Jean-Pierre VOYER, Reich Modo d'uso

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Maldoror Press Jean-Pierre Voyer Modo d’uso Reich

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La riproposizione di un folgorante pamphlet pubblicato originariamente da Jean-Pierre Voyer nel 1971, qui con un’appendice inedita in italiano. Fotografie di Andrea Canzi. «Essendo nella posizione migliore per giudicare, Wilhelm Reich non poté evitare di essere colpito dal ruolo giocato dal carattere, come struttura anti-individuale, nella magnifica messa in scena nazista. Egli abbandona la questione burlesca del “Perché gli operai si rivoltano?” diretta a psicanalisti, psichiatri, sociologi e agli altri servitori dello spettacolo, per porre invece la questione fondamentale: “Perché non si rivoltano?. Reich attribuisce la sottomissione all’annientamento dell’individuo da parte del carattere. Il che è difficilmente contestabile. Tesi necessaria, ma ancora insufficiente.».

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Maldoror Press : : Quod te destruit , te nutrit 07 : : gennaio 2012

Jean-Pierre VoyerREICH MODO D’USO

fotografie di Andrea Canzi Cvvvbvvvnvvvdz

REICH MODE D’EMPLOI > http://perso.orange.fr/leuven/reich1.htmTesto pubblicato nel 1971 dalle edizioni parigine Champ Libre.

in appendiceDISCRETION IS THE BETTER PART OF VALUEDISCRÉTION EST MÈRE DE VALEUR > http://perso.orange.fr/leuven/reich5.htm

http://perso.orange.fr/leuven/reich4.htmEstratti di una lettera di Voyer a Ken Knabb (20 aprile 1973). Furono pubblicati da Knabb in appendicealla sua traduzione inglese di Reich, mode d’emploi. Il titolo è un détournement di Shakespeare: «Di‐scretion is the better part of valor [La prudenza è la parte migliore del valore]» (Enrico IV, Parteprima), dove “valor” (valore nel senso di coraggio) è sostituito da “value” (valore in senso economico).

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Jean-Pierre Voyer

REICH MODO D’USO

I. La nozione di carattere secondo Reich

Sulla scia della lotta pratica e teorica contro le resistenzein analisi, Reich giunse con una totale consequenzialità aconcepire il carattere (la nevrosi caratteriale) come laforza stessa di queste resistenze [2].Contrariamente al sintomo, che si deve considerarecome un prodotto ed una concentrazione del carattere eche viene avvertito come un corpo estraneo che pro-voca una sensazione di malattia, il tratto caratteriale è

«La cosa contiene nella sua seconda parte, in unaforma straordinariamente densa, ma relativamentepopolare, non poche novità che anticipano il miolibro [1], mentre allo stesso tempo essa deve neces-sariamente sorvolare su molte altre. Credi che sia unbene anticipare in questo modo dei simili temi?»

Marx ad Engels, 24 giugno 1865.

«Per trovare l’amore a Parigi, bisogna scenderefino alle classi in cui la mancanza di educazione edi vanità, insieme alla lotta con i veri bisogni, ha la-sciato più energie. Lasciar trasparire un forte desi-derio insoddisfatto, significa mostrarsi inferiore,cosa impossibile in Francia, se non per la gente deiceti più bassi... Da cui le lodi esagerate rivolte alleragazze da parte di quei giovani che temono ilproprio cuore.»

