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1 INTRODUZIONE Gli anni novanta ed i primissimi anni del ventunesimo secolo sono stati segnati da un gran numero di statistiche sull’errore clinico e sui conseguenti danni subiti dai pazienti, da una serie di casi di fallimenti delle cure e da un numero crescente di rilevanti rapporti dei Governi, degli Ordini e delle Associazioni professionali sulla necessità di rendere la Sanità più sicura. La possibilità di arrecare danno è intrinseca alla pratica della medicina soprattutto ora che risulta essere complessa, efficace e quindi potenzialmente pericolosa. Le innovazioni portano a nuovi rischi, le aumentate potenzialità comportano elevate probabilità di danno e le nuove tecnologie offrono nuove possibilità di risultati imprevisti e di rischi letali. La consapevolezza dei danni provocati dalla medicina e gli sforzi per ridurli sono vecchi quanto la medicina stessa. Nel 1863 Florence Nightngale nell’introduzione alle sue Notes on hospital scrisse: “Può sembrare strano enunciare che il primo requisito per un ospedale sia quello di non danneggiare il malato. E’ opportuno, infatti, richiamare tale principio, perché la mortalità negli ospedali, specialmente in quelli delle grandi città, è considerevolmente più alta di quella attesa per la stessa classe di patologia nei pazienti trattati al di fuori dell’ospedale”.(1) In passato l’errore medico e di altri operatori sanitari era considerato una colpa della persona, mentre oggi sappiamo che è spesso l’evento conclusivo di una complessa catena di fattori ambientali, organizzativi ed umani, nella quale il contributo della persona che lo ha effettivamente commesso è solo l’ultimo anello e non necessariamente il più rilevante. Studiare la catena permette di individuare dove è meglio intervenire per prevenire gli errori o per verificare dove sono più frequenti. La gestione dei rischi come oggi la intendiamo, lungi dall’avere uno scopo punitivo, è diventata un processo decisionale che tende a promuovere la partecipazione attiva del personale garantendo che sarà supportato dall’organizzazione nel caso venga accusato di aver causato danni iatrogeni.(2) Anche l’infermiere, come cita l’articolo 29 del Codice Deontologico, “concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell’assistito e dei familiari e lo sviluppo dell’imparare dall’errore. Partecipa alla iniziative per la gestione del rischio clinico.” (3) La sicurezza del paziente e la gestione del rischio clinico quindi sono oramai obiettivi centrali in tutte le organizzazioni sanitarie. A livello nazionale stanno nascendo

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INTRODUZIONE

Gli anni novanta ed i primissimi anni del ventunesimo secolo sono stati segnati da un

gran numero di statistiche sull’errore clinico e sui conseguenti danni subiti dai pazienti,

da una serie di casi di fallimenti delle cure e da un numero crescente di rilevanti

rapporti dei Governi, degli Ordini e delle Associazioni professionali sulla necessità di

rendere la Sanità più sicura.

La possibilità di arrecare danno è intrinseca alla pratica della medicina soprattutto ora

che risulta essere complessa, efficace e quindi potenzialmente pericolosa.

Le innovazioni portano a nuovi rischi, le aumentate potenzialità comportano elevate

probabilità di danno e le nuove tecnologie offrono nuove possibilità di risultati imprevisti

e di rischi letali.

La consapevolezza dei danni provocati dalla medicina e gli sforzi per ridurli sono

vecchi quanto la medicina stessa. Nel 1863 Florence Nightngale nell’introduzione alle

sue Notes on hospital scrisse:

“Può sembrare strano enunciare che il primo requisito per un ospedale sia quello di

non danneggiare il malato. E’ opportuno, infatti, richiamare tale principio, perché la

mortalità negli ospedali, specialmente in quelli delle grandi città, è considerevolmente

più alta di quella attesa per la stessa classe di patologia nei pazienti trattati al di fuori

dell’ospedale”.(1)

In passato l’errore medico e di altri operatori sanitari era considerato una colpa della

persona, mentre oggi sappiamo che è spesso l’evento conclusivo di una complessa

catena di fattori ambientali, organizzativi ed umani, nella quale il contributo della

persona che lo ha effettivamente commesso è solo l’ultimo anello e non

necessariamente il più rilevante. Studiare la catena permette di individuare dove è

meglio intervenire per prevenire gli errori o per verificare dove sono più frequenti.

La gestione dei rischi come oggi la intendiamo, lungi dall’avere uno scopo punitivo, è

diventata un processo decisionale che tende a promuovere la partecipazione attiva del

personale garantendo che sarà supportato dall’organizzazione nel caso venga

accusato di aver causato danni iatrogeni.(2)

Anche l’infermiere, come cita l’articolo 29 del Codice Deontologico, “concorre a

promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell’assistito e dei familiari e lo sviluppo

dell’imparare dall’errore. Partecipa alla iniziative per la gestione del rischio clinico.” (3)

La sicurezza del paziente e la gestione del rischio clinico quindi sono oramai obiettivi

centrali in tutte le organizzazioni sanitarie. A livello nazionale stanno nascendo

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iniziative e programmi di gestione del rischio clinico e di miglioramento della sicurezza.

Gli approcci utilizzati sono molteplici ed includono generalmente la formazione,

l’applicazione di strumenti di tipo retrospettivo per l’identificazione degli eventi avversi o

dei near miss e l’implementazione di strumenti di analisi del processo, mirati alla

prevenzione dell’errore e all’identificazione dei rischi e delle vulnerabilità presenti nel

sistema sanitario.

Nell’ Azienda Sanitaria ULSS 3 di Bassano del Grappa, presso la quale lavoro, è

iniziato da qualche anno un percorso di gestione del rischio clinico attraverso

l’implementazione e l’utilizzo di questi strumenti.

In questo contesto organizzativo, che promuove e valorizza la cultura della sicurezza,

si colloca, quindi, la proposta di applicazione di un nuovo strumento ideato per rilevare

gli eventi avversi che causano danno al paziente, il Global trigger tool, creato e

proposto dall’Institute of Healthcare Improvement (IHI) di Boston: un’organizzazione

no-profit che persegue il miglioramento della qualità nelle organizzazioni sanitarie.(4)

Questo strumento, che prevede la revisione della documentazione del paziente,

consente di ottenere una fotografia dello stato di sicurezza dell’organizzazione,

offrendo la possibilità di rilevare in modo accurato e semplice gli eventi avversi,

misurandone l’occorrenza nel tempo e valutando l’efficacia dei cambiamenti intrapresi.

La scelta di fare una tesi sul rischio clinico è nata dallo studio del risk management

avvenuto durante il Master in Coordinamento e dalla partecipazione al gruppo di lavoro

aziendale di applicazione della FMEA.

Queste esperienze di studio ed applicazione di strumenti di gestione del rischio hanno

fatto nascere in me l’interesse di approfondire il tema e la volontà di implementare

l’utilizzo di questo nuovo strumento, poco conosciuto e poco utilizzato soprattutto in

Italia.

Lo strumento è stato applicato, per ora solo su un piccolo campione di 40 cartelle

cliniche di pazienti ricoverati nella S.C. di Medicina Interna presso la quale lavoro. Lo

scopo era implementare lo strumento, facendolo entrare nella prassi aziendale di

gestione del rischio e creare un team di lavoro addestrato all’utilizzo dello stesso.

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1. I PARADIGMI DELL’ERRORE: L’APPROCCIO SISTEMICO

Il tema dell’errore e del come ridurlo possono essere affrontati con differenti approcci.

Secondo Deborah Lucas e James Reason si possono distinguere quattro prospettive

dell’errore le quali portano a diverse soluzioni al problema dell’errore:

- Prospettiva tecnologica

- Prospettiva individuale: il modello basato sulla persona

- Prospettiva psicologica

- Prospettiva organizzativa: il modello sistemico

Il modello sistemico è senz’altro quello più utilizzato in sanità. L’idea essenziale alla

base di questo approccio è che la maggior parte degli incidenti in organizzazioni

complesse è generato dall’interazione fra le diverse componenti del sistema:

tecnologica, umana ed organizzativa. (1)

All’inizio degli anni novanta James Reason è riuscito a spiegare ed illustrare

efficacemente il problema degli errori nei sistemi complessi attraverso il modello del

“formaggio svizzero”. Questa metafora è utile per la comprensione delle complessità e

disomogeneità intrinseche al sistema.

Figura n°1 Swiss Cheese Model Reason1990

I buchi nelle fette di formaggio rappresentano le insufficienze latenti che sono presenti

nei processi sanitari; quando si modificano più fattori che normalmente agiscono come

barriere protettive, i buchi si possono allineare e permettere il concatenarsi di quelle

condizioni che portano al verificarsi dell’evento avverso.

In sanità esistono due tipologie di rischio: un rischio di impresa intrinseco alle

tecnologie, ai meccanismi di produzione della organizzazione sanitaria e proporzionale

alla complessità del sistema ed un rischio definito rischio puro che dipende dal

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concatenarsi di situazioni che favoriscono l’insorgenza di un evento avverso, non è

prevedibile o quantificabile.(5)

2. CLASSIFICAZIONE DEGLI ERRORI

La teoria dell’errore umano di Rasmussen propone una classificazione del

comportamento dell’uomo in tre diverse tipologie:

1.Skill-based behaviour: comportamenti automatici ad una data situazione;

2. Ruled-based behaviour: comportamenti prescritti da regole;

3. Knowledge-based behaviour: comportamenti messi in atto quando ci si trova

difronte ad una situazione sconosciuta e si deve attuare un piano per superarla.

Figura n° 2: Teoria dell’errore umano Rasmussen 1987

I tre tipi di comportamento si acquisiscono in sequenza: non esistono comportamenti

skill-based innati, ma questi derivano dalla pratica in situazioni che all’inizio

richiedevano impiego della conoscenza e capacità di risolvere i problemi.

L’errore può nascere ad ogni livello di comportamento ma diverse sono le cause:

l’interpretazione errata dello stimolo a livello skill-based, scelta di una norma non

ERRORE

SKILL-BASED BEHAVIOUR

RULED-BASED BEHAVIOUR

KNOWLEDGE-BASED

Scelta di una norma/regola adeguata

Pianificazione di una strategia

Reazione automatica ad uno stimolo

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adeguata per i comportamenti ruled-based, pianificazione di una strategia non adatta a

raggiungere gli obiettivi specifici della situazione a livello knowledge-based.

Sulla base del modello proposto da Rasmussen, Reason delinea tre diverse tipologie

di errore:

Errori d’esecuzione che si verificano a livello d’abilità (slips)

In questa categoria vengono classificate tutte quelle azioni che vengono eseguite in

modo diverso da come pianificato, cioè il soggetto sa come dovrebbe eseguire un

compito, ma non lo fa, oppure innavertitamente lo esegue in maniera non corretta

(ad esempio, il paziente riferisce un’allergia all’infermiere che si dimentica di riferirlo

al medico).

Errori di esecuzione provocati da un fallimento della memoria (lapses)

In questo caso l’azione ha un risultato diverso da quello atteso a causa di un

fallimento della memoria. A differenza degli slips, i lapses non sono direttamente

osservabili.

Errori commessi durante l’esecuzione pratica dell’azione (mistakes)

Si tratta di errori pregressi che si sviluppano durante i processi di pianificazione

Possono essere di due tipi:

- Ruled-based: si è scelto di applicare una regola o una procedura che

non permette il conseguimento di quel determinato obiettivo.

- Knowledge-based: sono errori che riguardano la conoscenza, a volte

troppo scarsa, che porta ad ideare percorsi d’azione che non

permettono di raggiungere l’obiettivi prefissato. In questo caso è il piano

stesso ad essere sbagliato, nonostante le azioni compiute siano

eseguite in modo corretto.(6)

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3. IL RISCHIO CLINICO: ASPETTI CULTURALI

Nei sistemi complessi che richiedono elevato controllo dei rischi è stata storicamente

costruita una “cultura del rischio e dei sistemi di prevenzione”.

In questi sistemi l’errore è contemplato come evento possibile e, pertanto, i processi e i

possibili modi di errore sono sistematicamente oggetto di analisi e verifica.

Reason ha evidenziato le molteplici caratteristiche della cultura della sicurezza:

1. È competente: i professionisti hanno la precisa conoscenza dei fattori tecnici,

organizzativi, ambientali ed umani che concorrono a determinare gli errori;

2. E’ equa: vi è nella organizzazione un clima di fiducia che favorisce la

segnalazione dei rischi ed errori da parte degli operatori i quali sono

consapevoli di ciò che mette a rischio la sicurezza;

3. Considera le segnalazioni: sia il personale che la direzione sono consapevoli

dell’importanza della accuratezza dei dati e premiano la segnalazione degli

errori e dei quasi errori (near miss);

4. E’ flessibile: la responsabilità di adottare soluzioni immediate per la sicurezza

viene attribuita a chi lavora sul campo.

