ISTITUTO COMPRENSIVO SAVIGNANO S. P. · Lavori di gruppo ... (o cooperative learning) è una...

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ISTITUTO COMPRENSIVO SAVIGNANO S. P. Via Don Gherardi, 1 - 41056 Savignano s.P. (MO) Tel 059730804 Fax 059730124 E-Mail - [email protected] E-Mail certificata - [email protected] C.F. 80013950367 - C.M. MOIC81400E DOCENTE Prof.ssa Elisa Baviera TUTOR Chiar.ma Prof.ssa Saida Paglioli DIRIGENTE SCOLASTICO Dott.ssa Tiziana Tiengo RELAZIONE FINALE Quotidiane esperienze di apprendimento cooperativo Anno Scolastico 2013-2014

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ISTITUTO COMPRENSIVO SAVIGNANO S. P. Via Don Gherardi, 1 - 41056 Savignano s.P. (MO) Tel 059730804 Fax 059730124

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C.F. 80013950367 - C.M. MOIC81400E

DOCENTE Prof.ssa Elisa Baviera

TUTOR Chiar.ma Prof.ssa

Saida Paglioli

DIRIGENTE SCOLASTICO

Dott.ssa Tiziana Tiengo

RELAZIONE FINALE Quotidiane esperienze di

apprendimento cooperativo

Anno Scolastico 2013-2014

Indice

Introduzione .......................................................................................................................... 1

Capitolo primo – L’apprendimento cooperativo: un quadro teorico ............................ 3 1.1. Le radici ........................................................................................................................... 3 1.2. Apprendere insieme ...................................................................................................... 5 1.3. Apprendimento cooperativo tra psicologia e pedagogia ......................................... 6 1.4. Il metodo cooperativo .................................................................................................... 7 Capitolo secondo – Dentro la scuola ................................................................................ 10 2.1. L’apprendimento cooperativo nelle Indicazioni Nazionali ................................... 10 2.2. Dalle Indicazioni al POF.............................................................................................. 11 2.3. Dal POF alla scuola ...................................................................................................... 13 Capitolo terzo – Esperienze collaborative in classe ........................................................ 14 3.1. Le classi .......................................................................................................................... 14 3.2. Le esperienze ................................................................................................................ 14 3.2.1. Discussioni di classe ....................................................................................... 17 3.2.2. La classe virtuale ............................................................................................. 20 3.2.3. Lavori di gruppo ............................................................................................. 21 3.3.Valutazione delle esperienze ....................................................................................... 26 Conclusioni .......................................................................................................................... 28 Allegati.................................................................................................................................. 29 Bibliografia ............................................................................................................................. 65

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Introduzione

Questa relazione costituisce il frutto di una riflessione e di un’esperienza. La prima ha come oggetto il senso stesso della scuola, le sue finalità ed i suoi attori principali, cioè insegnanti, studenti e studentesse; la seconda li vede protagonisti di alcune attività quotidiane, che di seguito verranno descritte ed analizzate.

Essere un’insegnante è per me una scelta compiuta da tempo, oserei dire una scelta di vita, le cui origini seguono il filo dei miei studi classici al Liceo Marco Minghetti di Bologna, passando per le aule della facoltà di Lettere Moderne dell’Università di Bologna, di nuovo frequentate per i corsi della Scuola di Specializzazione all’insegnamento secondario.

Guardando indietro, dentro questo percorso riesco a trovare un sentimento forte, la passione per i libri, che è cresciuta con me, che ora rivedo in mio figlio e che, come in un cerchio magico, partita dalla scuola, mi ha riportata nella scuola.

Tale passione si coniuga con un’idea d base, che è il valore della cultura, quel tipo di cultura in senso lato che Edgar Morin così definisce come oggetto di un “insegnamento educativo”:

La missione di questo insegnamento è di trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta

di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere; essa è nello stesso tempo una maniera di pensare

in modo aperto e libero.1

Dunque un’idea di cultura che non trasmetta solo concetti e teorie, ma formi l’individuo in modo globale, che non conosca confini settoriali, che parli lingue e linguaggi diversi, che abbracci campi, esperienze, conoscenze molteplici.

Il luogo privilegiato che si deve far carico di sintetizzare tale cultura, la cui complessità corrisponde alla complessità stessa dell’uomo e della realtà, è la scuola.

In questa visione si riconosce alla scuola una grande dignità, ma le si affida un compito elevato, che è anche una sfida quotidiana che si scontra con pregiudizi sociali, con povertà culturali e con difficoltà materiali oggettive e contingenti.

Senza dimenticare che la dimensione formativa della scuola si colloca all’interno di una rete di relazioni in cui sono coinvolte persone differenti, con le proprie specificità legate all’età, alla cultura, alla storia personale. Sono adulti e ragazzi che per diverse ore, ogni giorno, per anni, entrano in relazione, incontrandosi e spesso scontrandosi, ma condividendo comunque qualcosa, anche solo uno spazio fisico, una classe.

Ecco dunque delinearsi un altro concetto fondamentale, che è poi il nucleo centrale di queste pagine: come nessun essere vivente è isolato dagli altri, come “nessun uomo è un’isola”, così nel percorso di apprendimento-insegnamento, volente o nolente, nessuna parte in causa è staccata dalle altre.

Mettere questa condizione di relazione tra le parti in una posizione di rilievo all’interno della pratica didattica comporta una modifica di paradigma della tradizionale relazione univoca docente-discente. Vuole dire anche modificare, magari solo parzialmente, il proprio stile di insegnamento, ad esempio ricorrendo a differenti metodologie didattiche e, ad un livello più profondo, ripensare l’azione formativa al fine di ottenere risultati migliori e comunque differenti. E gli apprendimenti davvero significativi si hanno quando qualcosa si modifica, cambia, si evolve in chi apprende e forse anche in chi insegna.

L’apprendimento cooperativo è una delle possibili strade da percorrere in questo tipo di insegnamento; è una strada più lunga, più complessa ma che, costringendo ogni parte della relazione educativa a mettersi in gioco, può portare risultati nuovi ed inaspettati, che vanno al di là dei risultati dei singoli.

1 E.MORIN, La testa ben fatta, Milano, Raffaele Cortina Editore, 2000, p.3.

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Diverse volte, in questi anni, ho utilizzato un metodo di lavoro cooperativo, senza averne una grande esperienza, ma forse non avendo dimenticato il fascino di un famoso testo collettivo, fulcro della mia testi di laurea: “Lettera a una professoressa” di Don Milani e della sua speciale scuola.

Così anche in questi mesi ho tentato di ricorrere a tale metodologia, inserendola nel flusso di lavoro delle mie due classi seconde della scuola secondaria di primo grado “Graziosi”, parte dell’Istituto Comprensivo di Savignano sul Panaro.

Verranno in seguito raccontate ed analizzate semplici pratiche didattiche ed occasioni quotidiane di lavoro cooperativo, oltre a qualche attività più corposa, frutto della collaborazione tra gli studenti, che viene presentata in allegato.

L’analisi critica di tali lavori viene rimandata alla parte finale della relazione, mentre nella prima parte viene data una sintesi delle principali teorie scientifiche e pedagogiche di riferimento in merito all’apprendimento cooperativo, insieme ad una riflessione sulle esperienze compiute in classe alla luce delle Nuove indicazioni per il curricolo.

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Capitolo primo

L’apprendimento cooperativo: un quadro teorico

1.1. Le radici

L’ apprendimento cooperativo (o cooperative learning) è una metodologia didattica basata sull’interazione tra gli studenti: essi apprendono ed agiscono in relazione, in un ambiente di apprendimento aperto e flessibile, predisposto e monitorato dagli insegnanti.

Tale metodologia presenta diverse forme e tecniche di lavoro, supportate da numerose ricerche in campo didattico, psicologico e pedagogico, spesso differenti per impostazione, contenuti ed obiettivi, ma per lo più volte ad analizzare e a mettere in luce gli aspetti positivi di questo metodo di lavoro.

Pur nella loro diversità, le varie riflessioni sull’apprendimento cooperativo possono però essere ricondotte ad alcuni importanti movimenti della storia dell’educazione, primo fra tutti l’attivismo, uno dei movimenti più innovatori del Novecento.

Esperienze educative innovative, in un qualche modo anticipatarie dell’attivismo, compaiono però già nell’Ottocento: la singolare scuola di Jasnaja Poljana aperta da Tolstoj nel 1859 per i figli dei contadini, rispettosa della loro cultura popolare, incentrata sullo sviluppo delle capacità individuali nel segno della spontaneità e dell’antiautoritarismo; la “Scuola delle Rocce” organizzata in Normandia da Demolins nel 1898, basata sull’autogoverno del bambini, lavori manuali ed esplorazioni all’aperto; in Gran Bretagna la scuola di O’Neil, senza banchi né classi, con lezioni sostituite da discussioni tra gli alunni e manuali rimpiazzati da monografie prodotte dagli studenti.

L’elenco di queste esperienze potrebbe continuare a lungo, toccando la Germania, gli Stati Uniti, l’Italia (si pensi alle esperienze montessoriane) e la Svizzera. Proprio in Svizzera, a Ginevra, venne creato il termine “scuola attiva” da P.Bovet, direttore dell’Istituto Rousseau, in cui Piaget darà nuovo slancio alle ricerche nel campo della psicologia infantile.

Sempre a Ginevra, era già stato fondato il Bureau International des Ècoles Nouvelles da Ferrière, che sarà uno dei teorici dell’attivismo. Secondo Ferrière:

Il bambino ama la natura: fu messo in stanze chiuse. Al bambino piace giocare: fu fatto lavorare. Gli

piace che la sua attività serva a qualcosa: si fece sì che la sua attività fosse senza scopo. Gli piace maneggiare

degli oggetti: fu messo a contatto con le idee. Gli piace usare le mani: ci si rivolse soltanto al suo cervello.

Gli piace parlare: fu costretto al silenzio. Vorrebbe ragionare: gli si fece imparare tutto a memoria. Vorrebbe

cercare la scienza: gli venne imbandita bell’e fatta. Vorrebbe seguire la sua fantasia: venne piegato sotto il

giogo degli adulti. Vorrebbe entusiasmarsi: si inventarono le punizioni. Vorrebbe muoversi liberamente:

gli fu insegnato a ubbidire passivamente “Perinde ac cadavere”.2

In questa lucida critica ad una didattica autoritaria e tradizionale, critica per molti aspetti

moderna ed ancora attuale, emerge un quadro dei principi fondamentali dell’attivismo: il rispetto del bambino, della sua spontaneità, dei suoi bisogni ed interessi; il legame con la natura, una scuola aperta alla vita e al mondo; l’antinozionismo unito a metodi non autoritari ed il richiamo alla psicologia, le cui ricerche sull’evoluzione del bambino e sui meccanismi cognitivi dell’apprendimento orienteranno la pedagogia novecentesca.

Il nome di riferimento nell’attivismo è rimasto però quello di Dewey, filosofo dell’educazione, i cui esperimenti e le cui riflessioni troveranno larga eco negli Stati Uniti e in Europa.

Per Dewey la scuola deve essere attiva e democratica, una comunità in cui il bambino deve poter sperimentare l’essenza stessa della democrazia ed imparare ad essere un cittadino libero e

2 A. FERRIERE, Trasformiamo la scuola, Firenze, La Nuova Italia, 1952, pag. XXII.

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consapevole. La scuola deve essere una comunità, un luogo in cui si collabora per imparare e dove si impara facendo, rimanendo in contatto continuo con la vita reale; dove si agisce, si ricerca, si studia spinti dall’interesse e si diventa costruttori della propria conoscenza. Solo così l’apprendimento diventa significativo ed incide nella vita dello studente.

Nel panorama pedagogico italiano si deve aspettare il secondo dopoguerra perché riprendano vita scuole attive e democratiche ispirate alle idee di Dewey, considerate buon antidoto al germe fascista radicatosi nella scuola. In esse si crede nell’importanza della cooperazione e la scuola è l’elemento che può trasformare la società formando personalità democratiche, ma solo se la scuola stessa è un ambiente educativo improntato al senso di comunità, allo scambio, al confronto e alla discussione. Se cioè la scuola è luogo in cui si opera e si coopera verso obiettivi comuni.

