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ISTITUZIONI DIRITTO ECONOMIA [online] ISSN 2704-8667 Anno I – Num. 1 – 2019 www.istituzionidirittoeconomia.eu DOMENICO CROCCO | La motivazione delle decisioni amministrative nell’ordinamento britannico. Brevi spunti di diritto amministrativo comparato 76 DOMENICO CROCCO * LA MOTIVAZIONE DELLE DECISIONI AMMINISTRATIVE NELL’ORDINAMENTO BRITANNICO. BREVI SPUNTI DI DIRITTO AMMINISTRATIVO COMPARATO SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La motivazione e il suo obbligo. – 3. La tutela dei “diritti procedimentali” nel Regno Unito. Cenni sulla motivazione delle decisioni giudiziali. – 3.1. La motivazione delle decisioni adottate dagli organi amministrativi con funzione quasi-judicial. – 3.2. Motivazione e public inquiries. - 4. Motivazione e discrezionalità amministrativa. – 4. 1. Le conseguenze della mancanza di motivazione. – 5. Conclusioni. 1. Introduzione La motivazione del provvedimento amministrativo (o, meglio della “decisione amministrativa”) si presenta come un elemento indefettibile di qualsivoglia Stato di diritto. Essa assolve ad una necessaria verifica che la Pubblica Amministrazione eserciti il potere che le viene attribuito dalla legge in modo corretto e strumentale alle finalità pubblicistiche che le sono proprie. Onde la conseguenza che il potere amministrativo viene esercitato legittimamente solo se ci sono delle ragioni che devono essere necessariamente esplicitate, viepiù quando le determinazioni di volontà della Pubblica Amministrazione si traducono nella possibilità di produrre effetti giuridici indipendentemente dal consenso ovvero contro la volontà del soggetto che ne è il destinatario. In tale prospettiva, si è soliti così distinguere i motivi, che rappresentano le ragioni dell’agere publicum, dalla motivazione, che consiste, invece, nell’esternazione di tali ragioni. Ben si comprende, dunque, come la motivazione costituisca espressione concreta dei principi di eguaglianza, trasparenza, buon * Professore di Istituzioni di diritto pubblico e diritto pubblico comparato, Dipartimento di Scienze umane e sociali, UPM Uni-internazionale, Milano.

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DOMENICO CROCCO*

LA MOTIVAZIONE DELLE DECISIONI AMMINISTRATIVE

NELL’ORDINAMENTO BRITANNICO. BREVI SPUNTI DI DIRITTO AMMINISTRATIVO COMPARATO

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La motivazione e il suo obbligo. – 3. La tutela dei “diritti procedimentali” nel Regno Unito. Cenni sulla motivazione delle decisioni giudiziali. – 3.1. La motivazione delle decisioni adottate dagli organi amministrativi con funzione quasi-judicial. – 3.2. Motivazione e public inquiries. - 4. Motivazione e discrezionalità amministrativa. – 4. 1. Le conseguenze della mancanza di motivazione. – 5. Conclusioni.

1. Introduzione

La motivazione del provvedimento amministrativo (o, meglio della

“decisione amministrativa”) si presenta come un elemento indefettibile di qualsivoglia Stato di diritto.

Essa assolve ad una necessaria verifica che la Pubblica Amministrazione eserciti il potere che le viene attribuito dalla legge in modo corretto e strumentale alle finalità pubblicistiche che le sono proprie.

Onde la conseguenza che il potere amministrativo viene esercitato legittimamente solo se ci sono delle ragioni che devono essere necessariamente esplicitate, viepiù quando le determinazioni di volontà della Pubblica Amministrazione si traducono nella possibilità di produrre effetti giuridici indipendentemente dal consenso ovvero contro la volontà del soggetto che ne è il destinatario.

In tale prospettiva, si è soliti così distinguere i motivi, che rappresentano le ragioni dell’agere publicum, dalla motivazione, che consiste, invece, nell’esternazione di tali ragioni.

Ben si comprende, dunque, come la motivazione costituisca espressione concreta dei principi di eguaglianza, trasparenza, buon

* Professore di Istituzioni di diritto pubblico e diritto pubblico comparato,

Dipartimento di Scienze umane e sociali, UPM Uni-internazionale, Milano.

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andamento, legalità e imparzialità – nelle loro varie declinazioni – potendo essere definita come elemento comune e condiviso dalle tradizioni giuridiche del “Vecchio continente”1.

In altri termini, la motivazione rappresenta lo strumento attraverso il quale la società viene messa in grado di conoscere la sintesi della funzione amministrativa, siccome esercitata nell’attività procedimentalizzata, ove vengono acquisiti, valutati ed adeguatamente ponderati i vari interessi (pubblici e/o privati) in gioco.

Conseguentemente, soprattutto nell’esercizio di poteri discrezionali, l’obbligo della motivazione rappresenta un’analitica e puntuale ricostruzione del percorso logico-giuridico seguito dalla Pubblica Amministrazione, che solo può consentire di valutare se nel corso del procedimento amministrativo siano stati effettivamente tenuti presenti tutti gli interessi coinvolti e se, alla fine della c.d. fase preparatoria, sia stato effettivamente prescelto con piena imparzialità un dato interesse da perseguire.

Occorre tuttavia evidenziare, anche con una certa sorpresa, come tale prescrizione – acquisita a tutti gli effetti dalla quasi totalità degli ordinamenti democratici (seppur recentemente spesso contrastata, anche in Italia, a livello legislativo e pretorio)2, non è prevista dai paesi di common law, e segnatamente dall’ordinamento britannico, ove il duty to provide reasons (l’obbligo di motivazione), ancora oggi non sembra trovare “piena cittadinanza”. Tanto che questa situazione è stata definita dalla stessa dottrina britannica come “profondamente anomala” rispetto all’attuale evoluzione degli altri ordinamenti giuridici europei.3

1 Nella letteratura giuridica della maggioranza dei paesi dell’Europa occidentale

(segnatamente: Francia, Belgio, Italia, Germania e Svizzera) le funzioni tradizionalmente assegnate alla motivazione del provvedimento amministrativo sono quelle di agevolare l’interpretazione dell’atto, consentire il controllo amministrativo e il sindacato giurisdizionale, come pure di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa.

2 Si veda, ad esempio, la novella apportata alla nostra Legge sul procedimento amministrativo (l. 7 agosto 1990, n. 241) ad opera dell’art. 21-octies.

3 M. ELLIOT, Has the common law duty to give reasons come of age yet?, Cambridge Faculty of Law Legal Studies Research, April 2012, p. 11

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2. La motivazione e il suo obbligo Come è noto, nell’ordinamento italiano l’obbligo di motivazione

costituisce uno degli elementi cardine del provvedimento amministrativo4.

Nel regime giuridico precedente l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, si escludeva l’esistenza di un obbligo di motivazione per tutti indistintamente gli atti della Pubblica Amministrazione ritenendosi tuttavia, che la motivazione ben potesse essere elevata ad elemento essenziale del provvedimento (costituendone un vero e proprio elemento di legittimità) sia quando fosse richiesta espressamente da una norma di legge ovvero imposta dalla natura stessa dell’atto5.

In questo secondo caso si riteneva la necessità della motivazione ogni qualvolta l’esercizio del potere amministrativo fosse da ricondurre ad un’attività discrezionale, ovvero quando la Pubblica Amministrazione avesse esercitato un potere di scelta nel rispetto di inderogabili limiti giuridici (ad esempio nel caso di atti decisori, atti di scelta comparativa o atti lesivi di posizioni giuridiche di privati).

Dal canto suo la giurisprudenza escludeva, in modo pressoché unanime l’esigenza della motivazione per gli atti normativi, gli atti generali e gli atti vincolati a contenuto predeterminato.

