Ipermoderno Libre (1)

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rivista semestrale anno XXIII terza serie numero 64 luglio/dicembre 2011 allegoria 64 per uno studio materialistico della letteratura G. B. PALUMBO EDITORE

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ipermodrno

Transcript of Ipermoderno Libre (1)

  • rivista semestrale

    anno XXIII

    terza serie

    numero 64

    luglio/dicembre 2011

    allegoria64

    per uno studio

    materialistico

    della letteratura

    G. B. P A L U M B O E D I T O R E

  • Il tema:

    La letteratura

    degli anni Zero

    Teoria e critica

    a cura

    di Raffaele Donnarumma

    e Guido Mazzoni

    9

    Romano Luperini

    Otto tesi sulla condizione

    attuale degli intellettuali

    15

    Raffaele Donnarumma

    Ipermodernit: ipotesi

    per un congedo dal

    postmoderno

    51

    Andrea Cortellessa

    La terra della prosa

    80

    Gilda Policastro

    Leditoria degli anni Zero

    nel circuito chiuso della

    comunicazione

    culturale

    97

    Gianluigi Simonetti

    Nostalgia dellazione.

    La fortuna della lotta

    armata nella narrativa

    italiana degli anni Zero

    125

    Daniele Giglioli,

    Gilda Policastro

    A partire da Senza

    trauma. Conversazione

    sulla critica

    135

    Domenico Conoscenti

    Amore, amicizia

    e omosocialit

    nel Novellino

    e nellUr-Novellino

    153

    Giuliana Petrucci

    Eusebio a Irma:

    occasioni biografiche

    e occasioni poetiche

    176

    Daniela Brogi

    Tra letteratura e cinema.

    Pavese, Visconti

    e la funzione Cain

  • Tremila battute

    198

    Letteratura e arti

    Andrea Zanzotto

    Tutte le poesie

    (Felice Rappazzo)

    Gabriel Del Sarto

    Sul vuoto (Maria Borio)

    Gian Mario Villalta

    Vanit della mente

    (Maria Borio)

    Alba de Cspedes

    Romanzi (Lucinda Spera)

    Giacomo Sartori

    Cielo nero

    (Andrea Inglese)

    Paolo Sortino

    Elisabeth

    (Maria Anna Mariani)

    Franco Arminio

    Terracarne (Michele Sisto)

    Marco Mancassola

    Non saremo confusi per

    sempre (Marco Mongelli)

    Lutz Seiler

    Il peso del tempo

    (Marit Rericha)

    Alan Bennett

    Due storie sporche

    (Clotilde Bertoni)

    Johanna Skibsrud

    The Sentimentalists

    (Guido Furci)

    Cline Sciamma

    Tomboy (Elena Porciani)

    David Cronenberg

    A Dangerous Method

    (Anna Baldini)

    Matt Porterfield

    Putty Hill (Guido Furci)

    Luc e Jean-Pierre

    Dardenne

    Le Gamin au vlo

    (Guido Furci)

    Glenn Adamson,

    Jane Pavitt (a cura di)

    Postmodernism. Style and

    Subversion 1970-1990

    (Stefano Jossa)

    Irina Vakar,

    Elena Voronovic,

    Matteo Lafranconi

    (a cura di)

    Aleksandr Deineka.

    Il maestro sovietico della

    modernit

    Matthew Bown,

    Evgenija Petrova,

    Zelfira Tregulova

    (a cura di)

    Realismi socialisti. Grande

    pittura sovietica 1920-

    1970 (Daniele Balicco)

    215

    Saggi

    Lev N. Tolstoj

    Che cosa larte

    (Michele Sisto)

    Franco Fortini

    Lezioni di traduzione

    (Irene Fantappi)

    Giovanni Jervis

    Il mito dellinteriorit

    (Giuseppe Corlito)

    Furio Jesi

    Cultura di destra

    (Massimo Bonifazio)

    Mario Lavagetto

    Quel Marcel!

    (Valentino Baldi)

    Enrico Testa

    Una costanza sfigurata

    (Damiano Frasca)

    Alex Ross

    Senti questo

    (Guglielmo Pianigiani)

    Paolo Zanotti

    Dopo il primato.

    La letteratura francese

    dal 1968 a oggi

    (Massimiliano Tortora)

    Luigi Zoja

    Paranoia. La follia che

    fa la storia

    (Federico Francucci)

    Christian Caliandro,

    Pier Luigi Sacco

    Italia Reloaded.

    Ripartire con la cultura

    (Anna Baldini)

    sommario luglio/dicembre 2011

  • 1. Quando cominciano gli anni Zero?

    Gli anni Zero, se per essi dobbiamo intendere una nuova fase culturalee letteraria della contemporaneit, cominciano a met degli anni Novanta:non con linizio del nuovo millennio, che una data di comodo, e nep-pure con l11 settembre 2001, che infatti si presta a una lettura postmo-derna o, al contrario, sancisce mutamenti gi avviati. La stessa ambiguitaveva segnato gi la prima guerra del Golfo (1990-1991) e le guerre nel-lex-Jugoslavia (1991-1995): eventi cos obbiettivamente gravi sono statianche quelli che hanno pi alimentato il mito della cancellazione me-diatica della realt e della fine dellesperienza. Eppure, il mutamentocera; le contraddizioni stavano strappando il velo di un ordine che soloper illusione o malafade si voleva ammettesse pochi assestamenti.

    Resta difficile precisare il rapporto tra fenomeni culturali e fatti storici,tanto pi dove cultura e fatti si muovono entrambi con velocit diverse ein parte nascondendosi luna agli altri. Una volta rinunciato al causalismo,storia e storiografia letteraria entrano in un regime di analogia o conco-mitanza che non ha nessuna garanzia a priori, e che per continuiamoa percepire. Non occorre affatto essere storicisti volgari per credere che,nonostante tutto e tra continui sfasamenti, la letteratura sta nella storia.E cos il vecchio adagio, secondo cui non si pu dare storia del presente, smentito ogni giorno dalla pratica di chi, soprattutto se fa critica mili-tante, presuppone un disegno storiografico almeno implicito. Qui, dun-que, si tratter di giocare a carte scoperte. Anzitutto, bisogna riconoscereche militanza e storiografia non coincidono: segnalare un mutamento diquadro non significa metterlo sotto la coazione al giudizio di valore. Trop-po spesso, infatti, una forma affrettata di critica militante crede che suocompito sia elogiare e deprecare, e che ogni attivit di lettura vada postasotto questa necessit che, alla fine, vizia lo sguardo. Non nascondo affattodi accogliere con sollievo la fine di quel postmoderno che, in Italia, ha

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    allegoria64

    Raffaele Donnarumma

    Ipermodernit: ipotesi per un congedodal postmoderno

  • Il tema:

    La letteratura degli anni Zero

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    Raffaele

    Donnarumma

    conosciuto versioni molto deludenti. Negli anni scorsi, dire che il postmo-derno si era concluso significava in realt dire che doveva concludersi;annunciare adesso una fase differente significa anche incoraggiarla. Nonmi faccio per illusioni sulla capacit della critica di orientare gli scrittori:la critica unattivit seconda, sta a lei accordare il passo con la libertdi chi scrive, e non certo il contrario. Giudizio e storiografia sono in unrapporto circolare: non si disegna una mappa se non si prima capitocosa merita di essere segnalato, e non si apprezza il singolo oggetto senon si ha un quadro dellinsieme. Ma il giudizio di cui si parla qui non necessariamente quello estetico. Se la storiografia letteraria del passato, credo, anzitutto una storiografia del canone, la storiografia del presente anzitutto una storiografia dei sintomi. Anche quando vuole suggerireun canone sa che, per costruirlo davvero, ci vorr il lavoro del tempo. Az-zardare previsioni su cosa rester una trappola: gli sforzi che val la penadi compiere sono cercare di capire quanto accade e individuare i problemiche meritano una discussione, accantonando quelli ingannevoli o ormaiesauriti.

    2. Dopo il postmoderno

    Annunciata pi volte, respinta con sufficienza, messa in dubbio per cautelao avversata con rivendicato spirito di parte, la fine del postmodernismo ormai entrata nel senso comune. Eppure, quali siano i tratti di questanuova fase culturale, quando sia iniziata, come pure che nome darle, sonoquestioni che cominciamo appena a discutere o sulle quali, al contrario,non si ancora discusso.

    Il declino generale, anche se non incontrastato, delle poetichepostmoderniste data alla met degli anni Novanta.1 Esso coincide anzituttocon la senescenza delle parole dordine della testualizzazione del mondo,del labirinto, dellautoriflessivit, della riscrittura, del manierismo, dellaparodia bianca, e coincide con una riconsiderazione sia delle tradizionidel realismo, sia delleredit modernista. Confrontare i libri che si sonodiscussi nel 2000 e nel 2010 con quelli di cui si discuteva nel 1980 o ancoranel 1990 permette di misurare intuitivamente e subito questo cambio diregistro. Per le arti figurative, Hal Foster data gi allinizio degli anni No-vanta una frattura, segnata dalla svolta verso il reale e verso il referente,dal presentarsi della realt sotto forma di trauma e da un ritorno delsoggetto nella profondit sociale della sua identit.2 Tuttavia, il muta-mento di clima culturale, artistico e letterario non coincide affatto con

    1 Rimando per questo al mio Nuovi realismi e persistenze postmoderne: la narrativa italiana di oggi, inallegoria, 57, 2008, pp. 29-54.

    2 H. Foster, Il ritorno del reale. Lavanguardia alla fine del Novecento [1996], Postmedia Books, Milano2007, p. 127.

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    Ipermodernit:

    ipotesi per un

    congedo dal

    postmoderno

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    uneclissi del mondo della vita postmoderna. I vecchi idoli della fine dellastoria, dello sciopero degli eventi, della morte del soggetto sono ormaitramontati; ma non assistiamo n alla fine del tardocapitalismo e del neo-liberismo (le cui crisi, per allarmanti che siano, sono le febbri di crescenzadel Leviatano, anzich la sua agonia), n alladdio dalle mutazioni nellapercezione e nellimmaginario prodotte dallinformatica e ormai diventateuna nostra seconda natura. In un certo senso, il processo che si impostodalla met degli anni Sessanta ha subito unaccelerazione e unespansioneplanetaria che ne dichiara il trionfo; e dallaltra, sono caduti lironia,lanything goes e il laissez faire postmoderni nei quali molti hanno ricono-sciuto unideologia organica a quegli anni, o forme di scetticismo troppodeboli per poterli contrastare davvero. Se allora il postmoderno si pen-sato come lepoca della fine della storia e dei conflitti, in questa nuovafase la storia si rimessa in moto, i conflitti prendono di nuovo a mani-festarsi, lattrito fra vita intellettuale e assetti politico-economici tornatoa essere produttivo.

