irap e associazioni professionali
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1
L’AUTONOMA ORGANIZZAZIONE NELLE ASSOCIAZIONI
PROFESSIONALI AI FINI DELL’IRAP
Cass., sez. trib., ordinanza 29 ottobre 2010 n. 22212, Presidente: Merone - Relatore:
Greco
Irap - esercenti arti e professioni - attività in forma associata - imponibilità - rilevanza
ex lege - autonoma organizzazione - accertamento in concreto - irrilevanza
L’attività esercitata dalle associazioni senza personalità giuridica costituite dalle
persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni rileva ex lege ai
fini dell’applicabilità dell’IRAP in ragione del secondo periodo dell’art. 2 D.Lgs. n.
446/1997, prescindendosi quindi dalla sussistenza dello specifico requisito
dell’autonoma organizzazione.
La Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di assoggettabilità ad Irap
degli studi professionali associati, ma questa volta, allontanandosi dalla linea
interpretativa assunta negli ultimi tempi1, ha ritenuto che le associazioni professionali
sono sempre soggette ad Irap in quanto l’attività dalle stesse esercitate rileva ex lege ai
sensi del secondo periodo dell’art. 2 D. Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondato il ricorso di
uno studio legale associato avverso la sentenza che ne aveva rigettato l’appello,
negando il diritto al rimborso dell’Irap versata per gli anni 1998-2002. Sulla base di una
interpretazione letterale degli articoli 2 e 3 del d.lgs. 446/97, i giudici di legittimità
hanno affermato che alle associazioni professionali, identificate dall’art. 3 come soggetti
dotati di autonoma soggettività passiva, è da applicare il secondo periodo dell’art. 2
d.lgs. 446/97 secondo il quale “l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli
1 Sino ad ora la Cassazione si è espressa nel senso dell’assoggettamento ad IRAP delle associazioni
professionali, facendo, però, salva la possibilità per il contribuente di dimostrare l’assenza dell’autonoma
organizzazione, ossia che il reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati. In tal
senso, tra le altre, Cass., sez. trib., 11 giugno 2007 n. 13570; Cass., sez. trib., 5 febbraio 2008 n. 2715;
Cass., sez. trib. 10 luglio 2008 n. 19138; Cass., sez. trib., 25 maggio 2009 n. 12078; Cass., sez. trib., 28
ottobre 2009 n.. 22781; Cass., sez. trib., 13 novembre 2009 n. 24058; Cass., sez. trib., 7 giugno 2010 n.
13716, tutte in Banca dati Dejure.
2
organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di
imposta”; è la legge stessa a prevedere che le associazioni professionali sono sempre
assoggettabili ad Irap prescindendo dalla sussistenza dello specifico requisito
dell’autonoma organizzazione.
Le diverse posizioni assunte dalla Corte di Cassazione sulla assoggettabilità ad
IRAP degli studi professionali associati.
Il tema dell’assoggettabilità ad Irap delle associazioni professionali, pur essendo stato
oggetto in precedenza di numerose sentenze, solo di recente viene affrontato dai giudici
di legittimità secondo l’interpretazione accolta dall’ordinanza in esame2.
In precedenza, infatti, la Corte, pur ritenendo assoggettabile ad Irap gli studi associati,
non aveva mai fatto riferimento alla circostanza che, trattandosi di associazioni, il
presupposto impositivo era in re ipsa in forza del secondo periodo dell’art. 2 del d.lgs.
446/973. Al contrario, i giudici di legittimità avevano affermato che nello svolgimento
di un’attività professionale in forma associata l’esistenza dell’autonoma organizzazione
2 Oltre alla ordinanza che si annota, si esprimono in tal senso Cass., Sez. Trib., 22 ottobre 2010 n. 21669,
in Banca dati Dejure, nella quale i giudici affermano che l’attività esercitata dagli studi professionali
associati “strutturalmente «organizzati» per la forma nella quale l’attività stessa è svolta, costituisce (…)
ex lege presupposto di imposta («in ogni caso»), prescindendosi dal requisito dell’autonoma
organizzazione”; Cass., Sez. trib., 21 dicembre 2010 n. 25919 ibidem, secondo la quale “le associazioni
senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e
professioni sono equiparate alle società semplici, e che, per quanto riguarda l’IRAP, l’attività esercitata
dalle società (…) costituisce in ogni caso presupposto di imposta, e di questa sono soggetti passivi, fra
l’altro, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3 citato, esercenti arti e
professioni di cui all’art. 49, comma 1 del medesimo dpr (d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2 e art. 3, comma 1,
lett. c)”. 3 Dal canto suo, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 45 del 13 giugno 2008, in
www.agenziaentrate.it, pronunciandosi in merito all’assoggettabilità ad Irap degli studi associati, dopo
aver fatto riferimento alla tesi giurisprudenziale secondo la quale gli studi associati sono assoggettabili
all’imposta nel caso in cui l’esercizio in comune dell’attività professionale non deriva dal solo lavoro
professionale dei singoli associati, ha concluso affermando, in un inciso non seguito da alcun commento,
che “più in generale, si ricorda che, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, «l’attività esercitata dalle
società e dagli enti, inclusi gli organi e le amministrazioni dello stato, costituisce in ogni caso presupposto
dell’imposta»”. Inciso, questo, che porta a ritenere che l’Agenzia delle Entrate, nonostante la
giurisprudenza richiamata, propendesse, già nel 2008 per l’assoggettabilità ex lege ad IRAP degli studi
associati. Si sottolinea che l’Agenzia delle Entrate non si è più espressa in merito.
