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Introduzione alle Equazioni Differenziali alle Derivate Parziali con Applicazioni. Roberto Mauri Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale Sezione di Ingegneria Chimica e dei Materiali Universit´ a di Pisa

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Introduzione alle Equazioni Differenziali

alle Derivate Parziali con Applicazioni.

Roberto Mauri

Dipartimento di Ingegneria Civile e IndustrialeSezione di Ingegneria Chimica e dei Materiali

Universita di Pisa

2

Indice

1 Richiami di algebra lineare 5

1.1 Spazi vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1.2 Tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

1.3 Autovalori e autovettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

1.4 Tensori simmetrici e autoaggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

1.5 Esempi di applicazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

1.5.1 Geometria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

1.5.2 Fenomeni di trasporto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

2 La serie di Fourier. 19

2.1 Lo spazio delle funzioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2.1.1 Approssimazione ottimale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

2.2 La serie di Fourier. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2.2.1 Serie di coseni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2.2.2 Serie di seni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

2.2.3 La serie di Fourier. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

2.2.4 La serie di Fourier e completa. . . . . . . . . . . . . . . . 24

2.2.5 Il fenomeno di Gibbs. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

3 Il problema di Sturm-Liouville. 27

3.1 Operatori aggiunti e autoaggiunti. . . . . . . . . . . . . . . . . . 27

3.2 Operatori differenziali del II ordine. . . . . . . . . . . . . . . . . 28

3.2.1 Esempi di applicazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

3.3 Soluzione di problemi omogenei. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

3.3.1 Comportamento asintotico . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

3.3.2 La funzione di Green. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

3.4 Soluzione di problemi non omogenei. . . . . . . . . . . . . . . . . 36

3.5 Esempi di applicazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

3.5.1 Esempio 1. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

3.5.2 Esempio 2. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

3.5.3 Esempio 3. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

3

4 INDICE

4 La trasformata di Fourier. 454.1 Definizioni e proprieta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

4.1.1 Proprieta. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 474.2 Esempi di applicazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 484.3 Gaussiana e delta di Dirac. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 494.4 Applicazioni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

4.4.1 Equazione di diffusione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514.4.2 Reologia dei materiali viscoelastici. . . . . . . . . . . . . . 54

5 Armoniche sferiche tensoriali. 595.1 Funzioni armoniche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 595.2 Armoniche decrescenti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

5.2.1 Soluzione generale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 625.3 Equazione di Stokes. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

5.3.1 Lo stokeslet. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 655.3.2 Flusso uniforme di un fluido attorno ad una sfera. . . . . 67

Capitolo 1

Richiami di algebra lineare

1.1 Spazi vettoriali

Uno spazio vettoriale, anche detto spazio lineare, e una struttura algebrica com-posta da un un insieme di elementi, detti vettori, e due operazioni binarie, dettesomma e moltiplicazione scalare, caratterizzate da determinate proprieta. Senzaentrare nei dettagli matematici, la cosa fondamentale e la definizione di prodot-to scalare, c = (f, g), un’operazione che associa a due vettori, f e g, uno scalarec con le seguenti proprieta:

(f, g) = (g, f)∗

; (1.1)

(f, f) ≥ 0; (= 0 sse f = 0) (1.2)

(f, (g1 + g2)) = (f, g1) + (f, g2) , (1.3)

dove l’asterisco denota complesso coniugato.Quando f = g, definiamo ‖f‖ =

√(f, f) norma del vettore f .

In generale, uno spazio vettoriale in cui sia definito un prodotto scalare (cioeuna operazione che soddisfa le proprieta (1.1) - (1.3)) e detto spazio di Hilbert.

Nel seguito, i vettori verranno indicati in grassetto e il prodotto scalare conun punto come segue:

c = (f ,g) = f∗ · g. (1.4)

In particolare, due vettori sono ortogonali quando il loro prodotto scalare enullo. Nel seguito, a meno che lo si dica esplicitamente, i vettori si suppongonoreali e dunque si omette l’asterisco.

In uno spazio vettoriale N vettori sono linearmente indipendenti quandonessuno di loro puo essere espresso come una combinazione lineare degli altri.In caso contrario si dice che l’insieme di vettori e linearmente dipendente. Ingenere, in uno spazio vettoriale un vettore generico f si puo scrivere come unacombinazione lineare di N vettori linearmente indipendenti,

f = f1φ1 + f2φ2 + . . . fNφN =

N∑i=1

fiφi = fiφi, (1.5)

5

6 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI ALGEBRA LINEARE

dove abbiamo adottato la cosiddetta convenzione di Einstein, per cui quando unindice si presenta due volte [...], occorre sommare rispetto ad esso, e dunque sipuo omettere il segno di sommatoria. In base a quanto detto, f = 0 se e solo setutte le costanti fi sono uguali a zero. Ovviamente, la dimensione N dello spaziovettoriale e uguale al numero massimo di vettori linearmente indipendenti chesi possono individuare.

Un set di N vettori linearmente indipendenti (φ1,φ2, . . .φN ) = φi si dicebase dello spazio vettoriale. Una volta scelta la base φi, il vettore f si puoindicare come il set delle fi, cioe

f ≡ (f1, f2, . . . , fN ) ≡ fi. (1.6)

In particolare, conviene scegliere una base ortonormale, cioe composta da vettoridi norma unitaria e mutuamente ortogonali, cioe con:

φi · φj = δij =1 se i = j0 se i 6= j

, (1.7)

dove δij e la cosiddetta delta di Kronecker. In questo caso, moltiplicandol’espansione (1.5) per φk, otteniamo:

φk · f =

N∑i=1

fiφk · φi = fk, (1.8)

che dimostra come la costante fk si puo interpretare come la proiezione delvettore f lungo φk. Inoltre, il prodotto scalare tra due vettori diventa:

f · g =

N∑i=1

N∑j=1

figjφi · φj =

N∑i=1

figi = figi; (1.9)

in particolare, la norma di un vettore si riduce a:

‖f‖ ≡ |f | ≡ f =√fifi. (1.10)

Dunque, banalmente, la base ortonormale φi equivale in geometria ai ver-sori di un sistema di assi cartesiani, la norma di un vettore diventa il suo modulo,mentre il prodotto scalare si puo anche scrivere come:

f · g = |f ||g| cos θ, (1.11)

dove θ e l’angolo tra i due vettori.1

Infine, definiamo come distanza d tra due vettori f e g la norma della lorodifferenza:

d2 = ‖f − g‖2 =

N∑i=1

(fi − gi)2 . (1.12)

1Se in un prodotto scalare il primo vettore si rappresenta come una colonna e il secondocome una riga, l’espressione (1.9) indica la consueta operazione di moltiplicazione riga percolonne.

1.2. TENSORI 7

In particolare, si noti che se in uno spazio vettoriale di dimensione N tentiamo dirappresentare un vettore f utilizzando solo n < N vettori ortonormali, il vettoref (n) =

∑n1 fkφk, dove fk sono le proiezioni (1.8), e quello con la distanza minima

da f . Infatti, considerando la (1.12), tale distanza si puo scrivere come:

d2 = ‖f − f (n)‖2 = ‖N∑

k=n+1

fkφk‖2 =

N∑k=n+1

|fk|2. (1.13)

Se avessimo scelto una qualsiasi altra rappresentazione, ad esempio con f ′1 6=f1, avremmo ottenuto nell’espressione (1.13) il termine aggiuntivo |f ′1 − f1|2, edunque una distanza d maggiore. Geometricamente, il vettore f (n) rappresentala proiezione di f sullo spazio di dimensione n, mentre f − f (n) e il vettoreortogonale a f (n) e passante per f (si pensi al caso N = 3 e n = 2).

1.2 Tensori

Adesso consideriamo un tensore L del second’ordine, definito come un set di Nvettori,

L ≡ (L1,L2, . . . ,LN ) = L1φ1 + L2φ2 + . . .LNφN = Liφi, (1.14)

dove,

Li = (L1i, L2i, . . . , LNi) ≡ L1iφ1 + L2iφ2 + . . . LNiφN = Lkiφk, (1.15)

e dunque,

L = L11φ1φ1 + L12φ1φ2 + . . . LnnφNφN = Likφiφk. (1.16)

Dunque uno scalare si puo intendere come un tensore di ordine 0, mentreun vettore, essendo un set di N scalari, e un tensore del prim’ordine, cosı comeun tensore del second’ordine e un set di N vettori. Allo stesso modo, un set diN tensori del second’ordine definisce un tensore del terz’ordine, con termini deltipo Lijkφiφjφk e cosı via.

A volte, conviene indicare un tensore come la seguente matrice quadrata:

L =

L11 L12 · · · L1N

L21 L22 · · · L2N

· · · · · ·. . . · · ·

Ln1 Ln2 · · · LNN

. (1.17)

I tensori sono degli operatori lineari, poiche trasformano un vettore f in unaltro vettore g:

L · f = g. (1.18)

Questa equazione si risolve facilmente come segue:

L · f =(Lijφiφj

)· (fkφk) = Lijfjφi = g = giφi, (1.19)

8 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI ALGEBRA LINEARE

cioe,

Lijfj = gi. (1.20)

e dunque si traduce in un sistema di n equazioni lineari in n incognite, che haun’unica soluzione.

In particolare, se g = 0, la soluzione dell’equazione lineare omogenea L · f =0 e banalmente f = 0, a meno che una o piu delle equazioni non si possaesprimere come combinazione lineare delle altre, che implica che il determinantedella matrice, det L, sia zero.2 Infatti, in questo caso, una delle colonne dellamatrice si puo esprimere come combinazione lineare delle altre; ad esempio, conriferimento alla (1.14), supponiamo che L1 = L2. Allora, poiche scambiando traloro due colonne il determinante cambia segno, ne deriva che il determinantedeve essere nullo.

Nello stesso modo definiamo il prodotto scalare tra due tensori,

L = M · N. (1.21)

Si ottiene:

M · N =(Mijφiφj

)· (Nk`φkφ`) = MijNj`φiφ` = Li`φiφ`, (1.22)

e dunque,

Lik = MijNjk. (1.23)

Se prendiamo un secondo prodotto interno otteniamo uno scalare,

M:N = MijNji. (1.24)

Nella (1.18) abbiamo visto che un tensore L trasforma un vettore in un altro

vettore. Ora vediamo chem, nello stesso modo, trasforma anche una tensore Min un’altro tensore N come:

N = L · M · L+, (1.25)

dove L+ = Lkiφiφk e il trasposto di L. Infatti, dal momento che una matrice si

puo sempre scrivere come somma di diadici (vedi (1.16) ), per L = f ′f ′′ si vede

che L · f ′f ′′ · L+ = g′g′′, dove g′ = L · f ′ e g′′ = L · f ′′ = f ′′ · L+.Matrici particolarmente importanti sono:

• Matrice nulla, 0.

0 · f = 0; 0ij = 0; (1.26)

2Il determinante di una matrice L si definisce come det L =∑

i(−1)i+jLijMij , dove Mij

e il minore, definito come il determinante della matrice ottenuta da L, cancellandone la ima

riga e la jma colonna. Alla fine, ci riduciamo alla somma di determinanti di matrici 2 × 2,

L2, dove det L2 = L11L22 − L12L21.

1.3. AUTOVALORI E AUTOVETTORI 9

• Matrice identita, I.

I · f = f ; I = φ1φ1 + φ2φ2 + . . .φnφn; Iij = δij ; (1.27)

• Matrice proiezione lungo l’asse φi, Pi

Pi · f = fiφi; Pi = φiφi; (1.28)

• Matrice proiezione su un piano φiφj , Pij .

Pij · f = fiφi + fjφj ; Pij = φiφi + φjφj ; (1.29)

• Matrice aggiunta L† (e la matrice trasposta e complessa coniugata di L),

L† = L+∗; L†ij = L∗ji;(fi, L

†ijgj

)= (Ljifi, gj) . (1.30)

• Matrice inversa, L−1

L−1 · L = I; (1.31)

• Matrice rotazione, R. In 2D, ruotando gli assi cartesiani di un angolo θin senso orario, si ha: x′ = x cos θ − y sin θ e y′ = x sin θ + y cos θ, cioer′ = R · r, dove r = (x, y), mentre

R (θ) =

(cos θ − sin θsin θ cos θ

)(1.32)

Si noti che R (−θ) = R+ (θ) =[R (θ)

]−1. La matrice rotazione e un caso

particolare di trasformazione unitaria, definita come una che conserva ilprodotto scalare.

Invariante: e una grandezza che rimane costante quando il sistema di rife-rimento viene rotato. Per un vettore l’invariante e uno solo, il modulo, ovverof =√

f · f . Un tensore del second’ordine ha N invarianti, di cui i piu importantisono il primo, la traccia, TrL = Lijδij = Lii = L11 +L22 + . . . LNN e l’ultimo,

il determinante, detL.

1.3 Autovalori e autovettori

Si consideri il caso in cui un tensore L trasformi un vettore f = φ in un altrovettore g avente la stessa direzione, cioe g = λφ:

L · φ = λφ, (1.33)

dove λ e una costante (in genere complessa). Come abbiamo visto, questaequazione vettoriale consiste in un sistema lineare omogeneo; la condizione per

10 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI ALGEBRA LINEARE

avere soluzioni non nulle e che almeno una delle equazioni si possa scrivere comecombinazione lineare delle altre, cioe che il determinante del sistema sia nullo:(

L− λI)· φ = 0, → det

(L− λI

)= 0. (1.34)

Questa equazione conduce ad una equazione algebrica di ordine n, detta equa-zione caratteristica della matrice L,

Q (λ) = (−1)nλn + k1λn−1 + k2λ

n−2 + ·kn =

n∏i=1

(λi − λ) = 0, (1.35)

avente n soluzioni, λ(i) (alcune delle quali possono anche essere ripetute), detteautovalori. Per ogni autovalore, ponendo λ = λ(i) in (1.33), si determina poi

un particolare vettore φ(i), detto autovettore, definito a meno di una costantemoltiplicativa (infatti, gli autovettori determinano solo una direzione). Per

comodita, si sceglie tale costante in modo che la norma, cioe il modulo, di φ(i)

sia unitario, cioe|φ(i)| = 1. (1.36)

Il verso degli autovettori invece e arbitrario.

Se gli autovalori sono distinti, allora gli autovettori sono linearmente indi-pendenti.

Infatti, se non lo fossero, potrei trovare un opportuno set di costanti ai inmodo che,

a1φ(1) + a2φ

(2) + · · · anφ(n) = 0.

Ora, se moltiplichiamo questa equazione scalarmente per L otteniamo:

a1λ(1)φ(1) + a2λ

(2)φ(2) + · · · anλ(n)φ(n) = 0,

da cui,

a1

(λ(1) − λ(n)

)φ(1)+a2

(λ(2) − λ(n)

)φ(2)+· · · an

(λ(n−1) − λ(n)

)φ(n−1) = 0.

Questa equazione mostra che o λ(i) = λ(n), quindi violando l’ipotesi iniziale diautovalori distinti, oppure anche i rimanenti n−1 autovettori sono linearmemtedipendenti, nel qual caso si ripete l’analisi.

Esempio 1Si consideri la matrice rotazione R (θ), definita in (1.32). Ovviamente, tra

tutte le rotazioni, quelle che trasformano un vettore in un altro vettore aventela stessa direzione sono le rotazioni con θ = 0 oppure θ = π. Infatti, l’equazionecaratteristica diventa:

Q (λ) = λ2 − 2 cos θλ+ 1 = 0, (1.37)

che ammette solo soluzioni complesse (il suo determinante e negativo), a menoche θ = nπ. Dunque, per n pari, corrispondente ad una rotazione di 0o, si

1.3. AUTOVALORI E AUTOVETTORI 11

ottiene λ = 1, mentre per n dispari, corrispondente ad una rotazione di 180o siottiene λ = −1, come deve essere.

Esempio 2Si consideri la matrice

L =

(1 1−2 4

)(1.38)

Otteniamo:

L · φ = λφ; →

φ1 + φ2 = λφ1−2φ1 + 4φ2 = λφ2

(1.39)

da cui:

Q (λ) = det(L− λI

)= (1− λ) (4− λ) + 2 = λ2 − 5λ+ 6 = 0, (1.40)

e quindi otteniamo i seguenti autovalori: λ(1) = 2 e λ(2) = 3.Si noti che non e affatto detto che gli autovalori siano reali. Ad esempio, se

L12 fosse uguale a 2, invece che 1, otterremmo Q (λ) = λ2−5λ+8, che ammettedue soluzioni complesse coniugate.

Agli autovalori λ(1) = 2 e λ(2) = 3 corrispondono i seguenti autovettori:

λ(1) = 2 → −φ(1)1 + φ(1)2 = 0

−2φ(1)1 + 2φ

(1)2 = 0

→ φ(1) = (1, 1) (1.41)

λ(2) = 3 → −2φ(2)1 + φ

(2)2 = 0

−2φ(2)1 + φ

(2)2 = 0

→ φ(2) = (1, 2) (1.42)

Gli autovettori si possono poi moltiplicare per delle costanti di normalizzazione.Si noti che i due autovettori non sono ortogonali tra loro.

