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GF A.S. 2014-15 1/12 ISTITUTO PROFESSIONALE PER L'AGRICOLTURA È L'AMBIENTE "Benito Ferrarini" - Sasso Marconi APPUNTI DI ECOLOGIA FORESTALE A.S. 2014/15 Classe V A Docente: Giuseppe Falivene INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLE FORESTE Percorso 1. Introduzione allo studio delle foreste (boschi), analisi floristica e vegetazionale 2. aspetti ecologici : fattori biotici e biotici 3. Le associazioni italiane 4. La vegetazione forestale in Emila-Romagna 1. La foresta rappresenta una vasta superficie dominata da alberi con un ricco e spesso impenetrabile sottobosco, presenta maggiore complessità rispetto al bosco ed è di più antica formazione. Per bosco dobbiamo intendere una minore estensione e con un impatto umano, da debole a elevato, sulla copertura vegetale. << Definizione “ecologica” di BOSCO: “l’insieme di tutti gli organismi viventi in una comunità dominata da specie legnose che interagiscono tra loro e con l‘ambiente fisico in modo tale che un flusso di energia porta ad una ben definita struttura trofica, ad una diversità biotica ed a una circolazione della materia nell’interno del sistema” (Odum, 1971).>> Nell’analisi di questi biomi non bisogna confondere lo studio floristico (della flora) dallo studio della vegetazione. Studiare la FLORA di un territorio (che è il risultato di complesse vicende storiche e si distribuisce nel territorio in funzione della compatibilità tra le loro strategie biologiche ed i campi di variazione dei fattori ambientali compresa la competizione con le altre specie) vuol dire fare l’elenco delle specie presenti, suddivise per categorie sistematiche e con annotazioni sulla loro distribuzione geografica e ambientale. Ciò non consente di comprendere le reali situazioni del manto vegetale ma rappresenta, lo studio floristico, uno strumento di conoscenza preliminare per l’analisi ambientale. Dallo studio della flora si passa a studiare i complessi di specie vegetali che si possono differenziare per fisionomia (dominanza di qualche specie) e per struttura (erbe, cespugli, alberi); si passa cioè all’analisi della vegetazione che rappresenta l’insieme delle comunità di specie vegetali, più o meno stabili, legati da rapporti dinamici. Il metodo fitosociologico sigmantista di Braun-Blanquet nello studio della vegetazione si basa su alcuni presupposti: il primo consiste nel considerare la vegetazione di un territorio e tutte le sue variazioni, come il risultato dell’azione dei fattori climatici, edafici e umani sul complesso di specie vegetali esistenti sul territorio; il secondo presupposto discende dal primo. Poiché le specie vegetali rispondono in termini di presenza/assenza in relazione ai fattori ambientali di cui possono tollerare o meno certi valori, una volta individuati i complessi vegetali (aggruppamenti) si può risalire alle cause che li determinano. La vegetazione che è in gran parte espressione diretta di tutti i fattori ambientali è con il tempo soggetta a mutamenti di grande portata non avvertibile da noi in modo diretto per i tempi

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ISTITUTO PROFESSIONALE PER L'AGRICOLTURA È L'AMBIENTE "Benito Ferrarini" - Sasso Marconi

APPUNTI DI ECOLOGIA FORESTALE A.S. 2014/15

Classe V A Docente: Giuseppe Falivene

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLE FORESTE

Percorso

1. Introduzione allo studio delle foreste (boschi), analisi floristica e vegetazionale

2. aspetti ecologici : fattori biotici e biotici 3. Le associazioni italiane 4. La vegetazione forestale in Emila-Romagna

1. La foresta rappresenta una vasta superficie

dominata da alberi con un ricco e spesso impenetrabile sottobosco, presenta maggiore complessità rispetto al bosco ed è di più antica formazione. Per bosco dobbiamo intendere una minore estensione e con un impatto umano, da debole a elevato, sulla copertura vegetale.

