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Introduzione La colorimetria è il capitolo dell’ottica che, come dice la parola, si occupa della misura del colore. La sua importanza pratica è grande ed evidente, basta pensare alla riproduzione del colore, dalla fotografia, alla stampa, alla televisione. È una disciplina antica che si è evoluta attraverso una successione di fasi strettamente legate alla fisiologia, alla fisica e alla psicologia. Tutt’oggi non è ritenuta chiusa e proba- bilmente la sua chiusura coinciderà con la compren- sione totale del fenomeno della visione a colori. Le varie fasi storiche della colorimetria, caratterizzate dal tipico nome inglese, sono tre: 1. La fase del colour matching è la fase psicofisica ed è dovuta principalmente a James C. Maxwell (1860), che per primo misurò le “colour-matching fun- ctions”; 2. La fase della colour difference è la fase psicometrica, riguarda le scale di colore ed è iniziata con Her- mann von Helmholtz (1891-92) ed Ervin Schrö- dinger (1920), che posero e discussero il problema della metrica nello spazio del tristimolo; 3. La fase della colour appearance riguarda la percezio- ne; in senso psicofisico la “colour appearance” studia il colore percepito sotto l’influenza di due fattori apparentemente contraddittori: - da una parte il fenomeno della costanza del colore, secondo il quale il colore percepito di un ogget- to illuminato sembra non mutare al cambiare dell’illuminazione; - dall’altra parte la mutevolezza del colore perce- pito in relazione al campo prossimale, al con- torno, allo sfondo e al livello d’illuminazione. Le grandezze definite nella fase del “colour ma- tching” sono dette psicofisiche, quelle della “colour difference” sono dette psicometriche e, infine, quelle della “colour appearance” percepite. La distinzione tra queste fasi può essere meglio compresa dopo avere dato pochi rudimenti sulla fi- siologia dell’occhio. La pratica colorimetrica si basa su norme e racco- mandazioni della “Commission International de l’Éclarage” (CIE) [1] , alle quali si riferisce quanto e- sposto in questo articolo. In bibliografia [1-11] sono raccolte le pubblicazioni ritenute più significative e tra queste si indica il “Wyszecky and Stiles, Color Science, 1982” [2] quale riferimento primo per autore- volezza e completezza. Gli altri testi in bibliografia [12-15] riguardano classiche applicazioni della colori- metria. In questo articolo non si considera la colorimetria attuata mediante atlanti di colori. Questa è sotto molti aspetti alternativa e complementare alla colo- rimetria qui considerata. Essa si è sviluppata sulla base di specifici sistemi di ordinamento dei colori, che richiederebbero una trattazione a parte. Citiamo Introduzione alla colorimetria Claudio Oleari VI 33 181 Claudio Oleari Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Fisica - Istituto Nazionale per la Fisica della Materia [email protected] DDD_COLORE Rivista trimestrale Disegno e Design Digitale anno_2 numero_6 apr/giu 2003

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Introduzione

La colorimetria è il capitolo dell’ottica che, come dice la parola, si occupa della misura del colore. La sua importanza pratica è grande ed evidente, basta pensare alla riproduzione del colore, dalla fotografia, alla stampa, alla televisione. È una disciplina antica che si è evoluta attraverso una successione di fasi strettamente legate alla fisiologia, alla fisica e alla psicologia. Tutt’oggi non è ritenuta chiusa e proba-bilmente la sua chiusura coinciderà con la compren-sione totale del fenomeno della visione a colori. Le varie fasi storiche della colorimetria, caratterizzate dal tipico nome inglese, sono tre:

1. La fase del colour matching è la fase psicofisica ed è dovuta principalmente a James C. Maxwell (1860), che per primo misurò le “colour-matching fun-ctions”;

2. La fase della colour difference è la fase psicometrica,riguarda le scale di colore ed è iniziata con Her-mann von Helmholtz (1891-92) ed Ervin Schrö-dinger (1920), che posero e discussero il problema della metrica nello spazio del tristimolo;

3. La fase della colour appearance riguarda la percezio-ne; in senso psicofisico la “colour appearance” studia il colore percepito sotto l’influenza di due fattori apparentemente contraddittori:

- da una parte il fenomeno della costanza del colore,secondo il quale il colore percepito di un ogget-to illuminato sembra non mutare al cambiare dell’illuminazione;

- dall’altra parte la mutevolezza del colore perce-pito in relazione al campo prossimale, al con-torno, allo sfondo e al livello d’illuminazione.

Le grandezze definite nella fase del “colour ma-tching” sono dette psicofisiche, quelle della “colour difference” sono dette psicometriche e, infine, quelle della “colour appearance” percepite.La distinzione tra queste fasi può essere meglio compresa dopo avere dato pochi rudimenti sulla fi-siologia dell’occhio.La pratica colorimetrica si basa su norme e racco-mandazioni della “Commission International de l’Éclarage” (CIE) [1], alle quali si riferisce quanto e-sposto in questo articolo. In bibliografia [1-11] sono raccolte le pubblicazioni ritenute più significative e tra queste si indica il “Wyszecky and Stiles, Color Science, 1982” [2] quale riferimento primo per autore-volezza e completezza. Gli altri testi in bibliografia [12-15] riguardano classiche applicazioni della colori-metria.

In questo articolo non si considera la colorimetria attuata mediante atlanti di colori. Questa è sotto molti aspetti alternativa e complementare alla colo-rimetria qui considerata. Essa si è sviluppata sulla base di specifici sistemi di ordinamento dei colori, che richiederebbero una trattazione a parte. Citiamo

Introduzione alla colorimetria

Claudio Oleari

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Claudio OleariUniversità degli Studi di Parma, Dipartimento di Fisica -Istituto Nazionale per la Fisica della [email protected]

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solo i nomi dei sistemi colorimetricamente più signi-ficativi: il sistema Munsell, il sistema NCS (“Natural Colour System”), il sistema DIN (“Deutsche Institut für Normung”) e il sistema OSA-UCS (“Optical Society of America - Uniform Color Scales”). La concretezza dei campioni fisici offerti da tali sistemi li rende utili strumenti pratici, nonostante che i campioni di colore debbano essere osservati sotto l’illuminazione di definite sorgenti. Esistono atlanti molto usati in ambiente industriale che non sono qui citati, e ciò è dovuto al fatto che questi non si basa-no su propri e significativi sistemi di ordinamento dei colori.