La promozione della cultura della sicurezza non è solo una dichiarazione di intenti, ma

deve prevedere una strategia sistematica di comunicazione e formazione che richiede

una preliminare indagine per conoscere le condizioni di partenza e quindi agire sugli

specifici aspetti di miglioramento. (5)

Secondo la UK Health and Safety Commission (la Commissione Britannica sulla salute

e la sicurezza): “la cultura della sicurezza di una organizzazione è il prodotto di schemi

di comportamento, competenze, attitudini e valori di un gruppo che determinano

l’impegno, lo stile ed il livello di capacità, dei programmi per la sicurezza e la salute

dell’organizzazione stessa. Le organizzazioni con una cultura della sicurezza positiva

sono caratterizzate da una comunicazione basata sulla reciproca stima, sulla

percezione condivisa dell’importanza della sicurezza e sulla fiducia nell’efficacia delle

misura preventive” (1)

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4. METODI PER L’ ANALISI DI RISCHIO

In conseguenza della necessità di osservare gli errori umani sotto un nuovo punto di

vista Reason ha distinto gli errori attivi (active failure), che provocano immediate

conseguenze, dagli errori latenti (latent failure), cioè tutti gli sbagli che restano “silenti”

nel sistema finchè un evento scatenante (triggering event) non li renderà manifesti in

tutta la loro potenzialità, causando danni più o meno gravi. In questo caso, l’operatore

umano è la causa più prossima all’evento incidentale, ma la cosidetta root cause

(la causa generatrice) è da ricondurre a decisioni manageriali e scelte organizzative

sbagliate. Fino ad oggi la maggior parte degli sforzi compiuti per ridurre gli errori si

sono concentrati sull’individuazione degli errori attivi, ovvero gli errori materiali compiuti

dal personale medico ed infermieristico. Ultimamente si è posto in evidenza che hanno

un ruolo importante anche gli errori di origine organizzativa, i cosiddetti errori latenti.

Non tutti gli errori latenti producono un errore attivo, né tutti gli errori provocano un

danno. Infatti, perché il danno si verifichi, devono sussistere condizioni tali da

permettere all’errore di superare tutte le barriere di sicurezza tecniche e organizzative

predisposte all’interno della struttura per contenere gli effetti di possibili errori.

La sicurezza del paziente deriva, pertanto, dalla capacità di progettare e gestire

organizzazioni in grado sia di ridurre la probabilità che si verifichino errori

(prevenzione), sia di recuperare e contenere gli effetti degli errori che comunque si

verificano (protezione).

Figura n°5: Reason 1991

ERRORE

ATTIVO

FATTORI DEL POSTO

DI LAVORO

FATTORI ORGANIZZATIVI /LATENTI

Sequenza incidentale

Percorso di analisi

Percorso di analisi

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La metodologia, di cui è possibile disporre per fare ciò, si avvale di due tipologie di

analisi: un’analisi di tipo reattivo ed un’altra di tipo proattivo.(6)

In una organizzazione sanitaria dove si introducono processi per la gestione del

rischio, entrambi gli approcci possono essere utilizzati.(5)

4.1. Analisi reattiva

I metodi di analisi reattiva, di cui fanno parte i global trigger tool, prevedono uno studio

a posteriori degli incidenti e sono mirati ad individuare le cause che hanno permesso il

loro verificarsi.

L’analisi di un incidente va condotta, quindi, a ritroso rispetto alla sequenza temporale

che lo ha generato, per avere una ricostruzione che, dagli errori attivi, individui i fattori

di rischio sul posto di lavoro e il cui risultato finale sia mirato a conoscere le cause

profonde, organizzative che lo hanno generato.

Gli approcci reattivi maggiormente utilizzati comprendono:

1) Incident reporting;

2) Utilizzo dei dati amministrativi ed informative;

3) Review;

4) Root Causes Analysis;

5) Indizi (triggers).(6)

4.1.1. Incident reporting

E’ una modalità strutturata per la raccolta di informazioni relative al verificarsi di eventi

avversi e/o di quasi eventi. Lo scopo è di disporre di informazioni sulla natura degli

eventi e sulle relative cause per poter apprendere ed intervenire con le appropriate

misure preventive e, più in generale, per diffondere le conoscenze e favorire la ricerca

specifica nelle aree a maggior criticità.

Per quanto riguarda i contenuti, il sistema può essere:

- Aperto, ovvero raccogliere qualunque tipo di dato relativo ad eventi avversi o

quasi eventi, riferiti a tutte le gamma di prestazioni;

- Predefinito, ovvero raccogliere dati relativi ad una lista definita di eventi (ad

esempio eventi sentinella) o ad una area specifica (ad esempio farmaci).(5)

Le informazioni che sono richieste per ogni evento riguardano: il luogo di accadimento,

le persone coinvolte, chi ha individuato l’evento, la tipologia delle prestazioni fornite al

momento dell’errore, la gravità dell’evento.

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Si raccolgono, inoltre, informazioni sulla percezione delle cause del possibile errore da

parte di chi lo segnala: casualità o errore, fattori coinvolti distinti tra umani,

organizzativi, tecnologici e infrastrutturali. (6)

Per quanto riguarda la modalità di segnalazione, essa può avvenire tramite formato

prefissato o testo libero, inviato via mail, telefono, invio elettronico su web, mettendo in

atto le opportune forme di tutela della riservatezza della segnalazione.(5)

Si può attuare l’incident reporting a diversi livelli dell’organizzazione, dal livello

dell’Unità Operativa, a quello del presidio o dell’Azienda, fino al livello nazionale.

Più ampio è il bacino di raccolta delle informazioni maggiore sarà la possibilità di

apprendere dagli errori commessi.

Il report deve essere compilato in modo accurato, completo e chiaro, così da

consentire un adeguato trattamento di ogni evento segnalato. L’estensore del report

deve di norma evitare qualsiasi valutazione circa la responsabilità dell’evento, inoltre

per motivi di riservatezza il report non deve essere inserito nella cartella clinica o in

documenti destinati all'utente.(6)

4.1.2. Utilizzo dei dati amministrativi ed informativi

L’utilizzo dei database amministrativi per la valutazione di qualità è possibile, purchè

siano conosciute le limitazioni inerenti alla qualità dei dati e le criticità connesse a

modalità d’estrazione e sintesi delle informazioni e delle interpretazioni dei risultati.

Tra i vantaggi nell’utilizzo dei database amministrativi si possono evidenziare:

l’immediata accessibilità, il costo aggiuntivo trascurabile per recuperare le informazioni

d’interesse, l’esaustività del contenuto, la facilità nell’identificare le popolazioni

d’interesse.

Oltre ai dati delle SDO, le fonti informative finora utilizzate nei programmi aziendali di

gestione del rischio clinico sono state molteplici: il sistema degli indicatori, le

dichiarazioni volontarie o obbligatorie d’incidente, le revisioni di storie cliniche, le

revisioni dei reclami degli utenti.

4.1.3. Le review

Molti studi sugli errori in medicina utilizzano la metodologia della revisione della

documentazione sanitaria. La validità scientifica ad essa conferita è sicuramente

attribuibile alla validità statistica, all’interdipendenza delle variabili, ai fenomeni di sotto

e sovra stima e alla confrontabilità dei risultati.

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Nell’ambito delle review, un approccio molto utilizzato per individuare gli errori in

medicina è quello della revisione della documentazione clinica a due stadi da parte di

esperti.

4.1.4. Root Causes Analysis

Le Root Causes Analysis (RCA) sono analisi che, a partire dagli errori riscontrati in un

sistema, ne ricercano le cause attraverso un metodo induttivo che procede in

profondità mediante domande che esplorano il perché di ogni azione e di ogni sua

possibile deviazione. Le cause individuate vengono organizzate in categorie, ad

esempio, mediante diagrammi causa-effetto che mostrano graficamente le interazioni

esistenti.

Le RCA si focalizzano prima sul sistema e sui processi e successivamente sulla

performance personale. E’ importante sottolineare come ad ogni errore umano siano

sempre associate delle cause che nascono da problemi del posto di lavoro e/o carenze

nell’organizzazione del sistema. L’analisi delle cause deve determinare i fattori umani

direttamente associati all’incidente, all’evento sentinella o evento avversi, i fattori latenti

associati ad essi e identificare i cambiamenti necessari per evitare il ripetersi

dell’evento.

Per le RCA è essenziale che l’intervento sia focalizzato sulla causa piuttosto che sul

problema. Agire sul problema o “sintomo”, e non sulla causa, è probabilmente

inefficace.(6)

Le RCA richiedono dei requisiti:

la costituzione di un gruppo interdisciplinare in cui devono essere inseriti esperti

della material;

la partecipazione di coloro che sono stati coinvolti nell’evento;

l’imparzialità nell’evidenziare potenziali conflitti di interesse.

Ulteriori requisiti che garantiscono accuratezza e credibilità della RCA sono: la

partecipazione della direzione e di tutti coloro che sono maggiormente interessati nel

processo e nel sistema e la riservatezza, ovvero le informazioni di cui si viene a

conoscenza devono essere protette, non divulgate, con livelli di protezione dei dati

stabiliti a priori.(5)

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5. GLOBAL TRIGGER TOOL

5.1. La storia

Il concetto di “trigger” (o indizio) per identificare gli eventi avversi nella documentazione

clinica è stato introdotto da Jick Hershel in uno studio del 1974 pubblicato sul New

England Journal of Medicine riguardante alcuni farmaci altamente tossici. (7)

In seguito nel 1992 Classen mise appunto un metodo per monitorare gli eventi avversi

da farmaco in ospedale che prevedeva sia l’utilizzo di trigger elettronici, attraverso un

sistema informatizzato ospedaliero che dava degli allarmi di riconoscimento

automatico dei potenziali eventi avversi, sia attraverso la revisione di documentazione

clinica.(8)

L’utilizzo dei trigger mediante la revisione delle cartelle cliniche fu introdotto

inizialmente dall’ Institute for Healtcare Improvement nel 1999 per identificare

solamente gli eventi avversi correlati alla terapia farmacologica.

Successivamente la metodologia venne adattata ad altri contesti ospedalieri come

l’area critica.

Recentemente la metodologia è stata modificata per identificare tutti gli eventi avversi

in pazienti adulti, senza alcuna esclusione, in tutte le aree ospedaliere.

L’IHI ha selezionato i trigger attraverso una revisione della letteratura sugli eventi

avversi che riguardano le varie aree ospedaliere, testandoli in centinaia di ospedali.(4)

5.2. L’evento avverso

Un evento avverso si può definire come un danno o un disagio imputabile, anche se

in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che

causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di

salute o di morte”. (6)

L’OMS in collaborazione con il Centers for International Drug Monitoring definisce

l’evento avverso da farmaci come: “una reazione dannosa e non intenzionale, che si

verifica con dosi di farmaco normalmente adoperati nell’uomo per la profilassi, la

diagnosi e la terapia di una malattia o per modificare una funzione fisiologica”.(4)

L’evento avverso ha tre caratteristiche principali: la negatività (evento non voluto, non

desiderabile, dannoso), il coinvolgimento del paziente ( danno reale o rischio di danno)

e il legame causale con il processo di cura (non avviene per cause esterne al processo

stesso).(9)

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Il IHI Global Trigger Tool include sia gli eventi avversi da farmaco che altri eventi

associati alla cure sanitarie e definisce un evento avverso con danno come: “un danno

fisico non intenzionale che è il risultato o il contributo di cure sanitarie e che richiede

ulteriore monitoraggio, trattamento, ospedalizzazione o che esita in decesso del

paziente”.

La metodologia dell’IHI si focalizza ed include solo gli eventi avversi relativi

all’erogazione delle cure (errori di commissione) mentre esclude i problemi relativi a

prestazioni effettuate inferiori allo standard (errori di omissione).

Gli eventi avversi che causano omissioni di trattamento vengono più comunemente

presi in considerazione da programmi di miglioramento della qualità e non vengono

misurati con il IHI Global Trigger Tool.

Per esempio un paziente, non trattato in maniera appropriata per un’ipertensione e che

subisce di conseguenza uno stroke certamente è stato vittima di una catastrofe clinica

dovuta a cure scarse ed inefficaci, ma non si può considerare che abbia subito un

evento avverso da errore (quindi misurabile dall’IHI), bensì un evento di omissione

delle cure.

Se invece un paziente in terapia anticoagulante subisce uno stroke da emorragia

cerebrale, questo può essere considerato un evento avverso incluso nell’IHI, perché

l’uso dell’anticoagulante ha causato l’evento (errore di commissione) .

Durante la revisione gli atti di omissione possono venire in ogni caso rilevati ed essere

collegati a opportunità di miglioramento.

Vengono inclusi tutti gli eventi involontari conseguenti a cure sanitarie, siano essi

evitabili o meno e per ognuno di loro è necessario definirne il danno.

L’IHI ha adattato ed utilizzato l’indice per la classificazione degli errori del National

Coordinating Council for Medication Error Reporting and Prevention (NCC MERP)

Sebbene originariamente sviluppato per la classificazione degli eventi avversi da

farmaco, queste categorie possono essere semplicemente adattate ad ogni tipo di

errore o evento avverso.

Tenendo conto solo degli eventi avversi che causano danno al paziente sono state

escluse le seguenti categorie che descrivevano errori che non provocavano danno:

Categoria A: Circostanze o eventi che hanno la capacità di causare danno;

Categoria B: Un errore che non raggiunge il paziente;

Categoria C: Un errore che raggiunge il paziente ma non causa danno;

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Categoria D: Un errore che raggiunge il paziente e richiedono monitoraggio o

intervento perché non si riscontri un danno al paziente.

Sono state utilizzate invece le categorie:

Categoria E: Danno temporaneo al paziente che richiede intervento;

Categoria F: Danno temporaneo al paziente che richiede ospedalizzazione o

prolungamento della degenza;

Categoria G: Danno permanente al paziente;

Categoria H: Danno che necessita di un intervento “salvavita” urgente;

Categoria I: Decesso del paziente.

Al fine di assegnare una categoria univoca all’evento è consigliabile che i revisori e il

medico si incontrino per concordare la classificazione.

5.3. Regole e metodi

L’IHI Global Trigger Tool richiede una revisione manuale di cartelle cliniche chiuse e

complete.(4)

Per quanto riguarda il contesto degli ospedali italiani questo significa cartelle complete

di scheda dimissione ospedaliera (SDO) e relativi codici.

L’utilizzo del metodo prevede il rispetto di precise regole e tempi di revisione, nonché

criteri definiti di scelta e randomizzazione del campione.

5.3.1. Team di revisione

Il team di revisione deve essere composto da almeno tre persone:

Due persone che conoscano l’impostazione ed il contenuto delle cartelle.

