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1 n. 2 - 2014 L’impresa nel darwinismo contemporaneo* Roberto Cafferata Sommario. 1. Creazionismo ed evoluzionismo – 2. Organismi viventi e organizzazioni sociali: similarità e dissimilarità – 3. Il pensiero di Charles Darwin e il darwinismo – 4. Il concetto darwiniano di co-evoluzione – 5. L’adattamento nel darwinismo classico e in quello contemporaneo – 6. Conclusioni – Bibliografia Abstract The author approaches the issue of the evolution of the firm from the side of Darwinism and the biological theory of the firm. He focuses the content of Darwin’s most relevant book, The Origin of Species, and confronts himself with contemporary Social Darwinists’s ideas. He maintains that a number of scholars make Darwin say “what” they want him to say, instead of “what” he has actually said. His contribution also relates the full systemness of social organizations to their successful evolution: the author believes that the way the two processes intertwine one with another explains organizational survival, adaptation to the environment, competitive advantage, or failure. Keywords: Darwinism, evolution, adaptation, firm’s systemness _________________________ *Trattasi di contributo invited

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n. 2 - 2014

L’impresa nel darwinismo contemporaneo*

Roberto Cafferata

Sommario. 1. Creazionismo ed evoluzionismo – 2. Organismi viventi e organizzazioni sociali: similarità e dissimilarità – 3. Il pensiero di Charles Darwin e il darwinismo – 4. Il concetto darwiniano di co-evoluzione – 5. L’adattamento nel darwinismo classico e in quello contemporaneo – 6. Conclusioni – Bibliografia Abstract The author approaches the issue of the evolution of the firm from the side of Darwinism and the biological theory of the firm. He focuses the content of Darwin’s most relevant book, The Origin of Species, and confronts himself with contemporary Social Darwinists’s ideas. He maintains that a number of scholars make Darwin say “what” they want him to say, instead of “what” he has actually said. His contribution also relates the full systemness of social organizations to their successful evolution: the author believes that the way the two processes intertwine one with another explains organizational survival, adaptation to the environment, competitive advantage, or failure. Keywords: Darwinism, evolution, adaptation, firm’s systemness _________________________ *Trattasi di contributo invited

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1. Creazionismo ed evoluzionismo 1.1.

Nelle scienze naturali s’intende per evoluzione ogni tipo di cambiamento morfologico, fisiologico e/o comportamentale che avviene negli organismi viventi nel corso delle generazioni, avuto cioè riguardo a un periodo di tempo non breve (Pievani 2010, 13). È una definizione di tipo darwiniano: l’evoluzione si misura in «periodi lunghi di tempo» (Darwin 1859; trad. it. 2009, 185, 194) e si giustifica in forza dell’accumulo, nelle specie che continuano a vivere, di «innumerevoli, lievi modificazioni» (2009, 185-186, 482). Non tutte le specie, tuttavia, riescono ad accumulare alcunché e lentamente scompaiono1.

1.2. Il mondo dell’economia e degli economisti è da tempo esposto alle idee della

biologia e dell’evoluzionismo. Il tema dell’evoluzione in economia è anche un tema sensibile dal punto di

vista etico; e complesso per le sue implicazioni sociali (Marmefelt 2009; Ruse 2009; Gowdy, Dollimore, Wilson e Witt 2013). L’economia aziendale e la dottrina di management non sembrano, peraltro, coltivare problemi irrisolti al riguardo. Ad esempio, l’economia aziendale italiana – intrisa dell’insegnamento seminale di Zappa (1927 e 1956) e memore della lezione evoluzionistica di Ceccherelli (1948) – concepisce l’impresa in continuo cambiamento, come un tema che «si svolge» nel tempo.

La filosofia e la teologia hanno, invece, al loro interno, idee talora molto contrastanti, sia in tema di creazione e cambiamento degli organismi viventi (Brancato 2009; Timossi 2009), sia riguardo alla creazione e al cambiamento delle organizzazioni nei sistemi sociali (Weickart 2009; Caselli 2012). La contrapposizione tra creazionismo ed evoluzionismo è solo un’evidenza della sensibilità cumulatasi attorno al tema prescelto2. In verità, almeno dalla Humani Generis di Pio XII fino all’insegnamento di Giovanni Paolo II sull’evoluzione come creatio continua 3 , non emerge – per restare in ambito di cattolicesimo 4 –

                                                        1Il tema è affrontato estesamente in Cafferata (2014). 2Si veda, in particolare, la prolusione del Presidente della CEI, card. Angelo Bagnasco (2009, 7), letta di fronte al Consiglio Episcopale Permanente a Roma il 3 marzo 2009.  3«L’evoluzione presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo – come una creatio continua – in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del cielo e della terra» (messaggio di Giovanni Paolo II al Simposio Fede ed Evoluzione, 26 aprile 1995, in Pascual (2004, 34)). Anche il testo a cura di Horn e Wiedenhofer (2007) contiene importanti contributi in tema di creazione ed evoluzione dal punto di vista della dottrina della Chiesa cattolica.  4Nella Lettera ai cercatori di Dio, elaborata dalla Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, l’Annuncio e la Catechesi, si può leggere: «Quando Dio ha creato il mondo, non lo ha creato compiuto: la creazione non è finita. L’uomo ha preso possesso

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un’inappellabile opposizione alla dottrina evoluzionistica che si è sviluppata soprattutto a seguito dell’opera di Charles Darwin (1859). È significativo il fatto che riunitasi in seduta plenaria dal 30 ottobre al 4 novembre 2008, la Pontificia Accademia delle Scienze abbia ribadito che, a livello scientifico, l’evoluzione rappresenta un dato acquisito della conoscenza (Francesco 2013: 241–246). Resta aperta, tuttavia, l’importante questione – posta con semplicità disarmante e chiara dal Catechismo della Chiesa Cattolica (cfr. n. 284) – che riguarda il «senso» della creatio primitiva ovvero dell’origine del cosmo, dell’uomo e degli organismi viventi; in particolare se tale processo sia stato e tuttora sia governato da un destino cieco e da una necessità anonima, oppure se sia l’opera di un Essere trascendente, intelligente e buono, chiamato Dio5.