Fisiologia dell’occhio

In colorimetria l’occhio è considerabile come una camera ottica sferica (Fig. 1). La radiazione luminosa è fisicamente misurata fuori dall’occhio e l’intervallo di lunghezze d’onda della luce visibile è 360 760 nm.La luce che entra nell’occhio è detta stimolo di colore e questo è fisicamente rappresentato dalla radianza spettrale Le, [W/(sr m2 nm)]. La luce che entra nell’occhio attraversa mezzi con differenti indici di rifrazione e si focalizza sul fondo dell’occhio, il qua-le è ricoperto da una membrana sensibile alla luce, detta retina. In questo percorso la distribuzione spet-trale di potenza della luce è alterata dalla lente dell’occhio (cristallino), la quale assorbe fortemente la luce nella regione delle corte lunghezze d’onda al di sotto di 450 nm (Fig. 2).

Fig. 1 – Sezione dell’occhio e sezione ingrandita della retina.

Fig. 2 – Densità ottica del cristallino nell’essere umano adulto giovane.

La retina è una membrana non uniforme costituita da vari strati di cellule di diverso tipo e con ruoli specifici nel processo della visione a colori. Lo strato di cellule più esterno è costituito dai foto-recettori (Fig. 1). La radiazione efficace per la visio-ne è quella che ha attraversato tutto l’occhio, retina compresa. In particolare la parte centrale della reti-na, detta macula lutea, contiene un pigmento inerte che,

assorbendo selettivamente la radiazione luminosa, ne modifica la distribuzione spettrale di potenza (Fig. 3, 4). Ciò comporta che la luce che colpisce i fotorecettori nella regione maculare sia spettralmen-te modificata rispetto alle regioni periferiche. Tale differenza porta a definire due diversi sistemi colo-rimetrici, uno per la regione maculare e l’altro per la regione periferica. Il campo visivo relativo alla vi-sione maculare ha per convenzione un angolo solido la cui sezione è inferiore a 4°, mentre la visione peri-ferica riguarda un angolo solido con sezione di 10°.

Fig. 3 – Fondo dell’occhio umano visto attraverso la pupilla con evidenziata la zona della macula lutea.

I fotorecettori si suddividono secondo la loro forma in bastoncelli e coni e sono operativi in presenza di di-versi flussi luminosi: 1) i bastoncelli sono attivi a basso flusso luminoso,

tipico del crepuscolo, e la visione, detta scotopica, è acromatica;

2) i coni sono operativi ad alto flusso luminoso, tipi-co della luce diurna, e la visione, detta fotopica, è a

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colori perché i coni sono di tre tipi caratterizzati da tre differenti fotopigmenti (Fig. 5);

3) esiste una regione intermedia, detta mesopica, in cui operano sia i bastoncelli che i coni; questa è tipica della visiva che si ha durante la guida automobili-stica notturna.

Fig. 4 – Densità ottica del pigmento della macula lutea m( ).

Noi siamo interessati alla visione a colori, quindi consideriamo solo i coni. L’assorbimento della luce da parte dei coni è il primo atto del processo della visione a colori. I coni dotati di fotopigmento con maggiore assorbimento di luce alle corte lunghezza d’onda sono detti coni S, quelli con maggiore assor-bimento alle medie lunghezza d’onda coni M e quelli con maggiore assorbimento alle lunghe coni L (Fig. 5).Il numero di fotoni assorbiti dai tre tipi di coni nell’unità di tempo è detto attivazione dei coni. Questa è una grandezza definita sulla base sul principio dell’univarianza di Rushton, il quale afferma che l’effetto visivo di una radiazione dipende solo dal numero di fotoni assorbito nell’unità di tempo ed è indipendente dalla loro energia.

Fig. 5 – Densità ottiche relative dei fotopigmenti dei tre tipi di

coni S( ), M( ) e L( ).

Ciò comporta che un fotone, una volta assorbito dal pigmento di un cono attiva un processo foto-chimico il quale è indipendente dall’energia del fo-tone. Fotoni dotati di diversa energia hanno loro proprie probabilità di essere assorbiti e quindi pro-ducono differenti effetti visivi. Le attivazioni dei tre tipi di coni costituiscono una terna di numeri suffi-ciente a specificare il colore della luce, perché in o-gni definita situazione visiva la corrispondenza tra attivazioni dei coni e sensazioni di colore è biunivo-ca.I segnali generati localmente dai coni vengono con-frontati ed elaborati dalle cellule degli strati prossimi della retina. Il risultato di questo confronto è condi-zionato dagli analoghi segnali generati nella retina in corrispondenza del campo prossimale e del contor-no. Il risultato è che la sensazione di colore in ogni punto dipende dalla situazione visiva globale. Tale elaborazione, che costituisce il secondo atto nel fe-nomeno della visione a colori, non è ancora piena-mente conosciuta. Il terzo atto avviene nel cervello ed è in assoluto il meno conosciuto.

Questo sistema di tre fotorecettori è molto efficien-te e consente una discriminazione tra radiazioni lu-minose monocromatiche con differenza in lunghez-za d’onda compresa tra 1 e 3 nm in un’ampia parte dell’intervallo visibile (Fig. 6). Ciò impone che la strumentazione colorimetrica sia tarata con una in-certezza non superiore a 1 nm.

Fig. 6 – Soglia di discriminazione tra radiazioni monocromatiche

equiluminose .

La descrizione fin qui data della retina è sufficiente a definire i vari sistemi colorimetrici in funzione della regione della retina e in funzione dello stadio del processo visivo (tab. 1). Gli standard colorimetrici presentati in tabella 1 sono della CIE..

