irap e associazioni professionali

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1 L’AUTONOMA ORGANIZZAZIONE NELLE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI AI FINI DELL’IRAP Cass., sez. trib., ordinanza 29 ottobre 2010 n. 22212, Presidente: Merone - Relatore: Greco Irap - esercenti arti e professioni - attività in forma associata - imponibilità - rilevanza ex lege - autonoma organizzazione - accertamento in concreto - irrilevanza L’attività esercitata dalle associazioni senza personalità giuridica costituite dalle persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni rileva ex lege ai fini dell’applicabilità dell’IRAP in ragione del secondo periodo dell’art. 2 D.Lgs. n. 446/1997, prescindendosi quindi dalla sussistenza dello specifico requisito dell’autonoma organizzazione. La Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di assoggettabilità ad Irap degli studi professionali associati, ma questa volta, allontanandosi dalla linea interpretativa assunta negli ultimi tempi 1 , ha ritenuto che le associazioni professionali sono sempre soggette ad Irap in quanto l’attività dalle stesse esercitate rileva ex lege ai sensi del secondo periodo dell’art. 2 D. Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondato il ricorso di uno studio legale associato avverso la sentenza che ne aveva rigettato l’appello, negando il diritto al rimborso dell’Irap versata per gli anni 1998-2002. Sulla base di una interpretazione letterale degli articoli 2 e 3 del d.lgs. 446/97, i giudici di legittimità hanno affermato che alle associazioni professionali, identificate dall’art. 3 come soggetti dotati di autonoma soggettività passiva, è da applicare il secondo periodo dell’art. 2 d.lgs. 446/97 secondo il quale l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli 1 Sino ad ora la Cassazione si è espressa nel senso dell’assoggettamento ad IRAP delle associazioni professionali, facendo, però, salva la possibilità per il contribuente di dimostrare l’assenza dell’autonoma organizzazione, ossia che il reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati. In tal senso, tra le altre, Cass., sez. trib., 11 giugno 2007 n. 13570; Cass., sez. trib., 5 febbraio 2008 n. 2715; Cass., sez. trib. 10 luglio 2008 n. 19138; Cass., sez. trib., 25 maggio 2009 n. 12078; Cass., sez. trib., 28 ottobre 2009 n.. 22781; Cass., sez. trib., 13 novembre 2009 n. 24058; Cass., sez. trib., 7 giugno 2010 n. 13716, tutte in Banca dati Dejure.

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L’AUTONOMA ORGANIZZAZIONE NELLE ASSOCIAZIONI

PROFESSIONALI AI FINI DELL’IRAP

Cass., sez. trib., ordinanza 29 ottobre 2010 n. 22212, Presidente: Merone - Relatore:

Greco

Irap - esercenti arti e professioni - attività in forma associata - imponibilità - rilevanza

ex lege - autonoma organizzazione - accertamento in concreto - irrilevanza

L’attività esercitata dalle associazioni senza personalità giuridica costituite dalle

persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni rileva ex lege ai

fini dell’applicabilità dell’IRAP in ragione del secondo periodo dell’art. 2 D.Lgs. n.

446/1997, prescindendosi quindi dalla sussistenza dello specifico requisito

dell’autonoma organizzazione.

La Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di assoggettabilità ad Irap

degli studi professionali associati, ma questa volta, allontanandosi dalla linea

interpretativa assunta negli ultimi tempi1, ha ritenuto che le associazioni professionali

sono sempre soggette ad Irap in quanto l’attività dalle stesse esercitate rileva ex lege ai

sensi del secondo periodo dell’art. 2 D. Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondato il ricorso di

uno studio legale associato avverso la sentenza che ne aveva rigettato l’appello,

negando il diritto al rimborso dell’Irap versata per gli anni 1998-2002. Sulla base di una

interpretazione letterale degli articoli 2 e 3 del d.lgs. 446/97, i giudici di legittimità

hanno affermato che alle associazioni professionali, identificate dall’art. 3 come soggetti

dotati di autonoma soggettività passiva, è da applicare il secondo periodo dell’art. 2

d.lgs. 446/97 secondo il quale “l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli

1 Sino ad ora la Cassazione si è espressa nel senso dell’assoggettamento ad IRAP delle associazioni

professionali, facendo, però, salva la possibilità per il contribuente di dimostrare l’assenza dell’autonoma

organizzazione, ossia che il reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati. In tal

senso, tra le altre, Cass., sez. trib., 11 giugno 2007 n. 13570; Cass., sez. trib., 5 febbraio 2008 n. 2715;

Cass., sez. trib. 10 luglio 2008 n. 19138; Cass., sez. trib., 25 maggio 2009 n. 12078; Cass., sez. trib., 28

ottobre 2009 n.. 22781; Cass., sez. trib., 13 novembre 2009 n. 24058; Cass., sez. trib., 7 giugno 2010 n.

13716, tutte in Banca dati Dejure.

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organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di

imposta”; è la legge stessa a prevedere che le associazioni professionali sono sempre

assoggettabili ad Irap prescindendo dalla sussistenza dello specifico requisito

dell’autonoma organizzazione.

Le diverse posizioni assunte dalla Corte di Cassazione sulla assoggettabilità ad

IRAP degli studi professionali associati.