3
si presume, ma è fatta salva la possibilità per il contribuente di dimostrare l’inesistenza
della stessa4.
In una sentenza5 del 2008, la Cassazione aveva affermato che «l’esercizio in forma
associata di una professione liberale è circostanza di per sé idonea a far presumere
l’esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché non di
particolare onere economico, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca
collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune
incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente
della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne consegue che
legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato ad IRAP, a meno che
il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei
singoli associati». Questa posizione della Corte sembrerebbe essere collegata alla
negazione, in conformità ad un orientamento civilistico6, della qualifica di “ente” alle
4 Prevedendo la possibilità di prova contraria, la Corte di Cassazione implicitamente esclude
l’applicabilità del secondo periodo dell’art. 2 d.lgs. 446/97 il quale prevede che l’attività svolta dalle
società e dagli enti costituisce “in ogni caso” presupposto di imposta. 5 Cass., Sez. Trib., 24 giugno 2008, n. 17136, in Banca dati Big Unico on-line, Nello stesso senso è Cass.,
Sez. Trib., 8 giugno 2007 n. 13570, con nota di BRIGHENTI, IRAP e professionisti non organizzati:
nuove pronunce dalla Cassazione (studio associato e redditi di lavoro autonomo extra studio, in Boll.
Trib., 2007, 1075 ss.. secondo la quale quando l’attività professionale viene svolta in forma associata, è
«da presumere che l’associazione, atteso lo scopo della medesima, sia dotata di strutture e mezzi
(immobili, mobili, arredamenti, macchinari, servizi, collaboratori) ancorché non di particolare onere
economico (peraltro compatibile con le professioni intellettuali dato che possono anche costituire
«elemento di una attività organizzata in forma di impresa » ex art. 2238 c.c., e cioè essere inserite in una
struttura organizzativa frutto dell’impiego di capitale ed in cui all’attività personale del professionista si
affianca un’attività di tipo organizzativo consistente nell’approntamento e nella gestione dei mezzi per
l’esercizio di quella intellettuale)». Conformi, tra le altre, Cass., sez. trib. 10 luglio 2008 n. 19138; Cass.,
sez. trib., 25 maggio 2009 n. 12078; Cass., sez. trib., 28 ottobre 2009 n.. 22781; Cass., sez. trib., 13
novembre 2009 n. 24058; Cass., sez. trib., 7 giugno 2010 n. 13716, tutte in Banca dati Dejure. Sempre in
tal senso sono alcune pronunce successive a quella in commento: Cass., Sez. trib., 3 novembre 2010 n.
22386; Cass., sez. trib., 19 novembre 2010 n. 23546, ibidem. 6 In diritto civile è vivo il dibattito sulla natura giuridica dell’associazione professionale. Da una parte, la
giurisprudenza maggioritaria “ha negato che l’associazione tra professionisti sia configurabile come
centro di imputazione di interessi o ente collettivo, con autonomia strutturale e funzionale” (tra le altre
Cass. , sez. II, 10 luglio 2006, n. 15633, in Rass. Forense, 2006, 1734; Cass., sez. Lav., 21 novembre
1997, 10354, in Vita not., 1998, 1113), dall’altra parte si va affermando la tesi che equipara le
associazioni tra professionisti alle associazioni non riconosciute, riconoscendo, così, alle stesse natura di
ente collettivo e centro autonomo di imputazione di interessi (tra le altre Cass., sez. II, 16 novembre 2006
n. 24410 e Cass., sez. I, 28 luglio 2010 n. 17683, tutte in Banca dati Dejure). In particolare, con
riferimento a quest’ultima tesi, si ricorda la sentenza Corte di Cassazione, sez. I, 23 maggio 1997 n. 4628,
ibidem, la quale, in merito alla natura giuridica dello studio associato costituito in conformità alla
previsione dell’art. 1 della L. 23 novembre 1939 n. 1815, ha affermato che “vuoi che lo si qualifichi
come società semplice (omissis), vuoi che lo si configuri come un’associazione atipica o sui generis
(seguendo le indicazioni di Cass. n. 2555/87 e di Cass. n. 4032/91) o comunque come un contratto
4
associazioni professionali le quali, quindi, non sarebbero configurabili come “un centro
autonomo di interessi dotato di autonomia strutturale e funzionale stante il carattere
strettamente personale e fiduciario dell’esercizio delle professioni per il cui
espletamento è obbligatoria l’iscrizione all’albo”7.