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Tab. 1 – Fasi storiche della colorimetria in relazio-ne agli stadi della visione, ai campi visivi e ai sistemi standard CIE.

Fasi storiche / zone / sistemi

1a fase

storica“colour

matching”

2a fase

storica“colour

differen-ce”

3a fase

storica“colourappea-rance”

1a stadio

della vi-sione:

trasduzio-ne

2o stadio

della vi-sione:adatta-mento

3o sta-dio

dellavisione

sistemapsicofisico

sistemapsicome-

trico...

camp

o

visionefoveale(campovisivo<4°)

Osserva-tore Stan-

dardCIE 1931 (X, Y, Z)

-

Osserva-tore di Vos

sistemaCIELUV(L*, u*,

v*)

-

sistemaCIELAB(L*, a*,

b*)

CIE-CAMsCIE-

CAMc

visi

vo

visioneextra-

foveale(campovisivo10°)

Osserva-tore Stan-dard Sup-plementa-

reCIE 1964(X10, Y10,

Z10)

sistemaCIELUV(L*10, u*10,

v*10)

-

sistemaCIELAB(L*10, a*10,

b*10)

...

Colorimetria psicofisica

Si inizia considerando la visione nella regione macu-lare a cui è associato l’Osservatore Standard CIE 1931.Le attivazioni dei coni sono specificate da una terna di numeri che soddisfano alle regole dell’addizione (leggi di Grassman) e sono ben rappresentate da punti in una spazio vettoriale lineare tridimensionale, noto come spazio del tristimolo. In questo caso il sistema di riferimento è detto fondamentale. Sono possibili molti sistemi di riferimento e tra questi consideriamo

- il sistema di riferimento fondamentale LMS,- il sistema di riferimento strumentale RGB,- il sistema di riferimento XYZ del sistema colori-

metrico standard CIE 1931.

Per ragioni didattiche introduciamo prima il sistema di riferimento fondamentale e poi, partendo da que-sto, definiremo l’RGB e infine il riferimento più usa-to, l’XYZ.

Spazio del tristimolo e sistema di riferi-mento fondamentale

Le attivazioni dei coni prodotte da uno stimolo di colore di radianza spettrale Le, sono proporzionali a tre numeri (L, M, S), rispettivamente per i coni L, M ed S, detti valori del tristimolo, e così definibili

780

380

,

780

380

,

780

380

,

d)(

,d)(

,d)(

sLS

mLM

lLL

e

e

e

dove le funzioni )(l , )(m e )(s (Fig. 7), dette funzioni colorimetriche (in inglese “colour-matching functions”), sono rispettivamente le sensibilità spet-trali dei coni L, M e S, e tengono conto anche dell’assorbimento di luce nel cristallino e nella macu-la lutea. Le funzioni colorimetriche sono normaliz-zate in modo che per lo stimolo equienergetico Le, = 1 si abbia S = M = L = 1.

Fig. 7 – Funzioni colorimetriche nel sistema di riferimento fon-

damentale per visione foveale )(),(),( sml .

Ciò comporta che le )(),(),( sml rappresen-tano le componenti del vettore tristimolo associato alle radianze unitarie e monocromatiche di lunghez-za d’onda (Fig. 8). Le proprietà matematiche dello

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spazio del tristimolo furono definite per la prima volta dalle leggi di Grassman (1853), ma l’idea origi-nale fu di Newton (1704) ed è nota come regola del centro di gravità.

Fig. 8 – Visione prospettica dello spazio del tristimolo nel sistema di riferimento fondamentale con gli stimoli monocromatici di ra-dianza unitaria, il piano del diagramma di cromaticità, la linea spettrale, e gli assi dei sistemi di riferimento RGB e XYZ.

L’addizione dei colori, intesa come addizione di luci, è rappresentata nello spazio del tristimolo dall’addizione dei corrispondenti vettori. La definizione dei vettori (L, M, S) comporta che la corrispondenza tra stimoli di colore e vettori tristi-molo è univoca, cioè molti ad uno, infatti esistono radianze differenti a cui corrispondono uguali atti-vazioni (L, M, S) e che, quindi, producono uguali sensazioni di colore. Questo fenomeno è detto me-tamerismo e gli stimoli di colore che producono ugua-li sensazioni di colore sono detti stimoli metamerici o metameri.La lunghezza dei vettori è relativa all’entità dello stimolo di colore e la direzione è relativa alla sensa-

zione cromatica. Poiché le direzioni dei vettori sono in corrispondenza biunivoca con i punti intersezione tra le linee su cui giacciono i vettori e un piano, si suole classificare le sensazioni cromatiche mediante questi punti. Questi punti rappresentano la cromatici-tà e costituiscono una figura detta diagramma di croma-ticità (Fig. 8 e 9), il cui ruolo pratico è molto impor-tante. Nel diagramma di cromaticità le luci mono-cromatiche sono rappresentate da punti che costi-tuiscono il luogo spettrale, il segmento che unisce le regioni estreme delle corte e delle lunghe lunghezze d’onda riguarda le tinte porpora e la regione centrale del diagramma riguarda i colori acromatici. Sul dia-gramma di cromaticità gli stimoli di colore sono rappresentati da coordinate baricentriche o areolari (l, m,s)

.1

,

,

,

sml

SML

Ss

SML

Mm

SML

Ll

Le proprietà di queste coordinate sono molto utili nel trattare l’addizione di stimoli di colore (sintesi ad-ditiva). Ogni luce ottenuta dalla somma di altre due luci ha la cromaticità che si trova sul segmento che unisce le cromaticità di queste. È su questa proprietà che si basano le definizioni dei colori complementari,della lunghezza d’onda dominante e della purezza:

1) complementari sono le coppie di luci monocromati-che che se miscelate in rapporto opportuno, de-sumibile dal diagramma di cromaticità, producono luce bianca;

2) data una luce metamericamente uguale alla som-ma di una luce monocromatica e una bianca, la sua lunghezza d’onda dominante è la lunghezza d’onda della radiazione monocromatica;

3) data una luce metamericamente uguale alla som-ma di una luce monocromatica e una bianca, la sua purezza d’eccitazione (definita nell’intervallo 0 ÷ 1) è data dal rapporto tra la distanza tra la sua cromaticità e la cromaticità della luce bianca e la distanza tra la cromaticità della luce monocroma-tica e della bianca (poiché la purezza d’eccitazione dipende dal diagramma di cromaticità scelto, si preferisce usare la purezza colorimetrica definita dal rapporto tra le luminanze della luce monocroma-tica e la luminanza della luce stessa).