1.3. A fronte di tali convergenze ex cathedra si evidenzia, invece, in questo inizio

del secolo XXI, una chiusura totale alle istanze metafisiche e al dialogo da parte di numerose correnti neo-darwinistiche (tra tutti Dawkins (1982)), che leggono l’evoluzione degli esseri viventi e del creato come manifestazione prevalentemente dell’azione dei genî ereditari (cioè della forza che trattiene e sposta in avanti le caratteristiche fondamentali di ciascuna specie) e del caso (cioè di eventi ambientali che, eventualmente, scompaginano le carte del creato)6. E tali correnti se la prendono vivacemente con i creazionisti. Strano per dei darwinisti! La teoria evoluzionistica di Charles Darwin non è finalistica e tanto meno essa è diretta ad avversare altre teorie.

Ma il neo-darwinismo è differenziato e variegato al suo interno (Murmann et al. 2003; Leonard 2009), così come vari e differenziati sono gli organismi studiati da Darwin. È, questo, un argomento che riprenderemo più avanti, quando daremo atto dell’importanza del darwinismo sociale, impostazione teorica che – basata

                                                                                                                                                        lentamente della terra, forgiandola, adattandola alle sue esigenze, sviluppando le potenzialità del creato per il suo bene e per la gloria di Dio. In modo particolare stiamo oggi assistendo a trasformazioni impensabili fino a pochi decenni fa. Esse ci fanno vedere come l’uomo abbia capacità sconfinate, di cui sono strumento le nuove tecnologie» (Conferenza Episcopale Italiana 2009, 24).  5In altre parole: «La Chiesa non si oppone alla teoria dell’evoluzione biologica ed è aperta ad essa, purché siano salvi sia la possibilità della creazione da parte di Dio, sia il peccato originale oggi spiegato in molti e complessi modi» (Martini 2009, 9). 6È singolare come venga dimenticato da numerosi darwinisti che, dopo la prima uscita del 1859 – e almeno dalla seconda edizione de L’origine delle specie fino all’ultima del 1872 curata direttamente dall’insigne Autore – nel processo evolutivo entri in ballo il Divino Creatore. In tutte le pagine del suo volume, Darwin è affascinato dal «meraviglioso mondo» di varietà che sta scoprendo, fino a concludere: «C’è qualcosa di grandioso in questa concezione per cui la vita, con le sue diverse forze, è stata in poche forme o in una sola originariamente infusa (“dal Creatore”, nelle edizioni seconda e seguenti); e, mentre il nostro pianeta continuava a ruotare secondo la legge costante della gravità, da un inizio così semplice innumerevoli forme bellissime e meravigliose si sono evolute, e tuttora si evolvono» (Darwin 1859; trad. it. 2009, 515)  

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sulle lezioni ricavate da L’origine delle specie e sul contributo critico di Hofstadter (1944) – viene seguita da non pochi studiosi delle organizzazioni complesse, cioè da studiosi di un altro mondo rispetto a quello di Darwin! A questi studiosi delle scienze economico-sociali non fa da ostacolo il fatto che nelle sue opere l’illustre scienziato britannico studiasse piante, animali e talvolta l’essere umano ovvero creature ben diverse dalle organizzazioni e dalle imprese, ancorché egli avesse certamente -come sottolinea (Ghiselin, 2009) - un’idea sua dell’evoluzione sociale.

2. Organismi viventi e organizzazioni sociali: similarità e dissimilarità 2.1.

Nel sistema naturale, gli organismi viventi trovano spontaneamente lo stato di equilibrio od «omeostasi» al loro interno. Si pensi, ad esempio, al corpo umano: esso trova da sé, automaticamente, il coordinato equilibrio tra le sue parti (braccia, mani, torace, ecc.) e le disfunzioni o difficoltà nelle relazioni tra una parte e l’altra si giustificano solo come eccezione (si pensi alle malattie).

Nel sistema economico-sociale, la nozione di equilibrio automatico e spontaneo non può essere normalmente applicata alle imprese. Ad esempio, la differenziazione e la struttura organizzativa che caratterizzano il sistema d’impresa s’integrano reciprocamente solo a seguito di un disegno consapevole, cioè se provvedute di un senso e d’un orientamento strategico. In tutto ciò non c’è nulla di automatico: tali caratterizzazioni sono attribuite al sistema aziendale dalla visible hand del suo soggetto fondatore o da un soggetto continuatore. Progettazione, costruzione e cambiamento dei sistemi aziendali sono largamente il risultato di volontà, conoscenza e manovra. Fare impresa, diventare sistema e mantenersi in equilibrio necessitano d’investimenti pianificati e implicano discrezionalità nel realizzarli.

Tutto ciò è una conquista, non uno stato naturale. Mentre l’essere vivente, di norma, si amministra da sé e solo come eccezione abbisogna di qualche altro meccanismo che ne regoli la sistemicità, l’organizzazione sociale dell’impresa (anche quella iper-informatizzata e automatizzata) ha sempre bisogno d’interventi, di strategie e tattiche, cioè della visible hand di proprietari e manager, talvolta anche di aiuti esterni (ad esempio, consulenti) per amministrarsi e durare nel tempo.

In sintesi: la sopravvivenza, la crescita e l’equilibrio dell’impresa si giustificano in funzione di un’opera di progettazione, costruzione e ricostruzione – cioè di una creatio continua – che nulla ha a che fare con l’azione di meccanismi spontanei o automatici, meno che mai con l’intervento di una mano provvidenziale o con un colpo di fortuna. Di qui, la nozione di contrived system ovvero d’impresa come sistema studiato, programmato e organizzato, che propongono Johnson, Kast e Rosenzweig (1967) nei loro chiari e semplici lavori; caratterizzazione sine qua non perché il sistema aziendale effettivamente esista e si mantenga in omeostasi.

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2.2. L’accattivante similitudine tra dinamismi del mondo biologico e dinamismi del

sistema della società, proposta da tempo nella letteratura economica in modo superbo da Edith Penrose (1952), va ricondotta al fatto che trattasi di due generi complessi e bisognosi di equilibrio, sia nel loro assetto interno, sia nelle loro relazioni ambientali; due mondi popolati di entità destinate a durare, ancorché non immortali. Le similarità non vanno, tuttavia, significativamente oltre.

Le imprese non trovano spontaneamente l’equilibrio ovvero il «normale stato» (Devoto e Oli 1987, II, 2056) delle condizioni sistemiche e delle operazioni aziendali che consente loro di amministrarsi con successo e durare nel tempo. Ordinariamente, le imprese vanno alla ricerca di tale stato e se lo procurano con metodo, strumenti, meccanismi, persone varie sulla base di un progetto, mettendo in moto più fattori produttivi verso il raggiungimento dello scopo per il quale dette imprese sono state create.