Sembra, pertanto, che la diversa posizione assunta dai giudici di legittimità si fondi
esclusivamente sulla natura giuridica degli studi professionali associati, per cui risulta
necessario chiarire se le associazioni tra professionisti siano da annoverare tra le
“società ed enti” cui fa riferimento l’art. 2 d.lgs. 446/97.
Infatti, qualora si riconosca che l’associazione professionale rientri in tale nozione, la
lettera della norma sembrerebbe non ammettere alcuna attività interpretativa diversa da
quella espressa dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in esame, con la conseguenza
che gli studi associati dovrebbero essere assoggettati ad IRAP in ogni caso,
prescindendo dal requisito dell’autonoma organizzazione. Questa tesi potrebbe essere
sostenuta sotto due profili.
associativo con rilevanza esterna (come suggerito da Sez. Un. n. 10942/93), resta il fatto che esso si
presenta come un centro di imputazione di rapporti giuridici distinto dai suoi componenti ed, appunto
perciò, dotato di rilevanza esterna. Quantunque privo di autonoma personalità giuridica, lo studio
associato rientra dunque, a pieno titolo, nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali
sono, ad esempio, le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con
attività esterna, ed ora altresì i gruppi europei di interesse economico di cui anche i liberi professionisti
possono essere membri) cui la legge attribuisce la capacità di stare in giudizio come tali, in persona dei
loro componenti o di chi, comunque, ne abbia la legale rappresentanza, secondo il paradigma indicato dal
capoverso dell’art. 36 c.c.”. In dottrina ritiene che l’associazione tra professionisti sia un contratto
associativo atipico non dotato di rilevanza meta individuale MONTALENTI, Gli studi professionali
associati: problemi di qualificazione e di disciplina applicabile, in Giur. it., 1989, 59 ss. Sostengono,
invece, la tesi secondo la quale le associazioni tra professionisti hanno natura di enti collettivi B.
CARBONI, Status e soggettività giuridica, Milano, 1998, 10 ss.; G. MARINO, Riflessioni in tema di
associazioni non riconosciute e figure affini, in Riv. Not., 1986, 696.; P. BIANCO, Gli studi professionali
e la responsabilità per errore o omissione di progettazione, in Nuova Rassegna, 2005, 1438 ss.;
RUOTOLO, Associazione fra professionisti socio di società di capitali, in Studi e materiali, 2008, 876
ss., il quale rileva come la giurisprudenza sembrerebbe negare “la natura di ente collettivo e l’essere
autonomo centro di interessi (…) laddove si tratti di assumere la titolarità dei rapporti con i clienti ed in
particolar modo ci si riferisca al rapporto (contratto d’opera professionale) fra cliente e professionista;
mentre, viceversa, quando non si tratti di questioni attinenti a detto rapporto, o laddove, comunque, non si
presupponga la sua personalità, la giurisprudenza pare più incline a riconoscervi un autonomo centro di
interessi”. Infine LEOZAPPA, Studi associati e società tra professionisti curatori fallimentari, in Il dir.
fall. e delle soc. comm., 2010, 231 ss., afferma che la riforma fallimentare, nell’indicare gli studi
professionali associati tra i soggetti che possono essere chiamati a svolgere l’ufficio di curatore “dà
riscontro normativo alla tesi della rilevanza esterna degli studi associati”. 7 Cass., sez. trib., 11 giugno 2007 n. 13570, cit. , 1075 ss. Sul punto cfr. SCHIAVOLIN, L’Autonoma
organizzazione nell’IRAP: il faticoso sviluppo del diritto vivente nella giurisprudenza di merito, in Giust.
Trib., 2008, 779 ss..
5
Si potrebbe affermare, infatti, che essendo le associazioni professionali equiparate alle
società semplici ai sensi dell’art. 5 TUIR8, alle stesse sia applicabile la presunzione
assoluta dell’esistenza dell’elemento costitutivo del presupposto impositivo IRAP di cui
all’art. 2 d.lgs. 446/979.
Tale tesi però è facilmente superabile sulla base dell’assunto secondo il quale
l’assimilazione di cui all’art. 5 TUIR varrebbe solo ai fini delle imposte dirette e quindi
non sarebbe applicabile in materia di IRAP. Infatti, in base all’insegnamento delle
Sezioni Unite della Cassazione10
“a quel che è stabilito per le imposte sul reddito non
può essere riconosciuta una efficacia condizionante ai fini dell’interpretazione di
imposte, come è l’IRAP, che rispondono ad altri criteri e ad una diversa ratio
impositiva”.
Nonostante ciò, le associazioni professionali sembrano comunque destinate a rimanere
assoggettate alla previsione di cui all’art. 2, secondo periodo, d.lgs. 446/97, in quanto
rimarrebbe ferma la configurazione ai fini civilistici delle associazioni costituite ai sensi
dell’art. 1 legge 1815/193911
come enti collettivi o centri di interessi autonomi12
.