Nasceranno così importanti movimenti di pedagogisti ed educatori, come il Movimento di Cooperazione Educativa, ancora esistente. Ispirato principalmente all’esempio di Elise e Célestin Freinet, il movimento riunì insegnanti ed educatori in una continua e proficua ricerca didattica sul campo. In scuole e classi attive, aperte e dinamiche, maestri come Bruno Ciari e Mario Lodi (recentemente scomparso) sperimentarono quotidianamente nuovi metodi didattici, ispirati alla collaborazione (tra insegnanti e tra alunni), nella convinzione che l’educazione e l’apprendimento debbano essere inseriti in una dimensione comunitaria, la sola realtà in grado di trasmettere valori duraturi e di far crescere in modo globale il ragazzo:

Guardiamo ora al futuro.

Il ragazzo che si è identificato col suo gruppo, con la classe, che ha esteso in tal modo la sua coscienza

morale, è ben disposto a compiere altre identificazioni ed equazioni; è disposto a sentire veramente

l’associazione civile, politica, ideologica, come qualcosa di cui egli fa parte organica pur rimanendo se

stesso, è atto a far propri i problemi degli altri, della comunità nazionale, e anche dell’intera umanità.

Una scuola di egoismo, di militarismo gretto, di paure e di greve meccanicismo non può che coltivare gli

abiti opposti.3

Tra le attività didattiche sperimentate da questi maestri, un posto speciale era riservato alla scrittura collettiva, occasione creativa di riflessione linguistica e di condivisione. Dai testi liberi individuali, nelle classi del maestro Lodi, si passava ogni giorno alla produzione di un testo comune, poi stampato: queste cronache illustrate, questi resoconti di osservazioni e di ricerche scientifiche finirono per sostituire i manuali tradizionali; il lavoro di una classe diventava poi patrimonio fruibile da chiunque ne fosse interessato, dentro e fuori il movimento.

Nel 1963 Mario Lodi salì a Barbiana, in una particolare scuola di montagna gestita da Don Lorenzo Milani, portandovi i suoi esempi di scuola e di scrittura collettiva; da questo incontro nascerà un’opera collettiva, cristallina e semplice, la cui voce forte, aprirà un importante dibattito sulla scuola italiana: la Lettera a una professoressa.

Nel vasto panorama di filosofi dell’educazione, pedagogisti, psicologi, ricercatori ed insegnanti che da più di un secolo hanno riflettuto sull’apprendimento cooperativo, sarebbero ben più numerosi i nomi da citare. Credo però che la forza delle teorie e delle esperienze di quelli fin qui presentati siano tali da riuscire a dar voce ad idee che sono alla base dell’apprendimento cooperativo stesso, ma che allo stesso tempo lo travalichino, ponendosi come idee generali di un certo tipo di scuola e quindi di società, che condivido: una scuola di tutti e di ciascuno, aperta, vicino alla realtà del proprio tempo, palestra di vita e di democrazia, una comunità in cui si impara a stare insieme imparando così anche ad essere cittadini di domani.

3 B .Ciari, Le nuove tecniche didattiche, Roma, Editori Riuniti, 1961.

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1.2. Apprendere insieme L’apprendimento cooperativo è una metodologia didattica che va al di là del semplice lavoro

di gruppo, ma che inevitabilmente ha a che fare con i gruppi e trova in essi valenze positive per l’apprendimento.

Numerose e vaste ricerche di diversi ambiti (sociologia, psicologia, pedagogia, scienze umane in generale) si sono concentrate sull’ analisi dei gruppi.

Gli studi di Kurt Lewin (esponente di spicco della Gestalttheorie) sulle tipologie di gruppo, le relazioni tra gruppo ed ambiente circostante e le dinamiche interne al gruppo hanno grande rilevanza in campo pedagogico e trovano una qualche familiarità con le idee di Dewey, ponendo l’accento sulla necessità di arrivare ad un’educazione democratica partendo da un ambiente educativo collaborativo e democratico.

Le teorie di Lewin fanno riflettere sull’essenza stessa di un gruppo, sui suoi movimenti interni e sulla imprescindibile necessità per la scuola di riflettere sulle relazioni tra i suoi protagonisti (tra insegnanti, tra insegnanti ed allievi, tra allievi, tra insegnanti e genitori, tra personale scolastico ed extrascolastico e via dicendo), poiché esse influiscono sul clima sociale della classe e della scuola stessa e sul suo buon funzionamento.

La vita della scuola è la vita di una comunità, di un gruppo, e di gruppi più piccoli che interagiscono (le sezioni, le classi, i gruppi di amicizia e di interesse all’interno delle classi, i gruppi di chi pratica attività extrascolastiche…), cioè insiemi di persone che condividono uno spazio e delle attività, ma che sviluppano uno spirito di gruppo soprattutto quando condividono degli obiettivi comuni.

Perché i gruppi funzionino, è necessario che gli obiettivi comuni siano chiari e che le possibili dinamiche interne non influiscano negativamente sulla vita del gruppo. La responsabilità della gestione di tali dinamiche spetta agli adulti che ruotano intorno alla vita scolastica, primi fra tutti gli insegnanti.

Tenere in considerazione le reti di relazioni umane in una classe, tra la classe e la scuola, tra la scuola e le famiglie e il territorio non è quindi irrilevante nella pianificazione e nello svolgimento delle attività didattiche: è lampante quando il lavoro della classe o di parte di essa non procede bene e spesso basta poco per capire che la causa va ricercata in dinamiche di gruppo negative, in conflitti interni, in problematiche personali o familiari e non solo nella semplice mancanza di studio o di impegno.

Ignorare questi aspetti, poiché non rientranti nella nostra programmazione né nella nostra disciplina, è controproducente per il buon andamento del programma stesso (se è questo che ci interessa). Ciò non vuol dire che un insegnante debba trasformarsi in sociologo o psicologo, né che debba assumere atteggiamenti confidenziali o amichevoli verso gli alunni. Mantenendo la specificità del proprio ruolo, deve riuscire a cogliere le dinamiche relazionali nella classe e nella scuola e riuscire a gestirle e ad orientarle (ricorrendo anche alla collaborazione degli altri docenti o di figure specifiche della scuola, come psicologi o educatori professionali). D’altra parte egli stesso è parte di questa rete di relazioni e ne è comunque coinvolto; anche il rifiuto della presa in carico di questi aspetti della quotidiana vita scolastica è comunque un’assunzione di un ruolo in queste dinamiche; esserne davvero esclusi non è infatti possibile.

L’apprendimento cooperativo comincia dunque dal considerare la scuola come comunità e dall’instaurare in classe uno “stile cooperativo”, creando

un ambiente scolastico attraversato da un clima di tranquillità e di serenità, privo di censure e divieti nei

confronti della comunicazione interpersonale tramite il linguaggio verbale e non verbale. Questa atmosfera

emotivo-affettiva da “climatizzare” nella scuola della cooperazione mira a respingere la volontà di potenza

presente nelle forme patogene dell’autoritarismo degli insegnanti e della rivalità e competitività degli

allievi. 4

4 F.FRABBONI, Didattica generale, Milano, Mondadori, 1999, pag. 123.

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Il fine è multiplo: favorire la socializzazione e il senso di appartenenza ad una comunità; promuovere lo scambio di esperienze e di idee, cioè il dialogo, il confronto, la critica, l’accettazione dell’altro con le sue specificità e diversità, abbandonando una prospettiva egocentrica. 1.3. Apprendimento cooperativo tra psicologia e pedagogia

Le potenzialità del gruppo vanno però anche al di là degli aspetti relazionali;

nell’apprendimento infatti il gruppo può dimostrarsi soggetto in grado di agire e di attuare trasformazioni a livello cognitivo.

In una didattica tradizionale l’insegnamento consiste di solito in una lezione frontale, in cui si verifica un meccanico passaggio di concetti afferenti alle varie discipline, e in una serie di addestramenti relativi alle abilità necessarie nei vari ambiti. Il percorso è univoco, parte dal docente e arriva allo studente, la cui mente viene così infarcita di nozioni secondo la classica metafora del vaso vuoto da riempire. Infine la valutazione positiva costituisce per lo studente il premio e la spinta motivazionale all’apprendimento o quantomeno allo studio.

I limiti di tale modalità di insegnamento (che è ancora il più diffuso) da tempo sono stati messi in evidenza da vari orientamenti psicologi, assumendo un diverso punto di vista.

Innanzitutto l’apprendimento non è qualcosa di astratto, ma avviene attraverso l’esperienza; il processo si verifica collegando una nuova esperienza al bagaglio di informazioni già possedute; le nuove informazioni vanno ad assimilarsi alla propria rete di conoscenze, apportandovi cambiamenti. Se per Piaget esistono rigide tappe evolutive cognitive con cui l’apprendimento deve fare i conti, Vygotskij individua “zone di sviluppo prossimale”, cioè la distanza che sta tra lo sviluppo cognitivo attuale e quello potenziale di un individuo; nel superamento di tale varco l’individuo viene guidato e sollecitato da una o più figure che hanno competenze maggiori (siano essi insegnanti, educatori o compagni–tutor) e che pongono continue sfide cognitive.

Concentrandosi soprattutto sulla relazione tra sviluppo del pensiero e sviluppo del linguaggio, egli mise in luce un altro aspetto fondamentale: la costruzione della conoscenza è un processo sociale e l’apprendimento è condizionato dall’ambiente sociale circostante; lo sviluppo stesso del pensiero e della creatività sono potenziate dal dialogo e dal confronto con gli altri, in un percorso circolare che dal sociale porta all’individuale e viceversa.

Dal confronto con queste teorie, Bruner svilupperà altri concetti rilevanti, alla base dello sviluppo della psicologia culturale: l’apprendimento e l’educazione sono pratiche sociali, che si verificano ovunque si crei uno scambio tra soggetti diversi (quindi non solo a scuola); l’apprendimento è un processo attivo, in cui il soggetto costruisce la sua conoscenza partendo dalle proprie conoscenze pregresse.

Questi grandi nomi citati finora, pilastri della psicologia e delle scienze dell’educazione in genere, fanno tutti riferimento a concetti espressi ormai molti decenni fa, più o meno noti a tutti coloro che si occupano di scuola e credo univocamente ritenuti validi tuttora.

Ci dovremmo forse domandare come mai dopo tanti anni le nostre abitudini didattiche siano ancora piuttosto lontane dalla pratica effettiva e continua di queste teorie. Alcune risposte potrebbero essere cercate nel divario tra impianti teorici e realtà quotidiana, negli scarsi investimenti nell’istruzione, nella mancanza di dignità del ruolo dell’insegnante, per cui si finisce per ricadere nelle abitudini didattiche più tradizionali, meno stimolanti per tutti, ma sicuramente più facili da gestire e forse più rassicuranti.

Il ruolo della scuola nella realizzazione effettiva della democrazia e nell’educazione di cittadini consapevoli, la dimensione sociale dell’apprendimento, il ruolo attivo di chi apprende e il valore del confronto, che sono stati messi in risalto in questo quadro teorico, credo abbiano un’importanza talmente grande da non poter essere ignorati.

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Non che mettere in pratica teorie ambiziose sia facile, ma tentare di inserirle poco alla volta nella routine quotidiana può diventare fattibile e credo che l’apprendimento cooperativo possa essere una via percorribile, che racchiude e realizza tutti questi principi. 1.4. Il metodo cooperativo

Poiché l’apprendimento è un fatto sociale, gli individui apprendono insieme fin dai primi stadi della vita. La scuola diventa poi il luogo istituzionale in cui imparare collettivamente in modo strutturato per diversi anni dell’infanzia e dell’adolescenza.