Fig. 9 – Diagramma di cromaticità nel sistema di riferimento fondamentale. Le aree dei triangoli SMQ, LSQ e MLQ sono proporzionali alle corrispondenti coordinate baricentriche (l, m, s).

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Spazio del tristimolo e sistema di riferi-mento strumentale RGB

Il riferimento RGB assume importanza pratica nell’utilizzo di apparati tricromatici (televisione, tele-camere, fotocamere digitali, …), ma ha avuto il suo primo ruolo nella misura delle funzioni colorimetri-che, le quali furono misurate indirettamente tramite l’uguagliamento metamerico dei colori. Due sono le tecni-che usate: 1) la tecnica nota come “maximum satu-ration technique” e 2) la tecnica di Maxwell. Qui ci limitiamo a considerare solo la prima tecnica a cui si riferiscono gli standard CIE. Questa tecnica richiede la scelta di tre luci monocromatiche come luci prima-rie, generalmente una rossa, una verde e una blu, alle quali corrispondono tre vettori giacenti sugli assi del sistema di riferimento. Sono le tinte di tali luci pri-marie, “Red”, “Green” e “Blue”, a generare l’acronimo RGB. Nell’uguagliamento metamerico dei colori due miscele di luci sono proposte all’osservatore in un campo bipartito (Fig. 10 e 11). Le luci che entrano in queste due miscele sono le luci primarie e una luce monocromatica di radianza unitaria Le,( e lunghezza d’onda L’osservatore può modificare le radianze LR, LG e LB delle tre luci primarie fino a che si raggiunge l’uguagliamento delle due miscele di luci. Il caso di Fig. 11 considera la lunghezza d’onda della luce monocromatica compresa tra le lunghezze d’onda della luce verde e della luce blu, supponendo mono-cromatiche anche le luci primarie. Nel riferimento RGB le funzioni colorimetriche alla lunghezza d’onda sono proporzionali alle radianze delle luci primarie RR Lkr )( , GG Lkg )( e

BB Lkb )( , in cui le costanti di proporzionalità sono costanti di normalizzazione definite in modo

che allo stimolo equienergetico corrispondano valori del tristimolo uguali. In questo riferimento i valori del tristimolo sono definiti dagli integrali

780

380

,

780

380

,

780

380

,

d)(

,d)(

,d)(

bLB

gLG

rLR

e

e

e

e le coordinate di cromaticità da

.1

,

,

,

bgr

BGR

Bb

BGR

Gg

BGR

Rr

Una trasformazione lineare attua il passaggio tra i valori del tristimolo (L, M, S) e (R, G, B) come pure tra le funzioni colorimetriche )(),(),( sml e

)(),(),( bgr . Questa trasformazione lineare viene costruita conoscendo nel riferimento RGB gli assi L, M e S, i quali sono desunti da uguagliamenti metamerici di luci fatte dai dicromati, individui dotati di due soli tipi di coni. Il riferimento RGB qui considerato è relativo all’osservatore standard CIE 1931. Ogni dispositivo o sistema tricromatico (monitor, scanner, videoca-mera, …, sistema televisivo NTSC, PAL,

HDTV,…) ha un suo proprio riferimento RGB e si passa dall’un riferimento all’altro mediante trasfor-mazione lineare. Confondere riferimenti RGB diver-si è errore. Si osserva anche che esistono sistemi RGB in cui le terne (R, G, B) subiscono elevazioni a potenza, come per esempio nel sistema sRGB, usato in WEB e nel sistema operativo Windows, distrug-gendo la linearità dello spazio.

Fig. 10 – Apparato per l’uguagliamento metamerico dei colori. Esso consiste in un contenitore cubico con un foro attraverso cui guardare dentro. All’osservatore si presenta un campo bipartito come proposto in Fig.11. Il contenitore è diviso in due parti in modo che le luci presenti in una parte non entrino nell’altra. Il fondo osservato del contenitore deve essere un buon diffusore non selettivo in lunghezza d’onda in modo che, illuminato nelle due parti con radiazioni diverse, proponga all’osservatore due colori da uguagliare. Compito dell’osservatore è modificare le emissioni delle quattro sorgenti in modo da attuare l’uguagliamento metamerico dei colori.

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Fig 11 – Campo bipartito per l’uguagliamento metamerico dei

colori come proposto dall’apparato di Fig. 10. La somma (LG +

LB) delle luci primarie blu e verde uguaglia la somma (Le,( +

LR) di una luce monocromatica di lunghezza d’onda con la luce

primaria rossa.

Spazio del tristimolo e sistema di riferi-mento XYZ nel sistema CIE 1931

Il sistema colorimetrico CIE 1931 ingloba la foto-metria nella colorimetria e ciò è evidenziato dal rife-rimento XYZ. La fotometria mette in relazione la bril-lanza delle luci alla loro radianza Le, mediante la seguente definizione di luminanza

780

380

,d)(VLKL emv cd/m2

con- V( ) = funzione di efficienza luminosa fotopica relativa,

che definisce l’Osservatore Fotometrico Standard CIE 1924 (Fig. 12),

- Km = 683 lumen / watt.

Fig. 12 – Funzione di efficienza luminosa fotopica relativa

dell’Osservatore Fotometrico Standard CIE 1924 V( ).