Qualora, invece, le associazioni non dovessero rientrare nella nozione di società o enti,
come sembrerebbe desumersi dalle numerose sentenze di legittimità citate13
, la
presunzione di cui all’art. 2, secondo periodo, d.lgs.446/97 non sarebbe applicabile , ma
allo stesso tempo, suscita perplessità la posizione della Corte secondo la quale in
8 Ai sensi dell’art. 5 TUIR, infatti, ai fini delle imposte dirette, le associazioni senza personalità giuridica
costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni sono equiparate alle
società semplici. 9 Accoglie tale interpretazione Cass., Sez. trib., 21 dicembre 2010 n. 25919, cit..
10 Cass., Sez. Un., 26 maggio 2009, n. 12111, 12110, 12109 e 12108, in Corr. Trib. 2009, 2227 ss. con
nota di DELLA VALLE, Non sono assoggettabili ad IRAP gli ausiliari dell’imprenditore privi di
autonoma organizzazione. Condivide questa tesi FERRANTI, Quando è rilevante ai fini IRAP l’esercizio
in forma associata delle attività professionali, cit., 3910, il quale ritiene che l’orientamento interpretativo
della Corte formulato con la ordinanza n. 22212/2010 sia destinato a rimanere isolato ed “anche in caso
di esercizio della professione in forma associata sia possibile fornire la prova contraria rispetto alla
presunzione semplice di esistenza di un’autonoma organizzazione”. 11
La legge 23-11-1939 n. 1815 ammette l’associazione professionale come modalità di svolgimento di
una attività professionale. Sulla natura giuridica delle associazioni professionali si rinvia al dibattito in
ambito civilistico affrontato nella nota 6. 12
Ritiene che non sia possibile assimilare gli studi associati alle società e agli enti, in quanto nessuna
disposizione civilistica, né fiscale consentirebbe tali accostamenti CEDRO, Ancora in tema di irap sugli
esercenti arti e professioni, in Giust. Trib., 2009, 191 ss. 13
V. nota 5.
6
presenza di un’associazione professionale l’esistenza dell’autonoma organizzazione14
è
da presumere, fatta salva la possibilità per i contribuenti di fornire la prova contraria.
Infatti, si ritiene che dal momento in cui si nega la qualifica di “enti” agli studi
professionali, e quindi l’applicabilità della presunzione assoluta di cui all’art. 2 d.lgs.
446/97, sia necessario che l’autonoma organizzazione venga verificata di volta in volta,
così come previsto per l’esercizio in forma individuale dell’attività professionale15
. Ciò
in quanto, l’art. 2 d.lgs. n. 446/1997 afferma che “presupposto dell’imposta è l’esercizio
abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo
scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”; l’art. 3 del suddetto decreto,
prevede, poi, che “soggetti passivi sono coloro che esercitano una o più delle attività di
cui all’art.2. Pertanto sono soggetti all’imposta: (omissis..); c) le persone fisiche, le
società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3, del predetto
testo unico (dpr n. 917/86) esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1, (ora
art. 53) del medesimo testo unico (dpr n. 917/86)”. L’art. 3 però “definisce i soggetti
che possono (e che non devono necessariamente) essere assoggettati ad IRAP”16
, per i
quali è quindi necessario verificare di volta in volta l’esistenza dell’autonoma
organizzazione. Menzionando i soggetti equiparati alle società semplici ai sensi dell’art.
5, comma 3, del dpr 917/86, la norma fa riferimento, tra gli altri, alle associazioni senza
personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di
arti e professioni, per cui anche per questi soggetti, l’esistenza dell’autonoma
organizzazione sarebbe da provare di volta in volta, e l’onere di provare l’esistenza
14
Questa tesi pone l’ulteriore questione relativa alla definizione di autonoma organizzazione per la quale
si rinvia, tra gli altri, a SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici,
Milano, 2007, 244; ID, L’autonomia organizzativa nell’IRAP: il faticoso sviluppo del “diritto vivente”
nella giurisprudenza di merito, cit., 779 ss.; PAPA, PROCOPIO, LUPI, “Irap professionisti” nelle
sentenze della corte di cassazione, in Dialoghi dir. trib., 2007, 785; COLLI VIGNARELLI, Il “dies
IRAP” è giunto. La nozione di “attività autonomamente organizzata “ (Art. 2, d.lgs. n. 446/97), in Boll.
Trib., 2007, 501; BODRITO, Decidendo sul presupposto IRAP per i professionisti la Suprema Corte
demanda ai giudici di merito la valutazione del caso concreto, in Riv. Giur. Tib., 2007, 395 ss.;
BRIGHENTI, L’IRAP dei professionisti: la Cassazione spiega (in parte) il concetto di autonoma
organizzazione, in Boll. Trib. 2007, 1241; FERRANTI, L’esclusione da IRAP in assenza di un’autonoma
organizzazione, in Corr. Trib., 2009, 1416 ss. 15
Cfr. Cass., Sez. Un., 26 maggio 2009 n. 12111, 12110, 12109, 12108, cit., le quali hanno affermato che
solo l’attività esercitata dalle società e dagli enti costituisce in ogni caso presupposto di imposta, mentre
per le persone fisiche l’assoggettabilità ad IRAP è subordinata all’esistenza dell’autonoma
organizzazione, la quale deve essere provata di volta in volta dall’amministrazione finanziaria. 16
Cass. del 2 aprile 2007 n. 8172, in Banca dati Big Unico on-line.