Il ritrovarsi insieme però non basta a far scaturire un tipo di apprendimento cooperativo; il primo passo è che la scuola sia un luogo aperto e dinamico, una comunità in cui si respiri quello stile collaborativo di cui si parlava in precedenza

I docenti stessi prima di tutto devono sentirsi parte di un gruppo che lavora per la scuola e il territorio, condividendo obiettivi, attività e linee educative comuni, pur mantenendo la propria specificità. Un insieme di adulti che non sanno collaborare o che lavorano fianco a fianco in armonia, ma in modo del tutto individuale, non sarà mai in grado di insegnare ad apprendere insieme.

L’apprendimento cooperativo infatti va coltivato ed insegnato e ciò richiede tempo. Il primo passo spetta al docente che, senza abbandonare il proprio ruolo di figura adulta di riferimento, deve gradualmente trasformare il proprio modo di gestire la classe, lasciando margini di autonomia agli studenti e ponendosi come regista delle attività e fungendo da facilitatore nelle interazioni tra gli studenti.

Ciò può avvenire anche solo creando occasioni e spazi in cui i ragazzi possano agire autonomamente, affidando ad esempio incarichi agli studenti nella scuola e nella classe: la gestione della biblioteca di classe o di materiali comuni; l’organizzazione della raccolta differenziata nella scuola e il mantenimento della pulizia negli ambienti comuni; attività di rappresentanza degli studenti in organi collegiali. L’assumersi incarichi all’interno della vita scolastica non solo accresce l’autonomia e responsabilizza il ragazzo, ma fa nascere o rinsalda il senso di appartenenza ad una comunità, tutti elementi fondamentali anche in funzione della vita democratica nella società degli adulti.

E come nella società, anche nella scuola e nella classe è inderogabile la condivisione di diritti e doveri da rispettare. Essi vanno discussi e negoziati insieme, poi fissati chiaramente e sottoscritti da tutti, come punto di partenza del lavoro e della vita del gruppo.

Sapere che si è in un luogo in cui, rispettando le regole date, si è liberi di agire, di esprimere la propria opinione e di presentare critiche e proposte è rassicurante e contribuisce a realizzare un clima sereno e partecipativo in cui crescere ed imparare.

All’interno della classe è poi importante sfruttare ogni occasione per superare dinamiche negative tra i membri, anche solo parlandone. Il dialogo infatti è un mezzo privilegiato in una dimensione cooperativa. Abituarsi come docenti a discutere con i ragazzi e insegnare a discutere in modo costruttivo è fondamentale. Non si tratta di limitarsi alla comune sequenza di domande dell’insegnante e risposte della classe, ma proporre interessanti spunti di discussione, possibilmente partendo da occasioni contingenti e da curiosità individuali.

In ogni disciplina la pratica della conversazione spontanea o guidata dall’insegnante su argomenti definiti sviluppa abilità sociali e cognitive: una discussione comporta il rispetto dei turni di conversazione e l’ascolto dell’altro; il confronto fa vacillare l’egocentrismo del bambino e del ragazzo, costringendolo a prendere in considerazione idee ed atteggiamenti diversi dai propri, preparandolo alla dimensione sociale in cui si muoverà da adulto.

Dal punto di vista cognitivo, inoltre, le valenze positive sono innumerevoli. Le discussioni di classe sono conversazioni che presentano una loro struttura, che deve essere appresa ed esercitata, e soprattutto sono forme di comunicazione di tipo argomentativo, situazioni cioè in cui è necessario presentare agli altri il proprio pensiero in modo chiaro e convincente; questa sorta di opposizione costringe all’articolazione del ragionamento e allo sviluppo delle proprie abilità

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linguistiche, in quel legame indissolubile tra pensiero-linguaggio-dimensione sociale già evidenziato.

Il ragazzo abituato al confronto con gli altri passerà facilmente da una dimensione di classe ad una di piccolo gruppo. In ogni disciplina possono essere proposte frequenti attività di gruppo (giochi cooperativi, esercitazioni collegate ad una spiegazione frontale, realizzazione di elaborati di vario genere, attività di ricerca) e possono essere organizzati gruppi differenti (spontanei o decisi dal docente, eterogenei o omogenei per livello, interessi ed attitudini).

In ognuno di essi il ragazzo è costretto a mettere in campo abilità sociali e comunicative, a trovare insieme agli atri strategie per far funzionare il gruppo, superando anche i contrasti o gli imprevisti. In attività più complesse, come lavori di ricerca in gruppo, la pratica cooperativa mette i ragazzi al centro del loro apprendimento: sono loro che individuano, analizzano, selezionano e manipolano le conoscenze relative ad un argomento, diventando realmente soggetti costruttori della propria conoscenza. Esempi più dettagliati di alcune attività di gruppo verranno forniti in seguito.

Un altro aspetto rilevante dell’apprendimento cooperativo è che il poter condividere un ragionamento complesso, arrivare insieme ad altri alla soluzione di problemi o ricercare con altri nuove conoscenze alleggerisce la fatica del processo cognitivo e diminuisce la preoccupazione del non farcela da soli.

La classe o il gruppo che coopera costituisce un’impalcatura di sostegno per i suoi membri. Perché dunque i gruppi funzionino e si inneschino apprendimenti significativi è necessario che si venga a creare un senso di interdipendenza positiva tra i membri, cioè la consapevolezza che si è parte di qualcosa e che si è vincolati agli altri in modo tale, per cui non è possibile avere successo se anche gli altri non ce la fanno.

Questo è evidente anche nel caso in cui si ricorra all’l’insegnamento tutoriale o all’aiuto reciproco (esempi di peer education), in cui un alunno competente su un argomento specifico funge da tutor di un altro alunno meno abile, il quale a sua volta può essere tutor in un altro campo. In questa situazione di scambio tra pari, spesso i contenuti didattici vengono veicolati più facilmente poiché gli alunni si sentono più a loro agio con il compagno e la vicinanza di età e di interessi aiuta la comprensione reciproca (lo stesso argomento spiegato con le parole di un coetaneo spesso risulta più chiaro del discorso più formale dell’adulto). In questo tipo di didattica inoltre i ragazzi coinvolti imparano anche a riconoscere in ciascuno competenze particolari e a mettere a disposizione degli altri le proprie abilità e conoscenze, antidoto ad atteggiamenti individualisti e alla competitività sfrenata.

In tutti i casi citati non bisogna dimenticare il ruolo del docente o del team docente. Se è vero che nelle attività cooperative la centralità è spostata dal docente agli alunni, ciò non significa che essi agiscano in totale anarchia; il grado di indipendenza e di autonomia nell’organizzazione e nello svolgimento delle attività collaborative aumenta con l’età e soprattutto con la frequenza con cui esse vengono svolte. Il ruolo dei docenti rimane però basilare, poiché spetta loro la definizione del setting operativo: la fase organizzativa e preparatoria del lavoro, la distribuzione degli incarichi, la definizione di tempi e metodologie da rispettare e di obiettivi da raggiungere, così come un costante monitoraggio delle interazioni tra i membri dei gruppi. In caso di ostacoli o di problemi insormontabili per il gruppo, è l’adulto che entra in gioco a ridefinire i rapporti e il percorso del gruppo, che non deve comunque mai sapersi abbandonato a se stesso.

Quando dunque si impara insieme, qualcosa cambia nell’acquisizione di competenze sociali e cognitive. Le difficoltà sono però sempre presenti e vanno riconosciute e superate. Grossi problemi insorgono quando il clima della classe non è sufficientemente collaborativo e i ragazzi non sono ancora abituati a lavorare insieme: in questo caso meglio procedere a piccoli passi e limitarsi a giochi cooperativi e a sempre più frequenti discussioni di classe.

Anche quando il lavoro non è ben organizzato dal docente gli ostacoli si fanno numerosi; i ragazzi devono avere ben chiaro ciò che devono fare, cosa devono produrre e soprattutto perché deve essere fatto un lavoro; la condivisione dello scopo finale è alla base di tutto il lavoro.

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Se poi all’interno dei gruppi non tutti i membri si sentono partecipi o se i compiti non sono ben distribuiti, il lavoro non sarà frutto della collaborazione e perderà un po’del suo valore, al di là della valutazione finale. Dare a tutti occasione di mettersi in gioco insieme agli altri è compito del docente e diventa poi responsabilità interna del gruppo; un’equa distribuzione dei ruoli e dei compiti facilita il lavoro e può dare risultati inaspettati: spesso la soluzione ad un problema o un’idea su come procedere arrivano proprio da quei ragazzi che in una normale attività di classe o individualmente non riescono ad emergere o non trovano motivazione ad impegnarsi. L’essere parte di un gruppo e sentire che si contribuisce ad esso è molto stimolante e può offrire motivazione allo studio e all’affrontare la fatica che esso comporta.

Raggiungere anche solo questo obiettivo, cioè dare motivazione, credo sia di per sé un successo enorme, che trascenda il risultato qualitativo del lavoro stesso.

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Capitolo secondo Dentro la scuola

2.1. L’apprendimento cooperativo nelle Indicazioni nazionali

L’apprendimento cooperativo è ormai una metodologia didattica teorizzata da svariati decenni, applicata frequentemente soprattutto nelle scuole di ambito anglosassone, ma che ha da sempre avuto illustri rappresentanti anche in Italia. Come già detto esiste ancora oggi il Movimento di Cooperazione Educativa e diversi gruppi di ricerca e di formazione sull’argomento. 5

Nella mia esperienza di un decennio di precariato, che mi ha portata ad insegnare in diverse scuole di differenti realtà della provincia di Bologna e ora di Modena, ho incontrato numerosi colleghi che abitualmente ricorrono a questa metodologia, alcuni costantemente e ad alto livello, altri in modo semplice o selettivo, limitandola ad alcune discipline o a specifici argomenti. Credo che qualunque tentativo di sperimentare e di mettere in gioco nuove competenze sia comunque auspicabile per i docenti e per gli alunni, anche se un quadro generale della scuola italiana presenta una predominanza di utilizzo di didattiche tradizionali e di lezioni frontali.6

Dal 2012 la scuola ha a disposizione uno strumento guida per orientare la didattica: le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione. Esse riprendono diversi aspetti delle precedenti Indicazioni del 2007, introducendovi nuovi elementi.

Più che documento programmatico, le attuali Indicazioni offrono spunti di riflessione, tracciano possibili percorsi, individuano obiettivi specifici e delineano orizzonti comuni da raggiungere.

Credo che in esse ci siano diversi punti in linea con il tema di questa relazione. Innanzitutto vi è una preoccupazione generale ad attrezzare gli studenti di quelle competenze necessarie per “stare al mondo”; poiché il mondo di oggi è complesso e mutevole, esse si traducono nella necessità di fornire agli studenti gli strumenti cognitivi adeguati per analizzare, comprendere ed affrontare la pluralità di culture e linguaggi in cui si trovano immersi.

In ciò si ritrova il pensiero di Morin: La sfida della globalità è dunque nello stesso tempo una sfida di complessità. In effetti, c’è complessità

quando sono inseparabili le differenti componenti che costituiscono un tutto (come quella economica,

quella politica, quella sociologica, quella psicologica, quella affettiva, quella mitologica) e quando c’è un

tessuto interdipendente, interattivo e inter-retroattivo tra le parti e il tutto e fra il tutto e le parti. 7

Di fronte alla complessità, le discipline dunque devono essere unite e correlate, mentre è diffusa la frammentazione dei saperi nel panorama culturale e a scuola.

Le Indicazioni offrono su questo alcune risposte: la concreta realizzazione di curricoli verticali negli istituti comprensivi (che, in un’ottica bruneriana, permettano di seguire percorsi comuni, in una spirale evolutiva sempre più complessa ed approfondita), un lavoro d’équipe tra docenti (linee di programmazione comuni, confronti frequenti, linee educative e metodologiche condivise) e una costante interdisciplinarietà didattica.

5 All’indirizzo internet http://www.apprendimentocooperativo.it/ si trova ad esempio il sito della Provincia

di Torino dedicato all’apprendimento cooperativo, in cui una rete di scuole mette insieme le proprie esperienze

sull’argomento, oltre a fornire spunti di riflessione e proposte formative.