Questa equazione che definisce la luminanza è simi-le alle equazioni che definiscono i valori del tristimolo (L, M, S). Basta sostituire le funzioni colorimetriche )(),(),( sml con la V( ) e ciò porterebbe a ipotizzare un fotorecettore specifico, tipico della luminanza. Si preferì ipotizzare la lumi-nanza come prodotta dagli stessi coni L, M e S, rappresentandola con una combinazione lineare dei valori del tristimolo

BLGLRLSLMLLLL BGRSMLv

Tale ipotesi comporta che la luminanza dello stimo-lo di colore risultante dalla somma di più stimoli di colore è uguale alla somma delle corrispondenti lu-minanze (legge di Abney). Questa scelta indusse a de-

finire il sistema di riferimento XYZ con le seguenti proprietà:

- la componente Y del vettore tristimolo è propor-zionale alla luminanza Lv (fatto importante nella pratica illuminotecnica), cioè

Lv = Km Y cd/m2

e di conseguenza

)()( Vy ,

dove )(),(),( zyx sono le funzioni colori-metriche nel sistema di riferimento XYZ (Fig. 13),

- gli assi X, Y e Z sono mutuamente ortogonali, - gli assi X e Z appartengono al piano a luminanza

nulla Y = 0, - i vettori tristimolo con significato fisico hanno

tutte le componenti positive, - i piani X = 0 e Z = 0 sono rispettivamente tan-

genti al luogo spettrale nelle regioni delle medio-corte e delle lunghe lunghezze d’onda.

I valori del tristimolo sono

780

380

,

780

380

,

780

380

,

d)(

,d)(

,d)(

zLZ

K

LyLY

xLX

e

m

ve

e

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e le coordinate di cromaticità sono

.1

,

,

,

zyx

ZYX

Zz

ZYX

Yy

ZYX

Xx

Questo è il sistema di riferimento XYZdell’Osservatore Colorimetrico Standard CIE 1931.L’usuale diagramma di cromaticità (x, y) CIE 1931 (Fig. 14) è ottenuto proiettando dall’infinito sul pia-no Z = 0 il diagramma costruito sul piano

1ZYX . Grazie a questa proiezione le coor-dinate di cromaticità (x, y) risultano ortogonali e re-lativamente al triangolo XYZ sono coordinate bari-centriche. Una trasformazione lineare attua il pas-saggio tra i valori del tristimolo (R, G, B) e (X, Y, Z),e tra le funzioni colorimetriche )(),(),( bgr e

)(),(),( zyx .

Fig. 13 – Funzioni colorimetriche CIE 1931

)(),(),( zyx (linea nera) e CIE 1964

)(),(),( 101010 zyx (linea rossa).

Fig. 14 – Diagramma di cromaticità CIE 1931 (x, y). Le aree dei triangoli YZQ, ZXQ e XYQ sono proporzionali alle corri-

spondenti coordinate baricentriche x, y, z = 1 x y.

Spazio del tristimolo in fisiologia

Per completezza si fa cenno che in fisiologia si suole considerare per la visione foveale

a) uno spazio definito su funzioni colorimetriche derivate da Vos correggendo un errore sistemati-co presente nelle CIE 1931 ed evidenziato da Judd (Fig. 15 e 16);

b) un diagramma di cromaticità, detto diagramma di cromaticità equiluminoso delle eccitazioni dei coni, defini-to sul piano a luminanza costante L + M = 1 (i coni S non contribuiscono alla luminanza) e con coordinate di cromaticità

,

,

,

ML

Ss

ML

Mm

ML

Ll

con 1ml

(coordinate di cromaticità che non vanno confuse con le omonime definite nel precedente riferimento fondamentale). Questo diagramma è dovuto a Ma-cLeod e Boynton (Fig. 16).

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Fig. 15 – Funzioni colorimetriche di Vos

)('),('),(' zyx (linea rossa) a confronto con le CIE

1931 )(),(),( zyx (linea nera). Si osserva che lo scarto

tra le due terne di funzioni colorimetriche è nella regione delle corte lunghezze d’onda.

Fig. 16 – Visione prospettica dello spazio del tristimolo nel rife-rimento LMS con piano equiluminante L + M = 1, diagramma di cromaticità equiluminoso delle eccitazioni dei coni e asse Y.

Osservatore Standard Supplementare CIE 1964

Per la visione esterna alla macula (campo visivo di 10°) vale una trattazione analoga a quella relativa al sistema CIE 1931 e ciò porta all’Osservatore Standard Supplementare CIE 1964. In questo caso le varie grandezze sono distinte dal pedice “10”, che si rife-risce alla sezione del campo visivo di 10°, cioè i va-lori del tristimolo sono (X10, Y10, Z10) e le funzioni colorimetriche sono )(),(),( 101010 zyx . Il con-fronto tra le funzioni colorimetriche dei due osser-vatori CIE è proposto in Fig. 13 e tra i diagrammi di cromaticità in Fig. 17. Lo spostamento delle croma-ticità delle radiazioni monocromatiche è evidente, anche se i due diagrammi appaiono quasi uguali. L’osservatore standard supplementare CIE 1964 è oggi il più usato in ambito industriale.

Fig. 17 – Diagrammi di cromaticità CIE 1931 (linea nera) e CIE 1964 (linea rossa). Lo spostamento delle cromaticità degli stimoli monocromatici è notevole, pur essendo i due diagrammi quasi uguali in forma.

Specificazione strumentale del colore di oggetti non auto-luminosi

Qui si considerano oggetti opachi e una trattazione analoga vale per corpi trasparenti e traslucidi. In co-lorimetria il colore di oggetti non auto-luminosi è specificato in modo relativo a un riferimento, che, per convenzione, è costituito dal perfetto diffusore riflettente. Il perfetto diffusore riflettente è un corpo idea-le che non assorbe e non trasmette e dal quale e-merge una radianza riflessa uguale in tutte le dire-zioni, indipendente dalla geometria d’irradiamento. Tale comportamento del perfetto diffusore è detto lambertiano.L’apparenza di un oggetto e quindi anche il colore dell’oggetto dipendono dall’illuminazione, sia come geometria e sia come distribuzione spettrale, e dal punto di osservazione. Per la specificazione del co-lore di un corpo non autoluminoso, occorre sceglie-re un illuminante e definire le geometrie d’illuminazione e di visione. La geometria opera nel-la misurazione del fattore di riflessione spettrale R( ).Occorre anche scegliere tra visione foveale e visione extra foveale.Per ragioni pratiche gli illuminanti sono standardiz-zati dalla CIE, che ne definisce le distribuzioni spet-trali di potenza. Gli illuminanti standard più impor-tanti sono:

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- l’illuminante A, associato alla lampadina con fila-mento di tungsteno avente un potere emissivo spettrale uguale a quello del corpo nero con tem-peratura di 2856 K;

- gli illuminanti del tipo “daylight” associati a teori-che luci del giorno indicate rispettivamente con D50, D55, D65, D75 … in corrispondenza a temperature di colore di 5000 K, 5500 K, 6500 K, 7500 K … ;

- le lampade fluorescenti F2 del tipo “coolwhite”, F7 del tipo “daylight fluorescent” e F11 del tipo “white fluorescent”.