7
dell’elemento costitutivo del presupposto impositivo dovrebbe ricadere
sull’amministrazione finanziaria, in virtù delle regole generali17
.
Conclusioni
Pur ritenendo corretta, sulla base delle argomentazioni civilistiche, la tesi secondo la
quale l’associazione tra professionisti costituisce un ente collettivo e centro autonomo di
interessi, l’applicazione della presunzione assoluta di cui al secondo periodo dell’art. 2
d.lgs. 446/97 in merito all’esistenza dell’autonoma organizzazione, suscita alcune
perplessità soprattutto a seguito delle pronunce delle Sezioni Unite in tema di Irap ed
agenti di commercio. In queste sentenze i giudici hanno osservato che se le attività
ausiliare di cui all’art. 2195, comma 5, c.c. “si considerassero ai fini IRAP (…) tout
court «attività di impresa», l'imposta non troverebbe corrispondenza nella sua ratio, e
finirebbe per colpire una base «fittizia», un «fatto non reale», in contraddizione con una
interpretazione costituzionalmente orientata del presupposto impositivo. Non è, infatti,
la oggettiva natura dell'attività svolta ad essere alla base dell'imposta, ma il modo -
autonoma organizzazione - in cui la stessa è svolta, ad essere la razionale giustificazione
di una imposizione sul valore aggiunto prodotto, un quid che eccede il lavoro personale
del soggetto agente ed implica appunto «l'organizzazione di capitali o lavoro altrui»: se
ciò non fosse, e il lavoro personale bastasse, l'imposta considerata, non solo non sarebbe
vincolata all'esistenza di una «autonoma organizzazione», ma si trasformerebbe
inevitabilmente in una sostanziale «imposta sul reddito»”18
.
17
Infatti, secondo i principi generali, spetta al creditore fornire la prova dei fatti costitutivi della propria
pretesa, per cui, essendo l’autonoma organizzazione elemento costitutivo della fattispecie imponibile,
deve essere l’Amministrazione Finanziaria a dimostrare che il professionista è autonomamente
organizzato. Chiaramente l’onere di dimostrare l’esistenza del presupposto impositivo, ossia dello
svolgimento di un’attività autonomamente organizzata, spetterà all’Amministrazione Finanziaria nel caso
in cui il soggetto passivo abbia omesso il versamento dell’imposta, con conseguente accertamento da
parte dell’Agenzia. Diversa è l’ipotesi in cui il contribuente versi spontaneamente l’imposta e in seguito
presenti istanza di rimborso; in tal caso, chiaramente, sarà onere del contribuente dimostrare di non essere
soggetto ad IRAP per carenza di autonoma organizzazione. Sull’onere probatorio nel processo tributario,
v. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, nonché TESAURO, La
prova nel processo tributario, in Riv. Dir. fin., 2000, 95. 18
Cass., Sez. Un., 26 maggio 2009 n. 12111, 12110, 12109, 12108, cit., 2227 ss.
8
Ora se la ratio del tributo è rappresentata dalla rilevanza economica del valore aggiunto,
scaturente da ogni attività autonomamente organizzata19
, diretta alla produzione o allo
scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, allora non è coerente con questa (e
sarebbe incostituzionale), l’applicazione dell’imposta ad enti e società privi del requisito
dell’autonoma organizzazione.
In altre parole, se “non è l’oggettiva natura dell’attività svolta ad essere alla base
dell’imposta”, “ma il modo in cui la stessa è svolta”, ossia sotto forma di società o enti,
allora dando prevalenza alla forma sulla sostanza, si finirebbe per colpire una «base
fittizia», un «fatto non reale», in contraddizione con una interpretazione
costituzionalmente orientata della norma sul presupposto impositivo.
Infatti, nell’ambito delle società e degli enti, esistono realtà che in concreto non possono
dirsi autonomamente organizzate nel senso dell’esistenza di un’organizzazione che non
sia semplicemente servente rispetto all’apporto personale del lavoratore autonomo, ma
abbia “carattere preminente (…) e l’apporto personale del soggetto diventi esso stesso
un fattore secondario, nell’ambito di una struttura organizzata per la produzione di
servizi dotata di una propria autonomia”20
. Si pensi alle società la cui attività è
organizzata principalmente con il lavoro dei soci. In questo caso “è possibile prospettare
situazioni equivalenti all’auto-organizzazione delle persone fisiche, per l’esclusività
dell’apporto di lavoro «personale» dei componenti la compagine sociale, distinto dalla
funzione di gestione”21
.