Al riguardo la dottrina, ponendo l’accento sull’aspetto di garanzia per la tutela delle posizioni giuridiche soggettive dei privati (diritti e/o interessi legittimi) incisi dal provvedimento amministrativo, inferiva l’obbligo di motivazione dalla necessità che l’interessato fosse messo “nella migliore condizione per difendersi in via amministrativa o giurisdizionale contro l’eventuale eccesso di potere in cui fosse in

4 C. M. IACCARINO, Studi sulla motivazione con particolare riguardo agli atti

amministrativi, Roma, 1933; Id., voce Motivazione degli atti amministrativi, in Noviss. Dig. It., X, Torino, p. 858 ss.; C. MORTATI, Obbligo di motivazione e sufficienza di motivazione degli atti amministrativi, in Giur. It, 1943, III, p. 2; R. JUSO, Motivi e motivazione nel provvedimento amministrativo, Milano, 1966; P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1972, p. 207 ss.; M. S. GIANNINI, voce Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. Dir., XXVII, Milano, 1977, p. 268 ss.

5 C. M. IACCARINO, Studi sulla motivazione, cit, p. 261; ID., voce Motivazione degli atti amministrativi, cit., p. 959; P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, cit. p. 209.

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corsa la Pubblica Amministrazione nell’adottare immotivatamente un dato provvedimento”6.

È solo per effetto della legge n. 241/1990 che la motivazione assume un rilevante significato e il relativo obbligo trova fondamento non più in mere argomentazioni dottrinarie bensì nel dato testuale della norma7.

Il legislatore del 1990, infatti, onde evitare cha la sistematica mancanza di motivazione da parte della Pubblica Amministrazione potesse incidere negativamente sulla trasparenza dell’azione amministrativa, siccome elevata a vero proprio principio positivo, ha statuito il carattere generale dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, consentendo così in attuazione del disposto dell’art. 113 Cost. una più efficace tutela giurisdizionale stante la possibilità, da parte dell’interessato di poter articolare più correttamente i motivi di un’eventuale azione giudiziaria e, da parte del giudice, di un più completo sindacato di legittimità dell’atto amministrativo oggetto dell’impugnazione8.

Se nell’ordinamento italiano l’art. 3 della legge n. 241/1990 ha introdotto una prescrizione di portata generale, precisando quale debba essere il contenuto della motivazione medesima9, analoga

6 P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 210. 7 Sulla motivazione degli atti della Pubblica Amministrazione dopo l’entrata in

vigore della l. n. 241/1990, v. R. SCARCIGLIA, La motivazione dell’atto amministrativo, Milano, 1999; G. CORSO, voce Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. Dir., Agg., Milano, 2001, p. 775 ss.; A. ROMANO TASSONE, voce Motivazione (dir. amm.), in S. CASSESE (a cura di) Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, p. 3741 ss.; B. MARCHETTI, Il principio di motivazione, in M. RENNA - F. SAITTA (a cura di ), Studi sui principi di diritto amministrativo, Milano, 2012, p.521 ss.

8 Sulla finalità della motivazione nell’ordinamento italiano vigente v. tra gli altri: G. CORSO, voce Motivazione dell’atto amministrativo, cit., p. 786; A. ROMANO-TASSONE, voce Motivazione, (dir. amm.), cit., p. 94; B. G. MATTARELLA, Il provvedimento amministrativo, in S. CASSESE (a cura di ), Trattato di diritto amministrativo, I - Diritto amministrativo generale, Milano, 2000, p. 872; B. MARCHETTI, Il principio di motivazione, cit. , p. 521 ss:

9 La ratio della previsione legislativa, espressamente sancita dall’art. 3 della l. 241/1990, è da individuare nella necessità di dare contezza dell’iter logico-procedimentale seguito dalla Pubblica Amministrazione nell’adozione delle proprie determinazioni, nella prospettiva di un nuovo rapporto più collaborativo e trasparente tra cittadino da un lato, e Pubblica Amministrazione, dall’altro.

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disposizione però non si riscontra nei sistemi di common law, difettando del tutto in Inghilterra.

3. La tutela dei “diritti procedimentali” nel Regno Unito. Cenni sulla motivazione delle decisioni giudiziali

Per vero, occorre osservare che i c.d. “diritti procedimentali” (tra i

quali, ovviamente, devesi ricomprendere anche l’obbligo di motivazione che ci occupa) non godono nel Regno Unito della medesima tutela che ricevono nel nostro ordinamento, tanto che dottrina e giurisprudenza d’oltremanica da decenni dibattono su questa annosa questione.

Sul punto, si rende necessario una breve ma articolata digressione sull’obbligo di motivazione nel diritto inglese, con doveroso accenno alla questione della motivazione della sentenza nel sistema di common law.

Sebbene alle origini tale sistema ordinamentale fosse caratterizzato, tra l’altro, proprio dall’assenza di un chiaro obbligo in capo ai giudici di motivare le loro decisioni, diversamente appariva orientata la prassi verso un completare la decisione assunta con le ragioni logico-giuridiche poste a suo fondamento, al punto da poter parlare in proposito di un vero e proprio obbligo giuridico derivante dalla consuetudine (quest’ultima intesa, appunto, quale fonte del diritto), dal momento che la motivazione delle decisioni giudiziali rappresentava, di fatto, una pratica costante, almeno presso le corti superiori10.

Anche le Civil Procedure Rules confermano la carenza di un chiaro obbligo di motivazione; nello specifico la Rule 40, nell’individuare gli elementi essenziali del judgement (ovverosia la sentenza), non vi ricomprende la motivazione.

Significativa in subiecta materia è stata l’emanazione dello Human Rights Act del 1998 (entrato in vigore nel 2000), ove alla sezione 6 viene riprodotto il contenuto dell’art. 6 della Convenzione Europea

10 G. GORLA, La struttura della decisione giudiziale in diritto italiano e nella Common

Law: riflessi di tale struttura sull’interpretazione della sentenza, sui Reports e sul Dissenting, in

Giur. It., 1965, I, 1, p. 1239 ss.

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dei Diritti dell’Uomo11. Tramite questa disposizione, il diritto ad un fair trail è entrato così a far parte del common law inglese e con esso il principio della motivazione della sentenza che, sebbene non contemplato in modo chiaro dalla Convenzione sopra citata, è comunque stato elevato dalla dottrina e dalla più accorta giurisprudenza a strumento essenziale di garanzia per la realizzazione del giusto processo12.

Di particolare rilievo si mostrano l’intervento della Court of Appeal of England and Wales nel caso Flannery vs. Halifax Estate Agencies del 200013 ed il commento del Lord Justice of Appeal Henry (che qui riportiamo tradotto, ed in originale in calce): “Il dovere in questione [id est l’obbligo di motivazione: ndr] è funzione del giusto processo, e, pertanto, della giustizia. Il suo fondamento presenta due aspetti principali. Il primo è che il principio di correttezza richiede certamente che le parti, specialmente quella soccombente, non dovrebbero essere lasciate nel dubbio sulle ragioni per le quali hanno vinto o perso. Ciò, in particolare, dal momento che, senza conoscere tali ragioni, la parte soccombente non potrà sapere (come è stato sostenuto in Ex parte Dave) se vi siano stati vizi nella conduzione del dibattimento da parte della Corte, e, conseguentemente, se vi siano i presupposti per proporre appello sul merito del caso. Il secondo è che la necessità di motivare induce alla concentrazione. Quando questo requisito è pienamente rispettato è molto più probabile che la decisione che ne deriva sia realmente fondata sulle prove anziché no. Il primo di questi aspetti implica che la richiesta di una motivazione

11 L’articolo in parola al primo comma stabilisce che: “ Ogni persona ha diritto

ad un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente, imparziale e costituito per legge, che decide sia in ordine alla controversia sui suoi diritti e obblighi di natura civile, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale derivata contro di lei. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o una parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la tutela della vita privata delle parti in causa, nella misura ritenuta strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali circostanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi della giustizia”.

12 M. MARINARI, La motivazione della sentenza ed il confronto con la giurisprudenza inglese, tra requisiti sostanziali e struttura formale, in Corr. Giur., n. 8, 2006, p. 1167 ss.