Negli ospedali in cui è stata implementata la metodologia dell’IHI, i

professionisti che si sono dedicati all’applicazione del global trigger tool, erano

infermieri, farmacisti, terapisti respiratori; tuttavia gli infermieri sono risultati

essere i migliori revisori, anche se è possibile includere altre figure sanitarie.

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La terza figura del team è rappresentata da un medico che non deve rivedere

tutta la documentazione del paziente ma confermare quello che è emerso

durante la revisione. Il medico autentica gli eventi avversi trovati durante la

revisione e ne valuta la gravità, provvede eventualmente a rispondere alla

domande o dubbi che possono essere emersi durante la revisione.

E’ possibile l’inclusione nel team di altre persone tenendo tuttavia presente che con

l’aumentare del numero di revisori aumenta la variabilità nell’identificazione degli eventi

avversi, in modo particolare per la categoria E: danni temporanei al paziente che

richiedono intervento.

Il team di lavoro dovrebbe rimanere lo stesso per più tempo possibile, poiché la

presenza degli stessi professionisti in un arco temporale lungo assicura una maggior

precisione dei dati.

Molti ospedali hanno adottato il metodo di tenere la stessa persona (revisore o medico)

per un anno in modo di assicurare una maggiore precisione e affidabiità dei dati e

perchè questa figura possa addestrare i nuovi membri del team al corretto utilizzo dello

strumento.

Il gruppo di lavoro dovrebbe incontrarsi mensilmente per rivedere tutti gli eventi

avversi di quel mese e risolvere le differenze tra revisori sull’identificazione di eventi

avversi e sull’attribuzione del grado di severità.

Questo continuo confronto può essere importante per utilizzare al meglio lo strumento

e per rendere più affidabili i risultati.

Il tempo richiesto è di circa tre ore ogni due settimane per i revisori e di 30 minuti ogni

due settimane per il medico.

5.3.2. Campionamento delle cartelle cliniche

L’applicazione del Global Trigger Tool prevede una metodologia di campionamento

che utilizza campioni piccoli nel tempo.

La raccomandazione è di selezionare 10 cartelle cliniche tra tutti i pazienti adulti

dimessi dall’ospedale ogni due settimane (per esempio il primo campione viene

selezionato dal totale dei pazienti dimessi dall’1 al 15 del mese e il secondo dai

pazienti dimessi dal giorno 16 all’ultimo giorno del mese), per un totale di 20 pazienti al

mese.

L’IHI raccomanda di utilizzare due punti di rilevazione mensile che permetteranno di

definire il trend delle variazioni riguardo al numero e ai tipi di eventi avversi nella

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propria organizzazione e di monitorare di conseguenza le misure di controllo

implementate.

I dati che emergono dai due punti di rilevazione potrebbero evidenziare ampie

variazioni da campione a campione, tuttavia aggregando i dati nel tempo aumenterà la

precisione dei risultati.

Alcuni ospedali utilizzano lo strumento IHI come una parte di un learning system che

include la raccolta di altri outcome misurabili come incident reporting volontari,

infezioni del sito chirurgico ecc.

Poiché la riammissione in ospedale entro 30 giorni è un trigger, le cartelle selezionate

devono essere relative a pazienti dimessi almeno 30 giorni prima.

L’IHI fornisce alcune linee guida sulla selezione del campione:

Randomizzare 10 cartelle per ogni due settimane del mese, selezionare alcune

cartelle in più nel caso non corrispondano ai criteri di inclusione;

Non selezionare 20 cartelle per l’intero mese ma estrarre il campione in modo

indipendente (un campione tra i dimessi della prima quindicina del mese, un

campione per la seconda quindicina).

I criteri di selezione sono:

Le cartelle cliniche devono essere chiuse e complete.

Degenza superiore almeno alle 24 ore;

Età del paziente superiore ai 18 anni;

Vengono esclusi pazienti psichiatrici e in riabilitazione.

Poiché la revisione è basata su un campionamento per rilevare eventi avversi, è

raccomandata una randomizzazione per selezionare le cartelle.

E’ possibile utilizzare vari metodi, tra i più validi:

estrarre un numero tra 1 e 9 e selezionare 10 cartelle con il numero nosologico che

termina con il numero estratto;

oppure

possono essere elencati tutti i dimessi e selezionate 10 cartelle per la revisione.

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Se la cartella clinica selezionata non è disponibile, selezionare la cartella successiva

presente nella lista.

Il team di lavoro deve avere l’accessibilità a tutta la documentazione clinica del

paziente, le cartelle del paziente potrebbero essere utili nel momento in cui i revisori

devono consultare la documentazione relativa al paziente per valutare per esempio le

cause di una riammissione.

Nel caso venga consultata una cartella, per ricercare un trigger associato ad una

riammissione, questa non deve durare più di 5 minuti.

5.3.3. Il processo di revisione

I revisori devono consultare le cartelle cliniche indipendentemente. Il medico dovrebbe

essere comunque disponibile a fornire chiarimenti in caso di dubbi che possono

emergere durante il processo di revisione.

L’IHI Global Trigger Tool contiene 6 moduli o gruppi di trigger.

Quattro di questi sono relativi agli eventi avversi che comunemente avvengono in

particolari aree ospedaliere:

- Area Chirurgica;

- Terapia Intensiva;

- Area Perinatale;

- Dipartimento di Emergenza.

Gli altri due gruppi di trigger sono relativi alle Cure e alla Terapia Farmacologica e sono

utilizzabili per indagare gli eventi avversi in qualsiasi area dell’ospedale.

Per identificare la presenza di trigger nella cartella clinica questa non deve essere letta

pagina per pagina, pregresse revisioni hanno rilevato che seguire la seguente

sequenza di documentazione ottimizza il lavoro:

Scheda di dimissione;

Lettera di dimissione;

Termografica, documentazione relativa alla terapia;

Risultati di laboratorio;

Diario clinico;

Documentazione riguardante procedure (es. cartella anestesiologica e

operatoria);

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Cartella infermieristica.

Per revisionare ogni cartella clinica è stato fissato un limite di 20 minuti,

indipendentemente dallo “spessore” della cartella. Normalmente in media si impiegano

10-15 minuti.

Il limite è stato definito inizialmente dall’IHI in quanto c’era una tendenza a revisionare

le cartelle cliniche più “piccole” e quindi più semplici.

E’ probabile che non vengano identificati tutti gli eventi avversi contenuti in una cartella,

ma questo non è lo scopo della metodologia del Global Trigger Tool.

Il tempo designato e la selezione randomizzata delle cartelle mirano a fornire un

campionamento sufficiente a definire il livello di sicurezza delle attività in ospedale.

Se si identifica un trigger positivo questo non necessariamente indica un evento

avverso ed in questo caso è sufficiente rivedere solo la parte di documentazione che

serve ad evidenziare un eventuale correlazione tra trigger ed evento avverso.

Se non si trova la correlazione tra trigger ed evento avverso si procede con

l’identificazione di altri trigger.

Le revisioni solitamente fanno emergere numerosi trigger ma pochi eventi avversi,

occasionalmente si potrebbero rilevare eventi avversi in assenza di trigger positivi che

vanno comunque inclusi.

Alcuni trigger sono eventi avversi per definizione come ad esempio le infezioni

nosocomiali e la lacerazione da parto di 3°- 4° grado.

5.3.4. Determinazione di un evento avverso

Quando un revisore identifica un trigger positivo, deve andare a ricercare nella cartella

tutte le informazioni che possono confermare o meno l’avvenuto evento avverso.

Ad esempio, un valore di INR superiore a 6 è un trigger positivo: i revisori, per

associare il trigger all’evento avverso, devono cercare nella documentazione clinica la

presenza di sanguinamento o un calo dei valori dell’Emoglobina con eventuale

trasfusione di emoderivati o altri eventi avversi che possono essere avvenuti a causa

della scoaugulazione.

Nel determinare l’evento avverso bisogna considerare che esso per definizione è un

danno non intenzionale al paziente e vederlo perciò dal punto di vista del paziente

stesso e ci si deve chiedere cosa ha sperimentato quest’ultimo, non cosa è successo

in ospedale.

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Si può essere facilitati ponendoci alcune domande:

Saresti felice se l’evento fosse capitato a te? Se la risposta è no è probabile che si

tratti di un evento avverso con danno;

L’evento è parte del naturale processo di malattia, o una complicanza del

trattamento correlato al processo di malattia? Il danno potrebbe essere il risultato di

trattamenti medici, spetta al medico definirlo se errore di omissione o commissione;

L’evento è stato il risultato atteso delle cure? (esempio una cicatrice permanente in

seguito ad un intervento chirurgico). Se la risposta è sì, non si tratta di evento

avverso.

I danni psicologici per definizione non sono da includere negli eventi avversi

Un evento avverso presente al momento dell’ammissione in ospedale deve essere in

ogni caso incluso, a condizione naturalmente che sia legato alla cure sanitarie.

L’esperienza sul campo ha dimostrato che il 10% circa degli eventi avversi individuati

attraverso l’IHI Global Trigger Tool sono già presenti al momento del ricovero. Tale

dato, benché non riguardi la sicurezza all’interno dell’ospedale, potrebbe essere un

opportunità per collaborare con altre persone, strutture, ospedali al fine di migliorare la

sicurezza del paziente in tutti i contesti di cura.

5.3.5. Raccolta e presentazione dei dati

I risultati raccolti possono essere presentati in tre modi differenti:

1. numero di eventi avversi per 1.000 giorni/paziente;

2. numero di eventi avversi/100 ricoveri;

3. percentuale di ricoveri con un evento avverso.

Il primo metodo è senz’altro il più vantaggioso. Il “numero di eventi avversi per 1.000

giorni/paziente”, infatti è la misura tradizionale e raccomandata per tracciare i danni

arrecati ai pazienti in un arco di tempo.

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Il “numero di eventi avversi su 100 ricoveri” è un’altra alternativa per presentare i dati

raccolti, è senz’altro una modalità di rappresentazione del danno semplice e

comprensibile per la leadership.

Da notare che la conversione da “eventi avversi su 1000 giorni” a “eventi avversi su

100 ricoveri” comporta una differenza rispetto al numero di cartelle revisionate.

L’ultimo metodo “percentuale di ricoveri con evento avverso” è un modo sì

conveniente di presentare i dati alla leadership non esperta, ma tende a sottostimare il

numero di eventi, perché alcuni pazienti potrebbero sperimentare più di un evento

avverso per ricovero. E’ per questo motivo considerata meno sensibile rispetto agli altri

due metodi.

Gli eventi avversi possono essere presentati anche in base alla tipologia di evento

avverso (infezioni, complicanze procedurali o da terapia).

Questa classificazione ha permesso, agli ospedali che l’hanno utilizzata, di fissare un

ordine di priorità rispetto alla aree dove migliorare gli interventi.

Nelle organizzazioni che hanno utilizzato l’IHI Global Trigger Tool, si sono rilevati circa

90 eventi avversi su 1000 giorni/paziente o 40 eventi avversi su 100 ricoveri.

Approssimativamente sul 30-35% di tutti i ricoveri si sono rilevati degli eventi avversi.

Si consiglia di proseguire la raccolta dei dati tramite la metodologia IHI per almeno 6-

12 mesi.

5.3.6. Training

Un buon training è fondamentale nell’utilizzo corretto della metodologia, la situazione

ideale sarebbe che i revisori ed il medico venissero addestrati da qualcuno che

conosce già lo strumento. Se questo non è possibile, è importante leggere e seguire il

manuale dell’IHI e utilizzare i gruppi di discussione presenti nel sito dell’IHI, in

particolare se i risultati riguardo gli eventi avversi rilevati discostano molto dai tassi

medi rilevati negli altri ospedali.

E’ necessario accordarsi bene e avere lo stesso metodo di lavoro tra revisori,

potrebbero esserci delle discordanze sull’identificazione degli eventi avversi e sulla

determinazione della categoria di danno (in particolare sulla categoria E).

Durante la fase di training, tutta la documentazione del paziente va revisionata insieme

dal team, questo permette di risolvere dei dubbi e standardizzare il processo.

Se ci sono più di due revisori, questo potrebbe essere un beneficio per poter sostituire

con facilità un revisore che non potesse più partecipare al team di lavoro.

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Durante il training, i 20 minuti, raccomandati dall’IHI per le revisione della

documentazione, non necessariamente devono essere rispettati, prendere confidenza

ed imparare la metodologia può richiedere più tempo.

È raccomandato discutere in team tutti i trigger e gli eventi avversi rilevati compresa la

validità dell’identificazione e la severità dell’evento, in questa occasione è

indispensabile rinforzare la differenza tra trigger positivo ed evento avverso.

Durante il debriefing vanno definiti anche eventuali parametri che potrebbero essere

soggettivi, per esempio quando il vomito è considerato un evento avverso: subito o

dopo quattro ore?

Il secondo step, è la revisione di un campione di 5 cartelle provenienti dall’ospedale in

cui si applica la metodologia da parte di tutti i componenti del team.

I dati rilevati durante il training non verranno tenuti in considerazione.

5.4. Descrizione dei Global Trigger Tool

Se viene identificato un trigger positivo, nella documentazione clinica revisionata,

questo indica solo la presenza di un trigger positivo e non necessariamente è

collegabile ad un evento avverso.

Di seguito si riportano i trigger contenuti nel manuale dell’ IHI Global Trigger Tool con

la relativa descrizione e cosa i revisori dovrebbero guardare per determinare la

presenza di un evento avverso.

Se nei trigger, relativi alla terapia farmacologica, viene decritto un farmaco non in uso

nel’ospedale nel quale viene adottata la metodologia, lo si può sostituire con un

farmaco analogo, presente nel prontuario farmaceutico ospedaliero.

