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ISSN 1126-5760 ADL ARGOMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO FONDATI DA MATTIA PERSIANI DIRETTI DA Mattia Persiani e Franco Carinci 3/2006 Interpretazione del contratto individuale e del contratto collettivo Lavoro e valori: prospettiva assiologica di Luigi Mengoni Sport e diritto del lavoro Principio di sussidiarietà nell’ordinamento comunitario e italiano Reclamo cautelare riformato e giustizia del lavoro Prestazioni occasionali e lavoro subordinato Diritto alle ferie: vecchie e nuove problematiche Disoccupazione e part-time verticale - Lavoro subordinato e associazione in partecipazione - Dequalificazione professionale e tutela - Danno da perdita di chance - Nuove Ipab e contratto collettivo applicabile - Specificità e immutabilità della contestazione disciplinare - Proporzionalità del licenziamento disciplinare e nozione di giusta causa - Regime contributivo delle indennità ai c.d. trasfertisti - Automatica risoluzione del rapporto di lavoro del dirigente - Efficacia soggettiva della clauso- la di salvaguardia dell’accordo sulle r.s.u. - Trasferimento illegittimo e mobbing - Superamento del periodo di comporto

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ISSN 1126-5760

ADLARGOMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO

FONDATI DA MATTIA PERSIANI

DIRETTI DA Mattia Persiani e Franco Carinci

3/2006Interpretazione del contratto individuale

e del contratto collettivoLavoro e valori: prospettiva assiologica di Luigi Mengoni

Sport e diritto del lavoro Principio di sussidiarietà nell’ordinamento

comunitario e italiano Reclamo cautelare riformato e giustizia del lavoro

Prestazioni occasionali e lavoro subordinatoDiritto alle ferie: vecchie e nuove problematiche

Disoccupazione e part-time verticale - Lavoro subordinato e associazione in partecipazione - Dequalificazione professionale e tutela - Danno da perdita di chance -

Nuove Ipab e contratto collettivo applicabile - Specificità e immutabilità dellacontestazione disciplinare - Proporzionalità del licenziamento disciplinare e nozione

di giusta causa - Regime contributivo delle indennità ai c.d. trasfertisti - Automatica risoluzione del rapporto di lavoro del dirigente - Efficacia soggettiva della clauso-

la di salvaguardia dell’accordo sulle r.s.u. - Trasferimento illegittimo e mobbing - Superamento del periodo di comporto

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Argomenti di diritto del lavoro intende contribuireal dibattito sull’evoluzione del diritto del lavoro

come sistema giuridico quale risulta dagli apporti della giurisprudenza e dagli sviluppi della legislazione.

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ADLARGOMENTI DI DIRITTO DEL LAVORO

FONDATI DA MATTIA PERSIANI

DIRETTI DA Mattia Persiani e Franco Carinci

3/2006Interpretazione del contratto individuale

e del contratto collettivoLavoro e valori: prospettiva assiologica di Luigi Mengoni

Sport e diritto del lavoro Principio di sussidiarietà nell’ordinamento

comunitario e italiano Reclamo cautelare riformato e giustizia del lavoro

Prestazioni occasionali e lavoro subordinatoDiritto alle ferie: vecchie e nuove problematiche

Disoccupazione e part-time verticale - Lavoro subordinato e associazione in partecipazione - Dequalificazione professionale e tutela - Danno da perdita di chance -

Nuove Ipab e contratto collettivo applicabile - Specificità e immutabilità dellacontestazione disciplinare - Proporzionalità del licenziamento disciplinare e nozione

di giusta causa - Regime contributivo delle indennità ai c.d. trasfertisti - Automatica risoluzione del rapporto di lavoro del dirigente - Efficacia soggettiva dellaclausola di salvaguardia dell’accordo sulle r.s.u. - Trasferimento illegittimo e mobbing -

Superamento del periodo di comporto

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Composizione e stampa: Bertoncello Artigrafiche - Cittadella (PD)

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INDICE-SOMMARIO

PARTE PRIMA

SAGGI

Antonino Cautadella, Interpretazione del contratto individualee interpretazione del contratto collettivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 685

Mario Grandi, Lavoro e valori: note sulla prospettiva assiologicadi Luigi Mengoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 696

Paolo Tosi, Sport e diritto del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 717

Alberto Pizzoferrato, Il principio di sussidiarietà nell’ordina-mento comunitario e nel sistema costituzionale italiano . . . . . . » 732

Luigi De Angelis, Il reclamo cautelare riformato e la giustizia dellavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 754

Maria Cristina Cataudella, Prestazioni occasionali e lavorosubordinato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 770

Annalisa Pessi, Il diritto alle ferie tra vecchie e nuove problemati-che . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 789

PARTE SECONDA

GIURISPRUDENZA

Note di commento

Annalisa Pessi, Disoccupazione e part-time verticale (nota aCorte cost. 24 marzo 2006, n. 121) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 813

Giorgio Bolego, Lavoro subordinato e associazione in parteci-pazione con apporto di prestazione di lavoro: orientamentigiurisprudenziali e innovazioni legislative (nota a Cass., Sez.Lav., 10 giugno 2005, n. 12261) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 830

Maria Liberatore, Dequalificazione professionale e tutela in for-ma specifica (nota a Cass., Sez. Lav., 12 gennaio 2006, n.425) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 845

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Valentina Aniballi, Danno da perdita di chance e risarcibilità(nota a Cass., Sez. Lav., 18 gennaio 2006, n. 852) . . . . . . . pag. 862

Riccardo Salomone, Trasformazione delle Ipab in fondazioniprivate e contratto collettivo applicabile (nota a Trib. Manto-va, 3 giugno 2005, n. 434) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 879

Sentenze annotate

Cass., Sez. Lav., 13 giugno 2005, n. 12263, con nota di AnnaMontanari, Sul contenuto dei principi di specificità e di immu-tabilità della contestazione disciplinare in rapporto al diritto didifesa del lavoratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 893

Cass., Sez. Lav., 2 novembre 2005, n. 21213, con nota di Mari-na Garattoni, La proporzionalità del licenziamento discipli-nare e la nozione di giusta causa tra norme elastiche e clausolegenerali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 903

App. Brescia, Sez. Lav., 17 novembre 2005, con nota di LucaZaccarelli, Il regime contributivo delle indennità corrisposte aic.d. trasfertisti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 913

App. Roma, Sez. Lav., 18 novembre 2005, con nota di NataliaPaci, Sull’automatica risoluzione del rapporto di lavoro del di-rigente al raggiungimento dell’età pensionabile o della massi-ma anzianità contributiva utile ai fini pensionistici . . . . . . . . . » 917

Trib. Ravenna 27 luglio 2005, con nota di Anna Zilli, Intornoall’efficacia soggettiva della clausola di salvaguardia dell’Ac-cordo interconfederale sulle r.s.u. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 928

Trib. Ivrea 17 novembre 2005, con nota di Luca Ratti, Trasfe-rimento illegittimo e mobbing: brevi osservazioni su sistemati-cità ed intenzionalità delle condotte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 943

Rassegna

Roberta Nunin, Superamento del periodo di comporto e riflessisul rapporto di lavoro negli orientamenti recenti della giuri-sprudenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 955

PARTE TERZA

Recensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 969Schede bibliografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 979Rassegna biliografica 2005-2006 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 989

vi INDICE-SOMMARIO

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Antonino Cataudella

Prof. ord. dell’Università di Roma « La Sapienza »

INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO INDIVIDUALE E INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO (*)

Sommario: 1. Premessa. – 2. Contratti collettivi e contratti normativi. – 3. La rilevanza dellenorme di interpretazione oggettiva. – 4. La rilevanza del significato oggettivo del testocontrattuale. – 5. Regole di interpretazione soggettiva e regole di interpretazione ogget-tiva nell’interpretazione del contratto collettivo. – 6. Su un recente orientamento giuri-sprudenziale.

1. – Chi intenda individuare le regole che occorre osservare nell’in-terpretazione dei contratti collettivi riguardanti il lavoro subordinato pri-

(*) Il saggio che ora si pubblica, già inserito negli Studi in onore di Mattia Persiani, è sta-to redatto ben prima della riforma del processo in cassazione introdotta dal d.lgs. 2 feb-braio 2006, n. 40 (G.U. n. 40 del 15 febbraio 2006) e anche della legge delega 14 maggio2005, n. 35. Non ha, quindi, tenuto conto della modifica che all’art. 360, n. 3, Cod. Proc.Civ. è stata apportata prevedendo l’impugnativa avanti alla Corte Suprema anche per viola-zione o falsa applicazione « dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ». Può darsiche in questa previsione qualcuno trovi conforto all’assunto di una sostanziale equiparazio-ne dei contratti e degli accordi collettivi alle leggi. L’equiparazione è però esclusa già dallanuova formulazione del n. 3 dell’art. 360 Cod. Proc. Civ., che ben distingue gli uni dalle al-tre (« per violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi colletti-vi nazionali di lavoro »), consentendo di trarre la sicura deduzione che le regole poste coicontratti e accordi collettivi non sono « norme di diritto ». Proprio perché non sono « normedi diritto » non trova applicazione alle stesse il principio «iuria novit curia»: tant’è che l’art.369, secondo comma, n. 4 Cod. Proc. Civ., nella nuova versione, contempla l’obbligo di de-positare in Cassazione, in uno col ricorso notificato, anche « i contratti o accordi collettivisui quali il ricorso si fonda ».

La previsione dell’impugnabilità in Cassazione delle sentenze di merito per violazioneo falsa applicazione di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro è certo intesa a ga-rantire, per quanto possibile, un’interpretazione uniforme di regole contrattuali che sonodestinate, per loro natura, a disciplinare in materia uniforme una serie indeterminata dirapporti di lavoro (non a caso il riferimento è limitato ai contratti e agli accordi collettivi« nazionali »).

Questa, e non quella di equiparare alla legge la regola collettiva, mi sembra essere la ra-tio che ispira l’innovazione. Resta quindi fermo che, trovando le regole collettive fonte in ac-cordi, l’interpretazione delle stesse da parte del Supremo Collegio dovrà essere attuata se-condo i criteri dettati negli artt. 1362 e segg. Cod. Civ. per l’interpretazione dei contratti.

SAG G I

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vato (1) ha la ventura di poter muovere da una premessa diffusamentecondivisa: l’essere i contratti collettivi, che di questa interpretazione co-stituiscono l’oggetto, espressione di autonomia privata, sia pure non « in-dividuale » ma « collettiva » (2).

Su questa premessa è radicato un corollario anch’esso diffusamentecondiviso: l’operatività, anche per l’interpretazione dei contratti collettivi,delle regole di interpretazione dettate per i contratti (artt. 1362 e segg.Cod. Civ.) (3).

Nei contratti collettivi è dato, notoriamente, distinguere una partecd. « normativa » da una parte cd. « obbligatoria » (anche se possonoesservi regole non inquadrabili – propriamente – in alcuna di questeparti).

Nella prima rientrano regole che sono destinate ad operare per iterzi, non specificamente individuati, ai quali il contratto collettivotrova applicazione, disciplinando i rapporti di lavoro subordinato daglistessi posti in essere; nella seconda rientrano obblighi che le parti delcontratto reciprocamente assumono. Ora, mentre le regole poste nellaparte obbligatoria non si differenziano da quelle dettate in contrattiindividuali perché, allo stesso modo, vincolano direttamente le partidel contratto, quelle poste nella parte normativa, proprio perché detta-te con riguardo a terzi indeterminati, presentano connotazioni partico-lari.

Le note che, indubbiamente, caratterizzano la parte normativa delcontratto collettivo rispetto al contratto individuale motivano peraltro ildubbio, da più parti espresso, sull’applicabilità al contratto collettivo di

Del resto, l’applicazione nel caso, in alternativa, dell’art. 12 disp. sulla legge in genera-le, appare da escludere, visto che la norma disciplina l’interpretazione di norme di diritto (siintitola « interpretazione della legge ») e che le regole collettive, pure nella previsione del-l’art. 360, n. 3, Cod. Proc. Civ., sono dalle « norme di diritto » chiaramente distinte. Ciò checambia è che la Corte Suprema non sarà più chiamata a vagliare la conformità dell’interpre-tazione che la sentenza di merito ha dato degli accordi e contratti collettivi nazionali ai prin-cìpi ermeneutici fissati negli artt. 1362 e segg. Cod. Civ. ma dovrà fare direttamente appli-cazione di questi princìpi.

Penso perciò che lo scritto, salvo che per quest’ultimo aspetto, possa ritenersi ancoraattuale.

(1) Le considerazioni svolte in questo scritto non si estendono al tema dell’interpreta-zione dei contratti collettivi riguardanti il lavoro subordinato pubblico.

(2) Questa visione del contratto collettivo è stata di recente ribadita con argomentazio-ne esaustiva, contro i vari tentativi di ravvisare nello stesso una fonte di diritto, da M. Per-

siani, Il contratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del lavoro, in Arg.Dir. Lav., 2004, pag. 1 e segg.

(3) Cfr. per tutti: A. Cessari, L’interpretazione dei contratti collettivi, Milano, 1963, pag. 39e segg.; E. Gragnoli, Profili dell’interpretazione dei contratti collettivi, Milano, 2000, pag. 132.

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queste regole nella loro interezza nonché secondo la graduazione che siritiene generalmente operante per il contratto individuale.

A questo dubbio hanno riguardo le brevi considerazioni che seguono.

2. – Va, anzitutto, puntualizzato che il contratto collettivo, diversa-mente da quanto taluni opinano (4), non è, nella sua parte cd. « normati-va », un contratto normativo nel senso che al termine i civilisti sono solitiattribuire.

Sia i civilisti che i lavoristi, allorché parlano di contratti normativi,non intendono fare riferimento a contratti che costituiscano fonte di veree proprie norme giuridiche. Fissato peraltro, in negativo, un elemento co-mune sul modo di intendere il termine, va aggiunto che esso viene ado-perato in senso profondamente diverso dagli uni e dagli altri. I primi qua-lificano normativi i contratti volti a conformare futuri contratti, tra le par-ti o tra le parti e terzi: contratti, dunque, dei quali le parti del contrattonormativo saranno protagoniste (5). I secondi, invece, riferendo la quali-ficazione di « normativo » ai contratti collettivi, hanno riguardo a contrat-ti che non conformano futuri contratti individuali di lavoro, visto che glistessi possono atteggiarsi diversamente purché le clausole risultino dimaggior favore per il lavoratore subordinato, e comunque a contratti deiquali le parti dei contratti collettivi non saranno partecipi.

3. – L’attitudine del contratto collettivo a dettar regola a terzi costitui-sce, in effetti, una vistosa deroga al principio, generale ma non assoluto,dell’inidoneità del contratto ad incidere direttamente sulla sfera giuridicadi terzi: principio che trova espressione nell’art. 1372, secondo comma,Cod. Civ. (« il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casiprevisti dalla legge »).

D’altra parte, l’essere i terzi destinatari del comando non individuati apriori ed in numero indeterminato fa sì che lo stesso sia formulato in ter-mini astratti.

Queste note (eterocomando ed astrattezza) possono suggerire ac-costamenti alle norme che non potrebbero giustificare un’identificazio-ne, perché qui la fonte delle regole è, pur sempre, il contratto, espres-

(4) Cfr.: V. Simi, Il contratto collettivo di lavoro, in Enc. Giur. Lav. diretta da G. Mazzoni,Padova, 1980, pag. 12 e segg.; G. Giugni, voce Contratti collettivi di lavoro, in Enc. Giur., VIII,Roma, 1988, pag. 7 seg.; G. Gitti, Contratti regolamentari e normativi, Padova, 1994, pag. 61e segg.

(5) G. Guglielmetti, I contratti normativi, Padova, 1969, pag. 99 e segg. esclude, peral-tro, dal novero dei contratti normativi quelli che conformano futuri contratti tra le stesseparti.

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sione di autonomia privata, e perché formulazioni generali non sonocerto ignote alla disciplina dei contratti: si pensi alle condizioni gene-rali di contratto ed alla predisposizione di moduli e formulari contrat-tuali.

In effetti, la dottrina che ha attribuito rilievo alle affinità delle regoleposte dai contratti collettivi alle norme non si è spinta sino al punto diproporre il ricorso alla regola interpretativa che l’art. 12 disp. sulla leggein generale detta per l’interpretazione della legge ma si è limitata a sug-gerire di attribuire preminenza, tra le regole di interpretazione del con-tratto, a quelle cd. di « interpretazione oggettiva » (6). Proposta che, pe-raltro, travisa, in buona misura, il fine della partizione delle norme sul-l’interpretazione tra norme di interpretazione soggettiva e norme di in-terpretazione oggettiva (7): che non è di contrapposizione, quanto digraduazione dell’applicazione, nel senso che le norme di interpretazioneoggettiva trovano ingresso solo se l’applicazione di quelle di interpreta-zione soggettiva non abbiano conseguito il risultato di accertare l’inten-to comune dei contraenti. In altre parole, il c.c. non offre una scelta tradue tipi di interpretazione ma disegna una sequenza, sicchè non è datoapplicare le seconde (norme di interpretazione oggettiva) se l’applicazio-ne delle prime abbia consentito di attribuire al contratto il senso corri-spondente all’intento comune dei contraenti.

Le norme di interpretazione oggettiva operano, del resto, sulla basedi una pluralità di sensi attribuibili alle clausole contrattuali alla streguadell’interpretazione soggettiva, ponendo regole per operare una sceltache, senza l’interpretazione soggettiva, non sarebbe dato ipotizzare.