Il fattore di riflessione spettrale è definito come rapporto tra i flussi di luce monocromatica riflessa in un pun-to del campione di colore e in un punto del perfetto diffusore riflettente illuminati in modo uguale e se-condo la stessa geometria. Le geometrie più usate per la misurazione del fattore di riflessione standar-dizzate dalla CIE sono:

1) geometria “45/8”, in cui il campione è illuminato da un fascio di luce parallela con angolo di inci-denza di 45° e allo spettrometro è inviata la luce che emerge con un angolo di 8° rispetto alla su-perficie del campione;

2) geometria “de/8” o “d/8”, in cui il campione è illuminato in modo diffuso (mediante sfera d’integrazione) con componente speculare esclusa e allo spettrometro è inviata la luce che emerge dal campione con un angolo di 8° rispetto alla normale;

3) geometria “di/8” o “t/8”, in cui il campione è il-luminato in modo diffuso (mediante sfera d’integrazione) con componente speculare inclusa e allo spettrometro è inviata la luce che emerge

dal campione con un angolo di 8° rispetto alla normale.

Una volta scelto un osservatore standard, per esem-pio l’osservatore CIE 1931, scelto un illuminante con distribuzione spettrale di potenza S e scelta una geometria per la misurazione del fattore di riflessio-ne R( ), il colore risulta specificato da

.

d)(

100

,d)()(

,d)()(

,d)()(

780

380

780

380

780

380

780

380

yS

K

zRSKZ

yRSKY

xRSKX

La costante di normalizzazione K rende la specifica-zione del colore relativa e indipendente dal livello di illuminazione e ciò induce a considerare il colore misurato come proprietà degli oggetti. La compo-nente Y, detta fattore di luminanza percentuale, è rappre-sentata su scala percentuale e vale 100 per il diffuso-re riflettente ideale. La terna (X, Y, Z) qui definita non va confusa con la omonima terna definita in precedenza.Il fattore di riflessione spettrale è una grandezza fisi-ca dipendente dalla temperatura e di conseguenza anche il colore dipende dalla temperatura. Il feno-meno è detto termocromismo.Da quanto detto segue che ogni specificazione di colore di oggetti non autoluminosi è relativa alla scelta dell’osservatore standard, alla scelta

dell’illuminante, alla scelta della geometria di misu-razione e alla temperatura in cui si è operato.

Colorimetria psicometrica

Nella seconda zona del sistema visivo si ha che il segnale nervoso, generato dall’attivazione dei coni, viene elaborato, compresso e codificato in impulsi. Ciò porta a definire una nuova terna di segnali: il primo è acromatico e riguarda la sensazione lumino-sa, gli altri due riguardano la sensazione cromatica. In tale processo la linearità che caratterizzava l’attivazione dei coni è persa. Pertanto nello spazio del tristimolo le variazioni dei vettori tristimolo, cor-rispondenti a differenze appena distinguibili di cro-maticità e di chiarezza, non sono uguali per tutti i vettori, cioè lo spazio del tristimolo ha scale non uniformi di cromaticità e di chiarezza. Tali differen-ze sono indicate con jnd, dall’inglese “just noticeable difference”.

Sensazione luminosaPer definire le scale della sensazione luminosa si at-tua un esperimento in visione maculare con campo bipartito. L’esperimento inizia proponendo nelle due parti del campo bipartito la stessa radiazione a uguale luminanza Lv. Si procede variando l’entità della luminanza Lv + Lv di un semicampo fino a che i due semicampi risultano distinti e così si valuta il Lv relativo alla soglia di discriminazione. L’incremento di luminanza corrispondente a tale

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soglia soddisfa con buona approssimazione all’equazione

01.0v

v

L

L

nota come legge di Weber-Fechner. Questa equazione porta a definire una nuova grandezza rappresentati-va della sensazione luminosa

0,

logv

vS

L

LkS

con Lv,0 2 10-3 cd/m2 e 01.0

1Sk

tale che S = kS Lv / Lv = 1. La proprietà princi-pale di questa legge è di definire la sensazione lumi-nosa S dotata di scala uniforme. Altri esperimenti indussero gli scienziati a preferire al logaritmo della luminanza la radice cubica della luminanza come grandezza rappresentativa della sensazione luminosa dotata di scala uniforme (legge di Stevens). Lo scarto tra la funzione logaritmica e la radice cubica nell’intervallo delle luminanze usate in colorimetria è poco significativa.

Chiarezza psicometrica CIE 1976 L*La chiarezza di un colore (X, Y, Z) è definita come la sua brillanza giudicata in relazione alla brillanza del diffusore ideale, che, illuminato in modo uguale e sotto lo stesso illuminante, appare bianco e di colore (Xn, Yn = 100, Zn). Sulla base di questa definizione e della legge di Stevens, nel 1976 la CIE propose la seguente definizione di chiarezza psicometrica

008856.0per3.903

008856.0per16116

*

3/1

nn

nn

Y

Y

Y

Y

Y

Y

Y

Y

L,

grandezza adimensionale e con intervallo di defini-zione 0 100. Questa definizione vale per l’osservatore CIE 1931 e per l’osservatore CIE 1964 (distinto dal pedice “10”) ed è specifica dell’illuminante considerato.