Il tema dell’assoggettabilità ad Irap delle associazioni professionali, pur essendo stato

oggetto in precedenza di numerose sentenze, solo di recente viene affrontato dai giudici

di legittimità secondo l’interpretazione accolta dall’ordinanza in esame2.

In precedenza, infatti, la Corte, pur ritenendo assoggettabile ad Irap gli studi associati,

non aveva mai fatto riferimento alla circostanza che, trattandosi di associazioni, il

presupposto impositivo era in re ipsa in forza del secondo periodo dell’art. 2 del d.lgs.

446/973. Al contrario, i giudici di legittimità avevano affermato che nello svolgimento

di un’attività professionale in forma associata l’esistenza dell’autonoma organizzazione

2 Oltre alla ordinanza che si annota, si esprimono in tal senso Cass., Sez. Trib., 22 ottobre 2010 n. 21669,

in Banca dati Dejure, nella quale i giudici affermano che l’attività esercitata dagli studi professionali

associati “strutturalmente «organizzati» per la forma nella quale l’attività stessa è svolta, costituisce (…)

ex lege presupposto di imposta («in ogni caso»), prescindendosi dal requisito dell’autonoma

organizzazione”; Cass., Sez. trib., 21 dicembre 2010 n. 25919 ibidem, secondo la quale “le associazioni

senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e

professioni sono equiparate alle società semplici, e che, per quanto riguarda l’IRAP, l’attività esercitata

dalle società (…) costituisce in ogni caso presupposto di imposta, e di questa sono soggetti passivi, fra

l’altro, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3 citato, esercenti arti e

professioni di cui all’art. 49, comma 1 del medesimo dpr (d.lgs. n. 446 del 1997, art. 2 e art. 3, comma 1,

lett. c)”. 3 Dal canto suo, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 45 del 13 giugno 2008, in

www.agenziaentrate.it, pronunciandosi in merito all’assoggettabilità ad Irap degli studi associati, dopo

aver fatto riferimento alla tesi giurisprudenziale secondo la quale gli studi associati sono assoggettabili

all’imposta nel caso in cui l’esercizio in comune dell’attività professionale non deriva dal solo lavoro

professionale dei singoli associati, ha concluso affermando, in un inciso non seguito da alcun commento,

che “più in generale, si ricorda che, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, «l’attività esercitata dalle

società e dagli enti, inclusi gli organi e le amministrazioni dello stato, costituisce in ogni caso presupposto

dell’imposta»”. Inciso, questo, che porta a ritenere che l’Agenzia delle Entrate, nonostante la

giurisprudenza richiamata, propendesse, già nel 2008 per l’assoggettabilità ex lege ad IRAP degli studi

associati. Si sottolinea che l’Agenzia delle Entrate non si è più espressa in merito.

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si presume, ma è fatta salva la possibilità per il contribuente di dimostrare l’inesistenza

della stessa4.

In una sentenza5 del 2008, la Cassazione aveva affermato che «l’esercizio in forma

associata di una professione liberale è circostanza di per sé idonea a far presumere

l’esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché non di

particolare onere economico, nonché dell’intento di avvalersi della reciproca

collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune

incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente

della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne consegue che

legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato ad IRAP, a meno che

il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei

singoli associati». Questa posizione della Corte sembrerebbe essere collegata alla

negazione, in conformità ad un orientamento civilistico6, della qualifica di “ente” alle

4 Prevedendo la possibilità di prova contraria, la Corte di Cassazione implicitamente esclude

l’applicabilità del secondo periodo dell’art. 2 d.lgs. 446/97 il quale prevede che l’attività svolta dalle

società e dagli enti costituisce “in ogni caso” presupposto di imposta. 5 Cass., Sez. Trib., 24 giugno 2008, n. 17136, in Banca dati Big Unico on-line, Nello stesso senso è Cass.,

Sez. Trib., 8 giugno 2007 n. 13570, con nota di BRIGHENTI, IRAP e professionisti non organizzati:

nuove pronunce dalla Cassazione (studio associato e redditi di lavoro autonomo extra studio, in Boll.

Trib., 2007, 1075 ss.. secondo la quale quando l’attività professionale viene svolta in forma associata, è

«da presumere che l’associazione, atteso lo scopo della medesima, sia dotata di strutture e mezzi

(immobili, mobili, arredamenti, macchinari, servizi, collaboratori) ancorché non di particolare onere

economico (peraltro compatibile con le professioni intellettuali dato che possono anche costituire

«elemento di una attività organizzata in forma di impresa » ex art. 2238 c.c., e cioè essere inserite in una

struttura organizzativa frutto dell’impiego di capitale ed in cui all’attività personale del professionista si

affianca un’attività di tipo organizzativo consistente nell’approntamento e nella gestione dei mezzi per

l’esercizio di quella intellettuale)». Conformi, tra le altre, Cass., sez. trib. 10 luglio 2008 n. 19138; Cass.,

sez. trib., 25 maggio 2009 n. 12078; Cass., sez. trib., 28 ottobre 2009 n.. 22781; Cass., sez. trib., 13

novembre 2009 n. 24058; Cass., sez. trib., 7 giugno 2010 n. 13716, tutte in Banca dati Dejure. Sempre in

tal senso sono alcune pronunce successive a quella in commento: Cass., Sez. trib., 3 novembre 2010 n.