6 Secondo G.Cerini il 76% dei docenti dichiara che il modello didattico prevalente è quello della lezione

frontale (vedi G. Cerini, Le Indicazioni 2012 per il primo ciclo, in Essere docenti in Emilia Romagna, Napoli, Tecnodid

editrice, 2014, pag. 19. 7 E. Morin, pag. 6, op.cit.

11

Ancora in Morin una soluzione, che è anche una sfida: “La riforma dell’insegnamento deve condurre alla riforma di pensiero e la riforma di pensiero deve condurre a quella dell’insegnamento.” 8

Come orientare una riforma dell’insegnamento? “La prima finalità dell’insegnamento è stata formulata da Montaigne: è meglio una testa ben fatta che

una testa ben piena”. 9 Si tratta cioè di promuovere negli studenti, fin dai primi anni di scuola, attitudini generali,

forme di pensiero critico e problematizzante, capace di porre domande, di nutrirsi del dubbio e di muoversi in una dimensione critica, tutti spunti presenti nelle Indicazioni nazionali.

La didattica non può quindi limitarsi a trasmettere contenuti, ma competenze, atteggiamenti mentali, capacità che collegate a conoscenze teoriche diventino spendibili nella realtà della vita, anche al di fuori delle pareti di una classe.

La classe stessa è presentata come stimolante ambiente di apprendimento, luogo in cui agire insieme agli altri per costruire la propria conoscenza.

L’apprendimento cooperativo racchiude in sé queste finalità, permettendo una gestione alternativa del lavoro ed una diversa organizzazione dello spazio fisico della classe, avvicinandola ad un laboratorio, cui si accenna tante volte nelle Indicazioni.

Attenzione particolare viene poi data alla dimensione interculturale della scuola e della società, in cui formare i ragazzi facendo loro cogliere le possibilità derivanti dall’incontro con la novità e la diversità, col fine ultimo e più alto di formare cittadini consapevoli e tolleranti, capaci di costruire insieme la società di domani. Anche in quest’ottica un ambiente scolastico cooperativo è un’ottima strada.

Infine, in alcuni dei traguardi indicati in merito al profilo delle competenze dello studente al termine del primo ciclo di istruzione, credo siano concentrate alcune ragguardevoli finalità cui si può giungere attraverso il cooperative learning:

- Ha consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti, utilizza gli strumenti di

conoscenza per comprendere se stesso e gli altri, per riconoscere ed apprezzare le diverse identità,

le tradizioni culturali e religiose, in un’ottica di dialogo e di rispetto reciproco. Interpreta i sistemi

simbolici e culturali della società, orienta le proprie scelte in modo consapevole, rispetta le regole

condivise, collabora con gli altri per la costruzione del bene comune esprimendo le proprie

personali opinioni e sensibilità.

- Si impegna per portare a compimento il lavoro iniziato da solo o insieme ad altri.

- Possiede un patrimonio di conoscenze e nozioni di base ed è allo stesso tempo capace di ricercare

e di procurarsi velocemente nuove informazioni ed impegnarsi in nuovi apprendimenti anche in

modo autonomo.

- Dimostra originalità e spirito di iniziativa. Si assume le proprie responsabilità e chiede aiuto

quando si trova in difficoltà e sa fornire aiuto a chi lo chiede. 10

2.2. Dalle Indicazioni al POF

Le Indicazioni nazionali trovano declinazione nelle singole istituzioni scolastiche, che si presentano attraverso il Piano dell’offerta formativa (POF).

Nel POF dell’Istituto comprensivo di Savignano è emblematica la citazione iniziale, suggello dello spirito dell’istituto: “Per far crescere un bambino serve un intero villaggio”.

Quale migliore spiegazione delle finalità formative dell’apprendimento cooperativo, di queste semplici parole?

8 E.Morin, pag.13, op.cit. 9 E. Morin, pg.15, op.cit. 10 Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, in Annali della Pubblica

Istruzione, Firenze, Le Monnier, 2012, pag. 16.

12

L’aver scelto questo saggio proverbio africano come sintesi dell’istituto dimostra la consapevolezza di porsi come uno dei tanti soggetti formativi di un territorio variegato e frammentario e la volontà di unire gli sforzi della comunità per prendersi cura al meglio delle nuove generazioni.

Il testo del POF risulta un documento ricco, animato dall’amore per la scuola e i ragazzi, che dimostra la professionalità dei docenti, la consapevolezza delle complesse finalità dell’educazione ed è permeato di valori e idee preziosi.

Intelligenti le citazioni introduttive alle varie sezioni, tra cui alcune credo siano illuminanti e rientrino in ciò che finora si è tentato di delineare. Ad introduzione delle finalità dell’istituto infatti si legge: “Dubium spaietiae initium” (Cartesio) e “Se insegni insegna anche a dubitare di ciò che insegni” (Josè Ortega Y Gasset)11. Di nuovo poche parole dense di significato che rimandano al valore del ragionamento e della critica in un’impostazione didattica dinamica e antidogmatica, cui si è già fatto riferimento.

In apertura del capitolo sul curricolo si legge poi: “Di imparare non si finisce mai e quel che

non si sa è sempre più importante di quel che si sa già” (Gianni Rodari). Poche parole di un

grande conoscitore dei bambini e della scuola, che definiscono il senso stesso della curiosità

propria della gioventù, che dovrebbe sostenere ogni attività didattica e costituire la principale

motivazione all’apprendimento. La dimensione cooperativa offre occasioni per seguire insieme

ad altri le vie aperte dalla curiosità personale e dare risposte a sempre nuove domande.

Infine nella parte relativa al curricolo della scuola secondaria di primo grado12, si sottolinea

l’importanza dell’interdisciplinarietà: le discipline devono offrire un sapere integrato, capace di

affrontare la complessità della realtà. Per ottenere ciò, non ci si può limitare alla trasmissività

delle conoscenze, ma è necessario ricorrere a strategie didattiche più complesse, orientandosi ad

una didattica per azioni e problemi. Ancora una volta il cooperative learning offre una via

percorribile.

Secondo queste impostazioni didattiche ed in modo complementare alle attività curricolari,

sono poi proposti i progetti volti ad arricchire l’offerta formativa. Alcuni di questi si muovono in

una chiara dimensione cooperativa, come il Campionato di lettura (di cui si parlerà in seguito) e

il Consiglio comunale dei ragazzi (Ccr). Il Ccr è un progetto di partecipazione attiva dei ragazzi

alla vita della collettività attraverso la realizzazione di progetti e la partecipazione ad iniziative

strettamente collegate al territorio. I membri sono eletti dai compagni e li rappresenteranno,

vivendo in prima persona i meccanismi della vita democratica.

Tutti i progetti dell’ambito “Cittadinanza e Costituzione” rappresentano occasioni per

sensibilizzare i ragazzi verso i valori della convivenza civile e rafforzare il senso di vivere in una

dimensione comunitaria; alcuni di essi (come il progetto “Legalità” e la celebrazione di alcune

giornate particolari, che verranno ripresi in seguito) offrono spunti per lavorare insieme in classe

e nell’istituto. Tra le finalità dell’apprendimento cooperativo d’altra parte si colloca proprio un

accrescimento del senso di responsabilità civica.

Confluirà nel nostro discorso anche il progetto inerente all’utilizzo didattico delle nuove

tecnologie, le cui ricadute didattiche positive verranno poi analizzate.

Infine l’Istituto si presenta più volte come comunità educante insieme agli enti formativi

territoriali e alle famiglie degli alunni, ma nel POF si nota anche un’attenzione al favorire la

socializzazione tra gli alunni, attraverso la quotidiana vita scolastica, l’organizzazione di

importanti attività pomeridiane parascolastiche (di carattere artistico, espressivo e sportivo) e

occasioni di incontro gestite dal comitato volontario dei genitori.

Si respira dunque un’aria di apertura e condivisione.

11 Piano dell’offerta formativa dell’I.C. di Savignano sul Panaro (Mo), pag. 12. 12 Ibidem, pag. 21.

13

2.3. Dal POF alla scuola

La scuola secondaria di primo grado “Graziosi” realizza, a mio parere, nella vita scolastica

quotidiana tutti gli elementi messi in luce finora, inserendosi pienamente sia nel quadro di scuola

delineato nel POF sia, a monte, nelle linee tracciate dalle Indicazioni nazionali.

Ho incontrato in questa scuola docenti molto preparati e motivati che lavorano con

professionalità in un clima sereno e collaborativo.

Si nota in particolare la volontà di lavorare in équipe, confrontandosi sui diversi aspetti della

vita scolastica, dalle scelte organizzative alle programmazioni disciplinari, mantenendo sempre

l’attenzione centrata sui bisogni formativi degli studenti.

Altro aspetto rilevante è l’attenzione all’uso delle nuove tecnologie; ogni classe è dotata di una

lavagna interattiva multimediale (Lim), pienamente sfruttata nei diversi campi disciplinari

Lo scambio di idee con alcuni colleghi e la frequenza di un corso di aggiornamento rientrante

nel “Piano nazionale scuola digitale” e tenuto dal collega di Matematica e Scienze delle mie due

classi, il Prof. M. Mongelli, mi ha fatto conoscere diverse possibilità di impiego didattico delle

tecnologie in ambito cooperativo. Da esse prendono spunto alcune attività ed impostazioni

metodologiche che verranno descritte nel capitolo seguente.

14

Capitolo terzo

Esperienze collaborative in classe

3.1. Le classi

Le classi affidatemi in questo anno scolastico per la cattedra di Lettere nella scuola secondaria

di primo grado “Graziosi” sono due, la seconda B e la seconda C. Si tratta di due classi molto

diverse per composizione e competenze.

La classe II B è composta da ventiquattro alunni, dieci femmine e quattordici maschi, di cui

due inseriti nel secondo quadrimestre; non sono presenti alunni certificati, ma tre studenti hanno

disturbi specifici di apprendimento; solo due alunni sono di origine straniera, ma con un buon

livello di competenze in lingua italiana. I rapporti con le famiglie sono positivi e regolari.

Il clima della classe è positivo e il livello di socializzazione è buono. La partecipazione alle attività

didattiche e l’impegno nello studio individuale sono nel complesso altalenanti; la classe è in

diversi momenti rumorosa e poco concentrata, ma una volta ottenuta la concentrazione, i risultati

sono molto positivi, poiché il livello di competenze è mediamente alto.

La classe II C è invece composta da venticinque alunni, tredici femmine e dodici maschi. Il

livello socioeconomico è più basso rispetto all’altra classe; nove alunni provengono da famiglie

straniere; tra essi due sono certificati (seguiti dalla stessa docente di sostegno), due presentano

disturbi specifici di apprendimento e due sono stati individuati come alunni con bisogni

educativi speciali.

Nel complesso gli alunni appaiono vivaci e curiosi, ma spesso è necessario contenere la loro

esuberanza, regolarne gli interventi e richiamarne l’attenzione. Gli alunni partecipano

generalmente con interesse alle attività didattiche, ma lo studio individuale e l’impegno

domestico in media sono superficiali e vanno sollecitati. Nel complesso il livello di competenze è

medio.

Dal punto di vista della socializzazione si notano dinamiche non sempre positive, con

atteggiamenti di esclusione verso alcuni compagni, che vivono questa situazione con sofferenza.

In particolare si può individuare un gruppo dominante nella classe, con leader negativi, maschili

e femminili, temuti e allo stesso tempo ammirati dai compagni.

Per affrontare tali dinamiche, si sono messe in campo diverse strategie, quali la collaborazione

con le famiglie, l’aiuto dello Sportello d’ascolto (servizio di aiuto psicologico presente nella

scuola) ed il costante dialogo con i ragazzi, prendendo spunto da occasioni contingenti e da

percorsi disciplinari mirati. Considerata la particolare fisionomia della classe, mi è sembrato

molto utile applicare una didattica cooperativa sia per migliorare le dinamiche di gruppo sia per

potenziare le competenze disciplinari.