<< Definizione “ecologica” di BOSCO: “l’insieme di tutti gli organismi viventi in una comunità dominata da specie legnose che interagiscono tra loro e con l‘ambiente fisico in modo tale che un flusso di energia porta ad una ben definita struttura trofica, ad una diversità biotica ed a una circolazione della materia nell’interno del sistema” (Odum, 1971).>>

Nell’analisi di questi biomi non bisogna confondere lo studio floristico (della flora) dallo studio della vegetazione. Studiare la FLORA di un territorio (che è il risultato di complesse vicende storiche e si distribuisce nel territorio in funzione della compatibilità tra le loro strategie biologiche ed i campi di variazione dei fattori ambientali compresa la competizione con le altre specie) vuol dire fare l’elenco delle specie presenti, suddivise per categorie sistematiche e con annotazioni sulla loro distribuzione geografica e ambientale. Ciò non consente di comprendere le reali situazioni del manto vegetale ma rappresenta, lo studio floristico, uno strumento di conoscenza preliminare per l’analisi ambientale. Dallo studio della flora si passa a studiare i complessi di specie vegetali che si possono differenziare per fisionomia (dominanza di qualche specie) e per struttura (erbe, cespugli, alberi); si passa cioè all’analisi della vegetazione che rappresenta l’insieme delle comunità di specie vegetali, più o meno stabili, legati da rapporti dinamici.

Il metodo fitosociologico sigmantista di Braun-Blanquet nello studio della vegetazione si basa su alcuni presupposti: � il primo consiste nel considerare la vegetazione di un territorio e tutte le sue variazioni,

come il risultato dell’azione dei fattori climatici, edafici e umani sul complesso di specie vegetali esistenti sul territorio;

� il secondo presupposto discende dal primo. Poiché le specie vegetali rispondono in termini di presenza/assenza in relazione ai fattori ambientali di cui possono tollerare o meno certi valori, una volta individuati i complessi vegetali (aggruppamenti) si può risalire alle cause che li determinano.

La vegetazione che è in gran parte espressione diretta di tutti i fattori ambientali è con il tempo soggetta a mutamenti di grande portata non avvertibile da noi in modo diretto per i tempi

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lunghi in cui si svolgono e per il fatto che le modificazioni umane sulla vegetazione mascherano abbondantemente quello che avviene in modo naturale. In sostanza si tiene conto che:

1. la vegetazione è un sistema formato da stati diversi di aggregazione delle popolazioni delle specie vegetali spontanee (popolamenti elementari);

2. ogni stato è definito da una composizione specifica e dai rapporti quantitativi fra le specie. E’ descrivibile mediante un rilievo, che consiste nell’annotare tutte le specie che si trovano in aree di saggio, nello stabilire la quantità di individui di ciascuna specie e il suo stato di aggregazione sulla superficie del rilievo. La scelta dell’area di saggio deve tener conto della omogeneità della vegetazione almeno dal punto di vista fisionomico; anche la superficie dell’area varia in funzione della complessità della vegetazione; occorre indicare la località, le condizioni orografiche (esposizione, inclinazione, aslm), geopedologiche; annotare la stratificazione, copertura % dei singoli strati e loro sviluppo in altezza; azioni umane.

3. i rilievi che descrivono stati simili per composizione floristica e rapporti quantitativi tra le specie sono utilizzati per definire tipi di vegetazione, cioè comunità vegetali.

4. tra le specie che costituiscono una comunità ci sono alcune più legate alle condizioni ambientali e sono dette specie diagnostiche;

5. le specie diagnostiche sono usate per classificare le comunità in un sistema gerarchico di cui l’associazione vegetale è l’unità elementare.