22386; Cass., sez. trib., 19 novembre 2010 n. 23546, ibidem. 6 In diritto civile è vivo il dibattito sulla natura giuridica dell’associazione professionale. Da una parte, la

giurisprudenza maggioritaria “ha negato che l’associazione tra professionisti sia configurabile come

centro di imputazione di interessi o ente collettivo, con autonomia strutturale e funzionale” (tra le altre

Cass. , sez. II, 10 luglio 2006, n. 15633, in Rass. Forense, 2006, 1734; Cass., sez. Lav., 21 novembre

1997, 10354, in Vita not., 1998, 1113), dall’altra parte si va affermando la tesi che equipara le

associazioni tra professionisti alle associazioni non riconosciute, riconoscendo, così, alle stesse natura di

ente collettivo e centro autonomo di imputazione di interessi (tra le altre Cass., sez. II, 16 novembre 2006

n. 24410 e Cass., sez. I, 28 luglio 2010 n. 17683, tutte in Banca dati Dejure). In particolare, con

riferimento a quest’ultima tesi, si ricorda la sentenza Corte di Cassazione, sez. I, 23 maggio 1997 n. 4628,

ibidem, la quale, in merito alla natura giuridica dello studio associato costituito in conformità alla

previsione dell’art. 1 della L. 23 novembre 1939 n. 1815, ha affermato che “vuoi che lo si qualifichi

come società semplice (omissis), vuoi che lo si configuri come un’associazione atipica o sui generis

(seguendo le indicazioni di Cass. n. 2555/87 e di Cass. n. 4032/91) o comunque come un contratto

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associazioni professionali le quali, quindi, non sarebbero configurabili come “un centro

autonomo di interessi dotato di autonomia strutturale e funzionale stante il carattere

strettamente personale e fiduciario dell’esercizio delle professioni per il cui

espletamento è obbligatoria l’iscrizione all’albo”7.

Sembra, pertanto, che la diversa posizione assunta dai giudici di legittimità si fondi

esclusivamente sulla natura giuridica degli studi professionali associati, per cui risulta

necessario chiarire se le associazioni tra professionisti siano da annoverare tra le

“società ed enti” cui fa riferimento l’art. 2 d.lgs. 446/97.

Infatti, qualora si riconosca che l’associazione professionale rientri in tale nozione, la

lettera della norma sembrerebbe non ammettere alcuna attività interpretativa diversa da

quella espressa dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza in esame, con la conseguenza

che gli studi associati dovrebbero essere assoggettati ad IRAP in ogni caso,

prescindendo dal requisito dell’autonoma organizzazione. Questa tesi potrebbe essere

sostenuta sotto due profili.

associativo con rilevanza esterna (come suggerito da Sez. Un. n. 10942/93), resta il fatto che esso si

presenta come un centro di imputazione di rapporti giuridici distinto dai suoi componenti ed, appunto

perciò, dotato di rilevanza esterna. Quantunque privo di autonoma personalità giuridica, lo studio

associato rientra dunque, a pieno titolo, nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali

sono, ad esempio, le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con

attività esterna, ed ora altresì i gruppi europei di interesse economico di cui anche i liberi professionisti

possono essere membri) cui la legge attribuisce la capacità di stare in giudizio come tali, in persona dei

loro componenti o di chi, comunque, ne abbia la legale rappresentanza, secondo il paradigma indicato dal

capoverso dell’art. 36 c.c.”. In dottrina ritiene che l’associazione tra professionisti sia un contratto

associativo atipico non dotato di rilevanza meta individuale MONTALENTI, Gli studi professionali

associati: problemi di qualificazione e di disciplina applicabile, in Giur. it., 1989, 59 ss. Sostengono,

invece, la tesi secondo la quale le associazioni tra professionisti hanno natura di enti collettivi B.

CARBONI, Status e soggettività giuridica, Milano, 1998, 10 ss.; G. MARINO, Riflessioni in tema di

associazioni non riconosciute e figure affini, in Riv. Not., 1986, 696.; P. BIANCO, Gli studi professionali

e la responsabilità per errore o omissione di progettazione, in Nuova Rassegna, 2005, 1438 ss.;

RUOTOLO, Associazione fra professionisti socio di società di capitali, in Studi e materiali, 2008, 876

ss., il quale rileva come la giurisprudenza sembrerebbe negare “la natura di ente collettivo e l’essere

autonomo centro di interessi (…) laddove si tratti di assumere la titolarità dei rapporti con i clienti ed in

particolar modo ci si riferisca al rapporto (contratto d’opera professionale) fra cliente e professionista;

mentre, viceversa, quando non si tratti di questioni attinenti a detto rapporto, o laddove, comunque, non si

presupponga la sua personalità, la giurisprudenza pare più incline a riconoscervi un autonomo centro di

interessi”. Infine LEOZAPPA, Studi associati e società tra professionisti curatori fallimentari, in Il dir.

fall. e delle soc. comm., 2010, 231 ss., afferma che la riforma fallimentare, nell’indicare gli studi

professionali associati tra i soggetti che possono essere chiamati a svolgere l’ufficio di curatore “dà

riscontro normativo alla tesi della rilevanza esterna degli studi associati”. 7 Cass., sez. trib., 11 giugno 2007 n. 13570, cit. , 1075 ss. Sul punto cfr. SCHIAVOLIN, L’Autonoma

organizzazione nell’IRAP: il faticoso sviluppo del diritto vivente nella giurisprudenza di merito, in Giust.