Ogni fattore/risorsa/competenza costituisce, di per sé, non solo un’opportunità, ma anche un limite. Di qui si giustificano, al di fuori e al di sopra di ogni spontanea regolazione: a) la costruzione di routines che segnano lo scandirsi dei giorni lavorativi; b) il contriving ovvero la pianificazione, la programmazione e il controllo delle operazioni in cui ciascun fattore viene impiegato; c) le applicazioni di intelligenza artificiale.

Il tutto voluto dall’uomo e governato da lui stesso (Pentland, Feldman, Becker e Liu 2012).

2.3. È lontana da noi, però, l’idea che l’impresa sia un monolite ultra-razionalistico

che fa tutto quello che vuole, in quanto sia contrived ovvero sistema bene progettato, metodicamente amministrato e strategicamente orientato.

Date le più volte citate distinzioni reciproche, non devono pur tuttavia essere sottovalutati alcuni aspetti di convergenza tra sistemi aziendali e sistemi viventi. Ad esempio: come il genere umano, così il mondo delle imprese annovera distinte tipologie (o specie) e l’una differisce dall’altra per questa o quella caratteristica morfologica, fisiologica e comportamentale. Inoltre, sia i sistemi aziendali, sia i sistemi viventi si articolano in sub-sistemi differenziati, reciprocamente funzionali. Le imprese hanno un ciclo di vita che per taluni aspetti ricorda un ciclo di vita biologico: anch’esse -cioè- nascono, crescono, toccano la maturità e arrivano al declino e all’estinzione.

Avuto riguardo alle lezioni tratte dall’opera di Charles Darwin e tenuto conto del diffondersi dei lavori della teoria biologica dell’impresa7, si cercherà di arrivare a un’interpretazione di matrice darwiniana del rapporto tra impresa, ambiente e

                                                        7Sebbene il darwinismo sia in sé controverso e applicabile solo con cautela alle discipline economico-aziendali, vale la pena di sottolineare che spesso i suoi critici «tendono a buttar via il bambino con l’acqua sporca allorquando rifiutano l’approccio evolutivo in quanto tale» [Dagnino 2006, 103]. 

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società senza cadere nel «darwinismo generalizzato», proposto ad esempio da Stoelhorst (2008), Hodgson e Knudsen (2010), Hodgson (2013).

In siffatto nostro autonomo tentativo, andremo sempre alla fonte del pensiero di cui trattasi – cioè ci atterremo al contenuto della maggiore opera di Darwin – perché diversi autori fanno dire al Nostro le «cose» da essi desiderate, invece che le «cose» chiaramente enunciate. In altre parole: non è tutto darwiniano ciò che viene pensato e scritto in chiave evoluzionistica da non pochi interpreti dell’opera dell’illustre antenato. Il che (tra l’altro) non è necessariamente un male! 3. Il pensiero di Charles Darwin e il darwinismo 3.1.

In The Origin of Species, Charles Darwin (1859; trad. it. 2009) cerca e rivela le leggi che «agiscono attorno a noi», in quello che egli chiama «meraviglioso mondo» in cui viviamo (2009, 515), nel quale «sono sempre possibili meravigliose metamorfosi» (2009, 222)8.

Abbiamo scelto di sintetizzare tali leggi nel modo seguente: a) il mondo in cui viviamo si caratterizza per la «varietà» e «la grande

diversità» degli organismi che lo popolano (p. 13); b) ovunque «la natura produce variazioni successive» in tutti gli esseri viventi;

ma solo «l’uomo è in grado di appropriarsene, aggregarle e indirizzarle verso direzioni che gli siano utili» (p. 31), cioè convertirle in significativi vantaggi;

c) nella storia degli organismi viventi – sotto la spinta e il ripetersi di eventi fondamentalmente «casuali» (p. 145) – si determinano numerose «piccole differenze» tra genitori e discendenti, ma tutte «importantissime» per comprendere le trasformazioni che insorgono in ciascuna specie e nei rapporti tra le specie (pp. 54, 60);

d) tutti gli organismi sono oggetto di modificazioni significative – «prolungate e lente» (p. 185) – in funzione delle variazioni accumulate, delle condizioni di vita nell’ambiente in cui essi si collocano, delle abitudini contratte, della continuità nell’uso o nel disuso delle loro forze;

e) le specie viventi sono portatori di fattori costitutivi ereditati, ovvero di un patrimonio genetico (genotipo) che ne giustifica l’ordinario comportamento e l’adattamento nell’ambiente che le accoglie;

f) le «variazioni successive» di tipo positivo sono, per ciascun organismo, come dei «materiali da accumulare» (p. 60) e usare in funzione dei problemi da risolvere; esse saranno a loro volta «ereditate», lasciando cioè segni facilmente percepibili o visibili nella discendenza (fenotipo);

g) la «selezione naturale» è il fenomeno per cui, da una parte, alcuni organismi riescono a conservare e trasmettere le variazioni favorevoli alla                                                         8Evoluzione: dall’uomo di Neanderthal all’uomo contemporaneo. Metamorfosi: l’altezza dell’uomo e della donna del XXI secolo in Europa si è elevata nell’ultimo millennio. 

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discendenza; mentre, dall’altra parte, si verifica l’estinzione delle forme viventi che non riescono a migliorarsi o migliorano solo marginalmente (sono, dunque, darwinianamente «nocive»);

h) in particolare, la selezione naturale verifica in positivo o in negativo «il potere di selezione dell’uomo» (p. 71); costui «seleziona solo per il proprio vantaggio» (p. 93);

i) la selezione naturale è il fenomeno che più contraddistingue la lotta per l’esistenza (p. 91): «la selezione naturale sottopone ad esame, giorno per giorno, in tutto il mondo, qualsiasi variazione, anche la più piccola» (p. 94); se una specie non ne esce migliorata rispetto ai competitori, la stessa sarà prima o poi esclusa e si apriranno spazi in cui «nuove specie si formeranno» (p. 122);

l) nessun organismo sfugge alla lotta per l’esistenza: questa «comprende la dipendenza di ogni essere dall’altro e, cosa più importante, comprende non solo la vita dell’individuo, ma anche la sua capacità di lasciare una discendenza» (p. 72);

m) la lotta per l’esistenza deriva dal «tasso elevato» (p. 73) con cui tutti gli organismi tendono a crescere di numero ed è «quasi sempre durissima tra gli individui della stessa specie» (p. 86): alcuni sopravvivono e si riproducono, altri escono dal «meraviglioso mondo» (p. 76) in cui hanno operato, cioè semplicemente periscono.