13 Flannery vs. Halifax Estate Agencies (2000), I, All ER, 373.

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possa essere in sé un valido motivo di appello. Dal momento che, in caso di mancanza di motivazione, è impossibile dire se il giudice ha commesso errori di diritto o di fatto, la parte soccombente verrebbe completamente privata delle sue possibilità di appello, a meno che la Corte decida di trattare un appello proprio sulla base della carenza di motivazione. L’ampiezza di quest’obbligo, o meglio il raggiungimento di un esauriente livello di adeguatezza dipende dal caso concreto. Quando la controversia presenta unicamente problemi di accertamento dei fatti, la cui risoluzione dipende semplicemente dallo stabilire se il testimone dice o no la verità sui fatti che afferma di ricordare, è probabilmente sufficiente per il giudice (indubbiamente dopo avere riassunto le risultanze probatorie) indicare che egli ritiene credibile X più di Y; in effetti potrebbe non esserci niente altro da dire. Ma quando la controversia coinvolge qualcosa che tocca la natura di uno scambio di tesi logicamente articolate, con l’esposizione di motivi ed analisi portata avanti da entrambe le parti, il giudice deve addentrarsi nel complesso dei temi portati alla sua attenzione, e spiegare perché preferisce una tesi all’altra. Questa conclusione è destinata probabilmente a trovare applicazione nelle cause come questa dove è in discussione la prova offerta attraverso una perizia, ma non è necessariamente limitata a questi casi. Non si intende dire, con questo, che vi sia una regola applicabile ai casi che riguardano l’attendibilità dei testimoni o la loro capacità nel ricordare i fatti, ed un’altra per i casi nei quali la risoluzione del problema dipende dagli argomenti e dalle analisi (riguardino o meno una perizia). La regola è sempre la stessa, il giudice deve spiegare perché ha raggiunto la decisione. La domanda è come sempre che cosa si richieda al giudice per attenersi a questa regola, e che è destinato a differire da caso a caso. La parola chiave è rappresentata dalla trasparenza”14.

14 Evidenziando che il giudice professionale ha un dovere di carattere generale di

motivare le sue decisioni, cita i casi R vs. Crown Court at Knightsbridge ex p. International Sporting Club (London) Ltd (1981) 3, All ER, 417 (1982) QB 304 e R vs. Crown Court at Harrow ex parte Dave (1994), 1, All ER, 315 (1994) 1 W1 R 98. “on the duty to give reasons: The duty is a function of due process, and therefore of justice. Its rationale has two principal aspects. The first is that fairness surely requires that the parties - especially the losing party - should be left in no doubt why they have won or lost. This is especially so since without reasons the losing party will not know (as was said in Ex p. Dave) whether the court has misdirected itself, and thus whether he may have an available appeal on the substance of the case.

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Orbene, non v’è chi non veda come nelle sue parole il giudice Henry chiaramente attesti la sussistenza in capo ai giudici inglesi del dovere di motivare la sentenza, dovere che trova la sua fonte nel corrispondente obbligo fatto proprio dal diritto inglese.

Questo infatti consente di verificare se il giudice ha correttamente deciso in fatto ed in diritto, garantendo l’attuazione del giusto processo tramite la possibilità riconosciuta alla parte di conoscere le ragioni alla base della statuizione negativa eventualmente emessa nei confronti della sua domanda, impedendo conseguentemente l’adozione di decisioni poco ponderate ed accurate ad opera delle Corti.

Così dicendo, l’alto magistrato inglese sottolinea pure che l’assunzione di provvedimenti motivati costituisce l’unico mezzo per consentire di vagliarne l’esattezza e l’assenza di vizi in un’eventuale impugnazione; proseguendo con la chiara evidenziazione degli adempimenti a carico del giudice a garanzia dell’obbligo di motivazione.

In tale prospettiva di fondo, la sentenza pare richiamare l’impianto dell’art. 360, co. 5, c.p.c. che, tra i vizi atti a consentire il ricorso per cassazione, prevede la omessa, contradditoria od insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

The second is that a requirement to give reasons concentrates the mind; if it is fulfilled, the resulting decision is much more likely to be soundly based on the evidence than if it is not. The first of these aspects implies that want of reasons may be a good self-standing ground of appeal. Where because no reasons are given it is impossible to tell whether the judge has gone wrong on the law or the facts, the losing party would be altogether deprived of his chance of an appeal unless the court entertains an appeal based on the lack of reasons itself. The extent of the duty, or rather the reach of what is required to fulfill it, depends on the subject-matter. Where there is a straightforward factual dispute whose resolution depends simply on which witness is telling the truth about events which he claims to recall, it is likely to be enough for the judge (having, no doubt, summarised the evidence) to indicate simply that he believes X rather than Y; indeed there may be nothing else to say. But where the dispute involves something in the nature of an intellectual exchange, with reasons and analysis advanced on either side, the judge must enter into the issues canvassed before him and explain why he prefers one case over the other. This is likely to apply particularly in litigation where as here there is disputed expert evidence; but it is not necessarily limited to such cases. This is not to suggest that there is one rule for cases concerning the witnesses’ truthfulness or recall of events, and another for cases where the issue depends on reasoning or analysis (with experts or otherwise). The rule is the same: the judge must explain why he has reached his decision. The question is always, what is required of the judge to do so; and that will differ from case to case. Transparency should be the watchword”.

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Diversamente detto, si configura in capo al giudice il dovere di approfondire ed analizzare le questioni in processo, motivando adeguatamente in ordine alle stesse tenendo nella dovuta considerazione il loro peso all’interno della causa e la rilevanza delle argomentazioni usate dalle parti nelle difese.

Peraltro, ai fini del presente lavoro di indagine, altrettanto importante è il richiamo ad un successivo intervento della Court of Appeal, Civil Division, del 30 aprile 200215 nel quale viene evidenziata la stretta connessione tra un sistema basato sul precedente giudiziale e la motivazione della sentenza, ossia che lo sviluppo del primo non può che legarsi alla conoscibilità e comprensibilità del ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata.

Viene altresì posto l’accento sull’importanza della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, ormai vera e propria fonte per la risoluzione di questioni di diritto interno, che sulla base dell’art. 6 della CEDU ha riconosciuto l’obbligo di motivazione come principio di carattere generale.

La Corte inglese però non assolutizza quest’ultima disposizione quanto la relativizza, circoscrivendola solo alle controversie che presentino caratteri di essenzialità, sostenendo invece che non possa ritenersi violato l’art. 6 quando vengano trascurati nella motivazione punti secondari nei confronti dei quali opera la presunzione del loro implicito rigetto16. In piena sintonia con la Corte Europea, viene dunque rafforzato il principio in base al quale la motivazione non è necessaria per i procedimenti istruttori od ordinatori che non incidono sulla sfera giuridica dei singoli, bensì nei processi che hanno ad oggetto i diritti delle parti e che sono destinati a terminare con provvedimenti decisori17.

In pratica, la Court of Appeal perviene alla conclusione che la propria giurisprudenza aveva ripetutamente rispettato e puntualmente applicato i principi europei senza che vi fosse la necessità di

15 All England Law Reports 1936- All ER 2002, Vol. 3. 16 M. SERIO, Tecnica della motivazione e precedente giudiziario, in S. MAZZAMUTO (a

cura di), L’ordinamento giudiziario. Itinerari di riforma, Napoli, 2008, p. 378. 17 Ibidem.

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intervenire ulteriormente per garantire il right to a fair trial in punto di obbligo di motivazione della sentenza civile.

Un giusto appunto va però avanzato in merito alla utilizzazione e configurazione della motivazione nell’ambito di prima istanza, di appello o di istanza successiva.

In merito ai giudizi di prima istanza, ove trovi applicazione l’istituto della giuria – ossia in materia penale, visto che nel Regno Unito la giuria è sostanzialmente poco utilizzata per le controversie in ambito civile – questa emette un verdetto non motivato seguito poi dal judgement in cui il giudice espone in modo conciso le ragioni ed il dispositivo della decisione. Quest’ultima viene resa oralmente e trascritta da un avvocato sotto la supervisione del giudice stesso o del clerk of court.