Stendhal, De l’amour

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una componente organica della personalità. Il fatto chemanchi la coscienza della malattia è un segno fonda-mentale della nevrosi caratteriale. Ciò spiega perchéquesta degradazione dell’individualità poteva appariresolo all’interno di un tentativo di comunicazione, la tec-nica analitica stessa, che, per quanto unilaterale, dovevaben presto rivelare il carattere per quello che è: una di-fesa contro la comunicazione, una deficienza della fa-coltà di incontro. Questo è il prezzo pagato alla funzioneprimaria del carattere: la difesa contro l’angoscia [3].Non c’è bisogno di soffermarsi sull’origine dell’angoscia,sulle sue cause e sulla permanenza di queste. Diciamosemplicemente che la forma particolare del carattere èuna piega che si prende prima del decimo anno di età,cosa che non sorprenderà nessuno. La discrezione di questa disposizione spiega la sua sotto-valutazione in quanto flagello sociale, così come la suadurevole efficacia. La disposizione in oggetto produce in-dividui degradati, spossessati al massimo grado di intelli-genza, socievolezza e sessualità, e di conseguenzadavvero indipendenti gli uni dagli altri, il che è l’idealeper il funzionamento ottimale del sistema automaticodella circolazione delle merci. L’energia che l’individuopuò impiegare per riconoscere ed essere riconosciuto èlegata al carattere, cioè impiegata a neutralizzare séstessa. In tutte le società in cui regnano le condizioni moderne diproduzione, l’impossibilità di vivere prende individual-mente la forma della morte, della follia o del carattere.Con l’intrepido dottor Reich, e contro i suoi recuperatori edetrattori atterriti, noi postuliamo la natura patologica diogni tratto caratteriale, cioè di ogni cronicità nel com-portamento umano. Ciò che ci interessa non è la strutturaindividuale del nostro carattere, né la spiegazione dellasua formazione, ma l’impossibilità della sua applicazionealla costruzione di situazioni. Il carattere non è dunqueuna semplice escrescenza maligna che si potrebbe trat-tare separatamente, ma anche un rimedio individuale in

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una società globalmente malata, rimedio che consentedi sopportare il male aggravandolo. La gente è in granparte complice dello spettacolo imperante. Il carattere èla forma di questa complicità. Noi sosteniamo che la gente può dissolvere il proprio ca-rattere solo contestando la società nella sua interezza(contrariamente a Reich, allorché egli affronta l’analisicaratteriale da un punto di vista specializzato); essendo lafunzione del carattere quella di adattarsi allo status quo,la sua dissoluzione è preliminare alla critica globale dellasocietà. Bisogna rompere con questo circolo vizioso. La contestazione globale inizia con azioni di critica del la-voro salariato [4], secondo un principio fondamentale in-discutibile: «non lavorate mai». Le qualità d’avventuraassolutamente necessarie per una tale impresa sonoesclusive del carattere. Il carattere è la rovina di questequalità. Il problema della contestazione della società in-tera è dunque anche il problema della dissoluzione delcarattere.

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2. La sua applicazione all’effetto di spettacolo

La pubblicità della miseria non si distingue dall’idea dellasua soppressione [5]. È così che lo spirito viene agli uomini(nonché alle ragazze). La miseria è sempre la miseriadella pubblicità. Bisogna dunque cercare le ragioni dellapersistenza della miseria in ciò che causa la miseria dellapubblicità. Il feticismo è la miseria della pubblicità. È la forma stessadella separazione sociale. Dovunque ci sia opposizionetra gli individui e la loro totalità, quest’opposizione prendela forma del feticismo della totalità. L’opposizione tra iltutto e gli individui si fa per mezzo di parti del tutto, chesembrano isolate o legate da relazioni di fantasia con il

«I concetti più importanti e più veri dell’epoca simisurano con precisione a partire dall’organizza-zione che si fa su di loro della più grande confu-sione e dei peggiori controsensi [...]. I concetti vitaliconoscono sia gli impieghi più veri sia i più menzo-gneri [...] perché la lotta della realtà critica e dellospettacolo apologetico conduce ad una lottasulle parole [...]. Non è la purga autoritaria a rive-lare la verità di un concetto, ma la coerenza delsuo impiego nella teoria e nella vita pratica.»

Internationale Situationniste, n.10

Pubblico: relativo a tutto un popolo.Pubblicità: notorietà pubblica, carattere di ciò

che è fatto in presenza del pubblico, stato di ciòche appartiene al pubblico.

Larousse del XX sec.