Trib., 2008, 779 ss..

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5

Si potrebbe affermare, infatti, che essendo le associazioni professionali equiparate alle

società semplici ai sensi dell’art. 5 TUIR8, alle stesse sia applicabile la presunzione

assoluta dell’esistenza dell’elemento costitutivo del presupposto impositivo IRAP di cui

all’art. 2 d.lgs. 446/979.

Tale tesi però è facilmente superabile sulla base dell’assunto secondo il quale

l’assimilazione di cui all’art. 5 TUIR varrebbe solo ai fini delle imposte dirette e quindi

non sarebbe applicabile in materia di IRAP. Infatti, in base all’insegnamento delle

Sezioni Unite della Cassazione10

“a quel che è stabilito per le imposte sul reddito non

può essere riconosciuta una efficacia condizionante ai fini dell’interpretazione di

imposte, come è l’IRAP, che rispondono ad altri criteri e ad una diversa ratio

impositiva”.

Nonostante ciò, le associazioni professionali sembrano comunque destinate a rimanere

assoggettate alla previsione di cui all’art. 2, secondo periodo, d.lgs. 446/97, in quanto

rimarrebbe ferma la configurazione ai fini civilistici delle associazioni costituite ai sensi

dell’art. 1 legge 1815/193911

come enti collettivi o centri di interessi autonomi12

.

Qualora, invece, le associazioni non dovessero rientrare nella nozione di società o enti,

come sembrerebbe desumersi dalle numerose sentenze di legittimità citate13

, la

presunzione di cui all’art. 2, secondo periodo, d.lgs.446/97 non sarebbe applicabile , ma

allo stesso tempo, suscita perplessità la posizione della Corte secondo la quale in

8 Ai sensi dell’art. 5 TUIR, infatti, ai fini delle imposte dirette, le associazioni senza personalità giuridica

costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni sono equiparate alle

società semplici. 9 Accoglie tale interpretazione Cass., Sez. trib., 21 dicembre 2010 n. 25919, cit..

10 Cass., Sez. Un., 26 maggio 2009, n. 12111, 12110, 12109 e 12108, in Corr. Trib. 2009, 2227 ss. con

nota di DELLA VALLE, Non sono assoggettabili ad IRAP gli ausiliari dell’imprenditore privi di

autonoma organizzazione. Condivide questa tesi FERRANTI, Quando è rilevante ai fini IRAP l’esercizio

in forma associata delle attività professionali, cit., 3910, il quale ritiene che l’orientamento interpretativo

della Corte formulato con la ordinanza n. 22212/2010 sia destinato a rimanere isolato ed “anche in caso

di esercizio della professione in forma associata sia possibile fornire la prova contraria rispetto alla

presunzione semplice di esistenza di un’autonoma organizzazione”. 11

La legge 23-11-1939 n. 1815 ammette l’associazione professionale come modalità di svolgimento di

una attività professionale. Sulla natura giuridica delle associazioni professionali si rinvia al dibattito in

ambito civilistico affrontato nella nota 6. 12

Ritiene che non sia possibile assimilare gli studi associati alle società e agli enti, in quanto nessuna

disposizione civilistica, né fiscale consentirebbe tali accostamenti CEDRO, Ancora in tema di irap sugli

esercenti arti e professioni, in Giust. Trib., 2009, 191 ss. 13

V. nota 5.

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6

presenza di un’associazione professionale l’esistenza dell’autonoma organizzazione14

è

da presumere, fatta salva la possibilità per i contribuenti di fornire la prova contraria.

Infatti, si ritiene che dal momento in cui si nega la qualifica di “enti” agli studi

professionali, e quindi l’applicabilità della presunzione assoluta di cui all’art. 2 d.lgs.

446/97, sia necessario che l’autonoma organizzazione venga verificata di volta in volta,

così come previsto per l’esercizio in forma individuale dell’attività professionale15

. Ciò

in quanto, l’art. 2 d.lgs. n. 446/1997 afferma che “presupposto dell’imposta è l’esercizio

abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo

scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”; l’art. 3 del suddetto decreto,

prevede, poi, che “soggetti passivi sono coloro che esercitano una o più delle attività di

cui all’art.2. Pertanto sono soggetti all’imposta: (omissis..); c) le persone fisiche, le

società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3, del predetto

testo unico (dpr n. 917/86) esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1, (ora

art. 53) del medesimo testo unico (dpr n. 917/86)”. L’art. 3 però “definisce i soggetti

che possono (e che non devono necessariamente) essere assoggettati ad IRAP”16

, per i

quali è quindi necessario verificare di volta in volta l’esistenza dell’autonoma

organizzazione. Menzionando i soggetti equiparati alle società semplici ai sensi dell’art.