19
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ha sancito la legittimità
costituzionale dell'imposta osservando che "l'IRAP non è un'imposta sul reddito, bensì un'imposta di
carattere reale che colpisce ... il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate". Per
un commento alla sentenza della Corte Costituzionale v. BASILAVECCHIA, IRAP legittima per la
Consulta ma possibile l’esclusione per i professionisti “privi di organizzazione”, in Rass. Trib., 2002,
291; MARONGIU, Dalla Corte Costituzionale apertura sui presupposti per l’applicazione dell’IRAP al
lavoro autonomo, in Riv. Giur. Trib., 2001, 985 ss. 20
Così PANSIERI, I redditi di lavoro autonomo, cit., 165, in materia di reddito di lavoro autonomo, ma
si ritiene che tale descrizione sia quella più idonea a chiarire il concetto di attività autonomamente
organizzata ai fini IRAP. 21
In tal senso SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, cit., 290.
Cfr. BODRITO, Non pagano l’IRAP le imprese individuali prive di autonoma organizzazione, in Corr.
Trib., 2010, 2943 il quale proprio con riferimento alle società di persone fondate sul lavoro personale dei
soci, senza dipendenti o terzi collaboratori, e il cui apparato produttivo è formato dagli strumenti minimi
indispensabili alle persone dei soci, afferma che “in questo caso l’ampliamento legislativo del
presupposto dell’IRAP alle società pone dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con la ratio del
tributo rispetto alla capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.) colpita”:
9
Con riferimento alle associazioni professionali, potrebbe verificarsi il caso in cui i
professionisti abbiano deciso di svolgere l’attività in forma collettiva al solo fine di
dividersi le spese di gestione, cosicché l’organizzazione di strutture e mezzi avrebbe
solo carattere servente rispetto all’apporto personale di ciascun professionista,
risultando assente quella che la stessa Corte di Cassazione ha definito autonoma
organizzazione delle associazioni professionali, ossia la reciproca collaborazione tra
professionisti, lo scambio di competenze (con conferenze, colloqui professionali, o altre
attività «allargate»), nonché l’utilizzazione di servizi collettivi e la sostituibilità nello
svolgimento dell’attività22
.
Si pensi all’ulteriore caso in cui un’associazione professionale si avvalga di una società
di servizi per la fornitura di personale, beni e servizi vari. In tale ipotesi non può
ritenersi sussistente l’autonoma organizzazione così come intesa dalla stessa Corte di
Cassazione, la quale ha affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione
dell’attività di lavoro autonomo sussiste quando vi sia l’impiego di beni strumentali e/o
l’utilizzo di lavoro altrui, sempreché, però, il titolare sia il responsabile
dell’organizzazione23
. E’ evidente che nell’ipotesi di uno studio associato che si avvale
di servizi in outsourcing, il titolare responsabile dell’organizzazione non è
l’associazione professionale, ma la società di servizi, la quale, quindi, è l’unico soggetto
tenuto al pagamento dell’IRAP24
.
22
Cass. 28 ottobre 2009 n. 22781 e Cass. 7 giugno 2010 n. 13716 sulle quali FERRANTI, Ultimi
orientamenti della Cassazione sull’esclusione dall’IRAP dei professionisti, in Corr. Trib. 2010, 2778. 23
Cass., sez. trib., 18 aprile 2007 n. 9214, in Banca dati Big Unico on-line. Sull’autonoma organizzazione
dei lavoratori autonomi v. Cass. Civ., sez. trib., 16 febbraio 2007 n. 3678 con nota di BODRITO,
Decidendo sul presupposto IRAP per i professionisti la Suprema Corte demanda ai giudici di merito la
valutazione del caso concreto, in Riv. Giur. Tib., 2007, 395 ss.. 24
Di contrario avviso, in dottrina, è SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili
sistematici, cit., 312, il quale, riferendosi all’appalto di servizi, ritiene che “il potere sui fattori produttivi e
l’attività gestionale vadano riconosciuti per il loro significato sostanziale”, per cui non sarebbe coerente
“consentire l’elusione del prelievo” a soggetti che si avvalgono di dipendenti e beni altrui, “conseguendo
benefici equivalenti sul piano economico a colui il quale li organizzi in proprio”. Tuttavia è da
considerare che il riferimento all’elusione può risultare inconferente in tutti quei casi in cui il
comportamento del contribuente risponda a ragionevoli scelte economiche, non aggiri obblighi e divieti,
risulti espressivo di logiche di fisiologica applicazione degli istituti giuridici, ecc. E, soprattutto, non è
possibile parlare di elusione laddove il prelievo IRAP risulti configurabile in capo al soggetto erogatore
del servizio. In altre parole, nel caso in cui il soggetto che eroga il servizio in outsourcing sia
“autonomamente organizzato” ai fini IRAP, l’imposta sarà versata da questi e l’ applicazione dell’imposta
anche nei confronti del fruitore dei servizi violerebbe il divieto di doppia imposizione. Diversa potrebbe
essere, invece, l’ipotesi in cui un soggetto usufruisca di servizi prestati da più lavoratori autonomi “non
autonomamente organizzati”; in questo caso si potrebbe ipotizzare un comportamento elusivo, dal
10
Inoltre, ammettendo l’assoggettabilità ad IRAP sia dello studio associato sia della
società di servizi, due soggetti diversi verrebbero tassati per il medesimo presupposto,
in quanto l’autonoma organizzazione rilevante per la tassazione dell’associazione
sarebbe la medesima di quella già assunta come presupposto per la tassazione della
società di servizi. Tale soluzione andrebbe, quindi, a violare il divieto di doppia
imposizione previsto dall’art. 163 TUIR, secondo il quale “la stessa imposta non può
essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti
di soggetti diversi” 25
, nonché desumibile dall’art. 53 Cost.26
.