Per entrambe le classi ho comunque adottato la stessa programmazione didattica, adattandola

però alle diverse esigenze e ai differenti bisogni formativi. La presenza del Prof. Mongelli in

entrambe le classi ha inoltre favorito la condivisione di linee educative e didattiche comuni e mi

ha orientata all’utilizzo delle nuove tecnologie e alla loro applicazione in un’ottica cooperativa.

3.2. Le esperienze

Nella seguente tabella vengono illustrati i traguardi per lo sviluppo delle competenze e gli

obiettivi specifici che si è cercato di raggiungere attraverso alcuni contenuti ed attività realizzati

15

nel corso dell’intero anno, attraverso l’impiego di metodologie didattiche cooperative, le cui

ricadute positive sono state già precedentemente analizzate.

Traguardi ed obiettivi sono stati elaborati sulla base delle Indicazioni nazionali e del POF

dell’Istituto13; i contenuti, cioè le attività e le esperienze, verranno descritti nel paragrafo

successivo.

I traguardi e gli obiettivi indicati hanno carattere formativo ed educativo, sono cioè alcune tra

le tante mete cui tendere per promuovere la sviluppo completo della personalità dello studente

a livello sociale, cognitivo e culturale.

Per quanto essi siano trasversali a tutte le discipline, le materie letterarie sono normalmente

ritenute un campo privilegiato per svilupparli e il metodo cooperativo offre opportunità

molteplici per raggiungerli. Per questo trovano spazio in questa tabella solo le esperienze a

carattere collaborativo, mentre altre attività inerenti agli stessi traguardi ed obiettivi, ma svolte

solo individualmente, non vengono citate.

Traguardi delle

competenze

Obiettivi specifici

di apprendimento

Contenuti e

attività

Tempi Modalità di

valutazione

Assimilare il

senso e la

necessità del

rispetto della

convivenza

civile

-Acquisire

consapevolezza

dei propri diritti e

doveri

-Conoscere i

meccanismi della

democrazia

attraverso forme

di partecipazione

attiva

-Condividere

valori etici e civili

-Condivisione di

regole

-Discussioni di

classe

-Progetto legalità

-Elezioni del Ccr

-Celebrazione della

Giornata della

memoria e del

Giorno del ricordo

-Concorso

Intitolazione parchi

L’intero anno

Ottobre-

Novembre

27 gennaio

10 febbraio

Gennaio e

maggio

Osservazione

in itinere

Partecipare in

modo attivo

alla vita della

scuola e della

classe

riconoscendosi

parte di un

gruppo

-Migliorare il

livello di

socializzazione

-Interagire con gli

altri in modo

corretto e

partecipativo

-Esporre le

proprie idee

rispettando quelle

altrui

-Lavorare in

gruppo in modo

costruttivo

-Assegnazione di

incarichi in classe

-Discussioni

-Lavori di gruppo

-Campionato di

lettura

L’intero anno

Secondo

quadrimestre

-Osservazione

del

comportamento

in classe

durante le

attività

-Valutazione

del lavoro del

gruppo

-Valutazione

del contributo

individuale

13 Si fa inoltre riferimento alle competenze chiave indicate nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del

Consiglio del 18/12/2006.

16

Assumere

atteggiamenti

responsabili

-Portare a termine

un incarico o un

lavoro rispettando

le consegne.

-Collaborare con

gli altri per

raggiungere

l’obiettivo finale.

-Superare le

difficoltà in modo

autonomo o

chiedendo aiuto

agli altri, se

necessario

-Assegnazione di

incarichi in classe

-Lavori di gruppo

-Campionato di

lettura

L’intero anno

Secondo

quadrimestre

- Osservazione

in itinere

durante le fasi

di lavoro

-Valutazione

del lavoro del

gruppo

-Valutazione

del contributo

individuale

Essere in grado

di ampliare il

proprio

patrimonio di

conoscenze e

nozioni di base

dando senso e

significato a ciò

che si studia

-Saper ricercare

informazioni, dati,

notizie

-Trarre

informazioni da

fonti di vario

genere

-Riconoscere

collegamenti

anche

interdisciplinari

tra le informazioni

-Elaborare le

informazioni

trovate in sintesi,

mappe concettuali

e testi

multimediali

-Consolidare e

potenziare il

proprio metodo di

studio

Lavori di gruppo L’intero anno

(in particolare

secondo

quadrimestre)

- Osservazione

in itinere

durante le fasi

di lavoro

-Valutazione

del lavoro del

gruppo

-Valutazione

del contributo

individuale

-Verifiche

individuali

Utilizzare un

pensiero critico

per affrontare

problemi e

trovare

soluzioni

-Analizzare,

selezionare e

valutare

informazioni, dati,

notizie

-Usare le

conoscenze per

orientarsi nel

presente e davanti

a problemi reali e

quotidiani

Lavori di gruppo L’ intero anno

(in particolare

secondo

quadrimestre)

- Osservazione

in itinere

durante le fasi

di lavoro

-Valutazione

del lavoro del

gruppo

-Valutazione

del contributo

individuale

17

-Fare inferenze

-Interpretare dati,

grafici, immagini

-Trovare soluzioni

personali e

creative davanti a

situazioni

problematiche o

imprevisti

-Verifiche

individuali

Possedere

buone

competenze

digitali

-Usare le

tecnologie per

comunicare.

-Servirsi di

internet per

reperire e

selezionare

informazioni.

-Sfruttare le

potenzialità della

tecnologia per

organizzare le

conoscenze e

come ausilio allo

studio

-Produrre testi

multimediali

-Edmodo (classe

virtuale)

-Lavori di gruppo

L’intero anno Valutazione dei

lavori prodotti

3.2.1. Discussioni di classe

Non avendo avuto le due classi fin dalla prima, le settimane iniziali mi sono servite per

osservare i ragazzi e rendermi conto delle competenze già in loro possesso, nonché dei loro

interessi e delle loro motivazioni. È emersa subita la disparità di livello tra le due classi e un

atteggiamento inizialmente diffidente verso di me, come se i ragazzi fossero spaesati di fronte a

tutto ciò che per loro costituiva una novità.

Il primo passo è stato dunque quello di cercare di conoscerci e di mettere in campo alcune

strategie per favorire un ambiente di apprendimento cooperativo; avevo già la convinzione che

nella seconda C esso avrebbe prima di tutto migliorato la socializzazione e l’integrazione e che

nella seconda B avrebbe permesso di potenziare le già alte competenze di un folto gruppo di

studenti e offerto agli altri nuove possibilità di emergere e di mettersi in gioco.

Inizialmente ci siamo limitati alla condivisione di regole (già fissate l’anno precedente), di un

metodo di lavoro (come avremmo svolto le lezioni, quali argomenti avremmo trattato nel corso

dell’anno...) e all’assegnazione mensile di incarichi funzionali alla gestione della classe

(predisposizione della Lim, distribuzione di materiali, assistenza agli insegnanti e ai

compagni…).

Ho poi cercato di impostare i diversi momenti di lavoro mettendo sempre al centro una

dimensione dialogica, anche nei momenti di lezione frontale. Credo che un modello di lezione-

conferenza, per quanto i suoi contenuti siano di alta qualità, non riesca ad avere effetti duraturi

18

sull’apprendimento dei ragazzi, i cui tempi di concentrazione sono molto ridotti. Tuttavia la

capacità di attenzione e concentrazione va esercitata e le lezioni frontali sono necessarie per

trasmettere alcune nozioni di base, senza le quali i ragazzi non potrebbero poi operare

autonomamente. Per mantenere più vivi l’attenzione e l’interesse degli studenti, l’insegnante può

coinvolgere i ragazzi offrendo gli argomenti in modo problematico, guidandoli il più possibile

alla scoperta dei contenuti che vuole proporre loro, ponendo domande, spunti di riflessione,

chiedendo loro di fare ipotesi e di trarre deduzioni sui temi esposti.

Il dialogo è diventato dunque importante strumento metodologico; la strada privilegiata per

affrontare contenuti alti (ad esempio legati a temi di convivenza civile) e per orientare le classi ad

uno stile cooperativo è stata quella della discussione, quale mezzo di relazione e di confronto.

Permettere a tutti di prendere la parola e di esporre il proprio pensiero nei confronti di

qualunque altro membro della classe, insegnante compreso, dà al singolo la consapevolezza di

avere un proprio posto nel gruppo, di poter esercitare un proprio diritto e di dover dare agli altri

la stessa possibilità (chiarendo con la pratica un tema piuttosto astratto quale quello dei diritti e

dei doveri). Inoltre sapere di poter essere ascoltato e che la propria opinione, anche se non è

condivisa, ha comunque una sua rilevanza, dà un grande senso di sicurezza e aiuta a far emergere

anche i ragazzi più timidi e quelli meno integrati.

Questa dimensione però non è spontanea, va insegnata con la pratica e con l’esempio, poiché

spetta all’insegnante in primo luogo organizzare le conversazioni di classe, assicurando che i

turni di parola vengano rispettati (anche ricorrendo a stratagemmi come il poter parlare solo se

si ha in mano un oggetto simbolico, che è passato di volta in volta a chi vuole prendere la parola)

e che le opinioni di tutti possano essere ascoltate. Quando sorgono idee divergenti (spesso in

modo accalorato), è necessario intervenire per fare in modo che dal contrasto emerga il confronto

ed insegnare ad argomentare le proprie convinzioni. Non sempre si arriva ad una condivisione

finale (ciò sarebbe forse poco realistico), ma di quella discussione rimarrà il valore dello scambio

e la scoperta di idee fino ad allora mai considerate.

Delle innumerevoli discussioni svoltesi nelle due classi porterò solo alcuni esempi significativi.

In ottobre si verificò il tragico naufragio nei pressi di Lampedusa, in cui persero la vita più di

trecento persone. In occasione del minuto di silenzio commemorativo, leggemmo sulla Lim alcuni

articoli di quotidiani, guardammo diverse fotografie e video e poi discutemmo in classe. In

seconda C, attraverso miei spunti di riflessione e alcune considerazioni spontanee dei ragazzi

(alcuni visibilmente colpiti dal fatto), arrivammo a ricostruire i motivi che avevano spinto quelle

persone ad affrontare i pericoli di quel viaggio. Chiesi poi di scrivere delle riflessioni personali,

in forma di messaggi ai naufraghi, poi condivise con i compagni.

In seconda B, invece, la discussione, condotta da me allo stesso modo, prese una piega

inaspettata. Numerosi ragazzi si lanciarono in accuse verso gli stessi naufraghi, anche con una

certa violenza, dando voce a luoghi comuni ed immagini stereotipate, di cui però forse non

coglievano esattamente il significato. Qualche compagna provò timidamente a ribattere, ma nel

clima di esaltazione che si era creato, decisi di fermare la discussione, chiedendo semplicemente

loro di mettere per iscritto le proprie argomentazioni, con l’obiettivo di spingerli ad una maggiore

riflessione. Il giorno dopo ognuno lesse i propri testi e nella dimensione più pacata della scrittura,

già alcune opinioni erano state smorzate ed altre più tolleranti trovarono il coraggio di emergere.

Poiché questo mi sembrava già un notevole passo avanti, non ripresi apertamente il dibattito, ma

nel corso dell’anno cercai di sfruttare ogni occasione per ricollegarmi al tema dell’immigrazione

e della tolleranza verso la diversità e lo stesso lavoro venne portato avanti dal Prof. Siciliano

nell’ora di Cittadinanza.

19

Sempre grazie alla collaborazione con il Prof.Siciliano, è stata gestita l’importante attività

dell’elezione dei consiglieri del Ccr, con la campagna elettorale (creazione di cartelloni illustranti

i progetti proposti dai candidati) e le vere e proprie elezioni. Durante l’anno, poi, i consiglieri

hanno aggiornato i compagni sulle iniziative e le attività del Consiglio, vera palestra di

democrazia.

Anche in occasione di altri momenti commemorativi il centro dell’attività fu una discussione.