5, comma 3, del dpr 917/86, la norma fa riferimento, tra gli altri, alle associazioni senza

personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di

arti e professioni, per cui anche per questi soggetti, l’esistenza dell’autonoma

organizzazione sarebbe da provare di volta in volta, e l’onere di provare l’esistenza

14

Questa tesi pone l’ulteriore questione relativa alla definizione di autonoma organizzazione per la quale

si rinvia, tra gli altri, a SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici,

Milano, 2007, 244; ID, L’autonomia organizzativa nell’IRAP: il faticoso sviluppo del “diritto vivente”

nella giurisprudenza di merito, cit., 779 ss.; PAPA, PROCOPIO, LUPI, “Irap professionisti” nelle

sentenze della corte di cassazione, in Dialoghi dir. trib., 2007, 785; COLLI VIGNARELLI, Il “dies

IRAP” è giunto. La nozione di “attività autonomamente organizzata “ (Art. 2, d.lgs. n. 446/97), in Boll.

Trib., 2007, 501; BODRITO, Decidendo sul presupposto IRAP per i professionisti la Suprema Corte

demanda ai giudici di merito la valutazione del caso concreto, in Riv. Giur. Tib., 2007, 395 ss.;

BRIGHENTI, L’IRAP dei professionisti: la Cassazione spiega (in parte) il concetto di autonoma

organizzazione, in Boll. Trib. 2007, 1241; FERRANTI, L’esclusione da IRAP in assenza di un’autonoma

organizzazione, in Corr. Trib., 2009, 1416 ss. 15

Cfr. Cass., Sez. Un., 26 maggio 2009 n. 12111, 12110, 12109, 12108, cit., le quali hanno affermato che

solo l’attività esercitata dalle società e dagli enti costituisce in ogni caso presupposto di imposta, mentre

per le persone fisiche l’assoggettabilità ad IRAP è subordinata all’esistenza dell’autonoma

organizzazione, la quale deve essere provata di volta in volta dall’amministrazione finanziaria. 16

Cass. del 2 aprile 2007 n. 8172, in Banca dati Big Unico on-line.

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7

dell’elemento costitutivo del presupposto impositivo dovrebbe ricadere

sull’amministrazione finanziaria, in virtù delle regole generali17

.

Conclusioni

Pur ritenendo corretta, sulla base delle argomentazioni civilistiche, la tesi secondo la

quale l’associazione tra professionisti costituisce un ente collettivo e centro autonomo di

interessi, l’applicazione della presunzione assoluta di cui al secondo periodo dell’art. 2

d.lgs. 446/97 in merito all’esistenza dell’autonoma organizzazione, suscita alcune

perplessità soprattutto a seguito delle pronunce delle Sezioni Unite in tema di Irap ed

agenti di commercio. In queste sentenze i giudici hanno osservato che se le attività

ausiliare di cui all’art. 2195, comma 5, c.c. “si considerassero ai fini IRAP (…) tout

court «attività di impresa», l'imposta non troverebbe corrispondenza nella sua ratio, e

finirebbe per colpire una base «fittizia», un «fatto non reale», in contraddizione con una

interpretazione costituzionalmente orientata del presupposto impositivo. Non è, infatti,

la oggettiva natura dell'attività svolta ad essere alla base dell'imposta, ma il modo -

autonoma organizzazione - in cui la stessa è svolta, ad essere la razionale giustificazione

di una imposizione sul valore aggiunto prodotto, un quid che eccede il lavoro personale

del soggetto agente ed implica appunto «l'organizzazione di capitali o lavoro altrui»: se

ciò non fosse, e il lavoro personale bastasse, l'imposta considerata, non solo non sarebbe

vincolata all'esistenza di una «autonoma organizzazione», ma si trasformerebbe

inevitabilmente in una sostanziale «imposta sul reddito»”18

.

17

Infatti, secondo i principi generali, spetta al creditore fornire la prova dei fatti costitutivi della propria

pretesa, per cui, essendo l’autonoma organizzazione elemento costitutivo della fattispecie imponibile,

deve essere l’Amministrazione Finanziaria a dimostrare che il professionista è autonomamente

organizzato. Chiaramente l’onere di dimostrare l’esistenza del presupposto impositivo, ossia dello

svolgimento di un’attività autonomamente organizzata, spetterà all’Amministrazione Finanziaria nel caso

in cui il soggetto passivo abbia omesso il versamento dell’imposta, con conseguente accertamento da

parte dell’Agenzia. Diversa è l’ipotesi in cui il contribuente versi spontaneamente l’imposta e in seguito

presenti istanza di rimborso; in tal caso, chiaramente, sarà onere del contribuente dimostrare di non essere

soggetto ad IRAP per carenza di autonoma organizzazione. Sull’onere probatorio nel processo tributario,

v. CIPOLLA, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, nonché TESAURO, La

prova nel processo tributario, in Riv. Dir. fin., 2000, 95. 18

Cass., Sez. Un., 26 maggio 2009 n. 12111, 12110, 12109, 12108, cit., 2227 ss.

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8

Ora se la ratio del tributo è rappresentata dalla rilevanza economica del valore aggiunto,

scaturente da ogni attività autonomamente organizzata19

, diretta alla produzione o allo

scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, allora non è coerente con questa (e

sarebbe incostituzionale), l’applicazione dell’imposta ad enti e società privi del requisito

dell’autonoma organizzazione.

In altre parole, se “non è l’oggettiva natura dell’attività svolta ad essere alla base

dell’imposta”, “ma il modo in cui la stessa è svolta”, ossia sotto forma di società o enti,

allora dando prevalenza alla forma sulla sostanza, si finirebbe per colpire una «base

fittizia», un «fatto non reale», in contraddizione con una interpretazione

costituzionalmente orientata della norma sul presupposto impositivo.