In presenza, invece, di trial senza jury il giudice ben potrebbe decidere di motivare in diritto ed in fatto18.

Nei giudizi di seconda e successiva istanza, se la Corte è in composizione collegiale, i giudici, ove concordi sulla sua decisione e sui motivi che l’hanno determinata, possono delegare uno dei membri a rendere la motivazione. Diversamente, ed in presenza di opinioni contrastanti, coloro i quali si trovino d’accordo con la decisione espressa da un altro componente potrebbero esprimersi con un semplice “I agree”, e quindi tralasciare ogni aspetto motivazionale od aggiungere una diversa motivazione; i contrari alla decisione assunta, potrebbero invece esprimersi con una dissenting opinion rispetto all’opinion di altro o altri giudici del collegio, o anche della maggioranza, in riferimento a tutti i punti della decisione o anche soltanto ad alcuni19.

3.1. La motivazione delle decisioni adottate dagli organi amministrativi con funzione quasi-judicial

Diversamente che in Italia, ove il comma 1 dell’art. 3 della l. 241/1990 stabilisce che per ogni provvedimento amministrativo è previsto che la Pubblica Amministrazione debba indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste a fondamento della

18 G. GORLA, La struttura della decisione giudiziale in diritto italiano e nella Common

Law, cit., p. 1239 ss. 19 Ibidem.

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propria decisione provvedimentale20, la provision of reasons (id est l’obbligo di motivazione) non è normativamente prescritta per le determinazioni amministrative da alcuna disposizione di carattere generale21, né tantomeno può essere considerata un istituto pacificamente accolto dalla giurisprudenza britannica.

Ad oggi, infatti, la motivazione (lo statement of reasons) è richiesta dalla giurisprudenza nelle sole ipotesi espressamente previste dalla legge (da intendersi come singola normativa settoriale), ed esclusivamente nei casi di provvedimenti sfavorevoli per i destinatari.22

Quanto appena delineato risulta sintomatico della scarsa pubblicità e trasparenza che abitualmente connotano l’operato istruttorio dell’Amministrazione inglese, che si riverbera sulle decisioni adottate, spesso inaudita altera parte (e che dimostra l’assenza pressoché totale di una qualsivoglia forma di contraddittorio procedimentale, con conseguente palese violazione dei diritti degli eventuali controinteressati, privati o pubblici che siano).

Altra giurisprudenza è invece dell’avviso che la carenza o l’omessa motivazione debba essere censurata solo laddove il provvedimento arrechi un pregiudizio al privato.23

Il diritto procedimentale che trova oggi maggior tutela nel Regno Unito è quello della comunicazione di avvio del procedimento, che se omessa, vizia in toto il provvedimento successivamente adottato, tanto che la giurisprudenza ha in proposito evidenziato come nell’ordinamento britannico “la sorpresa è da considerare nemica della giustizia”.24

Da notare tuttavia che, secondo la più recente case-law dei Tribunali britannici, il contraddittorio endoprocedimentale (id est il duty to

20 Va da sé che si tratta di un obbligo di carattere generale, concernete non

soltanto l’attività tradizionalmente provvedimentale (id est quella che si manifesta come decisione autonoma ed unilaterale), ma anche quella inerente all’organizzazione amministrativa, allo svolgimento dei pubblici concorsi, nonché alla gestione del personale in materia di pubblico impiego.

21 P. CRAIG, Administrative Law, London, 2016, p. 369. 22 Oakley vs. South Cambridgeshire County Council (2016). 23 Ex multis, v. Save Britain’s Heritage vs. Secretary of State for the Environment (1991) e

South Bucks District Council vs. Porter (n. 2) (2004). 24 R (Anufrijeva) vs. Secretary of State for the Home Department (2003).

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consult), non trova tutele a livello di common law, potendo essere pretermesso in virtù dell’ampia discrezionalità di cui gode la Pubblica Amministrazione nel gestire il procedimento amministrativo.25

É dunque possibile affermare che, ad oggi, non esista una common law duty che imponga di motivare il provvedimento amministrativo, rinvenendosi una tale prescrizione esclusivamente per gli organi amministrativi chiamati a svolgere un’attività paragiurisdizionale, ovvero quasi-judicial.26 27

Normativamente, infatti, la motivazione è richiesta per i provvedimenti adottati dalle Autorità garanti e dalle Commissioni disciplinari, come pure per tutti quegli organismi di cui all’art. 10 del Tribunals and Inquiries Act del 1992.

Si tratta dei c.d. Tribunals (o, anche, Administrative Tribunals), cioè quegli organismi sostanzialmente “ibridi” (nel senso che non sono riconducibili né gerarchicamente, né strutturalmente all’organizzazione amministrativa dello Stato stricto sensu), che esercitano funzioni qualificabili, al contempo, come amministrative e giurisdizionali28.

25 R (Plantagenet Alliance Ltd) vs. Secretary of State for Justice (2014). 26 Come ad esempio gli organi elencati nell’allegato 1 del Tribunals and Inquiries

Act del 1992. 27 R vs. Civil Service Appeal Board, ex parte Cunningham (1991). 28 Con riguardo ai Tribunals, infatti, un aspetto fondamentale che si riflette in

tema di obbligo di motivazione, è stato quello della loro qualificazione giuridica, che è sempre oscillata, a causa delle loro peculiari caratteristiche, tra due opposti: la funzione di amministrazione attiva, da un lato, e la funzione giurisdizionale, dall’altro. Per vero, soltanto dal 2007, con il Tribunals, Courts and Enforcement Act, si è realizzato un vero e proprio “passaggio” nell’inquadramento concettuale di questi organismi dal sistema di amministrazione attiva a quello “giustiziale, meglio definibile come machinery of adjudication” (M.P. CHITI, La giustizia nell’amministrazione. Il curioso caso degli Administrative Tribunals britannici, in G. FALCON - B. MARCHETTI (a cura di), Verso nuovi rimedi amministrativi? Modelli giustiziali a confronto, Napoli, 2015). In ogni caso, devesi osservare come l’obbligo di motivazione per i provvedimenti di tali organismi sia da riferirsi al Tribunals and Inquiries Act del 1992; sebbene tale obbligo sia stato in parte abrogato (o, secondo alcuni, “ridimensionato”) dal Tribunals, Courts and Enforcement Act del 2007, che ha modificato quanto precedentemente disposto dal citato Act del 1992, non prevedendosi espressamente nel nuovo testo normativo alcun generale obbligo di motivazione per tutti i provvedimenti adottati dai Tribunals. Ciò nondimeno, la mancanza di una previsione normativa che imponga, come regola generale, l’obbligo della motivazione per ogni tipo di provvedimento amministrativo o quasi-judicial costituisce, nell’ordinamento

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Bisognerebbe comprendere – se non addirittura accertarsi – se siano ormai maturi i tempi per iniziare a configurare anche in Inghilterra un sistema di giustizia integrato in cui sia possibile identificare una vera e propria “giurisdizione amministrativa” (devoluta, appunto, ai tribunals), accanto a quella comune già prevista (spettante, invece, alle courts) senza che ciò si ponga in contrasto con i principi costituzionali dell’ordinamento.