    Che nome dare a questo cambiamento, che sta in un atteggiamentodiverso rispetto al dominio e allarroganza del tardocapitalismo, anzichin una trasformazione radicale di quei modi di produzione? In Italia, si parlato di ritorno alla realt e di neomodernismo, suscitando opposizionianche violente. Il rifiuto pi deciso quello di Carla Benedetti, che, con-dannando severamente la dimensione chiusa, antropocentrica, cultura-lista costruita sulle strutture di pensiero della modernit, con la sua vo-cazione mortificante al disincanto e allastrazione, polemizza e ironizzasui ritorni, del moderno o alla realt che siano. Cos, riconoscendo chela nostra epoca non si presenta pi come postmoderna ma neppure,e a maggior ragione, pu definirsi moderna, scredita tutte le cerimoniedi nominazione (almeno, storiche).3 Quanto a lungo, per, si pu salvarelapertura e limpensato del presente? Con il passare del tempo, dovremopur farcene qualche concetto limitandolo in possibili interpretazioni e,quindi, dargli un nome. anzi quello che cercher di fare questo saggio.Ma il punto un altro: da un lato, Benedetti schiaccia la modernit artisticasulle sole avanguardie che, come vede benissimo, sono state apologiao ideologia della modernit; dallaltro, cancella del tutto dal suo discorsoil modernismo che ha sempre esercitato una critica senza indulgenzesulla modernit e che ha raggiunto risultati incontrovertibili. Quale fu-turista, quale dadaista, quale surrealista potrebbe competere con Flauberte Baudelaire, Joyce e Woolf, Eliot e Pound, Kafka e Musil, Pirandello eSvevo, Montale e Gadda? Proiettata sul presente, questa riduzione di cam-po rivela come ci che oggi continua le avanguardie spesso quanto di

    3 C. Benedetti, Disumane lettere. Indagini sulla cultura della nostra epoca, Laterza, Roma-Bari 2010, pp.14 e 61.

  • Il tema:

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    Raffaele

    Donnarumma

    pi chiuso e autoreferenziale producano le arti; e nasconde che ci cheriprende il modernismo ha invece (per usare categorie di Disumane lettere)una capacit creativa e un genio inattesi. Sui guasti della modernit sipossono accumulare prove in abbondanza; ma il suo valore di emancipa-zione e la sua intelligenza autocritica restano, anche per chi non haber-masiano.

    Benedetti ha per del tutto ragione quando mostra che bisogna pursempre attraversare le categorie del postmoderno e che un ritorno sem-plice e letterale al moderno e alle sue poetiche sarebbe, prima che inde-siderabile, impossibile. Il postmoderno non pu essere sbrigativamentearchiviato, e occorre fare i conti con quello che ne sopravvive. Proprio inquesta prospettiva si sono tentati, fuori dItalia, una nominazione e, so-prattutto, uninterpretazione pi generale della contemporaneit. Lipotesinon si ancora affermata, resta a tratti incerta e suscita qualche dubbiosoprattutto per la fiacchezza dellargomentazione; eppure, merita di essereconsiderata. Secondo questa ipotesi, siamo entrati nellet ipermoderna.

    3. Ipermodernit

    Elaborata in Francia soprattutto da filosofi e sociologi come Paul Virilioe Gilles Lipovetsky per primi, quindi Jean Serroy, Nicole Aubert e SbastienCharles (che indulge per, talvolta, a un semplicismo disarmante), la ca-tegoria di ipermodernit ricorre in due accezioni diverse.4 Da un lato,anche se minoritariamente, alternativa e antagonistica rispetto al post-moderno, poich (come gi, in parte, la surmodernit di Aug)5 intendespiegare in modo differente fenomeni che siamo soliti riferire a quello,e che infatti ne occupano lo stesso ambito cronologico.6 Dallaltra, designainvece uno spazio che si aperto dopo il postmoderno, sostituendolo(come accade di fatto con la modernit liquida di Bauman).7 Questa am-biguit si spiega meno con unincertezza teorica e storiografica, che con

    4 Segnalo almeno G. Lipovetsky, S. Charles, Les Temps hypermodernes, Grasset, Paris 2004; LIndividuhypermoderne, sous la direction de N. Aubert, Eres, Toulouse 2004; S. Charles, LHypermoderne expliquaux enfants, Liber, Montral 2007; La Socit hypermoderne: ruptures et contradictions, coordonn parN. Aubert, LHarmattan, Paris 2011; G. Lipovetsky, J. Serroy, Lcran global. Du cinma au smartphone[1a ed. 2007, col sottotitolo Culture-mdias et cinma lge hypermoderne], Seuil, Paris 2011.

    5 Aug non propone infatti una periodizzazione, ma presenta la surmodernit come il diritto diuna medaglia di cui la postmodernit ci ha rappresentato solo il rovescio il positivo di un nega-tivo (M. Aug, Nonluoghi. Introduzione ad una antropologia della surmodernit [1992], Eleuthera, Mi-lano 2002, p. 32).

    6 Il libro che apre la riflessione di Lipovetsky Lre du vide. Essais sur lindividualisme contemporain:sebbene non parli ancora di ipermoderno, risale gi al 1983 (trad. it. Lera del vuoto. Saggi sullin-dividualismo contemporaneo, Luni, Milano 1995).

    7 Bauman ha adottato la categoria di postmodernit dalla fine degli anni Ottanta sino a tutti glianni Novanta; poi, dichiarandosene insoddisfatto, lha dismessa a partire da Liquid Modernity del2000 (trad. it. Z. Bauman, Modernit liquida, Laterza, Roma-Bari 2002).

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    Ipermodernit:

    ipotesi per un

    congedo dal

    postmoderno

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    la natura della cosa. Nellinterpretazione dei suoi studiosi, lipermodernonon segna una frattura netta, violenta e polemica rispetto al postmodernocome appunto il postmoderno aveva voluto fare con la modernit, ma uno scivolamento rispetto ad esso e pu a tratti sovrapporvisi. Perci leanalisi sullimmaginario e sul sensorio ipermoderno ripetono spesso quasiletteralmente e senza citarle le analisi di Jameson, dettagliando unquadro che conoscevamo gi. E tuttavia, parlare di ipermodernit vuoldire svelare che il proclama postmoderno delluscita dalla logica modernadel nuovo stato solo un desiderio, o forse una velleit: a smentirlo, cuninflazione di rincorse alla novit e al suo valore differenziale in moltiambiti, dalla scienza al marketing, dalla moda alle stesse arti, soprattuttofigurative.8 In questo senso, la modernit non mai finita, e quello a cuiassistiamo ora, nelleconomia o nelle tecniche, una sua continuazioneesasperata, quando non caricaturale. Questo spiega ladozione del prefissoiper-, che Lipovetsky applica a una quantit persino esorbitante di fenomenicontemporanei, parlando cos di iperindividualismo, di ipernarcisismo,di iperconsumo, di ipercapitalismo o di ipercinema: sono leccesso, lac-celerazione, liperbole a dominare nella vita pubblica e privata. La logicadella modernizzazione sembra affermarsi senza pi alcun ostacolo, ricon-ciliata con se stessa: Lipovetsky segnala perci una seconda modernit,che compie e realizza unilateralmente la prima, sostituendo al suo caratteredi negazione uno di integrazione. Cos, se per il moderno il passato eracampo di giudizi, scelte, ricontrattazioni, rifiuti, ora esso loggetto in-discriminato di celebrazioni: persa la sua esemplarit parziale, ha acquisitouna fruibilit generalizzata e anodina, erede diretta dello storicismo po-stmoderno.

    Lidea di un esodo definitivo dalla modernit accantonata: questoil passaggio dallillusione del post allinvadenza delliper. Tuttavia, il so-vraccarico sempre pronto a capovolgersi in privazione, lesaltazione inangoscia, la smania di dominio in smarrimento. Si tradisce cos una logicaviziosa: lipermoderno, che ha abbandonato la fede moderna nel pro-gresso, non crede sino in fondo alle sue promesse di felicit. Esso unacompulsione nevrotica che neutralizza i suoi stessi idoli (rapidit, novit,efficienza, fattivit) nel momento stesso in cui li innalza. Lattuale crisieconomica ne lo svelamento: la smania ipercinetica, la rincorsa a profittisempre maggiori, laffanno per una produttivit sempre pi alta sonopronti da un momento allaltro a rovesciarsi nel tracollo. Il meccanismogira a vuoto, impazzito, spente da lungo tempo le favole feroci dellet

    8 Benedetti, Disumane lettere, cit., pp. 61-81. Insieme a F. Jameson, Una modernit singolare. Saggio sul-lontologia del presente [2002], Sansoni, Milano 2003, p. 24, Benedetti ricorda che la postmodernit stata incapace di disfarsi davvero del valore supremo dellinnovazione (ivi, p. 74). Perci,la forma del moderno, svuotata due volte e ridotta a semplice differenza sincronica e snobistica, oggi il meccanismo che domina sia nellarte che fuori (ivi, p. 81).

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    Raffaele

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    di Reagan e Thatcher. Potremmo allora dire che lipermoderno la ri-sposta e in parte la conseguenza disforica al postmoderno, poich, esal-tandone i colori, finisce per virarli al nero. Il prefisso iper- depone cosogni possibile sfumatura celebrativa, e rivela il suo carico ansiogeno e in-timidatorio: liper- il dover essere della contemporaneit, la sua ossessioneprestazionale.

    Tuttavia, la crisi che non solo economica, ma riguarda la stessa so-pravvivenza del pianeta e delle specie che lo abitano ha prodotto ancheforme di consapevolezza e di attivit civile o politica alternative rispettoal riflusso degli anni Ottanta, e radicalmente diverse anche dalla conte-stazione del Sessantotto e degli anni Settanta. Le frequenti campagnedi solidariet e di mobilitazione mediatica testimoniano di una sensibilitcollettiva reale, e non possono essere liquidate come falsa coscienza, re-torica vittimaria, maschere di interessi delle multinazionali o apripistaal dominio imperialista. Analogamente, sarebbe improprio mettere in-sieme i no global, le manifestazioni contro i governi di Berlusconi, Sarkozye Cameron, la protesta degli indignados, le rivolte e i cambi di regimedellAfrica del Nord; eppure, i segni di un nuovo clima sono evidenti. qui, allora, che lipermoderno riprende la volont critica e autocorrettivadella modernit, ma dando per scontato che nessuna rivoluzione pipossibile.

    In Italia, come del resto in genere fuori di Francia, di ipermoderno si parlato e si parla ancora molto poco. Tuttavia, uneccezione da tenere inconto Massimo Recalcati, che mette giustamente in guardia da alcunisemplicismi del dibattito francese.9 Sebbene allo psicoanalista non interessiuna discussione della categoria di ipermodernit (e anzi, nel costante ri-chiamo a Lacan egli retrodata alcuni fenomeni anche a prima del po-stmoderno), Luomo senza inconscio un libro sullantropologia contem-poranea. Recalcati individua le nuove patologie emergenti e simbolichedel presente: anoressia, bulimia, crisi di panico, tossicomanie, disturbipsicosomatici richiedono una clinica della psicosi anzich della nevrosie mettono fuori gioco linconscio giacch non fanno emergere alcun ri-mosso. In questo modo, Recalcati sembra ritrarre molti personaggi con-temporanei e illuminare un atteggiamento narrativo che descrive il disagiosenza credere al profondo e alla psicoanalisi: sembrano strumenti fattiapposta per leggere Easton Ellis o Coetzee, Houellebecq e Littell, Novee Siti. In Cosa resta del padre? Recalcati analizza per una letteratura e uncinema di tuttaltro genere: Roth, McCarthy e Eastwood diventano letappe di unindagine sulla possibilit di restituire la figura del padre nel

    9 M. Recalcati, Luomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Cortina, Milano 2010; eId., Cosa resta del padre? La paternit nellepoca ipermoderna, Cortina, Milano 2011.