Si consideri la cosiddetta matrice generatrice, in cui la riga n-esima e com-posta dall’autovettore n-esimo, non necessariamente normalizzato,

P =(φ(1),φ(2), · · ·φ(n)

)+(1.43)

Otteniamo:

L · P =(L · φ(1), L · φ(2), · · · L · φ(n),

)+=(λ(1)φ(1), λ(2)φ(2), · · ·λ(n)φ(n),

)+,

da cui:

L·P =

λ(1) 0 · · · 0

0 λ(2) · · · 0· · · · · · · · · · · ·0 0 · · · λ(n)

·(φ(1),φ(2), · · ·φ(n))+

= P·diag(λ(1), λ(2), · · ·λ(n)

)

12 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI ALGEBRA LINEARE

e quindi:

P−1 · L · P = diag(λ(1), λ(2), · · ·λ(n)

). (1.44)

Nell’esempio sopra si ottiene:

P =

(φ(1)

φ(2)

)=

(1 11 2

)P−1 =

(2 −1−1 1

). (1.45)

Si trova:

P−1·L·P =

(2 −1−1 1

)·(

1 1−2 4

)·(

1 11 2

)=

(2 −1−1 1

)·(

2 32 6

)=

(2 00 3

),

(1.46)come deve essere.

1.4 Tensori simmetrici e autoaggiunti

Si consideri il tensore simmetrico:

L =1

2

(3 −1−1 3

)(1.47)

Calcoliamone gli autovalori e autofunzioni:(L− λI

)· φ = 0, → Q (λ) = det

(L− λI

)= 0, (1.48)

da cui,Q (λ) = λ2 − 3λ+ 2 = 0, → λ(1) = 1;λ(2) = 2. (1.49)

λ(1) = 1 → 1

2φ(1)1 −

1

2φ(1)2 = 0 → φ(1) =

√2

2(1, 1) (1.50)

λ(2) = 2 → −1

2φ(2)1 −

1

2φ(2)2 = 0 → φ(2) =

√2

2(−1, 1) (1.51)

dove gli autovettori sono stati normalizzati.

Come abbiamo visto in questo esempio, gli autovalori sono reali e gli auto-vettori mutuamente ortogonali. Questo e un risultato generale, sempre valido.

Per dimostrarlo, conviene supporre di essere nel campo complesso. Suppo-niamo che il tensore L sia autoaggiunto, o hermitiano, cioe che sia uguale al suoaggiunto [vedi (1.30)] e dunque soddisfi alla condizione seguente:

L = L+∗, cioe Lij = L∗ji. (1.52)

Nel campo reale, ovviamente, il tensore L e simmetrico.

1.4. TENSORI SIMMETRICI E AUTOAGGIUNTI 13

Partiamo dall’equazione degli autovalori,

L · φ = λφ cioe Lijφ(m)j = λ(m)φ

(m)i (1.53)

e prendiamone il complesso coniugato,

L∗ijφ(m)∗j = φ

(m)∗j Lji = λ(m)∗φ

(m)∗i . cioe φ∗ · L = λ∗φ∗. (1.54)

Ora consideriamo la forma bilineare φ(m)∗ · L · φ(n). Otteniamo:

φ(m)∗i Lij φ

(n)j = φ

(m)∗i λ(n)φ

(n)i = λ(n)

(φ(m)∗ · φ(n)

)(1.55)

ma anche:

φ(m)∗i Lij φ

(n)j = φ

(m)∗i λ(m)∗φ

(n)i = λ(m)∗

(φ(m)∗ · φ(n)

); (1.56)

sottraendo (1.55) da (1.56) otteniamo:(λ(m)∗ − λ(n)

)(φ(m)∗ · φ(n)

)= 0. (1.57)

Dunque:

• per m 6= n otteniamo φ(m)∗ ·φ(n) = 0, cioe gli autovettori sono mutuamen-te ortogonali; se li normalizziamo e siamo nel campo reale si ha dunque:φ(m) · φ(n) = δmn.

• per m = n otteniamo: λ(m)∗ = λ(m), cioe gli autovalori sono reali.

Ora, se gli autovettori sono ortogonali tra loro, con una opportuna rotazionee possibile trasformarli nei versori degli assi di riferimento. Questo significa chela matrice generatrice in questo caso (cioe quando la matrice L e simmetrica)coincide con una particolare matrice rotazione, cioe,

R = P =(φ(1),φ(2), · · ·φ(n)

)+(1.58)

dove gli autovettori sono normalizzati, in modo che la matrice risultante siaunitaria, cioe conservi le lunghezze dei vettori.

Con riferimento all’esercizio visto sopra, se ruotiamo gli assi di riferimentodi −π/4 dobbiamo considerare la matrice rotazione:

R(−π

4

)=

√2

2

(1 1−1 1

)=

(φ(1)

φ(2)

)=(φ(1),φ(2)

)+. (1.59)

Dunque vediamo che, come previsto, la matrice rotazione di −π/4 equivale allamatrice generatrice (1.43). Di conseguenza, e facile verificare che se esprimiamo

14 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI ALGEBRA LINEARE

gli autovettori nel nuovo sistema di riferimento, ruotato di −π/4 rispetto alvecchio, otteniamo:

ψ(1) = R · φ(1) = (1, 0) ; (1.60)

ψ(2) = R · φ(2) = (0, 1) ; (1.61)

Lnew = R+ · L · R = diag(λ(1), λ(2)

). (1.62)

Questo mostra che, come previsto, ruotando il sistema di riferimento di −π/4,gli autovettori diventano i versori degli assi cartesiani e la matrice diventadiagonale.

1.5 Esempi di applicazione.

1.5.1 Geometria.

Un’importante applicazione di questa parte dell’algebra lineare consiste nellostudio delle forme quadratiche, del tipo:

R2 = x · L · x = Lijxixj , (1.63)

dove R2 e una costante (che possiamo considerare positiva, senza perdita digeneralita) e, per costruzione, Lij = Lji. Se adesso ruotiamo il sistema di

riferimento come visto sopra, con R = P, la costante R2 non cambia, il vettoregenerico x si trasforma in x′, mentre L diventa la matrice diagonale; dunque laforma quadratica si semplifica e diventa:

R2 = x′ · diag(λ(1), λ(2), · · · , λ(n)

)· x′ =

n∑i=1

λ(i)x′2i , (1.64)

In particolare, in geometria piana, la forma quadratica R2 = a1x21 + 2a12x1x2 +

a2x22 si trasforma in R2 = b1x

′21 + b2x

′22 , quando viene riferita ai suoi assi di sim-

metria x′1 e x′2 e dunque rappresenta l’equazione di una conica, cioe, in funzionedel segno di b1 e b2, un’ellisse, una parabola3 o una iperbole. Analogamente, in3D otteniamo le equazioni delle quadriche, quali ellissoidi, paraboloidi e iperbo-loidi (vedi la visualizzazione delle quadriche sul sito dell’Universita di Bologna,http://progettomatematica.dm.unibo.it/Quadriche/) che, riferite ad un sistemadi coordinate solidale con gli assi di simmetria diventano:

R2 = b1x′21 + b2x

′22 + +b3x

′23 . (1.65)

Quando b1, b2 e b3 sono positive la quadrica e un ellissoide. In particolare, seb1 = b2 = b3, si tratta di una sfera; quando b1 = b2 6= b3, si tratta invece diuna ellissoide di rotazione, simmetrica rispetto all’asse z: l’ellissoide e prolato (aforma di disco) quando b2 < b3, mentre e oblato (a forma di pallone da rugby)quando invece b2 > b3; in ogni caso, comunque, le quadriche hanno 3 piani

3In questo caso, b1 = 0 oppure b2 = 0.

1.5. ESEMPI DI APPLICAZIONE. 15

di simmetria tra loro perpendicolari, corrispondenti ai tre assi di simmetria.Cio non descrive ovviamente tutte le superfici chiuse, o i solidi, a cui possiamopensare; tutti gli altri casi, tuttavia, non sono decrivibili con delle forme lineariquadratiche (ad esempio, occorre utilizzare anche termini del terz’ordine).

1.5.2 Fenomeni di trasporto

Nei fenomeni di trasporto i flussi di materia, quantita di moto e calore di tipodiffusivo sono proporzionali alle forze spingenti. Ad esempio, il vettore flussodi calore, JU , e proporzionale al gradiente di temperatura, ∇T ; il termine diproporzionalita tra i due vettori e la conducibilita termica k che, come visto, eun tensore,

−JU = k · ∇T ; −Ji = kij∇jT. (1.66)

Lo stesso accade nel trasporto di specie chimiche, dove il flusso di un com-ponente A, JA , e proporzionale al gradiente della concentrazione di A, ∇cA; iltermine di proporzionalita tra i due vettori e il tensore diffusivita D

−JA = D · ∇cA; −Ji = Dij∇jcA. (1.67)

Lo stesso accade nel trasporto di quantita di moto. In particolare, per bassinumeri di Reynolds (cioe quando il trasporto di quantita di moto e di tipodiffusivo) la velocita di un corpo, V in moto uniforme in un fluido in quiete,4

e proporzionale alla forza esercitata su di esso, F; il termine di proporzionalita

tra i due vettori e il tensore mobilita, M,

V = M · F; Vi = MijFj , cioe F = Z ·V, (1.68)

dove Z = M−1 e il tensore resistenza, pari all’inverso della mobilita.Applicando le relazioni di reciprocita, si puo dimostrare che i tensori sud-

detti, che legano flussi e forze, sono simmetrici, cioe kij = kji, Dij = Dji eMij = Mji. Ad esempio, nel caso del moto di un oggetto in un fluido in quiete,nella (1.68) abbiamo: Z12 = Z21, Z23 = Z32 e Z13 = Z31.

Il tensore simmetrico Z ammette autovalori reali, Z(1), Z(2) e Z(3), e au-tovettori φ(1), φ(2) e φ(3) ortogonali tra loro, che quindi formano un nuovosistema di assi cartesiani. Come visto in (1.58)-(1.62), esprimendo V ed F nel

nuovo sistema di coordinate (cioe in 2D ruotato dell’angolo θ tra φ1 e φ(1)), larelazione tra forze e velocita diventa:

F(i) = Z(i)V(i); i = 1, 2, 3, (1.69)

cioe il tensore Z diventa una matrice diagonale, Z = diag(Z(1), Z(2), Z(3)), doveZ(i) > 0 (altrimenti si violerebbe la seconda legge).

In particolare, per una sfera di raggio a, Z(1) = Z(2) = Z(3) = 6πµa edunque Z = 6πµaI. In questo caso particolare, il tensore resistenza e invariantea tutte le rotazioni.

4Ovviamente V e una velocita relativa, cioe la differenza tra la velocita del corpo e quelladel fluido.

16 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI ALGEBRA LINEARE

Nel caso in cui il corpo sia un ellissoide di rotazione, invece, si ha una dire-zione preferenziale, che coincide con quella dell’asse di simmetria, φ(1), mentreil corpo e isotropo nel piano perpendicolare, con Z(2) = Z(3), e dunque il tensoreresistenza e invariante alle rotazioni attorno l’asse φ(1).

Infine, quando il corpo e un ellissoide generico, cioe un oggetto con tre pianidi simmetria tra loro perpendicolari, le direzioni preferenziali sono quelle deisuoi tre assi, e Z(1) Z(2) e Z(3) sono il rapporto tra forza e velocita quando ilcorpo si muove lungo una di queste direzioni principali.

Da quanto detto sopra, sembrerebbe che il caso piu generale sia quello di uncorpo ellissoidale, con tre assi di simmetria perpendicolari tra loro. Tuttavia,questo e vero soltanto quando la forza impressa ad un oggetto e proporzionalesolo alla sua velocita. In realta, tale forza e proporzionale anche alla sua ve-locita angolare, poiche, oltre che che il moto traslatorio, va anche consideratoquello rotatorio. Se il corpo in esame e un ellissoide, e quindi dotato di trepiani di simmetria tra loro ortogonali, tuttavia, i moti traslatori e rotatori sonodisaccoppiati tra loro. Cio significa che se un’ellissoide sedimenta, si muove dimoto traslatorio, senza ruotare, anche se la sua velocita non e necessariamentediretta verticalmente e, analogamente, se vi applico un momento delle forze (adesempio, immaginiamo che si tratti di un piccolo magnete) il corpo ruota senzapero spostarsi. Dunque, per bassi numeri di Reynolds, la velocita angolare diun ellissoide immerso in un fluido in quiete,5 Ω, e proporzionale al momentodelle forze esercitato su di esso, Γ,

Γ = Z(rr) ·Ω, (1.70)

dove Z(rr) e un tensore resistenza rotazionale. Riguardo ad esso, possiamoapplicare le stesse considerazioni viste sopra riguardo al tensore resistenza tra-slazionale; in particolare, se il corpo e una sfera di raggio a, Z(rr) = 8πµa3I.

Nel caso piu generale di un corpo che non ha tre assi di simmetria tra loroperpendicolari, in genere i movimenti rotatori e traslatori sono accoppiati traloro. Cio significa che, se spinto, un corpo, oltre che traslare, ruota anchee, viceversa, se flippato, oltre che ruotare trasla. Si pensi ad esempio a uncorpo a forma di cavaturacciolo. Concludiamo dunque che le relazioni (1.68) e(1.70) sono valide soltanto per oggetti dotati di tre piani di simmetria tra loroortogonali. Altrimenti, queste relazioni vanno generalizzate scrivendo:

F = Z(tt) ·V + Z(tr) ·Ω, (1.71)

Γ = Z(rt) ·V + Z(rr) ·Ω (1.72)

dove Z(tr) e Z(rt) sono i tensori di accoppiamento. E opportuno definire iseguenti vettori del sest’ordine:

Fi = (F1, F2, F3,Γ1,Γ2,Γ3); Vi = (V1, V2, V3,Ω1,Ω2,Ω3), (1.73)

5Anche Ω e una velocita relativa, cioe la differenza tra la velocita angolare del corpo equella del fluido.

1.5. ESEMPI DI APPLICAZIONE. 17

legati tra loro dalle relazioni (1.71) e (1.72), che diventano:

Fi =

6∑i=1

ζijVi; (1.74)

si puo dimostrare che le relazioni di reciprocita in questo caso conducono allaseguente relazione di simmetria:

ζij = ζji. (1.75)

Consideriamo per semplicita il caso a 2D. Queste equazioni diventano:F1

F1

Γ1

Γ2

=

Z

(tt)11 Z

(tt)12 Z

(tr)11 Z

(tr)12

Z(tt)21 Z

(tt)22 Z

(tr)21 Z

(tr)22

Z(rt)11 Z

(rt)12 Z

(rr)11 Z

(rr)12

Z(rt)21 Z

(rt)22 Z

(rr)11 Z

(rr)12

V1V2Ω1

Ω2

. (1.76)

Dunque le relazioni di simmetria (1.75) diventano:

Z(tt)ij = Z

(tt)ji , Z

(rr)ij = Z

(rr)ji Z

(tr)ij = Z

(rt)ji . (1.77)

Le prime due equazioni indicano che i tensori di resistenza traslazionale erotazionale sono entrambi simmetrici, mentre l’ultima uguaglianza mette in rela-zione i due tensori di accoppiamento. Dettagli ed esempi di applicazione si posso-no trovare in J. Happel and H. Brenner, Low Reynolds Number Hydrodynamics,Springer (1963), Ch. 5.

18 CAPITOLO 1. RICHIAMI DI ALGEBRA LINEARE

Capitolo 2

La serie di Fourier.

2.1 Lo spazio delle funzioni.

Date due funzioni continue e complesse di una variabile reale, f(x) e g(x),definite tra x = a e x = b, si definisca,

(f, g) ≡∫ b

a

f∗ (x) g (x) dx. (2.1)

Questo e un prodotto scalare, dal momento che soddista le proprieta (1.1) -(1.3). D’altra parte, possiamo scrivere:∫ b

a

f∗ (x) g (x) dx = limN→∞

N∑k=1

f∗ (xk) g (xk) ∆x = limN→∞

N∑k=1

a∗kbk, (2.2)

dove ∆x = (b − a)/N , ak = f (xk) /√

∆x e bk = g (xk) /√

∆x. Dunque, con-frontando la (2.2) con la (1.9), vediamo che lo spazio delle funzioni complessecontinue1 e definite per a ≤ x ≤ b, si puo considerare come uno spazio vettorialea infinite dimensioni. In particolare, possiamo definire una base dello spazio dellefunzioni come un set di funzioni φn (x) normalizzate e mutuamente ortogonali(e dunque tra loro indipendenti), tali che

(φm, φn) =

∫ b

a

φ∗m (x) φn (x) dx = δmn. (2.3)

A questo punto, se una funzione f(x) si puo scrivere come una combinazionelineare delle φn(x), cioe

f (x) =

∞∑n=1

fn φn (x) , (2.4)

1In realta, si tratta di funzioni continue a pezzi (piecewise continuous), cioe in cui ci possonoessere un numero finito di salti discreti.