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tutto e tra di loro [6]. La coscienza ingannata è il mo-mento fondamentale del feticismo. Con essa le cose di-ventano ciò che appaiono. L’assenza di coscienzaprende la forma della coscienza. Il feticismo della merce è concentrato nel suo valore.Marx ha avuto bisogno di diverse migliaia di pagine delCapitale per venire a capo della realtà di questo fetic-cio. È il giogo del valore a chinare le fronti umane, sianoesse borghesi, burocratiche o proletarie. Il valore è il rap-porto tra due quantità. Cosa c’è di più fantasioso, qui eora, del fatto che x chilogrammi di carote valgano y litri divino, oppure z minuti di un garzone di barbiere? Il valore,qui e ora, è l’autonomia esorbitante della merce. È ri-schioso rubare, saccheggiare o incendiare. Lo è ancoradi più non lavorare mai! Il valore si esercita implacabil-mente [7], mentre lo sguardo ingannato incontra soltantole cose e il loro prezzo! Nel XIX sec., con la compiuta opposizione fra la vita del-l’individuo e quella del suo genere (da un lato nella vitaquotidiana e dall’altro nella circolazione automaticadelle merci), tutte le speranze sono ammesse (quelle diHegel come quelle di Marx). A questo punto le cose sonochiare: la vita quotidiana non è nulla, la circolazione ètutto. Il niente della vita quotidiana è un momento visibiledel tutto della circolazione. Il feticismo non inganna piùnessuno, al di fuori della classe dominante e dei suoi si-cofanti. Più volte il proletariato si è lanciato all’assaltodella totalità, e la pubblicità della miseria sfiorò il trionfosulla miseria della pubblicità. Oggi le cose sono cambiate. La modernizzazione dellelotte degli oppressi e soprattutto la loro incompiutezzahanno condotto alla rapida modernizzazione del fetici-smo da parte della classe dominante e del suo stato apartire dal 1930. L’entrata in scena del feticismo scienti-fico è stata impressionante: si sono avuti simultaneamenteil New Deal, il bolscevismo e il nazionalsocialismo. Questamodernizzazione consiste essenzialmente nel privare lavita quotidiana di quanto le era rimasto: la sua negatività,

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ossia la pubblicità della sua miseria, la pubblicità dellasua nullità. Il segreto della miseria della vita quotidiana èil vero segreto di Stato. È la chiave di volta che completal’edificio della separazione che è anche l’edificio delloStato. Lo spettacolo, o sviluppo scientifico del feticismo, è laproprietà privata dei mezzi di pubblicità, il monopolio diStato di ciò che appare. Con esso, solo la circolazionedelle merci resta pubblica. Lo spettacolo non è che la cir-colazione delle merci che assorbe tutti i mezzi di pubbli-cità disponibili, condannando così la miseria all’invisibilità.Lo spettacolo è la forma segreta della miseria pubblicadove il valore si esercita implacabilmente, mentre losguardo ingannato incontra soltanto le cose e il loro uso. Nella pubblicità imperialista della circolazione dellemerci, il valore non appare mai. È lo spettacolo dell’invi-sibilità del valore. Questa invisibilità “naturale” costituiscela tendenza fondamentalmente spettacolista della circo-lazione che la borghesia potrà sfruttare nello svilupposcientifico del feticismo. La circolazione può apparirecome una kermesse dell’uso, basta che il valore non sia