L’associazione vegetale è una comunità vegetale a composizione floristica definita, a fisionomia uniforme e corrispondente a condizioni uniformi di habitat. L’associazione è l’unità sinecologica fondamentale. Le associazioni sono classificate in alleanze, le alleanze in ordini, gli ordini in classi e le classi in divisioni. Le associazioni sono a loro volta suddivise in subunità. Ogni comunità vegetale considerata da un punto di vista energetico è un sistema aperto: cattura energia luminosa e la converte in energia e materia. Le modificazioni dinamiche che si instaurano comportano cambiamenti progressivi nella composizione in specie e nei loro rapporti quantitativi. Si determinano così successioni di comunità che possono essere autogene – determinate dalla attività biologica della comunità vegetale – o allogene – determinata da cause esterne alla comunità. Se le comunità divengono sempre più complesse (aumento della struttura o della biomassa) la successione è progressiva; in caso contrario regressiva. Come già sappiamo, l’aumento di complessità della vegetazione, aumentando i rapporti di integrazione tra le specie, rende sempre più stabili gli assetti raggiunti fino ad arrivare allo stadio finale di vegetazione climax. (es. le foreste delle pianure centro europee e della fascia sub-atlantica in Italia dominate dal faggio). Un modo per evidenziare i caratteri, i tipi e interdipendenze della vegetazione è l’esame della zonazione. Per cui definiamo <<fascia di vegetazione>> una porzione dello spazio, individuata in senso altitudinale, nella quale si verificano condizioni bioclimatiche simili e che pertanto presenta le stesse potenzialità dal punti di vista vegetazionale. La stessa porzione di spazio, individuata sul piano geografico, con esclusione di variazioni dovute all’altitudine è la

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<< zona di vegetazione>>. Sia parlando di fascia che di zona si può usare il termine zonazione. La struttura e il funzionamento dell’ecosistema riassumono le attività di tutti gli organismi della comunità biologica e le loro interazioni reciproche e con l’ambiente fisico. L’ambiente delle foreste è un esempio particolarmente chiaro di ecosistema organizzato in stati sovrapposti permettendo la massima utilizzazione dell’energia solare e una maggiore diversificazione delle nicchie ecologiche. Nella foresta possiamo distinguere: lo strato arboreo, lo strato arbustivo, lo strato erbaceo e lo strato muscinale. Il popolamento animale è diversificato nei diversi strati. 2. Aspetti ecologici

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⇒⇒⇒⇒ In tutti gli ecosistemi forestali le catene alimentari dei detrivori dominano largamente le catene degli erbivori. Inoltre nella piramide alimentare della foresta i carnivori sono più efficiente degli erbivori del livello trofico inferiore, in virtù del fatto che una parte dei vegetali è difficile da masticare e da digerire e quindi gli erbivori producono molti scarti che divengono alimenti per i decompositori. Inoltre solo una quantità inferiore del 5 % della produzione vegetale annua è prelevata dagli erbivori, mentre il resto non viene toccata e finisce per diventare materia morta sottoposta a processi di mineralizzazione operati ancora dai decompositori. ⇒⇒⇒⇒ Dal punto di vista dei cicli degli elementi, la foresta è un sistema aperto che scambia minerali con altri parti del sistema. La perdita maggiore di elementi nutritivi dal sistema avviene attraverso l’acqua corrente sia sopra che sotto il terreno, che porta via i minerali dilavati dalla lettiera e dal suolo. Le più importanti vie di immissione degli elementi minerali nel sistema delle foreste sono le precipitazioni , la cattura di polvere e altre particelle sospese nell’aria e lo sgretolarsi della roccia madre su cui cresce la foresta. In un ecosistema bilanciato, stabile, l’assorbimento dei minerali dal suolo da parte delle piante deve essere in equilibrio con il ritorno dei minerali al suolo attraverso la lettiera caduta. In molte foreste temperate ciò non avviene per lo più perchè sono giovani e in via di accrescimento. ⇒⇒⇒⇒ Il microclima della foresta è caratterizzato in primo luogo dalle modificazioni che subisce la

luce. Nelle foreste di conifere la luce è fortemente indebolita ma poco modificata qualitativamente; nelle foreste di caducifoglie la luce subisce un forte assorbimento selettivo. L’intensità luminosa cambia molto nel corso dell’anno a seconda della quantità di foglie che hanno gli alberi in quel momento. Nella foresta temperata l’illuminazione al suolo può scendere al 2 % dell’illuminazione del terreno nudo; nella foresta tropicale essa varia tra lo 0.1 % e l’1 %. La quantità e la qualità della luce variano quindi, come si intuisce, a seconda della natura degli alberi, della stratificazione verticale, della zona del bosco (bordo, boscaglia fitta, …) e la stagione.