5.4.1.Trigger relativi alle cure

C1 - TRASFUSIONE DI SANGUE O EMODERIVATI

Le procedure chirurgiche possono richiedere la trasfusione di emoderivati per

ripristinare perdite ematiche, evento meno frequente da quando è in uso la Chirurgia

laparoscopica. Tuttavia tutte le trasfusioni vanno indagate per ricercare le cause quali

l’eccessivo sanguinamento, un trauma non intenzionale di un vaso sanguigno ecc.

Le trasfusioni di sangue o emoderivati entro le 24 ore dall’intervento potrebbero invece

essere correlate ad un evento avverso intra o post operatorio . I casi di sanguinamento

preoperatorio invece non sono da includere come eventi avversi.

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I pazienti in terapia con farmaci anticoagulanti che hanno ricevuto trasfusioni di plasma

fresco o piastrine potrebbero aver sperimentato un evento avverso correlato al

trattamento in questione.

C2 - EMERGENZA, ARRESTO POLMONARE O CARDIACO O ATTIVAZIONE DI

UN INTERVENTO SALVAVITA

Tali eventi vanno indagati attentamente perché potrebbero culminare in un evento

avverso. Tuttavia non sempre si tratta di eventi avversi, in quanto potrebbero essere

correlati alla naturale progressione della malattia.

Un arresto cardio-respiratorio durante un intervento o in seguito all’anestesia non

dovrebbe essere sempre considerato evento avverso, così come se avviene nelle

prime 24 ore post-operatorie.

Al contrario, un’improvvisa aritmia cardiaca che provoca arresto cardiaco potrebbe

essere attribuibile ad una patologia cardiaca. Il mancato riconoscimento di segni e

sintomi potrebbe configurarsi come errore di omissione e quindi non va incluso come

evento avverso, sebbene il cambiamento delle condizioni cliniche del paziente siano il

risultato di un trattamento clinico.

C3 - DIALISI ACUTA

La nuova necessità di essere sottoposto a dialisi, potrebbe essere la conseguenza di

un processo di malattia o il risultato di un evento avverso.

Esempi di eventi avversi sono alterazioni della funzionalità renale indotta da farmaci o

reazioni ai mezzi di contrasto utilizzato per le indagini radiologiche.

C4 - EMOCOLTURA POSITIVA

Una emocoltura positiva durante il ricovero deve essere indagata perché può essere

un indicatore di un evento avverso in modo particolare correlata ad infezioni

nosocomiali.

Generalmente, gli eventi avversi associati a questo trigger includono le infezioni che si

manifestano 48 ore dopo il ricovero, come ad esempio le infezione correlate a

dispositivi intravascolari e le sepsi da altre procedure (es. cateterismo vescicale

associato ad infezioni del tratto urinario). Le emocolture positive associate ad altre

infezioni come quelle comunitarie non devono essere considerate come eventi avversi.

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C5 - INDAGINI RADILOGICHE O DOPPLER PER EMBOLIA O TROMBOSI DELLE

VENE PROFONDE

Il manifestarsi di trombosi delle vene profonde (DVT) o embolia polmonare durante il

ricovero ospedaliero in molti casi si rivela essere un evento avverso. Rare eccezioni

possono riguardare embolie e trombosi associate a patologie tumorali o disfunzioni

piastriniche. Comunque in molti pazienti questi eventi avvengono anche se erano state

messe in atto tutte le misure preventive per evitare che succedessero.

Se il ricovero è successivo alla comparsa di tali patologie, vanno indagate le cause

correlate alla cure mediche o chirurgiche avvenute prima dell’ammissione in ospedale.

La mancata profilassi che non esita in embolia o DVT non è da considerare un evento

avverso, bensì un errore di omissione.

C6 - AUMENTO O DIMINUZIONE DEL VALORE DELL’EMOGLOBINA O

DELL’EMATOCRITO DEL 25%

Un aumento o diminuzione del valore dell’emoglobina (Hg) e/o dell’ematocrito (Hct)

deve essere indagato soprattutto quando si verifica in un arco di tempo breve, ad

esempio 72 ore o meno. Gli eventi avversi di sanguinamento sono comunemente

identificati come trigger e possono essere correlati all’uso di anticoagulanti, aspirina o

a intervento chirurgico. Se l’incremento dell’emoglobina e/o ematocrito è collegato a

trattamenti medici o è la conseguenza di un processo di malattia, non è attribuibile ad

un evento avverso.

C7 - CADUTE DEL PAZIENTE

Una caduta in un contesto sanitario rappresenta un fallimento delle cure e potrebbe

essere associata alla terapia farmacologica, ai dispositivi e presidi, allo staff

inadeguato.

Solo le cadute che causano danno al paziente sono da considerare eventi avversi.

Le cadute con danno, avvenute prima del ricovero, vanno indagate in ogni caso per

rilevarne le cause. Quando una caduta è la conseguenza di cure mediche (esempio

terapia farmacologica) deve essere sempre considerata un evento avverso anche se

si è verificata fuori dal contesto ospedaliero.

C8 - LESIONI DA PRESSIONE

Le lesioni da pressione o decubito sono eventi avversi; le lesioni croniche vengono

incluse solo se l’evento si è manifestato durante la degenza del paziente; al contrario,

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se si è verificato in un contesto extra ospedaliero, vanno indagate le cause (es.

sedazione eccessiva ecc.) per capire se si tratta di un evento avverso.

C9 - RIAMISSIONE IN OSPEDALE ENTRO 30 GIORNI

La riammissione in ospedale in particolare entro i 30 giorni successivi il ricovero

potrebbe celare un evento avverso che si è manifestato dopo la dimissione (soprattutto

in caso di degenze brevi), esempi di eventi avversi potrebbero essere l’infezione della

ferita chirurgica, la trombosi delle vene profonde o l’embolia polmonare.

C10 - USO DELLA CONTENZIONE

Qualora venga utilizzata la contenzione, revisionare la documentazione clinica del

paziente per valutare la possibile relazione tra l’utilizzo di contenzione e stato

confusionale da terapia farmacologica che potrebbe indicare un evento avverso.

C11 - INFEZIONI CORRELATE A PRATICHE ASSISTENZIALI

Qualsiasi infezione che si manifesta dopo il ricovero potrebbe essere un evento

avverso specialmente se correlata a procedure o utilizzo di dispositivi medici.

Se le infezioni sono uno dei motivi del ricovero va indagato se le cause sono dovute

all’utilizzo di dispositivi medici (procedure precedenti, cateterismo urinario a domicilio o

a dimora) piuttosto che a patologie (polmoniti comunitarie).

C12 - STROKE IN OSPEDALE

Valutare se la causa dello stroke è associata ad una procedura (chirurgica,

cardioversione per fibrillazione atriale) o ad un trattamento anticoaugulante.

Quando le procedure o i trattamenti hanno evidentemente contribuito al verificarsi

dello stroke, si tratta di un evento avverso.

C13 - TRASFERIMENTO AD UN LIVELLO PIU’ ALTO DI CURA

Il trasferimento ad un livello più alto di cura all’interno della struttura, in altre strutture o

in altri ospedali va indagato, tutti i trasferimenti sono probabilmente correlati ad un

evento avverso e le condizioni del paziente possono avere un deterioramento

secondario a causa di questo. Per esempio, in caso di ricovero in Terapia Intensiva

per arresto respiratorio e successiva intubazione, va valutato se l’arresto è una

naturale conseguenza dell’esacerbazione di una patologia polmonare cronico ostruttiva

(COPD), in questo caso non è un evento avverso. Se invece un’embolia polmonare si

instaura a seguito di un intervento o è il risultato di un’eccessiva sedazione di un

paziente con COPD si è in presenza di un evento avverso.

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Un livelli più alto di cure può includere telemetria, cure intermedie o semi-intensiva se il

paziente è stato trasferito da una medicina generale o da una chirurgia.

C14 - COMPLICANZE DI PROCEDURE

Una complicanza in seguito ad esecuzione di una qualsiasi procedura è considerata

evento avverso. Spesso nei referti non sono segnalate le complicanze specialmente se

si manifestano dopo ore o giorni dopo l’esecuzione della procedura; revisionare le

schede di dimissione ospedaliera, i diari clinici, le cartelle infermieristiche.

C15 - ALTRO

Spesso quando si revisiona la documentazione clinica si trovano eventi avversi che

non sono correlati ad un trigger. Questi eventi possono essere inclusi nella categoria

C15. Un evento non necessita della presenza di un trigger per essere considerato

come avverso.

5.4.2. Trigger relativi alla terapia farmacologica

M1 - POSITIVITA’ DELLA COPROCOLTURA AL CLOSTRIDIUM DIFFICILE

Un campione di feci positivo al Clostridium Difficile è un evento avverso se si

evidenzia una storia di antibioticoterapia.

M2 – TEMPO DI TROMBOPLASTINA PARZIALE (PTT) SUPERIORE AI 100

SECONDI

Si evidenzia un PTT elevato quando il paziente è in trattamento con Eparina, è

necessario ricercare evidenze di sanguinamento per definire se è avvenuto un evento

avverso.

Infatti il PTT elevato in sé non è un evento avverso ma solo un trigger positivo, lo

diventa quando è causa di sanguinamento, ecchimosi o calo dell’Emoglobina e/o

dell’Ematocrito.

M3 – INR (TASSO INTERNAZIONALE NORMALIZZATO) SUPERIORE A 6

Il valore elevato di INR in sé non è un evento avverso, bisogna cercare evidenze di

sanguinamento perché lo sia.

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M4 – GLICEMIA INFERIORE A 50 MG/DL

Indagare eventuali sintomi come letargia ed agitazione documentati nella cartella

infermieristica e l’eventuale somministrazione di glucosio, bevande zuccherate o altri

interventi. Se i sintomi sono presenti cercare l’associazione con la somministrazione di

insulina e ipoglicemizzanti orali. Se il paziente è asintomatico, non si tratta di evento

avverso.

M5 – AUMENTO DEL VALORE DELLA CREATINEMIA O AZOTEMIA 2 VOLTE

SUPERIORE AL VALORE NORMALE

Se i valori di creatinina sierica o dell’azotemia sono due volte superiori al valore

standard è necessario rivedere le termografiche o le schede di terapia per valutare se

sono stati somministrati farmaci che possono avere avuto effetti nefrotossici.

E’ consigliato revisionare anche il diario clinico e l’anamnesi medica per evidenziare

eventuali pregresse cause di insufficienza renale come patologie renali già presenti o

diabete, in questo caso non si tratterebbe di un evento avverso ma di una progressione

della malattia.

M6 – SOMMINISTRAZIONE DI VITAMINA K

Se la vitamina K è stata somministrata come risposta ad un INR elevato, va ricercata la

presenza di sanguinamento.

Si è verificato un evento avverso se i referti di laboratorio indicano cali improvvisi

dell’Ematocrito o presenza di sangue nelle feci. La documentata presenza di ecchimosi

importanti, sanguinamenti gastrointestinali, emorragie cerebrali o ematomi estesi, sono

esempi di eventi avversi.

M7 – SOMMINISTRAZIONE DI DIFENIDRAMINA

La Difenidramina è un antistaminico frequentemente utilizzato per le reazioni allergiche

ai farmaci ma può essere anche somministrato come sonnifero, come pre-

medicazione pre-intervento o per le allergie stagionali. Se nella documentazione del

paziente si rileva che, durante o prima del ricovero, il farmaco è stato somministrato a

seguito di sintomi di una reazione allergica a farmaci o emotrasfusioni, si tratta di

evento avverso.

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M8 – SOMMINISTRAZIONE DI FLUMAZENIL

Essendo un antagonista delle benzotiazepine, va indagato il motivo per il quale il

farmaco è stato usato. Può essere correlato ad un evento avverso se si rilevano segni

di severa ipotensione o marcata e prolungata sedazione.

M9 – SOMMINISTRAZIONE DI NALOXONE

Il Naloxone (Narcan) è un potente antagonista degli oppiacei, il suo utilizzo

rappresenta un evento avverso ad eccezione dei casi di abuso di droga o di farmaci

oppiacei o di overdose.

M10 – SOMMINISTRAZIONE DI ANTIEMETICI

La nausea e il vomito sono comunemente associati alla somministrazione di farmaci,

sia in ambito chirurgico che non, e per questi sintomi vengono somministrati spesso

farmaci antiemetici. Se i sintomi interferiscono con l’alimentazione, il recupero

postoperatorio o se per tale causa viene ritardata la dimissione, si tratta probabilmente

di evento avverso. Uno o due episodi di nausea e vomito trattati con successo con

farmaci antiemetici non vengono considerati eventi avversi.

M11 - ECCESSIVA SEDAZIONE/IPOTENSIONE

E’ necessario revisionare il diario medico e infermieristico, la termografica e la scheda

dei parametri vitali per evidenziare eventuali episodi di sedazione eccessiva o letargia

associati alla somministrazione di farmaci sedativi, analgesici o miorilassanti.

L’overdose intenzionale da parte del paziente non è da considerare un evento avverso.

M12 – IMPROVVISA INTERRUZIONE DELLA TERAPIA

Benché l’interruzione della terapia sia un evento abbastanza frequente, un’improvvisa

interruzione rappresenta un trigger positivo da indagare per identificare le cause. Un

repentino cambiamento nelle condizioni del paziente che richiede modifiche improvvise

della terapia è frequentemente correlato ad evento avverso. Un cambiamento

improvviso si po’ descrivere come una sospensione inaspettata o una deviazione

rispetto alla pratica standard.

Per esempio la sostituzione di un antibiotico per via endovenosa con uno per via orale

non è considerato un’interruzione della terapia.

