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ISRAELE – La Knesset approva un nuovo emendamento alla Prevention of Infiltration Law
di Gianmaria Milani
Il 2014 si è chiuso, in Israele, con l’approvazione di un nuovo emendamento
alla Prevention of Infiltration Law. In una delle ultime sedute della Knesset prima del suo
scioglimento per le elezioni che si sono tenute a marzo del 2015, il legislatore ha
infatti votato l’emendamento n. 5 alla legge che, negli ultimi anni, è stata oggetto di
altri due emendamenti e di altrettante dichiarazioni di incostituzionalità da parte
della Corte suprema per contrasto con la legge fondamentale sulla libertà e dignità
dell’uomo.
Approvata nel 1954, la Prevention of Infiltration Law si inseriva nel quadro della
disciplina israeliana in materia di immigrazione e cittadinanza. Essa cercava di dare
attuazione, insieme alla Nationality Law, alla Entry into Israel Law e alla Law of Return –
tutte approvate tra il 1950 e il 1952 – al disegno tratteggiato nel 1948 dalla
Dichiarazione di indipendenza che aveva posto le basi per la nascita di Israele come
Stato ebraico e democratico. Essa predisponeva, nel testo in vigore a partire dal
1954, una serie di pene molto severe (artt. 2-8), fino al carcere a vita, per coloro che
venivano considerati “infiltrati”. La stessa legge si occupava di definire questa
categoria (art. 1): erano “infiltrati” coloro che migravano in Israele consapevolmente
e illegalmente e che tra il 29 novembre 1947 e il loro ingresso erano cittadini di
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Libano, Egitto, Siria, Arabia Saudita, Giordania, Iraq o Yemen, ovvero residenti in
uno di questi Paesi o in una parte della regione palestinese non amministrata da
Israele, ovvero Palestinesi (cittadini o residenti) che avevano lasciato la loro
residenza abituale in Israele per uscire dallo Stato. Nonostante le pene molto severe,
la legge in vigore in quegli anni prevedeva anche una serie di garanzie giurisdizionali,
come il diritto di difesa e il doppio grado di giudizio (artt. 11-26).
L’emendamento n. 3, approvato il 10 gennaio 2012, segnava però un netto
cambio di impostazione della legge attraverso due importanti elementi di
discontinuità. Il primo era rappresentato dalla modifica della definizione stessa di
“infiltrato”, considerato come l’individuo residente in Israele e illegalmente
immigrato. Se, precedentemente, la posizione di tali individui veniva regolata dalla
Entry into Israel Law, che prevedeva la detenzione fino a un massimo di 60 giorni e
l’eventuale espulsione dal Paese per gli immigrati “irregolari”, in seguito a tale
emendamento la misura del carcere cautelare avrebbe potuto essere estesa per un
periodo potenzialmente illimitato. Il secondo elemento, strettamente legato al
primo, consisteva nel venir meno delle garanzie giurisdizionali prima previste dalla
legge: il procedimento di detenzione ed eventuale espulsione assumeva, in base a
questo emendamento, carattere amministrativo con garanzie senz’altro minori di
quelle che erano previste dalla normativa precedentemente vigente.
A seguito di numerosi ricorsi contro tale emendamento, la Corte suprema, il 16
settembre 2013, aveva dichiarato la normativa incostituzionale. In quella occasione
la Corte aveva giudicato la legge non proporzionale al fine perseguito, quello della
sicurezza dello Stato; la legge fondamentale sulla dignità e la libertà dell’uomo, che
garantisce la libertà personale di tutti gli individui (art. 5), stabilisce infatti che essa è
limitabile, al pari degli altri diritti ivi stabiliti, soltanto con una legge conforme ai
valori dello Stato di Israele che sia approvata per un fine appropriato e che preveda
mezzi proporzionati allo scopo perseguito (art. 8). La Corte aveva peraltro precisato
che la previsione di un periodo di detenzione limitato avrebbe potuto essere
considerato costituzionalmente legittimo.
Alla luce di questa decisione, il 10 dicembre 2013, la Knesset aveva approvato
l’emendamento n. 4 alla Prevention of Infiltration Law. La nuova modifica prevedeva
effettivamente una riduzione del periodo di detenzione, che veniva fissato nel
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massimo di un anno. Tuttavia, permanevano alcuni decisivi aspetti critici:
innanzitutto, era previsto che, al termine del periodo di detenzione, coloro che non
potevano essere rimpatriati fossero trattenuti, per un tempo indefinito, in una
struttura aperta gestita però dall’amministrazione carceraria (Holot Center); inoltre,
continuavano a mancare le garanzie giurisdizionali a tutela dell'immigrato
“irregolare” di fronte alle autorità israeliane; infine, era la stessa definizione di
“infiltrato”, immutata ai sensi del nuovo emendamento, che destava ancora
perplessità.
Ancora una volta, a seguito di numerosi ricorsi, la Corte era intervenuta per
dichiarare l’illegittimità dell’emendamento votato dalla Knesset. Con una decisione
presa a maggioranza il 22 settembre 2014, la Corte aveva imposto la chiusura della
struttura aperta entro 90 giorni e aveva dichiarato incostituzionale il periodo di
detenzione di un anno. Per quanto riguarda la prima misura adottata dalla Corte, i
giudici avevano considerato che la struttura, sebbene non fosse definita come
“detentiva”, lo era di fatto, sia per la sua posizione geografica (lontana dai centri
abitati, in una zona desertica) sia per la gestione della stessa (in particolare, per la
necessità che le persone trattenute firmassero il registro della presenza tre volte al
giorno). La seconda misura era stata motivata dai giudici, ancora una volta, in base al
criterio di proporzionalità: secondo la Corte infatti il periodo di detenzione di un
anno non era proporzionato allo scopo perseguito, quello della sicurezza dello Stato.
Con l’emendamento votato alla fine del 2014, proprio allo scadere dei 90 giorni
al termine dei quali l’Holot Center sarebbe stato chiuso, la Knesset cerca di intervenire
sugli aspetti oggetto di pronuncia da parte della Corte suprema, lasciando tuttavia
immutati alcuni elementi critici presenti nella legge. Con l’emendamento n. 5 viene
accorciato il periodo di detenzione in carcere, che diventa di tre mesi, e viene
definito il periodo di permanenza nella struttura aperta, che non può superare i venti
mesi. Tuttavia, rimane invariata la definizione – eccessivamente ampia – di
“infiltrato”, e resta praticamente impossibile lasciare il centro durante il giorno, a
causa, come detto, della posizione e della sua gestione.
Tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio del 2015 la Corte suprema ha
ricevuto nuovi ricorsi contro gli emendamenti approvati alla Prevention of Infiltration
Law: è dunque probabile che, nei prossimi mesi, i giudici israeliani torneranno a
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pronunciarsi – sarebbe la terza volta in tre anni – su questa legge che, come tutta la
disciplina in materia di immigrazione e cittadinanza, è sempre oggetto di acceso
dibattito in Israele.