19

20 CAPITOLO 2. LA SERIE DI FOURIER.

moltiplicando ambo i membri di questa equazione per φm e sostituendovi la(2.3), otteniamo:

(φm, f) =

∞∑n=1

fn (φm, φn) = fm, (2.5)

che e identica alla (1.8). Nello stesso modo, se due funzioni f(x) e g(x) si possonoscrivere come combinazioni lineari delle φn(x), f =

∑fmφm e g =

∑gnφn,

otteniamo:

(f, g) =

∞∑m=1

∞∑n=1

f∗mgn (φm, φn) =

∞∑n=1

f∗ngn, (2.6)

che e identica alla (1.9). In particolare, quando g = f , la (2.6) determina lanorma di una funzione:

‖f‖2 = (f, f) =

∞∑n=1

|fn|2. (2.7)

Fin qui non c’e alcuna differenza tra lo spazio vettoriale e quello delle fun-zioni. La differenza sta nella completezza della base, che abbiamo ipotizzatonelle relazioni sopra determinate. Una base e completa quando a) una qualsiasicombinazione lineare dei vettori della base definisce un altro elemento dello spa-zio; b) un qualunque elemento dello spazio si puo esprimere come combinazionelineare dei vettori della base. In altre parole, una base φi (x) si dice completaquando la relazione (2.4) e valida per qualsiasi funzione f(x) dello spazio. Ora,mentre la condizione a) e facilmente verificabile la b) e problematica nel casodello spazio delle funzioni. Infatti, mentre nel caso di spazi vettoriali, in basealla (1.5), la condizione b) e sempre verificata, nello spazio delle funzioni, le cosevanno diversamente, cioe possiamo pensare ad una base composta da un numeroinfinito di funzioni mutuamente ortogonali (e dunque tra loro linermente indi-pendenti) e che ciononostante non riesce a descrivere tutte le funzioni definitenello stesso intervallo. Ad esempio, una base ortogonale definita tra −π e +πe, come vedremo, quella composta da sin kx, con k intero. Tuttavia, le funzionif(x) descritte da questa base sono necessariamente dispari, con f(−x) = −f(x),e per ottenere una base completa devo aggiungervi le funzioni cos kx.

A volte conviene definire il prodotto scalare con una funzione peso ρ(x) reale,

(f, g) ≡∫ b

a

f∗ (x) g (x) ρ (x) dx, (2.8)

che soddista le proprieta (1.1) - (1.3). E facile vedere che le relazioni (2.3)-(2.5)continuano ad essere valide.

2.1.1 Approssimazione ottimale.

Supponiamo di voler descrivere in modo approssimato una qualsiasi funzionef (x) utilizzando solo i primi n elementi della base φn. Cio significa che,

2.2. LA SERIE DI FOURIER. 21

definendo,

fN (x) =

N∑n=1

γnφn (x) , (2.9)

vogliamo determinare i coefficienti γn in modo da minimizzare la distanza dNtra f e fN , cioe,

d2N = ‖f − fN‖2 =

∫ b

a

[f (x)− fN (x)]2dx = min (2.10)

Sostituendo la (2.9) nella (2.10) e supponendo per semplicita che i coefficientisiano reali, otteniamo:

d2N = ‖f‖2 − 2

N∑n=1

γn (f, φn) +

N∑n=1

γ2n = ‖f‖2 +

N∑n=1

(γn − fn)2 −

N∑n=1

f2n,

da cui appare che dN e minimo per γn = fn. Dunque i coefficienti fn definitinella (2.5) sono anche quelli che permettono di ottimizzare una decrizione ap-prossimata di f (x) in cui si utilizzi un numero finito di funzioni di base. Inquesto caso, vediamo che la distanza minima risulta la seguente:2

(d2N)min

= ‖f‖2 −N∑n=1

f2n. (2.11)

In particolare, se la base φn e completa, sostituendo la (2.7) nella (2.12)otteniamo: (

d2N)min

=

∞∑n=N+1

f2n. (2.12)

2.2 La serie di Fourier.

2.2.1 Serie di coseni.

Nell’intervallo 0 ≤ x ≤ π si consideri la base ortogonale3 non normalizzata,

ψn = 1

2; cosnx; n = 1, 2, . . . (2.13)

con la seguente espansione:

f(x) =1

2a0 +

∞∑n=1

an cos(nx), (2.14)

2Se f fosse un vettore tridimensionale, N = 2 e φ1 e φ2 fossero due versori che definiscanoil piano 12, vediamo che f2 sarebbe la proiezione di f sul piano 12, mentre d2 risulterebbeessere la coordinata 3 di f .

3La condizione di ortonormalita si dimostra da 2 cosα cosβ = cos(α+ β) + cos(α− β).

22 CAPITOLO 2. LA SERIE DI FOURIER.

dove,

an =

∫ π0f(x) cos(nx)dx∫ π0

cos2(nx)dx=

2

π

∫ π

0

f(x) cos(nx)dx; n = 0, 1, 2, . . . (2.15)

Questa serie converge ad una funzione F (x) che e l’estensione periodicapari di f(x); cio significa che, nell’intervallo 0 ≤ x ≤ π, F (x) coincide (aparte gli estremi, come vedremo in seguito) con f(x), mentre F (−x) = F (x)nell’intervallo −π ≤ x ≤ 0, e F (x + 2π) = F (x), ovvero F (x) e periodica conperiodo 2π.

Ad esempio, quando f(x) = sinx, otteniamo4

an =2

π

∫ π

0

sinx cos(nx)dx =1

π

∫ π

0

[sin(1 + n)x+ sin(1− n)x]dx, (2.16)

e dunque,

an =4

π(1−n2) n pari

0 n dispari→ F (x) =

2

π− 4

π

∑n pari

cos(nx)

n2 − 1. (2.17)

Si noti che F (x) e ovunque continuo (cioe non fa salti) e dunque la serieconverge senza problemi. In particolare, nei punti x = nπ, in cui la convergenzadi F (nπ) = 0 e piu lenta, si ha:

∑n pari

1

n2 − 1=

∞∑m=1

1

4m2 − 1=

1

1× 3+

1

3× 5+

1

5× 7+ . . . =

1

2. (2.18)

2.2.2 Serie di seni.

Sempre nell’intervallo 0 ≤ x ≤ π si consideri la base ortogonale5 non normaliz-zata,

ψn = sinnx; n = 1, 2, . . . (2.19)

con la seguente espansione:

f(x) =

∞∑n=1

bn sin(nx), (2.20)

dove,

bn =

∫ π0f(x) sin(nx)dx∫ π0

sin2(nx)dx=

2

π

∫ π

0

f(x) sin(nx)dx; n = 1, 2, . . . (2.21)

Questa serie converge ad una funzione F (x) che e l’estensione periodicadispari di f(x); cio significa che, nell’intervallo 0 ≤ x ≤ π, F (x) coincide (a

4Si consideri che 2 sinα cosβ = sin(α+ β) + sin(α− β).5La condizione di ortonormalita si dimostra da 2 sinα sinβ = cos(α− β)− cos(α+ β).

2.2. LA SERIE DI FOURIER. 23

parte gli estremi, come vedremo in seguito) con f(x), mentre F (−x) = −F (x)nell’intervallo −π ≤ x ≤ 0, e F (x = 2π) = F (x), ovvero F (x) e periodica conperiodo 2π.

Ad esempio, quando f(x) = x, otteniamo:

bn =2

π

∫ π

0

x sin (nx) dx = 2(−1)n+1

n→ F (x) = 2

∞∑n=1

(−1)n+1

nsinnx.

(2.22)Si noti che F (x) e discontinuo (cioe fa un salto da +π a −π) per x = π,

x = 3π, ecc. e in quei punti la serie di F (x) converge in F (±(2n+ 1)π) = 0.

2.2.3 La serie di Fourier.

Nell’intervallo −π ≤ x ≤ π si consideri la base ortogonale e normalizzata,

φ0 =1√2π

; φ2n =1√π

cosnx; φ2n−1 =1√π

sinnx, (2.23)

con la seguente espansione:

f(x) =

∞∑n=0

fnφn(x); fn =

∫ π

−πf(x)φn(x)dx. (2.24)

Dal momento che una generica f(x) e la somma di una parte pari, f (e)(x) edi una dispari, f (o)(x), otteniamo:

f(x) = f (e)(x) + f (o)(x), (2.25)

dove,

f (e)(x) =

∞∑n=0

f2nφ2n(x); f (o)(x) =

∞∑n=1

f2n−1φ2n−1(x) (2.26)

Dunque, definendo a0 = f0√

2/π, an = f2n/√π e bn = f2n−1/

√π, la (2.24)

diventa:

f (x) =1

2a0 +

∞∑n=1

[an cos(nx) + bn sin(nx)] , (2.27)

dove,

an =1

π

∫ π

−πf(x) cos(nx)dx; bn =

1

π

∫ π

−πf(x) sin(nx)dx. (2.28)

Ovviamente, an coincide con la (2.15) per funzioni f(x) pari, mentre bncoincide con la (2.21) per funzioni f(x) dispari. Dunque, la serie (2.24) o (2.27)converge ad una funzione F (x) che e l’estensione periodica di f(x); cio significache F (x) = f(x) nell’intervallo −π ≤ x ≤ π, (a parte gli estremi, come abbiamovisto), mentre poi F (x + 2π) = F (x), ovvero F (x) e periodica con periodo 2π.Ovviamente, bn = 0 per funzioni pari, mentre an = 0 per funzioni dispari.

24 CAPITOLO 2. LA SERIE DI FOURIER.

Ad esempio, f(x) = |sin(x)| per −π ≤ x ≤ π e una funzione pari; dunquebn = 0 e ritroviamo il risultato (2.17),

F (x) =2

π− 4

π

∞∑n=1

cos(2nx)

4n2 − 1. (2.29)

NotaLa serie (2.22) per x = π/2 diventa:

π

4=

∞∑n=0

(−1)n

2n+ 1=

1

1− 1

3+

1

5− 1

7+ . . . . (2.30)

Questa e la famosa serie di Leibniz per il calcolo di π e coincide con una espan-sione in serie di Taylor di arctan(x) per x = 1. Prendendo i termini della (2.30)a due a due, otteniamo:

π

4=

∞∑n=0

(1

4n+ 1− 1

4n+ 3

)=

∞∑n=0

2

(4n+ 1) (4n+ 3). (2.31)

Questo mostra che la serie di Leibniz, se troncata dopo N termini, convergecome 1/N , cioe molto lentamente e dunque non ha un interesse pratico (anche seci sono vari modi per accelerarne la convergenza). Dunque, e meglio usare altreespressioni per calcolare π. Ad esempio, la serie (2.29) per x = π/2 diventa:

π

4=

1

2−∞∑n=1

(−1)n

4n2 − 1=

1

2+

1

1× 3− 1

3× 5+

1

5× 7− . . . , (2.32)

che converge come 1/N2.

2.2.4 La serie di Fourier e completa.

Si tratta di dimostrare che una qualsiasi funzione f(x) definita in −π ≤ x ≤ πpuo essere espressa come una serie di Fourier (2.24). La dimostrazione si puotrovare in testi specializzati; qui ne indichiamo i punti salienti e il risultatofinale.

Definiamo:

FN (x) =1

2a0 +

N∑n=1

[an cos(nx) + bn sin(nx)] , (2.33)

dove an e bn sono espressi dalla (2.28). Manipolando un po’ si trova:

FN (x) =1

π

∫ π

−πf(s)

sin [(2N + 1) (s− x) /2]

2 sin [(s− x) /2]ds. (2.34)

2.2. LA SERIE DI FOURIER. 25

A questo punto, si ottiene:

F (x) = limN→∞

FN (x) =1

2

[f(x+)

+ f(x−)], (2.35)

dove f (x+) e f (x−) sono i limiti destro e sinistro di f(x), che a sua vol-ta e l’estensione periodica di f(x). Detto in soldoni, F (x) coincide con f(x)dappertutto, ad eccezione dei punti di discontinuita, dove converge nel puntomedio.

Questo dimostra che la serie di Fourier e completa nell’intervallo −L ≤ x ≤L. Ovviamente, cio implica che le serie seno e coseno sono anch’esse completenell’intervallo 0 ≤ x ≤ L.

2.2.5 Il fenomeno di Gibbs.

Anche questo e un argomento che qui trattiamo assai velocemente e la cuitrattazione si puo trovare in testi specializzati.

Si espanda f(x) = 1/2 in serie di seni; otteniamo:

bn =1

π

∫ π

0

sinxdx =1

nπ[1− (−1)n] → F (x) = 2

∑n dispari

sinnx

nπ. (2.36)

Ovviamente, F (x) assume il valore +1/2 tra 2nπ e (2n + 1)π ed il valoredi −1/2 tra (2n + 1)π e (2n + 2)π per ogni n intero, mentre per x = nπsi trova che F (x) = 0, cioe converge esattamente al valor medio tra −1/2 e+1/2. Si ha quindi una discontinuita avente misura a = 1 per x = nπ. Ora,quando si ricostruisce il segnale, se questa serie viene troncata, nell’intornodel punto di discontinuita si ottengono delle sovraelongazioni del valore dellafunzione ricostruita e all’aumentare del numero delle componenti della serie ilvalore di picco di detta sovraelongazione rimane costante, mentre le oscillazionialle quali tali soprelevazioni si riferiscono si avvicinano gradualmente al puntodi discontinuita. L’altezza della sovraelongazione si puo calcolare ed e ugualea circa 0.089490, ovvero la funzione che deriva dalla serie di Fourier troncatapresenta una discontinuita del 18% piu grande della funzione originale. Questo eil cosiddetto fenomeno di Gibbs: data una funzione periodica differenziabile chepresenti un punto di discontinuita finito di misura a, la serie di Fourier troncatapresenta una soprelevazione di circa 0.089490a ad ogni estremita.

26 CAPITOLO 2. LA SERIE DI FOURIER.

Capitolo 3

Il problema diSturm-Liouville.

3.1 Operatori aggiunti e autoaggiunti.

Si consideri un operatore L, che trasforma una funzione f(x) in un’altra, g(x),cioe,

Lf = g. (3.1)

Supponiamo che L sia un operatore linerare, ovvero,

Lf1 + f2 = Lf1+ Lf2 = g1 + g2. (3.2)

Chiaramente, un operatore lineare gioca nello spazio delle funzioni lo stessoruolo che una matrice gioca in uno spazio vettoriale.

Si consideri una funzione particolare, detta autofunzione, che si trasforma inuna funzione proporzionale a se stessa, a parte una funzione peso e una costante,detta autovalore:1

Lφn (x) = −λnρ (x)φn (x) . (3.3)

dove gli autovettori sono stati normalizzati. A questo punto, troviamo gli stessirisultati (1.52)-(1.55) che abbiamo visto nelle matrici e cioe che per operatoriautoaggiunti gli autovalori sono reali e le autofunzioni mutuamente ortogonali.Questo e un risultato generale, sempre valido.

Per dimostrarlo, cominciamo col definire l’operatore aggiunto di L, L†, inanalogia con l’Eq. (1.30), (

f, Lg)

=(L†f, g

), (3.4)

dove il prodotto scalare e definito in Eq. (2.30) con una funzione peso ρ.

1Si noti il segno meno davanti all’autovalore, dovuto al fatto che in questo modo nelleapplicazioni gli λi risultano positivi.

27

28 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

L’operatore aggiunto ammette in genere autovalori e autofunzioni, definitiin base all’equazione caratteristica,

L†φ†m (x) = −λ†mρ (x)φ†m (x) . (3.5)

Sostituendo (3.3) e (3.5) nella (3.4) otteniamo:(λ†∗m − λn

) (φ†m, φn

)= 0. (3.6)

Dunque:

• per m 6= n otteniamo(φ†m, φn

)= 0, cioe le autofunzioni di un ope-

ratore e del suo operatore aggiunto sono mutuamente ortogonali; se linormalizziamo e siamo nel campo reale si ha dunque:

(φ†m, φn

)= δmn.

• per m = n otteniamo: λ†∗m = λm, cioe gli autovalori dell’operatore aggiun-to sono uguali ai complessi coniugati del’operatore originale.

Adesso supponiamo che l’operatore L sia autoaggiunto (nel campo reale,l’operatore autoaggiunto si dice simmetrico) e che dunque soddisfi la condizioneseguente:

L = L†;(f, Lg

)=(Lf, g

). (3.7)

In questo caso, partendo dall’equazione degli autovalori (3.3), i risultati suddettidiventano:

(λ∗m − λn) (φm, φn) = 0, (3.8)

dove il prodotto scalare e stato definito con una funzione peso ρ [vedi (2.30)],

(φm, φn) =

∫ b

a

φ∗m (x) φn (x) ρ (x) dx, (3.9)

Dunque:

• per m 6= n otteniamo (φm, φn) = δmn, cioe le autofunzioni di un operatoreautoaggiunto sono ortogonali tra loro;

• per m = n otteniamo: λ∗m = λm, cioe gli autovalori dell’operatore autoag-giunto sono reali.