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    Ipermodernit:

    ipotesi per un

    congedo dal

    postmoderno

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    tempo della sua evaporazione. Laltra faccia del disagio ipermoderno, in-fatti, una volont etica che si muove con categorie meno sfuggenti diquelle postmoderne e qualitativamente diverse da esse. Lo dimostranoladdomesticamento di Lacan compiuto da Recalcati (uso lespressionenel senso in cui Habermas ha parlato di unurbanizzazione di Heideggerda parte di Gadamer), il richiamo a principi di paternit metaforica e an-tiautoritaria, la vocazione alla cura. Del resto, letteratura e cinema sonopresi sul serio e fatti oggetto di domande che riguardano lesperienza divita di chiunque: nulla a che vedere con gli interessi postmoderni che,infatti, ricadevano su un Hlderlin heidegerizzato, sul Rilke orfico e an-gelologo, o su un Kafka esoterico.

    4. Ipermodernit letteraria

    Nata dunque nella sociologia, assunta brillantemente dalla psicoanalisi,ma in attesa di definizioni filosofiche pi acute, lipermodernit non ancora diventata una categoria della storiografia e della critica letteraria e se ambisce a esserlo, sa comunque di scontrarsi, prima di tutto, conla radicata avversione alle grandi narrazioni e alla storia della letteraturache proprio il postmoderno ha consolidato. Senza dubbio, occorre pensareun modello storiografico che rifiuti il facile allineamento fra mutamentistrutturali e vita culturale, senza per rinunciare a leggere la seconda indialogo e in tensione con i primi. Se allora lipermodernit anzitutto larisposta disincantata e critica alle illusioni postmoderne, gli indizi in let-teratura non mancano affatto. La letteratura postmoderna stata accusata,da parte dei suoi avversari, di essere ideologica e organica rispetto allapostmodernit: quella dellet ipermoderna, al contrario, si mostra dasubito come critica del presente. Lipovetsky sottolinea come lipermodernonon veda solo lespansione del consumo e delledonismo (che, nella lorounilateralit, sono stati propri degli anni Ottanta in tutto il cosiddettomondo sviluppato), ma anche laffermarsi di forme di solidariet, di re-sponsabilit etica, di attivismo ecologico: una logica dellemergenza (perusare lespressione di Carla Benedetti), che impedisce di parlare di undominio attuale del nichilismo, giacch ne rappresenta un correttivo. Ladiagnosi di Lipovetsky, che si spinge a indicare laffermarsi di un nuovoumanesimo, pu convincere a patto di tenere fermo il senso del conflittoe di non scivolare, per scongiurare lapocalisse in pantofole, in un otti-mismo altrettanto comodo. La storia non ha direzioni lineari: piuttostoche credere che sia gi stato fatto e detto tutto, ci siamo abituati alla co-stanza del nuovo, senza aver fede per in nessuna favola sul progresso. Ilfuturo crea stupori di routine.

    Anche per questo, ci che mutato anzitutto la posizione intellettualedi chi scrive, e si sente chiamato a prendere la parola sul presente; con

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    Raffaele

    Donnarumma

    la conseguenza di un vistoso mutamento anche nella scelta dei temi dirappresentazione. una forma di impegno? La categoria mi sembra lasca,impropria. Anzitutto, converr ricordare che gli scrittori postmoderni,soprattutto in Italia, o preferivano non pronunciarsi sulla vita pubblica,o per farlo mettevano a punto una serie di figure dellobliquit, dellin-diretto, del mascheramento. La convinzione (espressa meglio di tutti daCalvino) era che quanto pi la letteratura parlava di s, tanto pi potevadire qualcosa del mondo ridotto cos al pendant non scritto della scrit-tura e al fantasma proiettato dalle parole, tanto ostinato nei suoi ritornie nella sua muta presenza/assenza, quanto irraggiungibile bersaglio discongiuri ed esorcismi. In nessun modo parlerei dunque di un impegnopostmoderno: anche perch le strutture di integrazione sociale, politicae culturale che limpegno prevede (i partiti-massa, la delega, linvestituradi ruolo) non solo si sgretolano a partire dagli anni Sessanta, ma sonooggetto di rifiuto e polemiche.10 Neppure, per, parlerei di impegno perlet ipermoderna, sebbene, con una netta inversione rispetto ai decenniprecedenti, scrittori e intellettuali sentano sempre pi la necessit di pro-nunciarsi in modo diretto (e cio senza maschere ironiche o metalette-rarie) sul presente. Dal punto di vista delle istituzioni politiche e culturalidi cui parlavo prima, la sostanza sembra poco cambiata, almeno in Occi-dente: il postmoderno ha segnato, sino ad ora, un punto di non ritorno.Lintellettuale o il narratore che discute le trasformazioni antropologichein atto, i conflitti etnici o la criminalit organizzata lo fa da solo, senzagaranzie ideologiche, privo di tutele partitiche, in cerca di unudienzatrasversale. Per questo, parlerei di partecipazione civile; e cos, linteressee persino linflazione di temi tratti dalla cronaca, e che vanno dal preca-riato alle vite dei cosiddetti migranti, talvolta ridicolizzati come mode emodi per fare rapidamente audience, rivelano una trasformazione che sa-rebbe miope ignorare o censurare.

    Rispetto al postmoderno, dunque, il passaggio verso lipermoderno sicompie in una pluralit di modi: scivolamento e trasformazione, enfatiz-zazione, declino e progressivo esaurimento. Pi rara, invece, lopposizioneaperta. Limitiamoci al caso italiano: se tra i critici della cultura il postmo-

    10 Postmodern Impegno. Ethics and Commitment in Contemporary Italian Culture, edited by P. Antonelloand F. Mussgnug, Peter Lang, Oxford-Bern-Berlin-Bruxelles-Frankfurt am Main-New York-Wien2009. I due curatori, che seguono J. Burns, Fragments of Impegno. Interpretations of Commitment inContemporary Italian Narrative, 1980-2000, Northern Universities Press, Leeds 2001, sono consapevoliche la formula pu suonare come a category error, a contradiction-in-terms, ma intendono li-berarla from any restrictive ideological embrace (pp. 1, 10). In questo modo, per, si scivolanella genericit e si occulta un mutamento di paradigma intellettuale sia rispetto al clima del do-poguerra, sia rispetto al costume dominante sino alla met degli anni Novanta. Non a caso, lamaggior parte dei saggi del volume esamina proprio larco cronologico che qui chiamo ipermo-derno.

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    Ipermodernit:

    ipotesi per un

    congedo dal

    postmoderno

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    derno ha avuto avversari dichiarati e tenaci sin dagli anni Ottanta, gliscrittori di oggi che rivendichino la necessit di un distacco dal recentepassato sono pochi (e anzi, non sono mancati coloro che a inizio anniZero si sono pronunciati per un postmoderno italiano pi deciso e ag-gressivo). Moresco ha combattuto, in Calvino, tutta unidea di letteratura;i Wu Ming hanno fatto di New Italian Epic il manifesto del ripudio deigiochetti manieristici e autoreferenziali; eppure, Saviano presenta lasua volont di una parola diretta ed efficace come un recupero dellalezione di Pasolini, piuttosto che come una presa di distanza da altri.

    Riconosciuta questa postura, e individuati alcuni temi dellimmaginariocontemporaneo, resta da chiarire provvisoriamente se si possano ricono-scere alcune forme di un ipermoderno letterario.

    5. La svolta narrativa. Fiction/non fiction

    Uno dei primi mutamenti della letteratura a partire dalla met degli anniNovanta lemergere di scritture di non fiction cui ha fatto seguito, al-meno in Italia e pi di recente, un uso sempre pi esteso delle etichettefiction e non fiction.11 La stessa adozione di queste categorie ridisegna ilpanorama: non solo essa definisce nuovi confini per il letterario, impe-dendo una distinzione semplicistica fra giornalismo e letteratura, cronacae romanzo, ma corrode il modo in cui siamo abituati a pensare la lette-ratura che, del resto, non pu essere tutta messa sotto letichetta di fic-tion. Il discrimine diventa, infatti, lempiricamente dato, sul quale ognipretesa di verit rischia di essere schiacciata. La distinzione tra fiction enon fiction dunque largamente abusiva e, per certi versi, primitiva erozza. Tuttavia, occorre riconoscerle un ruolo decisivo come sintomo delmutamento in atto: dove infatti il postmoderno affermava che tutto fic-tion, e operava per la trasformazione in fiction degli elementi tratti dallacronaca e dalla storia, lipermoderno vede una resistenza alla finziona-lizzazione, che si compie (ma neppure l incontrastata) nel dominio deimedia vecchi e nuovi. Letichetta stessa di non fiction, che non riesce adesignare il proprio oggetto se non in negativo, rivela che questo va strap-pato appunto alla fiction.

    Come leggere questa produzione? Latteggiamento che ha preso piede quello di individuare la quantit di artificio, e quindi il tasso di fiction,

    11 Rimando, per questo, al mio Angosce di derealizzazione. Non fiction e fiction nella narrativa italiana dioggi, in Finzione, cronaca, realt. Scambi, intrecci e prospettive nella narrativa italiana contemporanea, acura di H. Serkowska, Transeuropa, Massa 2011, pp. 23-50. S. Ricciardi, Gli artifici della non-fiction.La messinscena narrativa in Albinati, Franchini, Veronesi, Transeuropa, Massa 2011, mette a fuocoproblemi e novit anche prima delluscita di Gomorra. Trovo giusto sostenere linsensatezza dicontinuare a definire la non-fiction in opposizione alla fiction (ivi, p. 15), ma resta la necessit didistinguere i due campi.

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    iscritto nella non fiction. Si tratta di una mossa in apparenza controintui-tiva, giacch cerca, se non il falso l dove si fa mostra del vero, almeno ilmediato e il costruito l dove dovrebbero esserci limmediato e il ripro-dotto. Invece, una mossa ambigua e poco convincente. Da un lato, lideache ogni scrittura sia artificio e fiction stabilmente insediata nella dottrinacritica e nella cultura postmoderna: riaffermarla una volta di pi vuoldire occultare un cambiamento di paradigma. Gomorra non Hylarotra-goedia: questa letteratura combatte la finzionalizzazione universale, proprioperch ci fa i conti. Dallaltro lato, infatti, una lettura come questa sembracoltivare in negativo il mito di una mimesi diretta e immediata, nella qualenon si vede chi possa credere se non appunto, alla fine, i suoi denegatori.Ogni rappresentazione ha una forma, ogni racconto costruito, ogniscrittura in senso strettamente letterale un artefatto; ma questo nonsignifica che ogni rappresentazione, ogni racconto, ogni scrittura sia fic-tion, cio (e qui scatta lambiguit del termine) finzione, menzogna, in-ganno.