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M13 – ALTRO

Utilizzare questo trigger per segnalare eventi avversi non correlati ad un trigger

relativo alla terapia precedentemente descritto.(4)

Di seguito elencherò solamente i rimanenti 4 moduli di trigger poiché non saranno

oggetto di indagine nella revisione delle cartelle cliniche della S.C. di Medicina.

5.4.3.Trigger relativi all’area chirurgica

S1 – RE-INTERVENTO

S2 – CAMBIO DI PROCEDURA

S3 – RICOVERO IN TERAPIA INTENSIVA POST-OPERATORIA

S4 – INTUBAZIONE, RE-INTUBAZIONE O UTILIZZO DI BIPAP NEL POST-

INTERVENTO

S5 – RADIOGRAFIA INTRAOPERATORIA O NELLA FASE POST-ANESTESIA

S6 – DECESSO INTRA O POST-OPERATORIO

S7 – VENTILAZIONE MECCANICA POST-OPERATORIA ENTRO 24 ORE

S8- SOMMINISTRAZIONE INTRA-OPERATORIA DI EPINEFRINA,

NORADRENALINA, NALOXONE O FLUMAZENIL

S9 – INCREMENTO DEI VALORI DI TROPONINA OLTRE 1,5 NANOGRAMMI/ML

NEL POST-OPERATORIO

S10 – DANNO, RIPARAZIONE O ROMOZIONE DI UN ORGANO DURANTE UN

INTERVENTO CHIRIURGICO

S11 – COMPARSA DI COMPLICANZE POST-OPERATORIE

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5.4.4.Trigger relativi alla Terapia Intensiva

I1 – POLMONITE NOSOCOMIALE

I2 – RIAMISSIONE IN TERAPIA INTENSIVA

I3 – PROCEDURE IN TERAPIA INTENSIVA

I4 – INTUBAZIONE/RE-INTUBAZIONE

5.4.5.Trigger relativi all’area perinatale

P1 – UTILIZZO DI TERBUTALINA

P2 – LACERAZIONE DI TERZO O QUARTO GRADO

P3 – PIASTRINOPENIA INFERIORE A 50.000

P4 - PERDITE EMATICHE DURANTE IL PARTO: SUPERIORI A 500 ML NEL

PARTO VAGINALE, SUPERIORI A 1000 ML NEL PARTO CESAREO

P5 – CONSULENZE SPECIALISTICHE

P6 – SOMMINISTRAZIONE DI AGENTI OSSITOCICI NEL POST-PARTUM

P7 – PARTO STRUMENTALE

P8 - SOMMINISTRAZIONE DI ANESTESIA GENERALE

5.4.6.Trigger relativi al Dipartimento di Emergenza

E1 – RIAMISSIONE IN PRONTO SOCCORSO ENTRO 48 ORE

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E2 – PERMANENZA IN OBI (OSSERVAZIONE BREVE INTENSIVA) PER PIU’ DI 6

ORE (4)

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6. REVISIONE DELLA LETTERATURA: GLOBALTRIGGER TOOL ED ALTRI

SISTEMI DI RILEVAZIONE DEGLI EVENTI AVVERSI

6.1. Metodi di studio degli eventi avversi

Esistono differenti modalità di studio e di analisi degli errori e degli eventi avversi,

ciascuna delle quali si è evoluta nel tempo adattandosi ai diversi contesti.

Ognuna di queste modalità offre vantaggi e punti di forza, ma non è priva di peculiari

debolezze e limiti.

Eric Thomas e Laura Petersen (2003) hanno suddiviso questi metodi in otto gruppi e

ne hanno rivalutato i rispettivi vantaggi e svantaggi.

Metodo di studio Vantaggi Svantaggi

Morbidity and Mortality Conferences (Audit di morbosità e mortalità) Autopsie

Può suggerire i fattori

interferenti

Familiare agli operatori sanitari

Hindsight bias

Errori di segnalazione

Focalizzato sugli errori

diagnostici

Usato raramente

Analisi del caso (root cause analysis)

Può suggerire i fattori

interferenti

Approccio sistemico strutturato

Include i dati delle interviste

Hindsight bias

Tende a focalizzarsi sugli

eventi gravi

Difficile da standardizzare

nella pratica

Sistemi di segnalazione degli errori Fornisce prospettive multiple

(pazienti, erogatori, avvocati)

Hindsight bias

Errori di segnalazione

Sorgente di dati non

standardizzata

Analisi di dati amministrativi Offre molteplici prospettive

anche a distanza di tempo

Può essere parte delle

operazioni di routine

Può basarsi su dati

incompleti o non accurati

I dati sono disgiunti dal

contesto clinico

Revisione di cartelle cliniche/schede Utilizza dati subito disponibili

Usata comunemente

I giudizi sugli eventi avversi

non sono affidabili

Le cartelle cliniche sono

incomplete

Hindsight bias

Osservazione dell’assistenza al paziente Potenzialmente accurata e

precisa

Fornisce dati altrimenti non

disponibili

Individua più errori attivi

rispetto

Richiede tempo ed è costosa

Difficoltà di formare

osservatori attendibili

Potenziali preoccupazioni

sulla riservatezza

Possibilità di essere

sommersi dalle informazioni

Sorveglianza clinica attiva Potenzialmente accurata e

precisa per gli eventi avversi

Richiede tempo ed è costosa

Tabella n°1: Metodi di studio degli errori e degli eventi avversi (adattato da Thomas &

Petersen 2003)

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I vari metodi differiscono tra loro per molteplici aspetti. Sono differenti, ad esempio, per

fonte dei dati: cartelle cliniche, osservazioni dirette, informazioni derivanti da reclami,

ed altro ancora. Alcuni studi pongono attenzione a singoli casi o ad un ristretto numero

di casi con caratteristiche peculiari, mentre altri conducono un campionamento

randomizzato di una popolazione definita. Alcuni metodi sono orientati alla

determinazione dell’incidenza degli errori e degli eventi avversi (cioè: quanti si

verificano), mentre altri indirizzati alle cause e ai fattori di rischio (cioè: perché le cose

vanno male).

Thomas e Peterson suggeriscono che i metodi possono essere collocati lungo un

continuum, indicando la sorveglianza attiva di specifici tipi di eventi avversi, come il

metodo migliore per valutarne l’incidenza, mentre l’analisi dei sinistri e la descrizione

della morbosità e mortalità sono più orientati verso la ricerca delle cause. Non esiste

un modo perfetto per valutare l’incidenza degli eventi avversi o degli errori.

Il termine hindsight bias cui fanno cenno Thomas e Peterson deriva dalla letteratura

psicologica, ed in particolare da studi sperimentali che indicano come le persone

amplifichino, nella rielaborazione, le loro conoscenze presenti prima del verificarsi di un

evento avverso: l’effetto del “sempre saputo”. (1)

6.2. Esperienze internazionali di identificazione degli eventi avversi

Il sistema sanità, in questo ultimo decennio, si è velocemente indirizzato verso il

problema degli errori prevenibili in medicina partendo dall’identificazione degli eventi

avversi.

Una particolare rilevanza ha avuto l’autorevole pubblicazione To err is human

dell'Insitute of Medicine del 1999 (10). Lo scopo del rapporto era di rivedere e

sintetizzare i risultati in letteratura riguardanti la qualità delle cure fornite nel sistema

sanitario americano, rendendo noto quello che fino ad ora sapevano solo gli addetti ai

lavori e sviluppando strategie di incentivazione per migliorare la qualità e la sicurezza

nonché sensibilizzare l’opinione pubblica e la leadership sanitaria.

La pubblicazione ebbe un grande rilevanza, anche nell’opinione pubblica, soprattutto

per i numeri che riportò riguardanti gli eventi avversi: 44.000 pazienti americani

muoiono ogni anno a causa di errori medici, più delle morti per incidenti stradali, cancro

al seno, AIDS.

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Uno degli studi più importanti sulla qualità e sulla sicurezza delle cure, che descrisse

l’entità degli eventi avversi in sanità e su cui si basò il rapporto To err is human fu

l’Harvard Study Medical Practice .(11)

Furono analizzate 30.195 cartelle di pazienti ricoverati in ospedali per acuti dello stato

di New York nel corso del 1984, fu identificato un tasso del 3,7 % di eventi avversi

con danno (1133 pazienti) ed un 0,7% di eventi avversi che esitarono in disabilità grave

o decesso. Lo studio evidenziò che di questi eventi avversi il 27,6% era stato

conseguenza di negligenza, questi eventi avversi interessavano maggiormente i

pazienti anziani.

Vari e molteplici sono gli studi che hanno identificato, quantificato e definito gli

incidenti ed i danni derivanti dalle cure sanitarie, utilizzando una metodologia di

revisione retrospettiva della documentazione clinica.

Uno studio analogo allo Harvard condotto nel Utah in Colorado (12) su 15.000 cartelle

rilevava un tasso del 2,9%.

Un studio condotto in Australia nel 1995 su 14.000 cartelle riportava un 16,6% di eventi

avversi. (13)

Un altro importante studio australiano (QAHCS) condotto su 14.179 cartelle (8747

mediche e 5232 chirurgiche) rilevò invece eventi avversi con danno sul 21,9% degli

episodi di ricovero ed il 4% relativi a eventi avversi con esito in disabilità grave o

decesso del paziente.(14)

In UK uno studio pubblicato da Charles Vincent sul BMJ nel 2001, si prendeva in

considerazione una revisione retrospettiva di 1014 cartelle di due ospedali per acuti di

Londra, si riporta che il 10,8% dei pazienti ha presentato un evento avverso, circa

metà degli eventi erano considerati prevedibili.(15)

Secondo la letteratura scientifica internazionale, quindi, un consistente numero di

pazienti subisce danni ed effetti indesiderati causati da trattamenti sanitari e il

fenomeno coinvolge tutte le strutture sanitarie di tutti i paesi in cui l’argomento è stato

studiato.

E’ inconfutabile la variabilità dei risultati evidenziati dai vari studi, si va da un tasso del

2,9% (studio Utah/Colorado) al 21,9% dello studio australiano.

Proprio in riferimento a questo nel 2000 alcuni ricercatori misero a confronto lo studio

Utah Colorado (UTCOS) con lo studio australiano (QAHCS).

Dal primo studio risultava che il 16,6% di ricoveri si associavano ad eventi avversi,

mentre nel secondo il tasso era solo del 2,9%. Per approfondire le differenze tra i due

studi i ricercatori misero a confronto metodi e caratteristiche impiegati e ne

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identificarono le differenze. A questo scopo i dati del QAHCS furono analizzati

impiegando i metodi del UTCOS.

Furono identificate alcune discrepanze metodologiche che potevano rendere ragione

delle differenze dei risultati ottenuti nei due studi. Entrambe le ricerche impiegavano un

processo di revisione delle cartelle in due stadi per portare alla luce gli eventi avversi

(screening da parte di infermieri seguito da una revisione di un medico come

conferma); ma si trovarono cinque importanti difformità metodologiche.

1. – Gli infermieri revisori del QAHCS, riguardo al criterio 1 (riammissione legata ad un

precedente ricovero) tennero conto di tutte le cartelle che documentavano qualsiasi

connessione a ricoveri precedenti, mentre quelli del UTCOS avevano delle limitazioni

di tempo legate all’età (criterio positivo se il paziente era stato ricoverato di nuovo entro

6 mesi se aveva più di 65 anni, o entro 12 mesi se più giovane);

2. – Lo studio QAHCS impiegava una soglia più bassa di livello di confidenza per

attribuire la causa di un evento avverso al trattamento medico;

3. – Lo studio australiano impiegava due medici revisori, mentre quello del Utah-

Colorado uno solo;

4. – Il QAHCS, per calcolare l’incidenza annuale, prendeva in considerazione tutti gli

eventi avversi associati con un ricovero indice (cioè il ricovero selezionato casualmente

per la revisione), anche se gli eventi erano stati scoperti durante ricoveri precedenti o

posteriori a quella ammissione, mentre il UTCOS contava soltanto quegli eventi che si

erano manifestati durante il ricovero;

5. – Lo studio australiano includeva alcuni tipi di eventi non compresi in quello

americano.

Quando i dati del QAHCS furono analizzati applicando i metodi del UTCOS, la

percentuale di ricoveri con eventi avversi si ridusse al 10,6% (dal primitivo 16,6%)

Le differenze di metodo riportate sopra possono senz’altro spiegare una parte delle

differenze di risultati tra le due ricerche epidemiologiche. Altre ragioni che si

aggiungono sono probabilmente il fatto che la qualità dell’assistenza in Australia sia

peggiore e che il contenuto delle cartelle cliniche e/o il comportamento di giudizio dei

revisori dei due Paesi siano differenti.(16)

Questo studio mette in evidenza come la variabilità della metodologia di revisione delle

cartelle ha portato a risultati infinitamente diversi, consapevoli in ogni caso che non

esiste un metodo migliore rispetto ad un altro; dipende dall’obiettivo che si desidera

perseguire, dalle risorse a disposizione e dal contesto in cui si svolge l’indagine.

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Le ricerche epidemiologiche hanno, non solo quantificato gli eventi avversi, ma anche

utilizzato un approccio qualitativo.

Uno studio, pubblicato nel 1999, nel The Medical Journal of Australian, ha analizzato le

cause degli eventi avversi rilevati in precedenza dallo studio QAHCS. Furono presi in

considerazione i 2353 eventi riportati, l’obiettivo era categorizzare gli eventi e definire

delle strategie per minimizzare gli errori.

Le cause più frequenti di eventi avversi furono identificate come:

Complicanze o fallimento di una performance tecnica di una procedura o

intervento (34,6%);

Incapacità di sintetizzare, decidere e/o utilizzare le informazioni disponibili

(15,8%);

Mancanza di richiedere o far eseguire una indagine, procedura o consultazione

(11,8%);

Mancanza di cura o attenzione nella cura di un paziente (10,9%)

Agli eventi, le cui cause erano dovute ad errori di tipo cognitivo, furono assegnati

maggiori scores di prevedibilità rispetto a quelli dovuti ad errori di tipo tecnico.