Commentiamo più da vicino, a questo punto, le leggi o principles appena sopra sintetizzati, che governano – secondo Darwin – l’origine e l’evoluzione degli esseri viventi. 3.2.

VARIAZIONE. Nel «grande sistema naturale» – osserva affascinato Darwin (p. 348) – trionfano diversità e cambiamento lento e graduale. Le modificazioni successive, intervenute nella storia degli esseri organici, sono d’incerta natura e sembrano più spesso «dovute al caso» che «all’azione cumulativa della selezione naturale e alle condizioni di vita» (pp. 145, 147, 148). È, questo, il principle of variation (cfr. in elenco sub a, b, c, d).

Charles Darwin raccoglie dati che lo fanno dubitare che le specie naturali mutino velocemente attraverso «variazioni improvvise e ben marcate»; le variazioni significative per l’evoluzione si manifestano esplicitamente solo «a intervalli piuttosto lunghi» di tempo [2009, 561]. Sono, invece, importantissime sia le piccole variazioni, sia le capacità di metterle a frutto, conservandone i vantaggi. «Tutte le specie sono cambiate lentamente e in maniera graduale» (p. 489); un piccolo cambiamento ovvero «una differenza minima farà pendere la bilancia da una parte o dall’altra e determinare quale individuo vivrà e quale morirà» (p. 491).

Le piccole variazioni in un qualsiasi micro-organismo possono innescare una grande variazione sia nel corpo dell’organismo che lo contiene, sia nello svolgimento delle relazioni tra organismi. L’accumulazione di innumerevoli lievi variazioni migliorative è funzionale alla ricerca della «perfezione». Non quella

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assoluta, ma quella richiesta dal «livello di forza da attivarsi nella battaglia per la vita» (p. 223).

3.3. EREDITA’. Variazioni organiche e selezione naturale non appaiono dal nulla,

né si fanno strada all’improvviso. Variazione e selezione si esplicano su un terreno che è intriso di storia ovvero di caratteristiche originarie, modificazioni lentamente fatte proprie e trasmesse in eredità (cfr. in elenco sub e, f).

Il tema è caro non solo ai biologi di ogni tempo, ma anche ai letterati contemporanei. Leggendo un noto scrittore francese, cui importa entrare dentro i processi di elaborazione del pensiero della mente umana, troviamo la seguente riflessione: «Mai nessuna mutazione metafisica avviene senza prima essere stata annunciata da mutazioni minori, spesso passate inosservate al momento del loro accadere storico» (Houellebecq 2007, 180). Charles Darwin ha colpito ancora!

Nell’opera fondamentale di Darwin (che non conosce ancora il Dna) emerge l’importanza data ai fattori ereditati ovvero al patrimonio genetico nell’evoluzione degli organismi viventi. Assieme al processo di selezione naturale, la presenza di tale elemento, che influenza in modo determinante la struttura e il comportamento degli organismi, costituisce una vera e propria architrave della teoria evoluzionistica darwiniana9, che l’illustre studioso – per la precisione – definisce ripetutamente e significativamente «teoria della discendenza con modificazioni mediante selezione naturale» (p. 363).

Tutte le caratteristiche fondamentali dell’individuo sono «semplicemente una eredità» (p. 217). L’eredità influenza inevitabilmente anche il modo in cui l’organismo si adatta nell’ambiente che trova. Scrive Darwin: «La maggior parte dell’organizzazione di ogni essere vivente è dovuta semplicemente all’eredità» (ibidem).

Anche se ogni essere vivente si adatta bene al posto che occupa in natura, numerose sue configurazioni strutturali e comportamentali non hanno nulla a che fare con le condizioni dell’ambiente in cui esso vive. Non ci si deve, quindi, meravigliare che, affrontando la problematica del rapporto degli esseri viventi con il proprio ambiente, Darwin parli di «adattamenti ereditati» (p. 224), non già di adattamenti sempre cangianti e sorprendenti, che si succedono in natura a ritmo quasi forsennato.

3.4. SELEZIONE NATURALE. Solo in apparenza si hanno evoluzioni nel sistema

naturale in ragione del passare del tempo. Al contrario – lo chiarisce per tutti bene Lewontin (1983, 66) – l’evoluzione si ha in ragione delle mutate proporzioni

                                                        9 Oggi, noi sappiamo che nell’evoluzione alcuni genî possono alterarsi o modificarsi nell’ordine in cui essi si collocano nei cromosomi, ma «le modificazioni di successo sono relativamente poco frequenti» [Pievani 2010, 35]. 

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in cui stanno nello spazio (in un territorio, in un continente o in altra specifica area) l’una all’altra le componenti del «meraviglioso mondo» degli esseri viventi; l’uno all’altro i membri della stessa specie; l’una all’altra le forze in dotazione di ciascun essere. Ciò avviene a causa della differenziata capacità che hanno gli organismi viventi di accumulare variazioni positive. Ad esempio, solo le giraffe dal collo lungo sopravvivono, mentre le altre della stessa specie periscono; il collo lungo è un patrimonio genetico vincente per cibarsi delle foglie degli alberi, non è uno sviluppo organico avvenuto lentamente nel tempo.

Si precisa meglio, a questo punto, il terzo fondamentale principio della lezione darwiniana: tutti variano, ma solo alcuni riescono ad accumulare e conservare le modificazioni vantaggiose. In funzione di quest’ultima capacità di ritenzione, «alcuni membri o componenti del mondo biologico permangono, mentre altri scompaiono, sicché la natura dell’intero sistema cambia» [Lewontin 1983, 65-66].

È, questo, il principle of natural selection. Di qui un divenire storico in cui nulla sta fermo e tutto, invece, cambia per selezione naturale. Di qui, il neologismo «cambiamento evolutivo» (cfr. in elenco sub g, h, i), che, spesso, in dottrina, s’impone sul più semplice termine «evoluzione».

Tirando la giacca all’illustre Naturalista, i seguaci del darwinismo sociale [Price e Shaw 1998; Hodgson e Knudsen 2010; Breslin 2011; Carmeli e Markman 2011; Hodgson 2013] traducono il principio della selezione naturale degli organismi viventi in un dogma da applicare anche al sistema economico, al sistema delle imprese, perfino ai sistemi urbani e territoriali. Emerge -come dianzi accennato- una proposta di darwinismo generalizzato10.