Pure per l’interpretazione del contratto collettivo vale, quindi, la par-tizione tra norme di interpretazione soggettiva ed oggettiva ed il gradua-lismo disegnato dal legislatore, che fa seguire l’applicazione delle secon-de al mancato esito dell’applicazione delle prime (8).

4. – L’accostamento delle regole del contratto collettivo alle norme è,talora, finalizzato ad operare una selezione nell’ambito delle norme inter-

(6) Cfr.: G. Giugni, Appunti sull’interpretazione del contratto collettivo, in Riv. Dir. Lav.,1957, II, pag. 181; G. Ghezzi, L’interpretazione delle norme delegate sul trattamento minimo deiprestatori di lavoro, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1963, pag. 347 e seg.

(7) Partizione che risale a C. Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico (1937), Pa-dova, rist., 1983, pag. 18 e segg. ed alla quale si è ispirato il Codice civile.

(8) Costituisce un modello di compiuta utilizzazione, ai fini dell’interpretazione deicontratti collettivi, dei canoni interpretativi fissati negli artt. 1362 e segg. Cod. Civ. lo scrit-to di M. Persiani, Determinazione delle singole voci retributive ed interpretazione del contrattocollettivo, in Dir. Lav., 1982, pag. 459 e segg.

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pretative, assumendo che vada privilegiato il significato obiettivo del te-sto (9).

È d’uopo però tener presente che, così operando, non si prospettauna linea interpretativa significativamente diversa da quella seguita pergli altri contratti, riguardo ai quali il richiamo al brocardo in claris non fitinterpretatio è, nella giurisprudenza, non meno frequente che per il con-tratto collettivo (10).

Né, a ben vedere, può dirsi che tale orientamento contrasti con l’invi-to, che l’art. 1362, primo comma, Cod. Civ. rivolge all’interprete, di « nonlimitarsi al senso letterale delle parole ». L’invito, in vero, ha ragion d’es-sere allorquando il tenore delle espressioni adoperate lascia qualche spa-zio per attribuire alle stesse un significato diverso da quello letterale (11):se così non è, perché le espressioni adoperate hanno un significato uni-voco, il richiamo al brocardo «in claris non fit interpretatio » appare mossodal giusto intento di evitare forzature interpretative che portino ad attri-buire alla clausola contrattuale un significato inconciliabile con le espres-sioni adoperate (12).

Il comportamento delle parti, anche quello successivo alla conclusionedel contratto, assume valenza interpretativa per il contratto collettivo (13),allo stesso modo che per gli altri contratti.

ANTONINO CATAUDELLA 689

(9) Così P. Magno, Considerazioni sulla funzione e sull’interpretazione delle clausole col-lettive, in Dir. Lav., 1986, pag. 477; G. Santoro Passarelli, Funzione paralegislativa, colle-gamento negoziale, dimensione territoriale: spunti per l’interpretazione dei contratti collettivi didiritto comune, in Aa.Vv., L’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro, Roma, 1999, pag.130 e seg.

In giurisprudenza cfr.: Cass. 3 aprile 1979, n. 1923, in Riv. Dir. Lav., 1980, II, pag. 363.(10) Cfr. per tutte: Cass. 20 marzo 1996 n. 2372, in Rep. Foro It., 1996, voce Contratto in

genere, pag. 754, n. 307; Cass. 20 maggio 1997, n. 4480, in Rep. Foro It., 1997, voce Contrattoin genere, pag. 803, n. 402; Cass. 26 giugno 1997, n. 5715, loc. ult. cit., n. 401. Per la giuri-sprudenza lavoristica più recente cfr.: Cass. 26 settembre 2002, n. 13969, in Rep. Foro It.,2002, voce Lavoro (rapporto), pag. 1310, n. 615; Cass. 21 maggio 2003, n. 8022, in Rep. ForoIt., 2003, voce Lavoro (rapporto), pag. 1425, n. 740; Cass. 23 giugno 2003, n. 9966, ivi, pag.1429, n. 810; Cass. 18 agosto 2003, n. 12152, ivi, pag. 1425, n. 753.

(11) Cfr.: A. Cataudella, I contratti – parte generale, 2a ed., Torino, 2000, pag. 142.(12) Rispondono alle stesse preoccupazioni della giurisprudenza gli avvertimenti di au-

torevole dottrina di evitare interpretazioni inconciliabili col tenore del contratto cfr.: L.Mengoni, Interpretazione del negozio e teoria del linguaggio, in Il contratto – Silloge in onore diG. Oppo, I, Padova, 1992, pag. 312.

(13) Cfr.: M. Persiani, Determinazione delle singole voci retributive ecc., op. cit., pag. 463 esegg. Possono assumere valenza interpretativa le trattative che hanno preceduto il contrat-to, cfr.: M. Dell’Olio, Sull’interpretazione dei contratti collettivi, in Aa.Vv., Nuovi contributi perl’interpretazione dei contratti di lavoro, Roma, 2000, pag. 60; R. De Luca Tamajo, Sull’inter-pretazione del contratto collettivo di lavoro, ivi, pag. 65; Cass. 1923 del 1979, cit. Possono ancheassumerla le istruzioni date dai sindacati agli associati per l’applicazione del contratto col-lettivo (cfr.: A. Cessari, L’interpretazione dei contratti collettivi, op. cit., pag. 107).

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Il richiamo al principio di interpretazione complessiva delle clauso-le (art. 1363 Cod. Civ.) assume, con riguardo al contratto collettivo, unrilevo non diverso da quello che gli è attribuito negli altri contratti (14)e deve intendersi esteso, allo stesso modo, anche alla considerazione dicontratti collegati (15): collegamento che si configura, per restare nelcampo della contrattazione collettiva, tra contratto collettivo nazionalee contratti integrativi aziendali (16) e che porta ad attribuire valenza in-terpretativa del contratto collettivo nazionale al successivo contratto in-tegrativo (17).

I criteri di ragionevolezza che ispirano le regole interpretative postedagli artt. 1364 e 1365 Cod. Civ. valgono anche con riguardo ai contratticollettivi e portano ad intendere più restrittivamente le formulazioni ge-nerali, se le stesse appaiano esulare dall’oggetto dell’accordo, ed in sensopiù ampio le formule specifiche adoperate con intento esemplificativo (18).

5. – Le regole di interpretazione « soggettiva » (artt. 1362-1365 Cod.Civ.) hanno a scopo proclamato di individuare l’intento comune dei con-traenti (art. 1362, primo comma, Cod. Civ.).

Lo scopo perseguito con l’interpretazione del contratto collettivo non

(14) Per una condivisibile valorizzazione dell’art. 1363 Cod. Civ. (che viene pur sem-pre collocato dopo il criterio letterale) cfr.: Cass. 9 maggio 2002, n. 6656, in Riv. Dir. Lav.,2003, II, pag. 14 con nota di C. Saisi. Diversamente: Cass. 6 maggio 1998, n. 4592, in Mass.Giur. Lav., 1998, pag. 563 con nota di S. Liebman; Cass. 9 agosto 2000, n. 10500, in Not.Giur. Lav., 2001, pag. 1; Cass. 4 marzo 2002, n. 3091, in Rep. Foro It., 2002, voce Lavoro(rapporto), pag. 1312, n. 635; Cass. 13 marzo 2003, n. 3740, in Rep. Foro It., 2003, voce La-voro (rapporto), pag. 1430, n. 817, che vedono connotata l’interpretazione del contratto col-lettivo proprio dal rilievo preminente che nello stesso assumerebbe la regola posta dall’art.1363 Cod. Civ. Sulla rilevanza del contratto collettivo integrativo per l’interpretazione delcontratto collettivo nazionale – non solo ex art. 1363 Cod. Civ. ma anche ex art. 1362, se-condo comma Cod. civ., come comportamento successivo alla conclusione del contratto –cfr.: Cass. 18 agosto 2003, n. 12086, in Rep. Foro It., 2003, voce Lavoro (contratto), pag.1389, n. 31.

(15) Per l’affermazione,in generale, che l’interpretazione della singola regola dev’essereoperata tenendo conto non solo delle altre regole del contratto ma di quelle di altri contratticon lo stesso collegati cfr.: L. Bigliazzi Geri, L’interpretazione del contratto, in Il codice civile– Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, pag. 167.

(16) Cfr.: A. Cessari, L’interpretazione dei contratti, op. cit., pag. 148 e segg.; Cass. 28 mar-zo 1980, n. 2049, in Mass. Giur. Lav., 1980, pag. 394).

(17) Cfr.: Cass. 12086 del 2003, cit.(18) Il procedimento che porta ad attribuire ad una clausola una portata più ampia di

quella che discenderebbe dal suo tenore letterale non è procedimento analogico, sia purecontenuto nel quadro della cd. « analogia interna », ma interpretazione estensiva (diversa-mente: A. Cessari, op. ult. cit., pag. 167 e segg., che trova nell’art. 1365 Cod. Civ. la discipli-na di un procedimento di applicazione analogica delle clausole contrattuali).

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può essere diverso per il fatto che con la parte normativa dello stessovengono dettate regole destinate ad operare non per le parti ma per terzi(lavoratori e datori di lavoro ai quali il contratto collettivo trova applica-zione). La destinazione delle regole non toglie che le stesse debbano es-sere lette in maniera conforme all’intento comune delle parti del contrat-to collettivo e non secondo il modo di vedere dei destinatari delle regolestesse. S’intende, peraltro, che l’intento comune alle parti del contrattopuò valere come regola solo in quanto sia stato debitamente esternato.Ciò comporta che la regola dev’essere intesa non alla stregua di valuta-zioni proprie ad una delle parti o anche ad esse comuni ma secondo il si-gnificato che assume nell’ambiente sociale nel quale è destinata ad ope-rare: perché questo è il senso che i terzi destinatari della regola sono ingrado di attribuire alla stessa (19).

A queste conclusioni si perviene facendo leva su una coordinata let-tura degli artt. 1362, primo comma e 1366 Cod. Civ., che impone di in-terpretare il contratto secondo buona fede (20).

Quando, malgrado l’utilizzazione delle regole di interpretazione sog-gettiva, l’interprete non abbia conseguito lo scopo di accertare il sensoche il contratto assume nell’ambiente sociale nel quale è destinato adoperare (21) non resta che far capo alle regole di interpretazione oggetti-va. Tra queste, l’art. 1370 Cod. Civ., che ha riguardo a « clausole inseritenelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predispostida uno dei contraenti », non può venire in considerazione, essendo ilcontratto per adesione del tutto estraneo all’esperienza della contratta-zione collettiva (22).

(19) Per un richiamo all’esigenza di tutelare l’affidamento dei destinatari della regolacfr.: A. Cessari, op. ult. cit., pag. 115 e seg.; E. Gragnoli, Profili dell’interpretazione ecc., op.cit., pag. 185 e seg.

(20) Cfr.: A. Cataudella, I contratti ecc., op. cit., pag. 143 e seg.; anche M.V. Ballestrero

Gentili, Note in tema di interpretazione dei contratti collettivi, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1969,pag. 66 e seg. (che attribuisce peraltro all’art. 1366 valenza ancora più incisiva).

(21) L’ambiguità del testo è vista da E. Gragnoli (Profili dell’interpretazione ecc., op. cit.,pag. 133 e seg.) come esito consapevole e frequente del modo di operare delle organizza-zioni sindacali, che finirebbero così col lasciare all’opera della giurisprudenza la puntualedeterminazione della regola dettata a superamento del conflitto. L’ambiguità consapevoledel testo non è, peraltro, ignota al contratto individuale e non può, quindi, costituire unaconnotazione differenziale dell’interpretazione del contratto collettivo rispetto all’interpre-tazione del contratto individuale.

(22) A. Cessari richiama l’applicabilità dell’art. 1370 Cod. Civ. per fattispecie diversedalle pattuizioni collettive: le dichiarazioni a verbale inserite unilateralmente da una delleparti e i regolamenti d’impresa L’interpretazione dei contratti collettivi, op. cit., pag. 201 esegg.)

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Non si vedono, invece, ragioni per non applicare le regole di inter-pretazione oggettiva dettate dagli artt. 1367, 1369 e 1371 Cod. Civ. (23)

Dubbi possono, piuttosto, nascere in ordine alla praticabilità, per l’in-terpretazione dei contratti collettivi, e specialmente per quelli nazionali,del richiamo agli usi interpretativi (« pratiche generali interpretative »),operato dall’art. 1368 Cod. Civ.

Almeno per i contratti collettivi nazionali, il riferimento al luogo diconclusione degli stessi ai fini dell’individuazione degli usi interpretativiapplicabili appare poco appropriato (24).

Se col termine « pratiche interpretative » si vogliono designare modi diintendere determinate espressioni, i modi che assumono maggior rilievointerpretativo per i contratti collettivi non sono quelli generalmente prati-cati in una comunità localizzata ma quelli in essere nei rapporti sindacali.

Non riguarda l’interpretazione del contratto collettivo ma, piuttosto,una sua eventuale integrazione, l’interrogativo sull’ammissibilità di unprocedimento analogico che conduca ad integrarne le lacune con la di-sciplina dettata da altro contratto collettivo riguardo a casi analoghi (25).

La natura contrattuale, e quindi non normativa, del contratto colletti-vo porta a dare risposta recisamente negativa all’interrogativo (26).

È il caso di rilevare, a questo punto, che un’integrazione del contrat-to collettivo potrebbe invece essere attuata allorché, nel succedersi dicontratti collettivi tra le stesse parti, una clausola costantemente inseritanon venga riprodotta senza che emerga, in positivo, l’intento delle partidi espungerla: clausole del genere rientrerebbero, infatti, tra le clausoled’uso, che l’art. 1340 Cod. Civ. considera inserite nel contratto « se nonrisulta che non sono state volute dalle parti ».

La natura non normativa delle regole poste col contratto collettivo ri-guardante il lavoro privato conduce poi alla conclusione, necessitata, chel’interpretazione data dal giudice di merito alle stesse è censurabile in

(23) All’ultima di queste norme E. Gragnoli (Profili dell’interpretazione ecc., op. cit., pag.163 e segg.) attribuisce rilievo eccessivo, restando essa nel contratto collettivo, non menoche nel contratto individuale, norma interpretativa residuale, (« qualora, nonostante l’appli-cazione delle norme contenute in questo capo, il contratto rimanga oscuro . . . »).

(24) Mi sembra darne implicita conferma R. De Luca Tamajo quando suggerisce di in-tendere il luogo del contratto in senso non topografico (Sull’interpretazione del contratto ecc.,op. cit., pag. 66).

(25) Si tratterebbe di analogia esterna, contro la cui operatività, nell’ambito dei con-tratti collettivi, cfr.: A. Cessari, op. ult. cit., pag. 173; E. Gragnoli, op. ult. cit., pag. 191 esegg.; Cass. 20 dicembre 1983 n. 7519, in Riv. It. Dir. Lav., 1984, II, pag. 618 con nota di R.Agnesi.

(26) A conclusione negativa perviene anche M.V. Ballestrero Gentili, Note in tema diinterpretazione ecc., op. cit., pag. 859 e segg.

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Cassazione solo per violazione di regole ermeneutiche o per carenza dimotivazione (27).

7. – Il discorso sin qui condotto non può essere chiuso prima di sot-toporre a vaglio un orientamento, che di recente si è manifestato nell’am-bito della giurisprudenza della Corte Suprema, e che conduce a conclu-sioni diverse da quelle prospettate (28).

Questo orientamento (29) ritiene di poter prendere le mosse da quel-lo, al quale si è già fatto richiamo, che attribuisce rilievo interpretativopreminente all’art. 1363 Cod. Civ., assumendo che: « la riconosciuta pre-minenza al detto criterio, in ragione della peculiarità della contrattazionecollettiva, a ben vedere,supera e stravolge la regola del gradualismo dalmetodo interpretativo soggettivo a quello oggettivo ».

L’assunto sembra fondato su un equivoco in merito alla collocazionedella regola dettata dall’art. 1363 Cod. Civ., che non è di interpretazioneoggettiva ma è tipica regola, fondamentale e di applicazione primaria, diinterpretazione soggettiva.

A prescindere, comunque, dalle radici giurisprudenziali di questoorientamento (che sembrano per la verità mancare), esso si fonda sull’at-tribuzione al contratto collettivo di « una fisionomia di comando astratto e

(27) In questo senso la giurisprudenza costante, cfr., tra le più recenti: Cass. 30 ottobre2002, n. 15360, in Rep. Foro It., 2002, voce Lavoro (rapporto), pag. 1310, n. 610; Cass. 9966del 2003, cit.; Cass. 6 agosto 2003, n. 11873, in Rep. Foro It., 2003, voce Lavoro (rapporto),pag. 1427, n. 777; Cass. 9 agosto 2003 n. 12047, ivi, pag. 1429, n. 805; Cass. 11 settembre2003, n. 13374, ivi, pag. 1431, n. 828.

Per un tentativo di ampliamento del sindacato della Corte Suprema cfr. le articolate ar-gomentazioni di L.V. Moscarini, Riflessioni in tema di sindacato della Cassazione sull’interpre-tazione dei contratti collettivi, in Dir. Lav., 1998, pag. 381 e segg., spec. pag. 396 e segg.

(28) L’orientamento ha trovato la sua più compiuta motivazione nella sentenza 1° luglio2002, n. 9538, in Arg. Dir. Lav., 2000, pag. 925 ma era stato già espresso in altre sentenzeanche se a formarlo non hanno certo partecipato molti giudici della Corte Suprema. Il rela-tore della sentenza menzionata era stato anche relatore delle sentenze 20 ottobre 1998, n.10400, 5 ottobre 1999, n. 11080, 19 giugno 2000 n. 8316 e 18 luglio 2000, n. 9430, che nel-la sentenza sono citate, a conforto della decisione, come precedenti, ed era anche compo-nente del collegio nella sentenza 4 dicembre 2001, n. 15317, pure citata come precedente.L’altro precedente richiamato (Cass. 25 maggio 2001, n. 7173) non può, come si vedrà, con-siderarsi propriamente tale.