Utile sarebbe, probabilmente, esaminare l’attuale figura dei Tribunals al fine di comprendere se tali organi abbiano ormai acquisito il necessario grado di autonomia/indipendenza per conseguire definitivamente la piena qualifica di “autorità giurisdizionale”.

giuridico britannico, qualcosa di assodato (in questo senso, v. T. ENDICOTT, Administrative Law, Oxford, 2015, p. 457). Più recentemente, l’imposizione della motivazione quantomeno ai provvedimenti di tipo propriamente decisorio (rectius: giustiziale) dei Tribunals è stata oggetto di ulteriori sviluppi dottrinali e giurisprudenziali, anche a causa dell’influenza del diritto UE e di quello internazionale. Di fondamentale importanza in tal senso è stato, infatti, considerato l’art. 6 della la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), recepita nel diritto interno britannico con il Human Right Act del 1998, con il quale si sancisce il “diritto ad un processo equo”. Tuttavia dall’art. 6 della CEDU non pare possa farsi discendere automaticamente un obbligo generale di motivazione per le decisioni adottate dai Tribunals. Nonostante che i Tribunals siano qualificabili come soggetti pubblici, ed in quanto tali assoggettati alla disciplina della CEDU, è infatti dubbio che il “diritto ad un processo equo” e, quindi, l’obbligo di motivazione quale suo presupposto necessario, si applichi direttamente ai provvedimenti di tali organismi amministrativi, per due ordini di motivi:

a) perché tale principio trova applicazione soltanto per controversie concernenti “diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale”, dalle quali sembrerebbe che debbano essere escluse buona parte delle controversie concernenti public law rights (cfr. M. ALLENA, Art. 6 CEDU: nuovi orizzonti per il diritto amministrativo nazionale, in www.iuspublicum.com, 2014);

b) perché, qualora la decisione sia emanata in un procedimento non soddisfacente i requisiti dell’art. 6 della CEDU, appare sufficiente che la stessa sia assoggettabile ad un controllo a posteriori da parte di un organo giurisdizionale, terzo e imparziale, avente cognizione piena (cfr. P. LEYLAND - G. ANTHONY, Textbook on Administrative Law, Oxford, 2015, p. 168).

Tutto ciò non ha comunque precluso alla dottrina e alla giurisprudenza di considerare l’obbligo di motivazione come un “essential element in promoting public confidence in the system that the parties affected by administrative decision-making should understand why they have won or lost” (P. LEYLAND - G. ANTHONY, Textbook on Administrative Law, cit., p. 161) e quindi applicabile anche alle decisioni dei Tribunals.

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Questo, però, ci porterebbe lontani dal tema in esame, ma basta segnalare che le linee guida della riforma dei Tribunals in senso “pienamente giurisdizionale” sono rinvenibili nell’indagine recante firma di Sir Andrew Leggatt (dei primi anni del secondo millennio) dalla quale emergono due punti essenziali:

a) la sottrazione dei tribunals dal controllo e dalla diretta gestione dei departments tramite la creazione di un organismo appositamente preposto (il Tribunal Service);

b) la creazione di una struttura unificata di Tribunals, articolata su due gradi di giudizio e sotto la guida di un Senior President a cui affidare il compito di coordinare l’attività dei Tribunals al fine di raggiungere la realizzazione di un sistema accessible to users.

Quanto alla sopra citata indipendenza, va altresì ricordato che il termine non può essere sempre associato oppure ritenuto sinonimo di imparzialità, essendo quest’ultima uno dei connotati propri dell’essenza dell’autorità che lo possiede e che tipizza le autorità giurisdizionali dotate di potere il cui esercizio richiede un carattere di assolutezza, ossia libero da ogni tipo di legame.

3.2. Motivazione e public inquiries

Va altresì precisato che l’esperienza dei tribunals non risulta affatto

isolata, visto che, nel diritto anglosassone, sono evidenziabili altri chiari esempi di unione tra forme giuridiche diverse, come ad esempio il caso delle public inquiries (successivamente riprese nel corso della narrazione) difficilmente classificabili “as purely administrative or purely judicial”29. Introdotte quali strumenti della fase istruttoria per favorire la partecipazione pubblica all’interno di procedimenti di natura espropriativa, le inquiries diventeranno “mezzi di garanzia e di difesa degli interessati” in plurimi contesti, mantenendo i tratti propri delle nostrane inchieste amministrative ed assumendo, al contempo, un’impostazione quasi-judicial30.

Quanto detto, ci induce a ritenere possibile una lenta ma continua evoluzione sia dei tribunals che di tutto il diritto amministrativo

29 Report of the Committee on Tribunals and Inquiries, 1957, par. 262. 30 Amplius, v. L. CASINI, L’inchiesta pubblica. Analisi comparata, in Riv.

trim. dir. pubbl., 2007, p. 43 ss.

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inglese, con un’apertura dell’ordinamento ad istituti e modelli tipici di altre giurisdizioni del continente rientranti nell’alveo del civil law.

Segnaliamo, altresì, lo sviluppo della Proportionate Dispute Resolution (introdotta con il White Paper del 2004), un metodo alternativo di risoluzione delle controversie, che si pone quale sostanziale evoluzione delle ADR (Alternative Dispute Resolution)31.

Probabilmente, però, si è ben lontani da quando parte della dottrina affermava che “l’ordinamento inglese, in cui nessun geniale giurista inventò il diritto amministrativo, progredendo per la sua strada, e con mezzi che storicamente aveva, è giunto più avanti degli ordinamenti continentali” e successivamente delineava il diritto amministrativo continentale come “una complicazione ed un impaccio”32.

Tornando alle inchieste (inquiries) anche queste rilevano ai fini del nostro discorso in tema di obbligo di motivazione.

Originariamente la loro nascita si deve allo sviluppo e all’espansione dei poteri del governo centrale e locale nell’Ottocento33.

La categoria de qua ricomprende una serie piuttosto vasta di inchieste tra loro differenti, tanto nelle procedure, quanto nel contenuto34. Le inquiries si aprono a seguito di istanze od obiezioni

31 M.P. CHITI, Le forme di risoluzione delle controversie con la pubblica amministrazione

alternative alla giurisdizione, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2000; G. DELLA CANANEA, Le procedure di conciliazione e arbitrato davanti alle autorità indipendenti, in A.I.P.D.A., Annuario 2002, Milano, 2003.

32 Così M.S. GIANNINI, Presentazione, in H.W.R. WADE, Diritto amministrativo inglese, trad. a cura di C. Geraci, Milano, 1969. Di diverso avviso, M.P. CHITI, I “nuovi poteri” nel common law, la prospettiva del diritto amministrativo, in Nuovi poteri e dialettica degli interessi, Atti del 55º Convegno di Studi di Varenna, Napoli, 2010.

33 H.W.R. WADE - C.F. FORSYTH, Administrative Law, Oxford, 2009, pp. 803-804. 34 Rispetto al passato, comunque, questa diversità si è ridotta attraverso una serie

di atti legislativi (Statutes) che hanno introdotto regole generali sulla loro disciplina, tra cui l’Inquiries Act del 2005. L’obbligo di motivazione è previsto dalla medesima disposizione (il richiamo è, ancora, al Tribunals and Inquiries Act del 1992) che regolava, in via generale, l’obbligo di motivazione anche per i Tribunals; pertanto solo con riferimento alle inquiries, allo stato, pare doversi applicare la stessa disciplina sostanziale concernente la necessità della motivazione ed i casi in cui, invece, la stessa può essere legittimamente negata. Una specifica eccezione all’obbligo di motivazione è prevista, tuttavia, per quelle inquiries che sono disposte da un ministro «in connection with the preparation, making, approval, confirmation, or concurrence in regulations, rules or byelaws, or orders or schemes of a legislative and not executive character» (così, Tribunals and Inquiries Act 1992 par. 5, l. [b]), escludendo pertanto

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presentate da cittadini e sono preliminari all’adozione di una specifica decisione. Oggetto delle inchieste “is to assuage the feelings of the citizen, and to give his objection the fairest possible consideration […] they are a hybrid legal-and-administrative process, […] they have been made to look as much as possibile like judicial proceedings”35. Aperta l’inchiesta, la procedura si avvia con una fase pubblica nella quale un ispettore del Secretary of State svolge le consultazioni senza partecipare alla controversia, sostenendo le ragioni della parte pubblica, limitandosi a prendere atto delle dichiarazioni rese e concludendo con un report in base al quale il ministro competente adotterà la decisione.

Prima del 1992 il report non era reso pubblico e la decisione del ministro non era per nulla motivata. Successivamente, è stato imposto l’obbligo di pubblicazione del report, al termine dell’inchiesta, esclusivamente in presenza di disposizioni di legge che lo prevedono.