Sia in occasione della Giornata della memoria che nel Giorno del Ricordo, partimmo da un

brainstorming iniziale, passammo alla visione di un filmato e di immagini, per poi condividere

le considerazioni personali, che vennero poi trasformate in testi individuali. Dopo la fase

collettiva, la dimensione individuale della produzione scritta mi sembrava più adeguata per dare

occasione di soffermarsi a riflettere su grandi temi e per sforzarsi di analizzare le proprie idee e

le proprie emozioni.

La discussione è stata poi al centro delle riflessioni legate al Progetto Legalità, declinato nelle

classi attraverso il quotidiano rispetto di regole, diritti e doveri ed approfondito attraverso due

filoni specifici, il bullismo e la mafia.

In seconda C, considerata la fisionomia della classe, si è data più rilevanza al primo tema. La

lettura di alcuni brani presenti nell’antologia, ma soprattutto la visione dello spettacolo teatrale

“Branco di scuola”14 ha permesso di discutere insieme su quali comportamenti possano essere

etichettati come atti di bullismo e soprattutto su come affrontarli e come emarginarli. Poiché nella

classe sono individuabili atteggiamenti “da bullo” verso alcune “vittime”, ogni discussione è

stata condotta con molta attenzione. Nelle dichiarazioni dei ragazzi e nelle schede di analisi dello

spettacolo, sono emerse diverse condanne verso tali atteggiamenti e la consapevolezza che

possono essere vinti solo grazie alla collaborazione della classe, quando essa si schiera dalla parte

delle vittime. Anche se nessuno ha fatto riferimenti espliciti a nomi o ad episodi legati alla classe,

credo che tutti abbiano cominciato a riflettere che ciò che si era detto poteva essere applicato

anche alla loro realtà quotidiana. Oltre ai testi individuali, la classe ha prodotto un semplice

cartellone (allegato1) dal titolo “Sono un bullo se…”, che rimarrà appeso in classe a ricordo delle

conversazioni svolte e, si spera, come monito.

Nella classe seconda B, ho invece riscontrato molto interesse in merito al tema della legalità e

della mafia. Il punto di partenza sono state alcune letture dall’antologia e alcuni stimoli da me

proposti in forma di domande provocatorie, per discutere di ciò che per noi rappresenta la legalità

e come ci comportiamo nella vita quotidiana. Infine si è passati ad un approfondimento sul tema

della mafia attraverso brevi e lucide pagine tratte da “Per questo mi chiamo Giovanni” di L.

Garlando. Individualmente sono stati scritti dei brevi testi riflessivi, mentre alcune parole chiave

proposte da ciascuno sono state inserite in una sorta di calligramma, prodotto insieme in classe

con un apposito programma (allegato 2).

In tutte queste discussioni riportate, le classi si sono via via abituate a rispettare i turni di

parola, ad ascoltare e a partecipare alla conversazione, superando la timidezza e la paura del

confronto o, al contrario, cercando di contenere il desiderio di primeggiare. Molte volte il dialogo

seguiva percorsi non previsti, adattandosi alla curiosità dei ragazzi e alle loro domande, che

spesso trovavano risposte dagli stessi compagni, con un accrescimento reciproco.

Ho inoltre cercato di avviare discussioni ogni volta che le classi dovevano prendere decisioni,

così che fosse lo scambio di idee a far emergere la soluzione migliore per tutti, senza imporre la

sola volontà dell’insegnante. Ciò è stato fatto ad esempio per la scelta del nome e del logo per

partecipare al concorso “Diamo un nome ai nostri parchi”, iniziativa volta a rendere attivamente

partecipi i ragazzi alla vita del territorio. Le classi hanno votato a maggioranza i lavori ritenuti

14 Spettacolo teatrale di e con G.Castiglia.

20

più adatti e la partecipazione ad un momento formale di intitolazione dei parchi ha ufficializzato

le loro scelte, facendoli sentire ancora di più parte di una comunità.

Infine un’ulteriore occasione ricca di opportunità è stata la partecipazione al Campionato di

lettura interbibliotecario, coinvolgente attività volta sia a stimolare nei ragazzi il piacere e l’amore

per la lettura sia ad accrescere lo spirito di gruppo nelle classi. Per vincere le diverse sfide non è

infatti sufficiente che solo pochi alunni leggano molti libri, ma è indispensabile che tutta la classe

collabori, organizzandosi per leggere individualmente più libri possibili e poi aiutarsi a superare

le prove durante le sfide con le altre classi.

In questo la seconda B ha dato prova di essersi impegnata molto e la sua vittoria all’interno

della scuola è dipesa proprio dalla capacità di lavorare insieme per raggiungere un obiettivo;

anche se la classe non ha poi conquistato la vittoria durante la finale, credo che l’attività sia stata

utile per tutti e sicuramente ha entusiasmato la classe intera. Al contrario, i ragazzi della seconda

C, proprio per le dinamiche di gruppo spesso negative, hanno fatto molta fatica a collaborare e

questo ha influenzato pesantemente il risultato finale, ma da questa sconfitta abbiamo cercato di

trarre qualche insegnamento, discutendone insieme.

3.2.2. La classe virtuale

L’utilizzo di Edmodo da parte delle due classi è stata per me una piacevole sorpresa. Edmodo è

un sito che permette di costruire una classe virtuale, cui accedere tramite password (a tutela della

sicurezza dei ragazzi) e da utilizzare a scopi puramente didattici. Esso funziona come un social

network, in cui i partecipanti possono comunicare inviando messaggi e materiali di vario genere;

ogni messaggio dei ragazzi è però visibile e quindi controllabile, a garanzia di un utilizzo corretto

e funzionale all’apprendimento.

In questa dimensione virtuale alcuni ragazzi che normalmente sono più silenziosi in classe si

espongono più facilmente, mandano messaggi, danno e chiedono informazioni ai compagni.

Questo aspetto è tipico dei social network usati quotidianamente dai ragazzi, ma se in altri ambiti

può avere anche conseguenze negative (limitando la socializzazione ad una sfera virtuale,

staccando sempre più il ragazzo dalla realtà), in questo caso può essere sfruttato sia a scopi

didattici sia per migliorare la socializzazione. In questo luogo virtuale gli alunni si trovano a loro

agio, poiché è una modalità comunicativa loro congeniale, il cui utilizzo è di grande praticità per

alunni e docenti e favorisce la cooperazione, proprio poiché esso si pone come comunità, anche

se virtuale.

A supporto della didattica il docente può inviare messaggi alla classe o a singoli alunni,

riportarvi le lezioni quotidiane (trasferendole ad esempio dalla Lim e ciò costituisce uno degli

incarichi degli alunni), inserirvi materiali da leggere, ascoltare, visualizzare e compiti da svolgere.

A loro volta gli alunni possono chiedere informazioni aggiuntive, inviare materiali e collaborare

tra loro; spesso si scambiano pareri, propongono idee, confrontano i reciproci lavori e riferiscono

agli assenti i compiti da svolgere.

Grandi potenzialità in ambito cooperativo sono offerte anche dall’utilizzo delle applicazioni

Drive di Google che permettono la condivisione. Le classi sono infatti fornite di un account, che

può essere usato per condividere file (testi, presentazioni, video…); gli stessi file possono poi

essere modificati da chi ottiene la condivisione e questo offre molteplici utilizzi didattici.

Il primo è la scrittura collettiva di testi, attività da me già sperimentata fin dalla tesi di laurea,

come già anticipato, ma che non ho avviato in quest’anno scolastico a livello di classe, ma

facendola esercitare attraverso i lavori prodotti in gruppo. La sua utilità rimane comunque valida

e la presenza di una Lim e l’uso di applicazioni come Drive ne facilitano l’esecuzione.

21

La condivisione dei file è di grande praticità anche perché permette di ovviare alle difficoltà

logistiche che insorgono, ad esempio, nelle attività di gruppo da svolgersi a casa; quando i

membri del gruppo sono davvero impossibilitati ad incontrarsi, qualche fase del lavoro può

essere svolta a distanza, monitorata dal gruppo proprio attraverso Edmodo o Drive; ciò non

sostituisce però la necessità e il valore aggiunto del confronto in presenza.

Un esempio di utilizzo pratico e quotidiano di file condivisibili è offerta da una semplice

attività che abbiamo adottato in grammatica, nello studio dell’analisi logica. Ritenendo utile far

costruire ai ragazzi una tabella di sintesi dei principali complementi indiretti, come ausilio per lo

studio, ho impostato una tabella in Drive per ciascuna classe e l’ho condivisa. In questo modo

ogni alunno ha potuto modificarla e dopo ogni lezione uno o più ragazzi, a turno, si sono

impegnati a completare la tabella, che è poi servita a tutti per studiare (la prima facciata di una

di queste tabelle costituisce l’allegato 3).

Ulteriori occasioni di utilizzo cooperativo delle tecnologie sono state sfruttate durante diversi

lavori di gruppo.

3.2.3. Lavori di gruppo

Durante l’anno sono stati svolti diversi lavori di gruppo. La forma più frequente e più semplice

utilizzata quasi quotidianamente è stata quella di far svolgere in coppie o in piccoli gruppi (tre-

quattro membri) esercizi a supporto di una spiegazione o come base di partenza per un nuovo

argomento. In grammatica, storia, geografia molto spesso i ragazzi hanno collaborato per

risolvere esercizi e rispondere a quesiti; le coppie o i piccoli gruppi sono sempre stati eterogenei

per interessi e livelli e quasi sempre almeno uno dei membri aveva competenze più alte ed era in

grado di fungere da tutor.

In questi casi non sempre però il lavoro viene svolto alla pari, poiché è frequente che il

compagno più competente cerchi di lavorare da solo e che il meno esperto lasci all’altro la

maggior parte del lavoro. Spetta all’insegnante monitorare i gruppi ed intervenire affinché tutti

collaborino in proporzione alle proprie possibilità.

La disparità di livello può diventare una risorsa quando chi è più “bravo” riesce a mettere a

disposizione degli altri le proprie abilità e conoscenze; egli può fare da guida agli altri e spesso

riesce a dare spiegazioni più chiare e semplici dell’insegnante stesso. Questo però avviene più

facilmente se in classe vige un abituale stile cooperativo.

A proposito delle differenze tra gli alunni, i lavori di gruppo offrono occasione di

personalizzare l’apprendimento, aspetto cui ci richiamano anche le Indicazioni nazionali.

Riconoscere le differenze e valorizzarle all’interno del flusso di lavoro della classe è un modo di

educare al rispetto della diversità; i lavori di gruppo, in cui ciascuno può avere un ruolo

differente, contribuendo comunque alla buona riuscita del lavoro, permettono di offrire

opportunità a tutti per raggiungere risultati positivi.

Infine lavori di ricerca in gruppo sono stati svolti sia a scuola sia a casa; di seguito vengono

sintetizzati gli obiettivi specifici e i contenuti di alcuni lavori.

