avere maggiori dati sugli allievi con deficit. Questa fase ha
permesso di mettere in luce alcune problematiche relative alla difficoltà di diagnosi di
ritardo mentale lieve: in riferimento all’apprendimento scolastico, questo deficit può
essere infatti confuso o sovrapporsi a quadri di disturbo riconducibili a svantaggio
socio-culturale e richiede quindi un’attenta valutazione sia di tutte le informazioni
derivate clinicamente sia della storia del caso. Per l’individuazione del gruppo
sperimentale e di quello di controllo sono stati utilizzati, con classi II e IV di scuole
elementari della provincia di Bologna e di Modena, il test Cattell e il Test di
Comprensione Grammaticale di base (TCGB). A entrambi i gruppi, inoltre, è stata
somministrata la batteria di item temporali, precedentemente elaborata e sperimentata in
una fase di try out.
Sulla base della registrazione e dell’analisi dei risultati del Pre Test, è stato svolto un
intervento didattico diretto a quei bambini, con deficit e normodotati, del gruppo
sperimentale che nel Pre Test avevano fornito risposte errate a uno o a più item
temporali proposti. Sono stati elaborati e attivati diversi percorsi didattici, durante i
quali ha svolto un ruolo fondamentale l’analisi delle rappresentazioni spontanee e dei
processi di attribuzione di significato di ogni allievo di fronte ai compiti, inerenti gli
aspetti temporali precedentemente proposti negli item. Ogni bambino è stato guidato
attraverso domande a organizzare i suoi pensieri in senso diacronico e flessibile e a
procedere via via in modo sempre più autonomo. Tramite gli interrogativi posti e il
ruolo regolativo dell’interlocutore-guida, il bambino è stato sollecitato a compiere
alcune di queste funzioni da solo attraverso l’autoregolazione e l’autointerrogazione.
La fase sperimentale si è conclusa con la somministrazione del Post Test sia ai
bambini del gruppo sperimentale sia a quelli del gruppo di controllo e con la
somministrazione del Follow Up ai bambini del gruppo sperimentale, al fine di
verificare la stabilità dei loro apprendimenti nel tempo.
L’analisi dei dati ha evidenziato un netto miglioramento da parte dei bambini
normodotati e con deficit del gruppo sperimentale, sia di II sia di IV classe di scuola
elementare, per cui si ritiene di poter affermare l’efficacia del procedimento didattico
“mediato” proposto al fine di fondare e consolidare una consapevolezza operativa sui
vari sistemi di tempo. Si ritiene inoltre che l’intervento di mediazione abbia permesso
alla maggioranza dei bambini normodotati non solo di migliorare stabilmente la loro
competenza temporale, ma, nel caso dei bambini di classe II di scuola elementare, di
acquisire anche conoscenze e abilità solitamente proposte in classi scolastiche di grado
superiore.
Autore Donatella Savio
Titolo Il gioco simbolico in ambito prescolare: analisi dell'interazione tra adulto e gruppo
infantile
Data a. a. 1989-90
Tutor Egle Becchi, Clotilde Pontecorvo
Abstract Presentazione del problema
La difficoltà ad elaborare un discorso educativo nei confronti della prima infanzia
diventa evidente nel modo in cui la ricerca come la realtà operativa si pongono nei
confronti del gioco simbolico, un'attività a cui il bambino si dedica spontaneamente con
grande impegno in questo momento dello sviluppo.
Studi e indagini recenti in questo settore hanno evidenziato la relazione positiva di
questo gioco con la maturazione socio-cognitiva e affettiva del bambino. È stato inoltre
rilevato che un ambiente poco favorevole all'esercizio della finzione ludica, la carenza
cioè di materiali adatti a stimolarla ma soprattutto l'assenza di adulti disponibili a
incoraggiarla e valorizzarla, provoca il mancato raggiungimento delle sue espressioni
più evolute e complesse. Nonostante ciò, le ricerche che si sono occupate di
approfondire le modalità con cui l'adulto può intervenire per sostenere lo sviluppo del
gioco simbolico sono poche e a imprecise.
Si tratta di una mancanza di non poco conto, se si considera che la diffusione delle
scuole per l'infanzia ha reso comune il rapporto con gruppi infantili della fascia d'età
in cui il gioco simbolico si manifesta. Secondo i dati della ricerca di dottorato di M.
Ferrari sugli asili nido in Italia, questi contesti risultano a loro volta poco sensibili
alle manifestazioni ludico-simboliche, confermando e forse riflettendo le carenze
rilevate nella letteratura.
La presente ricerca ha preso le mosse da queste considerazioni, e si è posta come
finalità principale l'individuazione di suggerimenti utili alla elaborazione di una
didattica del gioco simbolico, in vista del suo utilizzo nelle istituzioni educative
prescolari.
Procedura della ricerca
La realizzazione della ricerca si è articolata in alcuni momenti pre-sperimentali e in
una sperimentazione vera e propria.
Nella fase pre-sperimentale sono stati condotti alcuni interventi in contesti pre-
scolari per provare e mettere a punto uno strumento per la valutazione delle abilità
ludico-simboliche infantili, elaborato grazie all'analisi della letteratura sull'evoluzione
del gioco simbolico. Inoltre, facendo riferimento a una precedente esperienza di
interazione ludica tra adulto e bambino in gruppo, è stato definito un intervento a favore
del gioco simbolico piuttosto articolato, e indirizzato essenzialmente a sollecitare e
assecondare le iniziative infantili per stimolarne lo sviluppo mantenendosi al loro
interno.