3.2 Operatori differenziali del II ordine.

Un operatore lineare si compone di: 1) una serie di operazioni lineari; b)condizioni al contorno omogenee.2

Riguardo al primo punto, qui ci concentriamo su operatori differenziali, inparticolare su operatori differenziali del secondo ordine; per quanto riguarda ilsecondo punto, invece, supponiamo che le condizioni al contorno siano separabili(cioe esprimibili localmente su ogni punto del contorno) oppure periodiche.

2Ad esempio, se f(a) = C, la condizione (3.2) non sarebbe soddisfatta.

3.2. OPERATORI DIFFERENZIALI DEL II ORDINE. 29

Noi qui siamo particolarmente interessati alle equazioni differenziali linearidel second’ordine, del tipo,

a(x)d2

dx2f(x) + b(x)

d

dxf(x) + [λc(x)− d(x)] f(x) = 0. (3.10)

Con le trasformazioni,

s (x) = exp

[∫ x b(u)

a(u)du

]; ρ (x) =

s(x)c(x)

a(x); q (x) =

s(x)d(x)

a(x), (3.11)

l’equazione (3.10) si trasforma nella seguente:

d

dx

[s(x)

d

dxf(x)

]− q(x)f(x) + λρ(x)f(x) = 0, (3.12)

che coincide con la (3.3) dove:

L =d

dx

[s(x)

d

dx

]− q(x). (3.13)

Esempio 1. Equazione di diffusione in coordinate cartesiane:

∇2xφ =

d2φ

d2x= −λφ. (3.14)

Qui s = 1; q = 0; ρ = 1.

Esempio 2. Equazione di diffusione in coordinate cilindriche:

∇2rφ =

1

r

d

dr

(rd

drφ

)= −λφ d

dr

(rd

drφ

)+ λrφ = 0. (3.15)

Qui s = r; q = 0; ρ = r.

Esempio 3. Equazione di diffusione in coordinate sferiche:

∇2rφ =

1

r2d

dr

(r2d

drφ

)= −λφ d

dr

(r2d

drφ

)+ λr2φ = 0. (3.16)

Qui s = r2; q = 0; ρ = r2.

Le equazioni differenziali del second’ordine si risolvono con due condizionial contorno, del tipo separabili,

df

dx(a)−Kaf(a) = 0;

df

dx(b) +Kbf(b) = 0, (3.17)

oppure periodiche,

f(a) = f(b);df

dx(a) =

df

dx(b). (3.18)

30 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

Si noti che le condizioni al contorno (3.17) sono quelle che si incontranofisicamente nei problemi reali, con costanti Ka e Kb positive. Ad esempio,nello scambio termico, alla parete il sistema considerato scambia calore conl’ambiente circostante con un coefficiente di scambio termico ha e hb per x = ae x = b, rispettivamente; dunque si ha: e ·JU = h (Tw − T0), dove e e un vettoreunitario uscente (e dunque diretto in senso negativo per x = a, in senso positivoper x = b), T0 e la temperatura dell’ambiente, mentre JU = −k∇T e il flussotermico. Alla fine, ritrovoamo le condizioni al contorno (3.17) con f = T − T0,Ka = ha/k e Ka = hb/k.

La teoria di Sturm-Liouville riguarda lo studio degli autovalori e delle auto-funzioni dell’operatore L definito in (3.13) e associato alle condizioni al contorno(3.17) o (3.18). Cominciamo con lo studio di alcune proprieta.

a) L’operatore L e autoaggiunto.

(f, Lg

)=

∫ b

a

f∗ (sg′)′ρdx−

∫ b

a

f∗qgρdx = [f∗sg′]ba−

∫ b

a

(sg′f ′∗ − qf∗g) dx;

(Lf, g

)=

∫ b

a

(sf ′)′∗gρdx−

∫ b

a

qf∗gρdx = [f ′∗sg]ba −

∫ b

a

(sg′f ′∗ − qf∗g) dx.

Dunque vediamo che le due espressioni sopra sono uguali (che significa per

definizione che L† = L, cioe che l’operatore e autoaggiunto) quando:

[f∗sg′]ba = [f ′∗sg]

ba . (3.19)

Ora, e facile verificare che sia le condizioni al contorno separate (3.17)che le condizioni al contorno periodiche (3.18) soddisfano identicamente questacondizione.

Concludiamo che un qualsiasi operatore differenziale del second’ordine concondizioni al contorno separabili o periodiche e autoaggiunto e dunque ammetteautovalori reali e autofunzioni ortogonali, cioe,

• λ∗m = λm;

• (φm, φn) =∫ baφm (x) φn (x) ρ (x) dx = δmn.

b) Gli autovalori di L sono positivi.

Consideriamo il caso in cui per a ≤ x ≤ b si abbia: s(x) > 0, ρ(x) > 0 eq(x) ≥ 0. Allora, moltiplicando la (3.12) per f si ottiene:

f (sf ′)′+ (λρ− q) f2 = 0. (3.20)

Integrando per parti si ha:

[sf ′f ]ba −

∫ b

a

[sf ′2 − (λρ− q) f2

]dx = 0. (3.21)

3.2. OPERATORI DIFFERENZIALI DEL II ORDINE. 31

Ora, applicando le condizioni al contorno (3.17) o (3.18), che come abbiamovisto sono quelle che si applicano in casi pratici, vediamo che il primo terminerisulta ≤ 0 e dunque:

λ

∫ b

a

ρf2dx ≥∫ b

a

(qf2 + sf ′2

)dx, (3.22)

da cui otteniamo:λ ≥ 0. (3.23)

Sottolineamo ancora che la positivita degli autovalori si applica a casi con-creti, con le condizioni al contorno indicate. Se le condizioni al contorno fosseronon-fisiche, ad esempio con Ka negativo, si otterrebbero autovalori negativi,anche se le autofunzioni risultanti sono pur sempre ortogonali tra loro.

c) Le autofunzioni di L formano una base completa.

Supponiamo che s = ρ che, come abbiamo visto in (3.20)-(3.23), corrispondeal caso dell’equazione di diffusione. Al crescere di n, le autofunzioni φn(x)variano sempre piu rapidamente (si pensi alle funzioni seno e coseno) e dunquesφ′′n s′φ′n; inoltre, λn diventa sempre piu grande, fino a che λnρ q. Allafine, otteniamo:

(sφ′n)′ + (λnρ− q)φn = 0 → φ′′n + λnφn = 0, (3.24)

da cui si vede che la φn tende a diventare una serie di Fourier che, comeabbiamo gia dimostrato, e una base completa.

Per il caso generico, quando s 6= ρ, la dimostrazione e piu complessa, ma epur sempre vero che le autofunzioni risultanti formano una base completa.

3.2.1 Esempi di applicazione.

Esempio 1.

d2φ

d2x+ λφ = 0; φ (0) = φ (L) = 0. (3.25)

Gia sappiamo che λ ≥ 0 e dunque imponiamo: λ = α2. Le autofunzioni sonodel tipo A sinαx+B cosαx. Ora, imponendo cha l’autofunzione si annulli nel’o-rigine, otteniamo che B = 0 e dunque: φ(x) = A sinαx, dove A e una costantedi normalizzazione. Imponendo che anche la seconda condizione al contornosia soddisfatta, otteniamo, come ci aspettiamo, un numero infinito di soluzioni,α = αn, corrispondenti a sinαnL = 0, cioe αn = nπ/L:

φn (x) =

√2

Lsin (αnx) ; λn = α2

n, ; αn =nπ

L, (3.26)

dove abbiamo normalizzato le autofunzioni. Dunque ritroviamo la serie di senivista nella sezione 2.2.2, dove abbiamo visto che, come deve essere, le autofun-zioni sono mutuamente ortogonali e una qualsiasi funzione f(x) che soddisfi le

32 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

condizioni al contorno (3.25) si puo rappresentare come una combinazione linea-re di autofunzioni φn, cioe in serie di seni (2.20)-(2.21). Ovviamente, imponendoche la funzione sia nulla agli estremi, non ho problemi di discontinuita in queipunti.

Esempio 2.

d2φ

d2x+ λφ = 0;

d

dxφ (0) =

d

dxφ (L) = 0. (3.27)

Troviamo:

φn (x) =

√2

Lcos (αnx) ; λn = α2

n, ; αn =nπ

L, (3.28)

e

φ0 (x) =

√1

L. (3.29)

Dunque ritroviamo la serie di coseni vista nella sezione 2.2.1, dove abbiamo vi-sto che, come deve essere, le autofunzioni sono mutuamente ortogonali e unaqualsiasi funzione f(x) che soddisfi le condizioni al contorno (3.27) si puo rappre-sentare come una combinazione lineare di autofunzioni φn, cioe in serie di coseni(2.14)-(2.15). Ovviamente, imponendo che la funzione abbia derivata nulla agliestremi e media prefissata e uguale a φ0, non ho problemi di discontinuita inquei punti.

Esempio 3.

d2φ

d2x+ λφ = 0; φ (0) = φ (L) ;

d

dxφ (0) =

d

dxφ (L) . (3.30)

Adesso troviamo gli stessi autovalori degli esempi precedenti e autofunzioni siadi seni che di coseni, cioe ritroviamo la serie di Fourier (2.23)-(2.28).

Esempio 4.

d2φ

d2x+ λφ = 0;

d

dxφ (0) = 0;

d

dxφ (L) +Kφ (L) = 0. (3.31)

Gia sappiamo che λ ≥ 0 e dunque imponiamo: λ = α2. Dunque, le autofunzionisono del tipo A sinαx + B cosαx. Ora, imponendo che la derivata si annullinell’origine, otteniamo che A = 0 e dunque: φ(x) = B cosαx, dove B e unacostante di normalizzazione. Imponendo che anche la seconda condizione alcontorno sia soddisfatta, otteniamo infinite soluzioni α = αn, con,

αn sin (αnL)−K cos (αnL) = 0; cioe tan (αnL) =KL

αnL. (3.32)

Le soluzioni corrispondono alle intersezioni tra la curva tan y e l’iperbole 1/y.Per n 1, la soluzione tende a αn ≈ (n − 1)π/L. Alla fine, considerando la

3.2. OPERATORI DIFFERENZIALI DEL II ORDINE. 33

normalizzazione, otteniamo:

φn (x) =

√2K

KL+ sin2 (αnL)cos (αnx) . (3.33)

Si noti che in questo caso la condizione di ortogonalita tra le autofunzioni,che sappiamo valida anche in questo caso, non e affatto evidente.

Esempio 5.

1

r2d

dr

(r2d

drφ

)+ λφ = 0; φ(R) = 0. (3.34)

Sappiamo che la soluzione fondamentale e del tipo 1/r e dunque impongo:

φ (r) =1

rψ (r) . (3.35)

Il problema adesso diventa:

d2ψ

dr2+ λφ = 0; ψ (L) = 0. (3.36)

Ora, sembrerebbe che il problema sia mal posto, perche manca una condizioneal contorno. Tuttavia, imponendo che la soluzione rimanga finita per r = 0,dalla (3.35) vediamo che e necessario aggiungere la condizione:

ψ (0) = 0. (3.37)

A questo punto, mi ritrovo il caso dell’esempio 1, ottenendo φn = A sinαnr ealla fine:

φn (r) =

√2

R

sin (αnx)

r; λn = α2

n, ; αn =nπ

R. (3.38)

Si noti che l’ortogonalita tra le autofunzioni, con funzione peso ρ = r2,impone:∫ R

0

φm(r)φn(r)r2dr =2

R

∫ R

0

sin(mπ

r

R

)sin(nπ

r

R

)dr = δmn, (3.39)

che e soddisfatta identicamente.

Esempio 6.

1

r

d

dr

(rd

drφ

)+ λφ = 0; φ(R) = 0. (3.40)

La soluzione di questo problema sono le funzioni di Bessel del primo tipo diordine 0, J0(αnr/R), dove αn =

√λn, dette anche funzioni armoniche cilindri-

che, che sono delle funzioni pseudo-periodiche e tendono asintoticamente a dellefunzioni del tipo cosαnx/

√x.

34 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

Infatti, oltre che le serie seno e coseno, ci sono tantissime altre basi dellospazio delle funzioni. Si pensi, ad esempio, alla serie di Taylor,

f (x) =

∞∑0

anxn; an =

1

n!f (n) (0) , (3.41)

con 0 ≤ x ≤ 1, dove xn costituisce una base di funzioni non ortogonali.Da qui, si ottiene una base di funzioni ortonormali detti polinomi di Legendre,utilizzati in coordinate sferiche. In questa breve introduzione all’argomento,tuttavia, questa parte viene omessa.

3.3 Soluzione di problemi omogenei.

Si consideri una funzione g (x, t), definita per a ≤ x ≤ b e t ≥ 0, che soddisfiuna equazione differenziale alle derivate parziali del second’ordine,

1

D

∂g

∂t= Lg, (3.42)

dove L e un operatore differenziale del second’ordine (3.13). Inoltre, g (x, t) siasoggetta alle seguenti condizioni al contorno omogenee separabili (quanto seguevale anche quando le condizioni al contorno sono periodiche):

dg

dx(a, t)−Kag (a, t) = 0;

dg

dx(b, t) +Kbg (b, t) = 0, (3.43)

e alla condizione iniziale,g (x, 0) = g0 (x) . (3.44)

Si noti che il problema necessita di due condizioni al contorno perche e delsecond’ordine nello spazio, e di una condizione iniziale perche e del prim’ordinenel tempo. Inoltre, si noti che per tempi lunghi ci aspettiamo che il sistematenda a portarsi alla sua posizione di equilibrio g∞ = g(t→∞) = 0.

Questo problema si risolve anzitutto separando le variabili, cioe supponendoche g (x, t) si possa esprimere come il prodotto tra una funzione di x ed unafunzione di t,

g (x, t) = X (x)T (t) . (3.45)

Sostituendo la (3.45) nella (3.42) e dividendo per XT si ottiene:

1

D

T

T=LXX

= −λ, (3.46)

dove T = dT/dt e X ′ = dX/dx. Ora, il primo membro della (3.46) e una fun-zione soltanto di t, mentre il secondo membro e solo una funzione di x e dunqueessi devono entrambi essere uguali ad una costante. Dalla (3.46) vediamo:

dT

dt= −DλT → T (t) = e−Dλt; (3.47)

3.3. SOLUZIONE DI PROBLEMI OMOGENEI. 35

eLX+ λX = 0. (3.48)

Quest’ultima equazione va risolta con condizioni al contorno (3.43):

dX

dx(a)−KaX (a) = 0;

dX

dx(b) +KbX (b) = 0. (3.49)

Anzitutto, dalla (3.47) appare che, in accordo con la (3.23), la costante λ deveessere positiva, poiche altrimenti la soluzione divergerebbe nel tempo. Infatti,vediamo che τ = 1/Dλ e il tempo di rilassamento, impiegato dal sistema perportarsi all’equilibrio che, nel nostro caso, corrisponde ovviamente a g∞ = 0.

Le (3.48)-(3.49) costituiscono un problema di Sturm-Liouville, che ammetteun numero infinito di soluzioni, X (x) = φn (x), dette autofunzioni, ognuna dellequali corrispondente ad un autovalore, λn. Come abbiamo visto, le autofunzionisono tra loro ortogonali e gli autovalori sono reali e positivi; come abbiamo vistosopra, quest’ultima condizione, dimostrata matematicamente con la (3.23), euna conseguenza del suo significato fisico legato al tempo di rilassamento.

Abbiamo visto che le soluzioni sono del tipo φn (x) e−Dλnt. Ora, dal momen-to che il problema e lineare, vale il principio di sovrapposizione e la soluzionepiu generale e una combinazione lineare di queste soluzioni, cioe,

g (x, t) =∑n

gnφi (x) e−Dλnt, (3.50)

dove le autofunzioni φn (x, t) sono ortonormali, con

(φm, φn) =

∫ b

a

φm (x)φn (x) ρ (x) dx = δmn. (3.51)

Adesso determiniamo le costanti gn tramite la condizione iniziale, rimasta finorainutilizzata. Per t = 0, applicando la (3.44) alla (3.50) si ottiene:

g0 (x) =∑m

gmφm (x) . (3.52)

Dunque, poiche la serie delle autofunzioni e completa, moltiplicando questaequazione per φnρ, integrando e applicando la condizione (3.51) di ortonorma-lita, si ottiene:

gn = (φn, g0) =

∫ b

a

φn (x) g0 (x) ρ (x) dx. (3.53)

3.3.1 Comportamento asintotico

Per tempi lunghi, il termine dominante nella serie (3.50) e il primo. Infatti:

g (x, t) = g1φ1 (x) e−Dλ1t[1 +O

(e−D(λ2−λ1)t

)]. (3.54)

Dunque vediamo che g ≈ e−t/τ , dove τ e il tempo di rilassamento,

τ =1

Dλ1. (3.55)

36 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

3.3.2 La funzione di Green.

Sostituendo la (3.53) nella (3.50) si ottiene:

g (x, t) =

∫ b

a

G (x, x′, t) g0 (x′) dx′, (3.56)

dove

G (x, x′, t) =∑n

φn (x)φn (x′) ρ (x′) e−Dλnt. (3.57)

G (x, x′, t) e detta funzione di Green o propagatore. Ovviamente, la funzione diGreen caratterizza il comportamento di un sistema che obbedisca ad un datoproblema (cioe un’equazione differenziale lineare con condizioni al contorno)omogeneo. Poi, date le condizioni iniziali, si determina la risposta del sistemautilizzando l’integrale di convoluzione (3.56).