Data questa prospettiva teorica, si giustifica -in chiave di darwinismo sociale generalizzato- come all’interno di un settore di attività economica la concorrenza tra imprese possa variare dinamicamente [McCarthy, Lawrence, Wixted e Gordon 2010; Murmann 2013]: α) ora perché taluni attori sociali maturano e rafforzano le risorse/competenze originarie, nonché la proporzione dei fattori

                                                        10Il generalized darwinism porta all’«estremo» il pensiero di Hofstadter e dei seguaci del darwinismo sociale. Il darwinismo generalizzato usa sintetizzare l’evoluzione biologica attraverso il processo sequenziale e retroattivo di: i) variazione dei «genotipi» negli organismi viventi; ii) selezione, da parte dell’ambiente, dei «fenotipi» più adatti tra quelli associati a detti genotipi; iii) ritenzione, da parte dello stesso ambiente, dei genotipi sottostanti i fenotipi selezionati. Il genotipo rappresenta la complessiva composizione genetica di un organismo vivente (cfr. paragrafo 3.1, in elenco sub e); il fenotipo identifica, invece, l’insieme delle caratteristiche evidenziatesi nell’evoluzione dell’organismo stesso (cfr. par. 3.1, in elenco sub f). Ciò premesso, il darwinismo generalizzato è definito tale in quanto sostiene che il meccanismo di variazione-selezione-ritenzione non sia valido solo per spiegare l’evoluzione in biologia, ma anche per comprendere la maggior parte dei processi evolutivi afferenti al mondo delle scienze sociali: in quest’ultimo contesto, tale approccio utilizza i concetti di replicatore ed interattore come sinonimi, rispettivamente, dei concetti di genotipo e fenotipo. Nello studiare l’evoluzione delle organizzazioni complesse, il darwinismo generalizzato attribuisce il ruolo di replicatori ad elementi quali, ad esempio, le routine o la conoscenza; come possibili interattori identifica le produzioni delle organizzazioni stesse o l’azione di particolari gruppi intra-organizzativi.  

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positivi detenuti rispetto a quelli in mano ai concorrenti; β) ora perché altri manifestano debolezze ereditate che non riescono a migliorare, venendo alla fine espulsi dall’ambiente in cui svolgono attività.

3.5. LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA. Nell’interessarsi – come appena sopra

citato – alle forme e ai modi in cui si «organizza» l’essere vivente, Darwin è attratto dalle variazioni piccole, numerose e significative, che interessano gli elementi interni (parti) all’essere vivente.

A cambiare sono i singoli elementi e le loro funzionalità, non è necessariamente l’organismo nella sua interezza [Darwin 2009, 54 ss.]. L’illustre studioso matura la convinzione che l’organismo viva in quanto spinto in avanti, nel processo storico, dalla forza endogena delle singole parti, a cominciare dalle componenti ereditate. La vita può modificarle nella propria morfologia e nelle sue funzionalità, in un divenire largamente imprevedibile [2009, 51]. Ciascuna parte può variare indipendentemente dall’intero: ad esempio, le ali crescono rispetto al resto del corpo del volatile; gli arti inferiori o superiori di animali terrestri si uniscono sviluppando una membrana, ciò che facilita il nuoto, mentre resta immodificato il tronco del soggetto.

Nella sua interezza sistemica, quindi, ogni organismo sarebbe oggetto della variazione delle singole forze/parti: sono queste che lo fanno resistere o lo fanno perire. Ciascun essere è ostaggio delle proprie forze. Con tali forze ereditate, autoreferenziali, talora esclusive esso lotta per sopravvivere, prima ancora che per togliere la vita agli altri. Se accumulano cambiamenti significativamente vantaggiosi – e lo fanno comunque con secolare lentezza – le predette forze possono dar luogo a modificazioni radicali dell’organismo di riferimento. Nel sistema naturale, possono generarsi «varietà ben marcate», nuove potenziali specie; ovvero «specie incipienti» (Darwin 2009, 61).

Da questo punto di vista, la lotta per la sopravvivenza sembra essere basata su di un rapporto primitivo: non quello dell’organismo con gli altri, ma quello dell’organismo con le proprie forze, che lo vitalizzano, ne determinano ora la selezione favorevole (selecting in), ora la selezione sfavorevole e la scomparsa (selecting out).

Si precisa, a questo punto, il quarto principio evoluzionistico darwiniano: the principle of the struggle for survival (cfr. in elenco i punti i, l, m). Ogni significativo cambiamento evolutivo si produce sotto la formidabile spinta della «lotta per la vita». Scrive Darwin: «La lotta sarà quasi sempre durissima tra gli individui della stessa specie, perché abitano gli stessi luoghi, necessitano dello stesso cibo e sono esposti agli stessi pericoli» (2009, 86). Ogni organismo vivente lotta per la vita, in quanto potenziale soggetto a «distruzione» (2009, 89).

Esisterebbe un’unica fattuale legge generale che porta a miglioramenti negli organismi viventi e a positive variazioni dell’intero sistema naturale, che Charles Darwin esprime nel modo seguente: «Moltiplicatevi, variate, viva il più forte e muoia il più debole» (2009, 263).

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In termini darwinisti, traducendo il suddetto principio della lotta per la sopravvivenza nel linguaggio e nelle vicende delle aziende di produzione, si potrebbe concludere quanto segue: i) l’organizzazione imprenditoriale è costituita di parti con funzioni differenziate; ii) ogni impresa è portatrice di una qualche dotazione di risorse/competenze, ma ha dissimili capacità di farne uso; iii) essa vive, interagisce e compete con organizzazioni di varia specie, grazie a forze ereditate e forze lentamente accumulate; iv) essa lotta per sopravvivere, prima che per crescere ed eliminare gli altri.

4. Il concetto darwiniano di co-evoluzione 4.1.

Resta da considerare, più da vicino, il rapporto tra organismo vivente, sue forze e proprio ambiente naturale. Con ciò si fa riferimento al mondo che avvolge ogni organismo «per la sua vita» (Darwin 2009, 71, 76); un mondo pieno di diversità e di varietà interne a ciascuna specie.

Secondo le ricerche dello scienziato britannico e dei suoi più ortodossi interpreti in biologia – li chiameremo appartenenti al darwinismo classico – l’ambiente fisico-naturale e le relative condizioni di vita che pre-esistono alla nascita degli organismi contano solo in maniera complementare o addirittura residuale rispetto all’eredità genetica e all’accumulo di variazioni positive.