È, infine, previsto dall’Act del 1992 un obbligo di motivazione per le decisioni adottate da un ministro in forza di uno statutory inquiry. Fanno eccezione all’obbligo le decisioni adottate da un ministro “in connection with the preparation, making, approval, confirmation, or concurrence in regulations, rules or byelaws, or orders or schemes of a legislative and not executive character”, non contemplando quindi le decisioni che hanno un rapporto con il potere legislativo e le inchieste nelle quali non viene coinvolto un ministro.

Diversamente da quanto sostenuto36, l’assenza di un dovere in capo al ministro di decidere secondo le raccomandazioni formulate nel report, rappresenta una conseguenza dell’impossibilità di configurare l’esistenza, nella fattispecie, di un obbligo di motivazione in senso stretto.

La motivazione non dovrà indicare tutte le prove fornite alla base della decisione oppure motivare la mancata adesione alla raccomandazione del report.

tutte le attività di inchiesta e informazione che hanno un qualche rapporto con il potere legislativo. Inoltre rimangono escluse dall’obbligo di motivazione anche le inchieste in cui non prende in alcun modo parte un ministro, ad esempio perché coinvolgenti esclusivamente personale della Pubblica Amministrazione.

35 H.W.R. WADE - C.F. FORSYTH, Administrative Law, cit., p. 802. 36 Secondo cui la motivazione avrebbe la seguente specifica funzione: “it enables

the citizen to understand the connection between the inspector’s report and the minister’s decision”(così, testualmente, H.W.R. WADE - C.F. FORSYTH, op. cit., p. 811).

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E questa è una situazione decisamente opposta rispetto allo scenario italiano nel quale le identiche previsioni di legge impongono l’obbligo, per il decidente, di indicare chiaramente i motivi del discostamento della decisione adottata dall’esito “naturale” dell’istruttoria.

Diciamo che quanto contenuto nel report potrebbe essere liberamente valutabile dal decidente, senza che nulla faccia piena prova di quanto accaduto ma questi non è tenuto a decidere solo sulla base delle prove presentate dalle parti, potendo decidere di attingere ad altre prove, compresa la propria scienza privata, giungendo a decidere diversamente rispetto alle richieste formulate dalla parte pubblica e da quella privata.

Ciò nondimeno, non bisogna pensare che il modello dell’inchiesta sia assimilabile al procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241/90 in quanto la motivazione è sì un’attività di amministrazione, ma la mancanza di una rigida struttura procedimentale finisce per incidere sul risultato finale, ossia la motivazione stessa che consente un controllo poco incisivo sull’agere amministrativo, visto che sono meno certi e rigidi i limiti imposti all’Amministrazione ed entro i quali essa può muoversi.

Con un certo “equilibrismo normativo” il legislatore ha inserito un generale obbligo di motivazione all’art. 6 dello Human Rights Act del 1998, tuttavia le deroghe a tale prescrizione sono tali che, in buona sostanza, la norma è difficilmente invocabile e justiciable.37

Allo stesso modo, la motivazione è da ritenersi dovuta (rectius: obbligatoria) in tutte le fattispecie disciplinate dal diritto eurounitario38 (con la Brexit, peraltro tale obbligo giuridico appare destinato gradualmente ad attenuarsi fino a scomparire).

37 Si vedano in merito alle nostre osservazioni, le motivazioni della sentenza

Stefan vs. General Medical Council (2000). 38 È appena il caso di ricordare che, nel diritto eurounitario, l’obbligo di

motivazione degli atti amministrativi trova fondamento nell’art. 296, comma 2, TFUE e nell’art. 41 della CEDU, laddove esso costituisce esplicazione essenziale della pretesa di ogni cittadino eurounitario acchè le Istituzioni UE e le Amministrazioni dei singoli Stati membri trattino le questioni di suo interesse nel pieno rispetto dei canoni di imparzialità e di “buona amministrazione”.

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4. Motivazione e discrezionalità amministrativa Nel Regno Unito la giurisprudenza ha precisato come l’obbligo di

motivazione non sia sempre coincidente con l’interesse pubblico (è stato ripetutamente affermato in sede pretoria come ragioni di opportunità militino molto spesso contro l’esposizione delle ragioni fattuali e giuridiche presupposte alla scelta amministrativa), oltre a risultare eccessivamente gravoso per la Pubblica Amministrazione, introducendo de facto un vero e proprio controllo generalizzato sull’operato amministrativo che, tra l’altro, si mostrerebbe a dir poco “inopportuno” dal momento che verrebbe ad incidere sulla sua stessa efficacia.39

E’ stato altresì negato che ragioni di giustizia sostanziale potessero essere invocate per sostenere l’onere motivazionale gravante in capo alle Pubbliche Amministrazioni.40

La discrezionalità amministrativa è poi spesso ritenuta preclusiva rispetto alla necessità di motivare un provvedimento, soprattutto allorquando gli interessi in gioco sono di particolare rilevanza per la Pubblica Amministrazione.41

Un certo indirizzo pretorio è a tutt’oggi dell’avviso che il sindacato giurisdizionale (il judicial review) debba recedere di fronte al provvedimento amministrativo, pena “l’invasione di campo” nella sfera del potere esecutivo e sovrano (c.d. Crown privilege).42

Vi è dunque un consolidato orientamento che si è pronunciato in senso favorevole ad una ‘dequotazione’ della motivazione che sicuramente non fa onore ad un ordinamento che tra i primi, con la Magna Charta libertatum del 1215, provvide a circoscrivere i poteri assoluti dell’autorità regia43. L’omissione della motivazione, oltre a

39 R vs. Ministry of Defence, ex parte Murray (1997). 40 R vs. Universities Funding Council, ex parte Institute of Dental Surgery (1993). 41 R (Hasan) vs. Secretary of State for Trade & Industry (2008). 42 R vs. Gaming Board for Great Britain, ex parte Benaim and Khaid (1970). 43 La Magna Charta, considerata ancor oggi parte fondamentale della costituzione

sostanziale inglese, fu imposta dai baroni al re Giovanni di Inghilterra, figlio minore di Enrico II Plantageneto, il 15 giugno 1215 a Runnymede, vicino Windsor. Con essa venivano riconosciute importanti garanzie per gli individui, specie in materia penale e di imposizione fiscale. In estrema sintesi, il documento, pur presentandosi formalmente come un atto sovrano di concessione unilaterale, nella sostanza era un contratto di riconoscimento di diritti reciproci, con il quale, in cambio della fedeltà

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non rispondere alle più basilari prescrizioni dello Stato di diritto, rende estremamente difficile anche l’esercizio della tutela giurisdizionale in sede demolitoria.

Da segnalare infatti che la maggior parte dei ricorsi avverso provvedimenti amministrativi, sono proposti ‘al buio’, articolandosi solitamente le doglianze (heads of review) di cui a questi gravami, sullo sviamento (ultra vires action), il difetto di istruttoria e la violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità (breach of rationality and proportionailty).

Più che evidente come questo incida negativamente sul diritto al giusto processo ed i suoi corollari, a principiare dalla full-discovery processuale.

Esigenza quella di garantire il giusto processo/giusto procedimento, lesa proprio dall’omissione di motivazioni, che già in passato era stata rilevata dalla stessa giurisprudenza britannica, la quale - pur ribadendo l’assenza di un obbligo generalizzato di motivazione - aveva concluso che la mancanza di qualsivoglia giustificazione logico-giuridica ad una decisione presa dall’Amministrazione, rendeva “vano”44 il diritto di insorgere giudizialmente contro una determinazione dell’autorità pubblica.45

Pur difettando di una ‘copertura’ giuridica in senso stretto, una parte della dottrina e della giurisprudenza hanno più recentemente cercato di far rientrare l’obbligo di motivazione tra i diritti ricompresi nella nozione di giusto procedimento (la procedural fairness46 o, per

dei sudditi, il potere regio si impegnava a garantire la tutela dei diritti ecclesiastici, la protezione dei baroni da qualsiasi forma di arresto e detenzione illegale, la garanzia di una giustizia celere e la limitazione sui pagamenti feudali alla Corona. Per la letteratura sull’argomento, v. J. C. HOLT, Magna Carta, Cambridge, 1992; C. BREAY, Magna Carta: Manuscripts and Myths, London, 2010; C. BREAY – J. HARRISON (a cura di), Magna Carta: Law, Liberty, Legacy, London, 2015.