Sistema colorimetrico CIELAB Nel 1976 la CIE propose due differenti sistemi co-lorimetrici, il CIELAB e il CIELUV, con lo scopo principale di avere spazi del colore a scale uniformi. Qui si considera il solo sistema CIELAB perché è diffusamente più usato per oggetti non autolumino-si. Questo sistema è scandito dalle coordinate (L*,a*, b*) o dalle (L10*, a10*, b10*) a seconda che sia rela-tivo al sistema CIE 1931 o al CIE 1964. Le motiva-zioni e gli scopi che sono alla base di questo sistema sono ambiziosi e non completamente soddisfatti, e il successo di questo sistema è dovuto al fatto che fino ad oggi non si sono proposti sistemi migliori.Qui si considera l’osservatore CIE 1931, ma quanto segue è ripetibile per il CIE 1964. Una volta scelto un illuminante e considerato il colore del diffusore ideale (Xn, Yn = 100, Zn), al quale si associa per con-venzione un fattore di luminanza Yn = 100, gli sti-moli di colore (X, Y, Z) sono rappresentati nel si-stema CIELAB dalle coordinate adimensionali (L*,a*, b*), dove L* è la chiarezza CIE 1976 e

nn

nn

Z

Zf

Y

Yfb

Y

Yf

X

Xfa

200*

500*

,

dove

008856.0per

116

167867.7

008856.0per

3/1

n

nn

n

nn

X

X

X

X

X

Xf

X

X

X

X

X

Xf

e ugualmente per nn Z

Zf

Y

Yf e .

Le coordinate a* e b* sono approssimativamente relative alle tinte opponentisi dell’ipotesi di Hering: in particolare a* rappresenta l’opponenza rosso-verde e b* l’opponenza giallo-blu. Spesso si usano coordinate cilindriche (L*, hab, C*ab),in cui

cromabaC

tintadiangoloa

bh

ab

ab

22 ***

gradiinmisurato*

*arctan

.

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Questo spazio è ottenuto dallo spazio del tristimolo mediante una trasformazione non lineare e pertanto non è più uno spazio vettoriale. Ciononostante lo spazio è metrico perché in esso è definita la distanza tra due colori (L*1, a*1, b*1) e (L*2, a*2, b*2) quale distanza euclidea con lo scopo di rappresentare la differenza di colore

2

21

2

21

2

21 ******* bbaaLLE ab

Nella pratica industriale questa formula per la diffe-renza di colore non è completamente soddisfacente, pertanto negli anni sono state fatte molte proposte di miglioramento, in particolare la formula CMC, la formula CIE94 e la recentissima CIEDE2000.

Formula per la differenza di colore CIEDE2000 [16-17]

Il grande valore pratico del calcolo delle differenze di colore ci induce a riportare la più recente formulaper piccole differenze di colore pubblicata dalla CIE col nome CIEDE2000 e col simbolo E00. La formula è definita sulle coordinate ',',',',' hCbaL in fun-

zione delle note coordinate **,*,*, abCbaL del si-stema CIELAB

*' LL

*)1(' aGa

con 77*

7*

2515.0

ab

ab

C

CG

*' bb

22 ''' baC

'

'tan' 1

a

bh

in cui *

abC è la media aritmetica dei valori *

abC rela-tivi alla coppia di campioni di colore in esame. La formula è

HHCC

T

HH

CCLL

Sk

H

Sk

CR

Sk

H

Sk

C

Sk

L

E

'''

''

2

22

00

in cui

2

2

)50'(20

)50'(015.01

L

LSL ,

'045.01 CSC ,

TCSH '015.01

)63'4cos(20.0)6'3cos(32.0

)'2cos(24.0)30'cos(17.01

hh

hhT

CT RsenR )2(

con2

25/275'exp30 h

e con 77

7

25'

'2

C

CRC

sb LLL '''

sb CCC ''' ,

2

'''2'

hsenCCH sb

con sb hhh '''

dove

- il pedice s distingue lo standard dal campione b , - le grandezze ',',' hCL sono le medie aritmetiche

delle corrispondenti ',',' hCL valutate per cam-pione e standard,

- HCL kkk ,, sono fattori parametrici da scegliere in relazione alla tessitura e alle condizioni di visione dei campioni in esame (una scelta generalmente valida è 1HCL kkk ),

- le grandezze sopralineate sono le medie aritmeti-che delle corrispondenti grandezze relative alla coppia di campioni di colore in esame.

Occorre particolare attenzione nel calcolare 'h nel caso in cui si considerino colori con angolo di tinta appartenenti a differenti quadranti, per es. se lo standard e il campione hanno rispettivamente angoli di tinta di 90° e 300°, il valore medio 195° è diverso dal valore corretto che è 15°. Per evitare l’errore oc-corre valutare la differenza assoluta tra i due angoli di tinta. Se tale differenza è inferiore di 180° si con-sidera la media aritmetica degli angoli di tinta, altri-menti si deve sottrarre 360° all’angolo di tinta mag-giore e quindi fare la media aritmetica.La complessità di questa formula dimostra quanto il sistema CIELAB sia inadeguato alla specificazione del colore e quanto si debba ancora fare per capire compiutamente il fenomeno della visione a colori.

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Colorimetria e colore inter-ferenziale

In generale il colore è dovuto a disomogeneità otti-che dei corpi, le quali comportano assorbimento, diffusione e rifrazione della luce. Come sopra detto, la specificazione del colore di oggetti non autolumi-nosi dipende dal fattore di riflessione o trasmissione spettrale, la cui misurazione è standardizzata dalla CIE secondo particolari geometrie, significative so-prattutto per i colori poco dipendenti dalle geome-trie di illuminazione e di visione.Il colore prodotto per interferenza è detto colore inter-ferenziale ed è tipico dei rivestimenti ottici, delle ver-nici con pigmenti metallici e micacei e in natura lo troviamo per esempio sulle ali delle farfalle, negli insetti, nelle piume d’uccello, nelle bolle di sapone. Questo tipo di colore è fortemente dipendente dalle geometrie di illuminazione e di visione, pertanto le geometrie di misurazione della CIE risultano inade-guate e le misurazioni gonio-radiometriche del fatto-re di riflessione o trasmissione sono più significative per una valutazione realistica del colore. La specifi-cazione del colore risultante, espressa nei sistemi XYZ o CIELAB, deve essere data unitamente alla geometria di misurazione e alla temperatura. Inoltre, poiché i colori interferenziali sono generalmente vi-sti nella regione maculare della retina, l’osservatore da preferirsi è il CIE 1931.