Infatti, nell’ambito delle società e degli enti, esistono realtà che in concreto non possono

dirsi autonomamente organizzate nel senso dell’esistenza di un’organizzazione che non

sia semplicemente servente rispetto all’apporto personale del lavoratore autonomo, ma

abbia “carattere preminente (…) e l’apporto personale del soggetto diventi esso stesso

un fattore secondario, nell’ambito di una struttura organizzata per la produzione di

servizi dotata di una propria autonomia”20

. Si pensi alle società la cui attività è

organizzata principalmente con il lavoro dei soci. In questo caso “è possibile prospettare

situazioni equivalenti all’auto-organizzazione delle persone fisiche, per l’esclusività

dell’apporto di lavoro «personale» dei componenti la compagine sociale, distinto dalla

funzione di gestione”21

.

19

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ha sancito la legittimità

costituzionale dell'imposta osservando che "l'IRAP non è un'imposta sul reddito, bensì un'imposta di

carattere reale che colpisce ... il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate". Per

un commento alla sentenza della Corte Costituzionale v. BASILAVECCHIA, IRAP legittima per la

Consulta ma possibile l’esclusione per i professionisti “privi di organizzazione”, in Rass. Trib., 2002,

291; MARONGIU, Dalla Corte Costituzionale apertura sui presupposti per l’applicazione dell’IRAP al

lavoro autonomo, in Riv. Giur. Trib., 2001, 985 ss. 20

Così PANSIERI, I redditi di lavoro autonomo, cit., 165, in materia di reddito di lavoro autonomo, ma

si ritiene che tale descrizione sia quella più idonea a chiarire il concetto di attività autonomamente

organizzata ai fini IRAP. 21

In tal senso SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, cit., 290.

Cfr. BODRITO, Non pagano l’IRAP le imprese individuali prive di autonoma organizzazione, in Corr.

Trib., 2010, 2943 il quale proprio con riferimento alle società di persone fondate sul lavoro personale dei

soci, senza dipendenti o terzi collaboratori, e il cui apparato produttivo è formato dagli strumenti minimi

indispensabili alle persone dei soci, afferma che “in questo caso l’ampliamento legislativo del

presupposto dell’IRAP alle società pone dubbi di legittimità costituzionale per contrasto con la ratio del

tributo rispetto alla capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.) colpita”:

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Con riferimento alle associazioni professionali, potrebbe verificarsi il caso in cui i

professionisti abbiano deciso di svolgere l’attività in forma collettiva al solo fine di

dividersi le spese di gestione, cosicché l’organizzazione di strutture e mezzi avrebbe

solo carattere servente rispetto all’apporto personale di ciascun professionista,

risultando assente quella che la stessa Corte di Cassazione ha definito autonoma

organizzazione delle associazioni professionali, ossia la reciproca collaborazione tra

professionisti, lo scambio di competenze (con conferenze, colloqui professionali, o altre

attività «allargate»), nonché l’utilizzazione di servizi collettivi e la sostituibilità nello

svolgimento dell’attività22

.

Si pensi all’ulteriore caso in cui un’associazione professionale si avvalga di una società

di servizi per la fornitura di personale, beni e servizi vari. In tale ipotesi non può

ritenersi sussistente l’autonoma organizzazione così come intesa dalla stessa Corte di

Cassazione, la quale ha affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione

dell’attività di lavoro autonomo sussiste quando vi sia l’impiego di beni strumentali e/o

l’utilizzo di lavoro altrui, sempreché, però, il titolare sia il responsabile

dell’organizzazione23

. E’ evidente che nell’ipotesi di uno studio associato che si avvale

di servizi in outsourcing, il titolare responsabile dell’organizzazione non è

l’associazione professionale, ma la società di servizi, la quale, quindi, è l’unico soggetto

tenuto al pagamento dell’IRAP24

.

22

Cass. 28 ottobre 2009 n. 22781 e Cass. 7 giugno 2010 n. 13716 sulle quali FERRANTI, Ultimi

orientamenti della Cassazione sull’esclusione dall’IRAP dei professionisti, in Corr. Trib. 2010, 2778. 23

Cass., sez. trib., 18 aprile 2007 n. 9214, in Banca dati Big Unico on-line. Sull’autonoma organizzazione

dei lavoratori autonomi v. Cass. Civ., sez. trib., 16 febbraio 2007 n. 3678 con nota di BODRITO,

Decidendo sul presupposto IRAP per i professionisti la Suprema Corte demanda ai giudici di merito la

valutazione del caso concreto, in Riv. Giur. Tib., 2007, 395 ss.. 24

Di contrario avviso, in dottrina, è SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili

sistematici, cit., 312, il quale, riferendosi all’appalto di servizi, ritiene che “il potere sui fattori produttivi e

l’attività gestionale vadano riconosciuti per il loro significato sostanziale”, per cui non sarebbe coerente