    Certo, e pure nella loro variet, queste forme di narrazione recuperanospesso stilemi del vecchio romanzo, demoliti dallantinaturalismo moder-nista (quando non dallo stesso naturalismo) e ormai caduti in desuetudine:la ricostruzione delle circostanze di tempo e di spazio, la descrizione, lapresentazione dei personaggi, il ritratto psicologico tipico, lo scrupolodocumentario. Tuttavia, da un lato letichetta di non fiction novel non sem-pre si pu adattare a questi libri; dallaltro, essa impedisce di vederne lanovit, che sta fuori di una pur effettiva ripresa della tradizione otto-no-vecentesca o, per meglio dire, di una scelta, al suo interno, di elementicui prestare un altro ruolo. Di fatto, difficilmente questi libri riprendonola narrazione progressiva e comunque obbligatoriamente orientata delromanzo. Gli esempi italiani sono parlanti. In Campo del sangue e nellaCitt dei ragazzi di Affinati, o in Maggio selvaggio di Albinati, la progressionesembra mantenuta, poich se ne assume la forma pi elementare: il mo-dello infatti il diario, ora esibito, ora nascosto. Eppure, sebbene registrinoi fatti nel punto pi vicino al loro svolgersi, questi diari sono estranei allateleologia romanzesca, nonostante la riscrittura finale; inoltre, il raccontosvaria di continuo in una riflessione e in un diario di letture (di qui la fre-quenza di estese citazioni da opere altrui) che si sottraggono a una tem-poralit narrativa lineare. Anche per quei libri che hanno fatto invocarecon qualche maggiore pertinenza il non fiction novel, la categoria mi sembraimpropria. In Gladiatori di Franchini, in Cibo di Janeczek o in Gomorra ilpasso saggistico e dimostrativo consente un andamento narrativo abba-stanza rapsodico e rivela una strutturazione tematica. Cos, elementi e at-mosfera della letteratura di genere e del poliziesco o noir (reperibili inGomorra o ancora nellAbusivo di Franchini) sono dissolti in una strutturache pu rinunciare al primo motore di quella narrativa: la suspense. Sem-

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    mai, conta che per una materia potenzialmente saggistica questi autoriabbiano scelto invece una forma comunque narrativa (e, val la pena diripetere, non romanzesca). Come molti critici degli ultimi decenni, essicredono che il racconto sia un modo del pensiero e della comprensione.E, in questo, stanno in quel successo dello storytelling che si manifestatoanche nel marketing a partire dalla met degli anni Novanta, cio in sin-cronia con lipermoderno.12 Ben inteso, i narratori possono avere fini di-vergenti da quelli dei pubblicitari (anche se nulla garantisce che i primisiano tutti animati dallintento di demistificare, e i secondi chini solo sullamistificazione); eppure, come loro, cercano forme di racconto che, cadutele grandi narrazioni, consentano di orientare la comprensione del quo-tidiano facendo leva anche sulla soggettivit e lemotivit e spesso propo-nendo modelli positivi di comportamento. Se il postmoderno era statosegnato dalla svolta linguistica, lipermoderno segnato invece da unasvolta narrativa.

    Di fatto, il non fiction novel (quello alla In cold blood, insomma) da noipaga dazi cos pesanti, da riuscirne trasformato. Se moltissimi noir hannoaccolto elementi riconoscibili della cronaca, li hanno per piegati a ungenere cos codificato, da imporre schemi rappresentativi e interpretativicostretti e immiserenti. Daltro lato, significativo che anche dove lempiriasia mostrata e inseguita con particolare accanimento, gli effetti possanoessere opposti rispetto a quelli del non fiction novel. In Elisabeth, Sortinoracconta la vicenda di Elisabeth Fritzl, che, sequestrata dal padre e vio-lentata, partorisce i figli nati dallincesto. Eppure, dove un non fiction novelavrebbe mosso verso laccertamento dei fatti e la ricostruzione documen-taria, animato dal pathos della rivelazione di verit ignote, qui, al contrario,si parte da quanto cronache e processi hanno gi detto, per andare versola visionariet e lambiguit.13 Del resto, mentre la non fiction indaga conestreme cautele il mondo interiore dei personaggi che mette in scena, eal quale si pu avere accesso solo a patto di cedere loro direttamente laparola, Sortino ritaglia proprio sul mondo interiore lo spazio dellinven-zione, secondo la pi classica delle poetiche romanzesche.14

    6. Documenti: poetiche della realt e declino dellautonomia estetica

    Elisabeth a parte, dunque, converrebbe chiamare questi libri di non fictionnarrazioni documentarie, in ragione del modo in cui sono costruiti. Se

    12 Ch. Salomon, Storytelling. La Machine fabriquer des histoires et formater les esprits, La Dcouverte,Paris 2007.

    13 G. Simonetti, Il sottosuolo. Su Elisabeth di Paolo Sortino (e sul romanzo contemporaneo), in http://www.le-paroleelecose.it/?p=993.

    14 D. Cohn, The Distinction of Fiction, The Johns Hopkins University Press, Baltimore- London 1999.

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    ne mette in luce cos solo un lato (fra gli altri, ci sono, come abbiamovisto, la tendenza al saggismo e, come vedremo, una poetica testimoniale);eppure un lato determinante, che permette di scansare qualche equi-voco. In primo luogo, quello della referenzialit: non solo perch referentesarebbe usato qui in modo inesatto (anche lippogrifo e don Chisciotte,in termini linguistici, hanno un referente), ma perch non si pu nascon-dere lo scandalo pi duro da digerire, e cio che questa letteratura, po-nendo dei limiti allinvenzione e misurandosi con lempirico, minacciala nostra stessa idea consueta di letteratura. Parlare di documenti, invece,vuol dire da subito allontanare lo spettro di un accesso immediato allarealt: il documento un atto scritto, sottoposto a una validazione pub-blica, in cui chi scrive si assume una duplice responsabilit di fronte allacosa e di fronte a coloro cui si rivolge.15 Dichiarando una conformit alvero, il documento impegna eticamente chi lo produce o lo riporta, nefonda lautorevolezza, ma insieme ne limita la soggettivit. La realt, in-somma, non oggetto di alcun rispecchiamento, ma viene messa nel cam-po di una contrattazione sociale. Realt, appunto, con il suo corredo dicronache, casi giudiziari, vicende da studio sociologico, tabelle statistiche.Continuo a preferire la banalit di questa designazione, perch ci di cuiparliamo qui s qualcosa che oppone resistenza alla scrittura, ma non quello che Lacan ha definito Reale, e che diventato costume richiamaresempre pi spesso. Questo non esclude affatto che, in altri casi, ci si trovidi fronte a forme di realismo traumatico, analoghe a quelle di cui parlaFoster per Wahrol, intendendole come ripetizione anzich riproduzionemimetica.16 La loro retorica narrativa sar per di altro tipo, e si fondersu figure di rimozione, spostamento, elusione: il problema sar aggirareun non dicibile, piuttosto che inscenarlo in una coazione (che, del resto,chiederebbe forme sperimentali di frammentazione del plot).17 Il docu-mento muove invece in direzioni che hanno poco a che fare con il trauma,n basta che il trauma, vero o potenziale, sia materia del contenuto. Fainsomma bene chi mette in guardia dagli abusi che questultimo concettoconosce oggi.18 Anche per questa via, si apre una sensibile asimmetria traqueste poetiche di realt e il ritorno del reale di cui Foster ha parlato giu-stamente per le arti figurative. Del resto, mentre l molto forte la con-

    15 Su questi temi ha costruito la sua ontologia degli oggetti sociali M. Ferraris, Documentalit. Perch necessario lasciar tracce, Laterza, Roma-Bari 2009. Per quanto apprezzi il rasoio di Ockham, le tesidi questo libro mi appaiono segnate talvolta da un certo semplicismo (a Platone, Kant e Nietzschesi contrappone con affabile baldanza la retorica del banalmente). Tuttavia, la radicalit di Ferrarismi pare molto adatta a spiegare i termini in cui si pone oggi il dibattito intorno a letteratura erealt, fiction e non fiction.

    16 Foster, Il ritorno del reale, cit., pp. 133-145. 17 Ne accenno in Nuovi realismi e persistenze postmoderne, cit., pp. 44-47. 18 D. Giglioli, Senza trauma. Scrittura dellestremo e narrativa del nuovo millennio, Quodlibet, Macerata

    2011, pp. 7-11.

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    tinuit con le avanguardie, in letteratura stato compito del postmodernoliquidarle, cos che, oggi, esse appaiono lontane o destinate a riemersionisporadiche e localizzate.

    Se dunque nei libri di non fiction si affollano citazioni, riferimenti, corredibibliografici, non per testualizzare postmodernamente il mondo, ma,al contrario, per additarlo in quelle forme mediate che sono le unichepossibili.19 La poetica documentaria ipermoderna ben distinta da quellanaturalista: mentre i naturalisti intendevano produrre unopera che fosseessa stessa, anche, documento, nascondendo e riassorbendo le fonti neltessuto della narrazione (come accade, per esempio, a Verga con linchie-sta di Franchetti e Sonnino), ora la fonte esibita nella sua lettera e nellasua alterit. Il racconto diventa cos plurivoco per statuto, e tende a mol-tiplicare le marche di responsabilit: quella di chi ha prodotto il docu-mento (che sempre firmato), e quella duplice dellautore, che racco-gliendolo ne conferma lautorevolezza, come il testimone a un processo,e ne fa un fondamento dellautorevolezza propria. Tra documento e testodautore non si compie per nessunaltra equiparazione che sul pianodella responsabilit. Proprio la virgolettatura e la citazione, infatti, isolanoil documento dalla scrittura che, dunque, pretende al suo trascendimento.Resta il fatto che il documento parola sociale anzi, fondamento stessodella socialit e verificabile: lextralocalit che il narratore si attribuisce dunque sottoposta a vincoli, che stanno anzitutto nel rispetto della fontee che perci risultano anche pi forti di quelli dei naturalisti (dove, infatti,la fonte era nascosta, manipolata e sottratta al controllo del lettore).

    Il realismo documentario (ed il secondo equivoco da fugare) rivelaun rapporto fra narrazione e cronaca diverso da quello dei romanzi ot-tocenteschi. Da Stendhal a Flaubert a Dostoevskij, la grande narrativa si sempre nutrita di fatti che le giungevano dalla cronaca giornalistica:20

    dietro Julien Sorel, o Emma Bovary, o Raskolnikov ci sono le vicende diindividui reali, di cui, per, solo gli specialisti ricordano il nome e giu-stamente, poich la loro esistenza non un tratto pertinente nella frui-zione e nella stessa costruzione dellopera. Chi invece leggesse Gomorradimenticando che i Casalesi esistono, o Labusivo come se Siani non fossestato assassinato davvero, snaturerebbe quelle opere. Una misinterpreta-zione del genere possibile, come dimostrano coloro che definisconoGomorra un romanzo; forse, quasi inevitabile che scatti con il tempo. Sipu leggere Tucidide come Omero, e figurarsi Pericle al pari di Achille;

    19 Ferraris, Documentalit, cit., pp. XII-XV e passim, dichiara il principio secondo cui nulla di socialeesiste al di fuori del testo in esplicita polemica contro il testualismo integrale postmoderno e inparticolare derridiano.

    20 Per questordine di problemi molto utile C. Bertoni, Letteratura e giornalismo, Carocci, Roma2009.

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    ma si tratta, appunto, di una misintepretazione. Mentre infatti Stendhal,Flaubert o Dostoevskij occultavano la cronaca, cancellando i nomi propri,le narrazioni documentarie esibiscono luna e gli altri, cos che dove ilnome proprio venga taciuto, sostituito o ridotto a uniniziale, questa ope-razione dichiarata e lanagrafe salva.

    Proprio questo scrupolo di esattezza acuisce i contrasti con tutto quantosia sospetto, invece, di essere stato inventato. Perci le narrazioni docu-mentarie intrattengono con i fatti un rapporto molto diverso da quellodel romanzo storico, dove al contrario la mescolanza di verit appuratae di invenzione statutaria e gli attriti tendono a essere smussati o neu-tralizzati. Se il romanzo storico, come ogni narrazione letteraria cui siamoabituati, chiede la volontaria sospensione dellincredulit, i racconti do-cumentari in qualche modo sfidano sempre lincredibilit, e debbonoguadagnarsi a fatica un credito.