Imponendo che la (3.56) sia soddisfatta anche per t = 0, vediamo che∑n

φn (x)φn (x′) ρ (x′) = δ (x− x′) , (3.58)

dove δ (x) e la delta di Dirac (vedi il capitolo seguente), definita come:

g (x) =

∫ b

a

δ (x− x′) g (x′) dx. (3.59)

Imponendo che nella (3.56) si abbia g0 (x′) = δ (x′ − x) e considerando ladefinizione (3.59), si trova: G (x, x, t) = g (x, t). Questo indica come la funzionedi Green G (x, x′, t) esprima la risposta del sistema, in posizione x e tempo t,ad un impulso introdotto inizialmente, per t = 0, in posizione x′.

Infine si noti che, in base alla (3.58), la delta di Dirac si puo esprimere inmolti modi tra loro equivalenti. Ad esempio, nel caso in cui le autofunzionisoddisfino la (3.25) oppure la (3.27), si ottengono le due seguenti espressioni:

δ (x− x′) =2

L

∑n

sin(nπ

x

L

)sin

(nπ

x′

L

), (3.60)

e

δ (x− x′) =1

L+

2

L

∑n

cos(nπ

x

L

)cos

(nπ

x′

L

). (3.61)

3.4 Soluzione di problemi non omogenei.

Si consideri una funzione f (x, t), definita per a ≤ x ≤ b e t ≥ 0, che soddisfaluna equazione differenziale alle derivate parziali del second’ordine,

1

D

∂f

∂t= Lf+ r, (3.62)

3.4. SOLUZIONE DI PROBLEMI NON OMOGENEI. 37

ed e soggetta alle condizioni al contorno separabili:

df

dx(a, t)−Ka [f (a, t)− fa] = 0;

df

dx(b, t) +Kb [f (b, t)− fb] = 0, (3.63)

e alla condizione iniziale,f (x, 0) = f0 (x) . (3.64)

Come per il caso omogeneo, il problema necessita di due condizioni al contornoperche e del second’ordine nello spazio, e di una condizione iniziale perche e delprim’ordine nel tempo. Tuttavia, per tempi lunghi ci aspettiamo che il sistematenda a portarsi alla sua posizione di equilibrio, che pero in questo caso non equella a valor nullo.

L’idea qui e di esprimere la soluzione f (x, t) come la somma del valorestazionario F (x) piu la parte restante g (x, t) che, per definizione, tende a zeroper tempi lunghi e dunque soddisfa un problema omogeneo.

Cominciamo con il trovare lo stato stazionario, F (x). Esso soddisfa l’equa-zione:

LF+ r = 0, (3.65)

con condizioni al contorno:

dF

dx(a)−Ka [F (a)− fa] = 0;

dF

dx(b) +Kb [f (b)− fb] = 0. (3.66)

Adesso, definiamo:

f (x, t) = F (x) + g (x, t) ; cioe g (x, t) = f (x, t)− F (x) . (3.67)

E facile vedere che g (x, t) soddisfa il seguente problema omogeneo:

1

D

∂g

∂t= Lg, (3.68)

soggetto alle condizioni al contorno omogenee separabili:

dg

dx(a, t)−Kag (a, t) = 0;

dg

dx(b, t) +Kbg (b, t) = 0. (3.69)

La complicazione deriva invece dalla condizione iniziale, che diventa:

g (x, 0) = g0 (x) = f (x, 0)− F (x) = f0 (x)− F (x) . (3.70)

Come visto nella sezione precedente, la soluzione di questo problema si puoscrivere come:

g (x, t) =∑i

giφi (x) e−Dλit, (3.71)

dove le autofunzioni φi (x, t) soddisfano il problema di Sturm-Liouville,

Lφi+ λiφi = 0, (3.72)

38 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

con condizioni al contorno:

dφidx

(a)−Kaφi (a) = 0;dφidx

(b) +Kbφi (b) = 0. (3.73)

Utilizzando il fatto che le autofunzioni sono ortonormali [vedi la (3.51)], le co-stanti gi si determinano tramite la condizione iniziale, ottenendo, come nella(3.53):

gj = (φj , g0) =

∫ b

a

φj (x) [f0 (x)− F (x)] ρ (x) dx. (3.74)

Alla fine, sostituendo la (3.74) nella (3.71) otteniamo g (x, t), e sommandovipoi F (x), otteniamo la soluzione finale g (x, t).

Si noti che a proposito del tempo τ che caratterizza il rilassamento del si-stema verso il suo stato stazionario valgono ancora le considerazioni fatte nellasezione 3.3.1 e in particolare τ = 1/Dλ1.

3.5 Esempi di applicazione.

3.5.1 Esempio 1.

∂f

∂t= D

∂2f

∂x2; 0 ≤ x ≤ L; t ≥ 0, (3.75)

con condizioni al contorno,

f (0, t) = T1;∂f

∂x(L, t) = 0, (3.76)

e condizione iniziale,f (x, 0) = T0. (3.77)

Stato stazionario.

d2F

dx2= 0; F (0) = T1;

dF

dx(L) = 0. (3.78)

Si trova:F (x) = T1. (3.79)

Trasformazione.Definiamo una funzione,

g (x, t) = f (x, t)− F (x) , (3.80)

che soddisfa un problema omogeneo, con l’equazione,

∂g

∂t= D

∂2f

∂x2; 0 ≤ x ≤ L; t ≥ 0, (3.81)

3.5. ESEMPI DI APPLICAZIONE. 39

condizioni al contorno,

g (0, t) =∂g

∂x(L) = 0, (3.82)

e condizione iniziale,g (x, 0) = g0 (x) = T0 − T1. (3.83)

Nota: Bastava ridefinire un f ′ = f−T1 per ottenere un problema omogeneo.

Autovalori e autofunzioni.Si ottiene la soluzione (3.50):

g (x, t) =∑i

giφi (x) e−Dλit, (3.84)

dove le autofunzioni φi (x, t) e gli autovalori λi soddisfano il problema di Sturm-Liouville,

d2φidx2

+ λiφi = 0; φi (0) =dφidx

(L) = 0. (3.85)

Dunque le autofunzioni sono del tipo sin√λx, in modo da soddisfare la

prima condizione al contorno, φ(0) = 0. Imponendo che la seconda condizionesia soddisfatta si ottiene per gli autovalori:√

λnL =

(n− 1

2

)π; → λn =

(n− 1

2

)2π2

L2(3.86)

Dunque alla fine otteniamo:

φn (x) =

√2

Lsin

[(n− 1

2

)πx

L

], (3.87)

dove le autofunzioni sono state normalizzate.

Condizioni iniziali.Ora, utilizzando il fatto che le autofunzioni sono ortonormali [vedi la (3.51)],

le costanti gi si determinano tramite la condizione iniziale, ottenendo,

gj = (φj , g0) =

√2

L

∫ L

0

sin

[(n− 1

2

)πx

L

](T0 − T1) dx =

√2L (T0 − T1)

π(n− 1

2

) .

(3.88)

Conclusione.Sommando il tutto otteniamo:

f (x, t) = T1 +2

π(T0 − T1)

∑n

sin[(n− 1

2

)π xL]

n− 12

exp

−(n− 1

2

)2π2Dt

L2

.

(3.89)Il tempo di rilassamento risulta:

τ =1

Dλ1=

4L2

π2D. (3.90)

Come previsto, il tempo caratteristico risulta essere di O(L2/D

).

40 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

3.5.2 Esempio 2.

∂f

∂t= D

∂2f

∂x2; 0 ≤ x ≤ L; t ≥ 0, (3.91)

con condizioni al contorno,

f (0, t) = T0; f (L, t) = T1, (3.92)

e condizione iniziale,f (x, 0) = T0. (3.93)

Stato stazionario.

d2F

dx2= 0; F (0) = T0; F (L) = T1. (3.94)

Si trova:F (x) = T0 + (T1 − T0)

x

L. (3.95)

Trasformazione e problema di Sturm-Liouville.Definiamo una funzione,

g (x, t) = f (x, t)− F (x) . (3.96)

Procedendo come nel problema precedente, otteniamo:

g (x, t) =∑n

gnφn (x) e−Dλnt, (3.97)

dove le autofunzioni φn (x, t) e gli autovalori λn soddisfano il problema di Sturm-Liouville,

d2φndx2

+ λnφn = 0; φn (0) = φn (L) = 0, (3.98)

da cui:

φn (x) =

√2

Lsin[nπ

x

L

]; λn =

n2π2

L2, (3.99)

dove le autofunzioni sono state normalizzate.

Condizioni iniziali.Ora, utilizzando il fatto che le autofunzioni sono ortonormali [vedi la (3.51)],

le costanti gi si determinano tramite la condizione iniziale, ottenendo la consuetaserie di seni,

g0(x) =

√2

L

∞∑n=1

gn sin(nπ

x

L

), (3.100)

con

gn =

√2

L

∫ L

0

g0 (x) sin(nπ

x

L

)dx. (3.101)

3.5. ESEMPI DI APPLICAZIONE. 41

Dunque, poiche g0(x) = (T1 − T0)x/L, otteniamo:

gn = (φn, g0) =

√2

L

∫ L

0

sin(nπ

x

L

)(T1 − T0)

x

Ldx =

√2L (T1 − T0)

πn(−1)

n.

(3.102)

Conclusione.Sommando il tutto otteniamo:

f (x, t) = T0+(T1 − T0)x

L+

2

π(T1 − T0)

∑n

(−1)n

nsin(nπ

x

L

)exp

−n

2π2Dt

L2

.

(3.103)Ancora, il tempo di rilassamento risulta essere di O

(L2/D

),

τ =1

Dλ1=

L2

π2D. (3.104)

Nota 1.

Con le seguenti condizioni al contorno,

f (0, t) = T0; k∂f

∂x(L, t) = −h [f (L, t)− T1] , (3.105)

si trova:

F (x) = T0 +Bi

1 +Bi(T1 − T0)

x

L; Bi =

hL

k, (3.106)

dove Bi e il numero di Biot, mentre la soluzione del problema omogeneo e ancorala (3.97), con

d2φndx2

+ α2nφi = 0; φn (0) = 0; k

dφndx

(L) + hφn (L) = 0. (3.107)

Da qui troviamo:

φn (x) = Cn sin (αnx); kαn cosαnL = h sinαnL, (3.108)

dove le Cn sono costanti di normalizzazione. Dunque vediamo che gli autovalorisi ottengono dall’equazione seguente,

tanαnL = −αnLBi

, (3.109)

e indicano le intersezioni tra la retta y = −x/Bi e la funzione y = tanx, conx = αL.

Ovviamente, quando Bi = 0 ritroviamo il problema 1 con αnL = (n−1/2)π,mentre quando Bi 1 ritroviamo il Problema 2, con αnL = nπ.

42 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

Nota 2.

Con le seguenti condizioni al contorno,

∂f

∂x(0, t) =

∂f

∂x(L, t) = 0, (3.110)

si trova:F (x) = C, (3.111)

dove C e una costante da determinarsi, mentre la soluzione del problema omo-geneo e ancora la (3.97), con

d2φndx2

+ α2nφi = 0;

dφndx

(0) =dφndx

(L) = 0. (3.112)

Da qui troviamo:

φ0 (x) =

√1

L; φn (x) =

√1

Lcos (αnx); αn =

L. (3.113)

e dunque,

f (x, t) = f0

√1

L+

√1

L

∞∑n=1

fi cos(nπxL

)e−n

2π2Dt/L2

, (3.114)

dove la costante C e stata inglobata in f0.Le costanti fn si determinano imponendo la condizione iniziale, cioe, f (x, t = 0) =

f0 (x),

f0 (x) = f0

√1

L+

√1

L

∞∑n=1

fn cos(nπxL

). (3.115)

Questa e la consueta serie di coseni, e dunque,

f0 =

√1

L

∫ L

0

f0 (x) dx; fn =

√2

L

∫ L

0

f0 (x) cos(nπ

x

L

)dx. (3.116)

Da qui vediamo che la soluzione stazionaria e (ovviamente) il valore mediodi f0(x), cioe,

f (x, t→∞) =1

L

∫ L

0

f0 (x) dx. (3.117)

(infatti, se la condizione iniziale fosse f0 = T0 costante, questa sarebbe anche lasoluzione del problema.)

3.5.3 Esempio 3.

∂f

∂t= D

1

r2∂

∂r

(r2∂f

∂r

); 0 ≤ r ≤ R; t ≥ 0, (3.118)

3.5. ESEMPI DI APPLICAZIONE. 43

con condizioni al contorno,

f (R, t) = T1, f (0, t) = finito, oppure∂f

∂r(0, t) = 0, (3.119)

e condizione iniziale,f (r, 0) = T0. (3.120)

Stato stazionario.

d

dr

(r2dF

dr

)= 0;

dF

dr(0) = 0; F (L) = T1. (3.121)

Si trova:F (r) = T1. (3.122)

Trasformazione e problema di Sturm-Liouville.Definiamo una funzione,

g (r, t) = f (r, t)− F (r) . (3.123)

Procedendo come nel problema precedente, otteniamo:

g (r, t) =∑i

giφi (r) e−Dλit, (3.124)

dove le autofunzioni φi (r, t) e gli autovalori λi soddisfano il problema di Sturm-Liouville (3.34),

1

r2d

dr

(r2d

drφi

)+ λiφ = 0; φi(R) = 0. (3.125)

da cui [si veda la (3.38)]:

φn (x) =

√2

R

1

rsin[nπ

r

R

]; λn =

n2π2

R2, (3.126)

dove le autofunzioni sono state normalizzate.

Condizioni iniziali.Ora, utilizzando il fatto che le autofunzioni sono ortonormali [vedi la (3.51)],

le costanti gi si determinano tramite la condizione iniziale, g0(x) = (T0 − T1),ottenendo,

gj = (φj , g0) =

√2

R

∫ R

0

sin(nπ

r

R

)(T0 − T1) rdr = −

√2R3 (T0 − T1)

πn(−1)

n.

(3.127)

Conclusione.

44 CAPITOLO 3. IL PROBLEMA DI STURM-LIOUVILLE.

Sommando il tutto otteniamo:

f (x, t) = T1 −2 (T0 − T1)

π

∑n

(−1)n

n

1

rsin(nπ

r

R

)exp

−n

2π2Dt

R2

. (3.128)

Ancora, il tempo di rilassamento risulta essere di O(R2/D

),

τ =1

Dλ1=

R2

π2D. (3.129)

Nota 1.

In tutti i problemi omogenei associati con i problemi visti, la funzione diGreen e data dalla (3.57).

Capitolo 4

La trasformata di Fourier.

4.1 Definizioni e proprieta.

Partiamo dalla serie di Fourier, definita per −L ≤ x ≤ L,

f(x) =1

2a0 +

∞∑n=1

an cos(nπ

x

L

)+ bn sin

(nπ

x

L

). (4.1)

Definendo,

cn =1

2(an − ibn) per n > 0; c0 =

1

2a0; cn =

1

2(a−n + ib−n) per n < 0,

vediamo che la serie di Fourier si puo anche esprimere in forma complessa comesegue:

f(x) =

∞∑n=−∞

cneinπx/L. (4.2)

Dunque la serie ψn = eiknx costituisce una base ortogonale, non norma-lizzata; infatti,

(ψm, ψn) =

∫ L

−Lei(n−m)πx/Ldx =

2L m = n0 m 6= n

(4.3)

Moltiplicando la (4.2) per e−imπx/L e sostituendovi la (4.3) otteniamo:

cn =1

2L

∫ L

−Lf (x) e−inπx/Ldx. (4.4)

In particolare, se f(x) e reale, otteniamo: c−n = c∗n, dove l’asterisco indicail complesso coniugato.

Ora, sostituendo la (4.4) nella (4.2) si ottiene:

f (x) =

∞∑n=−∞

1

2L

∫ L

−Lf (x′) e−iknx

′dx′eiknx; kn = n

π

L, (4.5)

45

46 CAPITOLO 4. LA TRASFORMATA DI FOURIER.

e dunque:

f (x) =

∞∑n=−∞

fL (kn) eiknx∆k

2π; ∆k = kn+1 − kn =

π

L, (4.6)

dove,

fL (kn) =

∫ L

−Lf (x) e−iknxdx = 2Lcn. (4.7)

A questo punto, prendendo il limite per L→∞, otteniamo:

f (x) = F−1f (x) =

∫ ∞−∞

f (k) eikxdk

2π, (4.8)

e

f (k) = Ff (k) =

∫ ∞−∞

f (x) e−ikxdx. (4.9)

f (k), definita nella (4.9), si chiama la trasformata di Fourier di f (x), mentrela (4.8) definisce la formula di Fourier inversa , o antitrasformata di Fourier.