Va aggiunto che è anche relatore della prima delle due sentenze successive ascrivibili,in qualche modo, a questo orientamento (Cass. 13 novembre 2002 n. 15909 e – con un si-gnificativo aggiustamento rappresentato dal riferimento all’art. 1369 Cod. Civ. – Cass. 20agosto 2003, n. 12271).

(29) Si ha riguardo specifico alla motivazione della cit. sentenza n. 9538 del 2002, cheè stata sottoposta a serrato vaglio critico da M. Persiani, C’è ancora un’interpretazione del con-tratto collettivo?, in Arg. Dir. Lav., 2002, pag. 825 e segg.

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generale riferito a rapporti di serie, sociologicamente, se non giuridica-mente analogo alla legge » per trarne la conclusione della necessità dievincere un canone interpretativo « di coerenza fra legislazione statale/di-ritto vivente e regole dettate da soggetti privati, ma in sede di autoregola-mento – in via generale ed astratta – di un conflitto economico e socialeche involge soggetti da loro distinti e diversi ».

Nell’interpretazione del contratto collettivo, secondo questo orienta-mento, assumerebbe carattere di prevalenza e di priorità il predetto crite-rio di coerenza tra atto da interpretare e « valori fondamentali del dirittovivente del lavoro », con il corollario della sindacabilità in sede di legitti-mità di interpretazioni del contratto collettivo non coerenti con questi va-lori.

La linea interpretativa così disegnata, oltre a muovere da una pre-messa – l’accostamento del contratto collettivo alla norma – che porta acollocare anche il primo, inaccettabilmente, tra le fonti del diritto del la-voro (30), presenta aspetti di ambiguità perché, da una parte, prospettacon forza l’esigenza della conformazione della clausola ai valori fonda-mentali del diritto del lavoro, dall’altra fa riferimento a clausola che defi-nisce « ambigua ».

Ora, se l’asserito criterio di coerenza dovesse operare solo quando laclausola fosse rimasta « ambigua » dopo l’applicazione dei criteri di inter-pretazione soggettiva (31), il nuovo orientamento lo collocherebbe comeprincipio di interpretazione oggettiva, in qualche modo ricollegabile aldettato dell’art. 1369 Cod. Civ. (« Le espressioni che possono avere piùsensi devono, nel dubbio, essere intese nel senso più conveniente alla na-tura ed all’oggetto del contratto ») (32), compiendo un passo, certo, nonrivoluzionario.

Il richiamo a principi fondamentali del diritto del lavoro e alla legisla-zione statale appare, peraltro, strumento esorbitante per conseguire un ri-sultato del genere perché, se la clausola contrastasse principi del genereo norme imperative, la conseguenza non potrebbe che essere quella del-la nullità della stessa: non certo quella di un’interpretazione della clauso-la conforme ai princìpi o alle leggi, che potrebbe aver luogo solo nel caso

(30) Cfr., al riguardo, i rilievi critici di M. Persiani, Il contratto collettivo di diritto comuneecc., op. cit., pag. 4 e segg.

(31) Così Cass. n. 7173 del 2001, cit., che dà ingresso al criterio di coerenza tra autono-mia collettiva e legge solo di fronte ad un dato letterale ambiguo e perciò non sembra por-si sulla stessa linea innovativa dell’orientamento che si considera; così anche Cass. n. 15909del 2002, cit., che richiama il criterio solo a fronte di una pluralità di interpretazioni possi-bili.

(32) Così Cass. n. 12271 del 2003, cit.

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che la clausola, per la sua formulazione, consentisse un’interpretazionedel genere.

Il richiamo al diritto del lavoro vivente legittima però il dubbio che sisia inteso fare riferimento, più che a princìpi fondamentali dell’ordina-mento giuridico, ad orientamenti dello stesso che si possano evinceredall’interpretazione e dall’applicazione giurisprudenziale (33): ad unarealtà, quindi, dai contorni alquanto incerti e sicuramente mobili, tale, co-munque, da non offrire ancoraggi sicuri all’interprete.

Un criterio di coerenza può, con maggiore plausibilità, essere richie-sto per orientare l’interprete della contrattazione collettiva quando allastessa sia stata attribuita una funzione integrativa o attuativa della disci-plina legale,dato che tale funzione non sarebbe conciliabile con regoledel contratto collettivo che contraddicessero i principi della legge.

(33) In tal senso M. Persiani, C’è ancora un’interpretazione del contratto collettivo?, op. cit,pag. 830 e seg.

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Corte cost. 24 marzo 2006, n. 121 – Pres. Marini – Rel. Bile – C. A. c.INPS

Lavoro e occupazione – Assicurazione per la disoccupazione involontaria– Lavoratori occupati con contratto a tempo parziale verticale su base an-nua ultrasemestrale che abbiano chiesto di essere tenuti iscritti nelle listedi collocamento per i periodi di inattività – Mancata inclusione fra gliaventi diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria – Denunciata dis-parità di trattamento rispetto ai lavoratori stagionali e agli altri assicurati,lesione della tutela del lavoratore – Non fondatezza della questione.

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, terzo com-ma, r.d.l. n. 1827 del 1935 nella parte in cui non contempla tra i lavoratori di-soccupati involontari i lavoratori occupati con contratto a tempo parziale verti-cale su base annua ultrasemestrale che abbiano chiesto di essere tenuti iscrittinelle liste di collocamento per i periodi di inattività, poiché nel lavoro a tempoparziale verticale il rapporto prosegue anche durante il periodo di sosta, purcon la sospensione delle corrispettive prestazioni, in attesa dell’inizio della nuo-va fase lavorativa.

(Omissis)

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza 11 agosto 2003, ha proposto la questionedi costituzionalità dell’art. 45, terzo comma, del regio decreto legge 4 ottobre 1935, n.1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), conver-tito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, secondo cui « l’assicurazioneper la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di in-dennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro ». La norma èimpugnata nella parte in cui, nell’interpretazione della Corte di cassazione, « non con-templa tra i lavoratori disoccupati involontari aventi diritto, alle altre condizioni di leg-ge, all’indennità di disoccupazione ordinaria, i lavoratori occupati con contratto a tem-po parziale verticale su base annua ultrasemestrale che abbiano chiesto di essere te-nuti iscritti nelle liste di collocamento per i periodi di inattività ».

L’ordinanza è stata resa nel giudizio proposto da una lavoratrice a tempo parzialeverticale (che nel 1999 aveva lavorato in una mensa scolastica nei mesi di apertura del-

G I U R I S P R U D E N Z AN OT E D I C O M M E N TO

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la scuola, ossia da gennaio a giugno e da settembre a dicembre) per ottenere dal-l’INPS l’indennità di disoccupazione per il periodo di inattività, che l’INPS contestavaritenendo la disoccupazione non « involontaria ».

Il Tribunale richiama anzitutto il « diritto vivente », sorto sulla base della sentenzadelle Sezioni Unite della Corte di cassazione (n. 1732 del 2003) secondo la quale la li-bera accettazione, da parte del lavoratore, del tempo parziale verticale su base annuaesclude che per i periodi di sospensione dell’attività lavorativa possa ravvisarsi disoc-cupazione involontaria. E ne ricava l’impossibilità di dare della norma impugnata unalettura diversa.

Ma – a suo avviso – la norma, così interpretata, viola l’art. 3 della Costituzione perirragionevole disparità fra il trattamento da essa riservato ai lavoratori a tempo parzia-le annuo e quello dei lavoratori stagionali e degli altri assicurati contro la disoccupa-zione involontaria; e l’art. 38, secondo comma, Cost., che garantisce la tutela del dis-occupato anche se la sospensione del lavoro sia prevista, voluta e programmata in re-lazione al tipo di rapporto instaurato.

A sostegno della non manifesta infondatezza della questione il Tribunale ricordache la Corte costituzionale (sentenza n. 160 del 1974) ha dichiarato non fondata, « neisensi di cui in motivazione », la questione di costituzionalità dell’art. 76 del r.d.l. n.1827 del 1935, affermando che i soggetti rimasti privi di lavoro nei periodi di sosta dellavoro stagionale hanno diritto all’indennità di disoccupazione, purché chiedano l’i-scrizione nelle liste di collocamento per altre occupazioni; ed ha, poi (sentenza n. 132del 1991), esteso per analogia tali conclusioni al lavoro a tempo parziale annuo, di-chiarando incostituzionale l’art. 17, comma secondo, della legge 30 dicembre 1971, n.1204, nella parte in cui escludeva, in alcune ipotesi, per le lavoratrici assunte con taletipo di contratto, il diritto all’indennità giornaliera di maternità, che avrebbe dovutosostituire quella di disoccupazione.

2. – La parte privata si è costituita, riservandosi di depositare memoria. Anchel’INPS si è costituito, rilevando che il Tribunale avrebbe dovuto censurare le norme delCapo VI, Sezione III, del r.d.l. n. 1827 del 1935, e non l’art. 45, che non individua di-rettamente i tipi di lavoro subordinato cui possa conseguire uno stato di disoccupazio-ne involontaria; e, nel merito, ricordando che la giurisprudenza di legittimità ha già di-chiarato la questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata.

Prima dell’udienza dell’8 febbraio 2005 la parte privata ha depositato una me-moria.

3. – A seguito di tale udienza la Corte, con ordinanza istruttoria del 3 marzo 2005,ha richiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri la documentazione e i dati rela-tivi: al numero delle controversie promosse nei confronti dell’INPS da lavoratori oc-cupati con contratti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua (previstidall’art. 5 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 recante « Misure urgenti a soste-gno e ad incremento dei livelli occupazionali », convertito in legge 19 dicembre 1984,n. 863), per richiedere il pagamento dell’indennità di disoccupazione per i periodi dimancato espletamento della prestazione lavorativa; al numero di lavoratori che po-trebbero richiedere tale indennità; al presumibile importo dell’onere aggiuntivo perl’INPS per l’eventuale pagamento dell’indennità di disoccupazione nei rapporti di la-voro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, per i periodi di mancato esple-tamento della prestazione lavorativa.

Acquisita tale documentazione – comunicata dall’INPS alla Presidenza del Consi-glio dei ministri e da questa trasmesso alla Corte con nota del 24 giugno 2005 – laquestione è stata chiamata all’udienza odierna, in prossimità della quale la parte priva-ta ha depositato una nuova memoria.

814 PARTE SECONDA . GIURISPRUDENZA - NOTE DI COMMENTO

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Considerato in diritto

1. – È sottoposta alla Corte la questione di costituzionalità dell’art. 45, terzo comma,del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento le-gislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile1936, n. 1155, secondo cui « l’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha perscopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontariaper mancanza di lavoro ». Il giudice rimettente ritiene che la norma violi gli artt. 3 e 38della Costituzione nella parte in cui, nell’interpretazione delle Sezioni Unite della Cortedi cassazione, « non contempla tra i lavoratori disoccupati involontari aventi diritto, allealtre condizioni di legge, all’indennità di disoccupazione ordinaria, i lavoratori occupaticon contratto a tempo parziale verticale su base annua ultrasemestrale che abbiano chie-sto di essere tenuti iscritti nelle liste di collocamento per i periodi di inattività ».

2. – L’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione di costituzionalità, sottoil profilo che il rimettente avrebbe dovuto censurare le norme del Capo VI, SezioneIII, del r.d.l. n. 1827 del 1935, in particolare l’art. 76, piuttosto che l’art. 45, norma divalenza generale, che non individua direttamente i lavoratori assistibili e le tipologiedi lavoro subordinato alla cui cessazione possa conseguire uno stato di disoccupazio-ne involontaria.

L’eccezione è infondata. Il rimettente dichiara di censurare la « norma » che (se-condo le Sezioni Unite della Corte di cassazione) non ravvisa « disoccupazione invo-lontaria per mancanza di lavoro » nel caso del lavoratore a tempo parziale verticale ul-trasemestrale su base annua che abbia chiesto di rimanere iscritto, per il periodo diinattività, nelle liste di collocamento; e individua tale norma nell’art. 45, comma terzo,del r.d.l. n. 1827 del 1935. Pertanto l’atto avente forza di legge impugnato è sufficien-temente identificato; e la sua collocazione nella disposizione dell’art. 45, comma terzo,del r.d.l. n. 1827 del 1935 non è implausibile, poiché proprio tale comma enuncia il re-quisito dell’involontarietà dello stato di disoccupazione.

3. – Nel merito la questione non è fondata.4. – L’art. 45 del r.d.l. n. 1827 del 1935, nel fissare l’oggetto delle assicurazioni ob-

bligatorie, stabilisce, al comma terzo, che « l’assicurazione per la disoccupazione invo-lontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupa-zione involontaria per mancanza di lavoro ». Il successivo art. 73 precisa che la presta-zione consiste in un’indennità giornaliera di un dato ammontare, e ribadisce che il di-ritto sorge « in caso di disoccupazione involontaria ».

Dal suo canto l’art. 76 dello stesso regio decreto-legge n. 1827 esclude, al primocomma, la spettanza dell’indennità in due casi di lavorazioni intermittenti, caratteriz-zate dall’alternanza di periodi di attività lavorativa e periodi di inattività: « la disoccu-pazione nei periodi di stagione morta, per le lavorazioni soggette a disoccupazionestagionale, e quella relativa a periodi di sosta, per le lavorazioni soggette a normali pe-riodi di sospensione ».

La portata della norma è stata innovata radicalmente dalla sentenza di questa Cor-te n. 160 del 1974, che ha dichiarato non fondata « nei sensi di cui in motivazione » laquestione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 1, ritenendo che in base adesso « il lavoratore, rimasto privo di lavoro durante tale periodo [di sosta], può sen-z’altro acquisire il diritto all’indennità di disoccupazione » purché « chieda la iscrizio-ne nelle liste di collocamento per altre occupazioni ». L’interpretazione adeguatricedella Corte si fonda sull’affermazione che nel lavoro stagionale la prevedibilità del ri-schio di disoccupazione, fisiologico per la naturale alternanza di periodi di attivitàproduttiva e periodi di sosta, non basta a rendere la disoccupazione volontaria.

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La Corte è poi tornata sul tema con la sentenza n. 132 del 1991, dopo che l’art.5 del decreto-legge n. 726 del 1984 aveva introdotto la figura del lavoro a tempoparziale. La sentenza – nel dichiarare parzialmente incostituzionale l’art. 17, commasecondo, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, sulla tutela delle lavoratrici madri,con particolare riguardo a quelle assunte con rapporti di lavoro a tempo parziale ditipo verticale su base annua – in motivazione ha richiamato la sentenza n. 160 del1974, ponendo in rilievo che essa si era occupata della disoccupazione conseguenteal periodo di sosta nei rapporti di lavoro stagionali, definiti « analoghi a quello quiconsiderato ».

La giurisprudenza della Corte di cassazione in un primo momento ha ritenuto cheil lavoratore a tempo parziale annuo abbia diritto all’indennità di disoccupazione per iperiodi di sospensione della sua prestazione tra una fase di lavoro e l’altra, purché pertali periodi risulti iscritto nelle liste di collocamento. Ma in seguito è sorto sul puntoun contrasto composto dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1732 del 2003. La sen-tenza ha affermato che l’indennità di disoccupazione non spetta in nessun caso di la-voro a tempo parziale su base annua, in quanto – da un lato – la stipula di un tale con-tratto « dipende dalla libera volontà del lavoratore contraente e perciò non dà luogo adisoccupazione involontaria indennizzabile nei periodi di pausa » e – dall’altro – que-sta conclusione non contraddice la disciplina della disoccupazione involontaria per ilavori stagionali, che non può essere estesa in via analogica ai lavori a tempo parzialesu base annua.

5. – Il giudice rimettente – partendo da tale sentenza – ritiene impossibile sot-toporre a interpretazione adeguatrice una norma di cui le Sezioni Unite hanno datoun’interpretazione divenuta poi « diritto vivente ». Ma, a suo avviso, questa interpre-tazione è contraria alla giurisprudenza costituzionale, in particolare in quanto la scel-ta del lavoratore di accettare, « liberamente e volontariamente », un lavoro a tempoparziale verticale annuo non è indice di volontarietà della condizione di non occu-pazione per il periodo contrattuale di inattività, più di quanto non lo sia, di per sé,l’accettazione del lavoro stagionale cui si è riferita la sentenza di questa Corte n. 160del 1974; ed in quanto l’estensione analogica della disciplina del lavoro stagionale aquello a tempo parziale, rifiutata dalle Sezioni Unite, è stata invece ammessa dalla ci-tata sentenza n. 132 del 1991. Ne consegue, secondo il rimettente, la violazione del-l’art. 3 della Costituzione, per irragionevole disparità di trattamento dei lavoratori atempo parziale verticale rispetto ai lavoratori stagionali e agli altri lavoratori fruentidell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; e dell’art. 38, comma secon-do, della Costituzione che garantisce una qualche tutela al disoccupato involontariopur se la sospensione del lavoro sia prevista, voluta e programmata in relazione al ti-po di rapporto instaurato, quando ciò derivi dalle condizioni del mercato del lavoro.

6. – La prima delle citate decisioni (sentenza n. 160 del 1974) ha fornito un’in-terpretazione adeguatrice dell’art. 76 del r.d.l. n. 1827 del 1935, nel senso che nel la-voro stagionale l’indennità di disoccupazione spetta nei periodi di « stagione morta »,ed ha così attratto questo tipo di lavoro nella regola generale secondo cui la disoc-cupazione involontaria comporta il diritto alla relativa indennità.