La sperimentazione è stata realizzata nella sezione di raccordo tra asilo nido e scuola
materna della scuola per l'infanzia del Comune di Garlasco (PV). Due gruppi di
bambini, composti in modo da risultare il più possibile ugualmente eterogenei rispetto
alla abilità ludico-simbolica dei soggetti, sono stati sottoposti a due trattamenti: un
gruppo a un training di gioco simbolico con l'intervento dell'adulto, l'altro a un training
di gioco simbolico senza adulto. A entrambi i gruppi sono state somministrate una
prova d'entrata e una prova d'uscita. L'ipotesi era che il gruppo di gioco con l'adulto al
termine del trattamento avrebbe manifestato un miglioramento significativamente
superiore nelle abilità ludico-simboliche rispetto al gruppo di gioco senza adulto. Come
ulteriore elemento di confronto è stato considerato un terzo gruppo non sottoposto a
nessun genere di training, al di fuori della sperimentazione perché le condizioni in cui si
è operato non permettevano di considerarlo come gruppo di controllo.
Risultati della ricerca
L'analisi dei punteggi rilevati alla prova d'entrata e alla prova d'uscita per i due
gruppi sperimentali ha evidenziato un maggiore e significativo miglioramento delle
abilità ludico-simboliche nel gruppo sottoposto al training di gioco con l'adulto rispetto
all'altro gruppo.
L'analisi dei trattamenti ha permesso di proporre alcune ipotesi interpretative che, se
pure richiedono ulteriori approfondimenti, forniscono preziosi suggerimenti per una
didattica del gioco simbolico di bambini in gruppo. Quattro le questioni principali, tra
loro connesse:
oltre agli aspetti predefiniti, nell'intervento adulto si è riscontrato l'esercizio di
strategie evolutive, che permettono da una parte di proporre il concetto di "zona
prossimale di sviluppo del gruppo", dall'altra di specificare ulteriormente le
caratteristiche delle modalità didattiche atte a produrre una crescita all'interno di
questa "zona";
se l'intervento risulta efficace nel sostenere e favorire lo sviluppo del gioco
simbolico infantile, la composizione del gruppo in cui si interviene sembra avere un
ruolo importante nel determinare il grado di tale efficacia. In altre parole, per agire
in vista di un miglioramento delle abilità ludico-simboliche di tutto il gruppo sembra
importante che tra le abilità dei soggetti che lo costituiscono non vi sia uno scarto
troppo grande;
le caratteristiche del gruppo sembrano possedere un significato decisivo, e finora
scarsamente considerato, rispetto alle capacità di gioco manifestate dal singolo: il suo
coinvolgimento in un gruppo e in un momento particolare della storia di quel gruppo
parrebbe influenzare i contenuti e il livello delle sue espressioni ludiche. In sostanza il
gruppo di gioco andrebbe considerato come un'entità a sé, con una evoluzione e
caratteristiche proprie, non semplicemente riducibili alla giustapposizione di livelli
evolutivi e caratteristiche di gioco individuali;
in un gruppo di gioco di bambini le cui abilità ludico-simboliche non siano troppo
distanti esiste la possibilità che giocatori più abili abbassino il loro livello di gioco per
poter giocare con compagni meno abili, svolgendo nei loro confronti un'azione di
training simile, anche se non così efficace, a quella definita per l'adulto. Questa sorta
di "bambino pedagogo" metterebbe in evidenza ancora una volta l'importanza della
dimensione sociale del gruppo di gioco: sarebbe più importante giocare insieme,
condividere cioè le conquiste socio-cognitive e i contenuti affettivi legati al gioco
simbolico, che giocare meglio ma isolati.
La conclusione della ricerca ha aperto una serie di problemi che rappresentano
possibili percorsi per indagini future:
la riconsiderazione dello strumento di valutazione delle abilità ludico-simboliche
infantili per incrementarne la sensibilità e procedere alla sua standardizzazione
applicandolo ad un numero elevato di casi;
l'approfondimento dei processi che regolano la formazione del gruppo ludico, in
vista di un'ulteriore specializzazione delle tecniche didattiche messe a punto con la
ricerca;
la traduzione degli strumenti didattici elaborati con la ricerca in termini che tengano
conto delle condizioni reali in cui operano le istituzioni per la prima infanzia, e
l'individuazione di modi e percorsi per comunicarli in tali contesti.
Autore Maria Teresa Siniscalco
Titolo La comprensione dell'informazione televisiva di attualità da parte di preadolescenti
Data a. a. 1992-93
Tutor Maria Corda Costa, Lucia Lumbelli
Abstract Problemi e ipotesi
La tesi si colloca nel quadro del problema della fruizione televisiva nell’età evolutiva
e mira a promuovere un’elaborazione attenta e analitica dei messaggi televisivi. La
ricerca ha un duplice obiettivo:
1. verificare le difficoltà di comprensione incontrate da studenti di II media e di III
anno della scuola secondaria nell’affrontare l’informazione televisiva di attualità
(servizi del telegiornale e di programmi di approfondimento);
2. mettere a punto un intervento didattico al fine di migliorare la comprensione di tale
tipo di programma.
Fasi dell’indagine e disegno di ricerca La struttura della tesi chiarisce il percorso seguito nella ricerca. Dopo
un’argomentazione relativa alla rilevanza pedagogica del problema, l’analisi della
letteratura sulla comprensione della televisione e sull’educazione ai media e alla TV, ha
fornito indicazioni per l’operazionalizzazione delle variabili da sottoporre a verifica, per
la scelta e la costruzione degli strumenti di rilevazione e per l’impostazione
dell’intervento. Una prima verifica della comprensione dei testi televisivi informativi
attraverso un metodo di intervista centrata sull’intervistato ha fornito un quadro dei
maggiori problemi incontrati dai soggetti dei due livelli scolastici considerati e
indicazioni per la costruzione delle prove oggettive. La successiva verifica con prove
oggettive ha consentito di precisare la portata dei problemi rilevati attraverso le
interviste e di identificare le variabili in relazione con la comprensione.