Si vede che, a parte il fattore 2π, trasformata e antitrasformata sono inter-scambiabili quando x↔ −k e dunque:

Ff (x) = F (k) → FF (x) = 2πf (−k) . (4.10)

Si noti che, nel passare da (4.7) a (4.9), abbiamo tacitamente ipotizzatoche l’integrale converga. In effetti, nella maggior parte dei casi di interesse, siaf (x) che f (k) tendono esponenzialmente a zero all’infinito, e questo e cio chesupporremo nel seguito,

lim|x|→∞

f (x) ≈ e−x2

; lim|k|→∞

f (k) ≈ e−k2

. (4.11)

Inoltre, finora, abbiamo anche ipotizzato che f (x) sia una funzione ovun-que continua. Tuttavia, cosı come abbiamo visto a proposito della serie diFourier [vedi la (2.35)], quando la funzione f (x) e continua a pezzi (piecewisecontinuous) otteniamo alla fine, invece della (4.8), la seguente relazione:

F−1f (x) = limL→∞

∞∑n=−∞

fL (kn) eiknx∆k

2π=

1

2

[f(x+)

+ f(x−)], (4.12)

dove f (x+) e f (x−) sono il limite superiore e inferiore di f (x).

Infine, si noti che k, essendo dimensionalmente l’inverso di x, indica unafrequenza (spaziale se x e una distanza, temporale se e un tempo).

4.1. DEFINIZIONI E PROPRIETA. 47

4.1.1 Proprieta.

La trasformata di Fourier ha numerose e utili proprieta. Nel seguito ne elen-chiamo alcune.

Principio di sovrapposizione.La trasformazione di Fourier e un’operazione lineare; come tale, soddisfa il

principio di sovrapposizione,

Ff1 + f2 (k) = Ff1 (k) + Ff2 (k) . (4.13)

Teorema di Parseval.Considerando la (4.2) e la (4.7) otteniamo:

‖f‖2 =

∫ ∞−∞|f (x) |2dx = 2L

∞∑−∞|cn|2 =

∞∑−∞|fL (kn) |2 ∆k

2π, (4.14)

e prendendo il limite per L→∞ otteniamo il cosiddetto teorema di Parseval,

‖f‖2 =

∫ ∞−∞|f (x) |2dx =

∫ ∞−∞|f (k) |2 dk

2π. (4.15)

o, in generale, ∫ ∞−∞

f∗ (x) g (x) dx =

∫ ∞−∞

f∗ (k) g (k)dk

2π. (4.16)

Funzioni traslate.E facile dimostrare che:

Ff (x− a) = e−ikaf (k) , (4.17)

eF−1f (k − a) = eikaf (x) . (4.18)

Teorema di convoluzione.Supponiamo che tre funzioni siano legate tra loro con un integrale di convo-

luzione,

h (x) =

∫ ∞∞

f (x− x′) g (x′) dx′. (4.19)

Prendendo la trasformata di Fourier otteniamo:∫ ∞−∞

h (x) e−ikxdx =

∫ ∞∞

∫ ∞∞

f (x− x′) e−ik(x−x′)g (x′) e−ikx

′dx′dx,

da cui,h (k) = f (k) g (k) . (4.20)

48 CAPITOLO 4. LA TRASFORMATA DI FOURIER.

Trasformata di una derivata.Integrando per parti si ha:∫ ∞

−∞

df

dx(x) e−ikxdx =

[fe−ikx

]∞−∞ + ik

∫ ∞−∞

f (x) e−ikxdx,

e dunque,

F dfdx = ik Ff. (4.21)

Generalizzando, si ha:

Fdnf

dxn = (ik)

nFf. (4.22)

Dal teorema duale (4.10) questa relazione si puo invertire ottenendo,

Fxnf(x) = indnf

dkn. (4.23)

Trasformata di un integrale.La relazione inversa della (4.21) e la seguente,

F∫ x

−∞f(ξ)dξ =

1

ikf (k) + πf (0) δ (k) , (4.24)

dove abbiamo tenuto conto del fatto che l’integrale e definito a meno di unacostante e che la antitrasformata di una costante e una funzione di Dirac nellospazio delle frequenze [vedi (4.51)].1

4.2 Esempi di applicazione.

Esempio 1.

f (x) = e−|x|. (4.25)

Otteniamo:

f (k) =

∫ 0

−∞exe−ikxdx+

∫ ∞0

e−xe−ikxdx, (4.26)

e dunque,

f (k) =1

1− ik+

1

1 + ik=

2

1 + k2, (4.27)

ovvero,

Fe−|x| =2

1 + k2=

∫ ∞−∞

e−|x|e−ikxdx. (4.28)

1Detto g(x) l’integrale in oggetto, vediamo che g(−∞) = 0 e g(∞) = f(0). Allora, la

funzione h(x) = g(x) − f(0)H(x) tende a 0 per x = ±∞ e dunque posso considerare la sua

trasformata, ottenendo [vedi la (4.51)]: h(k) = g(k) − f(0) [−i/k + πδ(k)]. Ma d’altra parte

h′(x) = f(x)− f(0)δ(x) e dunque ikh(k) = f(k)− f(0). Da qui, otteniamo il risultato voluto.

4.3. GAUSSIANA E DELTA DI DIRAC. 49

Adesso consideriamo il caso opposto:

f (x) =2

1 + x2. (4.29)

Dalla (4.28), scambiando k con −x, otteniamo:

2

1 + x2=

∫ ∞−∞

e−|k|eikxdk, (4.30)

cioe,

F 2

1 + x2 = 2πe−|k|. (4.31)

Questo esempio mostra come trasformata e antitrasformata siano scambia-bili, in accordo con la (4.10).

Esempio 2.

f (x) =0 x < a;1 a ≤ x ≤ b;0 x > b.

(4.32)

Si trova, per k 6= 0,

f (k) =1

ik

(e−ika − e−ikb

), (4.33)

mentre f (0) = (b− a).La funzione f (x) e discontinua in a e in b. In quei punti, si puo verificare

che l’antitrasformata converge nel punto intermedio, cioe,

F−1f (a) = F−1f (b) =1

2. (4.34)

4.3 Gaussiana e delta di Dirac.

Consideriamo la funzione gaussiana,

f (x) =1√2πσ

e−x2

2σ2 , (4.35)

che esprime la probabilita di eventi casuali. La funzione e normalizzata, cioe,∫ ∞−∞

f (x) dx = 1, (4.36)

centrata attorno all’origine, con media zero,∫ ∞−∞

x f (x) dx = 0, (4.37)

50 CAPITOLO 4. LA TRASFORMATA DI FOURIER.

e dove σ2 e’ la varianza, cioe il valore quadratico medio,∫ ∞−∞

x2 f (x) dx = σ2. (4.38)

Definendo il valore medio di una variabile A(x) come,

〈A〉 =

∫ ∞−∞

A (x) f (x) dx, (4.39)

le relazioni viste sopra diventano:

〈1〉 = 1; 〈x〉 = 0; 〈x2〉 − 〈x〉2 = σ2. (4.40)

La trasformata di Fourier di una gaussiana si calcola facilmente:

f (k) =1√2πσ

∫ ∞−∞

e−ikx−x2

2σ2 dx =1√2πσ

e−12k

2σ2

∫ ∞−∞

e−12 (ikσ+ x

σ )2

dx. (4.41)

Definendo la variabile, ξ = xσ + ikσ, otteniamo:∫ ∞

−∞e−

12 (ikσ+ x

σ )2

dx = σ

∫ ∞−∞

e−12 ξ

2

dξ =√

2πσ, (4.42)

e dunque concludiamo:

f (k) = e−12k

2σ2

. (4.43)

In particolare, f (0) = 1, che coincide con la (4.36). Inoltre, se la gaussiana ecentrata attorno ad un valor medio, x, otteniamo facilmente:

f (x) =1√2πσ

e−(x−x)2

2σ2 ; f (k) = e−12k

2σ2−ikx. (4.44)

Al diminuire di σ, la distribuzione diventa alta e stretta, poiche diminuiscela sua varianza pur mantrenendosi inalterata l’area sottesa. Al limite, quandoσ → 0, la funzione gaussiana tende ad una, cosiddetta, delta di Dirac,

δ (x) = limσ→0

1√2πσ

e−x2

2σ2 . (4.45)

Per definizione, il limite di una serie di funzioni si chiama distribuzione, chedunque generalizza il concetto di funzione. Ad esempio, la delta di Dirac e unoggetto uguale a 0 ovunque, ad eccezione che in un punto, e ciononostante lasua area resta finita.

Ora, prendendo il limite della (4.43) per σ → 0, troviamo che la trasformatadi Fourier della delta di Dirac e uguale a 1,

δ (k) = Fδ (x) (k) = 1. (4.46)

Viceversa, in base alla (4.10),

F1 (k) = 2πδ (k) . (4.47)

4.4. APPLICAZIONI. 51

Ora, se consideriamo l’integrale di convoluzione (4.19) con f(x) = δ(x),

sostituendo la (4.20), con δ (k) = 1, vediamo che h = g, e quindi h = g. Dunqueotteniamo la seguente proprieta della delta di Dirac (che talvolta si indica comela sua definizione),

g (x) =

∫ ∞−∞

δ (x− x′) g (x′) dx′. (4.48)

Ora studiamo il comportamento delle derivate della delta di Dirac. In basealla (4.22), abbiamo:

F dnδ

dxn = (ik)

n(4.49)

e dunque, sostituendo questo risultato nella (4.19) si trova:∫ ∞−∞

dnδ

dxn(x− x′) g (x′) dx′ =

dng

dxn(x) . (4.50)

Viceversa, il comportamento dell’integrale della delta di Dirac e piu compli-cato, perche le funzioni f(x) di cui abbiamo calcolato la trasformata di Fourierdevono avere un integrale tra −∞ e ∞ finito. Ora, l’integrale di δ (x) tra −∞ e∞ e la funzione di Heaviside, o step function (funzione a gradino), H (x), taleche H (x) = 0 per x < 0 e H (x) = 1 per x > 0 e dunque dH/dx = δ(x). Tut-tavia, l’integrale di H(x) tra −∞ e ∞ diverge e dunque non posso utilizzare iteoremi visti in precedenza. Allora, sfrutto il fatto che, se aggiungo una costantea H(x), la derivata e sempre la delta di Dirac; in particolare, la funzione segno,S (x) = H (x)− 1

2 , con S (x < 0) = − 12 e S (x > 0) = 1

2 , ha un integrale tra −∞e ∞ nullo, e dunque da dS/dx = δ(x) si ottiene: S(k) = 1/ik = H(k) − F 12.Ora, in base alla (4.47) si ricava,

FH (x) =1

ik+ πδ (k) . (4.51)

A questo punto, possiamo continuare ad integrare. L’integrale della funzionea gradino e la funzione rampa, s(x) = xH(x). Utilizzando il teorema dellaconvoluzione,2 alla fine troviamo:

Fs (x) =1

(ik)2+ iπδ′(k). (4.52)

4.4 Applicazioni.

4.4.1 Equazione di diffusione.

Si consideri l’equazione di diffusione per la funzione f (x, t) definita nello spazioinfinito,

∂f

∂t= D

∂2f

∂x2; −∞ < x <∞; t ≥ 0, (4.53)

2FxH(x) =∫iδ′(k′ − k)

[1ik′ + πδ(k′)

]dk′

52 CAPITOLO 4. LA TRASFORMATA DI FOURIER.

da risolversi con condizioni iniziali,

f (x, t = 0) = f0 (x) . (4.54)

Si noti che abbiamo tacitamente ipotizzato che f(x) tende a zero rapidamente(ovvero esponenzialmente) quando |x| → ∞.

Si consideri la trasformata di Fourier,

f (k, t) = Ff (k, t) =

∫ ∞−∞

f (x, t) e−ikxdx. (4.55)

e la relativa antitrasformata,

f (x, t) = F−1f (x, t) =

∫ ∞−∞

f (k, t) eikxdk

2π. (4.56)

Dalla defininizione (4.55) e dalla (4.22) otteniamo:

F∂f∂t =

∂f

∂t; F∂

2f

∂x2 = −k2f , (4.57)

da cui otteniamo la seguente equazione differenziale ordinaria,

∂f

∂t+Dk2f = 0, (4.58)

da risolversi con la seguente condizione iniziale:

f (k, t = 0) = f0 (k) = Ff0 (x). (4.59)

Dunque otteniamo:

f (k, t) = f0 (k) e−Dk2t, (4.60)

da cui si ottiene la soluzione di Fourier,

f (x, t) =

∫ ∞−∞

f0 (k) e−Dk2teikx

dk

2π. (4.61)

La soluzione, tuttavia, si puo anche rappresentare in un modo piu convenien-te applicando alla (4.60) il teorema di convoluzione (4.19)-(4.20) e considerandola forma (4.43) della trasformata di una gaussiana (4.35), con σ2 = 2Dt. Allafine otteniamo:

f (x, t) =

∫ ∞−∞

G (x− x′, t) f0 (x′) dx′, (4.62)

dove

G (x, t) = F−1e−Dk2t =

1√4πDt

e−x2

4Dt . (4.63)

e la funzione di Green, o propagatore [vedi la(3.56)-(3.57)] dell’equazione delcalore (4.53) in uno spazio infinito. Infatti, G (x, t) rappresenta la distribuzione

4.4. APPLICAZIONI. 53

f(x, t) quando al tempo t = 0 e nel punto x′ = 0 si e introdotto un impulso,δ (x), e dunque soddisfa il problema:

∂G

∂t−D∂

2G

∂x2= 0; G (x, t = 0) = δ (x) . (4.64)

Si noti infatti che, in base alla (4.45), la gaussiana (4.63) per t → 0 tende alladelta di Dirac. Come deve essere in uno spazio infinito e omogeneo, la funzionedi Green G (x, x′, t) dipende da x− x′ soltanto, e non da x e x′ separatamente,come accade normalmente.

Questa e la rappresentazione esplicita della soluzione dell’equazione di dif-fusione.

La soluzione (4.62)-(4.63) si applica facilmente al caso in cui nel semispaziox ≥ 0 la funzione f(x, t) soddisfi l’equazione di diffusione (4.53), con condizioniiniziali e al contorno

f (x, t = 0) = f0(x); f (x = 0, t) = 0. (4.65)

Ora, per utilizzare la trasformata di Fourier occorre operare in tutto lo spa-zio. Dunque, si consideri l’estensione dispari della f(x, t), F (x, t), definita per−∞ < x < ∞, con F (x, t) = f(x, t) per x > 0 e F (x < 0, t) = −f(−x, t) perx < 0. Dunque, F (x, t) soddisfa l’equazione di diffusione (4.53) con le seguenticondizioni iniziali,

F (x > 0, t = 0) = f0(x); F (x < 0, t) = −f0(−x); (4.66)

queste ultime garantiscono che la condizione al contorno F (x = 0, t) = 0 siasoddisfatta identicamente, per simmetria. A questo punto, dalle (4.62)-(4.63)otteniamo:

F (x, t) =1√

4πDt

(∫ ∞0

e−(x−x′)2

4Dt f0(x′)dx′ −∫ 0

−∞e−

(x−x′)24Dt f0(−x′)dx′

).

Da qui si vede che la condizione al contorno viene identicamente soddisfattaimmaginando che la funzione di Green sia composta da due gaussiane, postesimmetricamente rispetto all’asse x = 0 e capovolte tra loro. Da qui, cambiandola variabile di integrazione nel secondo integrale da x′ a −x′ otteniamo:

f(x, t) =1√

4πDt

∫ ∞0

(e−

(x′−x)24Dt − e−

(x′+x)24Dt

)f0(x′)dx′. (4.67)

In particolare, quando f0(x) = 1, otteniamo con ovvie sostituzioni:

f(x, t) =1√π

∫ ∞−x/√4Dt

e−ξ2

dξ − 1√π

∫ ∞x/√4Dt

e−ξ2

dξ, (4.68)

54 CAPITOLO 4. LA TRASFORMATA DI FOURIER.

e da qui, definendo la variabile autosimile η = x/√

4Dt, arriviamo alla consuetasoluzione,

f(x, t) =1√π

∫ η

−ηe−ξ

2

dξ =2√π

∫ η

0

e−ξ2

dξ = erf (η) . (4.69)

Si noti che, se la condizione al contorno fosse invece,

∂f

∂x(x = 0, t) = 0, (4.70)

dovremmo considerare l’estensione pari di f(x, t), invece della dispari, ovverola funzione di Green sara composta da due gaussiane, poste simmetricamenterispetto all’asse x = 0, ma questa volta non capovolte tra loro. Dunque siottiene,

f(x, t) =1√

4πDt

∫ ∞0

(e−

(x′−x)24Dt + e−

(x′+x)24Dt

)f0(x′)dx′. (4.71)

In particolare, quando f0(x) = 1, otteniamo l’ovvio risultato f (x, t) = 1.