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pubblico. Com’è ovvio, si tratta principalmente dell’usodel denaro. Si comprende quindi facilmente il fascino su-bìto dallo spettatore che viene a contatto quotidiana-mente con il valore. È l’effetto dello spettacolo. Essopreviene ogni idea: tutto sembra realizzato. Interdice ogniriconoscimento: il miserabile si conosce come l’unico mi-serabile. L’uso del denaro appare di per sé come lo stru-mento dell’abolizione del valore. Colmo dell’inversione.In questo modo, lo spirito non viene agli uomini (e nep-pure alle ragazze, il che è ancor più deplorevole). Essendo nella posizione migliore per giudicare, WilhelmReich non poté evitare di essere colpito dal ruolo giocatodal carattere, come struttura anti-individuale, nella ma-gnifica messa in scena nazista [8]. Egli abbandona la que-stione burlesca del «Perché gli operai si rivoltano?» direttaa psicanalisti, psichiatri, sociologi e agli altri servitori dellospettacolo, per porre invece la questione fondamentale:«Perché non si rivoltano?» [9]. Reich attribuisce la sotto-missione all’annientamento dell’individuo da parte delcarattere. Il che è difficilmente contestabile. Tesi neces-saria, ma ancora insufficiente. Sostenere che questa so-cietà non abbia una tendenza intrinsecamentespettacolista, equivarrebbe a dire che lo spettacolo è lagrande opera della sola classe dominante. Ma sarebbecome attribuirle troppo talento. Noi sappiamo che laclasse dominante è la prima vittima delle proprie illusioni.Essa segue il movimento.Abbiamo dimostrato più sopra la ragione di questa ten-denza. Il carattere, a parte questo, è incontestabilmentereale. Si palesa clinicamente. Bisogna però capire esat-tamente qual è il suo significato clinico, una volta con-statata la sua insufficienza in quanto nozione separata.Come nozione separata, è solo un feticcio in più. La nostra tesi è la seguente: il quantitativo regna. Tutti irapporti umani sono retti dal rapporto delle quantità fra diesse; ciò nondimeno appaiono come dei puri rapportiumani, sennò lo sguardo ingannato incontrerebbe solo lecose e il loro prezzo. Abbiamo visto rapidamente l’effetto

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spontaneamente spettacolista di questo dato “naturale”che è l’invisibilità del valore. Eppure, il valore non smettedi essere vissuto da ognuno come l’ineluttabile necessitàdella propria vita quotidiana. Abbiamo visto che questovissuto segreto completava la tendenza spettacolistadella circolazione delle merci. Che cosa scopre clinica-mente Reich chiamandolo carattere? Noi sosteniamoche, in questo modo, viene colto il valore in quanto ne-cessità disumana, altrimenti invisibile. Anzi, finora è il solomodo di approccio concreto del valore, inteso come mi-seria segreta dell’individualità. Reich braccò, sotto que-sta forma, l’incoscienza, la sua miseria e le sue miserabiliistanze repressive, che traggono la loro forza e il loro ap-parato magico soltanto dall’imperio del valore sulla vitaquotidiana. Siccome la socializzazione universale dei rap-porti umani ha preso la forma unica del valore, che è laloro negazione, i rapporti umani autentici, sanciti dal pia-cere, sono conservati entro questa socializzazione comerapporti naturali tra uomo e uomo, e a questo titolo con-

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siderati illeciti e clandestini, perché tutta la socialità, tuttal’umanità è occupata (nel senso di Lyautey) dal valore,unica socializzazione lecita. Ciò che tende a sfuggire allalegge del valore prende dunque la forma del naturale,ossia, per definizione, di ciò che sfugge alla padronanzadell’umanità. Nel suo terzo manoscritto filosofico, Marx misura l’umanitàdell’uomo, la sua socializzazione, con il grado di socializ-zazione del rapporto «immediato, naturale, necessario»dell’uomo con l’uomo, ossia del rapporto tra uomo edonna. Il valore come socializzazione universale, comeforma unica e rovesciata dell’umanità, è anche l’impos-sibilità della socializzazione di questo rapporto, che restaquindi «il più naturale», cioè il più contrastato dalla so-cialità dominante. Questo naturale si confonde, in senoalla socializzazione universale da parte del valore, con ilsuo grado di deterioramento [10], allo stesso titolo delgrado di naturale degli indiani Nambikwara che, in senoalla nostra civiltà, si confonde con il loro grado di stermi-nio. Questo grado di deterioramento – psicosi, nevrosi,carattere – come indice della non-socializzazione, dellanon-umanità dell’uomo, è l’oggetto reale della psicana-lisi. Quel vecchio stronzo di Freud giunse a identificarequesto grado di naturale con lo stato selvaggio e la so-cializzazione rovesciata dal valore con la civilizzazione. Lapsicanalisi fu e sarà la paleontologia di questa preistoria. Noi fondiamo la nostra tesi, ancora puramente teorica,sulla seguente osservazione clinica: se per una causa for-tuita il carattere dell’individuo si trova dissolto, la formafenomenica spettacolare della totalità viene dissoltanella sua pretesa di farsi passare per l’assenza del valore.Abbiamo quindi constatato, per ora negativamente,un’identità tra il carattere e l’effetto di spettacolo. Che ilsoggetto sprofondi nella follia, pratichi la teoria o parte-cipi a una sommossa [11], abbiamo constatato che i duepoli della vita quotidiana – contatto con una realtà ri-stretta e separata, da una parte, e contatto spettacolarecon la totalità, dall’altra – sono aboliti simultaneamente