    Il primo corollario che se ne pu trarre che il romanzo storico, ri-vendicato da qualcuno come forma nuova, non lo affatto anzitutto per-ch evade il problema del rapporto tra fiction e non fiction nei terminiin cui lo pone la cultura ipermoderna e del resto, la sua rinascita dataproprio al postmoderno, di cui un contrassegno.21 Il secondo, e pi im-portante, riguarda lo statuto di questi testi, che, mentre adottano i modidi qualcosa che non tradizionalmente letterario (si chiami reportage,giornalismo, non fiction), tuttavia intendono ancora essere letteratura.Non lambiguit postmoderna, che punta allindecidibilit; semmaiunambivalenza ipermoderna, che mantiene la tensione. Il documentostesso, in quanto realt gi scritta, manifesta questa natura duplice. Inoltre,il documento ha un carattere performativo: esso non si limita a registrare,ma pone in essere. Una poetica documentaria ha dunque finalit pratiche,morali, civili: in ogni caso, extraletterarie. Essa guarda alla realt non solocome alla propria origine, ma come al proprio fine, sia in unaccezionemassimalista (mutare un ordine di cose), sia in una minimale (ristabilireuna verit disconosciuta e produrre un mutamento nelle coscienze).22

    Proprio qui si fissa unidea di letteratura che non n moderna, n post-moderna: a essere di fatto respinte sono lautonomia dellestetico e leste-tizzazione diffusa. Questa letteratura si rifiuta di essere separata; e perquesto si attira censure cos violente. Lipermoderno gioca cos la cartadellimpuro. Sotto i nomi di documento e di realt sta appunto questoscandalo.

    21 M. Ganeri, Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico dalle origini al post-moderno, Manni, Lecce 1999,pp. 101-124.

    22 Come riassume Ferraris, Documentalit, cit., p. 361, i documenti hanno delle finalit pratiche, op-pure mirano principalmente alla evocazione di sentimenti.

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    7. Testimonianze: poetiche della verit e riabilitazione del soggetto

    La poetica del documento non esaurisce le aspirazioni di questa lettera-tura. La mediazione soggettiva sempre cos decisiva, da conferire al nar-ratore la natura di testimone. Si tratta di due tendenze distinte, ma cheinterferiscono: lo mostrano bene, tra gli altri, gli scrittori italiani di secondagenerazione (formula certo preferibile a quella di scrittori della migra-zione), che rappresentano uno dei fenomeni pi nuovi dellipermodernoitaliano.23

    Sui problemi connessi alla nozione di testimone rifletteva qualcheanno fa Agamben. In primo luogo, distingueva fra due accezioni del ter-mine: il testimone pu essere testis, cio il terzo che depone per qualcosadi cui c contesa pubblica; o superstes, cio colui che ha preso parte aifatti di cui riferisce (e, al limite, martis, colui che rende ragione di quanto accaduto con la propria esistenza).24 In secondo luogo, ricordando cheil testimone parla per la verit e la giustizia, spiegava lirriducibilit dellaquaestio facti alla quaestio iuris, poich vi una consistenza non giuridicadella verit. Compito del diritto pronunciare un giudizio, e non, pro-priamente, dire la verit o stabilire ci che eticamente giusto: questealtre diventano le prerogative del testimone. Un realismo testimoniale,allora, sebbene possa farne le viste, non reclama tanto la sua fedelt allecose come sono andate, quanto la necessit di dire un vero che esorbitadai limiti dellempiricamente accaduto. Se la cultura postmoderna inten-deva abbattere la verit come un idolo vuoto e minaccioso, lipermodernotende a ristabilirne i diritti, in modo antidogmatico e, anzi, attraversandolo scetticismo postmoderno.25

    La testimonianza scavalca il documento, come la verit oltrepassa larealt: se la prima convoca la responsabilit di chi la enuncia, la secondanon ne ha bisogno, poich esiste indipendentemente dai nostri enuncia-ti.26 La verit quello di cui dobbiamo essere persuasi, la realt ci chebisogna mostrare; a differenza della realt, la verit il campo della re-

    23 D. Brogi, Smettiamo di chiamarla letteratura della migrazione?, in http://www.nazioneindiana.com/2011/03/23/smettiamo-di-chiamarla-letteratura-della-migrazione/.

    24 Piego qui alle necessit del mio discorso, a volte contravvenendo ad alcune sue raccomandazioni,G. Agamben, Quel che resta di Auschwitz. Larchivio e il testimone, Bollati Boringhieri, Torino 1998, inparticolare pp. 13-36.

    25 Il tema tornato di attualit: accanto alle posizioni ancora postmoderne di chi ne nega il valore(Rorty, Vattimo), si assiste a una sua prudente rivalutazione. Fra i testi pi interessanti usciti di re-cente mi limito a segnalare P. Engel, R. Rorty, A cosa serve la verit?, il Mulino, Bologna 2007; D.Marconi, Per la verit. Relativismo e filosofia, Einaudi, Torino 2007; G. Vattimo, Addio alla verit, Mel-temi, Roma 2009; F. DAgostini, Introduzione alla verit, Bollati Boringhieri, Torino 2011.

    26 Ferraris, Documentalit, cit., pp. 92-94. P. Montani, Limmaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare,testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 6, sottolinea che la forza della testimonianzanon sta nella sua corrispondenza ai fatti: essa va piuttosto pensata come un enunciato incoativoche impegna a un compito etico.

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    torica: la porta, insomma, attraverso cui le poetiche documentarie riac-colgono quei principi intorno ai quali tradizionalmente si costruita lanostra idea di letteratura che, pure, corrodevano insidiosamente. questoche legittima quel tasso di finzione, quella quota ineliminabile di ritualitformale e di messa in maschera senza cui non esiste letteratura; e, perriaprire il contrasto, lo legittima eticamente. Per questo Walter Siti puraccontare del suo omonimo cose che lui, in prima persona, non ha maifatto, trovando una giustificazione di senso alla menzogna; ma per questoRoberto Saviano pu narrare in Gomorra episodi che appaiono improbabilio inventati.27

    Posta limpossibilit di far coincidere documento e testimonianza,realt e verit, si capisce perch sia negli autori, sia nei lettori e nei critici,lossessione del come-davvero-sono-andate-le-cose operi nel momentostesso in cui la scrittura sembra metterla fuori gioco. La verit combattecontro il puro ordine dei fatti, senza riuscire a emanciparsene sino in fon-do. Sempre sullorlo di essere ridotto a fantasma dellinvadenza mediatica,e da anni di testualismo pi o meno radicale, lempirico si difende facendola voce grossa. Il realismo testimoniale e le scritture dellio mettono inscena questo conflitto, non il gioco postmoderno della finzionalizzazioneuniversale, n una supposta brutalit neorealistica.

    ancora Agamben a rileggere la nozione di autore insieme a quelladi testimone, nei significati chiariti prima: auctor indica il testimone inquanto la sua testimonianza presuppone sempre qualcosa fatto, cosa oparola che gli preesiste, e la cui realt e forza devono essere certificate;e aggiunge: la testimonianza [] sempre un atto di autore, implicasempre una dualit essenziale, in cui una insufficienza o una incapacitvengono integrate e fatte valere.28 Agamben, che certo non accusabiledi rozzezze neorealistiche, sgombra anzitutto il campo dal partito presoanti-referenziale dei postmoderni: il realismo testimoniale quello chepi si confronta con i limiti della scrittura di fronte ai fatti gi consumati,alle cose che sono o sono state, alle parole pronunciate da altri (senza es-sere per preso nel gioco di specchi della riscrittura). Per questo, credo,parla di presupposizione: il termine lascia impregiudicato il rapporto trala scrittura e il mondo testimoniato, ma esclude illusioni di rispecchia-mento o di immediatezza. Al contrario, esiste sempre una mediazione,

    27 Il censore pi implacabile A. Dal Lago, Eroi di carta. Il caso Gomorra e altre epopee, Manifestolibri,Roma 2010, secondo cui Saviano ha costruito un libro che non mera fiction e nemmeno do-cufiction, ma surrettizia docu/fiction, ovvero narrazione a piega, in cui finzione letteraria e fun-zione documentaria si implicano, a ogni pagina (p. 36). In questo modo, il lettore di fronte aun libro in cui non presentata alcuna documentazione e dove il peso delleffetto-verit gravatutto sullio-testimone (pp. 30-32): Dal Lago depreca come vizio e truffa quello che invece ilbello di Gomorra e che, oltretutto, ne rivela la natura letteraria.

    28 Agamben, Quel che resta di Auschwitz, cit., pp. 139-140.

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    che garantita appunto dallautore-testimone. Quanto a questultimo, ilrecupero dellio e della coscienza problematico e aperto: per Agamben,il testimone sempre preso in un duplice processo di soggettivazione edesoggettivazione; inoltre, la testimonianza prevede sempre uninsuffi-cienza o incapacit, che segna la sua responsabilit etica, pi che versola scrittura (secondo un refrain anni Sessanta), verso ci che testimoniatoe che, come dicevamo sopra, non pu essere ridotto allempirico.

    Lio posto a fondamento della scrittura testimoniale precario, instabile,dubitoso, ma tenace. La strada percorsa dagli scrittori ipermoderni dunqueopposta sia a quella modernista (dove il problema era appunto disarcionarelio, abbassandolo o disgregandolo), sia a quella postmoderna (che procla-mava, invece, la morte del soggetto e dellautore). In questo senso, la scrit-tura testimoniale non pu essere ridotta in alcun modo alle pratiche de-realizzanti postmoderne (poich la desoggettivazione solo un momentodella testimonianza, che prevede pure la soggettivazione), e neppure almodernismo, che invece ha combattuto contro lio battaglie senza numero. in effetti questo che la cultura ipermoderna registra, e per cui molta fi-losofia contemporanea lavora: la riabilitazione del soggetto.29

    8. Autofiction ed espansione delle scritture dellio

    Contro il mito postmoderno della morte del soggetto, la presa di parolaindividuale uno dei fenomeni tipici dellipermoderno, insieme fomen-tato e svalutato dalla rete. Lio appare carico di responsabilit e di inve-stimenti che lo riscattano e, insieme, finiscono per renderlo fragile.30 Al-linterno di questo riemergere della funzione soggettiva, come pure delridisegnarsi dei confini tra fiction e non fiction, occupa uno spazio centraleun nuovo genere letterario, la cui nascita (o meglio, la nascita della cuidesignazione) si compie nel 1977 con Serge Doubrovsky.31 Legato alla

    29 Laffermazione che non ci sarebbe ora un ritorno al soggetto, perch il soggetto non mai uscitodi scena, una mossa retorica che convalida il nuovo clima filosofico e scredita quanti per annihanno proclamato appunto la morte del soggetto (cfr. V. Descombes, Ch. Larmore, Dernires nou-velles du moi, Presses Universitaires de France, Paris 2009, p. 74). Oltre a quel libro, su questo temasegnalo a titolo di esempio Ch. Larmore, Pratiche dellio [2004], Meltemi, Roma 2006, oppure R.Bodei, Destini personali. Let della colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli, Milano 2002; M. Nussbaum,Lintelligenza delle emozioni [2001], il Mulino, Bologna 2004; P. Ricur, Soi-mme comme un autre,Seuil, Paris 1990.