Ma rispetto al lavoro stagionale (soggetto a tale regola) il tipo contrattuale deltempo parziale verticale presenta sicuri elementi di differenziazione. In particolare,nel lavoro stagionale il rapporto cessa a « fine stagione », sia pure in vista di una pro-babile nuova assunzione stagionale; nel lavoro a tempo parziale verticale invece ilrapporto « prosegue » anche durante il periodo di sosta, pur con la sospensione del-le corrispettive prestazioni, in attesa dell’inizio della nuova fase lavorativa. Pertanto illavoratore stagionale non può contare sulla retribuzione derivante dall’eventuale

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nuovo contratto, mentre il lavoratore a tempo parziale può fare affidamento sulla re-tribuzione per il lavoro che presterà dopo il periodo di pausa.

L’esclusione del diritto all’indennità di disoccupazione per i periodi di mancataprestazione dell’attività lavorativa nei rapporti di lavoro a tempo parziale verticale subase annua non viola quindi l’art. 3 della Costituzione, per le differenze esistenti tra ledue situazioni poste a confronto. Né viola l’art. 38 Cost., perché nel tempo parzialeverticale il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta, assicurando al lavo-ratore una stabilità ed una sicurezza retributiva, che impediscono di considerare co-stituzionalmente obbligata una tutela previdenziale (integrativa della retribuzione)nei periodi di pausa della prestazione.

7. – Questa conclusione non trova ostacoli nella sentenza n. 132 del 1991. Con es-sa la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 17, comma secondo, dellalegge n. 1204 del 1971, sul diritto delle lavoratrici all’indennità giornaliera di materni-tà, « nella parte in cui, per le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di ti-po verticale su base annua, allorquando il periodo di astensione obbligatoria abbiainizio più di 60 giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro, esclude il di-ritto all’indennità giornaliera di maternità, anche in relazione ai previsti successivi pe-riodi di ripresa dell’attività lavorativa ». Questa esclusione comportava, per la Corte,« una palese incoerenza, tale da determinare un’ingiustificabile disparità di trattamen-to » lesiva dell’art. 3 della Costituzione, in quanto « la lavoratrice, per effetto della ma-ternità, viene a perdere una retribuzione di cui avrebbe certamente – e non solo pro-babilmente – goduto se non si fosse dovuta astenere dal lavoro in ragione del suo sta-to ». Tale motivazione sorregge compiutamente ed esaustivamente la dichiarazione diincostituzionalità della norma, onde il successivo richiamo al lavoro stagionale consi-derato dalla sentenza del 1974, ed al suo carattere « analogo » rispetto al lavoro a tem-po parziale verticale su base annua, è del tutto estraneo alle ragioni che hanno con-dotto alla decisione.

P.Q.M.la Corte Costituzionaledichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, terzo

comma, regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordina-mento legislativo della previdenza sociale), convertito, con modificazioni, nella legge6 aprile 1936, n. 1155, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione,dal Tribunale di Roma con l’ordinanza indicata in epigrafe.

(Omissis)

Annalisa Pessi

Dottore di ricerca dell’Università di Napoli « Federico II »

DISOCCUPAZIONE E PART-TIME VERTICALE

Sommario: 1. Premessa. – 2. L’indennità di disoccupazione ordinaria: le condizioni di ac-cesso e l’entità della prestazione nell’evoluzione legislativa. – 3. Integrazione del reddi-to del lavoratore stagionale o precario: l’indennità di disoccupazione con requisiti ri-dotti. – 4. L’acquisizione dello status di disoccupato tra disposizioni legislative e dati

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empirici. – 5. Prevedibilità dei periodi di sospensione del lavoro e diritto all’indennità.– 6. La « volontarietà » della sosta nelle diverse interpretazioni della Corte di Cassazio-ne. – 7. Segue. L’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. – 8. Segue.Critiche « di merito » al recupero dell’elemento volontaristico e remissione della que-stione alla Corte costituzionale. 9. La sentenza n. 121 del 2006 della Corte costituzio-nale. – 10. Evoluzione dei modelli di produzione e necessità di una riforma legislativaorganica della materia.

1. – La sentenza che si annota, pur affrontando un tema di grande at-tualità, quello del diritto dei lavoratori part-timers verticali all’indennità didisoccupazione per i periodi di non lavoro, risulta sostanzialmente nonproduttiva di effetti in ragione dell’intervento operato dal legislatore conl’art. 13 della legge n. 80 del 2005. Il legislatore, infatti, probabilmente infunzione preventiva di un esito negativo dello scrutinio di costituzionali-tà sollecitato dal Tribunale di Roma con l’ordinanza di rimessione dell’11agosto 2003, ha esplicitamente affermato l’insussistenza del diritto diquesti lavoratori alla percezione della suddetta indennità.

Né, d’altro canto, un intervento della Corte Costituzionale, seppurorientato ad attenuare le differenziazioni di un apparato protettivo ad al-to tasso di discrezionalità e a ridotta ragionevolezza, poiché vincolata adesigenze di bilancio, potrebbe porre ordine in una materia, quella degliammortizzatori sociali, che è stata oggetto, nell’ultimo decennio, di dele-ghe all’esecutivo per la sua riforma mai esercitate, nonché di continui in-terventi contingenti dettati da molteplici esigenze provenienti dal merca-to del lavoro.

Il tema dell’indennità di disoccupazione investe, infatti, la più genera-le problematica della riforma del welfare e dei diversi livelli di tutela chedovrebbero interessare l’area del lavoro strutturato e quella del lavoroprecario, nonché delle modalità con cui queste tutele dovrebbero raccor-darsi con quelle universalistiche da riservare a tutti i cittadini in condi-zioni di bisogno (reddito di ultima istanza, reddito di cittadinanza, red-dito mimino garantito).

Sotto tale profilo il tema investe anche la dialettica tra welfare e work-fare, laddove, specie con riguardo al fenomeno della precarizzazione dellavoro, appare necessario collegare l’utilizzo previdenziale degli interven-ti indennitari di tipo tradizionale ad una rivitalizzazione degli strumentidi politica attiva del lavoro, con particolare riguardo ai servizi di forma-zione permanente, onde evitare di realizzare una cristallizzazione delmercato, bloccato tra l’inefficienza del processo di orientamento-alloca-zione delle risorse e la sicurezza di un non lavoro economicamente assi-stito.

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2. – Gli interventi riformatori dell’indennità di disoccupazione ordi-naria (1) sono iniziati nel 1988 a seguito della sentenza della Corte Costi-tuzionale n. 497 che aveva affermato «l’illegittimità costituzionale, in rela-zione agli artt. 2, 3 e 38 Cost., dell’art. 13 del d.l. n. 30/1974 (convertito nellalegge n. 114/74) per la parte in cui non prevede un meccanismo di adegua-mento del valore monetario (lire ottocento giornaliere) dell’indennità ordina-ria di disoccupazione (nella fattispecie del settore del commercio) ».

Questi interventi non hanno modificato l’impianto originario dell’isti-tuto, tenendo ferme le condizioni di accesso alla prestazione sia in ordi-ne ai requisiti di anzianità e attualità contributiva che in merito all’eventoda proteggere, cioè l’assenza di reddito conseguente all’estinzione di unprecedente rapporto di lavoro subordinato; ma si sono invece orientatiad elevare gradualmente l’entità della prestazione rispetto alla modestis-sima misura iniziale, attestandola, al termine del processo riformatore, alquaranta per cento della retribuzione media giornaliera soggetta a contri-buzione nei tre mesi precedenti all’inizio del periodo di disoccupazione(art. 79, comma 19, legge n. 388 del 2000).

Su questo assetto regolativo è poi intervenuto il legislatore del 2005(art. 13, legge n. 80 del 2005), prevedendo, in via sperimentale, per il pe-riodo 1 aprile 2005-31dicembre 2006, l’elevazione della durata del perio-do di godimento della prestazione previdenziale ed il suo importo, que-st’ultimo erogato in misura decrescente in ragione dell’ampliarsi dell’arcotemporale di fruizione (2); ma tenendo ferma, invece, la preesistente di-sciplina in ordine alla contribuzione figurativa (3).

3. – La legge n. 80 del 2005 ha anche interessato l’indennità di disoc-cupazione con requisiti ridotti; trattasi di un istituto introdotto sul finiredegli anni ’80 in favore dei lavoratori stagionali e dei precari, in parzialeanalogia con gli istituti già presenti e consolidati nel settore agricolo, fi-nalizzato non tanto alla protezione di una situazione di bisogno conse-guente alla perdita dell’occupazione, quanto alla semplice «integrazionedel reddito del lavoratore » (4). La prestazione è erogata ai lavoratori con

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(1) Definita lo «strumento universalistico cardine» per la capacità di soddisfare moltepliciesigenze di protezione sociale contro l’evento della perdita di occupazione, F. Liso, Il pro-blema della riforma degli ammortizzatori sociali nell’iniziativa del Governo, in Aa.Vv., Tutela dellavoro e riforma degli ammortizzatori sociali, Torino, 2002, pag. 119.

(2) Da sei a sette mesi per gli infracinquantenni, da nove a dieci per i cinquantenni e gliutltracinquantenni; 50% della retribuzione per i primi 6 mesi, 40% per i successivi 3 mesi,30% per il periodo residuo.

(3) 6 mesi per gli infracinquantenni, 9 mesi per gli altri.(4) F. Liso, I trattamenti di disoccupazione. Riflessioni critiche, in Riv. It. Dir. Lav., 1995, I,

pag. 341.

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anzianità assicurativa biennale che abbiano svolto nell’anno solare prece-dente attività lavorativa per almeno 78 giornate; l’indennità viene corri-sposta dall’INPS l’anno successivo, è riferita ad un massimo di 156 gior-nate lavorative ed è pari al 30% della retribuzione media giornaliera per-cepita nell’anno precedente; anche per questo istituto è previsto il bene-ficio della contribuzione figurativa.

L’ampliarsi nel tempo delle ipotesi protettive e l’assetto del sistema ditutele evidenzia, da un lato, la non ragionevolezza dell’espressa esclusio-ne del part-time verticale dall’ambito di applicazione dell’istituto dell’in-dennità di disoccupazione, d’altro lato, l’incertezza dell’ambito di opera-tività di questa esclusione, cioè se la stessa esclusione debba estendersi ono all’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti.

La problematicità sistemica dell’esclusione del part-time verticaledall’ambito di applicazione dell’indennità di disoccupazione a requisitiridotti è accentuata dal rilievo che quest’ultima indennità di disoccupa-zione si traduce in un sostegno economico per i lavoratori sottoccupa-ti, che riconosce a posteriori un reddito integrativo a prescindere dal-l’accertamento della volontarietà o no della condizione di sottoccupa-zione; mancando, del resto, l’identità del presupposto per l’erogazionedella prestazione tra i lavoratori c.d. « settantottisti extra-agricoli » ed ilavoratori agricoli, potendosi utilizzare soltanto per i secondi la pre-sunzione della stagionalità delle lavorazioni e dei condizionamenti cli-matici (5).

4. – Si apre qui un’altra problematica che ha diretta incidenza sullostesso processo argomentativo condotto in questi anni dalla giurispru-denza della Corte Costituzionale in materia: quella derivante dall’impian-to normativo di cui al d.lgs. n. 181 del 2000 e al d.lgs. n. 297 del 2002,che ha disgiunto l’acquisizione dello status di disoccupato dal dato for-male dell’iscrizione nelle liste di collocamento e l’ha collegato ad una no-zione di «soggetto svantaggiato », cioè di potenziale destinatario di misuredi promozione all’inserimento nel mercato del lavoro (6).

Per quello che qui interessa, il profilo di maggior criticità concernel’interrogativo se « la nozione di status di disoccupazione rinvenibile dald.lgs. n. 181/2000, così come modificato dal d.lgs. n. 297/2002, valga

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(5) P. Bozzao, Le recenti modifiche legislative in materia di trattamenti di disoccupazione, inPrev. Ass. Pubblica e Privata, 2005, n. 4, pag. 939 e segg.

(6) Dinamicamente integrate dalla legislazione statale successiva e dalla legislazio-ne regionale in ragione della competenza concorrente di cui all’art. 117, terzo comma,Cost.

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tanto ai fini delle politiche attive dei servizi per l’impiego quanto al fi-ne della percezione dell’indennità di disoccupazione sia ordinaria checon i requisiti ridotti » (7).

Le conclusioni, al riguardo, si presentano contrastanti (8) se si con-frontano le disposizioni legislative in materia con i dati empirici relativiall’erogazione dell’indennità.

Lo stato di disoccupato si acquisisce, ai sensi dell’art. 1, comma 2, let-tera c), d.lgs. n. 181 del 2000 come modificato dall’art. 1 d.lgs. n.297/2002, non solo con la « condizione » di «soggetto privo di lavoro, chesia immediatamente disponibile allo svolgimento ed alla ricerca di una attivitàlavorativa secondo modalità definite coi servizi competenti», ma anche in ra-gione del mancato superamento di un limite reddituale particolarmentecontenuto (euro 7.500). Limite reddituale, peraltro, articolato in ragionedelle tipologie di reddito (Conferenza Unificata Stato-Regioni, Accordo10 dicembre 2003), anche attraverso la neutralizzazione di alcune di esse(lavori socialmente utili, lavoro occasionale accessorio, ecc.), nonché ele-vato in specifiche realtà regionali.

D’altro canto, i dati empirico statistici che vengono riportati in inda-gini condotte anche da giuslavoristi (9) segnalano che in molti settori ifruitori dell’indennità di disoccupazione con i requisiti ridotti sono inprevalenza soggetti percettori di redditi dichiarati superiori al limite red-dituale previsto dal d.lgs. n. 181 del 2000 come modificato dal d.lgs. n.297 del 2002.

Ne discende che se la nozione di disoccupazione fosse coincidenteper la conclusione del c.d. « patto di servizio » ai fini delle politiche attiveper l’impiego e per l’ammissione al trattamento di disoccupazione con re-quisiti ridotti, si dovrebbe escludere il diritto di quei lavoratori, fruitoridell’indennità di disoccupazione con i requisiti ridotti, alla percezionedell’indennità stessa. Peraltro, tale esclusione non si è verificata successi-vamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 297 del 2002, né appare presen-te nelle intenzioni del legislatore, dall’analisi dell’intervento di cui allalegge n. 80 del 2005.

Ond’è che appare difficile sostenere la negazione del diritto al tratta-mento di disoccupazione a requisiti ridotti per il part-time verticale. Escluso,infatti, il limite reddituale quale requisito necessario per l’erogazione della

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(7) C. Lagala, L’indennità di disoccupazione con i requisiti ridotti. I trattamenti d disoccupa-zione dopo la legge n. 80/2005, in Prev. Ass. Pubblica e Privata, 2005, n. 4, pag. 979.

(8) D. Garofalo, Lo status di disoccupazione tra legislazione statale e provvedimenti regio-nali, ibidem, pag. 953 e segg.

(9) C. Lagala, op. ult. cit., pag. 981.

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prestazione, non risulta neppure utilizzabile il richiamo alla « valutazionedella volontà del lavoratore nella scelta del contratto », perché qui l’indenni-tà di disoccupazione « funziona nella sostanza come una integrazione delloscarso reddito conseguito l’anno precedente, mentre l’INPS non richiede al-cuna giustificazione in merito all’involontarietà della disoccupazione nel pe-riodo lavorato » né « l’iscrizione alle liste di collocamento » (10).

Semmai, sotto altro profilo, si potrebbe invocare la non coerenza traun intervento a consuntivo e la verifica, al contrario tempo per tempo,della sussistenza di comportamenti attivi del disoccupato (collaborazionecon i servizi dell’impiego, partecipazione alle misure formative) con con-seguente ineffettività dei meccanismi sanzionatori di decadenza dal dirit-to (11) oramai armonizzati per tutti i trattamenti di disoccupazione (12).

E, del resto, per altro verso ancora, la previsione contenuta nell’art. 13della legge n. 80 del 2005 di esclusione espressa, oltre che dei lavoratorigià destinatari del trattamento di integrazione salariale, dei «casi di con-tratto a tempo indeterminato con previsione di sospensioni lavative program-mate e di contratti di lavoro a tempo parziale verticale» sembra non coerentecon la estensione, seppur con differenziazioni anche in ordine al periodomassimo indennizzabile di 65 giornate, dell’indennità di disoccupazionecon requisiti ridotti ai dipendenti delle imprese artigiane, sospesi in con-seguenza di situazioni aziendali dovuti ad eventi transitori ovvero causa-ti da situazioni temporanee di mercato.

5. – Il problema del diritto all’indennità di disoccupazione per il part-time verticale (13) trova, d’altro canto, la sua premessa nell’art. 76 del r.d.l.n. 1827 del 1935 (14), che esclude la spettanza dell’indennità giornaliera,pur in presenza di «disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro » (15),per le «lavorazioni soggette a disoccupazione stagionale» e per le «lavorazio-ni soggette a normali periodi di sospensione», peraltro, con eccezione dell’ec-

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(10) R. Riverso, Trattamenti di disoccupazione e lavoro a tempo parziale nella legge n.80/2005, ibidem, pag. 997.

(11) Ad esempio: la mancata presentazione al servizio competente senza giustificatomotivo, il rifiuto dell’offerta formativa o la frequenza irregolare, la mancata accettazione diofferta lavorativa adeguata.

(12) Art. 3, comma 137, legge n. 350 del 2003, art. 13, d.lgs. n. 276 del 2003, come mo-dificato dal d.lgs. n. 251 del 2004, art. 1-quinques, legge n. 291 del 2004, art. 13 legge n. 80del 2005.