44 Nugatory. 45 Wrights’ Canadian Ropes (1947), e più recentemente, Norton Tool Co. Ltd vs.

Tewson (1973) e Flannery (2000). 46 La procedural fairness in mancanza di espressi obblighi previsti dalla legge,

rappresenta l’istituto giuridico maggiormente assimilabile alla codificazione legislativa del procedimento amministrativo delle esperienze continentali.

Non è facile capire quali obblighi derivino direttamente dalla fairness e se tra questi vi sia anche un vero e proprio obbligo di motivazione.

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meglio dire, il generale obbligo di correttezza), tutelato questo dalla common law.47

Il fondamento di tale tesi risiede nella circostanza che l’omissione dei presupposti fattuali e giuridici su cui si articola il provvedimento, come pure un’istruttoria viziata da erroneità o scarsa obiettività – oltre a sfociare nel più assoluto ed incontrollato arbitrio – non consentono al cittadino di veder tutelato il proprio diritto di difesa in sede amministrativa.48

Non bisogna altresì dimenticare, che la motivazione non è una ‘grazia’ che l’Amministrazione fa al cittadino, ma essa rappresenta un istituto finalizzato in primis a far si che l’attività amministrativa sia comunque assoggettata alla legge, creando un rapporto diretto tra agere publicum e conformità al dato normativo.

Parimenti, occorre rimarcare che la motivazione è posta a presidio dell’imparzialità dell’operato dell’Amministrazione, dando concreta attuazione al principio di buon andamento (good administration).

Un primo elemento da considerare è che la procedural fairness è oggetto di quella

che è definita una sliding scale, cioè il riconoscimento del fatto che i principi e doveri a cui sono tenuti i pubblici poteri devono essere adattati alle necessità e alle circostanze del caso concreto, potendosi ammettere in alcuni casi dei doveri maggiormente onerosi rispetto ad altri.

Questa forma di procedimento amministrativo nasce come il recepimento nel diritto amministrativo inglese della più generale natural justice, sicché non deve sorprendere che gli obblighi imposti dalla procedural fairness all’Amministrazione tendano a corrispondere con quelli che la natural justice imponeva ai giudici: quali, ad esempio, la rule against bias e il right to a fair hearing. La rule against bias viene solitamente sintetizzata nel brocardo nemo judex in re sua, secondo la quale “nessuno può essere giudice in una causa che lo riguarda”.

Più interessante ai fini della motivazione è invece il diritto ad un fair hearing, che viene solitamente riassunto nel brocardo audi alteram partem, sulla cui base è stato costruito “a kind of a code of fair administrative procedure”. La fonte del principio de quo viene spesso rintracciata nel libro della Genesi, laddove si racconta che Dio prima di cacciare Adamo dal giardino dell’Eden lo avrebbe interrogato. Altre volte viene ricondotta ad una nota citazione di Seneca: “quincunque aliquid statuerit parte inaudita altera, aequum licet statueri, haud aequus fuerit” (così, H.W.R. WADE - C.F. FORSYTH, Administrative Law, cit., p. 403).

Ciò nondimeno, è da rilevarsi che è proprio all’interno del fair hearing che la giurisprudenza tende a ricondurre più generalmente la questione dell’obbligo di motivazione.

47 R vs. Secretary of State for the Home Department, ex parte Doody (1994). 48 Horada & Others vs. Secretary of State for Communities and Local Governance (2016).

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L’imparzialità può essere a tutti gli effetti definita come un canone comportamentale, che non investe esclusivamente l’organizzazione, ma anche l’azione della Pubblica Amministrazione, che non deve discriminare i soggetti coinvolti dall’azione amministrativa, né tantomeno compromettere arbitrariamente gli interessi pubblici e privati in gioco.

La motivazione è altresì finalizzata a contrastare favoritismi ed illegalità, oltre che ad avversare l’impenetrabilità e l’incontrollabilità dell’agere amministrativo rendendo conoscibile l’attività della Pubblica Amministrazione all’esterno.

Principi quelli appena cennati che sono stati fatti propri negli ultimi anni da diversi ordinamenti di common law (ad esempio dalla Supreme Court irlandese49 o dalla Federal Court of Appeal canadese50) che hanno enfatizzato come siano proprio ragioni di pubblico interesse – tese a rendere conoscibile e trasparente l’operato delle autorità pubbliche – ad imporre l’obbligo di fornire delle reasons alle decisioni delle autorità.

In Inghilterra, seppur timidamente, tali principi sono stati accolti dalla Supreme Court, che in alcune recenti pronunce ha stabilito il principio di diritto secondo cui i provvedimenti amministrativi, soprattutto laddove vadano ad incidere su diritti ed interessi primari (come, ad esempio, l’ambiente), debbano necessariamente essere motivati rispondendo ai canoni di congruità e sufficienza.51

4.1. Le conseguenze della mancanza di motivazione

Un breve commento va proposto sui probabili effetti derivanti

dalla mancanza della motivazione. Preliminarmente, bisogna evidenziare che la giurisprudenza

britannica non si presenta unita e conforme sul punto, con la logica conseguenza di non poter determinare i principi applicabili ad ogni singolo caso.

Tuttavia, per mera classificazione, è possibile raggruppare gli effetti generati dalla carenza della motivazione in date categorie.

49 Mallak vs. Minister for Justice, Equality and Law Reform (2012). 50 Leahy vs. Canada (2012). 51 Dover District Council vs. CPRE Kent e CPRE Kent vs. China Gateway International

Limited (2017).

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Quella più frequente è la categoria della nullità dell’atto, una conseguenza che si fonda sul presupposto che se la motivazione è un elemento formale dell’atto, nel momento in cui questa viene imposta dalla legge non è ammissibile un atto in carenza dello stesso perché patentemente illegittimo.

Per altra impostazione, l’atto amministrativo sarebbe da dichiararsi nullo a causa di un error of law, ossia che la carenza della motivazione sia da intendere come carenza del materiale istruttorio utilizzato ai fini della decisione e così dicendo quasi si evocherebbe la figura della c.d. “motivazione sostanziale” che spesso è presente nelle pronunce giurisprudenziali nostrane52.

Orientamento completamente diverso (ma minoritario), poi, vuole che sia impossibile rilevare la nullità dell’atto sulla considerazione che, trattandosi di un requisito formale, si può solo ottenere una condanna dell’Amministrazione procedente ad integrare l’atto emanato in carenza dei requisiti essenziali53.

Altra interpretazione è favorevole ad una successiva integrazione dell’atto in giudizio e quindi l’Amministrazione, che in giudizio riesca a motivare correttamente e dimostri che non vi è stato alcun errore sostanziale, può serenamente evitare di incappare in una pronuncia di invalidità dell’atto medesimo. L’orientamento pare coerente con quella giurisprudenza che considera la motivazione quale mero elemento probatorio in giudizio e non come un vero e proprio elemento formale del provvedimento54.

Ultima tipologia dei casi è quella nella quale il giudice ordina alla parte pubblica di integrare la motivazione nel corso del processo. In questo caso, se il giudice ritiene non provato un fatto ed altresì che l’onere di dimostrarlo ricada sulla parte pubblica, può ordinare l’integrazione della motivazione nel corso del processo. Se ciò non avviene oppure non si riesce a dimostrare il fatto facendo ricorso ad una nuova motivazione del procedimento, il giudice riterrà il fatto

52 L’error of law è definibile come un limite all’attribuzione di poteri

discrezionali ad un dato soggetto, derivante dall’estensione della dottrina dell’ultra vires a casi di mala gestio del potere. Cfr. per tutti H.W.R. WADE - C.F. FORSYTH, Administrative Law, cit., pp. 211-225.