La temperatura media annuale è più bassa e la piovosità annuale più alta nella foresta che nelle zone non boscose circostanti. La foresta è un luogo termicamente più costante di un’area scoperta e l’escursione termica, sia giornaliera, sia mensile che annuale, è sempre minore.

Il contenuto di anidride carbonica nell’aria è sempre leggermente superiore che in campo aperto.

L’UR è maggiore durante le ore notturne . Le chiome degli alberi intercettano una buona parte della pioggia: i due terzi delle piogge

deboli o almeno un quinto delle piogge temporalesche in una foresta di conifere e di più in quella di caducifoglie. Le condizioni climatiche ambientali di una foresta sono quelle di un clima più temperato di quello all’aria aperta, con una temperatura media più bassa, un’umidità media più alta, movimenti d’aria più attenuati, una illuminazione ridotta e una luce ricca di raggi rossi e infrarossi e povera di raggi gialli-verdi. Esistono, chiaramente, condizioni particolari all’interno della foresta, che si diversificano quanto riguarda i microclimi che abbiamo descritto: le radure, i tronchi d’albero e le cavità degli alberi. A livello regionale il bioma forestale tipico è quello della foresta temperata di caducifoglie.

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3. Le associazioni italiane

In base allo schema della distribuzione generale dei climi, la penisola italiana rientra completamente nell’area del clima mediterraneo che appartiene ai climi mesotermici e più precisamente al subtropicale con estate asciutta, secondo la classificazione di W. Koppen. In realtà, a causa di numerosi fattori come l’ubicazione del territorio rispetto ai mari ed al continente europeo, la struttura orografica e l’influenza della latitudine, accanto al tipico clima mediterraneo vi sono aree con altri climi mesotermici o con situazioni di clima microtermico e di altitudine. Viene qui proposta una suddivisione climatica basata sullo schema Koppen-Geiger, riportando come riferimento la codificazione letterale utilizzata da Koppen. La carta climatica d’Italia mostra la suddivisione per regioni climatiche che viene commentata qui di seguito.

⇒⇒⇒⇒ Regioni litoranea ligure-tirrenica, medio adriatica e ionica

Temperato subtropicale (CS) Interessa le aree più calde di ristrette fasce costiere dell’Italia meridionale ed insulare. Media annua > 17°C; media del mese più freddo > 10°C; 5 mesi con media > 20°C; escursione annua da 13°C a l7°C. Temperato caldo (Cs) Interessa la fascia litoranea tirrenica dalla Liguria alla Calabria, la fascia meridionale della costa adriatica e la zona ionica. Media annua da 14.5 a 16.9°C; media del mese più freddo da 6 a 9.9°C; 4 mesi con media > 20°C; escursione annua da 15 a 17°C.

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⇒⇒⇒⇒ Regione sublitoranea interna

Temperato sublitoraneo (Cs) Interessa le zone collinari del preappennino tosco-umbro- marchigiano ed i versanti bassi dell’Appennino meridionale. Media annua da 10°C a l4.4°C; media del mese più freddo da 4°C a 5.9°C; 3 mesi con media > 20°C; escursione annua da 16°C a 19°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione padano veneta, alto adriatica e peninsulare interna

Temperato subcontinentale (Cf) Interessa parte della pianura veneta, la pianura friulana, la fascia costiera dell’alto adriatico e la peninsulare interna. Media annua da 10°C a 14°C; media del mese più freddo da -1 a 3.9°C; 2 mesi con temperatura > 20°C; escursione annua da 16 a 19°C. Temperato continentale (Cf) Interessa tutta la pianura padana e parte di quella veneta. Media annua da 9.5 a 15°C; media del mese più freddo da -1.5 a 3°C; 3 mesi con media >20›; escursione annua > 19°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione prealpina e medio appenninica

Temperato fresco (Cf) Interessa le prealpi e la zona assiale dell’Appennino che talora presenta caratteristiche subcontinentali. Media annua da 6 a 9.9°C; media del mese più freddo da 0 a -3°C; media del mese più caldo da 15 a 19.9°C; escursione annua da 18 a 20°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione alpina e alto appenninica

Temperato freddo (Dw) Interessa una fascia delle Alpi e le aree sommitali dei maggiori gruppi appenninici. Media annua da 3 a 5.9°C; media del mese più freddo <-3°C; media del mese più caldo da 10 a 14.9°C; escursione annua da 16 a 19°C.