(13) Ma la materia della sottoprotezione interessa anche altri rapporti, il part-time oriz-zontale, l’apprendistato, il lavoro a domicilio.

(14) Anche se la norma censurata nell’ordinanza di remissione da cui origina la senten-za che si annota è impropriamente l’art. 45, comma 3.

(15) Appunto l’art. 45 (cfr. nota 12), ma vedi anche l’art. 73.

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cezione, limitando l’esclusione alle sole lavorazioni stagionali tabellate daapposito decreto ministeriale (art. 76, comma 2).

La previsione, di cui al comma 3 dello stesso art. 76, del diritto ancheper il lavoratore dimissionario all’indennità, peraltro in misura ridottaquanto alla durata del periodo indennizzato, chiarisce come la volonta-rietà non investa la cessazione del lavoro (16) o l’opzione verso quellospecifico rapporto di lavoro stagionale, bensì la permanenza o meno del-la disoccupazione.

Discrezionalmente, quindi, il legislatore ha ritenuto che la prevedibi-lità dell’alternanza fisiologica occupazione-disoccupazione fosse idonea amotivare, per alcune attività stagionali espressamente identificate, l’esclu-sione di interventi integrativi del reddito annuale.

La sentenza della Corte costituzionale n. 160 del 1974 modifica radi-calmente i termini della questione. La Corte costituzionale, investita diuna fattispecie qualificata dalla stessa Corte come relativa a «periodi di so-sta, per le lavorazioni soggette a normali periodi di sospensione » e relativa aduna vicenda antecedente l’entrata in vigore della legge n. 604 del 1966,accoglie sostanzialmente la censura di cui all’art. 76 quanto alla irragione-vole disparità di regolazione delle lavorazioni stagionali tabellate e nontabellate. Così, pur non dichiarandola incostituzionale, offre della normauna interpretazione costituzionalmente orientata che impone la spettanzadell’indennità di disoccupazione per i periodi di sosta di tutte le lavora-zioni stagionali, tabellate e non, tra l’altro sottolineando che il termine«involontario » non può, nel caso di specie, «ricollegarsi ad un comportamen-to proprio del lavoratore, per aver scelto quel tipo di lavoro piuttosto che un al-tro ».

6. – La Corte costituzionale torna sul problema del campo di applica-zione della indennità di disoccupazione, questa volta con riferimentoproprio al lavoro a tempo parziale (17), con un importante obiter dictum

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(16) Si veda, del resto, la sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2002 con cui siè ritenuta la sussistenza del diritto anche nel caso di dimissioni per giusta causa, laddove lalegge n. 448 del 1998 l’aveva precluso nelle ipotesi di dimissioni intervenute successiva-mente al 31 dicembre 1998 e con riferimento a tutte le indennità, ordinaria, agricola e nonagricola, con requisiti normali o ridotti.

(17) Disciplinato per la prima volta dall’art. 5 del d.l. n. 726 del 1984, convertito nella leg-ge n. 863 del 1984 e successivamente oggetto dell’ampio intervento regolativo del d.lgs. n. 61del 2000, con le successive modifiche di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, sempre anche con spe-cifica disciplina previdenziale ma senza previsioni in ordine all’indennità di disoccupazione.

(18) Sentenza che pronuncia l’illegittimità costituzionale della disciplina che non con-sentiva ad una lavoratrice impiegata con part-time verticale la percezione dell’indennitàgiornaliera di maternità.

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nella sentenza n. 132 del 1991 (18), affermando che, in ragione della sen-tenza n. 160 del 1974, «la lavoratrice, rimasta priva di lavoro durante il pe-riodo intercorrente tra una fase di lavoro e l’altra di un rapporto a tempo par-ziale annuo, può senz’altro acquisire, in tale periodo, il diritto all’indennità didisoccupazione ».

La problematica investe successivamente anche la Corte di Cassazio-ne in ragione dell’estensione dell’indennità di disoccupazione ai lavorato-ri discontinui che siano occupati sino a 6 mesi in un anno, operata del-l’art. 1, d.l. n. 108 del 1991 convertito nella legge n. 169 del 1991. Si affer-mano, al riguardo, due orientamenti.

Il primo viene sostanzialmente ad equiparare alle attività stagionali eda quelle soggette a sospensioni periodiche, di cui all’art. 76 r.d.l. n. 1827del 1935 nella lettura della Corte costituzionale n. 160 del 1974 (19), ilpart-time verticale ed i relativi periodi di pausa (20).

Questo orientamento, che è conforme alla prevalente dottrina (21), faleva su di una interpretazione estensiva della nozione di disoccupazioneinvolontaria, certificata dall’iscrizione nelle liste di collocamento e dalmancato reperimento di una diversa occupazione nel settore richiesto.

Il secondo orientamento (22) riconosce la tutela previdenziale nelpart-time verticale solo qualora il periodo di attività lavorativa sia stato in-feriore ai 6 mesi, richiamandosi non all’art. 76, ma all’art. 40, n. 9, del r.d.l.n. 1827 del 1935, il quale, in relazione alle lavorazioni che si compiono indeterminati periodi, distingue, ai fini del riconoscimento del diritto all’in-dennità di disoccupazione, tra periodi di durata superiore ai 6 mesi(esclusi) e periodi inferiori ai 6 mesi (inclusi).

Questo secondo orientamento, aspramente criticato in dottrina (23) è,comunque, a connotazione più estensiva rispetto alla tesi sostenuta dal-l’INPS, che nel messaggio n. 12596 del 1998 nega il diritto all’indennitàdi disoccupazione, sia con requisiti normali, che con requisiti ridotti, pertutte le ipotesi di sospensione del rapporto nel part-time verticale o per

824 PARTE SECONDA . GIURISPRUDENZA - NOTE DI COMMENTO

(19) Ma vedi anche la già citata sentenza n. 123 del 1991.(20) Cass. n. 1141 del 1999, che peraltro non richiama i precedenti della Corte costitu-

zionale; Cass. n. 5059 del 2000, che invece agli stessi si richiama; Cass. n. 3954 del 2001.(21) M. Brollo, Part-time: proposte di modifica, in Dir. Prat. Lav., 1995, pag. 598; L. Sgar-

bi, Part-time verticale ed involontarietà dello stato di disoccupazione, in Lav. Giur., 1997, pag. 317;F. Agostini, Indennità di disoccupazione e lavoro part-time, in Riv. Giur. Lav., 1999, suppl. al n.3, pag. 141; N. Paci, L’indennità di disoccupazione del lavoro part-time verticale, in Lav. Giur.,2000, pag. 757.

(22) Cass., Sez. Lav., n. 3746 del 28 marzo 2000; n. 2802 del 2001; n. 2804 del 2001.(23) N. Paci, op. ult. cit.; Ead., Evoluzioni ed involuzioni della giurisprudenza sull’indennità

di disoccupazione nel part-time verticale, in Lav. Giur., 2001, pag. 69; C. Lagala, Le diverse fun-zioni dell’indennità di disoccupazione e la tutela dei lavoratori part-time, ibidem, 2002, pag. 825.

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altri casi di astensioni dal lavoro programmate o prevedibili, riconfer-mando la tesi che la «scelta» volontaria di un certo modello di rapporto dilavoro non rientra nella nozione di disoccupazione involontaria per man-canza di lavoro di cui all’art. 45 del r.d.l. n. 1827 del 1935 (24).

7. – Il contrasto di orientamenti nella giurisprudenza della Corte diCassazione (25) ha portato ad investire della problematica le Sezioni Uni-te, le quali con una decisione del tutto inaspettata (26), vengono ad esclu-dere il diritto all’indennità di disoccupazione non solo per i lavoratoristagionali con part-time verticale ultrasemestrale, ma anche per i lavorato-ri stagionali con part-time verticale infrasemestrale, per i quali in realtàambedue gli orientamenti concordavano invece nel ritenere sussistente ildiritto all’indennità stessa.

La Corte a Sezioni Unite, recuperando la distinzione tra lavorazionistagionali tabellate e non tabellate, in contrasto con l’opzione interpreta-tiva della sentenza n. 160 del 1974 della Corte Costituzionale, muove dalpresupposto che la diversità delle tipologie lavorative consente alla di-screzionalità del legislatore di graduare i livelli di tutela in relazione al di-verso apprezzamento delle situazioni di bisogno socialmente rilevanti,anche in ragione delle esigenze di bilancio pubblico e della ontologicadistinzione tra disoccupazione e sottoccupazione.

Orbene, secondo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, mentre ladisoccupazione stagionale comporta una disoccupazione necessitata, acui il lavoratore è obbligato da ragioni obiettive ed indipendentementedalla sua volontà, nel part-time verticale il prestatore d’opera al momentodella stipulazione del contratto accetta periodi di non lavoro che identifi-cano lo stesso progetto negoziale. Da qui discende, dunque, la diversa in-tensità dell’apparato protettivo rispetto al lavoro stagionale, laddove ilpart-time verticale è una tipologia contrattuale a cui si ricorre non soloper le lavorazioni cicliche soggette a pause, ma anche per la modulazione

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(24) G. Rodà, Così l’indennità di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti, in Guidalav., 1999, pag. 56, che richiama anche alcuni orientamenti conformi della giurisprudenza inmerito.

(25) Contrasto tra l’altro generato da un equivoco, stante il rilievo che prima del 1988non esisteva l’obbligo dell’assicurazione volontaria per la disoccupazione involontaria pergli ultrasemestrali, ma che successivamente, prima per un anno nel 1988 e poi definitiva-mente nel 1991, il legislatore ha esteso l’obbligo assicurativo anche ai lavoratori stagionaliinfrasemestrali determinando la scomparsa della distinzione.

(26) Cass., Sez. Un., n. 1732 del 2003.(27) G. Del Borello, L’indennità di disoccupazione nel part-time verticale, in Inform. Prev.,

2003, pag. 1029.

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dell’organizzazione produttiva e per le diverse esigenze dei lavoratori edei datori di lavoro (27).

Proprio il richiamo dell’elemento volontaristico, aspramente criticatodalla dottrina come ritorno ad una concezione liberistica e formalisticadel contratto di lavoro (28) ed insieme l’ammissione che il part-time verti-cale può interessare anche lavorazioni cicliche e, quindi, intrinsecamentestagionali, con conseguente necessarietà oggettiva di periodi di non lavo-ro, apre una stagione di ampi contrasti giurisprudenziali.

8. – Da una parte « i giudici di merito si sono tutt’altro che appiattitisulla pronuncia del Supremo collegio; la Corte d’Appello di Genova, Fi-renze, Milano; il Tribunale di Ravenna, Parma, ecc. si sono pronunciati afavore dell’indennità di disoccupazione ai part-times verticali » (29), spes-so dichiarando ossequio formale alle Sezioni Unite a fronte di fattispecienelle quali il part-time verticale era utilizzato per lavori stagionali (comeper gli addetti alle mense scolastiche necessariamente occupati solo 9mesi nell’anno, Corte d’Appello di Firenze 13 febbraio 2004).

Dall’altra, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro (30), si attesta sulladecisione delle Sezioni Unite, rafforzandone l’affermazione della diffe-renziazione degli apparati protettivi in ragione della valutazione dei biso-gni correlati alle difformi tipologie contrattuali (31); nonché ritenendo in-sussistenti i dubbi di costituzionalità avanzati sull’assetto della disciplinaquale risultanti dalla decisione delle Sezioni Unite.

Al riguardo, osserva la Corte, la non spettanza dell’indennità di disoc-cupazione ai lavoratori impiegati a tempo parziale verticale non contrastacon gli artt. 1, 3, 4, 35, 1° comma, e 38 Cost., e con il principio di ragio-nevolezza, sia perché il contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verti-cale dipende dalla libera volontà del lavoratore, sia perché il diverso trat-tamento per i lavoratori stagionali dipende dalle caratteristiche obiettive

826 PARTE SECONDA . GIURISPRUDENZA - NOTE DI COMMENTO

(28) R. Riverso, L’indennità di disoccupazione negata nel part-time verticale; ritorna il dog-ma della volontà nel rapporto di lavoro, in Lav. Giur., 2003, pag. 405; criticamente anche A.Andreoni, Part-time verticale e indennità di disoccupazione: chi ha paura della Corte Costituzio-nale, in Riv. Giur. Lav., 2003, II, pag. 442; M. Giovedi’, Sull’indennità di disoccupazione nel la-voro a tempo parziale « verticale », in Riv. It. Dir. Lav., 2003, II, pag. 911; A. Niccolai, Indenni-tà di disoccupazione e part-time verticale, in Mass. Giur. Lav., 2003, pag. 275; adesivamente,invece, F. Rotondi e A. Quarto, Part-time verticale e indennità di disoccupazione per i periodidi inattività, in Dir. Prat. Lav., 2003, pag. 1071; I. Marimpietri, Part-time di tipo verticale subase annua ed indennità di disoccupazione, in Dir. Lav., 2004, II, pag. 101.

(29) R. Riverso, Trattamenti di disoccupazione, op. cit., pag. 992.(30) Cass. n. 10641 del 2003; n. 18990 del 2003.(31) Qui in ordine agli incentivi alla rioccupazione di cui alla legge n. 223 del 1991 e al-

la sospensione dell’indennità per i lavoratori part-time, Cass. n. 16762 del 2005.

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della prestazione, sia, ancora, perché è rimesso alla discrezionalità del le-gislatore scegliere se e in che modo favorire la conclusione di contratti atempo parziale (32) e prevedere trattamenti di disoccupazione variabili aseconda della gravità della situazione di bisogno, solo in presenza di unaeffettiva mancanza di reddito e di non imputabilità al singolo (33).

La prima delle decisioni della Cassazione che ritengono l’eccezionedi costituzionalità manifestamente infondata è del 7 agosto 2003. Pun-tuale nella « guerriglia » in atto arriva la risposta della giurisprudenza dimerito con l’ordinanza di rimessione dell’11 agosto 2003, con la quale ilTribunale di Roma dichiara rilevante e non manifestamente infondata, inriferimento agli artt. 3 e 38 Cost. la questione di legittimità costituzionaledell’art. 45, comma 3, r.d.l. n. 1827 del 1935, nella parte in cui non con-templa tra i lavoratori disoccupati involontari aventi diritto, alle altre con-dizioni di legge, all’indennità di disoccupazione ordinaria, i lavoratori oc-cupati con contratto a tempo parziale verticale su base annua ultraseme-strale, che abbiano chiesto di essere inseriti nelle liste di collocamentoper i periodi di inattività.

9. – Con la sentenza n. 121 del 20-24 marzo 2006 che si annota, laCorte Costituzionale afferma, riprendendo sostanzialmente la linea argo-mentativa delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che rispetto al la-voro stagionale «il tipo contrattuale del tempo parziale verticale presenta sicurielementi di differenziazione», con la conseguenza di non trovare ostacolinella sua precedente sentenza n. 160 del 1974 (34), per dichiarare non fon-data la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, terzo comma,r.d.l. n. 1827 del 1935. Questione sollevata perché la norma non contemplatra i lavoratori disoccupati involontari «i lavoratori occupati con contratto atempo parziale verticale su base annua ultrasemestrale che abbiano chiesto di es-sere tenuti iscritti nelle liste di collocamento per i periodi di inattività ».

Osserva, in particolare, la Corte che nel lavoro stagionale il rapportocessa a «fine stagione », sia pure in attesa di «una probabile nuova assunzio-ne stagionale », mentre nel lavoro a tempo parziale verticale il rapporto«prosegue» anche durante il periodo di sosta, pur con la sospensione del-le corrispettive prestazioni, in attesa dell’inizio della nuova fase lavorati-va. Da qui, secondo la Corte costituzionale, l’elemento centrale della dif-

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(32) Anche al fine di evitare un ampliamento degli indennizzi rimesso sostanzialmente ascelte dei privati e tale da risolversi in un finanziamento permanente della sottoccupazione.

(33) Cass. n. 11913 del 2003; n. 14182 del 2003.(34) Sentenza che, ricordiamo, aveva « fornito » un’interpretazione adeguatrice dell’art.

76 del r.d.l. n. 1827 del 1935, nel senso che nel lavoro stagionale l’indennità di disoccupa-zione spetta nei periodi di « stagione morta » in quanto di « disoccupazione involontaria ».

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ferenziazione, e cioè la circostanza che «il lavoratore stagionale non puòcontare sulla retribuzione derivante dall’eventuale nuovo contratto », laddove«il lavoratore a tempo parziale può fare affidamento sulla retribuzione per illavoro che presterà dopo il periodo di pausa ».

Ne discende, secondo la sentenza che si annota, che l’esclusione deldiritto all’indennità di disoccupazione per i partimers verticali su base an-nua non viola, né l’art. 3 della Costituzione «per le differenze esistenti tra ledue situazioni poste a confronto », né l’art. 38 della Costituzione, perché neltempo parziale verticale il rapporto di lavoro «perdura anche nei periodi disosta, assicurando al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva, cheimpediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previden-ziale (integrativa della retribuzione) nei periodi di pausa della prestazione ».