Strumenti di ricerca
Sul piano metodologico è stata utilizzata un’ampia gamma di procedure:
1. analisi dei testi televisivi orientata dai criteri derivanti dalla ricerca psico-cognitiva
sulla comprensione dei testi;
2. analisi dei protocolli verbali prodotti in tempo reale o “contemporanei” alla
fruizione dei testi televisivi;
3. costruzione di strumenti di rilevazione oggettiva basati anche sulle analisi (1) e (2);
4. conduzione dell’intervento didattico con forme di comunicazione che coniugano la
specificità e precisione del progetto con la duttilità richiesta dall’intenzione educativa
di incoraggiare l’iniziativa degli allievi;
5. analisi statistica dei risultati del try-out e della sperimentazione didattica.
Analisi dei dati
Sulla base dei dati raccolti, è stato messo a punto un intervento didattico incentrato
sulla comprensione dei testi televisivi di tipo informativo. Per verificare l’efficacia
dell’intervento è stato utilizzato un piano di sperimentazione che ha comportato il
confronto tra un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo con prove di ingresso e di
uscita. L’analisi dei risultati dell’intervento ha incluso il confronto statistico delle
prestazioni dei due gruppi nelle prove, e la descrizione di alcuni dati di processo
effettuata attraverso l’analisi dei protocolli verbali raccolti durante l’intervento.
Risultati
A differenza delle ricerche precedenti, che condividono lo scopo di migliorare la
qualità del consumo televisivo di bambini e adolescenti, la ricerca in questione mette a
fuoco l’obiettivo di stimolare l’abilità (o le abilità) di comprensione, definendolo in
modo sufficientemente preciso da essere perseguito sistematicamente e intensivamente,
riducendo al massimo la dispersività e casualità degli eventi educativi in cui sia articola
la strategia di intervento sperimentata. Inoltre, fonda la definizione di tale obiettivo sulla
ricerca psicocognitiva di base, alla quale attinge anche gli strumenti di analisi che
contraddistinguono il percorso educativo progettato.
Autore Andrea Spila
Titolo Abilità metalinguistiche e prime esperienze di lettura in lingua straniera nella scuola
elementare
Data a. a. 1994-95
Tutor Maria Corda Costa, Aldo Visalberghi
Abstract La situazione problematica da cui nasce il progetto di ricerca a cui è dedicata questa
tesi di dottorato è, allo stesso tempo, il frutto di personali esperienze didattiche e di
riflessioni teoriche da cui sono nate le ipotesi a cui questa ricerca tenta di dare una
prima, parziale risposta.
Dopo un’esperienza decennale di insegnamento della lingua straniera nelle scuole
materne ed elementari e il lavoro di ricerca teorica svolto per la propria tesi di laurea,
l’autore ha voluto approfondire da una parte il ruolo della riflessione linguistica
nell’apprendimento della lingua straniera, dall’altra il contributo che la scuola può
fornire nello sviluppo della consapevolezza metalinguistica.
“Si può dire che l’assimilazione della lingua straniera segue una via direttamente
opposta a quella che percorre lo sviluppo della lingua materna. […] Il bambino assimila
la lingua materna senza consapevolezza e intenzione, quella straniera con
consapevolezza ed intenzionalità. […] Nel primo caso compaiono prima le proprietà
elementari, inferiori del linguaggio e solo dopo si sviluppano le sue forme complesse,
legate alla presa di coscienza della struttura fonetica della lingua, delle sue forme
grammaticali e alla costruzione volontaria del linguaggio. Nel secondo caso si
sviluppano prima le proprietà superiori, complesse del linguaggio, legate alla presa di
coscienza e alla intenzionalità e solo dopo compaiono le proprietà più elementari, legate
all’uso spontaneo, libero della lingua straniera”.
L’ipotesi che è alla base di questo progetto di ricerca nasce da queste considerazioni
del grande psicologo russo Vygotskij sui rapporti e sulle differenze tra lingua materna e
lingua straniera e può essere espressa nel modo seguente: una migliore consapevolezza
della lingua materna può essere di sostegno nell’apprendimento di una lingua straniera.
Più in particolare, la ricerca ha concentrato l’attenzione sulla consapevolezza degli
aspetti morfosintattici della lingua e sull’abilità di lettura in lingua straniera, per
verificare la seguente ipotesi principale: una migliore consapevolezza degli aspetti
morfosintattici della lingua materna e di alcuni aspetti linguistici comuni alle diverse
lingue può rappresentare un sostegno nell’apprendimento delle abilità di lettura in
lingua straniera.
Il disegno sperimentale adottato prevedeva la partecipazione di due gruppi di
bambini di quarta elementare (secondo anno di insegnamento della lingua straniera)
sottoposti a due trattamenti diversi:
il gruppo sperimentale veniva sottoposto a un trattamento che prevedeva la
partecipazione a giochi metalinguistici condotti dallo sperimentatore e dagli
insegnanti, prima di iniziare la lettura di libri illustrati in lingua straniera;
il gruppo di controllo veniva sottoposto a un trattamento che prevedeva la sola
lettura dei libri illustrati in lingua inglese (durata doppia rispetto all’esperienza di
lettura del gruppo sperimentale).