“consentire l’elusione del prelievo” a soggetti che si avvalgono di dipendenti e beni altrui, “conseguendo

benefici equivalenti sul piano economico a colui il quale li organizzi in proprio”. Tuttavia è da

considerare che il riferimento all’elusione può risultare inconferente in tutti quei casi in cui il

comportamento del contribuente risponda a ragionevoli scelte economiche, non aggiri obblighi e divieti,

risulti espressivo di logiche di fisiologica applicazione degli istituti giuridici, ecc. E, soprattutto, non è

possibile parlare di elusione laddove il prelievo IRAP risulti configurabile in capo al soggetto erogatore

del servizio. In altre parole, nel caso in cui il soggetto che eroga il servizio in outsourcing sia

“autonomamente organizzato” ai fini IRAP, l’imposta sarà versata da questi e l’ applicazione dell’imposta

anche nei confronti del fruitore dei servizi violerebbe il divieto di doppia imposizione. Diversa potrebbe

essere, invece, l’ipotesi in cui un soggetto usufruisca di servizi prestati da più lavoratori autonomi “non

autonomamente organizzati”; in questo caso si potrebbe ipotizzare un comportamento elusivo, dal

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Inoltre, ammettendo l’assoggettabilità ad IRAP sia dello studio associato sia della

società di servizi, due soggetti diversi verrebbero tassati per il medesimo presupposto,

in quanto l’autonoma organizzazione rilevante per la tassazione dell’associazione

sarebbe la medesima di quella già assunta come presupposto per la tassazione della

società di servizi. Tale soluzione andrebbe, quindi, a violare il divieto di doppia

imposizione previsto dall’art. 163 TUIR, secondo il quale “la stessa imposta non può

essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti

di soggetti diversi” 25

, nonché desumibile dall’art. 53 Cost.26

.

Pertanto, alla luce di quanto sin qui esposto, deve ritenersi che il significato della

disposizione secondo cui “l’attività esercitata dalle società ed enti costituisce in ogni

momento che né gli erogatori né il fruitore dei servizi sarebbero tenuti al pagamento dell’IRAP. Sotto

altro profilo, RICCIONI, Irap e lavoro autonomo nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in

Fisco, 2007, 3095 ss., ritiene che il “lavoro altrui” rilevante ai fini della sussistenza dell’autonoma

organizzazione è quello organizzato e regolato dal professionista mediante un rapporto di lavoro

subordinato o parasubordinato”. In giurisprudenza ritengono assoggettabili ad IRAP, in quanto

autonomamente organizzati, gli studi associati che si servono di società di servizi: Cass, ord. del 25

maggio 2009 n. 12078 e Cass., 28 aprile 2010, n. 10151. L’Agenzia delle Entrate, con circolare n. 28 del

28 maggio 2010, in www.agenziaentrate.it, ha ribadito quanto già sostenuto nella circolare n. 45/2008,

cit., ossia che “ai fini della verifica dell’autonoma organizzazione rileva comunque la disponibilità di beni

strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell’attività, anche qualora non

vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da terzi, a qualunque titolo”. 25

Sul divieto di doppia imposizione interna v. STEVANATO, Divieto di doppia imposizione e capacità

contributiva, in AA.VV., Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di L. PERRONE e C.

BERLIRI, Napoli-Roma, 2006, 69 ss. e FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2003, 224 ss., il quale

ricorda come nonostante la dottrina prevalente attribuisca all’art. 127 TUIR (ora art. 163) portata di

principio generale nel nostro ordinamento e dunque eccedente l’ambito delle imposte sul reddito in cui la

stessa è posta, la stessa venga, invece, “svalutata dalla giurisprudenza fino a ridurla ad un mero criterio di

interpretazione in presenza di norme contrastanti ovvero ad espressione del principio del ne bis in idem

inteso come divieto di reiterazione di atti di imposizione in relazione allo stesso presupposto” (Cass. 27

aprile 1984 n. 4921 e Cass., 7 ottobre 1992 n. 10937). L’autore aggiunge che con “riferimento all’identità

del presupposto, la dottrina ritiene che esso non vada inteso in senso giuridico, dunque quale fattispecie

imponibile, bensì in senso economico, di connessione economica e giuridica tra elementi oggettivi e

soggettivi dell’imposta; ciò si desumerebbe altresì dalla rilevanza del riferimento dello stesso fatto

economico pur a soggetti diversi”. Considera il divieto di doppia imposizione quale espressione del

principio del ne bis in idem PORCARO, Il divieto di doppia imposizione nel diritto interno, Padova,

2001, 62 ss. il quale ritiene che nel caso in cui siano emessi atti di accertamento nei confronti di soggetti

diversi per il medesimo presupposto, proprio in virtù del principio di cui all’art. 127 (ora 163) TUIR,

sussiste la necessità di eliminare gli effetti prodotti dal secondo atto di imposizione, anche se rivolto

all’effettivo contribuente. 26

Sul punto v. STEVANATO, Divieto di doppia imposizione e capacità contributiva, cit., 75, il quale

sottolinea che “il divieto di plurime imposizioni sullo stesso presupposto (…) a carico di soggetti diversi,

appare una proiezione dell’art. 53 Cost., che, nel sancire il dovere di concorrere alle spese pubbliche in

ragione della capacità contributiva da ciascuno appalesata, non tollera né imposizioni a carico di soggetti

che non hanno manifestato gli indici di capacità contributiva indicati dalla legge, nè, …, plurime

applicazioni della stessa imposta, o di imposte formalmente diverse, in relazione allo stesso presupposto,

sia a carico dello stesso che di soggetti diversi”.