Questa conclusione non trova ostacoli, secondo la Corte, neppurenella sentenza n. 132 del 1991, con cui era stata dichiarata l’illegittimitàcostituzionale dell’art. 17, comma secondo, della legge n. 1204 del 1971,sul diritto delle lavoratrici all’indennità giornaliera di maternità «nellaparte in cui, per le lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di tipoverticale su base annua, allorquando il periodo di astensione obbligatoria abbiainizio più di 60 giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro, esclu-de il diritto all’indennità giornaliera di maternità, anche in relazione ai previ-sti successivi periodi di ripresa dell’attività lavorativa». Questa esclusionecomportava, infatti, una palese ed ingiustificabile disparità di trattamento,in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto la lavoratrice, per effetto dellamaternità, veniva «a perdere una retribuzione di cui avrebbe certamente – enon solo probabilmente – goduto se non si fosse dovuta astenere dal lavoro inragione del suo stato ». Ma questa, sempre secondo la Consulta, era la solamotivazione che sorreggeva «compiutamente ed esaustivamente » la dichia-razione di incostituzionalità della norma, così che qualsiasi richiamo allapresunta identità tra lavoro stagionale e lavoro a tempo parziale, che lasentenza annotata ritiene insussistente, risulta del tutto estraneo «alle ra-gioni che hanno condotto alla decisione » n. 132 del 1991.

La conclusione è, dunque, che l’esclusione del diritto all’indennità didisoccupazione dei partimers verticali trova la sua ragion d’essere nella af-fermata difformità tipologica tra il lavoro stagionale ed il lavoro a tempoparziale, in quanto solo per quest’ultimo il rapporto «prosegue» anche du-rante il periodo di sosta, con conseguente «affidamento» per il prestatoresulla retribuzione per l’attività che sarà svolta dopo il periodo di sospen-sione programmata.

10. – Questo è lo stato dell’arte che, del resto, segnala una situazionedi stasi non risolvibile con nuovi interventi della Corte Costituzionale o

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delle Sezioni Unite della Cassazione, ma esclusivamente con un’organicariforma legislativa della materia, che costruisca un bilanciato apparatoprotettivo idoneo ad assicurare tutele, seppur differenziate, a tutte le ipo-tesi di lavoro discontinuo e ad orario (giornaliero, mensile, annuale) ri-dotto.

Del resto, il necessario passaggio da un modello welfare ad un sistemadi workfare impone una programmata alternanza tra lavoro e formazioneprofessionale, al fine di garantire la conservazione del requisito dell’oc-cupabililtà.

Mentre, a sua volta, l’affermazione come valore di un coerente bilan-ciamento tra tempo di vita e tempo di lavoro suggerisce di non penalizza-re in termini di apparato protettivo quei soggetti che abbiano optato vo-lontariamente e liberamente per un’attività lavorativa flessibile e ridotta.

In realtà, dunque, il problema dell’indennità di disoccupazione per ilpart-time verticale è la spia di un diffuso disagio che discende da un ap-parato protettivo storicamente ancorato ai modelli classici della produ-zione e di volta in volta adattato ad esigenze contingenti o generate dallagiurisprudenza costituzionale o di legittimità.

È in questa prospettiva che può apprezzarsi la prudenza con cui simuove la Corte Costituzionale, che anche nella fattispecie in esame conordinanza istruttoria ha preventivamente accertato la dimensione econo-mica del fenomeno su cui era tenuta a decidere. Il necessario espandersidelle funzioni che il sistema previdenziale è chiamato ad assolvere im-pongono, infatti, un equilibrato dosaggio delle risorse disponibili, idoneoa realizzare un’equa redistribuzione delle stesse.

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Roberta Nunin

Ricercatrice dell’Università di Trieste

SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO E RIFLESSISUL RAPPORTO DI LAVORO NEGLI ORIENTAMENTI RE-

CENTI DELLA GIURISPRUDENZA

Sommario: 1. Premessa – 2. Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e licenziamen-to per superamento del comporto: necessità di una distinzione delle fattispecie – 3. Li-cenziamento per superamento del periodo di comporto e oneri formali – 4. Il contenu-to della regola dell’immediatezza – 5. Il computo del periodo di comporto in mesi: ca-lendario comune o determinazione convenzionale di una durata « media »?

1. – Con alcune recenti sentenze (1) la Corte di Cassazione si è nuo-vamente occupata degli effetti sul rapporto di lavoro del superamento delperiodo di comporto, consolidando l’orientamento che afferma la neces-sità di operare – a tale proposito – una distinzione tra il recesso motivatoda detto superamento e il licenziamento per inidoneità fisica sopravvenu-ta. Viene così ulteriormente sottolineato il carattere speciale dell’ipotesidi recesso individuata sulla base dell’art. 2110, secondo comma, Cod.Civ., ove si detta la regola per cui, in caso di malattia del lavoratore, il da-tore di lavoro ha diritto di porre fine unilateralmente al rapporto di lavo-ro ove venga superato il limite di tollerabilità dell’assenza, individuatodal c.d. « periodo di comporto » determinato dalla legge, dalle parti, dagliusi o – in via equitativa – dal giudice.

Le regole dettate dall’art. 2110 Cod. Civ. devono dunque ritenersiprevalere, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti indivi-duali di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970, sia su quella enu-

(1) V., tra le più recenti, Cass., Sez. Lav., 24 giugno 2005, n. 13624; Cass., Sez. Lav., 24gennaio 2005, n. 1373, in Riv. It. Dir. Lav., 2006, II, pag. 94, con nota di M. Rosano, Malat-tia e impossibilità della prestazione: distinzione e conseguenze pratiche; Cass., Sez. Lav., 7 gen-naio 2005, n. 253, in Riv. It. Dir. Lav., 2006, II, pag. 89, con nota di E. Signorini, Sul diver-so contenuto della regola dell’immediatezza nel licenziamento disciplinare e in quello per supera-mento del comporto; Cass., Sez. Lav., 3 agosto 2004, n. 14873, in Lav. Giur., 2004, pag. 171.

G I U R I S P R U D E N Z AR A S S E G NA

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cleabile sulla base degli art. 1256 e 1464 Cod. Civ. La questione non è dipoco momento, ove si consideri la diversità di regime regolativo che di-scende dall’opzione per una distinzione delle due fattispecie. Prima di af-frontarla, appare peraltro utile operare qualche richiamo concernente lanozione stessa di malattia (2) che, come è noto, non trova una definizio-ne ad hoc ad opera della legislazione giuslavoristica, essendo invece enu-cleabili delle nozioni differenziate non solo – più in generale – nei diver-si rami del diritto, ma anche – nello specifico – nello stesso più ristrettocontesto lavoristico, ove si considerino i diversi profili del rapporto di la-voro, dell’ambito infortunistico e di quello previdenziale (3): in questosenso, si è sottolineata in dottrina la necessità di ricercare non « una inaf-ferrabile nozione generale, ma ( . . . ) nozioni specifiche teleologicamentecollegate con le finalità regolatrici di ciascuno spaccato di disciplina, perquanto a loro volta “appoggiate” sulla nozione medica », solo così poten-dosi aprire la strada « per una completa riappropriazione di un’accezionegiuridica del fenomeno malattia » (4). In quest’ottica, e valorizzando unaprospettiva di tipo dinamico, si è condivisibilmente sottolineato che, dal-l’angolo prospettico del diritto del lavoro, se malattia « non significa ne-cessariamente incapacità al lavoro, è tuttavia naturale che una specificaconnotazione della “malattia” nell’ambito del rapporto di lavoro sia tro-vata considerando “malattie” solo quegli eventi morbosi che produconodetta incapacità » (5). D’altra parte, deve considerarsi che la malattia di

956 PARTE SECONDA . GIURISPRUDENZA - RASSEGNA

(2) Che nella scienza medica individua ogni alterazione o deviazione morfologica e/ofunzionale di una o più parti dell’organismo o di quest’ultimo nel suo complesso, prodottada cause esterne o interne. Ponendosi in una prospettiva dinamica si è anche operata unadefinizione di malattia che pone l’accento sull’alterazione, temporanea o definitiva, del nor-male equilibrio dell’organismo, sottolineando il profilo dell’andamento evolutivo verso unrisultato (guarigione, adattamento, ovvero aggravamento sino all’eventuale esito infausto):v. in questo senso la Relazione di Castellino, in Aa.Vv., La malattia del lavoratore subordina-to e le cure idrotermali: aspetti clinici e giurisprudenziali (Atti del Convegno di Marino 30 giu-gno 1987), Roma, 1988, pag. 21.

(3) Per un inquadramento generale del tema v. A. Pandolfo, La malattia nel rapporto dilavoro, Milano, 1991; R. Del Punta, La sospensione del rapporto di lavoro. Art. 2110-2111, in IlCodice Civile. Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992; M. Rusciano, voce Lasospensione del rapporto di lavoro (cause di), in Enc. Giur. Treccani, vol. XXX, 1993; R. San-

tucci, Le cause sospensive della prestazione di lavoro, in Dottrina e giurisprudenza di diritto dellavoro (diretta da G. Giugni), Torino, 1993; T. Renzi, Le ipotesi tradizionali di sospensione, inDiritto del lavoro. Commentario diretto da F. Carinci, vol. II (a cura di C. Cester), Torino,1998, 1141; M. Tatarelli, La malattia nel rapporto di lavoro pubblico e privato, Padova, 2002;P. Ichino, Il contratto di lavoro, vol. III, Milano, 2003.

(4) Così R. Del Punta, La sospensione, op. cit., pag. 28.(5) Così R. Del Punta, La sospensione, op. cit., pag. 28. Nello stesso senso v., di recente,

anche M. Tatarelli, La malattia, op. cit., pag. 37, che parla di un’alterazione dello stato disalute del lavoratore che determina « incapacità lavorativa, siccome incompatibile con l’atti-

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cui all’art. 2110 Cod. Civ. non implica necessariamente l’impossibilità disvolgere qualunque lavoro o mansione, ma individua, piuttosto, come èstato precisato in dottrina, uno stato « temporaneamente impeditivo dellaspecifica prestazione lavorativa contrattualmente pattuita e normalmentesvolta » (6), che deve dunque essere apprezzato in relazione alle mansio-ni assegnate (7).

Laddove da un’impossibilità temporanea della prestazione da partedel lavoratore a cagione della malattia si passi alla permanenza di dettaimpossibilità, vengono ad essere integrati i requisiti della inidoneità fisi-ca, cui è riconducibile una diversa disciplina. Proprio qui, dunque, si an-nida la questione maggiormente delicata e critica, non essendo sempreagevole la distinzione tra malattia e inidoneità (8) e ponendosi, d’altraparte, con tutta evidenza il problema – con eminenti risvolti pratici – re-lativo alla scelta della disciplina da applicare.

2. – Secondo l’orientamento giurisprudenziale assolutamente preva-lente il lavoratore malato che abbia superato il periodo di comporto è li-cenziabile liberamente (9), potendo dunque il datore di lavoro porre in

ROBERTA NUNIN 957

vità necessaria per l’espletamento della prestazione dovuta ». Anche T. Renzi, Le ipotesi tra-dizionali, op. cit., pag. 1145, sottolinea che « la malattia esonera il lavoratore dall’adempi-mento solo se e quando comporti una incapacità lavorativa qualificata, temporanea specifi-ca, concreta, ed attuale ».

(6) Così T. Renzi, op. e loc. ult. cit.(7) In giurisprudenza v. tra le altre sul punto Cass. 18 gennaio 1991, n. 439, in Dir. Prat.

Lav., 1991, pag. 1283; Cass. 9 settembre 1988, n. 5117, in Mass. Giur. Lav., 1988, pag. 687;Cass. 14 dicembre 1985, n. 6349, in Foro It. 1986, I, col. 1582; nella giurisprudenza di meri-to v. Pret. Parma 22 luglio 1995, in Riv. It. Dir. Lav., 1995, II, pag. 876; Trib. Roma 20 aprile1994, in Not. Giur. Lav., 1994, pag. 391.

(8) Peraltro non è affatto inusuale che una malattia sia la causa della successiva inido-neità; a questo proposito v. da ultimo proprio Cass., Sez. Lav., 24 gennaio 2005, n. 1373, cit.,la quale ha avuto modo di precisare che «quando l’inidoneità sopravvenuta non dipende da me-nomazioni fisiche definitive, ma da una malattia potenzialmente reversibile causa dell’inidoneità, ilgiudizio sulla durata dell’inidoneità è meramente prognostico, ed occorre allora che decorra un con-gruo lasso di tempo per accertare che non è prevedibile la cessazione dell’inidoneità fisica in un ter-mine ragionevole» (nel caso di specie la sentenza impugnata è apparsa non censurabile allaSuprema Corte, atteso il periodo complessivo di due anni considerato).

(9) È peraltro illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo dicomporto qualora la malattia del lavoratore sia causata (o aggravata) dalla nocività insitanelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque esistente nell’ambiente di lavoro,della quale il datore di lavoro sia responsabile per avere omesso le misure atte a prevenirlao ad eliminarne l’incidenza in adempimento dell’obbligo di protezione, incombendo peral-tro sul lavoratore – secondo le regole generali – l’onere di provare il collegamento causaletra l’episodio morboso determinante l’assenza e l’idoneità delle mansioni espletate a provo-care la malattia: così Cass. 6 settembre 2005, n. 17780.

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essere il recesso a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o diun giustificato motivo, per il solo fatto del superamento di detto periodo,dovendosi riconoscere all’ipotesi di cui all’art. 2110, secondo comma,Cod. Civ. un carattere speciale, che consente ad essa di prevalere sia sul-la disciplina generale della risoluzione dei contratti per impossibilità so-pravvenuta della prestazione, parziale o temporanea [ex artt. 1256 (10),1463 e 1464 Cod. Civ. ], sia su quella limitativa dei licenziamenti ex leggen. 604 del 1966 (11).

Questo orientamento è stato di recente riaffermato dalla SupremaCorte con la sentenza 24 giugno 2005, n. 13624, che ha ribadito come laspecialità e il contenuto derogatorio delle regole dettate dall’art. 2110Cod. Civ. si sostanzino nell’impedire al datore di lavoro di porre unilate-ralmente fine al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilitàdell’assenza (12), individuato dal comporto predeterminato dalla legge,

958 PARTE SECONDA . GIURISPRUDENZA - RASSEGNA

(10) In dottrina si è peraltro criticata l’applicabilità ai casi di infermità del lavoratoredell’art. 1256 Cod. Civ., per il fatto che la norma – soprattutto nel suo secondo comma –appare riferita all’ipotesi di prestazioni istantanee più che continuative (come invece è quel-la lavorativa): sul punto v. P. Ichino, Sulla nozione di giustificato motivo oggettivo di licenzia-mento, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, I, pag. 473 e segg., e pag. 487.

(11) V. in questo senso Cass., Sez. Lav., 23 aprile 2004, n. 7713; Cass., Sez. Lav., 8 mag-gio 2003, n. 7047; Cass., Sez. Lav., 7 aprile 2003, n. 5413; Cass. 27 giugno 1996, n. 5927;Cass., Sez. Lav., 12 giugno 1995, n. 6601; Cass., Sez. Lav., 14 ottobre 1993, n. 10131, in Riv.It. Dir. Lav., 1994, II, pag. 721, con nota di R. Del Punta; Cass., Sez. Un., 18 novembre 1988,n. 628, in Dir. Prat. Lav., 1988, pag. 2937; Cass., Sez. Un., 29 marzo 1980, n. 2072. Nella giu-risprudenza di merito v., di recente, Trib. Padova 31 ottobre 2005, n. 719, in Guida Lav.,2006, n. 11, pag. 45.

(12) Altra e diversa questione è quella che attiene la possibilità di intimare un licenzia-mento per giusta causa, non preclusa dallo stato di malattia del lavoratore, come ribadito daCass. 28 settembre 2002, n. 14074 (vedila in Riv. It. Dir. Lav., 2003, II, pag. 394, con nota diF. Santini, Licenziamento per giusta causa: immediatezza del recesso ed efficacia durante il perio-do di comporto): «La malattia del dipendente non preclude al datore di lavoro l’intimazione del li-cenziamento per giusta causa, non avendo ragione d’essere la conservazione del posto di fronte allariscontrata esistenza di una causa che non consente la prosecuzione, neppure temporanea, del rap-porto di lavoro» (nel caso di specie si trattava dell’ingiustificato abbandono del posto da par-te di un lavoratore marittimo). Analogamente v., tra molte, Cass. 6 agosto 2001, n. 10881, inNot. Giur. Lav., 2001, pag. 769; Cass. 20 ottobre 2000, n. 13903, in Orient. Giur. Lav., 2000, I,pag. 1060; Cass. 29 luglio 1998, n. 7467, in Riv. It. Dir. Lav., 1999, II, pag. 715, con nota di P.Scognamiglio; nella giurisprudenza di merito v. Trib. Torino 11 agosto 2000, in Giur. Piem,2000, pag. 505; Trib. Milano 14 marzo 1998, in Lav. Giur., 1998, pag. 877; Trib. Roma 22febbraio 1996, in Orient. Giur. Lav., 1996, pag. 941. In dottrina l’orientamento a sostegnodella validità e dell’immediata efficacia del recesso per giusta causa è assolutamente preva-lente; in questo senso v., per tutti, le argomentazioni di R. Del Punta, La sospensione, op. cit.,pag. 370, ed ivi ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali. Contra v. M. Persiani, Latutela dell’interesse del lavoratore alla conservazione del posto, in G. Mazzoni e L. Riva Sanse-

verino (diretto da), Nuovo trattato di diritto del lavoro, II, Padova, 1971, pag. 641, secondo ilquale, salvo il caso in cui la legge disponga diversamente, « non c’è ragione per ritenere che

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dalle parti, o, in via equitativa, dal giudice e, al tempo stesso, «nel conside-rare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso, nel senso del-la non necessità della prova del giustificato motivo o della sopravvenuta impos-sibilità della prestazione lavorativa » (13). La malattia del lavoratore e la sua(eventuale) inidoneità fisica sopravvenuta hanno dunque natura e disci-plina giuridica diversa; come ribadito anche da Cass. 24 gennaio 2005, n.1373: «la prima ha carattere temporaneo, implica la totale impossibilità dellaprestazione e determina, ai sensi dell’art. 2110 c.c., la legittimità del licenzia-mento quando ha causato l’astensione dal lavoro per un tempo superiore al pe-riodo di comporto; la seconda ha carattere permanente o, quanto meno, durataindeterminata o indeterminabile, non implica necessariamente l’impossibilitàtotale della prestazione e consente la risoluzione del contratto ai sensi degli artt.1256 e 1463 c.c., eventualmente previo accertamento di essa con la procedurastabilita dall’art. 5 della l. 20 maggio 1970, n. 300 (procedura peraltro nonnecessaria, ben potendo l’inidoneità fisica posta a base del licenziamento risul-tare, oltre che dall’obiettiva frequenza delle assenze per malattia, anche dalladocumentazione prodotta dal lavoratore), indipendentemente dal superamentodel periodo di comporto » (14) (15).