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per far posto all’unità della vita individuale, che Reichchiama infelicemente genitalità (noi preferiamo indivi-dualità). I lavori di Reich sono i primi, dopo Marx, a mettere con-cretamente in luce l’alienazione. La teoria dello spetta-colo è la prima teoria, dopo Marx, che si preoccupa diessere una teoria dell’alienazione. La sintesi di questi duemetodi porta a conseguenze immediate, che sviluppe-remo nella nostra prossima opera. Innanzitutto, noi sosteniamo che la pratica della teorianon si distingue dalla genitalità concepita da Reich. Lateoria diventa la conoscenza permanente della miseriasegreta, del segreto della miseria. È dunque, di per sé,anche la cessazione dell’effetto di spettacolo. Essendo lospettacolo la forma segreta della miseria pubblica, il suoeffetto cessa non appena cessa il segreto. Il suo effettorisiede nel suo segreto. La teoria si confonde quindi con lapossibilità vissuta (un pleonasmo, opposto alla probabilitàche è vissuta come dubbio o indifferenza). La teoria è lavita allorché tutto è possibile. Cessa di esistere nel mo-mento in cui sbaglia e si trova rigettata nella noia, nel-l’effetto di spettacolo. La teoria, quando esiste, è dunquesicura di non sbagliarsi. È un soggetto privo di errore.Niente l’inganna. La totalità è il suo unico oggetto. Lateoria conosce la miseria come segretamente pubblica.Conosce la pubblicità segreta della miseria. Tutte le spe-ranze le sono permesse. La lotta di classe esiste. Lo spettacolo è l’assenza dello spirito, il carattere è l’as-senza della teoria. Il proletariato sarà visibile o non sarà. Il proletariato risiedenella sua visibilità. L’organizzazione del proletariato è l’or-ganizzazione della sua visibilità. La pratica globale delproletariato sarà la sua pubblicità permanente o nulla. Hi-tler, i leninisti e i maoisti l’hanno capito così bene da or-ganizzare con la forza la visibilità del proletariato. Ilcapitalismo, più ambizioso, vuole realizzare la visibilità delproletariato abolito. La visibilità della miseria, da sola, non è il proletariato. Ne-

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cessaria ma non sufficiente, essa è soltanto la teoria. Ilproletariato esige che la visibilità della miseria sia pub-blica. La critica deve essere contemporaneamente teoriadella pubblicità (della visibilità) e pubblicità (visibilità)della teoria. Il suo oggetto deve assicurarle la sua pubbli-cità. Quando essa è pubblica non si sbaglia. Essa non è lateoria della pubblicità, se non assicura la sua pubblicità.È davvero il colmo del ridicolo, per un teorico della pub-blicità, non poter assicurare la pubblicità della sua teoria. Il proletariato è l’unità infine realizzata della teoria dellapubblicità e della pubblicità della teoria. Noi crediamo che questi cenni siano superiori a tutto ciòche un Lukacs abbia potuto dire sulla coscienza di classe.Hanno senza dubbio il vantaggio della brevità. I pubblici-tari lo sanno, in pubblicità la brevità è fondamentale: «Sivous en avez trois, vous y avez droit! [Più o meno: “Se trene vorrete, il diritto ne avete!”, N.d.T.]» [12]. Non si può es-sere più brevi nel disprezzo. Ciò che loro non possono im-maginare è che si sarà ancora più brevi, quando avremouna Strasburgo delle fabbriche. La visibilità sarà folgo-rante, colpo di pistola e sorgere del sole, o non sarà. Per il momento, le nostre formule hanno forse dalla lorosoltanto la brevità. Bisognerà introdurvi i concetti di “Bri-del” o di “Camembert”, perché conoscano tutta la lorochiarezza. Verrà un giorno, ed è ormai prossimo, in cuitutti i camembert della terra non potranno più soffocarel’incontro tra la teoria della pubblicità e la pubblicitàdella teoria.