⇒⇒⇒⇒ Regione alpina

Freddo d’altitudine (H) Interessa le zone alpine al di sopra dei 2000 m. Media annua <0›; media del mese più freddo <-6°C; media del mese più caldo < 9.9°C; escursione annua da 15 a 18°C.

Nivale (EF) Interessa la zona delle Alpi oltre i 3500 m. con neve perenne. T del mese più freddo -65°C.

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Le fasce vegetazionali

In Italia sono distinguibili, (Pignatti 1979), due zone bioclimatiche: Zona Medioeuropea (Alpi, Padania, versante settentrionale Appenninico dalla Liguria alla Romagna) e Zona Mediterranea (Penisola, Isole e Liguria a sud del crinale Appenninico e delle Alpi Marittime). Il limite convenzionale tra le due zone, lungo lo spartiacque, è sfumato, soprattutto sul versante adriatico. Tra le Fasce vegetazionali riconosciute in Italia, alcune sono presenti in ambedue le Zone, altre in una sola di esse. Accade, inoltre, che formazioni appartenenti a una determinata Fascia compaiano al di fuori di essa, nell’ambito di un’altra Fascia o Zona, assumendo significato extrazonale. Nella Carta alcune Fasce sono state

rappresentate singolarmente, altre sono state raggruppate. Le Fasce vegetazionali vengono di seguito prese in esame seguendo un ordine altitudinale ascendente. Per ogni fascia sono indicate anche altre denominazioni usate nella letteratura geobotanica la dicitura “p.p.” segnala in senso lato la mancanza di una precisa corrispondenza con la denominazione usata in queste pagine.

1. Fascia dell’Oleastro e del Carrubo Vegetazione mediterranea termofila-xerofila; boscaglia sempreverde con Oleastro, Carrubo, Lentisco, Palma nana, Mirto, Ginepro, Euforbia arborea, Cisti. Pinete di pino d’Aleppo. Ampia diffusione di esotiche (Palme, Cactacee). Coltivazioni di Olivo, agrumi, Mandorlo, Vite, Fico d’India, cereali, Eucalipti. Ambiente ecologico: mediterraneo-arido; temperatura media annua: 18°C. La fascia è presente nella Zona Mediterranea. 2. Fascia del Leccio Vegetazione mediterranea di foresta/macchia sempreverde. Lecceta: Leccio accompagnato da Corbezzolo, Lentisco, Terebinto, Alatern, Viburno. Formazioni di Leccio e Sughera; sugherete; pinete di Pino marittimo, Pino d’Aleppo e Pino da pinoli. Garighe e steppe di degradazione. Coltivazioni di Olivo, Vite, cereali, Frassino da manna. Compenetrazioni, al limite superiore della fascia, con elementi del bosco caducifoglio (Orniello, Roverella). Ambiente ecologico: mediterraneo; temperatura media annua: 15°C.

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La fascia è presente nella Zona Mediterranea; e extrazonale nella Zona Medioeuropea. Le foreste miste caducifoglie sono rappresentate dalla fascia della Farnia, del Carpino e del Frassino e dalla fascia della Roverella e della Rovere.