4.4.2 Reologia dei materiali viscoelastici.

Un materiale viscoelastico presenta sia un comportamento elastico, tipico deisolidi, che un comportamento viscoso, tipico dei liquidi. Inoltre, si tratta disistemi lineari, per cui il comportamento elastico viene modellato con l’equazionedi Hooke, σ = Gγ, mentre quello viscoso dall’equazione costitutiva di Newton,σ = ηγ, dove σ e lo sforzo di taglio, γ e la deformazione di taglio (shear),γ = dγ/dt e la velocita di deformazione, cioe il gradiente di velocita (shear rate),G il modulo di taglio (legato al modulo elastico di Young E) e η la viscosita. Sinoti che γ = ∇r e γ = ∇r = ∇v sono tensori, come anche lo sforzo di taglio σ,ma qui presentiamo una versione semplificata, in cui si suppone che il sistemasia isotropo.

Dunque, in base all’equazione di Hooke, in un materiale elastico sforzi edeformazioni sono in fase, cioe se imponiamo una deformazione che varia inmodo periodico nel tempo, γ = γ0 sin(ωt), dove ω e la frequenza temporale,allora lo sforzo di taglio risultante varia nello stesso modo, σ = σ0 sin(ωt),dove σ0 = Gγ0. Viceversa, in un materiale viscoso sforzi e deformazioni sonosfasati di π/2, cioe se γ = γ0 sin(ωt), allora γ = γ0 cos(ωt), dove γ0 = ωγ0, eσ = σ0 cos(ωt), dove σ0 = ηγ0.

I modelli piu semplici che descrivono materiali viscoelastici sono due: il mo-dello di Kelvin-Voigt, che descrive bene i materiali viscoelastici solidi (cioe ma-teriali che, in condizioni normali, hanno una loro forma alla quale, se deformati,tendono a ritornare),

σ(t) = Gγ(t) + ηγ(t), (4.72)

e il il modello di Maxell, che descrive bene i materiali viscoelastici liquidi (cioemateriali che, in condizioni normali, fluiscono e, ad esempio, possono riempire

4.4. APPLICAZIONI. 55

un contenitore),dγ

dt=

1

ησ +

1

G

dt. (4.73)

In generale, un’equazione costitutiva lineare, di cui la (4.72) e la (4.73) sonodegli esempi significativi, si puo scrivere come,

σ(t) =

∫ t

0

G (t− t′) γ(t′)dt′, (4.74)

dove G(t), detto modulo dinamico, e la generalizzazione del modulo di ta-glio. Prendendo la trasformata di Fourier di questo integrale di convoluzione,otteniamo:

σ (ω) = G (ω) γ (ω) , (4.75)

con

G (ω) = G′ (ω) + i G′′ (ω) . (4.76)

G′, detto storage modulus, indica il contributo elastico e descrive la capacitadel materiale ad immagazzinare l’energia elastica in un ciclo, mentre G′′, dettoloss modulus, indica il contributo viscoso ed e connesso alla sua capacitita didissipare l’energia elastica.3

Il rapporto tra storage e loss modulus definisce il damping,

tan δ =G′′

G′. (4.77)

δ e un angolo che indica lo sfasamento tra sforzo e deformazione. Infatti, se aduna deformazione γ0e

iωt corrisponde uno sforzo σ0ei(ωt+δ), dalle (4.75)-(4.76)

si ottiene: G′ = (σ0/γ0) cos δ e G′′ = (σ0/γ0) sin δ, da cui si ottiene la (4.77).Ovviamente, δ = 0 per materiali solidi, mentre δ = π/2 per materiali viscosi.

In particolare, un materiale che segua il modello di Kelvin-Voigt (4.72)

presenta: G′ = G e G′′ = ωη, ovvero :

G = G (1 + i ωτ) ; δ = arctan(ωτ), (4.78)

dove τ = η/G e un tempo di rilassamento tipico del materiale, corrispondenteal tempo necessario alle strutture elastiche del materiale per ritornare alla loroconfigurazione di equilibrio dopo esserne state allontanate. Dunque vediamoche δ = 0 quando ω 1/τ , mentre δ = π/2 quando ω 1/τ . Cio indica chese imponiamo delle deformazioni con frequenze minori dell’inverso del tempodi rilassamento il materiale si comporta come un solido, mentre per frequenzemaggiori il materiale non ce la fa piu a seguirle e l’energia immessa viene dis-sipata (e dunque possiamo dire, anche se impropriamente, che il materiale sicomporta come un fluido viscoso).

3Infatti, l’energia dissipata in un ciclo dal materiale (uguale al prodotto tra sforzo di taglio

e velocita di deformazione) e G′′πγ20 e dunque e proporzionale a G′′.

56 CAPITOLO 4. LA TRASFORMATA DI FOURIER.

Spesso si preferisce utilizzare il numero di Deborah, De = ωτ , pari al rap-porto tra il tempo di rilassamento e il tempo caratteristico di oscillazione delflusso.

Per materiali viscoelastici liquidi si preferisce utilizzare la seguente relazione:

σ(t) =

∫ t

0

η (t− t′) γ(t′)dt′, (4.79)

dove η(t) e detta viscosita dinamica. Prendendo la trasformata di Fourier diquesto integrale di convoluzione, otteniamo:

σ (ω) = η (ω) ˜γ (ω) , (4.80)

dove ˜γ = iωγ. Dunque,

η (ω) =G

i ω= η′ (ω)− i η′′ (ω) , (4.81)

con (si noti il segno negativo nella definizione di η′′),

η′(ω) =G′′

ω; η′′(ω) =

G′

ω. (4.82)

Dunque, vediamo che la viscosita dinamica, η(t), e l’integrale del modulo dina-mico G(t) o, viceversa, G(t) e la derivata di η(t).

Inoltre, dalle (4.77) e (4.82) otteniamo:

tan δ =η′

η′′. (4.83)

In particolare, un materiale viscoelastico che segua il modello di Maxwell(4.73) presenta:

η =(η−1 + iωG−1

)−1= η (1 + i ωτ)

−1; δ = arctan(

1

ωτ), (4.84)

dove τ = η/G e il tempo di rilassamento, gia definito in precedenza. Dunquevediamo che un materiale di Maxwell si comporta in modo opposto a quello diKelvin-Voigt: quando ω 1/τ otteniamo η′ ≈ η, η′′ → 0 e δ = π/2, ovveroil materiale si comporta come un fluido viscoso; al contrario, quando ω 1/τotteniamo η′ → 0, η′′ ≈ G/ω e δ = 0, cioe il fluido non ce la fa piu a seguirele oscillazioni e si comporta come un solido. Si noti che la viscosita dinamica(4.84) di un fluido viscoelastico di Mawell e proporzionale all’inverso del modulodinamico (4.78) di un solido viscoelastico di Kelvin-Voigt.

Dunque, abbiamo visto che se sollecitiamo un materiale viscoelastico di tiposolido con frequenze inferiori alla frequenza 1/τ di rilassamento (cioe per De1), abbiamo che G′ ≈ G0 e costante e G′′ ∝ ω (cioe η′ = η0 costante), con

G′′ G′; invece, per materiali viscoelastici di tipo liquido, η′ ≈ η0 e costante eη′′ ∝ ω, con η′′ η′ (cioe G′′ ∝ ω e G′ ∝ ω2, con G′ G′′).

4.4. APPLICAZIONI. 57

Poi, aumentando la frequenza ω, si arriva al punto di crossover, in cui, perω = 1/τ , ovvero quando De = 1, G′ = G′′ = Gc.

4 Infine, per frequenze piualte, quando De > 1, un solido viscoelastico comincia a dissipare, mentre unliquido viscoelastico non segue piu le oscillazioni di velocita e si comporta comeun solido.

Detto altrimenti, se un materiale viscoelastico viene messo tra due piattiparalleli in moto sinusoidale di piccola ampiezza, in modo che

γ(t) = γ0 sin(ωt), (4.85)

lo sforzo risultante sara il seguente,

σ(t) = γ0η′(ω) sin(ωt)− γ0

G′(ω)

ωcos(ωt). (4.86)

Come abbiamo visto, il contributo viscoso e in fase con la velocita di deformazio-ne, mentre il contributo elastico e sfasato di π/2. Nella figura allegata, si vedeche, adimensionalizzate in modo opportuno e rappresentate in scala logaritmica,le funzioni reometriche del liquido e del solido sono praticamente simmetricherispetto all’asse De = 1.

1

0.1

0.01

De 1 0.1 10

G’/G

’/0

solido

solido liquido

liquido

Figura 4.4.1: Funzioni reometriche per un fluido (linea continua) e un solido(linea tratteggiata) viscoelastico in funzione del numero di Deborah. Abbiamoimposto che per il fluido η0/η∞ = 10, mentre per il solido G′0/G

′∞ = 10.

4Come dato di prima approssimazione, dovuto a Maxwell, si ha che η0 = Gcτ , cioe unfluido viscoso con viscosita (allo stazionario), η0, si puo pensare come un solido con moduloelastico Gc che rilassa in un tempo τ .

58 CAPITOLO 4. LA TRASFORMATA DI FOURIER.

Ora, supponiamo di sollecitare un materiale con una deformazione a gradino,cioe γ = γ0H(t) e dunque γ = γ0/i ω, vediamo dalla (4.75) e (4.81) che σ = γ0η,cioe lo sforzo risultante e proporzionale alla viscosita dinamica. Dunque, per unfluido di Maxwell, antitrasformando la (4.84) otteniamo:5

σ(t) = σ0e−t/τ ; σ0 = γ0G. (4.87)

Da qui si vede che, per tempi brevi il materiale si comporta come un solidoelastico, mentre poi, per tempi piu lunghi, si rilassa e si comporta come unliquido. Ovviamente, tempi brevi corrispondono a frequenze alte, tempi lunghia frequenze basse.

Sollecitando invece il materiale imponendo una deformazione a rampa [siveda la (4.52)], γ(t) = γ0s(t), allora la velocita di deformazione e a gradino,γ(t) = γ0H(t), e dunque σ = γ0η/iω, cioe lo sforzo risultante e uguale all’in-tegrale dello sforzo risultante perturbando il materiale con una deformazione agradino. Nel caso di un fluido di Maxwell otteniamo, integrando la (4.87):

σ(t) = σ0

[1− e−t/τ

]; σ0 = ηγ0. (4.88)

Si vede ancora che per tempi brevi troviamo σ = Gγ0, ovvero σ = Gγ = Gγ0s(t),cioe lo sforzo cresce linearmente col tempo, esibendo un comportamento solido,mentre per tempi lunghi σ = ηγ0, con comportamento viscoso. Misurando σ0 eτ , si possono cosı determinare sia η che G. Un fluido Newtoniano corrisponde alcaso G = 0 [si veda la (4.73)], con tempo di rilassamento nullo, τ = 0, e dunque,sottoposto a velocita di deformazione costante, si mette in moto istantaneamentecon sforzo costante.

Viceversa, sollecitando un materiale con uno sforzo a gradino, σ = σ0H(t),

troviamo ˜γ = σ0/G. In particolare, per un solido di Kelvin-Voigt (4.78),troviamo ancora γ(t) = (σ0/η) e−t/τ da cui, integrando tra 0 e t, otteniamo:

γ(t) = γ0

[1− e−t/τ

]; γ0 = σ0/G. (4.89)

Qui, per tempi brevi troviamo γ = σ0/η, cioe una deformazione che crescelinearmente col tempo e dunque un comportamento viscoso, mentre per tempilunghi γ = σ0/G, cioe un comportamento elastico.

5Dalla (4.26)-(4.27) si vede che: F−1(α+ i ω)−1 = exp(−αt)H(t).

Capitolo 5

Armoniche sferichetensoriali.

5.1 Funzioni armoniche.

Una funzione f (r) del vettore posizione r, con derivate seconde continue, e unafunzione armonica se soddisfi l’equazione di Laplace,

∇2f =∂

∂ri

∂f

∂ri= 0, (5.1)

con opportune condizioni al contorno.Le funzioni armoniche sono funzioni particolarmente regolari. Ad esempio,

ogni funzione armonica soddisfa la proprieta del valor medio, per cui la media deivalori che una funzione armonica f assume alla superficie di una sfera qualsiasie uguale al suo valore al centro di tale sfera. Se scegliamo il centro della sferacome origine degli assi si ha:1

f (0) =1

4πr2

∮r

f (r) d2r. (5.2)

Per dimostrare questo teorema mostriamo anzitutto che il secondo membrodella (5.2) non dipende da r. Vediamo che:

d

dr

[1

r2

∮r

f (r) d2r

]=

d

dr

[∮1

f (rn) d2n

]=

∮1

n · ∇f (rn) d2n,

dove n = r/r e il vettore unitario, con |n| = 1, e abbiamo tenuto conto che:∂f(rn)/∂r = ∂f/∂r · ∂r/∂r = ∇f · n.

1Il simbolo d2r indica l’area dell’elemento di superficie sulla sfera di raggio r, e dunque, incoordinate sferiche, sta per r2 sinθ dθ dφ. Analogamente, piu sotto, il simbolo d2n si riferiscead una sfera di raggio unitario.

59

60 CAPITOLO 5. ARMONICHE SFERICHE TENSORIALI.

Da qui, otteniamo:

1

r2

∮r

n · ∇f (r) d2r =1

r2

∮r

∇2f (r) d3r = 0,

dove abbiamo considerato che ∇2f = 0.Dunque, il secondo membro della (5.2) davvero non dipende da r. Allora, se

ne prendiamo il limite per r → 0, espandendo f(r) in serie di Taylor, otteniamo:

limr→0

1

4πr2

∮r

[f (0) + r · ∇f (0) + . . .] d2r,

da cui si dimostra la (5.2).Ora, se integriamo la (5.2) rispetto ad r, otteniamo:∫

4πr2f (0) dr =

∫ [∮r

f (r) d2r

]dr.

da cui vediamo che la proprieta del valor medio si puo anche esprimere nel modoseguente:

f (0) =1

(4/3)πr3

∫f (r) d3r, (5.3)

per cui la media dei valori che una funzione armonica f assume all’interno diuna sfera qualsiasi e uguale al suo valore al centro di tale sfera.

Un corollario molto importante di questo teorema e che una funzione armo-nica f definita in un volume V non puo avere dentro V punti di massimo o diminimo. Il massimo e il minimo dei valori di f dovranno dunque necessariamen-te trovarsi sul bordo di V.2 Da questo corollario e dalla continuita di f segueche: se f ha un valore costante su tutta una superficie chiusa S, allora ha quellostesso valore in tutto lo spazio V interno ad S.3

5.2 Armoniche decrescenti.

In generale, le funzioni armoniche si possono esprimere come combinazioni linea-ri delle soluzioni fondamentali dell’equazione di Laplace, cioe 1 e 1/|r|, insieme atutti i loro gradienti. Queste funzioni armoniche tensoriali si possono scrivere inmodo invariante, cioe in una forma invariante rispetto al sistema di coordinatee che impiega esclusivamente il vettore posizione, r, e il suo modulo, r = |r|. Learmoniche tensoriali possono essere crescenti o decrescenti al crescere di r, cioe

2Infatti, se nel punto P interno a V vi fosse, per esempio, un massimo di f , esisterebbe unintorno di P tale che in tutti i suoi punti sarebbe f < f(P ), in contrasto con la proprieta delvalor medio.

3Ad esempio, dal momento che il potenziale elettrico su una superficie metallica chiusa(che delimita una gabbia di Faraday) si mantiene costante, allora sara uguale a quello stessovalore in ogni punto all’interno, e dunque il campo elettrico interno (pari al gradiente delpotenziale) deve essere nullo, anche in presenza di un forte campo elettrico esterno. Grazie aquesto effetto schermante, se la nostra auto viene colpita da un fulmine, abbiamo una buonaprobabilita di cavarcela.

5.2. ARMONICHE DECRESCENTI. 61

tendono a 0 quando r → 0 oppure quando r → ∞, rispettivamente. In questocapitolo cominciamo a considerare le armoniche decrescenti.

Tra le funzioni armoniche decrescenti, la principale e 1/r, detta distribuzionedi monopolo, che rappresenta la funzione di Greeen, o propagatore, dell’equazio-ne di Laplace, cioe e la soluzione dell’equazione ∇2T = δ (r). La distribuzione dimonopolo dunque corrisponde al campo di temperatura (o al campo di concen-trazione, elettrico, ecc.) generato da un impulso di energia, Q posto nell’origine,cioe dovuto ad una sorgente puntiforme, il monopolo, appunto, che irradia iso-tropicamente in tutte le direzioni. In fatti, dal momento che allo stazionariol’energia che attraversa per unita di tempo una qualsiasi superficie chiusa cheracchiuda l’origine e costante e uguale a Q, per una sfera di raggio a otteniamo,

Q =

∮r=a

n · JU d2rs; JU = −k∇T, (5.4)

dove rs e un vettore che indica la posizione di un punto sulla superficie dellasfera, n = rs/a e un vettore unitario perpendicolare alla superficie della sferae diretto verso l’esterno, k e la conducibilita termica e JU e il flusso termico.Dunque, vediamo che la distribuzione di temperatura T = 1/r induce un flussotermico totale Q = 4πk e per questo la distribuzione di monopolo si indica come:

T (m) (r;α) =α

r; α =

Q

4πk, (5.5)

che mostra come la forza del monopolo, α, e legata direttamente all’intensitadell’impulso.