“Colour Appearance”

Quanto è stato fin qui detto vale in situazioni visive controllate, in cui il campione di colore, che è uni-forme, si trova isolato e separato dal contesto e la regione di separazione è acromatica. La “colour ap-pearance” vuole specificare il colore di uno stimolo di colore posto in un contesto vario in luminanza e in cromaticità [18]. Il problema è arduo per complessità. Ciononostante numerosi modelli sono stati proposti. Qui non si entra nella presentazione di questi modelli e ci si limita a proporre visivamente i fenomeni più appariscenti della percezione, comunemente noti come contrasto di luminanza e contrasto cromatico simultaneo. Le figure 18, 19, 20 e 21 propongono in diversi contesti campioni di colore dotati di radianze spettrali uniformi e uguali, a cui corrispondono uguali stimoli di colore, ma che a causa del diverso contesto inducono sensazioni cromatiche e sensazioni luminose differenti. Questi fenomeni sono esposti nelle didascalie delle figure stesse. Secondo la “colour apperance” sensazioni di colore uguali, anche se dovute a stimoli di colore diversi proposti in opportuni contesti, devono essere specificate dalla stessa terna di numeri.

Fig. 18 – Questa figura propone due sequenze uguali di strisce acromatiche aventi luminanze crescenti dal nero al bianco. Nella sequenza di destra le varie strisce contigue sono a contatto mentre nella sequenza di sinistra sono separate da una linea acromatica di luminanza media. La contiguità tra le strisce della sequenza di destra comporta che ogni striscia appaia non uniforme, più chiara dalla parte della striscia meno luminosa e più scura dalla parte della striscia più chiara. Il fatto che le strisce di sinistra siano iso-late dal contesto con una linea acromatica uniforme comporta che queste appaiano uniformi quali esse sono. Inoltre, poiché la linea di separazione ha luminanza uguale in tutti i suoi punti, le strisce al di sotto di tale luminanza appaiono ancor meno luminose e quelle al di sopra appaiono ancor più luminose. Quest’ultimo fe-nomeno è noto col nome inglese “crispening”. Questi fenomeni sono dovuti al contrasto di luminanza.

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Fig. 19 – Insieme dei campioni di colore riproducibili con un mo-nitor a tubo a raggi catodici relativi a una coppia di tinte opposte del sistema CIELAB per l’osservatore CIE 1931 e l’illuminante standard D65 (“daylight”, temperatura di colore 6500 K). Le tinte considerate sono hab=140 (parte destra di tinta verde) e hab=320 (parte sinistra di tinta magenta), separate dalla scala di campioni acromatici. La chiarezza cresce dal basso verso l’alto assumendo valori multipli di 10 e la croma cresce a partire dalla colonna acromatica con passo multiplo di 10. In questa figura i vari campioni sono separati da una linea acromatica e appaiono uniformi. Confronta con la figura 20.

Fig. 20 – Confronta con la figura 19. In questa figura i campioni già proposti in Fig. 19 sono a contatto e, in accordo col contrasto di luminanza della Fig. 18, appaiono più chiari in basso che in

alto, nonostante che siano uniformi. Questo fenomeno è dovuto al contrasto di luminanza. Inoltre i campioni appaiono contenere a desta un poco della tinta dei campioni di sinistra e a sinistra un poco della tinta dei campioni di destra. Questo fenomeno è prodotto dal contrasto cromatico simultaneo ed è una induzionedovuta ai colori circostanti a ogni campione.

Fig. 21 – Figure uniformi di diversa radianza (la stessa per ogni tipo di figure) proposte su fondo degradante dal colore rosso-arancio al verde. Tale sfondo realizza con le figure un contrasto simultaneo di luminanza e cromatico che induce in queste alterazioni luminose e cromatiche.

Riconoscimenti

Questo lavoro è stato finanziato dal Programma Nazionale di Ricerca Scientifica “Cofinanziamento del MURST 2000”, intitolato “Psicofisica e colori-metria nei colori superficiali naturali”.

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Claudio Oleari

Claudio Oleari, laureato in fisica, è Professore Asso-ciato di Fisica Generale presso l'Università di Parma. Dal 1969 al 1986 si è occupato di fisica matematica. L'attività scientifica dal 1986 a oggi riguarda la colo-rimetria e la visione a colori. I suoi risultati più signi-ficativi sono: 1) formalizzazione del gruppo d'inva-rianza del metamerismo; 2) realizzazione di dia-gramma di cromaticità a scale uniformi per visione foveale in accordo con le ellissi di MacAdam; 3) rea-lizzazione di uno spazio a scale uniformi in accordo col sistema della Società Americana di Ottica; 4) de-rivazione di funzioni di risposta cromatica per la vi-sione foveale mediante trasformazioni logaritmiche; 5) definizione sperimentale dei punti di confusione dei dicromati; 6) interconnessione tra visione macu-lare ed extramaculare; 7) deconvoluzione dei dati spettrofotometrici per il calcolo colorimetrico. Claudio Oleari è membro dei seguenti comitati tec-nici della CIE: TC1-55 "Uniform Color Space for Industrial Color Difference Evaluation", TC1-56 "Improved Color-Matching Functions" e TC1-59 "Standard Photometric 10 Degree Observer". Clau-dio Oleari è stato l'iniziatore e il coordinatore del Gruppo di lavoro in Colorimetria della Società Ita-liana di Ottica e Fotonica. È curatore e coautore del libro "Misurare il colore" Hoepli (1998).

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