3. Fascia della Farnia, del Carpino e del Frassino Vegetazione delle grandi pianure e dei fondovalle con Farnia, Carpino, Frassino. Formazioni con dominanza di Farnia e potenzialità per il Cerro; nelle depressioni lungo le rive dei laghi o dei fiumi popolamenti con Ontano, Pioppo bianco, Salici ecc. Pinete costiere paraclimaciche. Antropizzazione molto alta. Coltivazioni di colture erbacee, frutteti, vigneti, pioppeti. Vegetazione alofila litorale, azonale. 4. Fascia della Roverella e della Rovere Formazioni a Roverella con potenzialità per il Leccio o per il Fragno. Formazioni miste con dominanza di (o maggiore potenzialità per) Roverella o Rovere o Cerro. Aggruppamenti extrazonali/azonali di Pino silvestre/Pino nero. Castagneti. Coltivazioni di colture di cereali, Vite, ortaggi, Olivo; frutteti, prati, pascoli. 5. Fascia del Faggio Faggeta; vari aspetti di foresta caducifoglia mesofila con denominanza di faggio; Formazioni di Faggio e Abete bianco. Popolamenti exstrazonali/azonali di Pino silvestre, P. mugo/P. nero; popolamenti estrazonali di Peccio. Boschi colturali di aghifoglie. Prati; pascoli, rare coltivazioni di Patate e Grano saraceno. Ambiente ecologico: montano; temperatura media annua: 8°C. La fascia e’ presente sia nella Zona Medioeuropea, sia nella Zona Mediterranea. 6. Fascia del Peccio Foresta sempreverde di conifere e sottobosco di ericacee (taiga). Formazioni con dominanza di Peccio (Picea abies o abete rosso), formazioni con Larice e Cembro. Consoni di Pino mugo; alneti ad Ontano verde; brughiere di ericacee (Rododendro, Mirtillo). Pascoli. Ambiente ecologico: subalpino; temperatura media annuale: 4°C. La fascia è presente nella Zona Medioeuropea; e extrazonale nella Zona Mediterranea. Situazioni al di sopra del limite degli alberi. Arbusti prostrati; tappeti erbosi; vegetazione ipsofila, crionivale, di pareti rocciose d’altitudine ecc. Vegetazione assente per presenza di ghiacciai, di nevai permanenti o persistenti gran parte dell’anno.

7. Nelle aree al di sopra del limite degli alberi sono riconosciute le seguenti fasce vegetazionali (Pignatti 1979):

Zona Medioeuropea

Fascia Alpica Tappeti erbosi e tundra. Sulle Alpi oltre il limite degli alberi; temperatura media annua: 1°C. La fascia è extrazonale sull’Appennino. Fascia Nivale Popolamenti discontinui a licheni. Sulle Alpi oltre il limite delle nevi perenni; temperatura media annua: 5°C.

Zona Mediterranea

Fascia Mediterraneo-altomontana Tappeti erbosi scorticati. Sull’Appennino; temperatura media annua: 1°C. Fascia Irano-nevadese: Arbusti emisferici spinosi. Sulle alte montagne delle grandi isole; temperatura media annua: 5°C.

( le note precedenti sono tratte dal sito dell’Associazione Italiana di Aerobiologia http://www.ilpolline.it/vegetazione-italia )

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8. LE CATEGORIE FORESTALI DELL’EMILIA ROMAGNA

Tutta la regione Emilia-Romagna ricade nella zona bioclimatica medioeuropea, comprendente le Alpi, la Padania e il versante settentrionale dell’Appennino, dalla Liguria alla Romagna. Il confine di questa zona con la zona bioclimatica mediterranea si colloca, in modo alquanto sfumato, lungo le coste adriatiche più meridionali della regione e può essere posto approssimativamente in corrispondenza della Valle del Marecchia. Fascia mediterranea (extrazonale):

- il bosco della Mesola (bosco dominato dal leccio, bosco mesofilo dominato dalla farnia e carpino bianco, bosco igrofilo con Fraxinus oxycarpa)

- le pinete a pino domestico (Pinus pinea) – le pinete ravennate (pinete di Classe, San Vitale e di Cervia)

Fascia medioeuropea planiziale: - querceti caducifogli mesofili a farnia, carpino bianco, frassino, corniolo, nocciolo,

olmo, acero campestre : bosco Panfilia presso Sant’Agostino (FE); bosco di Punte Alberete

- I boschi riparali - I pioppeti artificiali

Fascia medioeuropea collinare e submontana:fino agli 800 – 1000 m - I querceti mesofili e gli orno-ostrieti: querco-ostrieto, cerreto, rovero-cerreto. - I castagneti - I querceti xerofili - Le pinete a pino silvestre - I boschi ripariali

Fascia subatlantica: tra gli 800-1000 m e i 1700 m (fascia montana) - I faggeti - I boschi riparali - Le peccete relitte (Passo del Cerreto, Passo dell’Abetone)

Fascia boreale: - Brughiera a mirtillo e praterie orofile.