A fronte dell’ulteriore consolidamento di detta opzione interpretativa,del tutto minoritario risulta attualmente il filone che – invece – richiede

ROBERTA NUNIN 959

l’interesse del lavoratore alla complessa tutela, prevista per alcuni casi di impossibilità dellasua prestazione, venga subordinata all’interesse del datore di lavoro ad estinguere il rap-porto per giusta causa ».

(13) Cass., Sez. Lav., 24 giugno 2005, n. 13624. Secondo Cass., Sez. Lav., n. 15352 del2001 perché il licenziamento sia legittimo è sufficiente che il periodo di comporto sia statosuperato anche di un solo giorno.

(14) Cass., Sez. Lav., 24 gennaio 2005, n. 1373, cit.(15) In tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta si ricorda come, con

l’intervento delle Sezioni Unite, la Cassazione abbia cercato di fissare un punto di equilibriotra gli interessi datoriali e quelli dei lavoratori, riconoscendo la possibilità di escludere il li-cenziamento per giustificato motivo oggettivo del lavoratore divenuto fisicamente inidoneoladdove sia eseguibile dal soggetto un’altra attività – riconducibile alle mansioni assegnate,a quelle equivalenti o anche a mansioni inferiori – utilizzabile all’interno dell’impresa, sen-za che peraltro venga alterato l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’im-prenditore: v. Cass., Sez. Un., 7 agosto 1998, n. 7755, in Riv. It. Dir. Lav., 1999, II, pag. 170,con nota di G. Pera. Sul datore di lavoro viene dunque a gravare, ai fini di sottrarsi all’ob-bligo del repêchage, l’onere di provare l’impossibilità di una diversa collocazione del lavora-tore, mentre su quest’ultimo grava un onere simmetrico, quello di precisare in quale posto« scoperto » possa realizzarsi un’utilizzabilità alternativa della propria prestazione (v. sulpunto da ultimo, Cass., Sez. Lav., 18 marzo 2005, n. 5920), non potendo in nessun caso il la-voratore pretendere la creazione di una mansione ad hoc, non contemplata dall’assetto or-ganizzativo dell’impresa: sul punto v. di recente anche Cass. 7 marzo 2005, n. 4827, in Gui-da Lav., 2005, 24, pag. 43, che afferma l’impossibilità di richiedere lo scorporo dall’insiemedelle mansioni di quella divenuta incompatibile con lo stato di salute.

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al datore di lavoro di dimostrare comunque la sussistenza di un giustifi-cato motivo oggettivo per poter legittimamente licenziare il lavoratore16:posizione, quest’ultima, che risulta tuttavia poco convincente, laddovesembra trascurare che l’art. 2110 Cod. Civ. è « anche una norma sul reces-so » (17) e che di conseguenza – come è stato sottolineato in modo condi-visibile in dottrina – appare poco sensato chiedere, a comporto superato,« una seconda e ripetitiva valutazione degli interessi, oltre a quella avve-nuta allorché si è fissato il comporto », dal momento che, a questo punto,è difficilmente contestabile che il licenziamento sia « sostanzialmente giu-stificato per l’ordinamento » (18) (19).

A mitigare (in modo quantomeno parziale) gli esiti del contrasto in-terpretativo sopra segnalato intervengono comunque i rilievi di chi sotto-linea come l’asserito carattere di specialità del recesso per superamentodel comporto non risulti poi in fondo molto marcato, trattandosi sostan-zialmente di un licenziamento « del quale il motivo, unico (interesse or-ganizzativo del datore di lavoro a recedere dopo un certo periodo), pro-prio perché normalmente presente in tali casi, è qui presunto ex lege» (20);o, per dirla con le parole di un altro autore, « la legge ha presupposto l’o-biettiva giustificatezza del licenziamento in questione, identificandola nelmero decorso del tempo nel perdurare della condizione di impossibilitàdella prestazione » (21).

960 PARTE SECONDA . GIURISPRUDENZA - RASSEGNA

(16) In questo senso v. Pret. Milano 20 febbraio 1982, in Orient. Giur. Lav., 1982, pag.462; Pret. Milano 16 ottobre 1979, in Foro It., 1980, I, col. 731. Una parte della dottrina, sot-to questo profilo, ha ritenuto possa essere costituzionalmente censurabile l’art. 2110 Cod.Civ., alla luce del privilegio riservato al lavoratore malato rispetto al non ammalato, non tro-vando applicazione per il primo la disciplina del licenziamento per giustificato motivo og-gettivo: v. G. Pera, Malattia e licenziamento, in Riv. It. Dir. Lav., 1999, I, pag. 153 e segg., apag. 155. Critica la disparità di trattamento dell’infermità permanente e di quella tempora-nea anche P. Ichino (Sulla nozione di giustificato motivo oggettivo, op. cit., pag. 486), sottoli-neando come la prima sia « evento più grave e socialmente pericoloso » della seconda, oltreche « da questa difficilmente distinguibile ».

(17) Così R. Del Punta, La sospensione, op. cit., pag. 378.(18) Così R. Del Punta, op. ult. cit., pag. 379. Contra, a sostegno dell’onere per il datore

di dimostrare un giustificato motivo obiettivo, v. A. Pandolfo, La malattia, op. cit., pag. 293;M. Napoli, La stabilità reale del rapporto di lavoro, Milano, 1980, pag. 383.

(19) E che si tratti di un regime (speciale) legittimo anche sotto il profilo costituziona-le è stato riconosciuto dalla Suprema Corte, che ha avuto modo di sottolineare come in es-so vengano contemperati in modo equilibrato gli interessi confliggenti del datore (alla pro-duttività) e del lavoratore (a recuperare la salute senza perdere il posto di lavoro): v. sulpunto Cass., Sez. Lav., 27 giugno 1996, n. 5927.

(20) Così T. Renzi, Le ipotesi tradizionali, op. cit., pag. 1189.(21) Così R. Del Punta, La sospensione, op. cit., pag. 380, il quale sottolinea anche come

la configurazione in termini di autonoma ipotesi di giustificazione del recesso renda incon-gruo il richiamo – in relazione alle clausole dei contratti collettivi che consentono il licen-

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3. – La disciplina speciale di cui all’art. 2110 Cod. Civ. resta in ognicaso integrabile da parte della disciplina generale in relazione agli aspet-ti non regolati specificamente: in particolare, la forma del recesso e la co-municazione dei motivi.

Sotto detto profilo si segnala da ultimo la sentenza 3 agosto 2004, n.14873 (22), con la quale la Suprema Corte ha riaffermato il proprio orien-tamento in tema di oneri formali posti a carico del datore che receda exart. 2110, secondo comma, Cod. Civ., ponendosi peraltro nel solco dell’in-dirizzo già consolidato da alcune note pronunce della seconda metà de-gli anni Novanta (23).

In particolare, con la sentenza n. 716 del 1997 la Cassazione avevaavuto già modo di rimarcare la soggezione alle regole generali in tema dilicenziamenti di tutti gli aspetti non specificamente disciplinati dalla normaspeciale di cui all’art. 2110 Cod. Civ.: «Con riferimento al licenziamento chetrovi giustificazione nelle assenze per malattia del lavoratore, la disciplinaspeciale posta dall’art. 2110 Cod. Civ. trova applicazione in luogo di quella suilicenziamenti individuali dettata dalla l. n. 604/1966 limitatamente allamateria comune ad entrambe, e cioè alla normativa di natura sostanzialeattinente alle ragioni e ai motivi del licenziamento, mentre anche allicenziamento per superamento del periodo di comporto si applicano le regoledettate dall’art. 2, l. n. 604/1966 (modificato dall’art. 2, l. n. 108/1990) sullaforma dell’atto e la comunicazione dei motivi, poiché nessuna norma speciale è al

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ziamento post-comporto – della figura della clausola risolutiva espressa, « istituto che vivenella diversa dimensione dell’inadempimento contrattuale ( . . . ), laddove quelle previsionitrovano una sufficiente legittimazione nel semplice disposto della legge, che si limitano a ri-prendere senza particolari apporti innovativi » (op. ult. cit., pag. 381).

(22) Vedila in Riv. It. Dir. Lav., 2005, II, pag. 399, con nota di F. Stolfa, Licenziamentoper superamento del periodo di comporto e regole formali di cui alla l. n. 604/1966: il cerchio sichiude.

(23) V. Cass., Sez. Lav., 24 gennaio 1997, n. 716, in Riv. It. Dir. Lav., 1998, II, pag. 129,con nota di L. Marra, Sulla necessità di motivazione del licenziamento per superamento del pe-riodo di comporto per malattia dopo la legge 11 maggio 1980 n. 108; in Mass. Giur. Lav., 1997,pag. 257, con nota di C.M. Cammalleri, Forma e motivazione del licenziamento per superamen-to del periodo di comporto. Sulla stessa linea si pone anche Cass., Sez. Lav., 13 dicembre 1999,n. 13992, in Riv. It. Dir. Lav., 2000, II, pag. 688, con nota di M. Cattani, Sulla distribuzionedell’onere probatorio nel licenziamento per superamento del periodo di comporto; Cass. 20 dicem-bre 2002, n. 18199, in Mass. Giur. Lav., 2003, pag. 174; in Arch. Civ., 2003, pag. 1092. Per unasintetica analisi della giurisprudenza anteriore al 1997 v. ancora L. Marra, Sulla necessità,op. cit. Deve ricordarsi come già prima della sentenza del 1997 diverse pronunce avevanoposto a carico del datore di lavoro alcuni oneri formali (in tema, ad esempio, di necessità dimotivazione): tuttavia questi venivano fatti derivare non dall’applicazione della l. 604, madallo stesso art. 2110 Cod. Civ. o dai principi generali in materia di atti giuridici: v. sul pun-to F. Stolfa, Licenziamento per superamento del periodo di comporto, op. cit., pag. 401; in giuri-sprudenza Cass. 13 agosto 1996, n. 7525, in Lav. Giur., 1997, pag. 163.

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riguardo dettata dall’art. 2110 Cod. Civ. » (24). Di conseguenza, qualora l’attodi recesso non precisi le assenze in relazione alle quali sia ritenutosuperato il periodo di conservazione del posto il lavoratore ha la facoltà dichiedere al datore di specificare tale aspetto fattuale, per poter opporre ipropri specifici rilievi (25).

Rispetto a tale precedente giurisprudenza, la sentenza n. 14873 del2004 apporta alcune ulteriori specificazioni.

Infatti, da un lato si precisa che la motivazione del recesso deve con-sentire al lavoratore di conoscere – per potersi quest’ultimo compiuta-mente difendere – quale sia «il periodo preso in considerazione ai fini del su-peramento del numero massimo di giorni di assenza consentiti e quali ( . . . ) leassenze individuate dall’azienda come addebitabili ai fini del comporto »; dun-que, un’indicazione analitica, data per data, tale da permettere al lavorato-re di valutare tutti gli elementi di fatto posti a fondamento del recesso (26).Dall’altro lato, la pronuncia citata ribadisce che le informazioni di cui so-pra devono essere fornite al lavoratore per consentirgli di esercitare undiritto di difesa «che non si risolve nella sola difesa giudiziaria ma anche neldiritto di impugnare consapevolmente il licenziamento nei termini previsti dal-la legge, e nel valutare la convenienza o meno di intraprendere un’azione giu-

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(24) Cass., Sez. Lav., 24 gennaio 1997, n. 716, cit. Anche la dottrina è orientata a favoredell’estensione al licenziamento ex art. 2110 Cod. Civ. delle regole formali di cui alla legge n.604 del 1966: in argomento v. R. Del Punta, La sospensione, op. cit., pag. 382; T. Renzi, Leipotesi tradizionali, op. cit., pag. 1190; M. Tatarelli, La malattia, op. cit., pag. 170; P. Ichino,

Il contratto di lavoro, op. cit., pag. 83.(25) Peraltro già Cass., Sez. Lav., 2 dicembre 1988, n. 6546, in Mass. Giur. Lav., 1989,

pag. 64, aveva a tale proposito precisato: «il datore di lavoro che, recedendo dal rapporto a nor-ma dell’art. 2110 Cod. Civ., si limiti a far cenno, nella lettera di licenziamento, a numerose, irrego-lari e discontinue assenze del lavoratore eccedenti il periodo di comporto contrattualmente previsto,non adempie l’obbligo di specificazione dei motivi, dei quali pertanto il lavoratore può chiedere lacomunicazione ai sensi dell’art. 2, l. 15 luglio 1966, n. 604, con l’ulteriore conseguenza che delle as-senze non contestate nella lettera di licenziamento, né specificate in risposta alla lettera predetta,non può tenersi conto ai fini della verifica del superamento o meno del numero massimo di giorni diassenza consentiti, operando il principio dell’immutabilità della contestazione anche in tema di li-cenziamento per superamento del periodo di comporto».

(26) Sottolineano come questo aspetto sia trascurato dalla pronuncia della SupremaCorte del 1997 L. Marra, Sulla necessità di motivazione, op. cit., e F. Stolfa, Licenziamentoper superamento del periodo di comporto, op. cit.; più attenta a questo profilo è stata la giuri-sprudenza di merito: v. Pret. Milano 3 settembre 1998, in Lav. Giur., 1999, pag. 276 e inRiv. Crit. Dir. Lav., 1999, pag. 211, che ha avuto modo di precisare che, in caso di supera-mento del periodo di comporto, «ove il lavoratore richieda la specificazione dei motivi del li-cenziamento, il datore di lavoro è tenuto, ai sensi dell’art. 2, comma 2, l. n. 604/1966, a comuni-care al lavoratore medesimo i precisi giorni di calendario ritenuti rilevanti e integranti il com-porto», sussistendo in caso contrario una violazione dell’art. 2 l. 604 del 1966 con conse-guente inefficacia del recesso.

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diziaria » (27); quindi è necessario che al lavoratore queste indicazioni, pre-cise e puntuali nei contenuti, siano fornite preventivamente, non essendosufficiente una loro successiva comunicazione nel corso del giudizio.

Sulla base di questo orientamento della giurisprudenza di legittimità,che appare oramai sufficientemente consolidato, non sembrano poter resi-duare soverchi dubbi quanto all’estensione al licenziamento per supera-mento del comporto anche del requisito della forma scritta ex art. 2 leggen. 604 del 1966 (28); e ciò, alla luce della considerazione che, se risulta deltutto congruo assoggettare il licenziamento per inadempimento del lavo-ratore a precise garanzie di carattere formale, sarebbe del tutto ingiustifi-cato sottrarre a tali garanzie formali la posizione di un lavoratore che ap-pare non solo del tutto incolpevole, ma che versa anche – a causa del pro-prio stato di salute – in una condizione di peculiare debolezza (29). Natu-ralmente, e proprio in base ai principi generali, non si ritiene che l’indi-cazione analitica delle assenze considerate debba essere effettuata giànella lettera di recesso, potendo detta precisazione essere fatta dal datorein sede di richiesta da parte del lavoratore dei motivi; laddove peraltroquest’ultima richiesta non venga avanzata dal lavoratore, il datore benpotrà fornire tutte le precisazioni necessarie fino al momento della costi-tuzione in giudizio (30) (31).

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(27) Cass., Sez. Lav., 3 agosto 2004, n. 14873, cit.(28) In questo senso in dottrina, da ultimo, v. F. Stolfa, Licenziamento per superamento

del periodo di comporto, op. cit., pag. 401. Contra v. in passato Cass. 19 ottobre 1982, n. 5445,secondo cui non trattandosi di un licenziamento stricto sensu non dovevano ritenersi rile-vanti le questioni relative all’intempestività dell’impugnazione del recesso sollevate in rela-zione al disposto dell’art. 6, primo e terzo comma, legge n. 604 del 1966.

(29) Nello stesso senso di recente v. F. Stolfa, Licenziamento per superamento del periododi comporto, op. cit., pag. 402, il quale osserva anche come le stesse ben note oscillazioni giu-risprudenziali in ordine ai criteri di determinazione del comporto potrebbero non consen-tire al lavoratore di individuare con certezza le giornate prese in considerazione dal datore,se non in presenza di una precisa elencazione da parte di quest’ultimo.

(30) Analogamente sul punto v. F. Stolfa, Licenziamento per superamento del periodo dicomporto, op. cit., pag. 403. Laddove invece già la lettera di licenziamento contenga la de-terminazione analitica dei giorni di assenza considerati, non è concesso al datore – per ilprincipio di immutabilità della motivazione – aggiungere giornate ulteriori a quelle consi-derate: sul punto v. Cass. 13 febbraio 1987, n. 1597; Cass. 19 luglio 1985, n. 4268.