    30 Lipovetsy, Charles, Les Temps hypermodernes, cit., pp. 74-82. 31 Linteresse sullautofiction sempre pi grande. Ho tenuto presente Ph. Forest, Il romanzo, lio.

    Nella vertigine dellidentit [2001], Rizzoli, Milano 2004; Ph. Gasparini, Autofiction. Une aventure dulangage, Seuil, Paris 2008 (lo studio pi sistematico, almeno per la Francia); Ch. Delaume, La Rgledu je, Presses Universitaires de France, Paris 2010 (che sottolinea la natura etica e il valore perfor-mativo del genere); V. Martemucci, Lautofiction nella narrativa italiana degli ultimi anni. Una rassegnacritica e un incontro con gli autori, in Contemporanea, 6, 2008, pp. 159-188; Giglioli, Senza trauma,cit., pp. 53-100.

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    nouvelle critique, da cui pure prender le distanze, egli presenta cos Fils,libro in cui, nei modi del nouveau roman, narra una giornata ripercorrendoalcuni momenti centrali della propria vita anche grazie a una seduta psi-coanalitica:

    Autobiographie? Non, cest un privilge rserv aux importants de cemonde, au soir de leur vie, et dans un beau style. Fiction, dvnementset de faits strictement rels; si lon veut, autofiction, davoir confi le langagedune aventure laventure du langage, hors sagesse et hors syntaxe duroman, traditionnel ou nouveau. Rencontres, fils des mots, allitrations,assonances, dissonances, criture davant ou daprs littrature, concrte,comme on dit musique. Ou encore, autofriction, patiemment onaniste,qui espre faire maintenant partager son plaisir.32

    Protagonista e narratore del libro lo stesso Doubrovsky, che si attri-buisce i propri tratti verificabili e cita amici e conoscenti con i loro nomi:influenzato dalla lettura del Pacte autobiographique di Lejeune, uscito nel1975, egli dispone per i fatti della propria vita in una trama verbale vi-stosamente artificiosa, e in una struttura temporale che non ha corrispettivinellautobiografia classica ma semmai richiama il romanzo modernista,Ulysses in testa. Molto di questa definizione ha il colore del tempo: lenfasisul linguaggio, la polemica contro il romanzo, il proclama di sperimen-talismo, il richiamo alle nuove avanguardie, la poetica della riscrittura. Eper paradosso, restano sullo sfondo gli elementi pi nuovi e problematici:cosa vuol dire raccontare se stessi in un libro che si dichiara finzionale?che io quello messo qui in scena? che rapporto c fra invenzione ro-manzesca e patto autobiografico?

    Come prevedibile, la definizione di Doubrovsky si presta male a de-scrivere quello che lautofiction sarebbe diventata; soprattutto perch at-tribuisce al termine fiction (struttura verbale artefatta, quindi letteraria)un significato che non coincide con quello impostosi oggi (narrazioneche si sottrae a una verifica empirica di realt). Di fatto, in Fils Doubrovskyinventa poco, o per meglio dire inventa cose che non si segnalano subitocome inventate (per esempio, il lungo capitolo sulla seduta analitica,Rves, ha unesattezza improbabile). Le definizioni correnti di questo ge-nere (perch tale lo considererei) sono molte, contrastanti e talora for-temente equivoche. Chiarisco allora da subito che per autofiction intendocon prudenza una narrazione in cui, come in unautobiografia, autore,narratore e protagonista coincidono; ma in cui, come in un romanzo, ilprotagonista compie atti che lautore non ha mai compiuto, e ai fatti ri-conosciuti come empiricamente accaduti si mescolano eventi riconoscibilicome non accaduti. Anzi, in molte autofiction la derivazione autobiografica

    32 S. Doubrovsky, Fils [1977], Gallimard, Paris 2001, p. 10.

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    collutta teatralmente con il romanzesco nelle sue forme pi codificate eirrealistiche. In Lunar Park, Breat Easton Ellis si proietta in un horror pa-ranormale; nella Carta e il territorio Houellebecq si fa uccidere in un poli-ziesco truculento alla Silenzio degli innocenti; in Dies irae Genna interpolafantascienza e, di nuovo, paranormale; nella Vita oscena (sul cui statuto,per, occorre tornare), Nove attraversa un catalogo di perversioni da por-nografia sadiana; la pornografia rifatta iperbolicamente anche in Ka-mikaze dOccidente di Scarpa, dove si mescola al finto diario; in Sono lultimoa scendere Mozzi assume la maschera di un personaggio da gag comica, siapure senza abbandonare mai il verosimile. Autofiction e letteratura di ge-nere, insomma, non sono solo e necessariamente in opposizione:33 al con-trario, appunto lesibizione di elementi di genere a rivelare il caratterefinzionale di un testo.

    Altrimenti, non facile dire cosa sia autofiction e cosa autobiografia.Quanto pi forte lillusione realistica, tanto pi difficile, in mancanzadi marche esterne, stabilire i confini tra i due generi. In effetti, cosa, senon le dichiarazioni preliminari dellautore, ci permette di dire che Sitinon ha vissuto quello che racconta di Walter nella sua trilogia? Inseguirela strada della verifica dei fatti fuorviante, oltrech impossibile: rivelalinsensatezza della distinzione tra fiction e non fiction proprio in uno deigeneri che pi la convocano, predisponendo a volte una trappola com-piaciuta e perversa. E tuttavia, pi che sullambiguit, mi pare che persinoSiti (un vero maestro, anche da questo punto di vista) giochi sullambiva-lenza: posto che lautore sollecita a domandarsi quale episodio sia vero equale inventato, e posto che la ricerca oziosa, il testo funziona sulla ten-sione fra verit e menzogna e non arriva a vanificarla neppure quando lemescola, le offusca e presta alluna i panni dellaltra. Ci che conta , inultima analisi, il patto di lettura stabilito spesso pi nel paratesto che neltesto. Cos, siamo tenuti a credere che le Lettere a nessuno di Moresco, anchenella loro edizione aumentata e nella loro seconda parte, non siano auto-fiction (un palese elemento di autofiction, invece, compare alla fine diCanti del caos, quando il Matto si attribuisce il nome di Antonio Moresco).Per converso, siamo tenuti a leggere come autofiction La vita oscena, anzichcome racconto in prima persona al modo di Superwoobinda (dove, del resto,un Aldo Nove, lo scrittore che piace compare, con i suoi tratti anagraficie la stessa idiozia dei suoi personaggi-narratori): sebbene non ci sia alcunaautonominazione, nelle interviste lautore ha sempre presentato quelleesperienze come proprie, portando verso lautobiografia quello che la de-riva allucinatoria del racconto trascinerebbe lontano da essa. Leffetto au-tofinzionale costruito questa volta non dalle soglie del testo, ma dal mag-

    33 Come vuole Giglioli, Senza trauma, cit., pp. 22-23. La distinzione, comunque, conserva unindubbiaefficacia argomentativa e didattica.

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    ma mediatico in cui immerso, e che include interventi o interviste sullastampa, in rete, in televisione. Con questo, la narrativa degli ultimi anninon espunge completamente lambiguit: Stanza 411 di Simona Vinci unautobiografia in cui lautrice tace il proprio nome e quello delluomocon cui ha avuto una relazione (le cui iniziali, T. V., per, sono le stesse diVitaliano Trevisan), unautofiction, un racconto autobiografico, o un rac-conto in prima persona? A sciogliere il dubbio, manca la stipula chiara diun patto di lettura: la quarta di copertina parla di romanzo, senza percancellare un sapore netto di storia vera.

    Dunque, le distinzioni vanno fatte, sebbene talvolta si punti a inquinarle.Per comprendere la natura dellautofiction, occorrer pensarla, come di-cevamo, non solo nellinterazione tra fiction e non fiction, ma nellespan-sione (o forse, addirittura, istituzionalizzazione) delle scritture delliopropria dellipermoderno. Leggere lautofiction in questa costellazionenon meno importante che trovarle un luogo specifico e inconfondibile.Per scritture dellio intendo libri di natura molto diversa: e limitiamocialla narrativa, perch anche le varie forme di personal essay rientrerebberoa pieno titolo in questa categoria. Anzitutto, ci sono i romanzi in primapersona, che hanno una diffusione pandemica: qui, al di l delle distinzioninarratologiche, resta da spiegare perch si avverta il bisogno di narrarein prima persona, cedendo la parola al personaggio. Tuttaltra cosa sonoi romanzi autobiografici (cio, la cui materia attinge al vissuto di chi li hascritti), genere anche questo per nulla nuovo, e con il quale alcuni con-fondono impropriamente lautofiction: dove infatti i nomi di autore, nar-ratore e protagonista non coincidono il testo stato costruito in tuttaltromodo, e invoca una lettura di tuttaltro tipo. Non si leggono la Rechercheo il Werther come Guerra e pace; ma neppure come le Confessions. Infine, cisono appunto le autobiografie e i memoirs (se ne sono pubblicati molti,in questi ultimi anni), la cui differenza non di natura ma di taglio. Comesintetizza brillantemente Gore Vidal, un libro di memorie il modo incui si ricorda la propria vita; mentre unautobiografia storia, richiedericerca, date e fatti da controllare e ricontrollare:34 dove la seconda tendeal resoconto ordinato, documentato e teleologico, il primo intreccia pre-sente e passato, riflette su alcuni temi generali (spesso, legati ad aspettidellidentit o della storia collettiva), enfatizza la testimonianza soggettiva.Ma entrambi pretendono a un grado di veridicit che nessuno chiede-rebbe a un romanzo, sebbene nessuno crede sia possibile garantirlo sinoin fondo. Cos, anche quando allude a una mistione di verit e bugie, ilmemoir finisce con il far prevalere i diritti della verit. Vidal stesso, che co-mincia chiedendosi se quello che ci presenta un ordito di menzogne,

    34 G. Vidal, Palinsesto. Una memoria [1995], trad. it. di M. Bartocci, Fazi, Roma 2000, p. 10.

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    subito corregge il tiro rivendicando la propria attendibilit, poich nonsi riferisce tanto alle proprie menzogne quanto a quelle altrui.35 Pi com-plesso, ma analogo nel risultato, Il velo nero: Rick Moody tesse tutto ilracconto su un parallelo fra la propria storia e quella del pastore JosephMoody, ispiratore di un racconto di Hawthorne che la tradizione familiarevoleva come proprio avo, ma alla fine scopre di non avere con lui alcunaparentela. Il senso del memoir sta proprio in una doppia denuncia, e quindiin un doppio ristabilimento della verit: se la stirpe dellautore percentinaia danni o pi aveva mentito sulle proprie origini, lui ne il miglioresempio in quanto un narratore, un fornitore di adulazione, unesperto di fittizie liti e drammi;36 insieme, per, scrivendo sbugiarda lefavole. Per questo, neppure Moody un narratore inattendibile, e con-clude il libro senza conciliazioni, riconoscendo anzi che immaginazionee menzogna collaborano alla costruzione reale di s. Il velo nero finiscedunque con il dimostrare quanto sia illegittimo ricondurre senza scartialla fiction qualunque scrittura: autobiografie e memoirs, insomma, nonsono autofiction.