Si intendeva in tal modo verificare se, nel gruppo sperimentale, la partecipazione ad
attività ludiche ideate per stimolare i bambini a prendere coscienza di alcuni aspetti
linguistici potesse contribuire a un migliore apprendimento della lettura in lingua
straniera (ipotesi principale) e, dall’altra, se questa partecipazione contribuisse a
migliorare la consapevolezza metalinguistica dei bambini (ipotesi secondaria).
Le prove di uscita somministrate per valutare le differenze tra i punteggi ottenuti
nelle prove di lettura in lingua straniera e nelle prove metalinguistiche nei due gruppi,
rispetto alle prove di ingresso, non hanno evidenziato differenze statisticamente
significative, confermando pertanto l’ipotesi nulla. Più in particolare, le prove di lettura
in lingua straniera hanno evidenziato risultati sostanzialmente identici mentre i bambini
del gruppo sperimentale hanno ottenuto risultati sensibilmente superiori (anche se non
statisticamente significativi) nelle prove metalinguistiche.
L’analisi delle correlazioni tra le variabili oggetto della ricerca ha evidenziato alcuni
dati interessanti, tra cui una forte correlazione positiva tra i punteggi ottenuti dai
bambini nella prova di comprensione della lettura in lingua italiana e quelli ottenuti
nella prove di comprensione della lingua inglese. Altre correlazioni positive sono state
identificate tra i punteggi ottenuti nelle prove metalinguistiche e quelli relativi alla
lettura in lingua inglese.
L’autore conclude suggerendo la possibilità di migliorare la competenza
metalinguistica dei bambini attraverso attività ludiche di scoperta dei fenomeni
linguistici, attività che potrebbero essere condotte congiuntamente dalle insegnanti
dell’area linguistica.
Vengono identificati possibili percorsi futuri di ricerca sulle interazioni tra lingua
materna e lingua straniera e sulle ripercussioni sullo sviluppo delle abilità linguistiche e
metalinguistiche dei bambini in età di scuola primaria.
Autore Alessandra Talamo
Titolo Cooperare nella scuola elementare: atteggiamenti magistrali ed esperienze
sociodidattiche
Data a. a. 1993-94
Tutor Egle Becchi, Maria Corda Costa, Clotilde Pontecorvo
Abstract La ricerca si è posta l'obiettivo di verificare le condizioni con le quali vengono
realizzate alcune delle finalità generali della Scuola Elementare, alla luce del testo della
Premessa ai Nuovi Programmi della Scuola Primaria: sono infatti notevoli le
implicazioni che l'educazione alla cooperazione può assumere a livello sociale nel
contribuire all’integrazione degli allievi in un contesto sociale connotato da valori civili
e morali democratici.
Una iniziale analisi della letteratura sull'argomento ha consentito di definire con
consapevolezza scientifica le situazioni che, ai fini dell'indagine, si sarebbero potute
rivelare più interessanti, di valutarne la qualità dell'aspetto educativo e formativo e di
stabilire quali strumenti di indagine fossero più idonei per le necessarie rilevazioni.
La cooperazione viene intesa in questa sede come un fare insieme nella
consapevolezza di ciò che si fa e del fatto che si è insieme: in questo senso non è forse
possibile fornire una definizione operativa del cooperare, ma è senz’altro ammissibile
evincere da alcuni indicatori osservabili se un contesto educativo si connota come
cooperativo oppure no.
Ponendosi nella prospettiva di immaginare quali accezioni potesse assumere
l'espressione “cooperare” all'interno dell'istituzione scolastica, è stata analizzata
l’organizzazione del contesto entro il quale l'azione educativa si sviluppa, piuttosto che
l’evoluzione delle forme di cooperazione nei bambini.
Le rilevazioni sono state perciò condotte su due fronti: da un lato si è affrontato il
tema di come viene promossa la cooperazione (a livello strumentale e relazionale) nei
bambini, e di quali opportunità vengano loro offerte per sperimentare concretamente
l’interazione diretta e reciproca tra di loro; dall'altro si è posta una particolare attenzione
agli atteggiamenti personali e didattici degli insegnanti in relazione al cooperare e alle
attuazioni di condotte cooperative nella gestione collegiale delle classi loro affidate.
Il piano di ricerca ha previsto due momenti di rilevazione: 1) un’indagine esplorativa
su grande campione - realizzata tramite una rilevazione sull'universo degli insegnanti di
terza elementare del XXI Distretto Scolastico di Roma - degli atteggiamenti personali in
relazione alla cooperazione, degli atteggiamenti nei confronti della contitolarità e
compresenza, e delle opportunità educative offerte ai bambini nell’ottica di una
promozione della cooperazione. 2) un’indagine su 13 terze classi, undici delle quali
fanno parte di un campione stratificato estratto dal territorio in questione e due classi
fuori campione, considerate interessanti ai fini dell'indagine come modelli propositivi in
relazione al tema dell'indagine. Questa fase di ricerca è consistita in una rilevazione: (a)
della scansione di una giornata educativa e della struttura sociometrica funzionale ed
affettiva dei gruppi-classe; (b) della rappresentazione socio-affettiva che gli insegnanti
hanno del gruppo-classe. Sono inoltre state identificate le consegne esplicite e le
consuetudini osservate che concorrono alla definizione delle regole di funzionamento
dei gruppi-classe, considerati nelle diverse situazioni educative che compongono le
giornate osservate.
Il confronto tra le classi del campione con le classi “cooperative” operato in questa
fase dell’indagine ha fornito alla ricerca un contesto di sperimentazione “naturale”.