Lo studio propose anche alcune strategie di prevenzione degli eventi avversi:

Nuovi e/o migliori protocolli (23,7% delle strategie);

Migliore monitoraggio della qualità dei processi (21,2%);

Migliore formazione ed addestramento (19;2%);

Consultazioni più frequenti con specialisti e fra pari (10,2%). (17)

6.3. Applicazione dell’IHI Global Trigger Tool per l’identificazione degli eventi

avversi

Lo strumento del Global Trigger Tool è stato implementato ed è in uso in centinaia di

ospedali in diversi Paesi, è stato maggiormente utilizzato e valorizzato negli Stati Uniti

dove è nata la metodologia.

Nella città di Orlando, nel Florida Hospital (comprende 8 ospedali ciascuno con un

numero di letti che va da 50 a 1000), la metodologia è stata implementata nel 2006 ed i

risultati furono pubblicati su Journal of Patient Safety. (18)

Inizialmente furono coinvolti sei ospedali con l’obiettivo di ampliare l’utilizzo dello

strumento su tutti. Nell’implementazione e nella formazione del team di lavoro furono

coinvolti infermieri, farmacisti, terapisti del respiro e medici. L’identificazione degli

eventi avversi e dei danni conseguenti, aiutarono ed indirizzarono la leadership verso

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un’allocazione ottimale delle risorse, rendendo la sicurezza del paziente un punto di

forza della mission dell’organizzazione.

Circa il 55% degli eventi avversi rilevati erano relativi alla terapia farmacologica, in

particolare rispetto all’infezione da C. Difficile, aumento degli elettroliti, alterazioni

glicemiche, sedazione eccessiva da farmaci e sanguinamenti causati da

anticoaugulanti.

L’ospedale, grazie ai risultati emersi dall’utilizzo della metodologia, mise in atto

programmi di analisi del rischio e sistemi di contenimento orientati in particolare verso

questi specifici eventi.

La Mayo Clinic (Rochester, Minnesota) ha iniziato ad utilizzare la metodologia nel 2004

per misurare gli eventi avversi e di conseguenza per migliorare, all’interno

dell’organizzazione, il livello di sicurezza dell’assistenza.

Tre sedi della clinica (Rochester, Arizona e Jacksonville) che hanno utilizzato il Global

Trigger Tool, si confrontavano trimestralmente, attraverso video-conferenza, per

confrontare le revisioni, discutere i casi difficili e scambiare idee ed opinioni circa il

miglior utilizzo dello strumento.

Dopo il primo anno di raccolta dei dati, i risultati furono presentati alla Mayo’s senior

Quality Committee.

Attualmente alla Mayo Clinic, il tasso di eventi avversi viene misurato regolarmente

attraverso la metodologia IHI e durante il primo periodo di implementazione si è

verificata una riduzione degli errori, grazie anche ad un programma di sicurezza del

paziente progettato in base ai risultati dell’applicazione dello strumento.

L’OSF Healthcare System (Peoria, Illinois) ha iniziato ad utilizzare nei suoi sei ospedali

l’IHI Global Trigger Tool nel 2004. Come previsto dalla metodologia, ogni mese, il team

sceglieva a random 20 cartelle che venivano revisionate da infermieri designati.

Durante il primo anno, i revisori, hanno messo in atto un sistema di incontri periodici di

discussione su come migliorare l’affidabilità del metodo e su come i risultati potevano

essere interpretati.

L’OSF cercò definire il valore dell’utilizzo del metodo a due livelli. Il primo è che rispetto

alle organizzazioni che utilizzano altri metodi di identificazione degli eventi avversi e

degli errori, l’IHI Global Trigger Tool può offrire dei dati accurati ed affidabili nel tempo

e possono essere degli indicatori che misurano il danno ed offrono una fotografia del

livello di sicurezza dell’organizzazione. Secondo, il team di revisione può utilizzare i

risultati delle revisioni per scoprire in quale direzione orientare le attività di

miglioramento.

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Per esempio un ospedale notò che le riammissioni riguardavano spesso pazienti

dimessi con terapia con Walfarin, si chiesero se era necessario una riospedalizzazione

o se bastava creare ed implementare dei programmi educativi per i pazienti di

gestione della terapia anticoagulante.

La letteratura riporta diversi studi di identificazione degli eventi avversi tramite l’utilizzo

dell’IHI Global Trigger Tool.

Uno studio recente, pubblicato sul New England Journal of Medicine, nel 2010 aveva

come obiettivo indagare, a dieci anni dalla pubblicazione del testo To Err is Human, se

gli sforzi intrapresi per migliorare la sicurezza avessero portato a dei risultati tangibili.

Fu condotto uno studio retrospettivo su un campione casuale stratificato preso da 10

ospedali del North Carolina. Furono esaminati 100 ricoveri per trimestre da gennaio

2002 a dicembre 2007 da revisori interni e revisori esterni utilizzando l’IHI Global

Trigger Tool. Gli eventi dubbi, identificati dai revisori, sono stati rivalutati da due medici

revisori indipendenti.

Nei 2341 ricoveri presi in considerazione, i revisori interni hanno identificato 588 eventi

avversi, c’è stata una riduzione negli eventi rilevati dai revisori esterni, ma non

statisticamente significativa.

Lo studio giunse alla conclusione che tra i 10 ospedali non vi sono significative

differenze di errori ed auspica la necessità di compiere ulteriori sforzi per creare

interventi di monitoraggio della sicurezza dell’assistenza sanitaria nel tempo.(19)

L’IHI Global Trigger Tool è stato utilizzato spesso in combinata con altri strumenti.

Per esempio in uno studio condotto nel Baylor Health Care System (BHCS) nel North

Texas tra il 2006 ed il 2007, fu utilizzato l’IHI assieme ad un altro metodo, l’MS Access

Tool, appositamente creato, come integrazione per permettere un’ulteriore

caratterizzazione degli eventi avversi individuati.

I primi risultati riportarono tassi di eventi avversi di 68,1 ogni 1000 giorni paziente e nel

39,8% dei ricoveri fu riscontrato eventi avversi maggiori o uguali a 1. Di tutti gli eventi

avversi identificati, il 61.2% era avvenuto all’interno dell’ospedale e di questi il 10,1%

era associato a categorie di danno H o I ( vicino alla morte o morte).(20)

Alcuni studi presenti in letteratura, oltre che utilizzare lo strumento dell’IHI per

quantificare ed identificare gli eventi avversi, si sono posti anche l’obiettivo di testare lo

strumento e di valutarne la sua applicabilità.

Uno dei primi studi coinvolse 62 Terapie Intensive in 54 ospedali statunitensi nel

periodo tra il 2001 ed il 2004. La prevalenza di eventi avversi osservati, su 12.074

ricoveri, con l’approccio dell’IHI fu di 11,3 eventi ogni 100 giorni pazienti; relativamente

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40

a 13 Terapie Intensive è stata revisionata la documentazione di 1.294 pazienti

identificando 1450 eventi avversi con una prevalenza di 16,4 eventi ogni 100 giorni

paziente. Il 55% di questo sottoinsieme di cartelle conteneva almeno un evento

avverso. Le conclusioni dello studio furono che l’IHI Global Trigger Tool si è rivelato un

approccio pratico per migliorare la rilevazione degli eventi avversi in Terapia I., la

valutazione di questi eventi può essere utilizzata per orientare al meglio le risorse

necessarie ai programmi di miglioramento.(21)

Uno studio scozzese, pubblicato nel 2009, testò l’efficacia dello strumento dell’IHI per

misurare gli eventi avversi nell’ambito dell’assistenza primaria.

La metodologia è stata utilizzata da revisori addestrati, che hanno lavorato in coppia

per condurre degli audit, su 100 cartelle elettroniche selezionate a random per ognuna

delle cinque zone urbane della Scozia Centrale.

Furono quindi revisionate 500 cartelle, fu identificato un evento avverso in 47 cartelle

(9,4%), di questi 27 furono giudicati prevedibili (42%). La gravità del danno fu

considerata bassa o moderata per la maggior parte dei pazienti coinvolti in eventi

avversi (82,9%). Errori e danni più gravi erano presenti maggiormente in pazienti con

età superiore ai 60 anni ed erano relativi alla terapia farmacologica.

Lo studio giunge alla conclusione che l’IHI Global Trigger Tool è uno strumento

affidabile per rilevare gli errori ed i danni nell’ambito dell’assistenza primaria.

Tuttavia pone dei limiti all’utilizzo e alla fattibilità dell’applicazione nella prassi

quotidiana, lo strumento viene visto più adatto ad essere utilizzato nella ricerca e come

audit tecnico. (22)

Per verificare le caratteristiche di performance e l’appropriatezza del Global Trigger

Tool al fine di misurare i danni dei pazienti conseguenti all’assistenza sanitaria in un

ospedale e a livello nazionale, nel Nord Carolina è stato condotto uno studio

retrospettivo nel periodo compreso tra il 2002 e il 2007.

La metodologia dell’IHI fu applicata su 10 cartelle cliniche per trimestre, selezionate tra

10 ospedali per acuti.

Lo studio prevedeva il coinvolgimento di un team di revisori interni ed esterni

all’ospedale e di un team di revisori esperti della metodologia che doveva rivedere il

10% della documentazione revisionata dagli altri due gruppi. Non sono emerse

sostanziali differenze nella identificazione di eventi avversi. Lo studio ha concluso che

considerato il livello di accordo tra i revisori il global trigger tool può essere una misura

appropriata per gli eventi avversi con danno, sia a livello di singola organizzazione che

a livello nazionale.(23)

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41

Lo strumento dell’IHI è stato comparato, in letteratura, con altri metodi di rilevamento

degli eventi avversi.

Uno studio pubblicato nel 2009 confronta i tre metodi maggiormente utilizzati a livello

internazionale:

I Patient Safety Indicators set (PSIs): set si indicatori per la sicurezza del

paziente, proposti dall’Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ):

sono algoritmi utilizzati per rilevare eventi avversi potenziali mediante i codici

(ICD-9) secondari di diagnosi sulle schede di dimissione ospedaliera.

I Provider-reported Events (eventi riportati dagli operatori) sono eventi

segnalati in tempo reale che giungono da parte dell’Unità Operativa ad un

sistema centralizzato. Sono esclusi dal sistema i near miss o gli eventi che

non hanno raggiunto il paziente e quelli senza danno.

I Global Trigger Tool mediante il quale è possibile o meno correlare un evento

avverso.

Il campione era rappresentato da tutti i pazienti dimessi nel 2005 dalla Mayo Clinic

Rochester hospitals.

Dei 60.599 pazienti presi in considerazione il 4% ha avuto un evento avverso

identificato da almeno uno dei tre metodi, gli eventi identificati con un metodo

solitamente non venivano identificati dagli altri.

I risultati hanno confermato come indicato in letteratura che gli approcci dovrebbero

essere integrati tra loro al fine di migliorare la sicurezza del paziente poiché i tre

approcci identificano diverse tipologie di eventi avversi. (24)

Uno studio di recente pubblicazione (Aprile 2011), ha confrontato tre strumenti di

identificazione degli eventi avversi in ospedale: l’IHI Global Trigger Tool, un sistema di

reporting volontario e degli indicatori di qualità e sicurezza, ogni strumento è stato

testato sullo stesso campione di pazienti provenienti da tre ospedali.

Utilizzando l’IHI Global Trigger Tool furono identificati un numero di eventi avversi dieci

volte superiore a quelli trovati con gli altri due metodi. (25)

Frank Federico, direttore di una delle sezioni dell’IHI, sostiene l’utilità del Global Trigger

Tool in quanto i metodi tradizionali di segnalazione degli errori e degli eventi avversi

non sono affidabili nei contesti sanitari. In effetti la letteratura riporta che i sistemi

volontari tendono a sottostimare gli eventi e si concentrano su quello che viene

considerato prevenibile. La metodologia dell’IHI consente di identificare in modo facile

e senza l’ausilio di tecnologie complesse gli eventi avversi correlati al danno. (26)

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42

Nell ’applicazione del Global Trigger Tool, il risultato di 12 punti di raccolta dati (pari a

sei mesi) dovrebbe mediamente aggirarsi sul 4% di eventi avversi rilevati.

Le evidenze relative a centinaia di organizzazioni che hanno utilizzato la metodologia

hanno delineato un valore atteso di danno nell’organizzazione. Questi dati sono da

intendere come valori generali da non utilizzare come confronto tra organizzazioni.

Dopo qualche iniziale variabilità la maggior parte degli ospedali ha riportato circa 90

eventi avversi ogni 1000 giorni paziente, 40 eventi avversi ogni 100 ricoveri e circa il

30% di eventi avversi sul totale dei ricoveri.

Il modello utilizzato nel Global Trigger Tool non è basato su una valutazione della

specificità e sensibilità ma piuttosto su base empirica e sull’applicazione di un

campionamento randomizzato e una metodologia strutturata in modo rigido. (27)

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43

7. GESTIONE DEL RISCHIO NELL’AZIENDA ULSS 3 BASSANO DEL GRAPPA

A livello istituzionale l’attività di gestione del rischio clinico viene sviluppata a tutti i

livelli di programmazione e controllo sanitario: nazionale, regionale, aziendale e di

singole strutture operative.

La Regione del Veneto ha da tempo attivato una serie di iniziative orientate al

mantenere e sviluppare ulteriormente l'alto livello qualitativo che caratterizza i servizi

sanitari, socio sanitari e sociali e le prestazioni erogate.