Tipo di lavoro Materia Obiettivi

specifici

Tempi Metodologie e

strumenti

Valutazione

Ricerca sulle

civiltà

precolombiane

Storia -Ricercare in

gruppo

informazioni

su un

Novembre -Lavoro di

piccolo gruppo

svolto a casa

-Presentazione

in classe di un

-Valutazione

dell’elaborato

finale

22

argomento

assegnato

-Analizzare e

selezionare

informazioni

-Organizzare

informazioni

in un

elaborato

-Esporre il

lavoro alla

classe

elaborato

cartaceo o

multimediale

prodotto dal

gruppo

-Lim, computer,

manuali, siti

internet

-Valutazione

dell’esposizione

individuale

Creare in gruppo

una mappa

concettuale sul

Regno Unito

Geografia -Analizzare in

gruppo un

testo per

selezionare

informazioni

-Organizzarle

in una mappa

concettuale

Gennaio -Lavoro svolto

in classe in

gruppi

-Verifica

individuale

-Lim; manuale

in uso

-Osservazione

della

partecipazione

al lavoro di

gruppo

-Verifica

individuale

Approfondimenti

sulle Isole

britanniche

Geografia -Ricercare

informazioni

per

approfondire

un argomento

studiato

-Analizzare e

selezionare

informazioni

-Organizzare

informazioni

in un

elaborato

multimediale

anche

svolgendo

compiti di

realtà

(pianificare un

viaggio)

-Presentare il

lavoro alla

classe

Febbraio -Lavoro di

piccolo gruppo

spontaneo

svolto a casa

-Presentazione

in classe di un

elaborato

multimediale

prodotto dal

gruppo

-Lim, computer,

manuali, siti

internet

-Valutazione del

prodotto finale

-Valutazione

individuale

dell’esposizione

Creare in gruppo

schede riassuntive

sull’Europa del

nord

Geografia -Analizzare in

gruppo un

testo per

selezionare

informazioni

-Organizzarle

in uno schema

riassuntivo

Febbraio -Lavoro svolto

in classe in

gruppi

-Verifica

individuale

-Lim; manuale

in uso

-Osservazione

della

partecipazione

al lavoro di

gruppo

-Valutazione del

prodotto finale

23

-Valutazione

individuale

dell’esposizione

-Verifica

individuale

Analizzare in

gruppo fonti

storiche

sull’assolutismo

Storia -Analizzare in

gruppo

diverse fonti

storiche e

trarre

informazioni

su un periodo

storico

-Ricostruire

un quadro

storico

collegando le

informazioni

ed

organizzarle

in sintesi

multimediali

Marzo -Lavoro svolto

in classe in

gruppi

-Compilazione

di schede di

analisi delle

fonti

-Elaborazione di

sintesi

multimediali

-Verifica

individuale

-Lim, computer,

manuali, siti

internet

-Osservazione

della

partecipazione

al lavoro di

gruppo

-Valutazione del

prodotto finale

-Valutazione

individuale

dell’esposizione

-Verifica

individuale

Come risulta dalla tabella, i ragazzi hanno lavorato in gruppo secondo varie metodologie. La

composizione dei gruppi, le modalità, le fasi e i tempi di lavoro sono stati decisi da me; solo nel

caso della ricerca sulle Isole britanniche ho dato la possibilità di creare piccoli gruppi

spontaneamente, andando incontro alle richieste delle classi.

Mentre il lavoro sulle civiltà precolombiane, per la maggior parte dei gruppi, è risultato essere

una riorganizzazione di notizie tratte da Wikipedia, negli altri lavori i gruppi hanno variato le fonti

utilizzate e le modalità di lavoro, come mostrano gli allegati 4,5,6.

Gli allegati 4 e 5 rappresentano ricerche su luoghi e aspetti interessanti dell’Irlanda e del Regno

Unito attraverso la finzione dell’organizzazione di due viaggi, uno a Londra, l’altro in Irlanda.

Il viaggio a Londra, pianificato da due alunne di seconda C, è piaciuto molto ai compagni,

poiché durante la presentazione le due ragazze hanno finto di essere due agenti di viaggio,

assumendo un tono ed un linguaggio molto professionali. Le informazioni raccolte, piuttosto

semplici, sono state sintetizzate attraverso un file di Drive, dal contenuto corretto e dalla grafica

piacevole. La valutazione finale è stata molto positiva.

Il viaggio in Irlanda, organizzato da due ragazze di seconda B, è una sintesi di alcune

informazioni pratiche e alcuni aspetti culturali; dal punto di vista dei contenuti il lavoro ha alcune

imperfezioni, ma l’elemento chiave è l’aver utilizzato un particolare programma, Glogster, sorta

di poster virtuale dalla grafica molto accattivante, che piace molto ai ragazzi. L’esposizione è stata

molto accalorata e ha dimostrato l’impegno delle due ragazze, per cui anche in questo caso la

valutazione è stata molto positiva.

Infine l’allegato 6 è una presentazione sulla cultura irlandese, creata da due alunne di seconda

B. Qui il lavoro di ricerca e di selezione delle informazioni è più accurato, i contenuti spaziano in

diversi ambiti, i testi sono corretti e l’organizzazione grafica è molto precisa; l’esposizione è stata

dettagliata ed approfondita, per cui il lavoro è stato valutato molto positivamente da me e dalla

classe, che ha ascoltato attentamente l’esposizione delle compagne. Durante le varie

24

presentazioni orali, i compagni hanno ascoltato e posto domande, mentre il ruolo dell’insegnante

si faceva il più possibile marginale, per lasciare spazio ai ragazzi.

Le attività di ricerca comportano un potenziamento delle competenze, poiché richiedono la

compenetrazione di varie abilità: muoversi autonomamente alla ricerca delle notizie, analizzare

e selezionare il materiale trovato in funzione del compito da svolgere e riuscire ad organizzarlo

in modo chiaro ed accurato. A livello cognitivo ciò comporta un apprendimento significativo e

duraturo, poiché è il ragazzo stesso che si fa carico di ciò che sta facendo ed imparando.

Condividere questo lavoro complesso con altri permette di alleggerire il carico di lavoro, ma

soprattutto costringe i membri del gruppo a mettere in campo quelle competenze sociali già

emerse in merito alle discussioni di classe: in ogni momento i membri devono fare insieme delle

scelte, prendere decisioni, vagliare possibilità e se il gruppo funziona e ognuno trova il modo di

dare un contributo, la negoziazione e la collaborazione renderanno il lavoro più ricco.

Così la collaborazione e l’unione di competenze diversificate all’interno dei gruppi ha

permesso di svolgere lavori complessi, come quello sull’assolutismo, inseriti a conclusione di

un’unità didattica sulle forme di potere in Inghilterra e Francia nel Seicento.

L’allegato 7 riunisce le schede di interpretazione di diverse fonti sul potere assoluto di Luigi

XIV, che i gruppi hanno analizzato in classe. Confrontando le diverse idee ed unendo le varie

conoscenze, i gruppi sono arrivati da soli ad un’interpretazione corretta, lavorando con impegno

e concentrazione.

I gruppi hanno poi condiviso con i compagni le singole osservazioni, per arrivare insieme alla

ricostruzione delle caratteristiche principali del potere del re Sole. A differenza di quanto detto

in merito al livello di attenzione dei compagni durante le esposizioni dei lavori di geografia, in

questo caso non tutta la classe si è lasciata coinvolgere nel momento i cui i gruppi esponevano le

proprie interpretazioni delle fonti, considerando forse già concluso il lavoro nella fase precedente.

Altri aspetti dell’assolutismo (la vita alla reggia di Versailles, iniziative economiche e

finanziarie) sono stati poi analizzati in un’ulteriore fase del lavoro, in cui le informazioni tratte

da diversi manuali sono state organizzate in lavori di sintesi al computer, che hanno fatto da base

per lo scambio di informazioni nella classe.

Quest’ultima fase del lavoro è stata però meno produttiva. Il problema principale nella

seconda C è stato il poter utilizzare in classe solo due computer disponibili, dovendo fare i conti

anche con problemi di connessione che hanno rallentato il lavoro. L’aver organizzato il lavoro

solo su due computer ha perciò comportato che si creassero due gruppi di lavoro principali, in

cui solo pochi alunni si sono autonomamente fatti carico della gestione del lavoro. I problemi

tecnici hanno fatto perdere molto tempo ai gruppi, così come una certa stanchezza verso un

lavoro che sembrava non procedere bene ha influenzato un po’ negativamente il risultato degli

elaborati finali. La presentazione (allegato 8) è un po’superficiale ed approssimativa nei contenuti

e graficamente confusa, mentre la linea del tempo (allegato 9), creata utilizzando il programma

Prezi, è corretta e graficamente elegante, ma limitata a pochi elementi (comunque pertinenti).

Anche in seconda B abbiamo dovuto fare i conti con problemi tecnici e con una certa

stanchezza nella fase finale del lavoro, per cui gli elaborati prodotti non sono stati particolarmente

approfonditi, ad eccezione della mappa concettuale prodotta da un gruppo utilizzando in classe

l’I-pad di un alunno, che risulta accurata (allegato 10).

Le valutazioni non del tutto positive sono state segnalate in itinere ai gruppi delle due classi e

ho suggerito di perfezionare gli elaborati a casa. Poiché in altri momenti i ragazzi avevano

lavorato con impegno ed interesse, il fatto che siano stati fatti pochi ulteriori tentativi per

migliorare i lavori, mi ha spinta a concludere il lavoro, convinta che si fosse perso l’interesse, ma

25

che ormai gli obiettivi principali fossero stati comunque raggiunti. Ciò è stato confermato dai

risultati delle verifiche individuali svolte successivamente.

Come si nota dall’allegato 11, tali verifiche si basano sull’analisi di alcune fonti e sulla

rielaborazione di informazioni sull’assolutismo, ricalcando il lavoro dei gruppi. In queste prove

molti alunni di entrambe le classi hanno espresso considerazioni interessanti e i risultati sono stati

migliori del solito, sia perché la struttura della prova era diversa e forse più stimolante sia perché

non richiedeva solo conoscenze teoriche, ma metteva in campo ciò che si era prodotto insieme

agli altri e che non derivava esclusivamente dallo studio.

Anche un lavoro di gruppo dai risultati non eclatanti ha dunque avuto ricadute positive sia

sull’apprendimento che sulla socializzazione, poiché durante questi lavori, soprattutto in

seconda C, alcuni ragazzi, normalmente poco partecipi e piuttosto disinteressati alle attività di

storia, hanno preso in mano la situazione nei momenti di difficoltà, trovando soluzione ai

problemi ed organizzando il lavoro. Da quel momento, ad esempio, una ragazzina ha mostrato

interesse verso le lezioni di storia e ha cominciato a studiare con più impegno, migliorando i suoi

voti. I gruppi inoltre sono stati organizzati in modo che alcuni ragazzini più deboli o in difficoltà

riuscissero a raggiungere risultati positivi: è il caso del gruppo che ha lavorato sulla breve fonte

F, in cui la guida del lavoro è stata presa in carico da un ragazzino molto timido che ha aiutato i

compagni (due ragazzi con grandi difficoltà) a concludere il compito.

Infine qualche parola su due attività di geografia svolte in classe con l’intento di esercitare i

ragazzi nella costruzione collettiva di strumenti di ausilio per lo studio, utili sia ai ragazzi con

disturbi specifici di apprendimento sia come efficace esempio per tutti da applicare nello studio

individuale.

La prima fase è stata la creazione in classe di una mappa concettuale sulle caratteristiche del

Regno Unito, utilizzando un sito in cui si creano mappe condivisibili, Popplet. La lezione frontale

(che in geografia è comunque basata sul costante riferimento a carte, dati, immagini) è stata

sostituita dal lavoro dei gruppi; ad ogni gruppo è stata affidata la compilazione di una parte della

mappa su specifici argomenti. Le informazioni sono state selezionate dal manuale in uso,

sintetizzate dai gruppi ed inserite nella mappa sulla Lim (allegato 12). La mappa è stata poi

commentata e spiegata dai diversi gruppi. Il lavoro è stato svolto velocemente e con grande

impegno e si è concluso in due ore. La settimana successiva è stata somministrata una verifica

individuale sull’argomento, con buoni risultati da parte delle due classi.

Con le stesse finalità, in piccoli gruppi, i ragazzi hanno lavorato in classe per costruire degli

schemi riassuntivi delle caratteristiche generali degli stati dell’Europa del nord, selezionando le

informazioni dal manuale ed organizzandole in tabelle da me predisposte servendoci di Drive,

così che il lavoro potesse essere condiviso (allegato 13). Infine un gruppo ha invece trasformato

in una mappa concettuale le informazioni sulle caratteristiche fisiche ed ambientali della

macroregione dell’Europa del nord, utilizzando il programma Popplet (allegato 14). I gruppi

hanno poi presentato oralmente ai compagni le informazioni, in una sorta di lezione tra pari.

L’apprendimento è stato in seguito monitorato attraverso una verifica individuale sui contenuti,

dai risultati positivi.