Darwin critica i naturalisti del suo tempo, i quali «si riferiscono continuamente alle condizioni esterne [...] come all’unica possibile causa di variazione» [2009, 9]; e tale assolutismo per Darwin «è insensato» (idem). Pur tuttavia, l’ambiente «per qualcosa» conta (2009, 5)]. E’ lo stesso Darwin a sottolineare come il picchio si presenti attraverso le generazioni con un becco allungato e appuntito; sono sopravvissuti quelli che sono riusciti a raggiungere sempre meglio gli insetti nel tronco degli alberi. In tutto ciò l’ambiente ha contato, nel senso che al volatile la foresta ha offerto opportunità. Gli ha proposto ostacoli non insormontabili; ha lasciato fare. I due protagonisti del rapporto si sono co-adattati (Darwin 2009, 70-71).

L’ambiente ora può presentarsi munifico di risorse e, perciò, mostra il suo volto positivo; ora è povero di risorse e si mostra respingente, anche pericoloso. Entro la situazione che l’organismo trova (the pre-existent niche) o ci si sta appropriatamente con le proprie capacità – autoprodotte o acquisite lentamente – oppure non ha luogo alcun fit, cioè non vi è inserimento efficace, né spazio per sopravvivere. Da questo punto di vista, il darwinismo delle origini in biologia è l’equivalente del liberismo classico in economia (Hofstadter 1944, 22).

Gli organismi che sopravvivono hanno, per Darwin, un marvellous fit nell’ambiente; mentre nello stesso spazio e nello stesso tempo c’è sempre qualcuno che palesa la sua debolezza, cioè la sua dotazione insufficiente di forze, e prima o poi perisce. Nel senso che si esclude, perché è solo un contenitore di forze «nocive»; ma tutto ciò è diverso dall’essere esclusi. In Darwin e nel

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darwinismo classico ogni nicchia ecologica rileva solo nella misura che offre opportunità e le fa scegliere. L’ambiente non può che prendere atto di quello che accade nello spettacolo della vita, assistendo alla festa di chi vive e al dramma di chi muore.

4.2. Negli studi contemporanei d’impronta darwiniana sull’evoluzione degli

organismi viventi -ne è uno straordinario interprete Richard Lewontin (1983; 1989)- si rivolge attenzione a tre fattori del cambiamento del sistema naturale, che la teoria biologica dell’impresa è stata, da tempo, pronta a interiorizzare nel proprio bagaglio concettuale. Li sintetizziamo come segue.

Primo aspetto. È ben vero che «ogni produzione della natura ha avuto una

storia» (Darwin 2009, 510); che tutti gli esseri viventi sono la conseguenza di un processo comprendente nascita, selezionate modificazioni rispetto al passato, esistenza e/o morte. Ma tra la loro creazione, la loro sopravvivenza o eventuale scomparsa c’è qualcosa in più delle variazioni subìte e, in particolare, di quelle casuali. C’è anche la capacità dell’organismo di integrare vecchio e nuovo, di accumulare miglioramenti, di prevenire o scansare gli esiti non desiderati. Trattasi di una capacità sistemica, che si batte per rinnovare la storia del soggetto agente.

Secondo aspetto. In ragione delle sue capabilities e dell’integrazione che riesce a generare tra le proprie forze, l’organismo vivente è non solo oggetto di mutamenti puntiformi (in questa o quella sua funzionalità), ma è anche in grado di partecipare attivamente al suo sviluppo complessivo quali-quantitativo, cioè è potenziale soggetto di creatio continua11. In quanto soggetto creatore e creativo, l’organismo è ben di più di un topografico locus of interaction di particelle elementari. Nella sua sistemicità esso è dotato di una naturale intelligenza, che gli consente di essere protagonista del suo presente e del suo futuro.

Terzo aspetto. Trova quindi conforto l’idea che, come gli organismi, così le organizzazioni (del tipo dei sistemi d’impresa) non siano solo appese al loro ambiente, ma anche partecipino attivamente alla loro storia. Venendo alla luce esse trovano tutto fatto, ma sono in grado anche di trasformare il creato a proprio vantaggio, in tutto o in parte. Il sistema aziendale, le sue forze interne e le forze esterne s’influenzano reciprocamente; si co-determinano, evolvendosi assieme. In quest’ambito c’è posto anche per il caso, cioè per eventi che di fatto, inaspettatamente, contribuiscono all’evoluzione.

Ma tutto ciò che è contenuto nei tre aspetti sopraelencati rappresenta un’alternativa teorica al darwinismo classico. E’ il trionfo della complementarietà dinamica tra oggetto e soggetto, è -per così dire- una evoluzione convincente della teoria biologica del cambiamento delle organizzazioni complesse.

                                                        11Sul tema, qui appena richiamato, inerente alla creatio continua, rimandiamo al nostro paragrafo 1.2. 

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5. L’adattamento nel darwinismo classico e in quello contemporaneo

5.1. Abbiamo sopra ricordato come, in Darwin e nel darwinismo classico,

l’ambiente rappresenti un dato per gli organismi viventi. L’ambiente è la situazione ereditata del sistema naturale in cui ciascuno si colloca, essendo stato adottato.

L’ambiente ha proprie caratteristiche e propri meccanismi regolatori che sono funzione della storia; a tutti pone problemi di adattamento a seguito dell’avvenuta adozione. Ogni organismo deve trovare la forma (struttura) e il modo (processi) per risolvere siffatti problemi. Data la prospettiva teorica di Darwin, l’adattamento si può definire come «processo di cambiamento evolutivo in cui l’organismo si crea una sempre migliore soluzione al problema che ha di fronte, il cui risultato -alla fine- è rappresentato dall’essere adattato» (Lewontin 1989, 157).

È rilevante la prospettiva darwiniana classica dell’«essere adattato». Per stabilirsi appropriatamente nella nicchia che ad esso pre-esiste e per modellarsi in esso, «ogni organismo deve essere come una chiave forgiata, che s’inserisce nella serratura» (Lewontin 1983, 74).

Non tutti però ce la fanno a sopravvivere trovando il buco. Vi è un successo differenziale nell’adattamento.

Dianzi, abbiamo peraltro evidenziato come nel darwinismo contemporaneo siano emerse correnti di pensiero che spiegano come, nel venire alla luce, ogni organismo trovi una situazione data, ma almeno qualcuno possa palesarsi in grado di ridefinirla attraverso propri comportamenti, tentativi ed errori. In altre parole: il meraviglioso mondo di Darwin è davvero una creatio continua!