In relazione alle strategie di promozione della sicurezza il Veneto con la DGR n. 4445

del 28 dicembre 2006 (28) la Giunta Regionale del Veneto ha istituito, con sede presso

l’ARSS, il “Coordinamento regionale per la sicurezza del paziente” con le seguenti

competenze:

individuare e proporre alla Giunta Regionale gli obiettivi in tema di sicurezza del

paziente;

definire il piano annuale delle azioni per l’implementazione delle strategie per la

sicurezza del paziente, individuando per le singole azioni le Direzioni e le strutture

coinvolte;

monitorare le iniziative in tema di gestione della sicurezza del paziente poste in

essere dalle Aziende Sanitarie;

armonizzare le iniziative regionali nell’ambito della sicurezza in tutte le componenti

di cui risulta composta;

sviluppare azioni di confronto con le associazioni scientifiche, con i rappresentanti

dei cittadini, con gli istituti assicurativi privati e con i produttori di farmaci, presidi

sanitari e tecnologie elettromedicali;

approvare la relazione annuale sull’attività svolta;

promuovere e coordinare le iniziative di formazione a livello regionale in materia di

sicurezza del paziente.

Il “Coordinamento regionale per la sicurezza del paziente”, ha successivamente

proposto i seguenti obiettivi:

attivazione di un modello organizzativo;

realizzazione di un sistema informativo regionale integrato;

realizzazione di un programma di formazione di base e avanzato.

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Con riferimento all’attuazione del primo successivamente la Regione con la DGR n.

1831 del 01/07/2008, ha definito un modello organizzativo per la gestione della

sicurezza del paziente nel sistema socio-sanitario del Veneto.

Tale modello organizzativo regionale per la gestione della sicurezza costituisce un

sistema gestionale che coinvolge più attori dell’organizzazione:

il Responsabile delle funzioni per la Sicurezza del Paziente che coordina

il Comitato Esecutivo;

il Comitato Esecutivo per la Sicurezza del Paziente;

il Collegio di Direzione;

il Nucleo Aziendale per la gestione dei sinistri. (29)

Con Delibera n° 817/08, l’Azienda ULS3 ha adottato il modello organizzativo per la

gestione della sicurezza come previsto dalla Regione. (30)

La politica dell’Azienda Sanitaria ULSS 3, relativa al rischio clinico, si esplica mediante

lo sviluppo di un sistema di gestione del rischio orientato ad un approccio sistemico,

con lo scopo di prevenire gli errori evitabili e contenere i loro possibili effetti dannosi.

Le strategie aziendali sono rappresentate dal miglioramento della sicurezza del

paziente attraverso lo sviluppo di un sistema di gestione del rischio clinico in linea con

le sopra citate indicazioni Nazionali e Regionali.

Per attuare tali strategie l’Azienda ha costruito un network aziendale sul rischio clinico

coinvolgendo attivamente gli operatori sanitari, l’attivazione di un sistema informativo

sul rischio clinico ha consentito, in questo modo, ai diversi attori di prendere decisioni

in modo consapevole e responsabile.

Prioritario è stato, nel corso degli anni, l’attivazione e l’implementazione di strumenti di

gestione del rischio secondo logiche di priorità.

In particolare è stato fatta una mappatura dei rischi a livello aziendale, definendola

sulla base dei dati e/o eventi storici raccolti, sono state poi individuate le barriere

applicabili e fatto un set-up con le Unità Operative coinvolte.

Ad ogni singola barriera è stato assegnato un punteggio e ri-mappati i rischi anche

tramite interviste con il personale. Sulla base degli esiti della mappatura sono stati

attivati gli strumenti finalizzati al contenimento dei rischi.

Nelle aree ad alto rischio si sono sviluppati ed applicati strumenti pro-attivi (FMEA), in

quelle a medio rischio strumenti con approccio reattivo (Incident Reporting e RCA)

(vedi figura n°6)

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45

Scelta delle barriere / difese

Analisi dei dati (eventi) storici

Mappatura iniziale dei rischi

21Mappatura dei

rischi con barriere

3

• Individuazione della tipologia di dati relativi ad eventi da analizzare

• Definizione dell’arco temporale di riferimento

• Raccolta dei dati relativi e valutazione della loro significatività

4 Piani e strumenti per il contenimento

dei rischi

5

• Normalizzazione dei dati disponibili al fine di renderli confrontabili: applicazione del modello di Heinrich

• Determinazione del ranking di rischio aziendale iniziale per singola UU.OO.

• Definizione della mappatura iniziale dei rischi

• Individuazione delle barriere / difese applicabili e set-up con le UU.OO. coinvolte

• Assegnazione dei punteggi per ogni singola barriera (punteggio da 1-barriera presente e applicata a 2 -barriera non presente): attività effettuata presso ogni UU.OO. Tramite interviste con il personale

• Determinazione del nuovo ranking di rischio aziendale (con barriere)

• Sulla base degli esiti della mappatura, attivazione di strumenti finalizzati al contenimento dei rischi:

Aree ad alto rischio: sviluppo e applicazione di strumenti pro-attivi (es. FMEA)

Aree a medio rischio: sviluppo e applicazione strumenti con approccio reattivo (es. Incident reporting, Root cause analysis, etc.)

Figura n. 6: pianificazione della mappatura dei rischi ed individuazione degli strumenti

per il contenimento nell' Azienda ULSS 3 Bassano del Grappa

L’incident reporting è identificato, a livello aziendale, come lo strumento principale

della diffusione della cultura della segnalazione e di conseguenza come un opportunità

di miglioramento della sicurezza del paziente. Per implementare l’incident reporting è

stato attuato un progetto formativo il quale scopo era conoscere il processo di gestione

dello strumento applicandolo nell’ambito delle attività quotidiane con un tutoraggio

specifico nelle diverse fasi, raccogliere ed analizzare gli incident reporting definendo i

rischi prioritari ed i relativi piani di contenimento, dare seguito operativo alle attività

pianificate per la riduzione del rischio clinico valutando successivamente l’impatto.

L’Azienda ha investito molto anche nell’implementazione della FMEA, consapevole che

è uno strumento che migliora non solo la conoscenza di ciò che si attua

quotidianamente sul paziente ma migliora soprattutto il processo assistenziale

introducendo barriere preventive di sicurezza.

La formazione sul campo, che ha coinvolto gruppi multi professionali, ha permesso di

conoscere la FMEA, di applicarla in un processo critico individuato, sviluppando delle

attività di contenimento per i rischi prioritari attraverso: individuazione delle soluzioni,

confronto e condivisione con gli operatori coinvolti sulle soluzioni adottate, valutazione

dell’impatto del cambiamento.

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Nell’ambito della gestione del rischio, sono state messe in pratica diverse “buone

pratiche”, alcune della quali sono:

Sistemi automatici per la preparazione ed etichettatura delle provette per i

prelievi;

Sistema automatico di identificazione del paziente tramite bracciale con codice

a barre e verifica della corrispondenza tra paziente e provette tramite palmare;

Progetto "Save lives: clean your hands"

Audit clinici

Monitoraggio eventi sentinella

Sistema di sorveglianza attiva "alert organism”: giornalmente i dati

microbiologici vengono immessi in un database dal personale che si occupa

delle infezioni che può quindi correlare rapidamente i dati e identificare un

aumento di numero in un breve arco di tempo dello stesso microrganismo nello

stesso reparto;

Prevenzione delle cadute: progetto pilota in fase di sperimentazione nell’U.O. di

Geriatria che prevede la valutazione dei pazienti a rischio di caduta, la

valutazione della sicurezza di ambienti e presidi, la rilevazione, l’analisi e la

gestione dell’evento caduta;

Check list operatoria;

Progetti riduzione rischio gestione terapia farmacologica.

Per favorire lo sviluppo della cultura della sicurezza l’Azienda ha coinvolto gli operatori

indagando tutti gli aspetti organizzativi e procedurali che sottendono all’errore in sanità.

Questo ha consentito di costruire indicatori di processo e di performance che hanno

prodotto risultati significativi poiché riferiti al sistema considerato nel suo complesso e

non rivolti al solo miglioramento dell’operato del singolo.

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8. APPLICAZIONE DEL GLOBAL TRIGGER TOOL NELLA S.C. DI MEDICINA

AZIENDA SANITARIA N° 3 BASSANO DEL GRAPPA

I risultati preliminari di seguito riportati riguardano il lavoro iniziale di applicazione

sperimentale del metodo su un piccolo campione di cartelle di pazienti ricoverati

nell’Unità Operativa di Medicina.

La scelta della popolazione del campione è stata fatta in base alla facile reperibilità

delle cartelle cliniche, essendo pazienti della struttura dove presto servizio e di

conseguenza anche per la maggior conoscenza della documentazione, tipologia di

pazienti e del loro percorso clinico-assistenziale. Abbiamo scelto intenzionalmente di

revisionare cartelle di un periodo molto recente per avere una fotografia

dell’organizzazione molto vicina alla condizioni attuali.

Data la tipologia di pazienti è stato scelto di prendere in considerazione solo i trigger

relativi alla cure e quelli relativi alla terapia farmacologica.

La S.C. di Medicina Interna ha come finalità istituzionale preminente la diagnosi, il

trattamento e l’assistenza in fase acuta di tutte le patologie internistiche con specifiche

competenze per la prevenzione diagnosi e cura delle malattie cardiovascolari,

dell’ipertensione arteriosa (in particolare per le forme secondarie), della malattia

tromboembolica, delle malattie endocrino-metaboliche, reumatologiche, patologie

osteo-fragilizzanti ed infettive nonchè diagnosi e cura del piede diabetico.

Di seguito sono riportati i principali DRg relativi all’anno 2010.

DRg N° casi in degenza ordinaria

Insufficienza cardiaca e shock 137

Insufficienza renale 106

Polmonite semplice e pleurite, età ≥ 17 con cc 68

Versamento pleurico con cc 63

Segni e sintomi respiratori con cc 54

Embolia polmonare 50

Anomalie dei globuli rossi, età ≥ 17 44

Diabete età ≥ 35 42

Polmonite semplice e pleurite, età ≥ 17 senza cc 37

Tabella n° 2: principali DRg in ordine di frequenza Medicina Interna anno 2010

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La struttura accoglie 48 posti letto, i ricoveri totali nel 2010 sono stati 1734 con una

degenza media di 9,27 giorni ed un tasso di occupazione del 91,7%.Come la maggior

parte delle strutture dell’Azienda Sanitaria, anche la Medicina è stata coinvolta ed ha

partecipato attivamente al programma aziendale di gestione del rischio clinico. La

struttura è coinvolta nella compilazione degli incident reporting e nell’anno 2010 ha

partecipato alla FMEA aziendale attivandone una riguardante la gestione della terapia

farmacologica con conseguente applicazione di un piano di contenimento tutt’ora in

corso.

8.1. Formazione del team di revisione

Per la parte logistica mi sono avvalsa della collaborazione del Risk Manager

ospedaliero che, oltre ad avermi supportata metodologicamente, ha coperto il ruolo di

medico revisore.

La formazione del team è avvenuta sulla base delle raccomandazioni fornite dal

manuale dell’IHI.

Oltre alla sottoscritta, il team era composto da un medico internista della S.C. di

Medicina e da un medico igienista della Direzione Medica Ospedaliera.

Il medico revisore era il Risk Manager nonché Direttore del Dipartimento Medicina dei

Servizi e della S.C. di Medicina di Laboratorio.

Abbiamo ritenuto importante aggiungere ai due revisori, indicati dalla metodologia, un

terza figura per garantire che le conoscenze acquisite, rispetto al metodo, non vengano

perdute in caso di trasferimenti o spostamenti dei componenti del team.

Inoltre, la diversa provenienza e ambito lavorativo dei membri del team non poteva

essere che un valore aggiunto favorente un’applicazione dello strumento con un’ottica

di integrazione e multidisciplinarietà, l’infermiere poteva cogliere maggiormente i trigger

relativi alla cure assistenziali, il medico internista più rivolto verso la clinica ed il

medico igienista con un approccio più pragmatico e globale.

Dopo una prima riunione informativa, dove è stato presentato lo strumento e dove ci

siamo accordati su come svolgere logisticamente il lavoro, ogni componente del

gruppo ha letto in maniera individuale e approfonditamente il manuale di utilizzo

dell’IHI Global Trigger Tool.

La formazione del team e il piano di lavoro è stato condiviso con il Direttore Medico

Ospedaliero.

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8.2. Addestramento

In un secondo incontro, con i quattro membri del team, è stata condiviso l’utilizzo dello

strumento e come prevede il manuale sono state revisionate cinque cartelle non

comprese nel campione.

Ogni cartella è stata revisionata dai quattro membri in forma condivisa, ciò ha

permesso di uniformare la metodologia, di scambiarsi informazioni utili ( es. l’infermiere

ha fornito indicazioni su dove reperire alcuni dati all’interno della documentazione

infermieristica) e di definire alcuni parametri che potrebbero essere soggettivi ( es. i

valori pressori indicativi dello stato ipotensivo).

La regola dei “20 minuti” in fase di addestramento non è stata utilizzata come indicato

dall’IHI.

Durante la revisione delle cartelle cliniche, utilizzate per l’addestramento, sono stati

evidenziati i medesimi trigger. In alcuni casi una persona su tre non ha colto qualche

trigger; tuttavia la correlazione tra trigger ed eventi avversi ha prodotto i medesimi

risultati.

I risultati della revisione delle cinque cartelle non è stata inserita nei dati finali.

8.3. Processo di selezione delle cartelle cliniche

La popolazione campione erano i pazienti dimessi dall’Unità Operativa di Medicina

Interna dal 1 Febbraio al 31 Marzo 2011.

Sono state selezionate, con metodologia di campionamento casuale, 20 cartelle

cliniche per ogni mese (Febbraio, Marzo 2011) prendendo 15 cartelle tra i dimessi

della prima quindicina e 15 per la seconda quindicina del mese. Oltre alle 20 mensili

sono state aggiunte 4 cartelle di riserva da utilizzare qualora non rientrassero nei criteri

di selezione.