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NOTE

[1] L’Istituto di Preistoria Contemporanea prepara attualmente [1971] una Enci-clopedia delle Apparenze / Fenomenologia dell’Assenza dello Spirito. [L’opera, inrealtà, non è mai stata pubblicata, o almeno non con questo titolo; N.d.T.].

[2] Ueber Charakteranalyse, in Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, vol. 14,pp. 180-196, 1928. Charakteranalyse, Technik und Grundlagen, Im Selbstverlag desVerfassers, Wien, 1933 [traduz. it.: W. Reich, Analisi caratteriale, SugarCo, Milano,1973]. Character Analysis, Farrar, Strauss & Giroux, New York, 1961.

[3] La situazione critica in cui si valuta pienamente il prezzo di questa difesa èl’amore. È anche merito di Reich aver mostrato che la difesa caratteriale control’angoscia, in questa situazione, si pagava con l’incapacità alla tenerezza, da luidefinita infelicemente impotenza orgastica. A questo livello, il carattere si ricol-lega al sintomo.

[4] Mentre Reich, in modo piuttosto ambiguo, giungeva a considerare il caratterecome un impedimento al lavoro, noi sosteniamo che il carattere è un impedimentoalla critica del lavoro.

[5] Il lettore avrà riconosciuto la coscienza di classe. Dunque non la confonde conlo spettacolo della miseria che è la versione pubblicitaria della pubblicità dellamiseria.

[6] L’opposizione del tutto agli individui non si fa che per mezzo di parti del tutto,purtroppo! Quando l’opposizione degli individui alla totalità diventa “totale”, lecose diventano totalmente chiare.

[7] Il lavoratore ha sul ricco lo stesso vantaggio che lo schiavo ha sul padrone. Loschiavo conosce la paura; il lavoratore, merce vivente, conosce il valore.

[8] Was ist Klassenbewusstsein?, 1934 (con lo pseudonimo di Ernst Parell). In questabreve opera, Reich raggiunge il culmine dell’ingenuità leninista. Nonostante le suenegazioni, egli porta alle stelle la conoscenza storica specializzata. Vi si trovaanche un curioso abbozzo della concezione maoista dell’educazione come spet-tacolo della miseria. Massenpsychologie des Faschismus e Dialektischer Materiali-smus und psychoanalyse sono impregnate in permanenza di una concezionemeccanicista degli istinti.

[9] Dialektischer Materialismus und psychoanalyse, 1929.

[10] Secondo il principio: «Ciò che non è superato imputridisce, ciò che imputridi-sce incita al superamento» (Vaneigem).

[11] Il 1968 ci ha fornito fortuitamente un materiale cospicuo e assai vario.

[12] Insolente annuncio per i camembert Bridel.

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DISCRETION IS THE BETTER PART OF VALUE DISCRÉTION EST MÈRE DE VALEUR

(…) Ecco alcune precisazioni sul manifesto Reich, mode d’em-ploi:(…) Un’opera teatrale di Marivaux (tratta in realtà da un rac-conto di La Fontaine), autore francese del XVIII sec., ha per ti-tolo “Comment l’esprit vient aux filles [In qual guisa vien lo spiritoalle fanciulle]” (e se ne indovina facilmente il modo!).(…) Ti segnalo una difficoltà che mi pare insormontabile nel tra-durre in inglese questo testo: in francese, “publicité” significa sia“advertising”, sia “public welfare”, res publica, cosa pubblica.E chiaramente, “la pub” – “the ad” – è esattamente il contrariodel “public welfare”, della “public property”.C’è dunque in francese un intricato gioco di parole che io pe-raltro approfondisco nella mia “Encyclopédie des apparen-ces”.Non vedo come ciò si possa rendere in inglese (…).In effetti, la miseria è la sola e vera proprietà dello sfortunatopubblico. In ciò, essa è comune. Ma lo è soltanto segretamentee, in tal senso, non pubblicamente.Viceversa, la pubblicità commerciale parla di qualcosa chenon appartiene al pubblico, ma ne parla in maniera pubblica.Quindi la pubblicità comprende tre momenti:

* È il carattere di ciò che appartiene al pubblico, di ciòche esso possiede, della proprietà pubblica. Ma, questaproprietà pubblica può anche essere non-pubblica, se-greta, non rivelata. È il caso della miseria.** Ciò che è conosciuto dal pubblico, ciò che si fa in suapresenza. Ma, questa conoscenza può anche concernerequalcosa che non appartiene al pubblico. È proprio ilcaso della pubblicità commerciale (advertising) in modoparticolare e dello spettacolo in generale.Così, nello spettacolo, ciò che è pubblico, nel senso di“fatto in presenza del pubblico”, è la totalità degli indivi-dui e delle loro relazioni. Solo che questa totalità, pur for-

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Ecco, il termine francese “publicité” rende tutto questo, com-presa l’inversione grottesca della pubblicità che è la pubblicitàcommerciale, la “réclame”.Voglio anche sottolinearti ciò che io intendo con “idea” in“l’idea della sua soppressione”. È una concezione molto mate-

rialista dell’idea. Ciò che io mi fi-guro è per esempio la presa dellaBastiglia da parte del popolo diParigi il 14 luglio 1789. Ecco cosavoglio dire con idea. E il modo incui “lo spirito” viene agli uomini, èil modo in cui gli viene questa“idea” molto materiale.Insomma, ciò che intendo conidea è il terzo momento dellapubblicità. Ed è pure ciò che in-tendo con spirito.È un fatto materiale: presa e di-struzione della Bastiglia, fatto ma-teriale per eccellenza; e nellostesso tempo è il contrario di unfatto materiale, la soppressione diquesto fatto collettivo verso l’im-

mata da loro stessi, non gli appartiene. Sono spossessatidella propria sostanza.*** Infine, il terzo momento è l’unità dei primi due; l’unità diciò che appartiene al pubblico e di ciò che è conosciutodal pubblico. In una parola, è la pubblicità propriamentedetta, la vera pubblicità, nel senso degli anni 1789-1793. Èil comunismo, la comunità; i consigli operai furono una ti-mida esperienza di questo genere di pubblicità. È “la pra-tica che vede la propria azione”.In termini prettamente hegeliani, questo terzo momento èla totalità degli individui che si sopprime verso l’immedia-tezza dell’individuo. Quindi: la totalità è la sostanza con-creta dell’individuo e l’individuo è la potenza sostanzialedella totalità che, come persona, esiste in se stessa (heilHegel!).

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mediatezza dell’individuo. In una parola: la coscienza, la co-scienza di ciò che si fa, ecc.Infine, vorrei precisare il ruolo che per me gioca il carattere, inmodo che non gli si dia troppa importanza leggendo questomanifesto.Considero il carattere (in senso reichiano) come un semplicesintomo, il sintomo di un effetto che è ancora nascosto, che agi-sce ancora nell’ombra, e che può solo agire nell’ombra, poi-ché la sua conoscenza non si distingue dalla sua distruzione daparte del “popolo in armi”. Per me, il carattere è solo un sem-plice sintomo dell’effetto di spettacolo, che a sua volta è soloun modo particolare dell’effetto di valore.Tuttavia, il carattere, in quanto sintomo, può essere un mezzoefficace di pubblicità di una miseria segreta, di una miseria an-cora nascosta. Perché il sintomo, anche se è il sintomo di unmale ancora ignoto, per esempio il cancro, è in ogni caso unsintomo, il che perlomeno consente al malato di sapere che èmalato e non in buona salute, come invece finirebbe per cre-dere in assenza di sintomi.All’opposto, penso che sia un utilizzo abusivo fare del carattereuna cosa indipendente, con una sua storia e una sua ragione.In ogni modo, sviluppo tutto questo in “Encyclopédie des ap-parences”, che deve uscire entro la fine dell’anno (…).