I dati emersi dall'indagine si rivelano estremamente interessanti in entrambi i settori
della ricerca. È da notare innanzitutto che la strutturazione della situazione scolastica
appare differente tra le classi del campione e quelle cooperative, in termini di
autonomia di azione conferita ai bambini. Sono state rilevate differenze
nell’organizzazione della situazione scolastica in tutte le dimensioni di analisi della
scansione della giornata educativa {spazi, attività, modalità di svolgimento sociale,
modalità di gestione). La didattica delle classi cooperative (pur nella loro diversità)
risulta organizzata in modi che favoriscono l’interazione diretta tra i bambini e
valorizzano l’autonomia personale e collettiva nello svolgimento delle attività proposte;
la partecipazione dei bambini al processo di apprendimento risulta qui più attiva in
confronto alle classi-campione. L’analisi delle regole di funzionamento vigenti
all'interno delle situazioni scolastiche osservate risulta congruente con quanto detto
finora: all'interno del campione le regole che definiscono i modi della gestione della
classe prospettano un modello educativo alquanto rigido, nel quale è implicitamente
perseguita la creazione di un contesto “ordinato”, all'interno del quale il bambino è
concepito come spettatore passivo e solitario del processo di insegnamento piuttosto
che come un costruttore attivo del proprio sapere inserito all’interno di una comunità.
Nelle classi cooperative vengono invece privilegiate situazioni di apprendimento in
interazione diretta tra i bambini e la libertà di movimento dei bambini viene non solo
tollerata, ma promossa attivamente tramite la programmazione di attività e di modalità
di svolgimento che lasciano ampio spazio all'iniziativa autonoma nella definizione delle
modalità di svolgimento sociale degli eventi educativi all'interno della giornata.
Nella parte finale del lavoro sono stati presentati alcuni episodi riguardanti contesti
particolari, nell’intento di ricostruire la totalità dinamica di una atmosfera globale che
non si esaurisce nell'analisi delle condizioni di interazione.
Informazioni interessanti emergono dall’analisi dei dati relativi agli insegnanti. È
stata osservata una discrepanza tra una pedagogia “predicata” e una pedagogia
“realizzata”: c’è un visibile scollamento tra gli intenti pedagogici dichiarati e le
realizzazioni didattiche immediate. Ciò è vero sia per i contesti scolastici più positivi,
sia per quelli meno validi dal punto di vista dell'educazione alla cooperazione.
Dalle osservazioni condotte risulta inoltre che gli insegnanti mancano di abilità
strumentali che sembrano essenziali allo svolgimento dell’azione didattica: la didattica
osservata in molti casi sembra essere una riproposizione di un bagaglio esperienziale
personale relativo a modi di fare scuola tradizionali, piuttosto che l’esito di una
preparazione professionale. Spesso gli insegnanti sembrano mancare anche di strategie
“semplici”: a volte non sembrano in grado di condurre un colloquio con i bambini, altre
volte sembra che l'intervento educativo sia improvvisato.
Per quanto concerne gli obiettivi formativi in generale, nelle classi del campione essi
sembrano ancora essere quelli del “leggere. scrivere e far di conto”; gli obiettivi di
socializzazione sembrano ancora essere legati a una concezione spontaneistica dello
sviluppo socio-affettivo, che conduce a un immobilismo didattico. Questa osservazione
ci porta a concludere che non sembra siano stati realizzati gli obiettivi generali dei
Programmi del 1985 (particolarmente quelli relativi alla socializzazione e alla creazione
di una abitudine alla convivenza democratica).
Sembra infine che negli insegnanti del campione non si siano sviluppate abilità
relazionali tra docenti afferenti allo stesso team: questo determina il fallimento degli
obiettivi per i quali il modulo è stato concepito e mina l’unitarietà dell’esperienza e
della formazione degli alunni. L’elemento positivo delle classi cooperative rispetto al
tema dell'indagine, la cooperazione appunto, risulta invece fondata sullo sviluppo di
abilità relazionali tra insegnanti, che rende possibile una programmazione della didattica
favorevole a una formazione personale unitaria degli allievi. La collaborazione tra
docenti è resa palese anche dai modi concretamente osservati in aula di suddivisione e
integrazione delle competenze formative.
Le implicazioni più evidenti del lavoro di indagine svolto travalicano lo studio della
cooperazione a scuola e riguardano il più vasto problema della formazione e
dell'aggiornamento degli insegnanti. Laddove non si rileva un chiaro riferimento a
modelli educativi consapevolmente adottati, si avverte una carenza di abilità strumentali
per lo svolgimento del lavoro di insegnante. In particolare, la ricerca ha rivelato che i
docenti che hanno partecipato all'indagine (ad eccezione di quelli delle classi
cooperative) non sono sufficientemente forniti di strumenti professionali per:
a) essere in grado di collaborare fra loro all’organizzazione del contesto educativo;
b) adottare tecniche di lavoro in classe che pure non sono “innovative”, quali il lavoro
di gruppo, essendo consapevoli degli elementi che entrano in gioco nella creazioni di
dinamiche relazionali tra i partecipanti;
c) aumentare la consapevolezza dell'opera educativa che quotidianamente compiono e
degli effetti che tale opera ha sulla formazione sociale oltre che sull’istruzione degli
allievi;
d) fronteggiare situazioni di crisi (ad esempio l'inserimento del bambino con il
sostegno) nella conduzione dell'intero gruppo-classe e di ciascuno dei suoi membri;
e) operare un rinnovamento del lavoro dell'insegnante in corrispondenza con le richieste
formative attuali;
f) vivere meglio la propria azione educativa quotidiana, della quale spesso si dicono
insoddisfatti.
La considerazione di tali aspetti diviene di rilevanza sostanziale nella definizione di
programmi di aggiornamento degli insegnanti che, sempre più, offrono una formazione
professionale riguardante aspetti connessi ai singoli ambiti disciplinari, ma non alle
modalità di conduzione del gruppo-classe.