I criteri di selezione dei pazienti sono stati i seguenti:

tutti i pazienti dimessi dall’unità operativa di Medicina Interna dal 1 Febbraio al

31 Marzo 2011 esclusi i degenti con età inferiore ai 18 anni e pazienti

psichiatrici ed in riabilitazione, con cartella clinica chiusa e completa;

tutti i ricoveri ordinari esclusi Day Hospital e Day Service;

tutti i ricoveri superiori alle 48 ore di degenza. Il protocollo raccomanda le 24

ore, tuttavia per identificare una infezione correlata a pratiche assistenziali, il

Centers for Disease Control and Prevention (CDC) definisce un tempo di

incubazione di almeno 48 ore dopo il ricovero in ospedale. (31)

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50

8.4. Processo di revisione delle cartelle cliniche

In relazione alla tipologia di pazienti selezionati, la revisione ha preso in considerazione

solo i trigger relativi alla cure e alla terapia farmacologica.

La revisione è stata fatta su cartelle cartacee, solo per i trigger relativi ai dati

laboratoristici ci siamo serviti di un report informatizzato per ciascun paziente preso in

considerazione.

La ricerca di eventuali riammissioni è stata fatta consultando il data base aziendale di

gestione dei ricoveri.

Le cartelle cliniche sono state consultate dai tre revisori in maniera indipendentente

anche se vi sono stati dei momenti di confronto tra i revisori.

Ogni revisore seguiva una sequenza di consultazione della documentazione

precedentemente stabilita in base a criteri di logica ed ottimizzazione del lavoro:

- lettera di dimissione;

- verbale di accesso in pronto soccorso;

- diario medico;

- termografica;

- diario infermieristico.

Il tempo medio di consultazione è stato di circa 10-15 minuti a cartella.

Per registrare i trigger ci siamo serviti della scheda presente nel sito dell’IHI.

8.5. Identificazione e classificazione dei trigger e degli eventi avversi

I revisori, una volta rilevata la presenza di un trigger, hanno subito definito se fosse

correlato ad un evento avverso ed in tal caso determinato la categoria di danno.

Al temine della revisione è stato coinvolto il medico revisore del team per valutare i

trigger positivi che potevano rappresentare l’indizio di un evento; alcuni eventi non

sono stati ritenuti tali e quindi esclusi dall’elenco, il momento di confronto finale è stato

molto importante per risolvere dei dubbi insorti durante la revisione e per confermare o

meno la correlazione tra trigger ed eventi avversi.

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9. RISULTATI PRELIMINARI

I risultati di seguito riportati sono preliminari, riguardando solo un campione di 40

cartelle, e quindi non significativi statisticamente, visto che l’IHI raccomanda almeno un

campione di 240 cartelle. Sono dati in ogni caso rilevanti per poter definire un tasso di

eventi avversi preliminare e per offrire un’iniziale e parziale fotografia

dell’organizzazione.

9.1. Caratteristiche della popolazione campione

Lo strumento IHI Global Trigger Tool prevede una selezione di 10 cartelle ogni quindici

giorni indipendentemente dal numero di ricoveri mensili.

La popolazione di riferimento, è risultata essere di 308 ricoveri, di questi ne sono stati

selezionati un campione di 40 con metodologia di campionamento casuale e

rispondente ai criteri sopracitati.

La media e la mediana del numero di ricoveri relativi ad un periodo di quindici giorni

sono rispettivamente di 77 e 78 ricoveri.

Grafico n. 1: n° di ricoveri per periodo esaminato: 1 Febbraio 2011-31 Marzo 2011

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L’età del campione selezionato è per il 10% (4 pz) formato da pazienti con età tra i 50

e i 60 anni, il 40% (16 pz) con età tra i 61 e i 70 anni, il 37,5% (15 pz) con età tra i 71 e

gli 80 anni ed il 12,5% (5 pz) con età superiore a 81 anni.

Grafico n.2: suddivisione campione per fascia di età

I pazienti del campione preso in considerazione erano per il 52,5% (21) maschi e per il

47,5% (19) femmine.

Grafico n.3: suddivisione sesso pazienti selezionati

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I giorni di degenza totali della popolazione campione sono stati di 393 giorni con una

media di 9,8 giorni di degenza: da un minimo di 3 giorni ad un massimo di 41 giorni.

Grafico n. 4: giornate di degenza

9.2. Trigger positivi

Durante la revisione sono stati presi in considerazione solo i trigger relativi alle cure e

alla terapia farmacologica.

Nelle 40 cartelle sono stati identificati 50 trigger: 26 trigger relativi alle cure (52%) e 24

relativi alla terapia farmacologica (48%).

Grafico n°5:

categorie di trigger

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Sono stati rilevati da 0 a 4 trigger per paziente con una media di 1,25 per paziente ed

una mediana di 2.

Nel 32% delle cartelle non è stato rilevato nessun trigger, nel 22% 1 trigger, nell’ 8% 3

trigger e nel 3% 4 trigger.

Grafico n° 6: numero trigger per cartelle esaminate

I trigger rilevati almeno una volta sono rappresentati nel seguente grafico

Grafico n°7: trigger rilevati

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I trigger rilevati con maggior frequenza sono:

- C5: indagini per embolia/DVT;

- M11: eccessiva sedazione e/o ipotensione;

- C1: emotrasfusione:

- C9: riammissione entro 30 gg.

9.3. Eventi avversi

La presenza di un trigger non necessariamente è correlata a un evento avverso.

L’IHI raccomanda di indagare con accuratezza ciascun trigger per rilevare se ci si trova

di fronte ad un evento che ha provocato danno al paziente.

Rispetto ai 50 trigger identificati, l’88% (44 trigger) non è stato associato ad un evento

avverso mentre il 12% (6 trigger) erano correlati ad un evento avverso.

Grafico n° 8: eventi avversi per categoria

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Gli eventi avversi rilevati sono stati:

2 eventi avversi attribuibili a lesioni da decubito di prima insorgenza;

2 eventi avversi da reazione da farmaci: una reazione allergica in seguito a

somministrazione di Levofloxacina® e.v. e una trombocitopenia da utilizzo di

Eparina a basso peso molecolare;

1 evento avverso da infezione della ferita chirurgica;

1 evento avverso da sanguinamento post-intervento di angioplastica arti

inferiori.

La distribuzione degli eventi avversi nel periodo di raccolta dati è rappresentata nel

grafico n.9.

Grafico n° 9: numero eventi avversi per periodo esaminato

Cinque eventi su sei hanno coinvolto pazienti con età superiore ai 65 anni, 1 ha

coinvolto un paziente con età compresa tra i 18 ed i 65 anni.

Secondo la metodologia dell’IHI, l’evento avverso viene definito tale solamente quando

provoca un danno al paziente; al fine di classificare gli eventi avversi sulla base della

gravità del danno provocato al paziente, è stata adottato l’indice di categorizzazione

degli errori del National Coordinating Council for Medication Errors reporting and

prevention (NCC MERP).

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Alla totalità degli eventi avversi rilevati è stato assegnata la categoria E di danno:

danno temporaneo al paziente che richiede intervento.

La metodologia dell’IHI prevede tre diversi modi di presentazione dei dati raccolti,

abbiamo scelto il primo metodo che è senz’altro il più vantaggioso. Il “numero di eventi

avversi per 1.000 giorni/paziente”, infatti è la misura tradizionale e raccomandata per

tracciare i danni arrecati ai pazienti in un arco di tempo.

Grafico n° 10: numero eventi avversi/1000 giorni paziente

Il numero di eventi avversi rilevati nel periodo tra il 1 Febbraio ed il 31 Marzo 2011 è

pari a una media di 15,35 eventi avversi per 1000 giorni/paziente.

L’IHI raccomanda di non confrontare i dati emersi dall’applicazione del Global trigger

tool con altre organizzazioni sanitarie ma eventualmente di fare riferimento ai dati

presenti a livello nazionale.

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CONCLUSIONI

Nelle organizzazioni sanitarie gli interventi volti all’identificazione degli eventi avversi si

focalizzano soprattutto sulla segnalazione volontaria da parte degli operatori sanitari.

Tuttavia la letteratura internazionale riporta che solo il 10-20% degli errori vengono

notificati attraverso sistemi di incident reporting e tra questi, il 90-95% sono eventi che

non hanno causato un danno al paziente. (4)

Le strutture sanitarie, quindi, hanno la necessità di strumenti efficaci per identificare

gli eventi avversi che causano un danno al paziente, per stimarne il grado e la severità

e di conseguenza per trovare e sperimentare soluzioni per ridurre i danni al paziente.

Tra i vari strumenti di gestione del rischio il Global trigger tool si è rivelato essere

quello più innovativo in quanto capace di un approccio multidisciplinare e

multiprofessionale nonché di una gestione integrata del rischio.

Solo una gestione integrata del rischio può infatti portare a cambiamenti nella pratica

clinica, promuovere la crescita di una cultura della salute più attenta e vicina al

paziente ed agli operatori, contribuire indirettamente ad una diminuzione dei costi delle

prestazioni e, infine, favorire la destinazione di risorse su interventi tesi a sviluppare

organizzazioni e strutture sanitarie sicure ed efficienti.

I dati raccolti finora, sebbene non di grande rilevanza, hanno permesso di avere una

fotografia anche se parziale dei principali eventi avversi.

Vista nell’ottica del Coordinatore, questi dati potrebbero senz’altro venire utilizzati per

orientare i processi assistenziali verso il raggiungimento di un livello ottimale di

sicurezza per il paziente, attraverso la progettazione e l’implementazione di piani di

miglioramento ad esempio riferiti alle lesioni da pressione insorte in ambito ospedaliero

o alla infezioni nosocomiali.

Anche il dato relativo alle riammissioni merita un’attenta analisi ed alcune riflessioni.

L’ IHI Global trigger Tool può diventare uno strumento di trait d’union tra le evidenze

scientifiche e la prassi assistenziale perché offre indicatori specifici e misurabili sul

livello di sicurezza della propria organizzazione.

Sicuramente la promozione della cultura della sicurezza e le competenze per

l’adozione di strumenti come questo necessitano di azioni formative coerenti e

consistenti nonché di risorse.

Il percorso verso la sicurezza del paziente è quindi un processo che richiede tempo,

impegno e lavoro di squadra multiprofessionale. I rischi operativi minacciano ogni

giorno la sicurezza di tutti i processi assistenziali e non si è a conoscenza di quanti e

quali eventi avversi coinvolgono i pazienti nella struttura sanitaria, gli strumenti di

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segnalazione degli eventi avversi in uso in Azienda danno una fotografia parziale dello

stato di sicurezza dell’organizzazione.

L’esigenza di integrare gli strumenti già in uso e l’impegno dell’Azienda nella diffusione

di una cultura della sicurezza lasciano ampio spazio all’implementazione dello

strumento IHI Global Trigger Tool, sicuri che lo strumento permetterà di identificare le

aree di miglioramento sulla base di priorità e di conseguenza faciliterà la progettazione

di appropriate azioni preventive.

Concludo con una frase del filosofo Karl Popper: imparare soltanto dai propri errori

sarebbe un processo lento e doloroso ed inutilmente costoso per i propri pazienti. Le

esperienze devono essere condivise in modo da poter imparare dagli errori degli altri.

Questo richiede l’umiltà nell’ammettere di aver sbagliato e nel discutere i fattori che

hanno influenzato l’errore. Richiede un atteggiamento critico nei confronti del proprio

lavoro e di quello degli altri.

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio innanzitutto il gruppo di lavoro dei trigger, il Dott. Michele Urso per la sua

affidabile e fondamentale collaborazione, la Dott.ssa Francesca Camilli per la sua

disponibilità, la Dott.ssa Matilde Carlucci che ha creduto in questo progetto e mi ha

permesso di realizzare questa tesi.

Un particolare ringraziamento va al Dott. Giorgio Da Rin, che ha messo a

disposizione molto del suo prezioso tempo per questo progetto e per la mia tesi

offrendomi un valido aiuto e sostegno oltre che consulenza statistica e metodologica.

Questa tesi è un traguardo conclusivo di un percorso di crescita professionale e

personale, per questo ringrazio il mio primario Dott. Giampietro Beltramello che ha

sempre creduto in me, mi ha sostenuta, valorizzata e mi ha insegnato a lavorare per il

paziente e con il paziente.

Un enorme grazie va al mio Coordinatore Gabriele Bergamin, mio mentor, che in tutti

questi anni mi ha sostenuto e cresciuto professionalmente valorizzando le mie

capacità e trasmettendomi tutta la sua pratica di leadership.

Ringrazio anche i miei colleghi e i miei compagni di master perché da loro ho imparato

molte più cose che sui libri.

Infine ringrazio mio marito Francesco che mi ha sempre amorevolmente sostenuta,

supportata e sopportata in questi anni di studio e sacrifici e il mio piccolo Elia che ogni

giorno mi rende una donna migliore.

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28. Decreto Giunta Regione Veneto n. 4445 del 28 dicembre 2006. Istituzione del

Coordinamento Regionale per la sicurezza del paziente.

29. Decreto Giunta Regione Veneto n°1831 del 1 Luglio 2008. Adozione del modello

organizzativo per la gestione della sicurezza del paziente.

30. Delibera del Direttore Generale n° 817 del 2008. Azienda ULSS 3 Bassano del

Grappa.

31. Centers for Disease Control and Prevention. CDC Definitions of Nosocomial

Infections. Am J Infect Control: 1988;16:128-40.

Page 66: INTRODUZIONE - opivicenza.it michela.pdf · si colloca, quindi, la proposta di applicazione di un nuovo strumento ideato per rilevare gli eventi avversi che ... il modello basato

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