Tale correnti di pensiero danno un contributo significativo alla teoria biologica del’impresa e dell’evoluzione dei sistemi sociali. Tradotto in termini di rapporto tra impresa, ambiente e società tutto quanto appena sopra sintetizzato, è lecito sostenere che all’interno delle imprese -diventate sistemi- esistono capacità competitive e operano centri nevralgici (organi volitivi, persone dotate di leadership, nonché individui o gruppi umani fortemente creativi) in grado di prendere decisioni discrezionali, svolgendo operazioni influenti sullo stato della loro nicchia, creando nuove opportunità, stimolando di fatto l’emergere di generazioni di follower (Simon 1993; De Rond e Thietart 2007); e grazie a infiniti processi di apprendimento e al sapiente utilizzo della conoscenza, i predetti sistemi non solo riescono a fare i conti con la propria storia, ma possono anche influenzare lo stato della concorrenza, procurandosi vantaggi competitivi a loro unico beneficio (Argyris 1993; Porac e Shapira 2001; Zollo e Winter 2002; Levinthal e Rerup 2006).

Settori e ambienti di tipo differenziato nascono e muoiono, insieme con le imprese e le altre organizzazioni della società, in forza di un processo co-evolutivo, per cui tutti -vecchi e nuovi- s’influenzano reciprocamente nel proprio ciclo di vita (Henderson e Stern 2004; Cantwell e Piscitello 2008; Murmann 2013). Anche i newcomer, cioè i nuovi venuti nel sistema economico e sociale, partecipano alle dinamiche settoriali presenti e future. Ogni organizzazione di tipo

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imprenditoriale produce beni e consuma risorse ricavate nella propria nicchia, oltre a quelle ereditate dal passato, costruendo e ricostruendo incessantemente il proprio ambiente.

Grazie a Karl Weick e al concetto di enactment, ovvero di come si possa mettere in moto l’ambiente, si riesce a cogliere assai bene «il ruolo pro-attivo che giocano i membri dell’organizzazione nella creazione dell’ambiente che grava su di loro» (1993, 184). Entrata nel settore d’attività economica da essa prescelto, l’impresa lotta per l’esistenza; prende atto del creato che c’è, ma al tempo stesso detiene e usa consapevolmente un bundle of resources grazie al quale può trasformare almeno in parte il predetto creato. Può, anzi, maturare vantaggi, diventando soggetto esemplare, da imitare, per avere successo competitivo (Hamel e Prahalad 1994; Barney 2001).

5.2. Da tutto quanto sopra si può trarre una sintesi anche in tema di adattamento.

L’adattamento si concilia con l’evoluzione per la necessità che hanno gli organismi e le organizzazioni di risolvere al meglio lo specifico problema di fitness nel proprio ambiente. Ma la soluzione del problema non sempre si configura in termini di ricerca di passivo adeguamento. Nel corso del ciclo di vita dell’impresa l’adattamento può essere controllato e guidato non solo da chi ha un’eredità vantaggiosa, ma anche da chi – neovenuto al mondo – tesaurizza le darwiniane variazioni positive, sviluppa sempre maggiori competenze e sa come usarle efficientemente ed efficacemente.

Nel meraviglioso mondo in cui viviamo tutto è aperto al cambiamento evolutivo: le innovazioni si manifestano ora a piccole onde – cioè in modo via via incrementale – ora a onde lunghe e in forma radicale [Freeman 1972]. Nell’evoluzione, i problemi che s’incontrano sono differenziati e numerosi. A risolverli non pensano, però, solo la natura e/o il mercato; a risolverli pensano – sia con la propria eredità, sia con la propria capacità e fattiva autonomia – anche gli organismi viventi e/o le organizzazioni concepite e guidate in modo razionale.

Da ciò trae conforto la conclusione che, accumulando variazioni positive e orientandosi sapientemente per il proprio tornaconto, «those that adapt best displace the rest» (Henderson 1989, 140). Tale virtuoso adattamento si consegue non sempre in termini di mero adeguamento a quello che c’è e ha riservato la storia, ma molto più spesso in funzione delle possedute capacità di controllo della situazione ambientale trovata e d’uso delle risorse accumulate.

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6. Conclusioni 6.1.

Avvalendosi dei principi che danno forma, secondo Charles Darwin, al funzionamento e cambiamento di tutto ciò che sta «attorno a noi», nel «meraviglioso mondo» in cui viviamo (2009, 515), il più convincente darwinismo contemporaneo offre un’interpretazione in senso universale e generalizzato dell’evoluzione nei sistemi economico-sociali che può riassumersi nel seguente modo:

a) nel sistema della società convivono tipologie numerose e diverse di organizzazione produttiva di beni e servizi: tutte si differenziano l’una dall’altra quanto a caratteristiche costitutive e a varianti di dette caratteristiche;

b) continuità col passato (eredità) e variazione rispetto al passato -nel senso della desiderata accumulazione di caratteristiche positive- s’intrecciano l’una con l’altra nel processo evolutivo;

c) competere nella lotta per l’esistenza significa misurarsi con altre entità attraverso proprie risorse – non solo ereditate, ma anche autogenerate o acquisite dall’esterno – cercando di migliorarle;

d) tutti cercano soluzioni ai loro problemi, cioè si adattano: coloro che lo fanno meglio degli altri, costruendo nel contempo il proprio equilibrio nel proprio ambiente, spiazzano o soppiantano tutto il resto;

e) la selezione naturale è il fenomeno che più di ogni altro contraddistingue il cambiamento evolutivo: nella lotta per l’esistenza resistono e si rafforzano solo gli elementi che accumulano variazioni positive, mentre si perdono gli elementi deboli e inservibili. Tutti variano, solo alcuni rimangono in campo, gli altri scompaiono; non tutti, in altre parole, hanno successo riproduttivo.

Importanti implicazioni riguardano, in particolare, l’impresa. Diventata sistema, essa è non solo spettatrice, ma anche co-protagonista della vita nella nicchia ecologica che l’ha accolta. Il suo destino non è sempre e solo quello di adeguarsi alle contingenze ambientali, secondo la tesi proposta dalla scuola manageriale di Harvard (Lawrence e Lorsch 1967; Hannan, Polos e Carroll 2007). L’impresa non può certamente re-inventarsi tutto il creato; ma può partire da esso, trasformarlo e rendere un servizio oltre i confini della propria egoistica economia.