Ora, poiche l’equazione di Laplace e lineare, tutti i gradienti della soluzionefondamentale, r−1, sono a loro volta delle soluzioni singolari. Ad esempio, ∇r−1,detta distribuzione di dipolo, e la soluzione dell’equazione ∇2∇T = ∇δ (r),e quindi rappresenta il campo di temperatura generato da due monopoli (ildipolo, appunto) di forza infinita e di segno opposto, posti a distanza infinitesimanell’origine;4 dunque, dal momento che un monopolo genera la stessa energia cheviene assorbita dall’altro, il dipolo non comporta alcuna generazione di energia.Nello stesso modo, possiamo definire un quadrupolo come due opposti dipoli, unottupolo, e cosı via, in modo che un qualsiasi campo di temperatura decrescente(cioe che vada a 0 all’infinito) si puo definire come una combinazione lineare diarmoniche decrescenti, definite (con opportuni coefficienti moltiplicativi) dalleseguenti funzioni tensoriali:

H[−(n+1)] (r) =(−1)n

1× 3× 5× . . . (2n− 1)∇∇∇ . . .∇︸ ︷︷ ︸

n volte

(1

r

), (5.6)

per n = 1, 2 . . .; in particolare,

H(−1) = −1

r; H

(−2)i =

rir3

; H(−3)ij =

rirjr5− δij

3r3;

H(−4)ijk =

rirjrkr7

− xiδjk + xjδik + xkδij5r5

.

4In fatti, la forza del dipolo e uguale al prodotto della forza di ciascun monopolo per laloro distanza.

62 CAPITOLO 5. ARMONICHE SFERICHE TENSORIALI.

Concretamente, otteniamo la seguente, cosiddetta, espansione di multipoli :

T (r) =

∞∑n=0

Cn (·)n H[−(n+1)] (r) , (5.7)

dove Cn sono dei tensori costanti di ordine n, che rappresentano la forza delmonopolo, dipolo, quadrupolo, ecc., da determinarsi in modo da soddisfare lecondizioni al contorno.

Formalmente, questa distribuzione di temperatura soddisfa la segiente equa-zione di Laplace:

∇2T =

∞∑n=0

Cn (·)n (−1)n

1× 3× 5× . . . (2n− 1)∇∇∇ . . .∇︸ ︷︷ ︸

n volte

δ (r) . (5.8)

Per comprendere il significato di questi termini singolari, si consideri il cam-po di temperatura dovuto alla presenza di una particella. Su ogni elementoinfinitesimo di superficie, dS = d2rs posto in posizione rs sulla superficie dellaparticella, agira un impulso puntiforme di forza dαs = fsdS, dove fs va de-terminato, che induce in r un disturbo di temperatura dαs|r − rs|−1 . Allafine, sovrapponendo gli effetti di tutti gli elementini di superficie, otteniamo laseguente equazione,5

T (r) =

∮S

fs (rs) |r− rs|−1 d2rs, (5.9)

dove la forza dell’impulso fs (rs) su ogni punto della superficie si determinaimponendo che siano soddisfatte le condizioni al contorno, cioe che si trovi unadata distribuzione di temperatura o di flusso termico alla superficie.

Lontano dalla particella, cioe quando |r| |rS |, possiamo espandere ilpropagatore e si trova:

|r− rs|−1 = r−1 − rs · ∇r−1 +1

2rSrs : ∇∇r−1 + . . .

(−1)n

n!rns (·)n∇nr−1 + . . . ,

dove rn = rr . . . r (n volte), e, nello stesso modo, di definisce ∇n e (·)n. So-stituendo queste espressioni nella (5.9), otteniamo l’espansione di multipoli(5.7).

5.2.1 Soluzione generale.

Oltre che le armoniche decrescenti, ci sono quelle crescenti. In buona sostanza,si tratta di potenze del vettore posizione r, cioe della soluzione fondamentaleuniforme, H(0) = 1, e di tutti i suoi gradienti inversi, ovvero di quelle funzionivettoriali i cui gradienti sono uguali a 1. Ad esempio,

∇−1i 1 =1

3ri; ∇−1i ∇

−1j 1 =

1

10

(rirj −

r2

3δij

). . . .

5Detta boundary integral equation.

5.2. ARMONICHE DECRESCENTI. 63

Moltiplicando queste funzioni per costanti opportune, vediamo che le funzioniarmoniche crescenti si possono ricavare dalle decresecnti nel modo seguente:

H(n) (r) = r2n+1H[−(n+1)] (r) , (5.10)

e, in particolare,

H(0) = 1; H(1)i = ri; H

(2)ij = rirj−

r2

3δij ; H

(3)ijk = rirjrk−

r2

5(xiδjk + xjδik + xkδij) .

In generale, dunque, la soluzione dell’euazione di Laplace si puo scriverecome una combinazione lineare di tutte le funzioni armoniche,

T (r) =

∞∑n=−∞

[Cn (·)nH(n) (r)

]=

∞∑n=0

[(C′n + r2n+1C′′n

)(·)nH[−(n+1)] (r)

],

(5.11)dove C′n e C′′n sono dellecostanti tensoriali di ordine n-mo, da determinarsiutilizzando le condizini al contorno.

T (r) = (C ′0 + rC ′′0 )1

r+(C′1 + r3C′′1

)· r

r3+(C′2 + r5C′′2

):

(rr

r5− I

3r3

)+ . . .

Questi set di funzioni armoniche tensoriali sono molto comodi nel costruiredelle soluzioni dell’equazione di Laplace sfruttando le simmetrie del problema eimponendo che il risultato sia espresso in forma invariante.

Ad esempio, supponiamo che si voglia determinare il profilo di temperaturaattorno ad una sfera indotta da una ∆T imposta, cioe quando T = T0 per r →∞e T = 0 alla superficie r = a della sfera. Dunque, il campo di temperatura euguale al prodotto del termine forzante (la driving force), ∆T = T0, e di unacombinazione lineare delle funzioni armoniche scalari, H(0) e H(−1). Dunque,T (r) = T0 (λ′/r + λ′′), dove λ′ e λ′′ sono delle costanti scalari, da determinarsii base alle condizioni al contorno:6

T (r) = T0 (1− a/r) = T0 − T (m) (r;α) , (5.12)

dove α = aT0. Questo mostra come la distribuzione di temperatura attornoalla sefra indotta da un ∆T imposto e determinata unicamente da un monopoloposto al centro della sfera. Dunque, applicando la (5.5), vediamo che il flussototale che esce dalla sfera e,

Q = 4πka∆T, (5.13)

dove ∆T = −T0 (negativo, in questo caso) e la differenza di temperatura tra lasefra e l’infinito.

Un caso piu complesso e quello in cui imponiamo all’infinito un gradientecostante di temperatura, cioe T (r) = Giri per r → ∞, mentre, come prima,

6In questo caso, avremmo potuto piu’ semplicemente dire che il campo di temperaturadeve essere a simmetria sferica e dunque funzione solo di r.

64 CAPITOLO 5. ARMONICHE SFERICHE TENSORIALI.

T = 0 sulla superficie della sfera r = a.7 Dunque, il campo di temperaturae dato dal prodotto tra il termine forzante, cioe il vettore Gi, e le funzioni

armoniche vettoriali, H(1)i e H

(−2)i , ottenendo:

T (r) = Giri

(λ′

1

r3+ λ′′

)= Giri

(1− a3

r3

), (5.14)

dove le costanti λ′ e λ′′ sono state determinate dalle condizioni al contorno.Dunque, come previsto, abbiamo trovato la distribuzione di temperatura do-vuta ad un dipolo posto nell’origine e, dunque, non c’e alcuna generazione (oassorbimento) di calore.

Nel caso piu generale, imponendo un campo di temperatura all’infinito (chesoddisfi l’equazione di Laplace, ovviamente),

T (r) =

∞∑n=0

Cn (·)nH(n) (r) as r →∞, (5.15)

mentre T = 0 alla superficie r = a della sfera, dalla (5.10) e (5.11) si ottiene:

T (r) =

∞∑n=0

Cn (·)n(r2n+1 − a2n+1

)H[−(n+1)] (r) , (5.16)

generalizzando dunque le due distribuzioni (5.12) e (5.14).

5.3 Equazione di Stokes.

Le funzioni armoniche sono anche soluzioni dell’equazione di Stokes,

∇p = η∇2v; ∇ · v = 0, (5.17)

dove p e v sono i campi di pressione e di velocita, soggetti ad appropriatecondizioni al contorno, mentre η e la viscosita del fluido.

Se prendiamo la divergenza dell’equazione di Stokes, considerando che ilcampo di velocita 1’e solenoidale (cio1e a divergenza nulla), vediamo che ilcampo di pressione e armonico, ovvero soddisfa l’equazione di Laplace,

∇2p = 0. (5.18)

Inoltre, e facile verificare che il campo di velocita si puo scrivere nel modoseguente:

v =1

2ηrp+ u, (5.19)

dove u e una funzione armonica vettoriale,

∇2u = 0. (5.20)

7Si noti che r = H(1) e dunque il campo di temperatura all’infinito soffista, come deve,l’equazione di Laplace.

5.3. EQUAZIONE DI STOKES. 65

Ovviamente, soltanto tre delle quattro funzioni armoniche che definiscono p ev sono indipendenti; infatti, imponendo che il campo di velocita ha divergenzanulla otteniamo:

∇ · u = − 1

2η(3p+ r · ∇p) . (5.21)

Dunque, il punto fondamentale e che la soluzione dell’equazione di Stokesconsiste di due funzioni armoniche, l’una scalare, per il campo di pressione, el’altra vettoriale, per il campo di moto.

5.3.1 Lo stokeslet.

L’esempio di applicazione piu semplice della tecnica sopra illustrata consiste neldeterminare il propagatore, o funzione di Green, dell’equazione di Stokes, cioei campi di pressione e velocita indotti in un fluido, in quiete all’infinito, da unaforza impulsiva nell’origine, f (r) = Fδ (r), dove F e una forza8 Dunque, sia pche u sono delle funzioni armoniche decrescenti proporzionali a F, cioe,

p = Fkλrkr3, (5.22)

ui =Fk2η

[λ′δikr

+ λ′′(rirkr5− δik

3r3

)]. (5.23)

Ora, dal momento che λ′′ ha le unita del quadrato di una lunghezza, conside-rando che in questo problema non c’a alcuna dimensione caratteristica, deveessere che λ′′ = 0. Dunque, imponendo che ∇ivi = 0, ovvero che la (5.21 siasoddisfatta), otteniamo λ′ = λ, da cui:

vi =Fk2ηλ

(δikr

+rirkr3

), (5.24)

Il valore di λ viene determinato imponendo che la forza totale trasmessa alfluido posto all’esterno di una sfera di raggio a sia uguale ad F, cioe,∮

r=a

niTijd2r = Fi, (5.25)

dove ni = −ri/a e un versore perpendicolare alla superficie della sfera e direttoall’interno, mentre Tij e il tensore degli sforzi,

Tij = −pδij + η (∇ivj +∇jvi) = −3λFkrirjrkr5

. (5.26)

Ora, considerando che,

niTij = 3λFkrjrka4

,

8f e una cosiddetta body force, cioe una forza per unita di volume; infatti, δ(r) ha le unitadell’inverso di un volume.

66 CAPITOLO 5. ARMONICHE SFERICHE TENSORIALI.

e usando l’identita,9 ∮r=a

rirkd2r =

4

3πa4δik, (5.27)

alla fine otteniamo: λ = 1/4π. Dunque, lo Stokeslet consiste dei seguenti campidi pressione e velocita:10

p(s) (r; F) = Fk P(s)k (r) ; P

(s)k (r) =

1

rkr3, (5.28)

v(s)i (r; F) = Fk V

(s)ik (r) ; V

(s)ik (r) =

1

8πηr

(δik +

rirkr2

), (5.29)

mentre il tensore degli sforzi associato e,

T(s)ik (r) =

3

rirjrkr5

Fk. (5.30)

Il moltiplicatore V(s) e detto tensore di Oseen, e descrive il disturbo a un fluidoin quiete causato da una forza impulsiva.

Questo stesso risultato si sarebbe potuto ottenere prendendo la trasformatadi Fourier dell’equazione di Stokes,

∇p− η∇2v = Fδ (r) ; ∇ · v = 0, (5.31)

definendo, in accordo con la (4.8) e la (4.9), la trasformata di Fourier f (k) diuna qualsiasi funzione f (r),

f (k) = Ff (r) =

∫f (r) eik·rd3r, (5.32)

e la sua corrispondente antitrasformata,

f (r) = F−1f (k) =

∫f (k) e−ik·r

d3k

(2π)3. (5.33)

Ora, considerando che Fδ (r) = 1 e F∇f (r) = −ikf (k), si ottiene:

p (k) = ikjk2Fj , (5.34)

e

vi (k) =1

ηk2

(δij −

kikjk2

)Fj . (5.35)

Infine, antitrasformando la (5.34) e la (5.35), troviamo ancora le Eqs. (5.28) e(5.29).

9E evidente che quando i 6= k questo integrale deve essere zero. Dunque, moltiplicandoambo i membri per δik e considerando che δikδik = 3, l’identita viene facilmente verificata.

10A volte, la forza dello Stokeslet viene indicata con α = F/8πη.

5.3. EQUAZIONE DI STOKES. 67

5.3.2 Flusso uniforme di un fluido attorno ad una sfera.

In questo caso, il campo di moto imperturbato e uniforme (mentre nel paragrafoprecedente e nullo), con v(r) = U quando r → ∞, mentre una sfera di raggioa e fissata all’origine, cioe, v(r) = 0 per r = a. Dunque, procedendo come nelparagrafo precedente, otteniamo le stesse espressioni (5.22)-(5.23),

p = aηUkλrkr3, (5.36)

vi = Ui +aUk

2

(rirkr3

+δikr

)+ λ′′

(rirkr5− δik

3r3

)], (5.37)

dove la condizione di divergenza nulla, ∇ivi = 0, e soddisfatta identicamente(with λ = λ′). Si noti che ora λ′′ 6= 0, dal momento che il problema ha unadimensione caratteristica a.

Imponendo che v(r) = 0 per r = a, otteniamo: λ = −λ′′/a2 = −3/2.Dunque, alla fine, troviamo:

p = −3

2aηUk

rkr3, (5.38)

vi = Ui −3

4aUk

[(rirkr3

+δikr

)− a2

(rirkr5− δik

3r3

)]. (5.39)

A grande distanza dalla sfera, per r a, il fluido percepisce solo l’effetto diuna forza puntuale, Fk, in modo che i campi di pressione e velocita si devonoridurre allo Stokeslet (5.28)-(5.29). Dunque, Fk/4π = 3

2aηUk, ovvero

F = 6πηaU. (5.40)

Questa e la legge di Stokes, che determina la resistenza viscosa esercitata su unasfera da un liquido in moto uniforme.

L’ultimo termine nella (5.37) si puo esprimere in funzione delle seguentisoluzioni armoniche dell’equazione di Stokes,

v(d)i (r; F) = −1

6∇2v

(s)i (r; F) = Fk V

(d)ik (r) ; p(d) (r; F) = 0, (5.41)

dove,

V(d)ik (r) =

1

8πη r3

(rirkr2− 1

3δik

)=

1

8πηH

(−3)ik (r) . (5.42)

Questo termine e la funzione armonica tensoriale (5.6) con n = 2, e dunquesi chiama potential doublet (dipolo potenziale), dal momento che coincide conun dipolo in flusso potenziale. Di conseguenza, in accordo con il paradosso did’Alambert, la resistenza esercitata da un dipolo potenziale (e dunque da unqualsiasi flusso potenziale, cioe un flusso di un fluido ideale, con viscosita nulla)e identicamente zero.

68 CAPITOLO 5. ARMONICHE SFERICHE TENSORIALI.

Confrontando la (5.29) e la (5.42) con la soluzione (5.39) si vede che il flussoa bassi numeri di Reynolds di un fluido attorno ad una sfera e la somma di unostokeslet e di un dipolo potenziale, cioe,

v (r) = U− F ·[V(s) (r)− a2V(d) (r)

], (5.43)

dove F = 6πηaU, ovvero,

v (r) = U ·[I− 6πηa

(1 +

a2

6∇2

)V(s) (r)

], (5.44)

mentre p (r) = −F ·P(s) (r).Questa espressione esprime la cosiddetta legge di Faxen. Una trattazione

piu accurata si puo trovare in testi specializzati, ad esempio si veda l’AppendiceF del testo: R. Mauri, Non-Equilibrium Thermodynamisc in Multiphase Flows,Springer (2013).