Anche in questo caso i gruppi hanno lavorato con impegno e il lavoro è stato svolto molto

velocemente soprattutto in seconda B, dove un discreto numero di alunni ha messo a disposizione

degli altri i propri tablet15, agevolando tutta la prima fase del lavoro, che così è stata conclusa in

classe (in seconda C, invece, parte del lavoro su Drive è stata svolta a casa).

15 Le due classi sono state abituate ad usare in classe gli strumenti informatici nel rispetto delle regole e solo

su indicazione degli insegnanti; in particolare, in seconda B gli alunni sono molto abili in questo campo e molti

posseggono tablet, che, con l’approvazione dei genitori, sono stati spesso utilizzati a scuola in varie discipline.

26

In tutte queste attività di gruppo i ragazzi, in particolar modo in seconda B, hanno dimostrato

di essere già molto competenti nell’uso delle nuove tecnologie e di essere in grado di apprendere

velocemente l’utilizzo di nuovi programmi, diventando subito più abili dell’insegnante stesso

(almeno nel mio caso!).

L’applicazione delle tecnologie in ambito didattico è di forte impatto per i ragazzi, il cui

interesse viene automaticamente incentivato. La stessa attività proposta attraverso la Lim, tablet

e computer attira maggiormente la curiosità dei ragazzi e sembra motivarli di più, essendo essi

abituati ad utilizzare questi strumenti e linguaggi quotidianamente e sentendosi probabilmente

sicuri e competenti nel loro uso. In questo campo è frequente che dimostrino più abilità e maggior

interesse anche alunni normalmente in difficoltà o disinteressati alle attività disciplinari, che

trovano così modo di emergere e di partecipare. Le tecnologie, inoltre, offrono potenzialità

immense, da semplice strumento meccanico a facilitatore ed amplificatore dell’apprendimento

(attraverso programmi per leggere testi, immagini e video per implementare i contenuti,

programmi per creare mappe e presentazioni multimediali). Esse infatti stimolano un tipo di

apprendimento dinamico e personalizzabile, in cui chi apprende può davvero divenire via via

costruttore delle proprie conoscenze, abilità e competenze.

Concludo questa carrellata di attività con le fotografie dell’allegato 1516, che ritraggono la

seconda B in un momento di lavoro di gruppo. Si nota una particolare disposizione dei banchi,

organizzati ad isole, per favorire il lavoro del gruppo: La tradizionale disposizione delle aule, con

banchi in file di fronte alla cattedra e alla lavagna, non favorisce né uno stile di gestione

cooperativo né un’organizzazione di lavori in gruppo veloce ed abituale (la separazione dei

banchi prima di ogni lavoro è una perdita di tempo con cui fare i conti). Una diversa

organizzazione dell’aula potrebbe favorire l’apprendimento cooperativo e un metodo di lavoro

più laboratoriale e diversificato: la creazione di isole di banchi permette sia di lavorare insieme

sia di far svolgere attività diverse nello stesso momento, creando anche eventuali aree di lavoro

tematiche nella classe (l’angolo del recupero, quello della lettura e dello studio individuale, quello

della ricerca in gruppo…). Questo è molto difficile da organizzare poiché completamente avulso

dalla quotidiana organizzazione scolastica e richiederebbe una piena condivisione da parte di

tutti i docenti della classe e forse anche una differente organizzazione oraria.

3.3. Valutazione delle esperienze

Valutazioni specifiche delle varie attività sono già state fornite descrivendone le fasi di

realizzazione. Rimane da affrontare un bilancio dell’esperienza in generale, cioè se i tentativi

messi in atto per inserire nelle classi un metodo cooperativo abbiano avuto ricadute positive o

meno.

Dal mio punto di vista riconosco che l’impegno del docente in questo lavoro è grande; la fase

preparatoria organizzativa, il monitoraggio in itinere, la gestione degli imprevisti e delle

dinamiche relazionali dei gruppi sono faticosi, così come può dare problemi la gestione del

tempo: non è scontato che un lavoro venga realizzato nei tempi ipotizzati ed è ovvio che attività

del genere impegnino tempi più lunghi di una lezione frontale; di ciò si deve tener conto nella

propria programmazione e questo può creare anche un po’d’ansia ed essere considerato elemento

negativo. Diventa quindi necessario pensare che si debbano attuare delle scelte, privilegiando ciò

che è essenziale sapere, ciò che è necessario imparare a fare anche per imparare ad imparare.

16 I ragazzi sono autorizzati dai genitori ad essere ripresi per scopi didattici; essi sono stati da me avvertiti che

queste foto servivano esclusivamente per documentare un momento del lavoro della classe.

27

Da questo punto di vista credo che, pur nella loro semplicità, le esperienze proposte siano state

positive: insieme i ragazzi hanno studiato e ricercato informazioni, hanno discusso e trovato

soluzioni, hanno superato le divergenze, portando sempre a termine il compito assegnato, e

hanno chiesto aiuto quando non ce la facevano da soli. Questo non ha risolto i conflitti o i

problemi all’interno delle classi (in particolare in seconda C), ma qualche piccolo passo avanti

secondo me è stato fatto, proprio perché hanno lavorato insieme.

In questo devo molto alla collaborazione degli altri insegnanti, in particolare del Prof.

Mongelli, che già aveva introdotto nelle due classi un tipo di apprendimento cooperativo e che è

stato sempre il nostro principale punto di riferimento dal punto di vista tecnologico.

Tornando indietro, modificherei diversi elementi in ogni attività; ad esempio credo che

sarebbe stato utile per i ragazzi svolgere attività ancora più strutturate, in cui fosse specificato il

preciso compito di ognuno all’interno dei gruppi, mentre ho sempre organizzato le fasi del

lavoro, lasciando però liberi i gruppi nella gestione interna. Il mio intento era di spingerli ad

essere autonomi e responsabili, ma può servire anche affidare compiti specifici, mirando a

sviluppare in ciascuno particolari abilità.

Come già detto, manca in questo quadro una parte dedicata alla scrittura collettiva, avendo

privilegiato altri ambiti ed obiettivi. Creare testi narrativi in gruppo, manipolare storie a più mani,

creare insieme storie e giocare con le parole è sicuramente stimolante e motivante. Come

affermato in precedenza, è necessario fare delle scelte e ciò che non si è fatto, potrà essere proposto

in seguito. In quest’anno la scrittura collettiva è stata praticata all’interno dei lavori di storia e

geografia.

Infine due considerazioni che potrebbero sembrare retoriche, ma che invece sono sincere:

davvero lavorando insieme i ragazzi, anche quelli normalmente relegati nelle fasce basse,

conquistano competenze sociali e cognitive e le riflessioni o le idee che emergono da un gruppo

a volte sono qualcosa di più e di diverso dall’unione delle singole individualità.

E allo stesso modo anche la funzione dell’insegnante cambia ed essendo parte del gruppo, si

ritrova ad imparare dall’esperienza stessa del gruppo.

28

Conclusioni

Il bilancio di questa esperienza corrisponde al bilancio di un anno di lavoro e di rapporti

personali e professionali, che non può che essere positivo.

La scuola “Graziosi” mi è sembrata fin dall’inizio un ambiente sereno e ricco, grazie

soprattutto alle capacità di chi ci lavora. Come in ogni luogo di lavoro, è facile che insorgano

divergenze, ma anche in questi casi ho visto prevalere l’ottica dell’ascolto reciproco e la sensibilità

verso il prossimo.

Tra i vari colleghi, oltre a quanto già detto in merito alla collaborazione col Prof. Mongelli, è

doveroso citare la Prof.ssa Paglioli, non solo in quanto mia tutor, ma soprattutto per l’esempio

personale, fatto di serietà, professionalità e sensibilità verso i ragazzi e i colleghi. A lei

principalmente dunque i miei ringraziamenti per il sostegno e il consiglio sempre cordiali e

solleciti.

I rapporti quotidiani con gli studenti sono stati positivi e ho trovato in entrambe le classi

ragazzi dotati di grandi attitudini, così come ragazzi non sempre ben disposti verso la scuola, ma

ugualmente capaci di confrontarsi con gli insegnanti. Come in ogni relazione, ci sono stati

momenti di scontro, in cui mi sono dovuta imporre con autorevolezza, ma credo che questo

rientri nel nostro ruolo di adulti e di educatori, che pongono divieti necessari e cercano di far

riflettere su comportamenti negativi.

I rapporti con le famiglie si sono mantenuti sereni e generalmente regolari e spero siano stati

positivi per entrambe le parti.

Lo stesso Istituto comprensivo mi è parso ben organizzato e ricco di iniziative, soprattutto

grazie ad una fertile rete di relazioni con il territorio e ad una sapiente ed attenta Dirigenza.

Le occasioni di incontro e di scambio tra colleghi dei vari ordini di scuola si sono incentrate in

particolare sul tema della costruzione di un curricolo verticale d’Istituto secondo le Indicazioni

nazionali, con lo scopo di ripensare insieme un percorso condiviso che accompagni nella crescita

i bambini nel loro primo ciclo di studi, puntellandolo di elementi forti ed irrinunciabili ad ogni

età.

A questo proposito è stato molto interessante il convegno tenutosi a Vignola su questo tema,

dal significativo titolo "Il sole e la terra: chi gira intorno a chi? Le Indicazioni Nazionali per il

Curricolo, un cambio di paradigma", occasione di incontro a più voci sulle direzioni che la scuola

intende seguire nell’immediato futuro.

Allo stesso modo ho apprezzato particolarmente gli spunti di riflessione offerti dalla Dirigente,

durante un collegio dei docenti, attraverso la visione di un filmato di Sir Ken Robisnson, che porta

un altro titolo denso di significati, “Changing paradigms”, in cui si invitano i docenti a modificare

i propri metodi di insegnamento in modo radicale, orientando i modelli educativi di riferimento

proprio in un’ottica cooperativa.

Siamo dunque in tempi di riflessione sulla scuola, le sue finalità e i metodi per conseguirle.

Questo può portare a ripensare seriamente i propri paradigmi, anche se non credo che stiamo

davvero vivendo una nuova rivoluzione copernicana dell’educazione, a causa dei numerosi

ostacoli materiali (primo fra tutti la scarsità di risorse ed investimenti nella e per la scuola e la

ricerca) e di una certa insofferenza verso il ruolo stesso dell’insegnante da parte della società.

Sta a noi insegnanti comunque, nella quotidianità della vita scolastica, sperimentare e

percorrere strade nuove, sfruttando tutte le possibili opportunità, dimostrando la validità del

nostro lavoro attraverso l’impegno quotidiano, tenendo presente le nostre alte responsabilità e

che il nostro è un contributo, seppur piccolo, alla formazione della società di domani.

29

ALLEGATI

30

ALLEGATO 1

ALLEGATO 2

31

ALLEGATO 3

32

ALLEGATO 4

33

34

35

36

37

38

39

ALLEGATO 5

N.B.: Il lavoro è multimediale, per cui alcune sue caratteristiche sono evidenti solo nella versione

on line.

40

ALLEGATO 6

41

42

N.B.: Il lavoro è multimediale, per cui alcune sue caratteristiche sono evidenti solo nella versione

on line.

43

ALLEGATO 7

Fonte da analizzare per l’attività A

Fonte da

analizzare

per l’attività B

44

45

46

Fonte da analizzare per l’attività C:

Fonte da analizzare per l’attività D:

47

48

49

Fonte da analizzare per l’attività E

Fonte da analizzare per l’attività F:

50

51

52

Fonti da analizzare per le attività G e H:

53

54

ALLEGATO 8

55

ALLEGATO 9

N.B.: Il lavoro è multimediale, per cui alcune sue caratteristiche sono evidenti solo nella versione

on line.

ALLEGATO 10

56

ALLEGATO 11

57

58

ALLEGATO 12

59

ALLEGATO 13

60

61

62

63

ALLEGATO 14

64

ALLEGATO 15

65

BIBLIOGRAFIA

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Lodi M., C’è speranza se questo accade al Vho, Torino, Einaudi, 1972

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