(31) Con riguardo ai profili di carattere processuale, si segnala Cass. 13 settembre 1997,n. 9121, la quale ha precisato che «in caso di impugnativa del licenziamento per supero del pe-riodo di comporto, il datore di lavoro non deve necessariamente provare i giorni di assenza per ma-lattia mediante la produzione dei relativi certificati medici, trovando invece applicazione il princi-pio secondo cui è devoluta al giudice di merito la scelta tra le risultanze istruttorie di quelle ritenuteidonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, nonché la valutazione delle prove ed il con-trollo della loro attendibilità e concludenza». In senso conforme, v. Trib. Ravenna 9 ottobre2003, in Lav. Giur., 2004, pag. 372, con nota di D. Zavalloni.

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4. – In merito al contenuto della regola dell’immediatezza nel licenzia-mento per superamento del periodo di comporto, si segnala la recentepronunzia della Suprema Corte n. 253 del 2005, nella quale si è puntua-lizzato che rispetto a detta tipologia di recesso «non sussiste la eadem ra-tio che sostiene l’esigenza dell’immediatezza del recesso nel licenziamento disci-plinare, poiché in quest’ultima ipotesi è in gioco l’esigenza di assicurare all’in-colpato la pienezza del diritto di difesa, e quindi la prossimità della contestazio-ne ai fatti » (32).

Il tema della tempestività del licenziamento per superamento delcomporto o – meglio – della concreta misura dello spatium deliberandiche deve ritenersi concesso al datore per intimare il licenziamento, puressendo nel frattempo il dipendente ritornato al lavoro, è stato più volteaffrontato dalla giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità, conesiti peraltro alquanto diversi (33) e tali da suscitare la precisa sensazione– ad un attento esame – di muoversi « nella congerie delle valutazioni ca-so per caso » (34).

Se infatti – secondo l’indirizzo che appare oggi assolutamente preva-lente in giurisprudenza – una regola (se non di immediatezza, quanto-meno) di tempestività dell’intimazione è stata costruita e progressiva-mente consolidata sulla base dei principi generali di correttezza e buonafede, dovendosi consentire al datore i tempi tecnici indispensabili peruna valutazione ponderata, a meno che non possa configurarsi in concre-to una rinuncia implicita al recesso (a causa dei tempi eccessivamente di-latati o per altri elementi) (35), deve però segnalarsi la contemporaneapresenza anche di un indirizzo minoritario per il quale si sostiene che l’ir-

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(32) Cass., Sez. Lav., 7 gennaio 2005, n. 253, cit.(33) In dottrina v., per un sintetico quadro riassuntivo, T. Renzi, La sospensione, op. cit.,

pag. 1190; M.L. Vallauri, Sub art. 2110 c.c., in M. Grandi e G. Pera (a cura di), Commenta-rio breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2005 (IIIa ed.), pag. 501. La casistica quanto alla misu-ra dello spatium deliberandi è molto variegata: ad esempio, sono stati ritenuti non tempestiviprovvedimenti di recesso intimati a tre (Cass., Sez. Lav., 12 gennaio 1991, n. 267) o quattromesi dal superamento del comporto (Cass., Sez. Lav., 1 agosto 1984, n. 4572, in Giust. Civ.,1985, I, pag. 817, con osservazioni critiche di G. Pera); sempre intempestivo è stato giudica-to il recesso a seguito di una nuova assenza di pochi giorni quando, dopo la scadenza delcomporto per sommatoria, il lavoratore era stato comunque mantenuto in servizio per quat-tro (Cass. 19 aprile 1985, n. 2598, in Giust. Civ., 1985, I, pag. 2569) o due mesi (Cass., Sez.Lav., 13 gennaio 1989, n. 119, in Giust. Civ., 1989, I, pag. 861); diversamente, non è stato ri-tenuto intempestivo un licenziamento intimato dopo cinquanta giorni dalla cessazione del-la malattia (Cass., Sez. Lav., 4 dicembre 1986, n. 7200).

(34) Così R. Del Punta, La sospensione, op. cit., pag. 384.(35) V. tra le altre Cass., Sez. Lav., 7 dicembre 1998, n. 12376, in Riv. It. Dir. Lav., 1999,

II, pag. 595; Cass., Sez. Lav., 27 febbraio 1990, n. 1524, in Orient. Giur. Lav., 1990, pag. 164;Cass. 8 maggio 1985, n. 2868, in Foro It., 1985, I, col. 2618.

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rogabilità del licenziamento per superamento del comporto presupponela persistente assenza del lavoratore (36), secondo una linea di valorizzazio-ne della logica sostanziale di tale tipologia di recesso, che non realizzatanto un’ipotesi punitiva, quanto piuttosto una misura di protezione del-l’interesse aziendale pregiudicato dall’assenza del lavoratore (37).

La recente sentenza della Cassazione del 7 gennaio 2005, n. 253, so-pra richiamata, nel valutare il caso di un dipendente delle Poste licenzia-to per superamento del comporto dopo che questi aveva ripreso servizioda nove giorni ed erano decorsi oltre sei mesi dalla scadenza del terminedi conservazione del posto durante l’assenza per malattia, concorda conl’indirizzo giurisprudenziale prevalente, laddove afferma che l’esigenza ditempestività «deve essere contemperata con un ragionevole spatium delibe-randi che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa convenientemen-te valutare nel suo complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore( . . . ), ai fini di un giudizio di sostenibilità della pregressa malattia con unaprognosi di compatibilità della presenza in azienda del lavoratore in rapportoagli interessi aziendali». In quest’ottica – precisa ancora la Corte – «la no-zione di tempestività non può risolversi in un dato meramente cronologico, e pertale motivo non può essere prestabilito un criterio temporale predeterminato ingiorni, settimane o mesi, valido per tutti i casi, ma va delibato caso per caso dalgiudice di merito, con riferimento all’intero contesto delle circostanze significati-ve, le quali assumono quindi rilievo al fine del giudizio sull’assolvimento, daparte del giudice di merito, dell’obbligo di motivazione sul punto della tempesti-vità del recesso » (38).

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(36) V. Pret. Torino 14 marzo 1981, in Not. Giur. Lav., 1981, pag. 707; in dottrina v. A.Pandolfo, La malattia, op. cit., pag. 304; G. Pera, in Eccessiva morbilità e accertamenti sanita-ri, Atti del Convegno di Viareggio (4-5 dicembre 1982), Milano, 1983, pag. 320; R. Del

Punta, La sospensione, op. cit., pag. 385 [quest’ultimo A. prospetta peraltro anche l’ipotesidel lavoratore che rientri al lavoro nei giorni immediatamente successivi alla maturazionedel periodo, evidenziando come in questo caso occorra « un minimo di elasticità, per cui ba-sterà che il recesso sia intimato rispettando il principio della massima immediatezza ( . . . ), enon quello più generico della tempestività, che potrebbe consentire tempi assai più lunghisenza alcuna valida ragione (tale non è la necessità di calcoli temporali assai semplici, e chepotevano ben essere fatti anche durante l’assenza) »: op. ult. cit., pag. 386]. Per un caso re-cente in cui si è ritenuto di ravvisare una rinuncia al recesso, v. Trib. Milano 23 aprile 2003,in Lav. Giur., 2003, pag. 1172; più risalente è Pret. Milano 25 ottobre 1995, in Riv. Crit. Dir.Lav., 1996, pag. 246, ove si riconosce una rinuncia al recesso per facta concludentia, a frontedi una ripresa del lavoro e del godimento delle ferie da parte del lavoratore.

(37) Così R. Del Punta, op. ult. cit., pag. 385: in questo senso – sottolinea questo A. – « ilprovvedimento si giustifica, su quel piano, solo sinché dura l’assenza ( . . . ); dopo è logico cheriprenda vigore la normativa comune ». Che il licenziamento per superamento del comportonon configuri una mancanza – non potendosi l’assenza del lavoratore per malattia considerar-si tale – è stato di recente ribadito anche da Cass., Sez. Lav., 26 maggio 2005, n. 11092.

(38) Cass., Sez. Lav., 7 gennaio 2005, n. 253, in Riv. It. Dir. Lav., cit., pagg. 92-93.

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Alla luce di tali considerazioni – e della nozione, dunque, di una« tempestività » del recesso disegnata come notevolmente duttile ed ela-stica – la Suprema Corte ritiene non censurabili le valutazioni della Cor-te d’appello che, riformando la sentenza di primo grado, aveva ritenutolegittimo il licenziamento intimato al lavoratore, motivando la decorrenzadello spatium deliberandi dal momento del rientro in servizio al terminedella malattia anziché dal momento del superamento del comporto. Que-sta soluzione è prospettata in considerazione delle valutazioni operatedal giudice di merito quanto alle dimensioni dell’impresa datrice di lavo-ro (39), alla circostanza che nel lasso di tempo successivo al superamentodel comporto non si fosse verificato alcun evento tale da far ritenere in-tervenuta una rinuncia datoriale all’esercizio del potere di recesso e algiudizio che il lasso di tempo intercorso non dovesse ritenersi «di così ta-le ampiezza da sconfinare nell’arbitrarietà»: tutti profili che, al giudice di le-gittimità, sembrano correttamente e congruamente presi in considerazio-ne nella sentenza impugnata.

In sostanza, in questa lettura data dalla Suprema Corte – che ripren-de e ribadisce un’opzione interpretativa ormai alquanto consolidata, an-che se non mancano come si è detto alcune voci discordi (40) – il conte-nuto del principio di immediatezza finisce per assumere una connotazio-ne di notevole relatività, alla luce del dichiarato ridimensionamento deldato cronologico a fronte delle ulteriori e diverse circostanze, di cui si èor ora detto, che vanno ponderate in sede di valutazione concreta della« bontà » del recesso. Permane dunque la sensazione, di cui si è già dettoall’inizio, che sia difficile sfuggire in materia ad una logica del « caso percaso », su cui appare impresa alquanto ardua innestare ricostruzioni di ta-glio maggiormente sistematico.

5. – In relazione al profilo del calcolo del termine di comporto, si se-gnala una recente pronunzia della Cassazione, intervenuta sul nodo del-l’individuazione del criterio di computo in caso di una determinazione inmesi dello stesso: il problema, come è noto, riguarda la necessità di sta-bilire se il mese debba essere calcolato in base ad una durata convenzio-nale di trenta giorni, oppure secondo l’effettiva consistenza in base al ca-lendario comune.

La questione del calcolo del comporto è stata oggetto nel tempo di

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(39) Con riguardo al rilievo delle dimensioni aziendali in sede di valutazione dell’ampiez-za dello spatium deliberandi v. anche Cass. 29 luglio 1999, n. 8235, in Riv. It. Dir. Lav., 2000, II,pag. 62, con nota di F. Bano, Lo spatium deliberandi nel recesso per superamento del comporto.

(40) V. supra, nota n. 36.

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numerosi interventi giurisprudenziali, in relazione a molteplici aspetti (41);trattasi, d’altra parte, di un tema che si intreccia tanto con l’ipotesi di ma-lattia continuativa, quanto con quella concernente più periodi di malattiafrazionati, in relazione ai quali i problemi di calcolo diventano ancora piùcomplessi: è circostanza nota, infatti, che nei contratti collettivi la disci-plina del comporto c.d. « secco » (riferito cioè ad un unico evento mor-boso) è oggi spesso affiancata da quella del comporto c.d. « a sommato-ria » (relativo ad assenze reiterate, per la stessa malattia o per malattie di-verse, intervallate da una ripresa del lavoro) proprio per risolvere uno deiprofili che aveva fatto emergere maggiori criticità in passato (42). In as-senza di una determinazione negoziale del termine di comporto per som-matoria, la giurisprudenza è orientata nel senso di valorizzare un doppiotermine di riferimento: un termine « interno », pari alla durata contrat-tualmente prevista per il comporto « secco », ed un termine « esterno »,costituito dalla durata del contratto collettivo; quest’ultimo viene ad indi-viduare il periodo di riferimento generale entro il quale più episodi dimalattia possono essere considerati unitariamente nel limite massimo delcomporto « secco » contrattualmente previsto (43).

Con la recente sentenza 2 aprile 2004, n. 6554 (44), la Cassazione –dopo aver riaffermato l’ossequio alla regola del doppio termine di riferi-mento, peraltro sottolineandone il carattere di principio generale «ma noncon carattere inderogabile» – ha ritenuto di aderire all’orientamento giuri-sprudenziale più recente sulla base del quale l’applicazione di un criteriodi computo secondo il calendario comune – principio più volte affermato

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(41) Per un sintetico riepilogo delle diverse questioni affrontate dalla giurisprudenza v.M.L. Vallauri, Sub art. 2110 c.c., op. cit., pag. 499.

(42) Come è noto, sul problema dell’eccessiva morbilità la svolta giurisprudenziale èstata segnata dalle famose pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione n. 2072, 2073 e2074 del 29 marzo 1980, con cui si è affermata l’applicazione delle regole di cui all’art. 2110Cod. Civ. anche nell’ipotesi del succedersi di più malattie discontinue; da ciò si è fatta di-scendere la regola per cui, in difetto di specifica previsione contrattuale, il « vuoto » di di-sciplina relativo alla situazione che veda una pluralità di malattie deve essere colmato dalgiudice facendo ricorso alle fonti suppletive individuate dallo stesso art. 2110 Cod. Civ. ecioè – in assenza di usi – con una determinazione da parte dello stesso del comporto persommatoria facendo ricorso al giudizio di equità. Sull’indirizzo giurisprudenziale inaugura-to dalle sentenze delle Sezioni Unite del 1980 e le sue ricadute v. per tutti R. Del Punta, Lasospensione, op. cit., pag. 344.

(43) V. già Cass., Sez. Un., 29 marzo 1980, n. 2072, cit., in Foro It., 1980, I, col. 936; Cass.,Sez. Lav., 19 aprile 1985, n. 2599; e più di recente, tra molte, Cass., Sez. Lav., 18 dicembre1998, n. 12716, in Mass. Giur. It., 1998; Cass., Sez. Lav., 2 maggio 2000, n. 5485, in Riv. Giur.Lav., 2001, II, pag. 595, con nota di C. Bacchi Pisello; nella giurisprudenza di merito v. direcente App. Milano 22 dicembre 2004, in Lav. Giur., 2005, pag. 592.

(44) Vedila in Riv. It. Dir. Lav., 2004, II, pag. 821, con nota di L. Ferluga, Sul criterio dicalcolo del termine di comporto determinato in mesi.

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dalla giurisprudenza di legittimità (45) – deve ritenersi applicabile sololaddove le parti non abbiano manifestato la volontà di disporre diversa-mente (46): dunque il rinvio al calendario comune vale in tanto in quanto«non sussistano clausole contrattuali di diverso contenuto che assumano una dura-ta convenzionale fissa costituita da un predeterminato numero di giorni (nellaspecie trenta) basato sulla durata media del mese » (47). Peraltro – continua laCorte – l’assenza di un’espressa pattuizione disciplinante la materia in que-stione «non comporta l’automatica utilizzazione del criterio ordinario ( . . . ), inquanto tale carenza non esclude la possibilità di procedere alla ricostruzione dellacomune intenzione delle parti – eventualmente da integrare con l’equità espressadal giudice – attraverso l’interpretazione di clausole in qualche modo – anche cioèindirettamente – riconducibili alla detta materia » (48).

Precisazione, quest’ultima, che desta tuttavia qualche perplessità, laddovesi pensi all’ipotesi in cui le parti contrattuali individuino il criterio di calcolodel mese con riferimento ad istituti di natura strettamente economica (sipensi, ad esempio, alla mancata fruizione di permessi, come avvenuto nel ca-so di specie sottoposto al vaglio della Corte), nulla disponendo in tema dicomporto. Deve in questi casi ritenersi applicabile anche alla seconda ipotesiil criterio convenzionale pattuito (sia pure per altro e diverso istituto)? Opiuttosto tale « silenzio » delle parti deve essere valorizzato ritenendo chenon si sia voluto derogare al criterio ordinario (calcolo in base al calendariocomune)? Non nascondiamo che questa seconda opzione ci sembra mag-giormente condivisibile (49), sembrando una sostanziale forzatura una rico-struzione della volontà delle parti basata su clausole contrattuali di settore re-lative esclusivamente a profili economici, laddove un parallelo silenzio con ri-guardo all’istituto del comporto – proprio per l’innegabile rilievo che esso hain relazione ad un profilo cruciale quale è per il lavoratore il diritto alla con-servazione del posto – non può non caricarsi di un significato assordante.

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(45) V., tra molte, Cass., Sez. Lav., 22 novembre 1995, n. 12057; Cass., Sez. Lav., 30 mag-gio 1986, n. 3657; Cass., Sez. Lav., 23 gennaio 1984, n. 569, in Giust. Civ., 1984, I, pag. 1494;Cass. 18 novembre 1982, n. 6224; Pret. Firenze 24 novembre 1995, in Toscana Lav. Giur.,1996, pag. 112; Pret. Novara 14 novembre 1989, in Giust. Civ., 1990, I, pag. 3018.

(46) V. Cass. 2 agosto 1999, n. 8358; Cass. 22 luglio 1999, n. 7925.(47) Cass., Sez. Lav., 2 aprile 2004, n. 6554, cit.(48) Cass., Sez. Lav., 2 aprile 2004, n. 6554, cit. In applicazione di detto principio la Su-

prema Corte ha cassato la sentenza che aveva computato il periodo di comporto sulla basedel criterio ordinario del calendario comune, in presenza di un contratto collettivo che –pur non determinando il numero dei giorni da considerarsi per integrare il mese di assenza– prevedeva che la retribuzione giornaliera dovesse calcolarsi sulla base del rapporto 1/360.

(49) Nello stesso senso v. le condivisibili osservazioni di L. Ferluga, Sul criterio di cal-colo, op. cit., pag. 825; cfr. anche M. Tatarelli, nota a Trib. Roma 17 novembre 2000, in Nuo-vo Dir., 2001, 1, II, pag. 32.