Se sopravvive e ha successo nel competere o cooperare con altre organizzazioni, ciò vuol dire che il sistema d’impresa è riuscito a crearsi una zona di rispetto sociale, radicandosi appropriatamente nell’ambiente che l’accoglie, ponendo anche le premesse per svilupparsi fuori della propria nicchia, coinvolgendo di fatto nella propria sorte altre organizzazioni. Al contrario, se s’indebolisce nelle proprie forze o subisce pressioni che ne mettono in crisi la sistemicità, l’impresa deve ri-adattarsi, cioè risolvere in modo nuovo i problemi incombenti. In difetto di tale manifestazione di capacità, altre organizzazioni ne prenderanno il posto, legittimandosi a livello sociale.

Detto in parole più pertinenti al modo di argomentare dell’economista d’impresa, si può concludere nel seguente modo: la desiderata sistemicità è il

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fattore di base della competitività, ma non rende immodificabili e immortali la gestione e organizzazione aziendale.

6.2 Considerati gli importanti risultati di ricerca ottenuti, l’evoluzionismo di matrice darwinista sembra a noi trascuri, tuttavia, non solo la connessione tra cambiamento evolutivo e processi attraverso i quali le imprese diventano veri e propri sistemi (Cafferata 2010), ma anche la dialetticità del rapporto tra impresa, ambiente competitivo e resto della società12.

Il punto di partenza è quello del più convincente darwinismo contemporaneo. L’impresa è, al tempo stesso, oggetto e soggetto di cambiamento evolutivo: il suo comportamento è, da una parte, sempre vincolato da strutture, processi di mercato, azioni individuali, residui della storia propria; dall’altra parte, è sempre suscettibile di diventare trasformatore, innovatore, produttore di conoscenza e anche di lasciare una discendenza di nuove imprese.

Nella lotta per l’esistenza, il rapporto tra impresa, ambiente e resto della società non è linearmente continuo e non si svolge sempre come desiderato da chi governa il sistema aziendale. È un rapporto problematico: può comportare conflitti, paradossi, conseguenze non volute, rovesci del fronte competitivo.

Ad esempio: a un accumulo positivo di risorse può anche rapidamente seguire una crisi, per l’incapacità dei decision makers aziendali di saper far uso del creato e del raccolto. Oppure: l’impresa in vantaggio – cresciuta e potente – può subire influenze darwinianamente nocive, regredire a stati precedenti, ad esempio rimpicciolire o addirittura uscire dal settore ove si è procurata il primitivo successo. In siffatte contraddizioni del percorso evolutivo (sviluppo/crisi) e nella sempre possibile variazione (progresso/involuzione) dei rapporti di forza inter-sistemici sta la natura dialettica dei processi di adattamento.

In quest’ambito, vale la pena di osservare come, nell’evoluzione del sistema sociale, i fenomeni di distruzione di organizzazioni e di selecting out (uscita) siano contrastati dalla continua autogenesi di organizzazioni e da fenomeni di selecting in (entrata). Tali fenomeni non sono, però, esattamente simmetrici, né danno necessariamente luogo a un saldo positivo. Ad esempio: in ogni settore d’attività economica nascono imprese in ogni istante, ma non in egual numero e con le stesse caratteristiche di quelle che sono costrette a lasciar per sempre il campo competitivo.

Guardiamo, inoltre, a ciò che spesso accade nel mondo delle grandi imprese. Nel seno di un «gruppo aziendale» possono essere generati sub-sistemi che rimarranno per sempre avvinti alla capogruppo; altre parti, invece, saranno soppresse. Può anche accadere che l’intero gruppo abbia a morire, dopo che nella sua storia sembrava invincibile. In tale dissolvimento, nuovi gruppi possono formarsi, nuove organizzazioni possono emergere, destinate ad assumere compiti similari o anche molto dissimili da quelli andati perduti: ora

                                                        12Influenzati da Benson (1977) e Zeitz (1980), ne parlammo la prima volta in Cafferata (1987).  

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potenzialmente innovativi per l’intero sistema della società, ora imprevedibilmente egoistici e addirittura nocivi13. Nell’ambito del più generale processo evolutivo a scala sociale, il rapporto tra impresa e ambiente è dialettico nel senso che, da una parte, esso è in grado di determinare processi costruttivi, dando luogo a forme organizzative nuove, prodotti e servizi utili a risolvere problemi; dall’altra parte, il rapporto medesimo può essere distruttivo, mettere in difficoltà tutto il resto del creato, seminando problemi: si pensi, ad esempio, alle conseguenze sociali della crisi e cessazione delle attività di numerosi complessi industriali nel Vecchio Mondo.

L’approccio dialettico al rapporto tra impresa, ambiente e società facilita la comprensione dell’intrecciarsi di processi di formazione/conservazione/sviluppo di nuovi sistemi con processi di cambiamento/ricostruzione/distruzione di vecchi sistemi. Il principio evocato dall’approccio dialettico è quello di tesi, antitesi e sintesi.

6.3 Impresa non solo oggetto, ma anche soggetto di cambiamento evolutivo;

adattamento come ricerca consapevole e strutturata di soluzioni corrispondenti a problemi via via emergenti; co-evoluzione tra impresa, ambiente e società: sono questi – a nostro avviso – i risultati delle ricerche di matrice darwinista utili per una riflessione in ambito di cambiamenti evolutivi dell’organizzazione e del management aziendale (v. fig. 1).

In tal ambito, ci si attende che assuma piena rilevanza la natura dialettica del rapporto tra impresa, ambiente e sistema della società. Nella vita dell’impresa, infatti, non ci sono solo adeguamento e ricerca delle condizioni minime per sopravvivere; ma ci sono anche giri articolati e contraddittori di mosse, contromosse, azioni consapevoli, tentativi, errori, per cui l’impresa cerca di differenziarsi, trasformare l’ambiente, controllarlo in tutto o in parte. Se possibile vincere.

Figura 1 – Creazione ed evoluzione. Una sintesi

                                                        13 «Dialectical analysis […] must be concerned with the active reconstruction of organizations. This reconstruction is aimed towards the realization of human potentialities by the removal of constraints, limitations upon praxis» [Benson 1977, 18]. 

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Roberto Cafferata Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese Department of Studies on Business, Government, and Philosophy University of Rome Tor Vergata Via Columbia 2, 00133 Rome, Italy e-mail: [email protected]