Pertanto, alla luce di quanto sin qui esposto, deve ritenersi che il significato della
disposizione secondo cui “l’attività esercitata dalle società ed enti costituisce in ogni
momento che né gli erogatori né il fruitore dei servizi sarebbero tenuti al pagamento dell’IRAP. Sotto
altro profilo, RICCIONI, Irap e lavoro autonomo nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in
Fisco, 2007, 3095 ss., ritiene che il “lavoro altrui” rilevante ai fini della sussistenza dell’autonoma
organizzazione è quello organizzato e regolato dal professionista mediante un rapporto di lavoro
subordinato o parasubordinato”. In giurisprudenza ritengono assoggettabili ad IRAP, in quanto
autonomamente organizzati, gli studi associati che si servono di società di servizi: Cass, ord. del 25
maggio 2009 n. 12078 e Cass., 28 aprile 2010, n. 10151. L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 28 del
28 maggio 2010, in www.agenziaentrate.it, ha ribadito quanto già sostenuto nella circolare n. 45/2008,
cit., ossia che “ai fini della verifica dell’autonoma organizzazione rileva comunque la disponibilità di beni
strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell’attività, anche qualora non
vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da terzi, a qualunque titolo”. 25
Sul divieto di doppia imposizione interna v. STEVANATO, Divieto di doppia imposizione e capacità
contributiva, in AA.VV., Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di L. PERRONE e C.
BERLIRI, Napoli-Roma, 2006, 69 ss. e FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 224 ss., il quale
ricorda come nonostante la dottrina prevalente attribuisca all’art. 127 TUIR (ora art. 163) portata di
principio generale nel nostro ordinamento e dunque eccedente l’ambito delle imposte sul reddito in cui la
stessa è posta, la stessa venga, invece, “svalutata dalla giurisprudenza fino a ridurla ad un mero criterio di
interpretazione in presenza di norme contrastanti ovvero ad espressione del principio del ne bis in idem
inteso come divieto di reiterazione di atti di imposizione in relazione allo stesso presupposto” (Cass. 27
aprile 1984 n. 4921 e Cass., 7 ottobre 1992 n. 10937). L’autore aggiunge che con “riferimento all’identità
del presupposto, la dottrina ritiene che esso non vada inteso in senso giuridico, dunque quale fattispecie
imponibile, bensì in senso economico, di connessione economica e giuridica tra elementi oggettivi e
soggettivi dell’imposta; ciò si desumerebbe altresì dalla rilevanza del riferimento dello stesso fatto
economico pur a soggetti diversi”. Considera il divieto di doppia imposizione quale espressione del
principio del ne bis in idem PORCARO, Il divieto di doppia imposizione nel diritto interno, Padova,
2001, 62 ss. il quale ritiene che nel caso in cui siano emessi atti di accertamento nei confronti di soggetti
diversi per il medesimo presupposto, proprio in virtù del principio di cui all’art. 127 (ora 163) TUIR,
sussiste la necessità di eliminare gli effetti prodotti dal secondo atto di imposizione, anche se rivolto
all’effettivo contribuente. 26
Sul punto v. STEVANATO, Divieto di doppia imposizione e capacità contributiva, cit., 75, il quale
sottolinea che “il divieto di plurime imposizioni sullo stesso presupposto (…) a carico di soggetti diversi,
appare una proiezione dell’art. 53 Cost., che, nel sancire il dovere di concorrere alle spese pubbliche in
ragione della capacità contributiva da ciascuno appalesata, non tollera né imposizioni a carico di soggetti
che non hanno manifestato gli indici di capacità contributiva indicati dalla legge, nè, …, plurime
applicazioni della stessa imposta, o di imposte formalmente diverse, in relazione allo stesso presupposto,
sia a carico dello stesso che di soggetti diversi”.
11
caso presupposto di imposta” non può essere quello secondo cui per questi soggetti, il
fatto di svolgere l’attività economica in forma collettiva, implicherebbe di per sé
l’esistenza dell’autonoma organizzazione, con la consequenziale irrilevanza
dell’accertamento in concreto di tale specifico requisito27
.