    Ma lautofiction non forse un genere postmoderno? Doubrovsky stesso,a partire dagli anni Novanta, si pronunciato in questo senso; e non pochilhanno seguito.37 Naturalmente, esistono autofiction postmoderne (anchese, forse, Fils non lesempio pi calzante); ma questo genere segnalamolto meglio uno spostamento rispetto al postmoderno, da cui prendele mosse per muoversi in direzione ipermoderna.

    Il caso pi interessante, appunto perch percorre le diverse possibilitdelle scritture dellio, offerto da Philip Roth, cio da uno degli autoripi grandi della nuova letteratura. I romanzi in cui Roth mette in scenai propri alter ego, come Portnoy o Zuckerman, non sono qui pertinenti;ci interessano invece Patrimony (1991), Operation Shylock (1993), The PlotAgainst America (2004). Partiamo dallultimo, unucronia in cui si immaginala vittoria dellantisemita Lindbergh alle elezioni presidenziali americanedel 1940, un avvicinamento degli Stati Uniti alla Germania hitleriana elo scatenarsi di pogrom, sino alla scomparsa di Lindbergh e allelezionedi Roosvelt, che ricondurr la storia al suo corso registrato. Il narratore Philip Roth, che, bambino allepoca dei fatti, mette in scena se stesso(attribuendosi, per, una parte defilata in quanto personaggio) e membridella propria famiglia, oltre, naturalmente, a personaggi storici noti e ri-conoscibili. La distanza tra realt autobiografica e autofiction qui massima:Roth narra una storia immaginaria, e presta a se stesso una vita che nep-

    35 Ivi, p. 7. 36 R. Moody, Il velo nero [2002], trad. it. di L. Vighi, Bompiani, Milano 2005, pp. 353 e 344 (il c.vo su

    proprie mio). 37 Gasparini, Autofiction, cit., pp. 214-222.

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    pure potrebbe aver vissuto. Tuttavia, la finzione deve la sua efficacia pro-prio allinterferenza con i dati di realt, che nellappendice sono richiamatinel loro corso effettivo, e soprattutto alla voce del narratore-personaggio,con il suo coinvolgimento emotivo38 e con la conseguente spinta alliden-tificazione nel lettore. Simularsi testimone e partecipe di eventi evocaticon la precisione della cronaca, ma la cui natura fittizia palese, significaaccreditare quei fatti non sul piano della realt, ma della verit finzionale:, insomma, la logica tradizionale della letteratura. Dunque, a rigore, nonsiamo di fronte a unhistorical metafiction, come voleva giustamente LindaHutcheon per tanti romanzi postmoderni: non ci sono n gioco di riscrit-tura, n ambiguit, n il gusto di far smarrire la verit e anzi, nel finaledel romanzo la verit storica viene ristabilita, riportando con Roosvelt gliUsa in guerra contro il Reich. Il paradosso del Complotto che, nella suaangoscia da incubo a stento sedato, e per quanto finga e inventi, tendeper a stabilire delle verit di ordine non meramente fattuale, prime fratutte quelle relative alla condizione ebraico-americana. La presenza diRoth come personaggio ha dunque una funzione di accreditamento: an-che se quello che leggiamo falso, n lui, a differenza di uno scrittorepostmoderno, cerca di farci credere che non lo sia, tuttavia racconta qual-cosa di vero.

    insomma, ma come drogata, la logica stessa del romanzo realistico,la cui verit si impone sullinesistenza di Emma Bovary o Raskolnikov.Lautofiction sarebbe dunque un modo per ridare forza ai meccanismidel romanzo, mentre luniversale finzionalizzazione e linflazione di storiesembrano usurarli. Pi complicato, per, il caso di Operazione Shylock.Qui, infatti, vero e falso si confrontano su un terreno che non subitopalesemente antistorico. Mentre sta uscendo da una crisi depressiva econfusionale, Roth viene a sapere che un altro Philip Roth tiene alcuneconferenze sul diasporismo, un movimento che, allopposto del sionismo,vorrebbe ricondurre gli ebrei nei paesi europei da cui emigrarono. Ab-bandonato il registro dellincertezza fantastica o del dubbio allucinatorio,tradizionalmente legati al tema del doppio, Operazione Shylock sceglie ri-solutamente quello dellintrigo romanzesco, parodiando la spy story eaprendosi alla comicit. Il secondo Philip Roth (perch cos sostiene dichiamarsi) assomiglia in modo stupefacente allo scrittore americano, ene ha approfittato per diffondere la propria dottrina: lautore lo incontrain Israele, dove scopre che il suo doppio sta per morire di cancro, e doveviene coinvolto dal Mossad in un aggrovigliato affare di spie. Un vecchio

    38 La paura domina questi ricordi, uneterna paura. Certo, nessuna infanzia priva di terrori,eppure mi domando se da ragazzo avrei avuto meno paura se Lindbergh non fosse diventato pre-sidente o se io stesso non fossi stato di origine ebraica (Ph. Roth, Il complotto contro lAmerica[2004], trad. it. di V. Mantovani, Einaudi, Torino 2005, p. 3).

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    agente dei servizi segreti israeliani gli consiglia di pubblicare il libro chevuole trarre dalla vicenda privandolo di un capitolo sulla sua missione adAtene; ed appunto in questa forma che leggiamo Operazione Shylock.Mentre gioca visibilmente e sottilmente con le forme dellimmaginarioromanzesco pi lontane dalla plausibilit realistica, Roth interpola nellibro riferimenti altrettanto riconoscibili alla sua vita vera o alla cronaca:per esempio, i colloqui con lo scrittore israeliano Aharon Apperfeld, og-getto di unintervista gi pubblicata anche sul New York Times, oppureil processo a John Demjaniuk, accusato di crimini di guerra. Nella notaconclusiva al libro, che sottotitolato una confessione e che qui vienedichiarato opera di fantasia, Roth conclude ammettendo: Questa con-fessione falsa.39 Ma quale confessione? Lintero libro che leggiamo (co-me indubitabile), o anche la nota che lo sconfessa? Il dubbio predi-sposto ad arte e rivela che impossibile liquidare semplicisticamente latensione tra vero e falso, leggendo tutto sotto la chiave della finzionaliz-zazione: Roth non un discepolo di Borges o, peggio, di Mallarm.40 Glieffetti di realt non sono semplici eccipienti al gioco finzionale, ombreper far sbalzare la luce e la plastica dellinvenzione. Allo stesso modo,lidentit sottoposta a una riflessione cos acuta (e, del resto, il temasorregge la costruzione di tutta la prima parte, anche negli apparenti ex-cursus), da non poter essere liquidata come un piatto effetto di fiction.In Operazione Shylock vige un regime misto piuttosto che ambiguo, in cuiil falso non cancella il vero, allo stesso modo in cui le gag comiche noncancellano il tragico della Shoah o del conflitto israelo-palestinese. Cos,agli stessi deliri fantapolitici del suo alter ego, Roth riconosce un senso:come nel Complotto, il paradosso e la parodia sono forme di un pensieropolitico che gioca sullazzardo e che cerca in esso secondo una logicache la stessa dellutopia uno spazio di formulazione e di possibilit.

    Nellepilogo di Operazione Shylock, il vecchio Smilesburger (un agentedel Mossad il cui statuto ancora pi improbabile del suo cognome, ol-tretutto falso), dichiara di aver letto e apprezzato Patrimonio. Catturatonella rete finzionale, quel libro non perde per la sua natura. Patrimonionon , infatti, autofiction: si presenta come un memoir affettuoso, ma du-ro41 (e davvero, di grandissima forza) sul padre di Roth, da poco mortodi cancro. Persino un tema di questa intensit emotiva ammetterebbelautofiction. Se da un lato esso ispira memoir, come a Roth, a Paul Auster(Ritratto di un uomo invisibile, nellInvenzione della solitudine, 1982) o ad

    39 Ph. Roth, Operazione Shylock [1993], trad. it. di V. Mantovani, Einaudi, Torino 2006, p. 459. 40 quanto sostiene Forest, Il romanzo, lio, cit., p. 74, che pure tenta di correggersi, rivendicando il

    valore politico della maschera e del doppio: questi paradossalmente diventano portatori di verite artefici del ritorno del reale nellambito della finzione (pp. 78-79).

    41 Roth, Operazione Shylock, cit., p. 436.

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    Annie Ernaux (La Place, 1983), dallaltro la morte della figlia di quattroanni al centro dei libri dichiaratamente autofinzionali di Philippe Forest che pure, negli anni, si spinto sempre pi a ristabilire i fatti reali. Roth,che avrebbe potuto giocare da maestro sulle ambiguit dellinvenzioneletteraria, come si preparava a fare in Operazione Shylock, questa volta ri-costruisce le cose non come sono andate (che sarebbe un progetto risi-bile), ma come le ha vissute. Questo non toglie che, pure nellassenza disegnali espliciti di finzionalizzazione, si possa aprire qualche dubbio. Lacostruzione narrativa a volte cos calcolata, cos simbolicamente pre-gnante da far sospettare un intervento o una manipolazione della realt.Proprio nel primo capitolo, prima di raggiungere il padre per annunciarglila malattia che gli stata diagnosticata, Philip si ritrova senza volerlo alcimitero dove sepolta la madre:

    Ero stato al cimitero solo due volte, il giorno del funerale nel 1981 e lannodopo, quando portai mio padre a vedere la sua lapide. In entrambe le oc-casioni eravamo partiti da Elizabeth, e non da Manhattan, perci non sa-pevo che il cimitero potesse essere raggiunto con lautostrada. [] Anchese non stavo cercando quel cimitero, n consciamente n inconsciamente,la mattina in cui dovevo dire a mio padre del tumore al cervello che lavreb-be ucciso ero andato dal mio albergo di Manhattan alla tomba di mia ma-dre, e al posto di fianco alla sua tomba dove doveva essere sepolto lui,senza errori e per la strada pi diretta.42

    La riflessione non assume una forma metaletteraria: qui, il personaggioRoth a interrogarsi su un evento della storia, piuttosto che il narratoresulla narrazione. I due piani interferiscono: la consapevolezza che il tu-more al cervello avrebbe ucciso il padre, in quanto successiva, va attri-buita infatti al venir dopo del narratore. Eppure, linterferenza va fatta ri-suonare in tutte le sue armoniche: il Roth che sa gi che il padre morto sia colui che scrive, sia luomo che ripensa, a distanza, alle vicende cheha vissuto. La distinzione tra personaggio, narratore e autore sfuma. Suquesto piano di indistinzione, che cancella ci che la prudenza narrato-logica vorrebbe tener separato, si gioca lidentit di questa scrittura, perla quale, tuttavia, sembra che la qualifica di autobiografia non calzi per-fettamente. Il sospetto di inverosimiglianza rischia di rompere il patto che,secondo Lejeune, regge quel genere; e il narratore ha introiettato il so-spetto. Lepisodio del cimitero rivela cos che ogni scrittura ipermodernadellio, soprattutto se non autofinzionale, lotta con il timore di essere ri-dotta a finzione, e che il suo orgoglio sta appunto in questa resistenza.