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caso presupposto di imposta” non può essere quello secondo cui per questi soggetti, il

fatto di svolgere l’attività economica in forma collettiva, implicherebbe di per sé

l’esistenza dell’autonoma organizzazione, con la consequenziale irrilevanza

dell’accertamento in concreto di tale specifico requisito27

.

Una tale interpretazione darebbe luogo a dubbi di legittimità in ossequio a

quell’orientamento della Corte Costituzionale secondo cui, in materia tributaria, è

ammissibile l’uso delle presunzioni in merito alla sussistenza del presupposto

impositivo purché si tratti di presunzioni relative, mentre le presunzioni assolute

violerebbero il principio di capacità contributiva 28

.

La ratio di tale disposizione deve, quindi, essere ricercata nel passato, quando, prima

della modifica apportata dal d.lgs n. 137/199829

, l’art. 2 del d.lgs. 446/97 così recitava

“presupposto dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività diretta alla produzione o

allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L'attività esercitata dalle società

e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni

caso presupposto di imposta”; laddove l’esistenza del presupposto dell’imposta “in ogni

caso” sembra correlarsi solo con l’abitualità e l’oggetto ( produzione e scambio di beni e

servizi)30

. In tale contesto, quindi, la seconda parte della norma sembra trovare la sua

27

Cfr. S.F. COCIANI, L’autonomia tributaria regionale, Milano, 2003, 281 ss.; SCHIAVOLIN,

L’imposta regionale sulle attività produttive, in AA.VV., Manuale di diritto tributario, Parte Speciale, a

cura di FALSITTA, Padova, 2010, 940 ss.; ID, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili

sistematici, Milano, 2007, 290, secondo il quale la regola prevista per le società e gli enti “sembra

significare che l’autonomia organizzativa sia realizzata dalla struttura istituzionale o plurisoggettiva”.

L’autore, comunque, esprime dubbi “sulla ragionevolezza della tassazione generalizzata” delle società ed

enti. 28

Sul punto FANTOZZI, Gli studi di settore nell’accertamento del reddito di impresa, in AA.VV.,

Diritto Tributario e Corte Costituzionale, cit., 401; TINELLI, L’accertamento sintetico del reddito

complessivo, ibidem, 377. La Corte Costituzionale con sentenza del 23-7-1987 n. 283, chiamata a

pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli accertamenti sintetici per la determinazione del reddito,

evocando la pregressa giurisprudenza costituzionale, ha affermato che le presunzioni tributarie non sono

di per sé illegittime “purché si fondino su indici concretamente rilevatori di ricchezza ovvero su fatti reali,

quand’anche difficilmente accertabili, idonei a conferire una base non fittizia (Corte Cost. 26-3-1980 n.

42). In particolare è stata sottolineata la necessità che le presunzioni, per poter essere considerate in

armonia con il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione, siano confortate

da elementi concreti che le giustifichino razionalmente (Corte Cost. 28-7-1976 n. 200)”. La Corte

richiama specificamente due sentenze (Corte Cost. 3-7-1967 n. 77; 18-7-1968, n. 99) - ai nostri fini di

assoluto rilievo - le quali negano l'illegittimità costituzionale delle presunzioni iuris tantum dal momento

che le stesse garantiscono al contribuente la possibilità di dare la prova contraria. 29

Il d.lgs. 137/1998 ha, infatti, inserito l’aggettivo “autonomamente organizzata” nel primo periodo

dell’art. 2 del d.lgs. 446/97 ma non ha modificato la seconda parte dell’articolo stesso. 30

In tal senso SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, cit., 290, il

quale sostiene che la mancata modifica della regola relativa alle società e agli enti a seguito del

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giustificazione, in primo luogo, nella necessità di includere anche “le attività degli enti

non commerciali e delle amministrazioni pubbliche (potendosi altrimenti dubitare che

realizzino cessioni di beni o prestazioni di servizi, p. es. i servizi indivisibili rivolti alla

generalità dei cittadini)”31

. Per quanto riguarda le società, la disposizione potrebbe

essere interpretata nel senso che costituisce presupposto dell’IRAP qualsiasi attività da

essi compiuta, indipendentemente dalla sussistenza del requisito dell’abitualità e della

destinazione alla produzione e allo scambio di beni e servizi32

.

Preso atto di questa interpretazione, si ritiene che, nonostante la mancata modifica della

seconda parte dell’art. 2 del d.lgs. 446/97, l’aggiunta, nel 1998, del requisito

dell’autonoma organizzazione, comporti oggi la necessità di un ulteriore passaggio

logico. Pertanto, se è vero che le società e gli enti sono assoggettabili ad IRAP

indipendentemente dal tipo di attività svolta, è però necessario che tale attività sia

“autonomamente organizzata” e che tale requisito sia accertato di volta in volta.

cambiamento del presupposto impositivo “sembra dipendere da una valutazione di compatibilità

sistematica (dalla convinzione, cioè, che non ne derivasse un’antinomia), assai meno significativa, ai fini

esegetici, di un discorso legislativo contestuale”. 31

In tal senso SCHIAVOLIN, L’imposta regionale sulle attività produttive, in AA.VV., Manuale di

diritto tributario, parte speciale, cit., 940 ss. 32

Cfr. GALLO, Imposta regionale sulle attività produttive, Enc. Dir., agg., 2001, 662.