Un’ultima riflessione: la cooperazione è frutto della creazione di un’atmosfera che,
per dirla con Lewin, è una totalità impalpabile e indissolubile. L’indagine svolta non ha
inteso illustrare modi di cooperare da proporre o replicare, ma soltanto documentare le
condizioni contestuali in atto nel momento della rilevazione, nonché i costi e i benefici,
a livello individuale e sociale, delle forme di cooperazione osservate.
I risultati dell’indagine che è stata effettuata permettono di delineare alcuni ulteriori
sviluppi di ricerca: in particolare sarebbe utile osservare come le condizioni che sono
state rilevate in situazioni consuetudinarie (le rilevazioni sono state condotte nelle terze
classi) vengono strutturate nel corso del processo di prima scolarizzazione. Può infine
risultare interessante utilizzare gli strumenti predisposti per questa indagine per
osservare una pluralità di contesti educativi nei quali l'azione pedagogica sia
consapevolmente guidata dal riferimento a impostazioni teoriche ben definite. Questo
permetterebbe di evidenziare il rapporto che sussiste, in ciascuno dei contesti
considerati, tra la promozione della cooperazione a livello strumentale (cioè riferito a
precisi obiettivi di apprendimento) e a livello relazionale (cioè riferito alla creazione di
legami socio-affettivi tra i bambini), e come tali livelli vengano integrati nel corso della
quotidiana azione educativa.
Autore Alessandro Vaccarelli
Titolo Motivazioni, atteggiamenti, abilità verbale nell'acquisizione della lingua del paese di
immigrazione
Data a. a. 1997-98
Tutor Maria Corda Costa, Maria Serena Veggetti
Abstract La tesi affronta il problema dell’apprendimento dell’italiano come lingua del paese d’immigrazione, problema dettato da un bisogno conoscitivo che rispecchia i processi di mutamento sociale e la progressiva caratterizzazione multietnica della scuola e della società. L’indagine ha focalizzato l’attenzione sugli aspetti psico-sociali ed extra-linguistici (atteggiamenti, motivazioni e orientamenti) coinvolti negli apprendimenti ed ha analizzato il rapporto tra le competenze in lingua di origine e in lingua italiana.
Le ipotesi principali del lavoro si contestualizzano entro un quadro teorico che
prende in considerazione diversi, ma non contrastanti, approcci di analisi del problema.
Da un lato, la tradizione di ricerca canadese sullo studio degli atteggiamenti, delle
motivazioni integrative e strumentali implicati nei successi o negli insuccessi di
apprendimento delle lingue seconde e straniere (W. E. Lambert, R. C. Gardner);
dall’altro, le indicazioni di una psicolinguistica per molti versi vicina agli orientamenti
vygotskijani e neovygotskijani che considerano gli apprendimenti della L2 (nel caso
specifico della lingua del paese d’immigrazione) in termini di interdipendenza con la
lingua materna (Skuttnabb-Kangas, Toukomaa, Cummins, John-Steiner).
Per la ricerca, che ha seguito un disegno trasversale, sono stati utilizzati strumenti di
rilevazione già standardizzati (le Matrici Progressive di Raven P.M. 38, per citarne un
esempio) ed è stato elaborato un test di lingua italiana per studenti stranieri di scuola
elementare, avvalendosi anche dell’item analysis condotta a seguito della prova pilota, e
un questionario rivolto ai docenti; infine, è stato curato l’adattamento (in versione
bilingue italiano-cinese) del “The Attitude Motivation Test Battery” di R. C. Gardner.
La rilevazione è stata condotta su un gruppo di 42 studenti cinesi frequentanti
l’ultimo ciclo di 11 scuole elementari romane e – al fine di poter effettuare alcune utili
comparazioni relative alle competenze in lingua italiana – su due gruppi costituiti
rispettivamente da 20 studenti stranieri di varia provenienza e 44 studenti italiani.
La scelta di indagare in particolar modo entro una definita comunità immigrata,
quella cinese, oltre ad essere legata alla necessità di considerare l’immigrazione nei suoi
“universi” specifici e distinti, ha risposto all’esigenza di isolare la variabile
probabilmente più importante (la cultura di provenienza), in gioco nella definizione
degli atteggiamenti e delle motivazioni che si legano all’apprendimento della lingua
italiana da parte di soggetti stranieri.
L’analisi condotta ha considerato la lingua del paese di immigrazione come variabile
dipendente (anche se non in maniera assoluta, tenendo conto della circolarità dei
rapporti tra variabili) ed ha cercato di individuare relazioni significative tra questa e le
principali caratteristiche socio-linguistiche del gruppo cinese, gli atteggiamenti verso gli
italiani e verso la lingua italiana, le motivazioni integrative e strumentali, gli aspetti
della socialità in classe (rilevati attraverso un test sociometrico), l’intelligenza, l’età di
arrivo e il grado di conoscenza della lingua cinese (rilevato attraverso le autovalutazioni
degli studenti). Lo studio ha mirato ad individuare numerosi fattori coinvolti
nell’apprendimento linguistico, secondo un’ottica integrata e un approccio
interdisciplinare.
I risultati della ricerca, ottenuti grazie all’applicazione di accurate tecniche di
rilevazione dei dati e della loro applicazione statistica, possono ricondursi almeno a tre
ordini di considerazioni.
Se essi confermano da un lato l’esistenza di una relazione significativa tra fattori
psico-sociali e competenze in lingua del Paese di immigrazione, dall’altro relativizzano
il primato assegnato solitamente ad una motivazione integrativa nelle acquisizioni
linguistiche.