    Le forme della resistenza sono, qui, quattro. La prima consiste nel-lesplicitare il sospetto, senza per fugarlo del tutto. Il narratore esibisce

    42 Ph. Roth, Patrimonio [1991], trad. it. di V. Mantovani, Einaudi, Torino 2007, p. 11.

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    levento improbabile in un gesto duplice: da un lato, mostra che lenostre esistenze, secondo la logica dellautofiction, sono comunque im-pastate di qualcosa che ha lodore della fiction, e che si ormai insediatonei fatti stessi, non solo nel loro racconto; dallaltro, protesta la propriaonest, secondo la logica autobiografica, e rivendica la verit nella formadellincredibile, o del difficilmente credibile. In secondo luogo, Rothdeve fare i conti con un sapere che ridurrebbe razionalisticamente lin-credibile alla sua legge segreta. Questo sapere la psicoanalisi che, pro-prio per il suo pandeterminismo o, se si pu dire, per la sua tendenzapanermeneutica, va disattivata: perci Roth non ha agito inconscia-mente (asserto che un freudiano invaliderebbe, classificandolo comedenegazione). Se confrontiamo questo episodio con quello del lapsusdi Zeno, possiamo misurare una distanza sensibile: Svevo ha bisogno dievocare un senso nascosto, ignoto al suo personaggio-narratore, perprenderlo in contropiede e far baluginare quellorizzonte di verit po-sitiva sul quale si stagliano la sua malafede e le sue rimozioni (in partesvelate, poco dopo, da Ada); Roth invece sbaraglia il campo da quellapossibilit di chiusura e di significato, lasciando uno spazio aperto e in-spiegato, che , questa volta davvero, il Reale come lo intende Lacan.Eppure (e sono la due mosse successive) un piano di senso va comunquericostituito, perch ogni scrittura dellio ossessionata dalla volont diinterpretare il vissuto e di installare in esso, per quanto provvisorio eincerto, un significato. Cos, il caso e la coincidenza romanzesca vengonoesibiti nella loro natura non solo di esca narrativa (la visita involontariaal cimitero preannuncia, come Roth dice a chiare lettere, il destino delpadre di cui lui personaggio, in quel momento, ancora ignaro), maaddirittura di profezia. questa la terza forma di resistenza alla finzio-nalizzazione, ed una forma paradossale, poich comporta un rincaro:quello che labolizione del sapere analitico mostrava come un anellodebole nella catena dei fatti, il rompersi del loro ordine verso lincre-dibile e linspiegabile, appare ora come la pietra angolare della costru-zione narrativa. E infine, procedendo su questa strada, quello che potevaapparire un evento solo accidentale, una stranezza della vita, ora acquistanecessit e pienezza simbolica. Sono proprio queste ultime due le qualitche chiediamo a un romanzo ben costruito, dove non ammettiamo zonedi opacit a meno che non siano provocazioni, come per gli atti gratuitidi Gide; e sono appunto queste le qualit per cui dubitiamo che ci sistia raccontando un fatto vero. La scelta di Roth appunto enfatizzarelattrito, promuovendo il caso a necessit e la bizzarria a emblema del-lintera condizione umana:

    A condurmi l era stato il caso di una svolta sbagliata, e scendendo dallamacchina ed entrando nel cimitero per cercare la tomba di mia madre

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    non feci altro che inchinarmi alla sua forza irresistibile. Mia madre e glialtri defunti erano stati portati l dalla forza irresistibile di quello che era,in fondo, un caso pi improbabile: essere vissuti.43

    Il caso trasfigurato in destino: laccidentalit della cosa vera si mettein tensione con quella sovradeterminazione simbolica coatta che la let-teratura.

    Ora, quali sono le funzioni dellio in libri cos diversi? possibile ricon-durle a qualcosa di comune? Non potrebbe star qui uno tra i segnali pisensibili del mutamento culturale rispetto al postmoderno? Le scritturedellio celebrano molto meno la liturgia modernista della fine dellespe-rienza, che lo sforzo di non farsene espropriare. Certo, alcuni scrittori(anche se molti meno dei critici) sono affezionati a quel tema: da noi, il caso di Scurati e, direi, il motivo della debolezza di alcuni suoi romanzi,come Una storia romantica. Eppure, quello che pi sorprende una riven-dicazione di vita vera anche in chi si impegna a mettere in scena e a pro-durre vita falsificata. Lesempio pi clamante forse dato da Siti. Troppiparadisi esordisce con una dichiarazione di poetica memorabile:

    Anche in questo romanzo, il personaggio Walter Siti da considerarsi unpersonaggio fittizio: la sua una autobiografia di fatti non accaduti, unfacsimile di vita. Gli avvenimenti veri sono immersi in un flusso che li fal-sifica; la realt un progetto, e il realismo una tecnica di potere. []Tutto limpianto realistico, insomma, un gigantesco souffl pronto adafflosciarsi in una poltiglia di finzione; punta estrema, forse, del quesitoparadossale che regge la mia trilogia romanzesca: se lautobiografia siaancora possibile, al tempo della fine dellesperienza e dellindividualitcome spot.44

    Chi per leggesse quel romanzo-autofiction semplicemente come unadenuncia dellinautentico, chi non vedesse che la forza di Siti sta nel mo-strare che ormai le condizioni del nostro dolore e della nostra felicit sidanno solo in questambiente inquinato, si lascerebbe sfuggire il meglio.Siti non Flaubert, che si accanisce a distruggere la vita falsa di Emma oFrdric: semmai, sta dalla parte dellultimo Svevo, per il quale lunicapossibilit di salute nella malattia, le uniche verit nellignoranza di so nella menzogna. Lio sta allora l a protestare a volte con un compia-cimento narcisistico, a volte in una contorsione isterica i propri diritti.

    Sono forse i libri meno felici, tuttavia, a mostrare nel modo pi didatticola funzione dellio. A leggere, per esempio, LInceste di Christine Angot,unautofiction in cui la narratrice accumula uninattesa esperienza omo-

    43 Ivi, p. 12. 44 W. Siti, Troppi paradisi, Einaudi, Torino 2006, p. 2.

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    sessuale, la scoperta di essere sieropositiva e il ricordo dellincesto con ilpadre, alcuni elementi emergono nella loro elementarit.45 Anzitutto, laprima persona obbedisce a una strategia di intensificazione: il racconto io,Christine Angot, ho consumato un incesto molto pi deffetto di un leiconsum un incesto e lo anche se siamo in un regime autofinzionale. la struttura vuota dellio ad agire: in ultima analisi, il suo scopo catturarebrutalmente il lettore, tendere, almeno per un istante, alla fusione e rea-lizzare unidentificazione empatica. In questo e qui, in maniera smaccata la stessa retorica dei reality. La morsa si stringe dunque sia sulla cosa, acui prestata laura (non importa se immaginaria) della vita vera, strappataallirrilevanza e alla fantasmizzazione mediatica; sia sul destinatario, espostoa richiami che, al limite, possono suonare ricattatori. In secondo luogo,lenfasi e il sovraccarico coincidono con una statutaria fragilit: ci che lescritture dellio raccontano (labbiamo visto anche con Roth) quasi sempreun vacillamento identitario. Il racconto insieme la teatralizzazione diquesta crisi, la sua produzione e la sua terapia. In questo senso, la categoriadi narcisismo appare insufficiente: non solo qui lio mosso da uno spasimodi autorappresentazione comunicativa del tutto estroflessa, ma esibiscesempre la propria insufficienza e le proprie ferite. Infine, tutte queste scrit-ture inscenano la costruzione dellio (una costruzione che il lettore devecompiere anche su di s): ladozione di forme convenzionali, siano ancheprecarie o fittizie, lunico modo per consistere davvero. In quel davverosta la qualit ipermoderna di queste narrazioni.

    9. Realismi/iperrealismo

    La questione del realismo diventata, insomma, capitale: sia nella praticadella scrittura, sia nellattenzione critica anche se, spesso, viene deviatae sepolta sotto laccigliata metafisica dellinterrogativo su cosa sia la realt.Nella polemica che seguita al n. 57 di allegoria46 si sono sprecate lecitazioni sulle virgolette di Nabokov, gli sprofondamenti filosofici, i mas-simalismi risolutori. Cos, Angelo Guglielmi ci ricorda che, da che mondo mondo, il reale (la realt) stata sempre in campo, come obiettivo ob-bligato (e agognato) dello scrittore: dunque, di che inquietarsi?47 Difatto, riemersa lestraneit di molta critica italiana, soprattutto militante,

    45 Ch. Angot, LInceste, Stock, Paris 1999. 46 La ricostruisce, appunto polemicamente, M. Ganeri, Reazioni allergiche al concetto di realt. Il dibattito

    intorno al numero 57 di allegoria, in Finzione, cronaca, realt, cit., pp. 51-68. 47 A. Guglielmi, Il romanzo e la realt. Cronaca degli ultimi sessantanni di narrativa italiana, Bompiani,

    Milano 2010, p. 20. Quindi: il ron ron del ritorno alla realt, oggi sempre pi diffuso, afferma-zione priva di senso. Guglielmi stesso, per, deve ammettere in questa tenebra che cancella secolie continenti un mutamento di temi e forme, sebbene lo metta sotto lapriori di una realt dellacronaca irraccontabile se non negli schemi dellinchiesta giornalistica, del romanzo a su-spense e del romanzo di fatti (ibidem).

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    Raffaele

    Donnarumma

    ai problemi del racconto, cui si preferiscono le questioni della prosa edella lingua. Tra equivoci e malafede, si sono appiattite le nuove formedi realismo su unidea deprecativa di neorealismo (o, pi raramente, dinaturalismo) che non ha nulla a che fare con il romanzo contemporaneostraniero, e ben poco anche con i libri italiani cui stato riferito. Se infattisi volesse trovare qualche contatto, occorrerebbe cercarlo, anzich in unneorealismo di scuola archiviato da mezzo secolo, nelle forme sperimentalidi mistione di racconto e saggio, di denuncia, di propensione testimonialee documentaria: occorrerebbe pensare cio a libri come Se questo unuomo o Cristo si fermato a Eboli, non allAgnese va a morire; e a film comequelli di Rossellini, De Sica, Visconti. Ma per il resto, lorizzonte radi-calmente mutato: se il neorealismo si muove su un terreno che ancoraintegralmente letterario, e che neppure il cinema insidia, ora il realismo sempre sullorlo di essere vanificato dalla comunicazione mediatica, te-levisione in testa, e la letteratura respinta in una condizione marginale.

    I rischi non sono per tragedie su cui calato il sipario. La retorica chevuole la letteratura relegata alla registrazione di inesperienze mostra ormaila corda. I media non sono gli agenti di una derealizzazione compiuta, masemmai, come ha scritto con molta acutezza Walter Siti, di un depotenzia-mento della vita48 cui lipermoderno non cede, mentre il postmoderno lofomentava. In secondo luogo, leffetto di straniamento che i media hannoprodotto sul mondo si , in larga misura, attenuato: essi sono, soprattuttoper le generazioni nate con il televisore e il pc gi accesi, una seconda natura.Esistono anzi forme di esperienza prodotte dagli stessi media: siamo abituatia fare i conti con regimi di verit ambivalenti, ed possibile trarre esperienzada informazioni di realt che sappiamo aver assunto forme codificate e,quindi, vediamo trascinate nellimmaginario. La natura insieme fattuale espettacolare dellimmagine televisiva chiede un di pi di lavoro interpretativoe critico, che non sceglie univocamente nessuno dei due lati:

    Il tratto elaborativo dellimmagine, ci che ne riqualifica la prestazione re-ferenziale (la capacit di intercettare il mondo, di esplorarlo e di ridescri-verlo) e limpegno testimo