Criteri per l’individuazione delle unità fisionomiche fondamentali della tipologia forestale della Regione Emilia-Romagna. I boschi sono definiti in base a una copertura di specie arboree (h > 3m) superiore al 20% Gli arbusteti sono definiti in base a una copertura di specie arbustive (h 1/1,5-3 m; tra cui biancospino, sanguinello, ginepri, prugnolo, ecc,) >20% e con specie arboree < 20%. I cespuglieti sono definiti in base a una copertura di specie cespugliose (h < 1/1,5 m ) tra cui alcuni tipi di ginestra, ecc, >20% con specie arboree < 20%.

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Sulla base delle conoscenze finora raccolte e delle ricognizioni di terreno svolte, è stata redatta una prima bozza dei tipi forestali della Regione Emilia Romagna: nelle 15 categorie presenti sono individuati 55 tipi forestali (di cui 7 arbusteti) così di seguito definiti ed elencati: 1. LECCETE (LE)

Lecceta costiera su dune Lecceta sopramediterranea rupestre

2. QUERCETI ROVERELLA (QU) Querceto mesoxerofilo di roverella Querceto xerofilo di roverella; Querceto xero-acidofilo di roverella

3. QUERCETI DI FARNIA (QC) Querco-ulmeto golenale; Querco-carpineto dei terrazzi appenninici

4. CERRETE (CE) Cerreta dei terrazzi planiziali Cerreta mesoxerofila Cerreta mesofila Cerreta acidofila

5. ORNO-OSTRIETI (OS) Ostrieto pioniero Ostrieto mesoxerofilo Ostrieto dei substrati serpentinitici Ostrieto mesofilo di forra

6. CASTAGNETI (CA)

Castagneto da frutto Castagneto acidofilo Castagneto neutrofilo

7. PINETE COSTIERE (PC) Pineta costiera di pino domestico e/o marittimo

8. PINETE APPENNINICHE (PM) Pineta appenninica calcifila di pino silvestre Pineta acidofila di pino uncinato prostrato

9. ABETINE (AB) Abetina mesoneutrofila Abetina oligotrofica

10. FAGGETE (FA) Faggeta oligotrofica Faggeta mesofila submontana Faggeta mesoxerofila calcifila Faggeta eutrofica Faggeta mesotrofica altimontana

11. SALICETI e PIOPPETI (SP) Saliceto arbustivo appenninico Saliceto planiziale a Salix alba Saliceto paludoso a Salix cinerea Pioppeto di pioppo nero Pioppeto di pioppo bianco

12. LATIFOGLIE MESOFILE E

MESOIGROFILE (LM) Alneto di ontano bianco Alneto di ontano nero Frassineto planiziale a Fraxinus oxycarpa Carpineto submontano d’impluvio Acero-tiglio-frassineto di forra Acero- frassineto d’invasione

13. BOSCAGLIE PIONIERE E

D’INVASIONE (BS) Betuleto Corileto Robinieto Pioppeto di pioppo tremolo Boscaglia d’invasione Boscaglia rupestre

14. RIMBOSCHIMENTI (RI)

Rimboschimenti costieri e planiziali Rimboschimenti collinari Rimboschimenti montani

15. ARBUSTETI (AM)

Arbusteto a rosacee e sanguinello Arbusteto a ginepro comune Arbusteto a Spartium junceum Arbusteto a Cytisus scoparius Arbusteto a Amorpha fruticosa Macchia mediterranea costiera Arbusteto a tamerici

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