La lingua, letta entro il contesto di apprendimento in cui si trovano gli studenti
immigrati, non può non essere ricondotta a quei bisogni di tipo “strumentale” (la futura
ricerca di un lavoro, l’esigenza di risolvere i problemi quotidiani, il “compito” di
mediare tra la comunità adulta e gli italiani) che molto spesso non si presentano come
l’antitesi di quelli integrativi, e che anzi possono essere complementari ad essi.
La ricerca ha inoltre permesso di verificare che esistono ambiti in cui le variabili
psico–sociali si associano maggiormente ai risultati linguistici (la ricezione del
vocabolario) e ambiti in cui invece i fattori intellettivi “pesano” in maniera maggiore (la
comprensione della lettura).
Nonostante le difficoltà legate all’eterogeneità del gruppo cinese (dovuta ai diversi
tempi di permanenza in Italia dei soggetti), è emerso che in linea di massima il grado di
competenza della lingua cinese può avere effetti positivo anche per l’apprendimento
dell’italiano. Quest’ultimo risultato, in particolare, ha risentito dell’eterogeneità del
gruppo, richiedendo particolari modalità di trattamento dei dati statistici, e più che
essere definitivo ha avuto la funzione di aprire nuove piste di ricerca, anche in direzione
strettamente sperimentale.
Autore Ira Vannini
Titolo Insegnanti e valutazione scolastica. Un'indagine empirica su opinioni e atteggiamenti
di docenti di scuola media e primo biennio superiore
Data a. a. 1999-2000
Tutor Maria Lucia Giovannini, Aldo Visalberghi
Abstract Il lavoro ha approfondito in modo specifico il problema delle concezioni e degli
atteggiamenti valutativi degli insegnanti di scuola media e biennio secondario superiore
tramite una rilevazione campionaria con questionario postale, senza però mai perdere di
vista il quadro più generale dei riferimenti teorici sulla valutazione scolastica e
sull'attuale dibattito teorico. È individuabile un'articolazione in tre parti: una di
approfondimento del quadro teorico, una relativa alla metodologia e alle procedure di
indagine utilizzate, una infine di analisi e interpretazione dei dati rilevati.
Nella parte teorica, vengono fissati i principali concetti di riferimento sulla
problematica valutativa in ambito scolastico, partendo da alcune riflessioni
prevalentemente di tipo filosofico sul legame tra il concetto di valore e quello di
valutazione. Segue l'approfondimento della prospettiva docimologica, cui si connette e
si inserisce l'indagine empirica, le cui radici sono riconducibili soprattutto all'opera di
Aldo Visalberghi che per primo ha introdotto in Italia una tradizione di studi sulla
valutazione. All'interno di tale cornice generale, viene ripercorso lo specifico filone
delle ricerche di Mario Gattullo e dei suoi collaboratori sulla valutazione come controllo
scolastico - intesa pertanto più nella sua funzione sommativa e di certificazione finale –
e vengono approfondite le riflessioni più attuali concernenti la funzione diagnostico-
formativa della valutazione degli apprendimenti e quella di accertamento della qualità di
tutto il sistema scolastico, nella prospettiva di un sistema scolastico in grado di
promuovere realmente tutti gli allievi.
Le ipotesi della ricerca e lo strumento di indagine messo a punto (nel quale è stata
utilizzata in gran parte la tecnica di Likert per la rilevazione degli atteggiamenti) hanno
poi trovato un importante quadro di riferimento non solo nelle ricerche empiriche sulle
opinioni e sugli atteggiamenti dei docenti condotte dal gruppo di ricerca bolognese e da
altri studiosi italiani fin dagli anni settanta, ma anche nelle ricerche su tale problematica
realizzate in altri Paesi. L 'attenzione rivolta a uno specifico settore della scuola italiana
- la scuola media inferiore e il primo biennio superiore -, particolarmente coinvolto
dagli attuali rivolgimenti istituzionali, ha infine sollecitato un approfondimento delle
tematiche valutative connesse al dibattito politico-istituzionale sul rinnovamento della
scuola.
Nella parte relativa alla metodologia e alle procedure di indagine sono state descritte
le diverse fasi che hanno condotto alla rilevazione campionaria compiuta nel terzo anno
di dottorato. In tale descrizione è stata dedicata particolare attenzione alla fase
esplorativa che ha preceduto l'indagine empirica vera e propria. L'utilizzo di
metodologie sia di tipo qualitativo (intervista centrata sull'intervistato) sia di tipo
quantitativo (somministrazione del questionario a gruppi di insegnanti) ha reso possibile
mettere a punto uno strumento valido e attendibile (relativamente al campione e alle
ipotesi di ricerca formulate) e, nel contempo, ha creato un’opportunità di riflessione
sulle peculiarità della ricerca sperimentale in campo educativo e sulla necessaria
compresenza, in essa, di approcci sia qualitativi sia quantitativi in cui il rigore
metodologico costituisca per entrambi l'ossatura di base.
La sempre più precisa definizione delle ipotesi ha portato a uno schema di relazioni
tra blocchi di variabili che ha guidato e sostenuto la fase di messa a punto dello
strumento di rilevazione, nonché di analisi e interpretazione dei dati raccolti
nell'indagine campionaria. Si è proceduto al campionamento stratificato delle scuole
medie inferiori e superiori su due regioni tra cui si erano ipotizzati confronti rispetto alle
variabili principali - l'Emilia-Romagna e la Sicilia -, due regioni molto diverse dal punto
di vista culturale oltre che geografico. I rispondenti effettivi all'indagine sono per una
metà insegnanti di scuola media inferiore e per l'altra metà insegnanti del biennio
secondario superiore, così distribuiti all'interno delle due regioni: 241 di scuola media e
334 del biennio in Emilia-Romagna; 291 di scuola media e 198 del biennio in Sicilia.