53 V. caso Brayhead (Ascot) Ltd vs. Berkshire CC (1964) QB 303. 54 V. caso R. (on the application of Jackson) vs. Parole Board (2003) EWHC 2437; R.

(on the application of B) vs. Merton LBC (2003) 4 All ER 280.

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sprovvisto di prova e con molta probabilità si esprimerà in favore della parte che ha impugnato l’atto, dichiarandolo nullo.

Rimane però il problema di come disciplinare l’onere della prova e volendo fare un confronto con il sistema italiano, mentre in quest’ultimo si mira a rendere più chiara la disciplina dei vizi della motivazione (in virtù della quale si ravvivano le questioni di teoria generale sulla sua natura e configurazione), la disciplina dei vizi della motivazione nel diritto inglese mostra incertezze notevoli a causa della difficoltà nell’elaborare una teoria sull’obbligo di motivazione.

La conseguenza è che le Corti inglesi esercitano un dato self-restraint nel sindacato degli atti dell’Amministrazione.

5. Conclusioni

Quello che può considerarsi un dato acquisito al nostro patrimonio di valori costituzionali, cioè l’obbligo di motivazione, risulta nella sostanza ancora largamente contestato nel Regno Unito, ove l’Amministrazione beneficia di una posizione di privilegio che non ha eguali in Europa.

Il Crown privilege, retaggio altomedioevale, si sostanzia oggi (nella sua declinazione nel campo del “administrative law”) in una sorta di “superdiscrezionalità amministrativa”, a cui si accompagna un limitatissimo sindacato giurisdizionale.

Altra realtà che appare a dir poco misconosciuta nell’ordinamento inglese è quella relativa ai diritti procedimentali, che sono per lo più del tutto assenti se non addirittura avversati.

I diritti dei cittadini sono infatti fortemente circoscritti allorquando questi si trovino ad avere rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Istituti quali la partecipazione procedimentale, la possibilità di produrre scritti od essere uditi dall’autorità che deve emanare il provvedimento, il preavviso di rigetto, i principi del giusto procedimento non sembrano trovare, a livello normativo, la stessa tutela che, invece, ricevono nel nostro ordinamento. Né tantomeno la giurisprudenza può essere considerata sempre affidabile per colmare questi vuoti di tutela legislativa.

Ciò che desta preoccupazione risiede nel fatto che il “modello inglese” sta gradualmente conseguendo sostenitori anche nel nostro

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paese, ove il privato risulta sempre nuovamente più esposto ai ‘capricci’ della Pubblica Amministrazione.

Si pensi, ad esempio, alla previsione del comma 2 dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990, che attribuisce ulteriore vigore a quell’indirizzo giurisprudenziale che, pur con la successiva limitazione agli atti amministrativi c.d. vincolati, propende per la possibilità da parte della Pubblica Amministrazione, di integrare, in corso di giudizio, la motivazione originariamente lacunosa del provvedimento impugnato55.

In tal modo la norma ha codificato la distinzione dei vizi di legittimità del provvedimento amministrativo in vizi sostanziali, in grado di incidere sullo scopo istituzionale del provvedimento stesso, e vizi meramente formali, che invece non influiscono sul conseguimento della finalità perseguita con il detto provvedimento, e che non ne comportano quindi l’annullabilità56.

In tale prospettiva sembra così prevalere la legalità sostanziale rispetto a quella formale, con la paradossale conseguenza che, pur prevedendosi un obbligo di motivazione a livello generale per tutti i provvedimenti amministrativi, lo stesso viene poi sostanzialmente depotenziato, producendosi così una sorta di “sanatoria” in odine a motivazioni lacunose contraddittorie e o finanche integralmente assenti.

In proposito appare sostanzialmente meritoria l’opera “correttiva” di quella giurisprudenza amministrativa che invece non ritiene possibile consentire l’integrazione postuma della motivazione dell’atto amministrativo, una volta che lo stesso sia stato giudizialmente impugnato, dando così voce piena alle istanze di garanzia del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione, che la stessa ratio della

55 Per la dottrina in tema di integrazione della motivazione dell’atto

amministrativo in corso di giudizio, v. G. VIRGA, Integrazione della motivazione nel corso del giudizio e tutela dell’interesse della legittimità sostanziale del provvedimento, in Dir. proc. amm., 1993, p. 507 ss.; nonché A. ZITO, L’integrazione in giudizio della motivazione del provvedimento: una questione ancora aperta, ibidem, 1994, p. 577 ss., ove si rinvengono interessanti, ulteriori, spunti di riflessione in materia.

56 Sul tema della distinzione tra vizi formali e vizi sostanziali, v. amplius A. POLICE, L’illegittimità dei provvedimenti amministrativi alla luce della distinzione tra vizi c. d. formali e vizi sostanziali, in Dir. amm., 2003, 4, p. 735 ss.

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previsione di cui alla legge 241/1990 intendeva, nel suo testo originario, assicurare57.

In questa sede, non può infine tacersi anche di quello orientamento giurisprudenziale che, sebbene più “permissivo” del precedente, ha precisato comunque i limiti in cui è da considerarsi lecita la motivazione integrativa, in corso di giudizio, del provvedimento impugnato.

Secondo tale ultima opzione giurisprudenziale, infatti, la motivazione integrativa è da considerarsi legittima solo qualora essa avvenga, da parte della competente Amministrazione, mediante gli atti del procedimento o ricorrendo ad un successivo provvedimento di convalida, non essendo configurabile alcuna altra valida integrazione motivazionale postuma laddove non sia inserita nell’ambito di un procedimento amministrativo58.

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57 Per la giurisprudenza che non consente l’integrazione postuma della

motivazione si richiamano ex multis: Cons. Stato, sez. III, 30 aprile 2014, n. 2247 e 26 novembre 2014, n. 5857.

58 Cons. Stato: Sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4303; Sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4470; Sez. III, 10 luglio 2015, n. 3488.

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ABSTRACT L’esercizio del potere amministrativo senza alcuna trasparenza, bensì in segreto, può dare luogo a fenomeni di vero e proprio abuso sì da incidere illegittimamente sui diritti individuali. Le protezioni procedurali trovate in procedimenti giudiziari e amministrativi sono progettate per offrire alle persone interessate un'opportunità equa per scoprire, presentare e contestare le decisioni adottate dalle autorità interessate. La motivazione può dunque essere importante non solo per la percezione della correttezza del processo, ma anche per la qualità stessa della decisione. L’analisi effettuata nel presente lavoro rivela come il sindacato giurisdizionale delle decisioni amministrative sia fortemente compromesso in Inghilterra, rispetto ad altri sistemi giuridici, laddove in uno Stato di diritto il controllo giudiziario ha il compito fondamentale di proteggere non solo i diritti fondamentali, ma anche i principi procedurali e sostanziali di buona amministrazione, quali: legalità, correttezza procedurale, partecipazione, apertura, razionalità , certezza del diritto, ragionevolezza e proporzionalità. Senza contare che in una democrazia costituzionale, i tribunali sono chiamati a imporre limiti al modo in cui il potere pubblico viene esercitato.

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When administrative powers are not exercised in transparency, but in secrecy, they can readily be abused to subvert individual rights. Procedural protections found in judicial and administrative proceedings are designed to give interested persons a fair opportunity to discover, present, and challenge decisions. A statement of reasons may be important not only to the perceived fairness of the process, but also to the quality of the decision. Judicial review of administrative adjudications is strongly impaired in England, when compared to other legal systems, whereas judicial oversight not only protects fundamental rights, but also procedural and substantive principles of good administration, such as: legality, procedural propriety, participation, openness, rationality, legal certainty, reasonableness and proportionality. Not to mention that in a constitutional democracy, governed by the rule of law, courts are called upon to impose limits on the way in which this power is exercised.