Una tale interpretazione darebbe luogo a dubbi di legittimità in ossequio a
quell’orientamento della Corte Costituzionale secondo cui, in materia tributaria, è
ammissibile l’uso delle presunzioni in merito alla sussistenza del presupposto
impositivo purché si tratti di presunzioni relative, mentre le presunzioni assolute
violerebbero il principio di capacità contributiva 28
.
La ratio di tale disposizione deve, quindi, essere ricercata nel passato, quando, prima
della modifica apportata dal d.lgs n. 137/199829
, l’art. 2 del d.lgs. 446/97 così recitava
“presupposto dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività diretta alla produzione o
allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L'attività esercitata dalle società
e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni
caso presupposto di imposta”; laddove l’esistenza del presupposto dell’imposta “in ogni
caso” sembra correlarsi solo con l’abitualità e l’oggetto ( produzione e scambio di beni e
servizi)30
. In tale contesto, quindi, la seconda parte della norma sembra trovare la sua
27
Cfr. S.F. COCIANI, L’autonomia tributaria regionale, Milano, 2003, 281 ss.; SCHIAVOLIN,
L’imposta regionale sulle attività produttive, in AA.VV., Manuale di diritto tributario, Parte Speciale, a
cura di FALSITTA, Padova, 2010, 940 ss.; ID, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili
sistematici, Milano, 2007, 290, secondo il quale la regola prevista per le società e gli enti “sembra
significare che l’autonomia organizzativa sia realizzata dalla struttura istituzionale o plurisoggettiva”.
L’autore, comunque, esprime dubbi “sulla ragionevolezza della tassazione generalizzata” delle società ed
enti. 28
Sul punto FANTOZZI, Gli studi di settore nell’accertamento del reddito di impresa, in AA.VV.,
Diritto Tributario e Corte Costituzionale, cit., 401; TINELLI, L’accertamento sintetico del reddito
complessivo, ibidem, 377. La Corte Costituzionale con sentenza del 23-7-1987 n. 283, chiamata a
pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli accertamenti sintetici per la determinazione del reddito,
evocando la pregressa giurisprudenza costituzionale, ha affermato che le presunzioni tributarie non sono
di per sé illegittime “purché si fondino su indici concretamente rilevatori di ricchezza ovvero su fatti reali,
quand’anche difficilmente accertabili, idonei a conferire una base non fittizia (Corte Cost. 26-3-1980 n.
42). In particolare è stata sottolineata la necessità che le presunzioni, per poter essere considerate in
armonia con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione, siano confortate
da elementi concreti che le giustifichino razionalmente (Corte Cost. 28-7-1976 n. 200)”. La Corte
richiama specificamente due sentenze (Corte Cost. 3-7-1967 n. 77; 18-7-1968, n. 99) - ai nostri fini di
assoluto rilievo - le quali negano l'illegittimità costituzionale delle presunzioni iuris tantum dal momento
che le stesse garantiscono al contribuente la possibilità di dare la prova contraria. 29
Il d.lgs. 137/1998 ha, infatti, inserito l’aggettivo “autonomamente organizzata” nel primo periodo
dell’art. 2 del d.lgs. 446/97 ma non ha modificato la seconda parte dell’articolo stesso. 30
In tal senso SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, cit., 290, il
quale sostiene che la mancata modifica della regola relativa alle società e agli enti a seguito del
12
giustificazione, in primo luogo, nella necessità di includere anche “le attività degli enti
non commerciali e delle amministrazioni pubbliche (potendosi altrimenti dubitare che
realizzino cessioni di beni o prestazioni di servizi, p. es. i servizi indivisibili rivolti alla
generalità dei cittadini)”31
. Per quanto riguarda le società, la disposizione potrebbe
essere interpretata nel senso che costituisce presupposto dell’IRAP qualsiasi attività da
essi compiuta, indipendentemente dalla sussistenza del requisito dell’abitualità e della
destinazione alla produzione e allo scambio di beni e servizi32
.
Preso atto di questa interpretazione, si ritiene che, nonostante la mancata modifica della
seconda parte dell’art. 2 del d.lgs. 446/97, l’aggiunta, nel 1998, del requisito
dell’autonoma organizzazione, comporti oggi la necessità di un ulteriore passaggio
logico. Pertanto, se è vero che le società e gli enti sono assoggettabili ad IRAP
indipendentemente dal tipo di attività svolta, è però necessario che tale attività sia
“autonomamente organizzata” e che tale requisito sia accertato di volta in volta.
cambiamento del presupposto impositivo “sembra dipendere da una valutazione di compatibilità
sistematica (dalla convinzione, cioè, che non ne derivasse un’antinomia), assai meno significativa, ai fini
esegetici, di un discorso legislativo contestuale”. 31
In tal senso SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive, in AA.VV., Manuale di
diritto tributario, parte speciale, cit., 940 ss. 32
Cfr. GALLO, Imposta regionale sulle attività produttive, Enc. Dir., agg., 2001, 662.