La rappresentatività dei quattro sottocampioni è stata verificata a posteriori, mediante
un confronto tra i dati ottenuti rispetto ad alcune variabili assegnate del campione e i
rispettivi dati ISTAT relativi agli universi di riferimento per ogni regione considerata.
Nella terza parte si è proceduto ad analizzare e interpretare le risposte dell'indagine
campionaria sulla base delle ipotesi delineate. Attraverso l'elaborazione dei dati sono
state evidenziate le differenti concezioni degli insegnanti in merito alla valutazione
degli apprendimenti durante il processo di insegnamento-apprendimento e al termine
del percorso formativo (che, nello specifico, è stato riferito al termine della scuola
obbligatoria). La disponibilità dei dati relativi alle convinzioni educative di fondo degli
insegnati, ai loro quotidiani vissuti professionali e alle loro esperienze e percorsi di
insegnamento ha consentito di approfondire il rapporto tra tali variabili e gli
atteggiamenti innovativi nei confronti della problematica della valutazione scolastica e
ha consentito di prospettare, soprattutto sul versante delle valutazioni di bilancio, nuove
piste di ricerca: è proprio all'interno di questo ambito - che ricopre tra l'altro un ruolo
centrale nell'attuale dibattito scientifico e politico-istituzionale sulla scuola e sul tema
della qualità dell'istruzione - che risulta più difficoltoso identificare quali siano le
variabili indipendenti di maggior rilievo. Se infatti gli atteggiamenti di apertura verso
una valutazione in grado di svolgere durante un percorso formativo una effettiva
funzione diagnostico-formativa sono in gran parte influenzati dalle esperienze
professionali dell'insegnante e da convinzioni educative progressiste, legate al concetto
di scuola democratica e di promozione reale per tutti, più difficile è risultata
l'interpretazione degli atteggiamenti di apertura nei confronti di una valutazione finale
legata ad una prospettiva più allargata di qualità del sistema d'istruzione e di necessario
confronto con standard di riferimento.
Autore Cristina Zucchermaglio
Titolo Alfabetizzazione e continuità educativa fra i cinque e i sette anni: una ricerca
sperimentale sui processi di costruzione della lingua scritta
Data a. a. 1986-87
Tutor Lucia Lumbelli, Clotilde Pontecorvo
Abstract Il lavoro di ricerca svolto per il dottorato ha per oggetto lo studio longitudinale del
processo di apprendimento della lettura e scrittura (e del reciproco contributo e ruolo di
questi due processi) in un'ipotesi di continuità curricolare tra scuola materna e scuola
elementare (e quindi con bambini di cinque e sei anni): ciò ha comportato la
sperimentazione di una proposta didattica calibrata allo sviluppo della
concettualizzazione relativa alla lingua scritta, a partire da un quadro teorico
radicalmente nuovo.
La ricerca ha inteso studiare l’interazione tra variabili didattiche - riferite sia alle
caratteristiche del curricolo proposto sia alle strategie di intervento dell'insegnante – e
modalità dell'apprendimento dei bambini. Conseguentemente si è articolata lungo
quattro linee strettamente intrecciate corrispondenti agli obiettivi della ricerca stessa:
a) costruire/sperimentare una proposta curricolare;
b) descrivere i contesti di apprendimento in cui la proposta era messa in atto;
c) conoscere le modalità e i processi di apprendimento del linguaggio scritto da parte
del bambino;
d) verificare longitudinalmente gli effetti del curricolo sperimentale utilizzando un
gruppo di controllo.
Accanto all'uso di procedure sperimentali classiche (somministrazione di pre-test e
post-test, confronto tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo), una caratteristica
metodologica distintiva della tesi è costituita dalla utilizzazione dell'osservazione di
situazioni didattiche reali. Tali situazioni opportunamente campionate e puntualmente
analizzate, hanno consentito una conoscenza longitudinale del processo della prima
alfabetizzazione. In particolare, attraverso l'analisi del materiale raccolto (sia quello
osservativo che quello raccolto tramite la somministrazione individuale di strumenti di
diagnosi delle competenze), si sono potuti raggiungere i seguenti risultati:
a) valutare le modalità di attuazione della proposta curricolare e arrivare, tramite
l'analisi delle strategie didattiche dell'insegnante, ad una sua caratterizzazione
metodologica;
b) descrivere le idee, le conoscenze e i processi di apprendimento della lingua scritta dei
bambini prima e dopo l'acquisizione del codice alfabetico, sia da soli, sia in interazione
con i pari, in un contesto ecologicamente valido, anche se non “naturale” in quanto
modificato dalla proposta sperimentale;
c) dare una conoscenza etnografica della varietà di problemi - molti dei quali
insospettati da un punto di vista adulto - che il bambino affronta durante
l'apprendimento della lingua scritta in ambiti ancora poco o nulla indagati;
d) chiarire la natura e i rapporti tra la costruzione dello scritto e la sua interpretazione, e
mostrando che questi due processi svolgono ruoli diversi nei diversi momenti dello
sviluppo della concettualizzazione sulla lingua scritta;
e) fornire inoltre una descrizione longitudinale (lungo tre anni) dei percorsi individuali
di apprendimento della lingua scritta, mostrando come esistano diverse “vie” di
apprendimento del codice alfabetico;
f) dimostrare, tramite il confronto coi percorsi di apprendimento del gruppo di controllo,
come sia possibile incidere in modo produttivo, e non meramente anticipatorio, sul
processo di alfabetizzazione rendendolo funzionale e significativo anche dal punto di
vista del bambino.
FINE